Il Papa sul messaggio della Divina Misericordia: apriamo il cuore a Gesù

Posté par atempodiblog le 21 février 2021

Il Papa sul messaggio della Divina Misericordia: apriamo il cuore a Gesù
Francesco ha ricordato che sono passati novanta anni dalla rivelazione dell’immagine di Gesù Misericordioso. “Quel messaggio – ha detto- è giunto al mondo intero, e non è altro che il Vangelo di Gesù Cristo, morto e risorto, che ci dona la misericordia del Padre”
di Amedeo Lomonaco – Vatican News

Domenica della Divina Misericordia dans Beato Michele Sopocko Ges-Misericordioso

È rivolto alla Polonia, al Santuario di Płock il pensiero di Papa Francesco dopo l’Angelus. Salutando in particolare i fedeli polacchi pronuncia queste parole:

Novant’anni fa il Signore Gesù si manifestò a Santa Faustina Kowalska, affidandole uno speciale messaggio della Divina Misericordia. Mediante San Giovanni Paolo II, quel messaggio è giunto al mondo intero, e non è altro che il Vangelo di Gesù Cristo, morto e risorto, che ci dona la misericordia del Padre. Apriamogli il cuore, dicendo con fede: “Gesù, confido in Te”.

È il 22 Febbraio del 1931. Il Signore Gesù si manifesta a santa Faustina Kowalska Kowalska che si trova nella cella del convento di Płock della Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia in Stary Rynek. “La sera, stando nella mia cella – scrive santa suor Faustina nel suo “Diario” – vidi il Signore Gesù vestito di una veste bianca: una mano alzata per benedire, mentre l’altra toccava sul petto la veste, che ivi leggermente scostata lasciava uscire due grandi raggi, rosso l’uno e l’altro pallido. Muta tenevo gli occhi fissi sul Signore; l’anima mia era presa da timore, ma anche da gioia grande. Dopo un istante, Gesù mi disse: Dipingi un’immagine secondo il modello che vedi, con sotto scritto: Gesù, confido in Te. Desidero che questa immagine venga venerata prima nella vostra cappella, e poi nel mondo intero”. La prima immagine di Gesù Misericordioso fu dipinta a Vilnius, sotto la guida della stessa suor Faustina. L’immagine più conosciuta è custodita nel Santuario della Divina Misericordia a Cracovia-Łagiewniki. Fu creata secondo le istruzioni della guida spirituale dell’Apostola della Divina Misericordia, padre Józef Andrasz. Domani, alle ore 17.00, si terrà in Polonia una Messa nel Santuario della Divina Misericordia a Płoc. Si può seguire la celebrazione sul canale Youtube del Santuario.

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Ci vuole la consolazione di un Dio-con-noi

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2020

Ci vuole la consolazione di un Dio-con-noi
La grazia è che nella vita e nella storia, come in questo Natale, si aprono brecce attraverso le quali può finalmente entrare il mare della consolazione del Dio-con-noi
di Dom Mauro-Giuseppe Lepori OCist – Il Sussidiario

Ci vuole la consolazione di un Dio-con-noi dans Articoli di Giornali e News Adorazione

“Consolate, consolate il mio popolo!” (Is 40,1): cosa possiamo chiedere al Natale, alla fine di un anno come questo, se non la consolazione del Dio-con-noi, l’Emmanuele, nel mezzo delle prove della vita?

Nel suo profondo libro sulla veggente di Lourdes, Franz Werfel dice che fino al momento in cui vide la Bella Signora, nella grotta di Massabielle, Bernadette “non sapeva che aveva bisogno di consolazione” (Il canto di Bernadette, capitolo 7). La miseria obbligava lei e la sua famiglia a cercare ogni giorno una soluzione ai problemi immediati. Sopravvivere era il grande successo di ogni giornata. Ma alla luce dello sguardo della Vergine Maria, Bernadette ha scoperto quello che il suo animo puro già percepiva: il cuore non si sazia di soluzioni, ma di una Presenza che ti guarda e sta con te, che ti riempie dentro, e ti rende soggetto della tua vita. Un bisogno più profondo dei nostri mille bisogni ci salva dal divenirne schiavi. I bisogni ci spingono a sopravvivere; il desiderio di Dio ci dà di vivere.

Ma ci vuole la consolazione di una Presenza, di un Dio-con-noi, altrimenti anche il desiderio di Dio rischiamo di confonderlo con gli altri, o di sentirlo meno urgente degli altri. L’istinto di sopravvivenza si impone con un’urgenza che ci prende alla gola; non è come il Signore mite ed umile di cuore che, pur essendo tutto ciò di cui abbiamo veramente bisogno, se ne sta dietro la porta a bussare discretamente, aspettando che troviamo la voglia e il tempo di aprirgli. Riduciamo spesso Dio a un passatempo, a un hobby per il tempo libero, Lui, l’Alfa e l’Omega, l’Origine e il Destino del cosmo e della storia. La grazia è che nella vita e nella storia, come ora, si aprono brecce attraverso le quali può finalmente entrare il mare della consolazione di Dio. Allora, come Bernadette, capiamo che non avevamo bisogno d’altro.

La consolazione di Dio non viene però a censurare le necessità della vita, non viene a disprezzare tutto quello che viene a mancare, come il pane, il lavoro, la salute, la sicurezza di una famiglia, l’educazione dei figli, l’accompagnamento degli anziani e dei malati. La consolazione di Dio è Cristo che nel Vangelo vediamo preoccuparsi dei bisogni umani fino al dettaglio: “Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano” (Mc 8,2-3). Le proposte religiose o spirituali che censurano l’umano, soprattutto l’umano degli altri, dei più poveri, sono sempre alienanti. Ma lo sono anche le proposte sociali e politiche che censurano il bisogno di Dio. Cristo consola il bisogno profondo del cuore nell’atto di prendersi cura di ogni dettaglio della nostra fame, della nostra sete, del nostro essere stranieri, nudi, malati, prigionieri… Ci rivela nella Sua persona una Salvezza che abbraccia tutta la nostra umanità.

Proprio per questo la sua venuta a consolarci comporta una sorpresa a cui, troppo intenti ai nostri bisogni, spesso non pensiamo. Cristo ci rivela il bisogno degli altri. Anzi: il Suo bisogno negli altri: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Il bisogno dell’altro è in realtà il bisogno di Gesù. Questa rivelazione ci svela però anche il nostro bisogno più profondo e come esso si soddisfa in Cristo. Il nostro cuore ha bisogno di amare, ha bisogno di sperimentare la sua natura e vocazione ad essere misericordioso come il Padre, ad amare come Dio. La venuta di Cristo nella nostra carne, nella nostra umanità, ci rivela che siamo fatti per amare Dio amando come Lui ama. Rispondendo al bisogno del fratello, è la sete del mio cuore che soddisfo, che è sete non solo di Dio, ma di essere come Lui, di essere Lui, identificandomi, per grazia Sua, al Suo essere dono, dono divino che umanamente si è espresso in Gesù Cristo, dalla mangiatoia di Betlemme alla Croce.

Il paradosso cristiano è che la vita non è salvata da quello che si guadagna, ma da quello che si dona, perché Dio si è donato per noi, senza misura. Anche quando donarsi è un perdersi. Nulla unifica e pacifica l’esistenza più della fede che tutto in essa, assolutamente tutto, è chiamato ad amare l’amore di Cristo, la sua presenza che risponde al desiderio del cuore facendosi prossimo da amare in ogni istante e occasione.

Dopo aver trasmesso l’invito di Dio a consolare il popolo, Isaia ci chiede di gridare: «Una voce dice: “Grida!” e io rispondo: “Che devo gridare?”» (Is 40,6). La tentazione del profeta, come per noi, è di limitarsi a gridare un lamento, di gridare solo per maledire quello che non va. Dio invece invita a gridare un annuncio, la Buona Novella di una presenza che salva: «Alza la voce, non temere; annunzia alle città di Giuda: “Ecco il vostro Dio! (…) Come un pastore egli fa pascolare il gregge e il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri”» (Is 40,9-11).

L’annuncio, il Vangelo da gridare senza timore è la venuta di un Pastore forte e tenero ad un tempo: Cristo che ci accompagna attraverso tutte le valli oscure della vita e della storia, donandoci l’esperienza che ciò che rende bella e sicura la vita è la comunione con Lui, la tenerezza di questo suo portarci in braccio, sul suo petto, come agnellini.

Il Papa ci dona un anno specialmente consacrato a san Giuseppe, proprio per aiutarci a vivere come lui all’ombra e alla luce della paternità di Dio, con una coscienza di fede che cambia il volto della realtà, anche la più negativa. “La nostra vita – scrive Papa Francesco – a volte sembra in balia dei poteri forti, ma il Vangelo ci dice che ciò che conta Dio riesce sempre a salvarlo, a condizione che usiamo lo stesso coraggio creativo del carpentiere di Nazareth, il quale sa trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza” (Lettera Apostolica Patris corde, 5). È così che anche il Figlio di Dio ha vissuto in mezzo a noi, e che vuole continuare a vivere in noi, nel suo Corpo ecclesiale che attraversa il corso della storia generandola, passo dopo passo, all’eternità. Il Natale di Cristo fa rinascere il mondo.

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Amare l’Immacolata, la via per imitare Gesù

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2020

Amare l’Immacolata, la via per imitare Gesù
Durante l’ultimo anno ci siamo avvicinati di più all’Immacolata? L’abbiamo servita? È cresciuto il nostro amore per Lei e perciò per il SS. Cuore di Gesù? Se non ci sono stati progressi, non bisogna scoraggiarsi ma volgersi ancora alla Vergine perché prepari il nostro cuore a purificarsi, accogliere suo Figlio nella Santa Comunione e guadagnare a Lei altre anime. Da un insegnamento di san Massimiliano Maria Kolbe sul significato di vivere come consacrati all’Immacolata.

Novena a Maria SS. Immacolata dans Avvento Maria-Immacolata

La Nuova Bussola Quotidiana pubblica ampi estratti di due meditazioni scritte da padre Massimiliano Maria Kolbe nel 1938 rispettivamente per il mensile Rycerz Niepokalanej (Il Cavaliere dell’Immacolata) e per la sua versione per bambini, il Rycerzyk Niepokalanej (Il Piccolo Cavaliere dell’Immacolata).

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Si sta avvicinando ancora un’altra volta l’annuale solennità, così cara al cuore, dell’Immacolata Concezione.
Noi, consacrati in proprietà all’Immacolata nelle schiere della sua Miliziadiamo uno sguardo all’intero anno trascorso dall’ultima sua festa e interroghiamoci personalmente:

- Durante quest’anno ci siamo avvicinati di più all’Immacolata?

