Perché pur coperti di ferite mormoriamo?

Posté par atempodiblog le 26 février 2013

Perché pur coperti di ferite mormoriamo? dans Apoftegmi dei Padri del deserto mormorazionemaldicenza

Un fratello chiese al padre Giovanni: «Come mai la mia anima, pur essendo coperta di ferite, non si vergogna di parlare male del prossimo?». L’anziano gli raccontò questa parabola sulla maldicenza: «C’era un uomo povero; aveva moglie, ma ne vide un’altra che era attraente, e la prese. Entrambe erano ignude. In occasione di una festa in un luogo vicino, lo pregarono dicendo: – Portaci con te. Le prese tutte e due, le mise in una botte, e, imbarcatosi, giunse in quel luogo. Nell’ora del calore meridiano, mentre tutti si riposavano, una delle due guardò fuori e, non vedendo nessuno, saltò su un mucchio di rifiuti, raccolse dei vecchi stracci, se li cinse attorno alla vita, e si aggirava quindi con libertà. L’altra, rimasta seduta ignuda nella botte, diceva: – Ecco, questa donnaccia non si vergogna di andare in giro nuda! Molto afflitto di questo, suo marito le disse: – Lo strano è che lei ha coperto la sua vergogna, mentre tu, che sei tutta nuda, non ti vergogni di parlare così. Ecco cos’è la maldicenza» (208d-209a).

Apoftegma dei Padri del deserto

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Le due facce dell’invidia e l’ipocrisia

Posté par atempodiblog le 21 juillet 2012

Le due facce dell’invidia e l’ipocrisia

I farisei però, usciti, tennero consiglio contro di lui
per toglierlo di mezzo. [...]
Dal Vangelo secondo Matteo 12,14-21 di oggi (sabato)

Le due facce dell’invidia e l’ipocrisia dans Commenti al Vangelo rm19g9

Gesù operava il bene e i farisei cercavano di eliminarlo. Il Vangelo ci rivela che la causa di ciò era l’invidia.

L’invidia è ciò che ha provocato il più grande peccato che sia stato mai commesso nella storia umana: l’uccisione di Gesù Cristo.  L’uccisione di Gesù è avvenuta per invidia, ce lo dice il Vangelo. Pilato sapeva che glielo avevano consegnato per invidia. Gesù parla e la gente lo sta ad ascoltare, attira le folle, ha un grande seguito, fa  miracoli, è santo, è sapiente per questo scribi e farisei morivano dì invidia. L’invidia è omicida. Questo tipo d’invidia è l’invidia della grazia altrui.

L’invidia ha due facce: il dispiacersi per il bene degli altri; il godere per il male degli altri. “Ben gli sta! Dio è giusto!” , dicono, “sapevo io!”, “finalmente è caduto, era ora che cadesse!”.  E’ talmente turpe questo sentimento che, come notano anche psicologi, moralisti, ecc., che uno lo dissimula, lo copre, finge di essere amico ma in realtà ha invidia.

L’invidia è dunque collegata all’ipocrisia. Oltre ad essere parente all’ipocrisia, l’invidia è imparentata, diciamo così, al v comandamento (non uccidere): l’invidia è assassina. Quando uno può, facendola franca, cerca di eliminare la persona di cui ha invidia. In che modo si cerca di eliminare le persone la cui grandezza da fastidio? Prima di tutto con la lingua: diffamazione, calunnia, veleni… in modo tale da sminuire quello che la persona è. Si può arrivare anche al vero e proprio omicidio.

L’invidia colpisce alla radice la carità. Fintanto però che uno è invidioso perché ha la panda e un altro la maserati passi! Dove l’invidia uccide davvero l’anima è quando si è invidiosi della grazia altrui. “Quello è più santo di me!”. “Quello ha dei doni che io non ho!”. Allora scoppia l’invidia spirituale che uccide la carità. Essa diventa un peccato contro lo Spirito Santo perché Egli è colui che ha fatto quei doni alla persona.

Una volta parlando con un sacerdote delle apparizioni di Medjugorje si è arrabbiato, ha battuto forte un pugno sul tavolo ed ha esclamato “E perché non è apparsa a me?”. Non credevo a quello che sentivo… D’altra parte una malattia del genere ce l’aveva la maestra delle novizie di Bernadette Soubirous, la quale diceva “Non capisco per quale motivo la Madonna dovrebbe apparire a una contadinella ignorante quando ci sono tante religiose virtuose”, alludendo a se stessa naturalmente… poi divenne madre generale.

Riassunto di una catechesi di Padre Livio Fanzaga

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La correzione non sia un atto di accusa

Posté par atempodiblog le 14 juillet 2012

La correzione non sia un atto di accusa dans Commenti al Vangelo Cantalamessa

Nel Vangelo [...] leggiamo: «In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato un fratello». Gesù parla di ogni colpa; non restringe il campo alla colpa commessa nei nostri confronti. In quest’ultimo caso infatti è praticamente impossibile distinguere se a muoverci è lo zelo per la verità, o se non è invece il nostro amor proprio ferito. In ogni caso, sarebbe più autodifesa che correzione fraterna. Quando la mancanza è nei nostri confronti, il primo dovere non è la correzione ma il perdono.

Perché Gesù dice: «ammoniscilo fra te e lui solo»? Anzitutto per rispetto al buon nome del fratello, alla sua dignità. La cosa peggiore sarebbe voler correggere un marito in presenza della moglie, o una moglie in presenza del marito, un padre davanti ai suoi figli, un maestro davanti agli scolari, o un superiore davanti ai sudditi. Cioè, alla presenza delle persone al cui rispetto e alla cui stima uno tiene di più. La cosa si trasforma immediatamente in un processo pubblico. Sarà ben difficile che la persona accetti di buon grado la correzione. Ne va della sua dignità.

Dice «fra te e lui solo» anche per dare la possibilità alla persona di potersi difendere e spiegare il proprio operato in tutta libertà. Molte volte infatti quello che a un osservatore esterno sembra una colpa, nelle intenzioni di chi l’ha commessa non lo è. Una franca spiegazione dissipa tanti malintesi. Ma questo non è più possibile quando la cosa è portata a conoscenza di molti.
Quando, per qualsiasi motivo, non è possibile correggere fraternamente, da solo a solo, la persona che ha sbagliato, c’è una cosa che bisogna assolutamente evitare di fare al suo posto, ed è di divulgare, senza necessità, la colpa del fratello, sparlare di lui o addirittura calunniarlo, dando per provato quello che non lo è, o esagerando la colpa. «on sparlate gli uni degli altri», dice la Scrittura (Gc 4,11). Il pettegolezzo non è cosa meno brutta e riprovevole solo perché adesso gli si è cambiato il nome e oggi lo si chiama «gossip».

Una volta una donna andò a confessarsi da san Filippo Neri, accusandosi di aver sparlato di alcune persone. Il santo l’assolse, ma le diede una strana penitenza. Le disse di andare a casa, di prendere una gallina e di tornare da lui, spiumandola ben bene lungo la strada. Quando fu di nuovo davanti a lui, le disse: «Adesso torna a casa e raccogli una ad una le piume che hai lasciato cadere venendo qui ». La donna gli fece osservare che era impossibile: il vento le aveva certamente disperse dappertutto nel frattempo. Ma qui l’aspettava san Filippo. «Vedi – le disse – come è impossibile raccogliere le piume, una volta sparse al vento, così è impossibile ritirare mormorazioni e calunnie una volta che sono uscite dalla bocca ».

Tornando al tema della correzione, dobbiamo dire che non sempre dipende da noi il buon esito nel fare una correzione (nonostante le nostre migliori disposizioni, l’altro può non accettarla, irrigidirsi); in compenso dipende sempre ed esclusivamente da noi il buon esito nel… ricevere una correzione. Infatti la persona che «ha commesso una colpa» potrei benissimo essere io e il «correttore» essere l’altro: il marito, la moglie, l’amico, il confratello o il padre superiore.

Insomma, non esiste solo la correzione attiva, ma anche quella passiva; non solo il dovere di correggere, ma anche il dovere di lasciarsi correggere. Ed è qui anzi che si vede se uno è maturo abbastanza per correggere gli altri. Chi vuole correggere qualcuno deve anche essere pronto a farsi, a sua volta, correggere. Quando vedete una persona ricevere un’osservazione e la sentite rispondere con semplicità: «Hai ragione, grazie per avermelo fatto notare!», levatevi tanto di cappello: siete davanti a un vero uomo o a una vera donna.

L’insegnamento di Cristo sulla correzione fraterna dovrebbe sempre essere letto unitamente a ciò che egli dice in un’altra occasione: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo?  (Lc 6, 41 s.).

Quello che Gesù ci ha insegnato circa la correzione può essere molto utile anche nell’educazione dei figli. La correzione è uno dei doveri fondamentali del genitore. «Qual è il figlio che non è corretto dal padre?», dice la Scrittura (Eb 12,7); e ancora: «Raddrizza la pianticella finché è tenera, se non vuoi che cresca irrimediabilmente storta». La rinuncia totale a ogni forma di correzione è uno dei peggiori servizi che si possano rendere ai figli e purtroppo oggi è frequentissima.

Solo bisogna evitare che la correzione stessa si trasformi in un atto di accusa o in una critica. Nel correggere bisogna piuttosto circoscrivere la riprovazione all’errore commesso, non generalizzarla, riprovando in blocco tutta la persona e la sua condotta. Anzi, approfittare della correzione per mettere prima in luce tutto il bene che si riconosce nel ragazzo e come ci si aspetta da lui molto. In modo che la correzione appaia più un incoraggiamento che una squalifica. Era questo il metodo usato da S. Giovanni Bosco con i ragazzi.

Non è facile, nei singoli casi, capire se è meglio correggere o lasciar correre, parlare o tacere. Per questo è importante tener conto della regola d’oro, valida per tutti i casi, che l’Apostolo dà nella seconda lettura: »Non abbiate nessun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole… L’amore non fa nessun male al prossimo». Agostino ha sintetizzato tutto ciò nella massima «Ama e fa’ ciò che vuoi ». Bisogna assicurarsi anzitutto che ci sia nel cuore una fondamentale disposizione di accoglienza verso la persona. Dopo, qualsiasi cosa si deciderà di fare, sia correggere che tacere, sarà bene, perché l’amore «non fa mai male a nessuno».

di Padre Raniero Cantalamessa

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Non permettere di difendersi

Posté par atempodiblog le 7 juin 2012

Non permettere di difendersi dans Citazioni, frasi e pensieri

Sarà vero che — disgraziatamente — è grande il numero di coloro che mancano alla giustizia con la calunnia, e poi invocano la carità e l’onestà, affinché la loro vittima non possa difendersi?

San Josemaría Escrivá de Balaguer

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La maldicenza

Posté par atempodiblog le 28 avril 2012

La maldicenza dans Mormorazione San-Francesco-di-Sales

Il giudizio temerario causa preoccupazione, disprezzo del prossimo, orgoglio e compiacimento in se stessi e cento altri effetti negativi, tra i quali il primo posto spetta alla maldicenza, vera peste delle conversazioni. Vorrei avere un carbone ardente del santo altare per passarlo sulle labbra degli uomini, per togliere loro la perversità e mondarli dal loro peccato, proprio come il Serafino fece sulla bocca di Isaia.