- Il nostro amore verso di Lei è cresciuto?

- Ci siamo avvicinati maggiormente al SS. Cuore di Gesù attraverso l’Immacolata?

- Ci intratteniamo con più familiarità con Gesù nel tabernacolo? e più ancora dopo averlo ricevuto nella S. Comunione?

- L’amore di Gesù ci attrae verso la croce e ci spinge a contraccambiarlo con un amore disposto al sacrificio, a nostre, spese, con la sofferenza accettata per Lui?

In caso affermativo, ringraziamo di cuore l’Immacolata per le sorgenti di grazie che Ella ha impetrato per noi dal SS. Cuore di Gesù e ha riversato su di noi.

Se invece non vediamo dei grandi progressi nell’amore divinonon scoraggiamoci, ma umiliamoci, chiediamo sinceramente perdono all’Immacolata per non aver approfittato a sufficienza delle sue grazie; preghiamola di chiedere perdono al Salvatore, di offrire la giusta riparazione al SS. Cuore di Gesù e di volgere la nostra trascuratezza, la nostra ingratitudine in un bene ancora più grande, in modo che perfino le cadute divengano realmente per noi altrettanti gradini verso una più alta perfezione (per questo solo, infatti, Gesù le ha permesse); e con piena fiducia, con una fiducia illimitata nella sua particolare protezione, lasciamoci guidare da Lei in modo sempre più perfetto.

Ella ci insegnerà il modo di poter - giorno dopo giorno, ora dopo ora, istante dopo istante, nel fedele adempimento dei nostri doveri ordinari e nell’impegno di conformarci alla volontà di Dio – ella ci insegnerà il modo di poter manifestare il nostro amore verso il Cuore divino: un amore generoso, mediante il compimento della sua volontà, nonostante le difficoltà, i sacrifici e le croci (…) [SK 1233].

(…) Allora come prepararci alla festa dell’Immacolata? Come fare per trascorrerla nel modo migliore? Innanzi tutto, laviamo la nostra anima nel sacramento della penitenza, per togliere le macchie del peccato: così facendo essa diventa, almeno un poco, simile all’Immacolata. Inoltre, supplichiamo l’Immacolata affinché prepari il nostro cuore ad accogliere in modo degno il suo divin Figlio Gesù, presente nel Santissimo Sacramento dell’altare: accostiamoci alla Santa Comunione in questo giorno dell’Immacolata Concezione, dedicato a Lei.

Dopo la Santa Comunione pregheremo nuovamente l’Immacolata affinché voglia Lei stessa tener compagnia a Gesù presente nella nostra anima e renderlo così felice come nessuno è mai riuscito a fare finora. La pregheremo affinché Ella voglia offrire a Gesù la giusta riparazione sia per le nostre attuali infedeltà sia per i numerosi torti che Egli subisce nel mondo intero da parte dei peccatori. Ancora, rinnoviamo il nostro atto di consacrazione all’Immacolata. (…) Infine, riflettiamo un poco per chiederci se finora abbiamo servito l’Immacolata con sufficiente entusiasmo (…). Gesù ama assai coloro che lo imitano nell’amore verso la Sua purissima Madre.

E finalmente, per amare con maggiore ardore l’Immacolata, ci impegneremo a pensare a Lei, a leggere e a conversare su di Lei, affinché ciascuno di noi possa conoscerla e amarla sempre di più e possa guadagnare a Lei schiere sempre più numerose di altre anime. La pregheremo soprattutto negli istanti di dubbio, nei momenti di tentazione e di tristezza. Confidando nell’Immacolata, l’anima non ha paura di nulla, non indietreggia di fronte a nessun dovere, fosse pure arduo, assai arduo. [SK 1234]

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Il Papa: albero e presepe segni di speranza in questo tempo difficile

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2020

Il Papa: albero e presepe segni di speranza in questo tempo difficile
Francesco all’Angelus: «Non c’è pandemia che possa spegnere la luce di Dio. Lasciamola entrare nel nostro cuore, tendiamo la mano a chi ha più bisogno»
di Domenico Agasso Jr. – Vatican Insder

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Non c’è pandemia, non c’è crisi, «che possa spegnere questa luce», la luce di Dio. Dunque «lasciamola entrare nel nostro cuore», tendendo la mano «a chi ha più bisogno». Papa Francesco lo afferma all’Angelus [...]  sottolineando l’importanza del presepe e dell’albero di Natale: «Sono segni di speranza specialmente in questo tempo difficile. Facciamo in modo di non fermarci al segno ma di andare al significato, cioè a Gesù, alla bontà infinita che ha fatto risplendere sul mondo».

Affacciato alla finestra dello studio nel Palazzo apostolico vaticano il Pontefice, prima di recitare la Preghiera mariana con i fedeli e i pellegrini riuniti in piazza San Pietro, ricorda che il Vangelo odierno «presenta la figura e l’opera di Giovanni il Battista. Egli indicò ai suoi contemporanei un itinerario di fede simile a quello che l’Avvento propone a noi, che ci prepariamo a ricevere il Signore nel Natale. Questo itinerario di fede è un itinerario di conversione». Che cosa significa la parola «conversione»? Il Vescovo di Roma lo spiega: nella Bibbia «vuol dire anzitutto cambiare direzione e orientamento; e quindi anche cambiare il modo di pensare. Nella vita morale e spirituale, convertirsi significa rivolgersi dal male al bene, dal peccato all’amore di Dio. E questo è quello che insegnava il Battista, che nel deserto della Giudea “proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati”». Ricevere il battesimo «era segno esterno e visibile della conversione di coloro che ascoltavano la sua predicazione e si decidevano a fare penitenza. Avveniva con l’immersione nel Giordano, nell’acqua, ma esso risultava inutile, era un segno soltanto e risultava inutile se non c’era la disponibilità a pentirsi e cambiare vita». Evidenzia Bergoglio: «La conversione comporta il dolore per i peccati commessi, il desiderio di liberarsene, il proposito di escluderli per sempre dalla propria vita. Per escludere il peccato, bisogna rifiutare anche tutto ciò che è legato ad esso, le cose che sono legate al peccato e cioè bisogna rifiutare la mentalità mondana, la stima eccessiva delle comodità, del piacere, del benessere, delle ricchezze». L’esempio di questo distacco «ci viene ancora una volta dal Vangelo di oggi nella figura di Giovanni il Battista: un uomo austero, che rinuncia al superfluo e ricerca l’essenziale».

L’altro aspetto «della conversione è la fine del cammino, cioè la ricerca di Dio e del suo regno. Distacco dalle cose mondane e ricerca di Dio e del suo regno». L’abbandono delle comodità e «della mentalità mondana non è fine a sé stesso, non è un’ascesi solo per fare penitenza: il cristiano non fa “il fachiro” – ammonisce il Papa - È un’altra cosa. Non è fine a sé stesso, il distacco, ma è finalizzato al conseguimento di qualcosa di più grande, cioè il regno di Dio, la comunione con Dio, l’amicizia con Dio». Ma questo «non è facile, perché sono tanti i legami che ci tengono vicini al peccato, e non è facile… La tentazione sempre tira giù, tira giù, e così i legami che ci tengono vicini al peccato: l’incostanza, lo scoraggiamento, la malizia, gli ambienti nocivi, i cattivi esempi». A volte è «troppo debole la spinta che sentiamo verso il Signore e sembra quasi che Dio taccia; ci sembrano lontane e irreali le sue promesse di consolazione. E allora si è tentati di dire che è impossibile convertirsi veramente». Quante volte «abbiamo sentito questo scoraggiamento! “No, non ce la faccio. Io incomincio un po’ e poi torno indietro”. E questo è brutto. Ma è possibile, è possibile». Ecco il consiglio del Papa: «Quando ti viene questo pensiero di scoraggiarti, non rimanere lì, perché questo è sabbia mobile, è sabbia mobile: la sabbia mobile di un’esistenza mediocre. La mediocrità è questo». Che cosa si può fare in questi casi, quando «uno vorrebbe andare ma sente che non ce la fa? Prima di tutto ricordarci che la conversione è una grazia: nessuno può convertirsi con le proprie forze. È una grazia che ti dà il Signore, e pertanto da chiedere a Dio con forza, chiedere a Dio che Lui ci converta, che davvero noi possiamo convertirci, nella misura in cui ci apriamo alla bellezza, alla bontà, alla tenerezza di Dio». Francesco invita a pensare «alla tenerezza di Dio. Dio non è un padre brutto, un padre cattivo, no. È tenero, ci ama tanto, come il buon Pastore, che cerca l’ultima del suo gregge. È amore, e la conversione è questo: una grazia di Dio. Tu incomincia a camminare, perché è Lui che ti muove a camminare, e tu vedrai come Lui arriverà. Prega, cammina e sempre si farà un passo in avanti».

Il Pontefice invoca «Maria Santissima, che [...] celebreremo come l’Immacolata», affinchè «ci aiuti a staccarci sempre più dal peccato e dalle mondanità, per aprirci a Dio, alla sua parola, al suo amore che rigenera e salva».

Dopo l’Angelus, il Papa saluta «di cuore tutti voi qui presenti – con questo brutto tempo, siete coraggiosi! – romani e pellegrini, e quanti sono collegati attraverso i media». Mette in evidenza che nella Piazza è stato innalzato l’albero di Natale «e il presepe è in allestimento. In questi giorni, anche in tante case vengono preparati questi due segni natalizi, per la gioia dei bambini… e anche dei grandi! Sono segni di speranza, specialmente in questo tempo difficile». Papa Bergoglio incoraggia a fare «in modo di non fermarci al segno, ma di andare al significato, cioè a Gesù, all’amore di Dio che Lui ci ha rivelato, andare alla bontà infinita che ha fatto risplendere sul mondo. Non c’è pandemia, non c’è crisi che possa spegnere questa luce – assicura – Lasciamola entrare nel nostro cuore, e tendiamo la mano a chi ha più bisogno. Così Dio nascerà nuovamente in noi e in mezzo a noi».

A tutti augura «una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo, e arrivederci».