Se si riuscisse a togliere la maldicenza dal mondo, sparirebbero gran parte dei peccati e la cattiveria. A chi strappa ingiustamente il buon nome al prossimo, oltre al peccato di cui si grava, rimane l’obbligo di riparare in modo adeguato secondo il genere della maldicenza commessa. Nessuno può entrare in Cielo portando i beni degli altri; ora, tra tutti i beni esteriori, il più prezioso è il buon nome. La maldicenza è un vero omicidio, perché tre sono le nostre vite: la vita spirituale, con sede nella grazia di Dio; la vita corporale, con sede nell’anima; la vita civile che consiste nel buon nome. Il peccato ci sottrae la prima, la morte ci toglie la seconda, la maldicenza ci priva della terza. Il maldicente, con un sol colpo vibrato dalla lingua, compie tre delitti: uccide spiritualmente la propria anima, quella di colui che ascolta e toglie la vita civile a colui del quale sparla.

San Francesco di Sales

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La grazia di rispettare i fratelli

Posté par atempodiblog le 28 mars 2012

La grazia di rispettare i fratelli dans Citazioni, frasi e pensieri 2r7359k

Signore Gesù, metti un lucchetto alla porta del nostro cuore, per non pensare male di nessuno, per non giudicare prima del tempo, per non sentir male, per non supporre, né interpretare male, per non profanare il santuario sacro delle intenzioni.

Signore Gesù, legame unificante della nostra comunità, metti un sigillo alla nostra bocca per chiudere il passo ad ogni mormorazione o commento sfavorevole.


Concedici di custodire fino alla sepoltura, le confidenze che riceviamo o le irregolarità che vediamo, sapendo che il primo e concreto modo di amare è custodire il silenzio.


Semina nelle nostre viscere fibre di delicatezza. Dacci uno spirito di profonda cortesia, per riverirci l’uno con l’altro, come avremmo fatto con te.


Signore Gesù Cristo, dacci la grazia di rispettare sempre. Così sia.

Don Ignacio Larranaga

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La mormorazione: una ferita alla carità

Posté par atempodiblog le 29 février 2012

La mormorazione: una ferita alla carità dans Madre Speranza

Asteniamoci dalla mormorazione. Noi non siamo chiamati a giudicare i nostri fratelli. Detestiamo questo vizio, ricordando che la carità ci obbliga ad evitarlo ad ogni costo.

Tutti sappiamo che la mormorazione consiste nel manifestare ad un altro le mancanze del nostro prossimo, spesso distruggendo il suo buon nome. Ciò avviene ogni volta che riportiamo i difetti altrui. Forse con maggiore danno se lo facciamo senza indicare detti difetti, ma usando espressioni che alludono a cose nascoste; così, per esempio, la frase: « Se io potessi parlare! »; oppure, nell’ascoltare maldicenze, rispondere: « Io anche avrei da dire, ma preferisco tacere ». Questo è terribile perché credo che una tale riserva danneggi molto più della manifestazione aperta di ciò che è successo; induce a sospettare, infatti, che si nascondano cose molto gravi.

Qualcuno potrebbe dire: «Io, quando parlo del mio prossimo, riferisco sempre cose risapute, per cui non credo di togliere la buona riputazione, dato che quello che dico non l’ho visto io ma mi è stato riferito. In tal caso la mia mancanza non è tanto grave perché si tratta di cose pubblicamente conosciute. Si sa che, quando un delitto è pubblico, diminuisce la gravità del parlarne».

Io credo invece che anche in quest’ultimo caso chi si compiace di riferire le mancanze dei propri fratelli dimostra di avere nel petto un cuore completamento freddo, privo di amore e di carità.

Vediamo come Egli si è comportato con i più grandi peccatori. Riguardo a Giuda, giunto il momento di manifestare il suo tradimento, lo fa con molta carità e delicatezza, senza palesare il suo nome. Egli dice: « Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà » (Mt 26, 23). In tal modo ciascuno prese rivolta a sé l’allusione e tutti chiesero pieni di spavento « Signore, sono forse io? ». Gesù, sebbene li vedesse spaventati, non fece alcun nome, solo disse in segreto a Giovanni « Colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò » (Gv 13, 26). E lo fece con tanta discrezione che nessun altro se ne accorse. Se Gesù manifestò questo al suo amato discepolo fu perché Giovanni lo amava profondamente. Colui che ama ha carità verso i propri fratelli; tace e nasconde le loro mancanze.

Siamo caritatevoli, perché la carità è il vincolo che ci unisce gli uni agli altri e tutti a Gesù. In ogni momento della nostra vita, solleviamo gli occhi più in alto e pensiamo che sarà veramente degno di approvazione in noi, non questo o quel metodo di virtù, ma il frutto della carità. Questo è ciò che Gesù ci chiede.

Madre Speranza
Fonte: Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza

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Nubi oscure

Posté par atempodiblog le 27 décembre 2011

Nubi oscure dans Citazioni, frasi e pensieri mormorazioni

Mormorare, dicono, è molto umano. — Ho replicato: noi dobbiamo vivere in modo divino.
La parola malevola o leggera di un solo uomo può formare una opinione, e perfino lanciare la moda di parlar male di qualcuno… Poi, questa mormorazione sale dal basso, arriva in alto e magari si condensa in nubi oscure.

San Josemaría Escrivá de Balaguer

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Rendere conto della lingua

Posté par atempodiblog le 1 août 2011

Rendere conto della lingua dans Citazioni, frasi e pensieri santafaustina

Nella lingua c’è la vita, ma anche la morte. E talvolta con la lingua uccidiamo, commettiamo dei veri omicidi; e possiamo ancora considerare ciò una piccola cosa? Per la verità non riesco a comprendere tali coscienze. Ho conosciuto una persona, che avendo saputo da un’altra una certa cosa che si diceva di lei… si ammalò gravemente e di conseguenza versò molto sangue e molte lacrime e poi avvenne la dolorosa conclusione che fu causata quindi non dalla spada, ma dalla lingua. O mio Gesù silenzioso, abbi misericordia di noi.

Santa Faustina Kowalska

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Dir male del prossimo

Posté par atempodiblog le 2 juillet 2011

Dir male del prossimo  dans Citazioni, frasi e pensieri pettegolezzi

Ma voi dite che i falli del prossimo sono numerosi; ed io vi rispondo che certe volte non sono che calunnie quelle che sembrano verità autentiche. Qualcosa sembrava infatti, più vera che quella per cui fu accusata di adulterio la casta Susanna? Eppure noi sappiamo che era una solenne impostura. Ma siano pure anche vere: avremmo forse piacere che di noi o di qualche nostro congiunto fossero rivelati falli o mancanze, che sono veri, verissimi? No, certamente. Come, dunque, saremo così facili a propagandare le mancanze degli altri? La legge naturale, molto più la legge evangelica, non ci proibisce di fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi?

I fatti che voi riferite sono veri? Ma ditemi, noi non abbiamo mai mancato in niente? Chi è che può dirsi senza peccato? Se vi è alcuno così innocente che la sua coscienza non gli rinfacci colpa di sorta, si faccia avanti e sia costui il primo a dir male del suo prossimo che io mi contento.

di Sant’Agostino Roscelli
Fonte: Immacolatine.it

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La mormorazione

Posté par atempodiblog le 2 juillet 2011

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Bella è la virtù della Carità! Questa figlia del Cielo, se da una parte ci eleva sopra di noi stessi e ci porta direttamente a Dio, centro di ogni bene, che dobbiamo amare sopra ogni altra cosa con tutte le nostre forze, dall’altra parte, riguardo al prossimo, ci comanda di amarlo come noi stessi, pronti a fare per lui tutto ciò che vorremmo fosse fatto a noi, e a non fare a lui ciò che non vorremmo fosse fatto a noi. Vi sono però vizi e peccati che più si oppongono alla santa carità. Questa sera dunque desidero parlarvi della maldicenza che diametralmente si oppone alla carità fraterna, al fine di prevenirvi se qualcuna di voi, anche inavvertitamente, se ne fosse resa colpevole. Ad ottenere lo scopo, vi mostrerò che cosa sia la maldicenza, di quante specie ve ne siano, quanto essa sia peccato comune, e quanti siano i disordini che cagiona, le scuse con cui si difende e finalmente i pericoli a cui espone. La materia è vasta e non può certo contenersi tutta nei limiti di una istruzione, ma quello che non posso dire questa sera lo diremo la prossima volta. Seguite con grande attenzione e gravità: si tratta di un argomento di somma importanza.

La detrazione, ossia la mormorazione, è un’ingiusta diminuzione della fama altrui, fatta in assenza di quella persona contro cui si mormora. Ho detto un’ingiusta diminuzione della fama altrui, perché chi dicesse male di se stesso e diminuisse così la fama propria, non sarebbe ingiusto, perché ciascuno è padrone del suo buon nome e della sua propria fama. Ho detto in secondo luogo: fatta in assenza della persona di cui si mormora, perché se si fa alla sua stessa presenza si tratta di semplice contumelia. Inoltre, se si toglie o si diminuisce la fama al prossimo, manifestando un suo difetto vero, si chiama semplice mormorazione; se poi gli si toglie la fama, propalando un difetto falso, allora si chiama calunnia, la quale è assai più grave della semplice mormorazione, perché vi si unisce una bugia perniciosa contro il prossimo. Vari poi e diversi sono i modi con cui si può togliere e diminuire la fama o la riputazione al prossimo, ossia con cui si può mormorare. S. Tommaso ne conta sino a otto. Il primo e il più grave di tutti è la calunnia.

Pare strano che un cristiano, tenuto per legge alla pratica della carità e ad amare il suo prossimo come se stesso, possa giungere a tanto di malizia da imputare ad un suo fratello, ad una sua sorella, un difetto di cui non è colpevole; questo è un peccato così odioso che non può certo commetterlo chiunque serba ancora in cuore qualche residuo di probità e di amore. Eppure, sebbene non succeda con tanta frequenza, si sono trovati dei calunniatori e delle calunniatrici che imputano a persone innocenti delle colpe che non hanno commesso, né pensato mai di commettere. S’incolpa quella di intrigante, quell’altra di scrupolosa e di manica stretta; questa come persona che riporta e che dice ciò che non dovrebbe dire; quella come persona che parla per stizza e con finzione. E non temete che vi sorprenda l’ira di Dio inventando tali calunnie?

E’ anche poi una specie di calunnia, attribuire all’operato del prossimo dei fini e delle intenzioni che egli non ha mai avuto. Quegli, dicono queste lingue calunniatrici, ha detto la tal cosa, ma dev’essere perché qualcuno l’ha informato; quell’altro ha fatto la tal cosa, ma per farsi vedere e stimare; questa non tratta quasi mai con me, perché mi porta odio, non mi può vedere; quella mi ha usata un’attenzione perché aspettava da me un qualche regalo; la tale va spesso al parlatorio perché non ha niente da fare; oppure è più amante della conversazione che del ritiro; quest’altra sta molto in confessionale perché è scrupolosa, oppure confessa anche i peccati degli altri; quell’altra tace e ubbidisce sempre, perché non sa dire la sua ragione e non sa farsi portare rispetto, così si lascia mettere i piedi sul collo. Oh interpreti maligni! Chi vi ha data facoltà di entrare nelle intenzioni e nel cuore dei vostri simili? Come avete ardimento di usurparvi un diritto che appartiene solamente a Dio?