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La Madonna ci invita a lavorare per la nostra conversione

Posté par atempodiblog le 6 décembre 2020

Messaggio della Regina della Pace alla veggente Marija (25 novembre 2020)

“Cari figli,
questo è il tempo dell’amore, del calore, della preghiera e della gioia.
Pregate, figlioli, affinché Gesù Bambino nasca nei vostri cuori.
Aprite i vostri cuori a Gesù che si dona a ciascuno di voi.
Dio mi ha inviato per essere gioia e speranza in questo tempo ed io vi dico: senza Gesù Bambino non avete né la tenerezza né il sentimento del Cielo, nascosti nel Neonato.
Perciò, figlioli, lavorate su voi stessi.
Leggendo la Sacra Scrittura, scoprirete la nascita di Gesù e la gioia dei primi giorni che Medjugorje ha donato all’umanità.
La storia sarà vera, ciò che anche oggi si ripete in voi ed attorno a voi.
Lavorate e costruite la pace attraverso il Sacramento della Confessione.
Riconciliatevi con Dio, figlioli, e vedrete i miracoli attorno a voi.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata”.

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Commento di padre Livio di Radio Maria al messaggio di Medjugorje del 25 novembre 2020

Questo è un messaggio tipicamente natalizio.
Il Cuore della Madonna è come se fosse ancora ripieno di quell’emozione, di quei sentimenti di grazia, di gioia, di luce, di amore che aveva quando ha partorito Gesù e quando Lo ha stretto al suo Cuore.
Tutte le mamme provano questi sentimenti, ma pensate alla Madonna che era con quel Bambino concepito per opera dello Spirito Santo, il Figlio di Dio e certamente di una bellezza divina!
La Madonna ci vuole trasmettere i suoi sentimenti, usa parole incredibili e ha concentrato in questo messaggio le parole più belle per rallegrare il nostro cuore: “amorecaloregioiapreghiera, speranzatenerezzasentimento pace”.
È una cosa unica nei suoi messaggi in quarant’anni. Queste parole devono essere come le stelle che guidano il nostro cammino interiore fino a Betlemme.
Mettiamo adesso in evidenza i passaggi fondamentali del messaggio.
Cari figli, questo è il tempo dell’amore, del calore, della preghiera e della gioia.
Pregate, figlioli, affinché Gesù Bambino nasca nei vostri cuori”.
Alla Madonna sta a cuore che quell’evento, quel Natale che ha vissuto, che ha vissuto Giuseppe, che hanno vissuto i pastori, che hanno vissuto i Magi, anche noi lo riviviamo in questo Natale.
Che riviviamo i medesimi sentimenti che quel Bambino dona, sentimenti di profumo di cielo, di tenerezza, che sono nascosti nel neonato.
Lei vuole che in questo Natale quel Bambino sia così vivo che noi possiamo accogliere la sua irradiazione di amore, di gioia, di pace, perché attraverso la divinità, umile e piccola di un neonato, si manifesti l’amore di Dio per noi.
Allora sarà un vero Natale, un Natale indimenticabile.
Ma come è possibile rivivere quel Natale, quando in cielo c’erano gli angeli che annunciavano l’evento atteso da sempre, cantando: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli”, perché in quel Bambino si manifesta la gloria di Dio, “e pace in terra agli uomini amati dal Signore”?
Cosa bisogna fare?
Allora prima di tutto la Madonna dice: “aprite i vostri cuori a Gesù che si dona a ciascuno di voi”.
Questa frase “aprire i cuori” è centrale nei messaggi di Medjugorje, la Madonna l’ha ripetuta infinite volte. Il contrario sono i cuori chiusi, induriti nel male del peccato, che erigono come un muro a Dio, un rifiuto a Dio.
Gran parte dell’umanità, proprio di chi era cristiano, ha il cuore così, chiuso, infatti la Madonna ha detto “avete rifiutato la fede e l’amore”, il cuore murato, proprio come un muro infrangibile; c’è proprio un rifiuto che è misto al disprezzo, come se fossero tutte superstizioni, cose da vecchietti, il Cristianesimo sarebbe una sotto-cultura.
E la Madonna ci chiede di fare lo sforzo più grande che si possa fare: la conversione, che è una grande grazia, ma richiede uno sforzo che pochi si sentono di fare e cioè la rinuncia al peccato, la rinuncia al male, al proprio egoismo, alla propria superbia, alla propria avidità, cattiveria, prepotenza, alla voglia di emergere, la rinuncia a tutte le invidie, le cattiverie, le gelosie, gli inganni, i tranelli, le falsità.
C’è tutto un mondo diabolico che ha inquinato i cuori, che li porta a chiudersi come delle ostriche talmente chiuse che non si riesce ad aprire.
E la Madonna dice: “Dio vi dà la grazia, Dio vi chiama, Dio vi aiuta, ma voi fate lo sforzo di aprire il cuore!” Senza questo sforzo uno si perde!
Ritorniamo alla fede, ritorniamo all’umiltà dei bambini, come dei neonati  in ginocchio davanti al Bambino Gesù!
Lasciamoci compenetrare dalla Sua bellezza dalla Sua umiltà, dal Suo sorriso, apriamo i cuori a Gesù.
E poi la Madonna ci ha detto per due volte: “lavorate”.
Perciò figlioli lavorate su voi stessi”. Lavorare con martello e scalpello per spezzare le catene del male che ci legano, con cui satana ci tiene al guinzaglio!
E ha detto anche una frase molto interessante: “Leggendo la Sacra Scrittura, scoprirete la nascita di Gesù”. Leggendo il Vangelo del Natale noi scopriamo il meraviglioso mistero che la Madonna e Giuseppe hanno vissuto, “e la gioia dei primi giorni che Medjugorje ha donato all’umanità”.
La Madonna ha ricordato i primi giorni di Medjugorje, e il primo giorno in cui è apparsa, il 24 Giugno 1981, aveva il Bambino Gesù in braccio.
La Madonna ci dona la gioia portandoci Gesù Bambino.
Ogni Natale è venuta con Gesù Bambino e nel Natale del 2012 il Bambino Gesù neonato si è alzato e con voce solenne ha detto: “io sono la vostra pace, vivete i miei comandamenti”.
Poi più avanti ripete queste parole importanti: ”lavorate e costruite la pace attraverso il Sacramento della Confessione”.
Bisogna rompere il nostro cuore di pietra, far sì che ci sia un cuore dove entra la tenerezza e il profumo di cielo del neonato.
Non è la prima volta che la Madonna crea il legame fra la Confessione e la conversione. Il processo di conversione è lungo e l’apertura del cuore richiede anche tempo, però non rimandatela, perché il diavolo vi dice “domani, dopodomani” e poi non vi convertite più.
È adesso che dovete decidere di aprire il cuore, è adesso che dovete decidere la conversione, non domani! Il processo di conversione deve arrivare al momento in cui, il Bambino Gesù nasce nei nostri cuori!
La conversione inizia con la revisione della propria vita, decidere cosa bisogna tagliare, perché la parola decisione deriva dalla parola latina “tagliare”.
La decisione è un taglio, si tagliano i legami che ci tengono legati al mondo e al demonio, disboscando il bosco ceduo che sono i vizi capitali che proliferano e poi costruiamo il mondo della pace, cioè una vita virtuosa, l’immagine di Dio in noi stessi, questo è il processo.
Il momento in cui il Bambino Gesù nasce nei nostri cuori è il momento in cui andiamo al Sacramento della Confessione.
Negli ultimi anni la Confessione è entrata in crisi e adesso col lockdown e il distanziamento la Confessione rischia di sparire, e questo è una cosa molto seria.
La Chiesa esorti i sacerdoti, in sicurezza, a rendersi disponibili per la Confessione, dando degli orari. La gente deve sapere quando ci si può confessare, facendo anche una preparazione generale di 10, 15 minuti, per il pentimento e la vita nuova.
In un messaggio la Madonna ha detto: “Bisogna esortare la gente a confessarsi ogni mese, soprattutto il primo venerdì o il primo sabato del mese. Fate ciò che vi dico! La Confessione mensile sarà una medicina per la Chiesa d’Occidente. Se i fedeli si confessassero una volta al mese, presto intere regioni potrebbero essere guarite”. (Messaggio del 6 agosto 1982)
La Madonna ci ha descritto il cammino, ci ha detto come va vissuto il Natale, con amore, calore, gioia, sentimento, pace..
Voglio metter in evidenza 2 passaggi di grande speranza in questi tempi in cui l’umanità è allo sbando, con crisi esistenziali che solo Dio sa:
Dio mi ha inviato per essere gioia e speranza in questo tempo”.
Noi non siamo disperati, non siamo angosciati, noi vinciamo la paura, noi abbiamo fiducia, perché siamo di Dio che ha mandato la Madonna che è gioia e speranza. Gioia, perché viene col suo sorriso e le sue parole e speranza, perché sappiamo che Lei sarà la vincitrice, Lei vincerà la potenza del male che sta travolgendo e mettendo in pericolo il mondo e l’opera della creazione.
E per confermare questa prospettiva di speranza e di gioia dice: “Riconciliatevi con Dio, figlioli, e vedrete i miracoli attorno a voi”.
Anche nel messaggio del 25 settembre 2020 la Madonna parla di miracoli che vengono compiuti dal nostro ritorno a Dio, dalla nostra conversione:
la preghiera e il digiuno operano miracoli in voi e attorno a voi”.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata« .
È un messaggio meraviglioso.
Chiediamo la grazia alla Madonna della conversione, della Confessione, del ritorno a Dio che vuol dire aprire il cuore a Gesù Bambino, poi Lui nascerà nel nostro cuore e con Gesù nel cuore abbiamo tutto.
Come è misericordioso Dio che ci manda sua Madre in questo tempo!
La Madonna dice due volte: “lavorate”.
Lavoriamo per la nostra conversione, questa è la cosa più importante, i risultati saranno straordinari, vedremo miracoli.

N.B. Il testo di cui sopra  può essere divulgato a condizione che si citi (con link, nel caso di diffusione via internet) il sito www.medjugorjeliguria.it indicando:  “ Trascrizione dall’originale audio ricavata dal sito: www.medjugorjeliguria.it

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Il Dio uomo che attende di consolare l’uomo

Posté par atempodiblog le 6 décembre 2020

Il Dio uomo che attende di consolare l’uomo
Nella seconda domenica di Avvento la parola di Dio ci invita alla pace. È il Signore stesso che prorompe con il grido: “Consolate, consolate il mio popolo”. Non si tratta di una pace qualsiasi, ma di un dono di Dio che si realizza parlando al cuore dell’uomo. Il primo dono che precede la pace è la misericordia di Dio, il suo perdono. Se umilmente lo accoglieremo, se non aspetteremo la consolazione del mondo, ma “nuovi cieli e una nuova terra”, saremo davvero nella pace.
di Christopher Zielinski, Padre Abate dell’Abbazia di Nostra Signora del Pilastrello (Lendinara) – La nuova Bussola Quotidiana

Il Dio uomo che attende di consolare l'uomo dans Articoli di Giornali e News Padre-Misericordioso

Nella seconda domenica di Avvento la parola di Dio ci invita alla pace. Non si tratta di una pace qualsiasi, ma del dono di Dio, della sua consolazione personale e profonda. È il Signore stesso che prorompe con il grido di consolazione: “Consolate, consolate il mio popolo”. È il Signore che vuole con forza la nostra consolazione e la realizza in prima persona, attraverso lo Spirito Santo donato al nostro cuore. Si tratta dello “Spirito consolatore” che solo può realizzare la nostra pace.

Fuori tira un freddo vento e pioviggina; i giorni sono sempre più corti e la gente è in cerca di un caldo angolo buono dove celebrare Natale.

La prima lettura del profeta Isaia pone in rilievo come occorra parlare “al cuore di Gerusalemme”. L’unica consolazione che consola, infatti, non può che essere diretta al cuore perché la sola vera consolazione si realizza quando parla al cuore. Anche nei rapporti tra di noi, solo ciò che sgorga dal nostro cuore ha il potere di parlare al cuore del fratello in difficoltà, di offrirgli concretamente una vera consolazione, e anche se piccola, sarà vera e non apparente e potrà donare un attimo di sollievo.

Come c’insegna il grande cardinale John Henry Newman “il cuore parla al cuore”, e qui sta il mistero di Natale.

Nei brani biblici di questa domenica è il cuore stesso di Dio che si apre, che si rivolge a noi e lo fa per consolarci. Il primo dono che precede la pace è la misericordia di Dio, il suo perdono, il cui annuncio è già pregustazione di pace e di consolazione. È un annuncio prorompente: “Gridate, gridate al mio popolo che la sua tribolazione è compiuta. È finita la sua sofferenza, la sua colpa è scontata”.

Se in te la semplicità non fosse, come t’accadrebbe il miracolo di un Dio che si fa piccolo per noi? L’ascesi mistica di tanti monaci insegna che bisogna diventare umile come le rocce, e attenti e pazienti come le colline che ospitano questo grande miracolo. I grandi ci invitano ad andare a vedere il presepe vivente, spesso troppo vivace. C’è la figlia di un pezzo grosso che fa Maria, e il povero Giuseppe è il fidanzato di turno. Ma a noi non basta andar a vedere i buoi inginocchiati, perché la nostalgia per il bello, buono, e giusto ci fa cercare il Salvatore.

Si tratta, però, di un dono che Dio vuole elargire a tutti, perché tutti sono suoi figli ed è per tutti che Cristo è morto affinché tutti potessero avere la pace, ossia il dono dello Spirito consolatore. Questo, però, comporta ciò che ai nostri occhi è un “ritardo” perché noi spesso ci sentiamo salvati e giusti e vorremmo un Dio che punisce chi secondo i nostri criteri non dovrebbe avere diritto alla salvezza, non meriterebbe lo Spirito di consolazione. È la seconda lettura che ci svela un piano di Dio forse diverso dal nostro. Pietro, infatti, ci assicura che “Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi”. Dio non è come noi, ha un cuore grande e aspetta, con pazienza, la nostra conversione. Aspetta come il padre del figlio prodigo. Un padre che ama e che spera sempre nel ritorno del figlio a casa, con lui. Mentre il figlio non ha esitato a lasciarlo, illudendosi che lontano dal padre ci fosse la libertà e con essa la gioia, mentre ha trovato solo miseria e morte. Si tratta di un padre che non giudica ma che abbraccia, perdona e che fa festa. La lentezza, allora, non è nel Padre, ma nella testardaggine del figlio che fino a quando non ha sperperato tutto e non sente il morso della fame, non pensa al ritorno, alla conversione, al pentimento.

Ecco il cuore di Dio, in paziente attesa che il nostro cuore si apra a lui e perché avvenga questo, Dio annuncia, grida il suo perdono.

Domani, come ordine del giorno, ho chiesto ai miei monaci di addobbare il monastero in preparazione della grande festa dell’Immacolata: li voglio belli, luminosi, e caldi. Papa Benedetto, il cardinale Piacenza e anche il cardinale Ravasi mi hanno insegnato che poesia e teologia, arte ed evangelizzazione non sono in conflitto, e nemmeno in concorrenza… ma a ciascuno il suo. Il bello è pane per l’anima!

È ancora la prima lettura di Isaia ad offrirci indicazioni della modalità con cui Dio si rapporta con noi. “Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”. È la dolcezza del pastore la chiave con la quale Dio vuole aprire il nostro cuore e condurci a lui. È l’amore del pastore che dà la vita per le sue pecore ad attirare la nostra attenzione, il nostro sguardo verso di lui e che permette al nostro cuore di aprirsi e di ascoltare la voce di Dio.

Anche il salmo responsoriale ci parla di un cuore che parla al nostro cuore, invitandoci ad ascoltare la voce di Dio che “annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli. Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo”.

La terra e il cielo, l’uomo e Dio, non comunicavano più a causa del peccato, il cielo era diventato chiuso per l’uomo.

Lo Spirito consolatore è disceso nei nostri cuori grazie al dono pasquale di Cristo e i cieli si sono aperti al perdono di Dio e alla sua pace. Ora possiamo corrispondere al suo amore se accogliamo la sua pace e sarà il nostro frutto che germoglierà dalla terra e potrà incontrarsi con la giustizia che si affaccerà dal cielo. Allora, saremo davvero nella pace, come ci ricorda Pietro, se non aspettiamo una semplice consolazione che può derivare dal mondo ma “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia”.

Non c’è via per la pace, perché la pace è la via: via, verità e vita l’incontriamo nella persona del Figlio di Maria, Gesù Cristo, il figlio di Dio.

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Il “Santo apostolo di Napoli” e le profezie sulla Chiesa

Posté par atempodiblog le 9 novembre 2020

Servo di Dio don Dolindo Ruotolo
Il “Santo apostolo di Napoli” e le profezie sulla Chiesa
Il mistico don Dolindo Ruotolo ci ha lasciato profezie e molteplici opere teologiche, tra cui un ispiratissimo Commento alla Sacra Scrittura in 33 libri. Padre Pio lo riteneva un gran santo e disse che «niente di quanto è scaturito dalla penna di Don Dolindo deve andar perduto». In vista del 50° anniversario della morte, la Ares ha dato voce a una familiare e testimone diretta del Servo di Dio, Grazia Ruotolo, pubblicando il libro “Gesù, pensaci Tu”.
di Ermes Dovico – La nuova Bussola Quotidiana

Il “Santo apostolo di Napoli” e le profezie sulla Chiesa dans Anticristo Don-Dolindo-Ruotolo-Ges-pensaci-Tu

Il prossimo 19 novembre cade il 50° anniversario della morte di don Dolindo Ruotolo (1882-1970), contemporaneo e amico di Padre Pio, che lo chiamò il «Santo apostolo di Napoli». In vista della ricorrenza, la casa editrice Ares ha pubblicato il libro “Gesù, pensaci Tu”, che richiama l’invocazione centrale dell’Atto di abbandono ispirato dal Signore al mistico napoletano. Il suddetto libro è un prezioso strumento per conoscere la figura di don Dolindo, perché insieme ad ampi estratti delle opere del Servo di Dio registra la dettagliata testimonianza in prima persona di una sua familiare – la novantaduenne, lucidissima, Grazia Ruotolo (una cugina di secondo grado, che per affetto lo chiama “zio”) – che ha affidato il suo racconto al giornalista Luciano Regolo.

Impossibile elencare tutti i miracoli, le opere di carità e i doni soprannaturali di don Dolindo, i cui carismi si erano manifestati già nell’infanzia, specie la sua conformazione a Gesù Crocifisso. Il nome, che sta per “Dolore”, era stato scelto dal padre per devozione alla Madonna Addolorata. Dolindo venne maltrattato dal genitore – senza che questi sapesse perché, come lui stesso gli confidò poi – fin da piccolo. Ma non portò mai rancore al padre, e anzi accettava quella croce dando lode a Dio. La madre andava a Messa ogni mattina alle 5. Lui, quintogenito di 11 figli, si alzava seguendola fino alla porta di casa e, al suo rientro, veniva preso in braccio dalla madre che gli alitava in bocca per trasmettergli l’amore dell’Eucaristia appena ricevuta. A tre-quattro anni le diceva: «Io sarò sacerdote».

LA GRAZIA DI MARIA
Da seminarista, prendendo atto delle sue difficoltà a capire e studiare, s’inginocchiò davanti a un’immagine della Madonna delle Grazie e le disse: «O mia dolce Mamma, se mi vuoi Sacerdote, dammi l’intelligenza, perché lo vedi che sono un cretino». Si assopì all’improvviso e, al risveglio, si ritrovò esaudito: gli si aprì la mente, «ma solo per ciò che glorificava Dio». Il dono dell’intelletto, che si univa a un’ironia tutta napoletana, diventò ancora più grande dopo due Confessioni generali.

Da questa umiltà e dalla fiducia nella Provvidenza, quindi, nasce l’ispiratissimo predicatore (che riempiva le chiese) e scrittore di opere ascetiche, devozionali, dottrinali, mistiche. Qui basti ricordare il monumentale Commento alla Sacra Scrittura, in 33 libri, a cui oggi diversi sacerdoti attingono per le loro omelie e che Grazia Ruotolo definisce «il più grande miracolo» di don Dolindo, per le innumerevoli conversioni che ha già suscitato e, si può credere, susciterà. I testi li scriveva in piena notte, in ginocchio e di getto, dopo aver pregato e offerto penitenze. Contro quest’opera, prima condannata dal Sant’Uffizio e poi riabilitata, si scatenarono i suoi denigratori – modernisti – al tempo della sua seconda sospensione a divinis. Un calvario lunghissimo, che iniziò a seguito delle calunnie di una sua figlia spirituale, mossa da invidia verso le altre pie assistenti di don Dolindo.

Sacerdote-Dolindo-Ruotolo-di-Napoli dans Articoli di Giornali e News

OBBEDIENZA E AMORE ALLA CHIESA
A raccogliere le accuse della donna era stato padre Domenico Fenocchio, che nel 1918 ottenne un’udienza con Benedetto XV. Il Papa, ascoltando la versione di Fenocchio, ordinò un’inchiesta e, nell’attesa, dispose di sospendere da subito la predicazione di don Dolindo. Erano circa le undici e mezza di domenica 15 settembre, giorno dell’Addolorata. In quel preciso momento, a Napoli, don Dolindo stava tenendo l’omelia. Ad un tratto – in obbedienza mistica, si potrebbe dire – smise di predicare, senza minimamente sapere quello che era stato appena deciso su di lui in Vaticano (lo avrebbe saputo solo giorni dopo). «Non potetti raccapezzare una sola idea, Gesù mi aveva chiusa la fonte della sua parola perché, a Roma, il Papa l’aveva chiusa per me! Dovetti interrompere, dissi al popolo: “Non posso proseguire oltre, sono sopraffatto da tenebre, non ho più parole. Preghiamo soltanto che Dio si glorifichi”».