Il secondo modo di mormorare e togliere, o diminuire, la fama del prossimo è quello di amplificare o accrescere un suo difetto vero; l’ingrandimento che se ne fa è anche questo una vera calunnia.

Uno per esempio, dirà o farà una cosa piccolissima e di nessun valore, ma raccontata con quell’aria di serietà, con quell’importanza si amplifica in modo che si fa comparire una grande cosa e un grande difetto.

- Se sapeste, dice una, che cosa la tale ha detto alla cuciniera di voi!

- Che cosa ha detto? – Ha detto che siete buona a far niente, che vi perdete in chiacchiere, che danneggiate la comunità e via discorrendo, e invece aveva detto solamente che la minestra era troppo salala. – Sapete niente della tale che pare una santarella? – Io no, cosa c’è? – Sa dare certe risposte! Se aveste sentito che lingua! – E invece non aveva fatto altro che parlare un po’ più forte. E intanto con l’ingrandire, le mosche diventano cammelli.

Il terzo modo di mormorare è quello di manifestare gli altrui difetti occulti. Questa maniera di screditare il prossimo è quanto mai familiare e comune nelle conversazioni e nelle adunanze: non si fa altro dalla mattina alla sera, dal principio dell’anno fino alla fine, che mormorare e dir male del prossimo. Appena si trovano insieme due persone, sapete qual è il loro trattenimento, il loro discorso? Nel parlare male di questa o di quella; nello scoprire questo o quell’altro difetto. Confessatelo voi, sorelle mie, se non è vero che trovandovi fuori di casa, o in parlatorio con parenti o altre persone, e forse anche nella stessa vostra casa con alcune delle vostre consorelle, non si faccia qualche mormorazione grave o leggera del prossimo?

Il quarto modo di mormorare è quello di interpretare sinistramente e prendere in mala parte le azioni del prossimo. Uno, per esempio, vuol fare elemosina a quella famiglia, a quelle persone bisognose e, « Non è tutta carità – dice subito il maldicente – vi sarà qualche altro fine ». Un’altra si presta volentieri e si sacrifica intorno a quella inferma e lo fa per semplice e pura carità, ma una lingua maledica vuole aggiungere che lo fa per interesse. Questa se ne sta ritirata per schivare le chiacchiere inutili e non perdere il raccoglimento e la presenza di Dio, ma la maldicente dirà che lo fa per malinconia e per cattiva indole.

Si mormora, in quinto luogo, nel negare o nascondere le opere buone del nostro prossimo. Uno, a mo’ d’esempio, crede che quella tale persona abbia fatto questa o quell’altra opera buona, abbia esercitata questa o quell’altra virtù, ma la maldicente dice che non è vero.

Si mormora, in sesto luogo, nel tacere di quelle circostanze, dalle quali dal nostro silenzio si può facilmente intendere che quel nostro prossimo non è degno d’essere lodato, o almeno non merita tanta lode. Quel tale è proprio una brava persona docile, ubbidiente, caritatevole; l’altra che sente questo discorso, tace e questo silenzio è una vera mormorazione, perché col suo silenzio dà a vedere che la cosa non è così.

In settimo luogo si manca coll’attenuare la virtù del prossimo, o col lodarlo così freddamente che gli astanti s’accorgono che chi loda non ha buona opinione della persona da lui lodata. Si mormora coi gesti, quando cioè, sentendo discorrere di qualche difetto, si indica con gli occhi o con la mano, o con altro segno una persona, quasi fosse anch’essa colpevole di un tale difetto.

In ultimo, si mormora sotto pretesto di dar buoni consigli. « Non fate come quel tale o quella tale che non si diportano molto bene. – Guardate di non imitare quell’altra che tende a far partito. – Non vi fidate di questa, perché non sa tacere una parola ». Bella maniera di dar consigli! Si mormora, dice S. Bernardo, anche sotto apparenza di zelo, di compassione, di carità. « Che disgrazia che quella persona, così modesta e devota, abbia quel tale difetto! Che dite di quella Superiora? E’ proprio una brava persona, ma non è buona a niente, non ha energia, si lascia menar pel naso da tutti. Di quel religioso, di quel sacerdote che ve ne pare? Conduce una vita irreprensibile: peccato che sia così scrupoloso e si lasci talvolta trasportare dalla sua passione, dall’interesse, dalla superbia ». E questa vi pare compassione? vi pare carità? vi pare zelo? Non vedete che sono raffinate mormorazioni, vere maldicenze?

Ma chi sono quei tali che in tante e sì svariate maniere tolgono la fama e la riputazione ai loro fratelli? Sono talvolta i cristiani, e non sono pochi. Purtroppo, anche in mezzo ad essi, anche nelle stesse famiglie religiose, non v’è cosa che si ascolti con maggior gusto, quanto la detrazione del prossimo. Il vizio di mormorare è comune a tutti. Si mormora dai ricchi e dai poveri, dalla gente di campagna e da quella di città. Si mormora non solamente dalle persone più rilassate e corrotte, ma anche da quelle che fanno professione di pietà e di religione, persone che si fanno tanto scrupolo di tante cose… e non si fanno scrupolo di mettersi sovente a dir male del prossimo e ad ascoltare volentieri chi ha da dire male. Pochi son quelli, dice S. Paolo, che sanno tenersi forti contro questo vizio. Essi dopo aver fatto resistenza a tutti gli altri vizi, cadono in questo che può chiamarsi l’ultimo laccio del demonio. Ma che gioverà a costoro la loro pietà, se sono mordaci e crudeli col loro prossimo? Che gioveranno le orazioni, le comunioni, le penitenze, se con i loro discorsi non fanno altro che denigrare la fama e la riputazione di questo e di quello? Credete forse che il mormorare non sia peccato? Esso è un vizio dei più enormi, che si oppone direttamente alla più grande di tutte le virtù, cioè alla santa fraterna carità.