Il 18 ottobre 1921, a conclusione dell’inchiesta, fu sancita la sua sospensione a divinis, durata ben 16 anni e mezzo. Malgrado tutto, in questo tempo, provò un crescente amore per coloro che lo calunniavano, e andava perfino a visitarli (padre Fenocchio, ammalato, gli chiese perdono). Capitò che qualcuno dei suoi figli spirituali non capisse così tanta pietà: «Sono miei benefattori», diceva don Dolindo, pensando alle sofferenze che poteva unire a quelle di Gesù, per santificarsi e liberare anime dal giogo del demonio.

L’ORDINE DI PADRE PIO
L’amore incondizionato per la Chiesa, al cui interno sperimentò sì persecuzioni ma anche la stima di diversi ecclesiastici, lo accomuna strettamente a Padre Pio. Molto ricca e affascinante la documentazione riportata nel libro della Ares sul rapporto tra i due grandi mistici, che va ben oltre il loro unico incontro (di persona) noto, avvenuto nel 1953 a San Giovanni Rotondo. Poi, nel 1967, il frate con le stimmate incaricò padre Pellegrino Funicelli di scrivere una lettera a una figlia spirituale di don Dolindo (Elena Montella, dell’Apostolato Stampa). Questo l’inizio della missiva: «Gentilissima Signorina, Padre Pio ha detto che niente di quanto è scaturito dalla penna di Don Dolindo deve andar perduto».

DOLINDO GESÙ E LE PROFEZIE
Le bilocazioni erano una delle grazie di don Dolindo. Scrutava i cuori e in confessionale trasmetteva mirabilmente la misericordia di Gesù, che pure più volte – su richiesta del proprio fedele ministro – confessò al posto suo, assumendone le sembianze. Del resto, già nel 1910 il Servo di Dio si era sentito dire in una locuzione interiore: «Sono io Gesù, Dolore, e tu sei Dolindo Gesù. […] Perché io sono in te e tu in me. Perché tu vivi, ma non vivi e sono io che vivo in te. Perché tu non scrivi e sono io che scrivo per te». La sua volontà riposava nella Volontà di Dio.

Tra le molte profezie nei suoi scritti c’è quella dettatagli da Maria – con 13 anni di anticipo – sull’elezione a pontefice di Karol Wojtyla, il «nuovo Giovanni» che sarebbe sorto dalla Polonia e avrebbe liberato il mondo dalla «tirannia comunista», come già i 20 mila guidati da (Giovanni) Sobieski «salvarono l’Europa e il mondo dalla tirannia turca» al tempo dell’Assedio di Vienna, nel 1683.

E ancora, in Così ho visto l’Immacolata, si legge un brano in cui la Vergine fa una fotografia dei nostri tempi, in cui il modernismo tanto combattuto da don Dolindo sembra aver preso il sopravvento.

«Solo una grande misericordia può fare superare al mondo il baratro nel quale è caduto […]. Che cosa credete voi che sia la misericordia? Non è solo l’indulgenza, ma è anche il rimedio, la medicina, l’operazione chirurgica. La prima misericordia che deve avere questa povera terra, e la Chiesa per prima, dev’essere purificazione.

Non vi spaventate, non temete, ma è necessario che un uragano terribile passi prima sulla Chiesa e poi sul mondo! La Chiesa sembrerà quasi abbandonata e da ogni parte la diserteranno i suoi ministri… dovranno chiudersi persino le chiese! Il Signore troncherà con la sua potenza tutti i legami che ora l’avvincono alla terra e la paralizzano! Hanno trascurato la gloria di Dio per la gloria umana, per il prestigio terreno, per il fasto esteriore e tutto questo fasto sarà ingoiato da una persecuzione terribile, nuova! Allora si vedrà che cosa giovano gli appannaggi umani e come valeva meglio appoggiarsi a Gesù che è la vita vera della Chiesa. […]».

Ma le tenebre non prevarranno, come si ricorda pure nel 6° giorno della Novena dell’abbandono (che si può iniziare martedì 10 novembre, in vista del 50°): «Gesù all’anima: “Quando crederai il mondo abbandonato ai prepotenti e ai tiranni, e tutto schierato contro la Chiesa, allora sappi che il trono del mostro è minato e che si dissolve in un baleno per una pietruzza dal monte che lo percuote. Lasciami fare perché io armonizzo la libertà e le esigenze della divina gloria, e lascio il corso agli uomini cattivi per poi trarne la divina gloria. Anche nel piccolo lo vedrai, perché certi violenti spariranno dalla sera al mattino e le famiglie riacquisteranno la pace e la prosperità”».

Per saperne di più:
“Gesù, pensaci Tu”, Grazia Ruotolo con Luciano Regolo, Ares, 2020

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Maria stessa ha consegnato all’umanità la Medaglia Miracolosa

Posté par atempodiblog le 26 octobre 2020

Maria stessa ha consegnato all’umanità la Medaglia Miracolosa

Maria stessa ha consegnato all'umanità la Medaglia Miracolosa dans Apparizioni mariane e santuari Apparizioni-della-Madonna-della-Medaglia-Miracolosa-in-Rue-du-Bac-a-Parigi

In diversi tempi la SS. Vergine Maria è venuta in aiuto dei propri figli ed ha offerto svariati modi per raggiungere più facilmente la salvezza e la liberazione degli altri dal giogo di Satana.

Adesso, nell’era dell’Immacolata Concezione, la SS. Vergine ha consegnato all’umanità la medaglia miracolosa, la quale, per mezzo di innumerevoli miracoli di guarigioni e soprattutto di conversioni, conferma la propria provenienza celeste.

Manifestandola, l’Immacolata stessa promise moltissime grazie a tutti coloro che l’avrebbero portata; e poiché la conversione e la santificazione sono grazie divine, la medaglia miracolosa è il mezzo migliore per raggiungere il nostro scopo.

Essa, perciò, costituisce l’arma migliore della Milizia.

San Massimiliano Maria Kolbe

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Le indulgenze plenarie per i defunti estese a tutto il mese di novembre

Posté par atempodiblog le 25 octobre 2020

Le indulgenze plenarie per i defunti estese a tutto il mese di novembre

Le indulgenze plenarie per i defunti estese a tutto il mese di novembre dans Articoli di Giornali e News Commemorazione-dei-defunti

Decreto
Questo anno,
nelle attuali contingenze
dovute alla pandemia
da “covid-19”,
le Indulgenze plenarie
per i fedeli defunti
saranno prorogate per tutto
il mese di Novembre,
con adeguamento delle opere
e delle condizioni
a garantire l’incolumità
dei fedeli.

Sono pervenute a questa Penitenzieria Apostolica non poche suppliche di Sacri Pastori i quali chiedevano che quest’anno, a causa dell’epidemia da “covid-19”, venissero commutate le pie opere per conseguire le Indulgenze plenarie applicabili alle anime del Purgatorio, a norma del Manuale delle Indulgenze (conc. 29, § 1). Per questo motivo la Penitenzieria Apostolica, su speciale mandato di Sua Santità Papa Francesco, ben volentieri stabilisce e decide che quest’anno, per evitare assembramenti laddove fossero proibiti:

a — l’Indulgenza plenaria per quanti visitino un cimitero e preghino per i defunti anche soltanto mentalmente, stabilita di norma solo nei singoli giorni dal 1° all’8 novembre, può essere trasferita ad altri giorni dello stesso mese fino al suo termine. Tali giorni, liberamente scelti dai singoli fedeli, potranno anche essere tra loro disgiunti;

b — l’Indulgenza plenaria del 2 novembre, stabilita in occasione della Commemorazione di tutti i fedeli defunti per quanti piamente visitino una chiesa o un oratorio e lì recitino il “Padre Nostro” e il “Credo”, può essere trasferita non solo alla domenica precedente o seguente o al giorno della solennità di Tutti i Santi, ma anche ad un altro giorno del mese di novembre, a libera scelta dei singoli fedeli.

Gli anziani, i malati e tutti coloro che per gravi motivi non possono uscire di casa, ad esempio a causa di restrizioni imposte dall’autorità competente per il tempo di pandemia, onde evitare che numerosi fedeli si affollino nei luoghi sacri, potranno conseguire l’Indulgenza plenaria purché, unendosi spiritualmente a tutti gli altri fedeli, distaccati completamente dal peccato e con l’intenzione di ottemperare appena possibile alle tre consuete condizioni (confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre), davanti a un’immagine di Gesù o della Beata Vergine Maria, recitino pie orazioni per i defunti, ad esempio le Lodi e i Vespri dell’Ufficio dei Defunti, il Rosario Mariano, la Coroncina della Divina Misericordia, altre preghiere per i defunti più care ai fedeli, o si intrattengano nella lettura meditata di uno dei brani evangelici proposti dalla liturgia dei defunti, o compiano un’opera di misericordia offrendo a Dio i dolori e i disagi della propria vita.

Per un più agevole conseguimento della grazia divina attraverso la carità pastorale, questa Penitenzieria prega vivamente che tutti i sacerdoti provvisti delle opportune facoltà, si offrano con particolare generosità alla celebrazione del sacramento della Penitenza e amministrino la Santa Comunione agli infermi.

Tuttavia, per quanto riguarda le condizioni spirituali per conseguire pienamente l’Indulgenza, si ricorda di ricorrere alle indicazioni già emanate nella nota «Circa il Sacramento della Penitenza nell’attuale situazione di pandemia», emessa da questa Penitenzieria Apostolica il 19 marzo 2020.

Infine, poiché le anime del Purgatorio vengono aiutate dai suffragi dei fedeli e specialmente con il sacrificio dell’Altare a Dio gradito (cfr. Conc. Tr. Sess. XXV, decr. De Purgatorio), tutti i sacerdoti sono vivamente invitati a celebrare tre volte la Santa Messa il giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, a norma della Costituzione Apostolica «Incruentum Altaris», emessa da Papa Benedetto XV, di venerata memoria, il 10 agosto 1915.

Il presente Decreto è valido per tutto il mese di novembre. Nonostante qualsiasi disposizione contraria.
Dato in Roma, dalla sede della Penitenzieria Apostolica, il 22 ottobre 2020, memoria di San Giovanni Paolo II.

di Maurus Card. Piacenza
Paenitentiarius Maior

Christophorus Nykiel
Regens

Krzysztof-Nykiel dans Cardinale Mauro Piacenza

Un gesto di prossimità in tempo di pandemia

Questo anno, a causa della pandemia da covid-19, i fedeli hanno la possibilità di lucrare le indulgenze plenarie per i defunti per tutto il mese di novembre e non solo nei giorni tra il 1˚ e l’8, come da tradizione. Lo spiega il reggente della Penitenzieria apostolica, monsignor Krzysztof Nykiel, in questa intervista a «L’Osservatore Romano».

Cosa stabilisce il nuovo decreto?
Sostanzialmente, il decreto della Penitenzieria apostolica modifica le modalità previste per il conseguimento dell’indulgenza plenaria per le anime del Purgatorio, per il prossimo novembre, mese tradizionalmente dedicato al culto dei santi e alla preghiera per i fratelli defunti. Ordinariamente, infatti, l’indulgenza plenaria per i defunti è concessa al fedele che, nei giorni dell’ottava dal 1° all’8 novembre, si rechi al cimitero e preghi per i defunti, oppure a colui che, nel giorno della Commemorazione dei fedeli defunti, visiti una chiesa o vi reciti un Padre nostro e un Credo. Tuttavia, si è ben consapevoli della diffusione del covid-19 in tante aree del mondo e della necessità di prendere adeguate misure per prevenire l’estendersi del contagio, evitando anzitutto assembramenti di persone. Proprio per garantire l’incolumità dei fedeli che nei prossimi giorni intendono recarsi nei cimiteri a pregare sulle tombe dei loro cari, quest’anno la Penitenzieria ha voluto estendere il tenore delle suddette concessioni all’intero mese di novembre, per cui i fedeli potranno compiere le pie opere previste non più soltanto nei giorni dal 1° all’8 novembre o il 2 novembre, ma in un giorno a loro scelta di quel mese. Viene concessa su mandato di Papa Francesco e in accoglimento alle richieste pervenute da diverse Conferenze episcopali.

Ci può ricordare che cos’è l’indulgenza e come si consegue?
L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati già rimessi quanto alla colpa. Essa può essere parziale o plenaria, a seconda che liberi in parte o in tutto dalla pena temporale. Ogni fedele può conseguire per se stesso le indulgenze o applicarle ai defunti a modo di suffragio. Per ottenere l’indulgenza plenaria il fedele, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato, deve eseguire l’opera indulgenziata e adempiere alle tre condizioni della confessione sacramentale, della comunione eucaristica e della preghiera secondo le intenzioni del Pontefice. L’indulgenza è la testimonianza concreta di quanto veramente l’amore di Dio è più grande di ogni peccato e che dove arriva la divina misericordia tutto rinasce, tutti si rinnova, tutto è risanato.

Il nuovo decreto non è l’unico provvedimento attuato dalla Penitenzieria in questo tempo di pandemia. Quali altre iniziative ha già preso?
La Penitenzieria apostolica è il tribunale della Curia romana, denominato “Tribunale della misericordia”, cui sono affidate le questioni relative al foro interno e alla concessione delle indulgenze. Il 19 marzo scorso ha emesso due documenti, che hanno avuto ampia risonanza, per chiarire alcuni aspetti legati alle materie di sua competenza in concomitanza con la diffusione su scala mondiale del coronavirus. Attraverso la Nota circa il sacramento della Riconciliazione nell’attuale situazione di pandemia, essa ha individuato nel diffondersi del contagio uno dei casi di grave necessità contemplati dal codice di Diritto canonico per autorizzare la concessione dell’assoluzione collettiva ai fedeli (cfr. can. 961 § 1), demandando al discernimento dei singoli ordinari la determinazione delle modalità concrete per la celebrazione del sacramento e ribadendo con forza, anche e soprattutto in questo tempo di grave sofferenza, la necessità di accostarsi al sacramento della riconciliazione. Con uno speciale decreto, inoltre, si è concesso il dono dell’indulgenza ai fedeli affetti dal morbo nonché agli operatori sanitari, ai familiari e a tutti coloro che, a qualsiasi titolo — anche con la preghiera — si prendono cura di essi. La Chiesa, dunque, è ben consapevole delle sofferenze inflitte dal covid-19 e, nel prendere su di sé la stessa croce del suo Signore e Maestro, si fa prossima a quanti sono nell’afflizione sia sul piano spirituale che materiale.

di Nicola Gori – L’Osservatore Romano

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FRATELLI TUTTI/ Guerre, creato, pandemia: solo un Padre può guarire noi e la realtà

Posté par atempodiblog le 5 octobre 2020

FRATELLI TUTTI/ Guerre, creato, pandemia: solo un Padre può guarire noi e la realtà
Ieri è stata pubblicata la nuova enciclica di papa Francesco, dal titolo “Fratelli tutti”. Tre considerazioni utili per addentrarsi nella sua lettura
di don Federico Pichetto – Il Sussidiario

FRATELLI TUTTI/ Guerre, creato, pandemia: solo un Padre può guarire noi e la realtà dans Articoli di Giornali e News Fratelli-tutti-enciclica-Papa-Francesco

FRATELLI TUTTI, ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO. Sarà la storia a dirci se l’enciclica firmata il 3 ottobre da papa Francesco, e pubblicata nel giorno in cui la Chiesa celebra proprio il poverello di Assisi, sarà anche il testamento del suo pontificato o piuttosto l’ennesima profezia che alza lo sguardo dalla miseria delle vicende terrene in cui è impantanata la Santa Sede per donare nuovamente all’umanità orizzonte e prospettiva. Tuttavia la Fratelli tutti – questo il nome del documento – col suo centinaio abbondante di pagine e i suoi otto capitoli si presenta da subito come un nuovo atto dirompente di questo pontificato. Lo fa nei temi, decisamente non nuovi per l’età bergogliana, ma soprattutto nei toni: la condanna della guerra e la perentorietà con cui si esclude l’esistenza di un conflitto “giusto” suonano come un netto superamento del catechismo del 1992 e hanno il sapore di un pronunciamento dogmatico e definitivo che difficilmente i futuri successori di Pietro potranno ignorare.

Ma l’enciclica non è soltanto questo: c’è dentro un ampliamento radicale dei principi della Dottrina sociale della Chiesa, dalla destinazione universale dei beni al primato del bene comune, dalla sussidiarietà alla solidarietà, dalla necessità di partecipare al processo politico fino al primato della persona in quanto depositaria del mandato divino di custode del creato. Ci saranno riflessioni e voci autorevoli che potranno squadernare implicazioni, tematiche e ripercussioni delle parole impresse dal Papa nell’agone del dibattito intra ed extra ecclesiale, eppure s’indovinano almeno tre prime considerazioni che – a caldo – possono fungere da bussola per tutti coloro che vogliano addentrarsi nella lettura diretta del testo.

In primis, è portata a compimento la profezia di Benedetto XVI quando asseriva che solo la Chiesa – paradossalmente – sarebbe rimasta a difendere i valori illuministi della ragione in virtù del suo legame con l’origine di quei valori, Gesù Cristo. Francesco ripropone la terna parigina di libertà, fraternità e uguaglianza non come pietre con cui seppellire il bimillenario apporto della Chiesa alla società, ma come tasselli con cui oggi la medesima Chiesa richiama l’uomo a ricostruire il tessuto sociale e civile del nostro tempo.

E poi la pandemia, vista come il sintomo con cui la realtà ripresenta all’uomo il bisogno di essere guarita, di avere qualcuno che la risani. Il Papa ne parla citando Enea: “Sono le lacrime che provengono dalle cose e dalle manifestazioni della mortalità a poter toccare davvero le menti”. “Se tutto è connesso – suggerisce Francesco – è difficile pensare che questo disastro mondiale non sia in rapporto con il nostro modo di porci rispetto alla realtà, pretendendo di essere padroni assoluti della propria vita e di tutto ciò che esiste. Non voglio dire che si tratta di una sorta di castigo divino. E neppure basterebbe affermare che il danno causato alla natura alla fine chiede il conto dei nostri soprusi. È la realtà stessa che geme e si ribella”, interpellandoci.

Ecco: è questa chiamata all’umano che segna l’orizzonte e la traiettoria della Chiesa di Bergoglio, una chiamata trasversale a tutte le religioni, libera dai condizionamenti politici dei populismi e delle ideologie liberali, ma fortemente radicata in quel Vangelo che il Papa annuncia come autentico servizio all’umanità. Perché che cosa può davvero risvegliare l’umano e renderlo rinnovato protagonista della storia? Non una strategia, non un piano politico, ma solo un fatto capace di calamitare tutta l’energia affettiva e morale dell’Io. Un fatto che sferzi i nostri cuori di pietra e con cui intraprendere la strada del cambiamento, della conversione. La strada che – unica – può rispondere al bisogno di ricominciare, e di rinascere, che si nasconde dentro il cuore di ogni uomo e del mondo intero.

Fratelli tutti dunque, figli pieni di desiderio e mendicanti di un Padre che, come buon samaritano, risani il nostro cuore e le nostre indicibili – a volte perfino scandalose – ferite.

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Preti, niente più scuse: da oggi si prega santa Faustina

Posté par atempodiblog le 5 octobre 2020

Preti, niente più scuse: da oggi si prega santa Faustina
A partire da quest’anno, oggi, il giorno del transito della giovane “Segretaria” di Gesù, sarà memoria facoltativa. È passato inosservato il decreto “De celebratione sanctae Faustinae Kowalske…” firmato dal Prefetto del Culto divino Robert Sarah. La santa sarà ricordata nel Messale e nei libri liturgici. Non ci si potrà più “dimenticare” di lei come invece ha fatto in questi anni con una evidente ostilità un certo tipo di clero.
di Maria Alessandra – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: 
Radio Maria

Preti, niente più scuse: da oggi si prega santa Faustina dans Articoli di Giornali e News Santa-Faustina-e-Ges

Il 18 maggio 2020 Karol Wojtyla, salito al soglio pontificio come Giovanni Paolo II, morto nel 2005 e divenuto Santo nel 2014, avrebbe compiuto cento anni e, come si sa, questa ricorrenza è stata ricordata da tutti i media. Alcuni, anzi, hanno notato la coincidenza per cui, proprio in quella data, quasi un regalo postumo di Papa Wojtyla al gregge che aveva guidato per più di ventisei anni, le Chiese fossero state riaperte alle celebrazioni dopo il lunghissimo lockdown dovuto alla pandemia da Covid 19, che aveva obbligato la maggior parte fedeli ad assistere alla Messa festiva in tv e a rimandare matrimoni e battesimi.