A Dio piacendo, in altro ragionamento ne esamine remo la colpevolezza e la malizia, con tutte le conseguenze che ne derivano, ma intanto riflettiamo sopra noi stessi, perché si tratta di un punto di grande importanza. Ho aperto un poco il mio cuore e vi ho detto ciò che già da tempo avrei dovuto dirvi, ma ho dilazionato (e chissà che non debba rendere conto a Dio!) perché mi rincresceva, come mi rincresce grandemente ora di averlo fatto. Vi prego però di non prenderve-la a male, perché io non parlo che per scrupolo di coscienza e per vostro bene, e per l’amore che porto a questa vostra comunità. Amen.

di Sant’Agostino Roscelli
Fonte: Immacolatine.it

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Il giudizio temerario

Posté par atempodiblog le 24 mai 2011

Il giudizio temerario dans Fede, morale e teologia 1zm2szb

In due modi si può recar danno alla fama del prossimo e fargli perdere la sua buona stima e la sua reputazione: 1°) con la calunnia e la mormorazione, come abbiamo veduto nelle precedenti istruzioni; 2°) internamente col giudizio temerario. Quando noi diciamo male di qualcuno, mormorando o calunniandolo, facciamo perdere a questo tale quella buona stima ch’egli godeva presso gli altri; quando invece ne giudichiamo male, gli facciamo perdere la buona opinione ch’egli godeva presso noi stessi, cioè nella nostra mente. Dopo aver parlato della maldicenza con cui si toglie la fama al prossimo, esternamente, è bene che parliamo anche del giudizio temerario con cui si toglie la fama al prossimo, internamente.

Anche il giudizio temerario è un vizio che è divenuto comune, perché ci si mette, con tutta facilità, a giudicare e a sentenziare sulle azioni altrui. Vediamo quanto sia male giudicare temerariamente il prossimo, per evitare in noi questo vizio, per averne l’orrore che esso merita e per schivarlo con diligenza. Uditemi con attenzione.

Per procedere con chiarezza in questa materia e togliere ogni ansietà all’anima timorata e devota, bisogna avvertire che non sono giudizi temerari quei semplici pensieri e quei sospetti involontari che vengono in mente contro il prossimo, senza accorgercene, e che vorremmo che non ci venissero. Altro è sentirsi da essi molestati e combattuti, altro è essere vinti. Sarebbe bene che in noi ardesse tale carità verso il prossimo che ci facesse sempre pensar bene di tutti, e che fossimo così occupati nella indagine dei nostri difetti da non aver tempo di pensare a quelli degli altri; ma poiché in questa vita non viviamo senza tentazioni, basterà che contro di esse si combatta e si resista.

In secondo luogo bisogna avvertire che altro è il sospetto e altro è il giudizio. Il sospetto si ha quando si è più inclinati a credere il male; il giudizio si ha quando si ritiene una cosa per certa e indubitata. Il giudicare male del prossimo, apertamente e fermamente, senza giusto e vero motivo, è sempre peccato grave, perché ritenendo decisamente il nostro prossimo come cattivo, gli si toglie la buona stima e la riputazione. Ho detto: giudicar male decisamente, senza giusto motivo, perché se vi fossero dei gravi motivi, ossia dei gravi e forti indizi, allora il nostro giudizio non sarebbe più temerario, sebbene anche in questo caso sarebbe molto meglio sospendere ogni giudizio e coprire ogni cosa col manto della carità.

Premesse queste nozioni generali, è certo che non è mai lecito, senza un grave e giusto motivo, giudicar male del prossimo; se noi lo facciamo, i nostri giudizi sono sempre temerari e gravemente peccaminosi, a meno che la cosa di cui si giudica sia piccola e di poco conto, nel qual caso il giudizio sarebbe solo colpa veniale, per parvità di materia.

La ragione è quella che adduce l’angelico dottore S. Tommaso. Tre condizioni, dice il santo, si richiedono affinché un giudizio sia retto e lecito: a) autorità in chi giudica; b) cognizione di ciò di cui si giudica; c) che si giudichi con giustizia. Ora, che autorità abbiamo noi sopra il nostro prossimo? L’autorità è di due sorta: ordinaria e delegata. L’ordinaria è quella che compete a qualcuno in ragione del suo ufficio; la delegata è quella che si dà ad alcuno da chi ha l’ordinaria. Per esempio, un principe che abbia un assoluto dominio sopra i sudditi del suo regno, ha una giurisdizione ordinaria sopra di essi, e con autorità ordinaria li può giudicare. Ma perché non può trovarsi in ogni luogo del suo stato, costituisce dei ministri, propone loro che facciano le sue veci e questi si chiamano giudici delegati. Ora, di queste due autorità quale abbiamo noi che ci mettiamo a giudicare così facilmente il nostro prossimo? Nessuna: né l’ordinaria perché non abbiamo un ufficio a cui questa sia annessa; né la delegata, perché non ci fu conferita da nessuno. Non ci fu data nemmeno da Dio, supremo padrone di tutte le cose, a cui solo appartiene il diritto di giudicare tutti gli uomini. Egli, anzi, ci proibisce nel suo Vangelo di giudicare i fratelli, e se lo facciamo, ci minaccia di avere per noi giudizi severi: «Non giudicate e non sarete giudicati; un giudizio senza misericordia sarà fatto per colui che non usò misericordia».