Sembra, invece, passato del tutto inosservato un altro regalo che in occasione del suo genetliaco San Giovanni Paolo II ci ha fatto, o, forse verrebbe da dire, si è fatto: l’iscrizione della celebrazione di santa Faustina Kowalska nel Calendario Romano Generale.

Porta infatti la data del 18 maggio 2020 il Decretum “De celebratione sanctae Faustinae Kowalske, virginis, in Calendario Romano Generali inscribenda” firmato in calce dal Cardinale Robert Sarah e dall’Arcivescovo Arthur Roche, rispettivamente Prefetto e Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

Da quest’anno, quindi, il 5 ottobre, giorno del transito della giovane e umilissima suora polacca, al secolo Elena Kowalska, morta a trentatré anni di tubercolosi nel convento della Beata Vergine Maria della Misericordia di Cracovia, non sarà più una festa solo nella natia Polonia, ma sarà memoria facoltativa per tutto il mondo cattolico.

Chi scrive si è più volte lamentata anche dalle pagine di questo giornale che “il 5 ottobre”, passasse “in gran parte inosservata la memoria di santa Faustina Kowalska”, dimenticanza sicuramente dovuta anche all’ostilità di una parte del clero nei confronti dell’Apostola della Divina Misericordia e della rivelazione a lei affidata da Gesù.

Da ora in poi, però, non sarà più così facile per quegli stessi sacerdoti continuare a ignorare suor Faustina, visto che sul Decreto del 18 maggio 2020 si legge, infatti: “.. il Sommo Pontefice Francesco…ha disposto che il nome di santa Maria Faustina (Elena) Kowalska , vergine, sia iscritto nel Calendario Romano Generale e la sua memoria facoltativa sia celebrata da tutti il 5 ottobre. Questa nuova memoria sia inserita in tutti i Calendari e Libri liturgici per la celebrazione della Messa e della Liturgia delle Ore, adottando i testi liturgici allegati al presente decreto che devono essere tradotti, approvati…”.

A questo punto non può non tornare alla mente il secondo dei tre messaggi, una sorta di testamento spirituale, che suor Faustina Kowalska consegnò prima di morire al suo direttore spirituale, don Michele Sopocko, e che riguarda il giudizio della Chiesa: «Se anche si accumulassero le più grandi difficoltà, anche se sembrasse che Dio stesso non lo voglia, non ci si può fermare. Anche se il giudizio della Chiesa a questo riguardo fosse negativo, non ci si può fermare. Anche se mancassero le forze fisiche e morali, non ci si può fermare. Poiché la profondità della Misericordia di Dio è insondabile e non è sufficiente tutta la nostra vita per glorificarla».

La Chiesa ufficiale non si è fermata e sacerdoti che continuano, incredibilmente, a osteggiare santa Faustina e la rivelazione contenuta nel suo Diario, ritenuto una delle opere mistiche più importanti del secolo scorso, devono rassegnarsi: sono vani gli sforzi per bloccare il messaggio della Divina Misericordia dettato per la salvezza delle anime da Gesù alla semianalfabeta suora polacca, da Lui scelta come Segretaria.

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Quattro anni fa la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta

Posté par atempodiblog le 4 septembre 2020

Quattro anni fa la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta
In pieno Giubileo della Misericordia, Papa Francesco proclamò santa “la piccola matita nelle mani di Dio”. Instancabile operatrice della carità, rese visibile al mondo la povertà che segnava le strade di Calcutta e restituì dignità a chi non l’aveva. “Messaggera dell’amore cristiano”: la definisce così il suo biografo don Lush Gjergji
di Benedetta Capelli – Vatican News

Quattro anni fa la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta dans Articoli di Giornali e News Madre-Teresa-di-Calcutta

Piccola, minuta, preziosa, perché in un corpo così esile Dio aveva riversato la sua grazia. Ad Anjeze Gonxhe Bojaxhiu, la futura Madre Teresa di Calcutta, aveva donato spalle forti per reggere le miserie di tanti uomini abbandonati nella sporcizia e nella rassegnazione; mani operose capaci di accarezzare e curare le loro piaghe; una voce ferma per denunciare al mondo le ingiustizie e per chiedere di riparare a tanto male.

Sale e luce del mondo
Nata il 26 agosto del 1910, a Skopje, nell’ex Jugoslavia, è nel 1929 che Madre Teresa inizia la sua missione a Calcutta ma solo dopo aver lasciato le suore di Loreto,  nel 1950 fonda la Congregazione delle Missionarie della Carità che oggi conta nel mondo oltre seimila sorelle, attive in 130 Paesi. Nel 1979 le viene consegnato il Premio Nobel per la Pace ma lei chiede di devolvere i seimila dollari ai poveri dell’India. Dopo la morte nel 1996, san Giovanni Paolo II, suo amico fraterno, il 19 ottobre 2003 la pone tra la schiera dei beati. Il 4 settembre 2016, Francesco la canonizza, ricordando di lei la strenua difesa della vita e della dignità che Dio aveva dato a chi si lasciava morire ai margini delle strade.

“La misericordia è stata per lei il “sale” che dava sapore a ogni sua opera, e la “luce” che rischiarava le tenebre di quanti non avevano più neppure lacrime per piangere la loro povertà e sofferenza”.

Madre dell’amore
Per il suo biografo don Lush Gjergji, che su Madre Teresa ha scritto 17 libri, di lei si conoscono le opere ma spesso si dimentica il motore che la muoveva: l’amore di Dio:
R.  Il mio primo incontro fisico con Madre Teresa, che conoscevo già perché nella mia infanzia e tramite la mia famiglia tutti parlavano di questa grande messaggera dell’amore cristiano, avvenne il 29 marzo 1969. Ero al secondo anno di filosofia all’Urbaniana, e da quell’incontro ebbi subito non solo l’impressione ma la convinzione di trovarmi davanti ad una grande santa. E su un diario scrissi che se Dio avesse voluto, avrei cercato di capire fino in fondo chi fosse Madre Teresa. Perché era andata in India a farsi suora, perché aveva lasciato le suore di Loreto, cosa la rendeva così grande e così amata da tutti, quale era la sua interiorità e spiritualità. Ho scritto 17 volumi su Madre Teresa, tradotti in diverse lingue, soprattutto cercando di colmare un vuoto completo che riguardava la vita familiare, l’infanzia, la gioventù, il contesto socio culturale e religioso. Ho raccontato il suo voto a Dio quando decise di diventare suora missionaria per aiutare i più poveri del mondo. Già allora, nell’embrione, c’è tutta Madre Teresa, c’è lo Spirito Santo che l’ha ispirata e l’ha spinta verso questa grande chiamata.

Da biografo ha analizzato ogni aspetto della vita di Madre Teresa, c’è un episodio che secondo lei è meno conosciuto ma che rende al meglio il carisma di questa piccola suora?
R.  Ci sono tante cose e purtroppo il mondo non riesce ancora a capire la grandezza di Madre Teresa che non è nel fare e nelle opere. Certo, ammiriamo le opere ma non il movente delle opere che è Dio, il suo amore. Madre Teresa ha portato tante novità: quella di essere madre universale, come la vita e l’amore sono universali, quindi ha oltrepassato ogni limite e ogni confine anche quello delle caste in India, che era una cosa impensabile. Poi la novità di Madre Teresa è di aver combinato l’aspetto del fare e del contemplare. Noi siamo attive e contemplative – diceva – sempre in azione è sempre in preghiera. Quindi anche questo è una novità assoluta nell’ambito del cristianesimo. L’amore è la cosa più importante e Dio è amore. Noi non dobbiamo fare nient’altro che ricevere questo amore per poterlo donare e testimoniare agli altri. Dalla cattedra del premio Nobel disse che le opere dell’amore sono le opere della pace. Sono novità e intuizioni tutte ancora da scoprire, da valutare e da presentare.

Lei ha citato il Premio Nobel per la pace. In quel discorso, Madre Teresa focalizzò l’idea che l’aborto è la più grande minaccia per la pace…
R. – Ebbe il coraggio di dire ai grandi che l’ascoltavano: perché ci meravigliamo che combattono Stati o popoli se il padre o addirittura la madre diventano il sepolcro e tolgono la vita al frutto dell’amore? In questo senso poi ci sono stati tanti messaggi riguardanti la povertà, la miseria dell’Occidente e la solitudine, la perdita di senso, il non sapere più perché vivere. La malattia più grave non è il cancro, e oggi si direbbe non è il Covid-19, ma è non essere amati o essere messi da parte, non essere riconosciuti come si è.

Papa Francesco l’ha canonizzata nel Giubileo della Misericordia, rendendola emblema dell’amore incondizionato verso i poveri, come aveva detto nella sua omelia, espressione di un amore gratuito, libero, riversato verso tutti.
R. – Io ho cercato di spiegare in diversi modi Madre Teresa. Prima di tutto è la santa della vita, sempre in prima linea a difendere la vita, non solo dalla malattia, non solo dalla povertà, ma anche dalla mancanza della dignità, del diritto di nascere, di crescere, di essere uomo come tutti gli altri. Poi Madre Teresa è la madre dell’amore, perché il senso della vita è l’amore, Dio è amore e poi la vita e l’amore non hanno alcun senso se non c’è la pace, perché la pace interiore è con se stessi, la pace con il prossimo, la pace con Dio. Il tutto è possibile solo se c’è il primo presupposto: accogliere, difendere, amare la vita, donare la vita, dare alla vita il senso e il gusto che l’amore e questi presupposti creano. E il presupposto fondamentale, che purtroppo oggi manca, è quello della pace vera e giusta.

C’è una frase che secondo lei racchiude il carisma di Madre Teresa? Ce n’è una in particolare che lei, ad esempio come biografo, si ripete oppure è un suo riferimento durante la giornata?
R. – Senz’altro, è quella dell’esame di coscienza. Mi prese le mani, mi disse di guardarle: avevo pensato che fosse uno scherzo. “Quando la mattina ti svegli – mi spiegò Madre Teresa – e fai il segno della croce guarda la tua mano e le cinque dita e fai questa domanda: cosa farò oggi per Gesù? Poi guardando l’altra mano: cosa farò oggi per l’uomo? Stringi le mani e chiedi l’aiuto di Dio e dello Spirito Santo. A fine giornata chiediti: cosa ho fatto per Gesù? E per l’uomo? Questo è il Vangelo in cinque dita, oppure il quinto Vangelo di Madre Teresa, che aiuta non solo i cristiani ma tanti miscredenti e da noi anche tanti musulmani ad avvicinarsi a Dio, ad avvicinarsi alla Chiesa e al Battesimo perché il suo è un amore attraente come lo è l’amore di Dio.