«Chi siete voi – dice S. Paolo – che vi prendete la libertà di giudicare il servo altrui? Sono forse vostri sudditi e dipendenti, quelli che voi giudicate? Certo no: sono servi e dipendenti di Dio. Se fanno bene o male, se cadono o no, non tocca a voi tenerne conto. Perché, dunque, volete censurare il vostro fratello, continua l’Apostolo, se non è suddito né servo vostro? Se sopra di lui non avete alcuna giurisdizione o potere? Lasciatelo completamente al suo giudice naturale, altrimenti fate ingiuria al vostro fratello, sottomettendolo al vostro giudizio, quando dipende solo da Dio».

«Nemmeno il divin Padre – dice S. Bernardo – si prende l’arbitrio di giudicare gli uomini, quantunque ne avrebbe tutto il diritto»: infatti ha rimesso il giudizio al suo divin Figlio G. C, che è giudice dei vivi e dei morti. Crediamo pure alla grande carità promessa da Gesù agli apostoli, e a noi nella loro persona, che se osserviamo scrupolosamente la sua legge e adempiamo con esattezza gli obblighi della nostra vocazione, sederemo un giorno con Gesù Cristo per giudicare. Ma non preveniamo la venuta di questo Giudice supremo, né vogliamo giudicare prima di Lui. Se solamente nel giorno del giudizio universale, Gesù Cristo ci comunicherà il suo divino potere, aspettiamo che ce ne faccia parte, e aspettiamolo con umiltà e pazienza. In una parola, non giudichiamo prima del tempo, come ci dice lo stesso apostolo Paolo, né prima della venuta del Signore; altrimenti i nostri giudizi saranno temerari, perché fatti senza autorità e sufficiente cognizione di causa, ch’è la seconda condizione richiesta da S. Tommaso, per formare un retto e giusto giudizio.

Ditemi un poco, voi che giudicate così facilmente il vostro prossimo: che cognizioni avete delle sue azioni? I giudici e i magistrati, prima di condannare uno, accusato come reo, fanno ricerche sopra ricerche. Dopo aver sentita l’accusa, esaminano con diligenza le prove da una parte e dall’altra, pesano tutte le circostanze del fatto, interrogano i testimoni, concedono la difesa al reo e fanno tutto il possibile per trarre la verità dalla bocca stessa dell’imputato, per non incorrere nel pericolo di proferire sentenze ingiuste. Ma noi, quando giudichiamo il nostro prossimo, non osserviamo alcuna di queste formalità. Solo da ciò che esternamente si vede, si giudica delle condizioni interne del cuore. Si giudica di tutto e si prendono per evidenti, i più leggeri sospetti. E non crediamo che siano falsi i nostri giudizi? Nessuna legge ancora ordina di intromettersi nel santuario dei cuori e di giudicarne i pensieri, le intenzioni, le idee, perché Dio solo può conoscere l’interno dell’uomo. La stessa Chiesa Cattolica, sebbene fondata da Gesù Cristo e illuminata dallo Spirito Santo, affinché non erri, in materia di fede e di costumi, non giudica mai le interne disposizioni e i movimenti del cuore. E noi, che non siamo che tenebre ed ignoranza, saremo così temerari ed audaci da giudicare la condotta del prossimo, la quale proviene dal fondo del cuore, perché l’azione esterna per sé non è né buona né cattiva, se non viene informata dall’interno? Ma se non capiamo neppure noi stessi, come possiamo pretendere di conoscere l’intimo degli altri? Non è forse vero che tante volte, essendo sorpresi da tentazioni di odio, d’invidia, d’impurità, non sappiamo neppure decidere se abbiamo acconsentito o no, e per levarci ogni ansietà, siamo pronte ad accusarcene in confessione come ne fossimo rei davanti a Dio? Se non sappiamo tante volte cosa passa nel nostro cuore, nel nostro intimo, come possiamo giudicare ciò che passa nell’intimo del cuore altrui? Decidiamo delle altrui intenzioni, senza timore di ingannarci; e con facilità definiamo il prossimo reo di questo o di quel difetto. Può darsi temerarietà maggiore di questa? Ma noi, padre, dirà forse qualcuna, non giudichiamo dalle sole apparenze, giudichiamo da ciò che vediamo con i nostri occhi. E il giudicare da quel che si vede, non è giudicare dall’apparenza e perciò temerariamente? Giudicare dalle apparenze, ci si mette a rischio di cadere in inganno.

Le abominazioni di Sodoma e Gomorra erano divenute così pubbliche e pestifere, che avevano contaminato tutto il paese all’intorno e, secondo l’espressione della divina Scrittura, erano salite fino al trono di Dio. Che fa Iddio? Giudica forse quegli sciagurati sull’istante e dà loro il meritato castigo? «No, esaminerò meglio la loro causa», dice Egli. Vuole portarsi sul luogo e constatare di persona l’entità di quell’enorme delitto. Ma perché questo? Iddio non è presente in ogni luogo? Non conosce minutamente ogni cosa, senza aver bisogno di portarsi a vedere? Perché, dunque, venire sul luogo a vedere, se la cosa sia vera? Per ammaestrare noi, dice S. Gregorio, e farci intendere che quando si tratta di giudicare il nostro prossimo non dobbiamo farlo così a precipizio, per quanto i fatti sembrino manifesti e divulgati. Bisogna andare adagio, prendere informazione diretta, non starsene alle relazioni altrui, esaminare se i fatti siano così, o altrimenti, per evitare i giudizi temerari. E la causa di questi giudizi sapete qual è? E’ perché si giudica secondo le proprie passioni. Sì le nostre cattive passioni sono quelle che ci spingono a giudicare il prossimo non solo senza carità, ma anche senza giustizia. L’invidia, l’amor proprio, la superbia non ci lasciano mai pensar bene del prossimo, ci fanno comparire colpevoli quegli stessi che sono innocenti. Davide agli occhi di Giònata sembrava innocente e tanto caro da essere amato da tutti; agli occhi di Saul, invece, lo stesso Davide pareva così malvagio, da giudicarlo degno di morte. Come mai un giudizio così diverso sulla stessa persona? Perché Giònata aveva un cuore ben fatto e questo lo faceva giudicare rettamente del suo amico; Saul invece aveva un cuore, maligno e lacerato dall’invidia che lo portava a fare sinistri giudizi. Gesù conduceva una vita irreprensibile, eppure scribi e farisei lo facevano passare per un peccatore. Sapete perché? Essi erano dominati da interessi e da amor proprio, e temevano che i suoi insegnamenti facessero loro perdere la stima del popolo. Così capita anche a noi, sorelle mie, giudicando il nostro prossimo con cuore accecato dalle passioni: tutto ciò che vediamo in esso ci pare vizioso e malvagio.

Stabiliamo dunque, come frutto di questa istruzione di non alzar mai più tribunali contro i nostri simili, né giudicare mai più alcuno dei nostri fratelli, perché non avendo noi autorità di farlo, mancandoci la sufficiente cognizione di poterlo fare rettamente ed essendo d’ordinario prevenuti dalle passioni, i nostri giu dizi non possono essere che temerari e conseguentemente peccaminosi. Cerchiamo di giudicare noi stessi e non gli altri, perché noi saremo giudicati da Dio non sopra le azioni altrui, ma sopra le nostre. S. Paolo ci avvisa che se giudicheremo e condanneremo noi stessi, non sentiremo più un giorno i rigori del giudizio di Dio.

Forse nel corso di questa istruzione avrò detto qualcosa che non a tutte sarà piaciuta, ma ricordatevi, mie sorelle, che come vi ho detto già un’altra volta, la verità che rimprovera è quella sola che corregge i costumi e risana il cuore dalle proprie miserie. Non dimentichiamo mai che Gesù Cristo N. S. nel S. Vangelo vieta il giudizio temerario nella maniera più rigorosa, dicendo: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; altrimenti sarete giudicati con la stessa severità che avrete usata verso gli altri». Amen.

di Sant’Agostino Roscelli
Fonte: Immacolatine.it

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E’ delle nostre azioni che dovremo rendere conto

Posté par atempodiblog le 13 février 2011

E' delle nostre azioni che dovremo rendere conto dans Mormorazione Jean-Marie-Baptiste-Vianney-Curato-d-Ars

Che cosa pensereste di un uomo che lavorasse il campo del vicino e lasciasse incolto il suo? Ebbene! Voi fate lo stesso. Scavate continuamente nella coscienza degli altri e lasciate incolta la vostra. Oh! Quando arriverà la morte, come rimpiangeremo di aver tanto pensato agli altri e poco a noi stessi! Poiché è delle nostre azioni e non di quelle degli altri che dovremo rendere conto… Pensiamo a noi stessi, alla nostra coscienza, che dovremmo sempre guardare, come guardiamo le nostre mani per sapere se sono pulite.

Tratto da: Curato d’Ars, Pensieri scelti e fioretti, ed. San Paolo

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La cura del nostro buon nome

Posté par atempodiblog le 1 février 2011

La cura del nostro buon nome dans Mormorazione cuore

Lo Spirito Santo ci avvisa di aver cura del buon nome: “abbi cura del buon nome, perché più sicuramente ti resterà che mille preziosi e grandi tesori. Della buona vita si numerano i giorni; ma il buon nome dura in eterno” (Ecclesiastico, 41 15-16). La buona reputazione è necessaria, specialmente a chi è costituito in dignità, per l’edificazione del prossimo, per avanzare nella propria carriera, per poter compiere il proprio dovere, per fare del bene.
Dobbiamo dunque cercare di possedere realmente quelle buone qualità che altri ammirano in noi “con modestia e timore, forti della buona coscienza, di modo che quando si sparlasse di noi, rimangano confusi quelli che calunniano la nostra buona condotta in Cristo” (1 Pietro, 3,16). Non è lecito però ricorrere, per conservare la fama, a mezzi cattivi, come sarebbe, per es., l’ipocrisia. Nessuno tuttavia è obbligato a manifestare i suoi difetti e le sue colpe a chi non ha nessun diritto di conoscerle.

Borla e Testore

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Contro le linguacce denigratrici

Posté par atempodiblog le 30 novembre 2010

Contro le linguacce denigratrici dans Imitazione di Cristo mormorazioni

O figlio, non sopportare di mal animo se certuni danno un cattivo giudizio su di te e dicono, nei tuoi confronti, parole che non ascolti con piacere. Il tuo giudizio su te stesso deve essere ancora più grave; devi credere che non ci sia nessuno più debole di te.

Se terrai conto massimamente dell’interiorità, non darai molto peso a parole che volano; giacché, nei momenti avversi, è prudenza, e non piccola, starsene in silenzio, volgendo l’animo a me, senza lasciarsi turbare dal giudizio della gente. La tua pace non riposi nella parola degli uomini. Che questi ti abbiano giudicato bene o male, non per ciò sei diverso.

Dove sta la vera pace, dove sta la vera gloria? Non forse in me? Godrà di una grande pace chi non desidera di piacere agli uomini, né teme di spiacere ad essi. È appunto da un tale desiderio, contrario al volere di Dio, e da un tale vano timore, che nascono tutti i turbamenti del cuore e tutte le deviazioni degli affetti.

Imitazione di Cristo

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