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Preti santi alla scuola di Giovanni Maria Vianney

Posté par atempodiblog le 5 août 2020

Preti santi alla scuola di Giovanni Maria Vianney
de L’Osservatore Romano

Preti santi alla scuola di Giovanni Maria Vianney dans Articoli di Giornali e News cardinale-Pietro-Parolin-ad-Ars

«Senza negare il danno provocato dal comportamento deviato di alcuni preti, il Papa ha voluto mettere in evidenza, soprattutto, il buon esempio della maggioranza di quanti, in modo costante e trasparente, si dedicano interamente al bene dell’altro. I momenti di purificazione ecclesiale che stiamo vivendo ci renderanno più felici e semplici, più generosi e più fecondi!». Lo ha sottolineato il cardinale Pietro Parolin, celebrando ad Ars, nel sud-est della Francia, nella mattina di oggi, la messa nella memoria liturgica di san Giovanni Maria Vianney.

Richiamando la lettera di Francesco ai sacerdoti di tutto il mondo, scritta esattamente un anno fa, nel 160° della morte del patrono del clero con cura d’anime che per quarant’anni svolse il suo ministero in un piccolo villaggio allora abitato da poco più di 200 persone, il segretario di Stato ha incentrato l’omelia sul documento in cui il Pontefice si rivolge a quanti oggi, come il Curato d’Ars, lavorano in “trincea”, portando «sulle spalle il peso del giorno e del caldo»; a quanti «esposti a innumerevoli situazioni», ci mettono la faccia quotidianamente e senza darsi «troppa importanza»; a coloro che «in tante occasioni, in maniera inosservata e sacrificata, nella stanchezza o nella fatica, nella malattia o nella desolazione», assumono la missione «come un servizio» scrivendo «le pagine più belle della vita sacerdotale». Perciò, ha commentato il porporato, «illuminati da queste parole, anche noi vogliamo avere come nostra prima intenzione di preghiera i sacerdoti e le vocazioni sacerdotali, che affidiamo alla particolare intercessione del santo Curato d’Ars».

Insieme con il porporato — nel santuario dove riposano le spoglie di Vianney, e che ogni anno accoglie 450 mila pellegrini — hanno concelebrato il vescovo Pascal Roland, di Belley-Ars, e altri presuli e sacerdoti francesi, alla presenza di numerosi diaconi, consacrati, religiose e autorità civili e militari. Rilanciando le parole della monizione di apertura, che esaltano la figura di «ammirevole sacerdote, appassionatamente devoto al suo ministero» del Curato d’Ars, il cardinale Parolin ha offerto una riflessione sulle letture liturgiche: a cominciare dalla prima, tratta da Ezechiele 3, 16-21, in cui emerge la funzione del profeta-sentinella, che — ha spiegato — «lungi dall’essere solo un carisma del passato» è attuale ancora «oggi e per sempre». Del resto «questa era la vocazione di Vianney, che «visse e lavorò in questa parrocchia come un autentico profeta-attento! Senza cercare il proprio o altri interessi che non fossero la conversione e la salvezza dei peccatori». Ed è così, ha aggiunto, «che i suoi contemporanei lo videro, nonostante il rifiuto all’inizio, i molti fraintendimenti e l’incessante lotta contro il Maligno che dovette affrontare». Perché san Giovanni Maria era l’«altoparlante, la voce stessa di Dio, nel condurre una vita consumata in totale fedeltà e coerenza, fino alla fine del suo pellegrinaggio su questa terra, quando poté esclamare — come nel Salmo responsoriale (120) —: “Benedici il Signore, anima mia».

Anche il passo evangelico di Matteo (9, 35-10, 1) è stato riletto dal celebrante alla luce della vita del Curato d’Ars, il quale «ha partecipato al potere taumaturgico del Signore, curando e guarendo completamente le persone». Inoltre, «grazie al suo esempio durante la vita e attraverso la sua intercessione oggi, sono nate e nascono nuove vocazioni al ministero sacerdotale».

La stessa vocazione del cardinale Parolin è legata al santo: «Una figura che mi è sempre stata particolarmente cara — ha confidato — poiché, da chierichetto, ho letto avidamente la sua biografia, che avevo trovato provvidenzialmente nella piccola biblioteca parrocchiale del mio paese». Perciò, ha proseguito, «è con grande emozione che ringrazio il Signore, in quest’anno quarantesimo della mia ordinazione presbiterale, per avermi dato oggi la grazia di fare questa visita nei luoghi di colui che Benedetto XVI definì nel 2010 “un modello del ministero sacerdotale”», a conclusione dello speciale Anno giubilare a lui dedicato. Da qui l’esortazione del segretario di Stato ai sacerdoti e ai vescovi presenti: «Non lasciamoci prendere dallo scoraggiamento; e non dimentichiamo mai che la nostra vocazione è un dono gratuito del Signore, un dono totalmente immeritato… che dobbiamo sapere come accogliere ogni mattina, con umiltà e nella preghiera».

E se il Pontefice emerito — ha fatto notare Parolin — ha messo in guardia dal non ridurre Vianney a un esempio, per quanto ammirevole, della spiritualità devozionale del diciannovesimo secolo, esaltandone il ministero di riconciliazione svolto al confessionale, Papa Bergoglio ne ha rimarcato la vicinanza «a tutti», senza mai rifiutare quanti «sono feriti nella loro esistenza e peccatori nella loro vita spirituale». Ed ecco allora, che se vogliamo essere autentici cristiani, dei santi», occorre imparare «da lui la semplicità, il disinteresse, la purezza nelle intenzioni e nell’azione, l’ascetismo, la fedeltà a Dio e al Vangelo».

In definitiva, ha concluso il cardinale, «Vianney invita a lasciarci plasmare dal significato profondo, dall’incommensurabile bellezza e dalla prodigiosa dignità dei sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, e a fare affidamento sulla loro forza trasformatrice. Di fronte a risposte inadeguate alla nostra sete di verità, significato e realizzazione, a sistemi incapaci di soddisfare i nostri bisogni più autentici, il Curato d’Ars insegna che l’intima unione personale con Cristo aiuta a conformare i nostri desideri alla volontà di Dio, ci riempie di gioia e felicità, ci aiuta a essere sale e luce del mondo». Insomma insegna che «la santità è possibile per tutti! La santità è accessibile a tutti!».

Nel primo pomeriggio il cardinale Parolin ha tenuto una conferenza incentrata sul tema: «Papa Francesco e i sacerdoti, in cammino con il popolo di Dio». Articolato in otto punti — la preghiera, “uscire”, insegnare, celebrare l’Eucaristia, confessare, accogliere i poveri, la fraternità sacramentale, Maria — l’intervento del porporato ha tracciato alcune linee guida per «il ministero pastorale nel nostro ventunesimo secolo» facendo “dialogare” il Pontefice con il Santo. Riguardo al primo aspetto ha fatto notare come Vianney trascorresse «ore e ore davanti al tabernacolo della sua chiesa, per chiedere al Signore la conversione degli abitanti di Ars». E anche «il Santo Padre si alza presto la mattina e prega fino alla messa alle 7 del mattino. Di sera, interrompe le sue occupazioni e ritorna a lungo in cappella fino a cena». Dunque «la preghiera è necessaria per crescere nella nostra fedeltà». E inoltre ha «un obiettivo pastorale», anche quando si sperimenta «l’ardidità».

Il secondo aspetto della «Chiesa in uscita» trae origine dalla constatazione che «l’azione pastorale si basa sul discernimento: osservare la situazione, guardare con benevolenza, ascoltare con attenzione»; e che in tale contesto «lo Spirito Santo ispira la creatività per trovare il modo migliore per avvicinarsi agli altri». D’altronde san Giovanni Maria uscì dal «presbiterio per incontrare la sua gente. Non la trovò in chiesa perché non ci andava più da molto tempo» a causa della Rivoluzione francese.

Riguardo all’insegnamento — terzo punto — il cardinale Parolin ha chiarito che esso deve rifarsi a una «chiara proposta di fede», come faceva nella sua predicazione il Curato d’Ars. E se il Papa insiste molto sulla qualità delle omelie, il segretario di Stato ha suggerito anche di proporre incontri di formazione a livello parrocchiale. Quanto all’Eucaristia — quarto punto — essa «costituisce il cuore del sacerdote»: al punto che san Giovanni Maria esclamava «Mio Dio! Come deve essere compatito un prete quando la fa come una cosa normale!», e che Bergoglio l’ha definita «l’atto supremo della rivelazione» (Misericordiae vultus, 11 aprile 2015, n. 7).

Per il tema della riconciliazione il cardinale Parolin ha ricordato le decine di migliaia di persone che accorrevano al confessionale dove il curato d’Ars trascorreva dalle quindici alle diciotto ore al giorno, e come esso per il vescovo di Roma — che «ha un acuto senso della tenerezza di Dio che avvolge la fragilità dell’uomo» — rappresenti «il sacramento della misericordia». Purtroppo, ha osservato il relatore, «molti fedeli non si confessano più»: da qui l’«invito a fare di tutto affinché riscoprano questo sacramento essenziale. Ciò richiede una determinata volontà pastorale, una catechesi incessante… e anche un certo coraggio per accettare di accogliere con disponibilità quanti vengono a chiedere, a volte timidamente, questo sacramento dell’amore».

Per la cura dei poveri, il conferenziere ha ricordato come ad Ars dovessero nascondere i vestiti perché sapevano che il curato dava agli indigenti tutto ciò che aveva; con carità creativa ha fondato il collegio Providence per sollevare dalla miseria materiale e morale le ragazze che vivevano per strada. E il Pontefice da parte sua ha parlato a più riprese di opzione preferenziale per i poveri.

Da ultimo il segretario di Stato ha accennato alla «concreta fraternità sacramentale» come a «una grande sfida odierna, perché il ministero è spesso pesante e difficile», e «non possiamo esercitarlo in solitudine»; e al ruolo della Vergine Maria nella spiritualità del santo e del Papa.

Al termine, della giornata il porporato benedice un itinerario — all’interno del santuario di Ars — dedicato al cardinale Emile Biayenda, arcivescovo di Brazzaville morto nel 1977, di cui è in corso la causa di canonizzazione.

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Considerare la Passione di Gesù per vincere

Posté par atempodiblog le 5 août 2020

Considerare la Passione di Gesù per vincere dans Fede, morale e teologia Faustina

5 agosto 1935. Festa della Madonna della Misericordia. Mi sono preparata a questa festa con un fervore maggiore degli anni passati. Al mattino di questo giorno ho avuto una lotta interiore al pensiero che debbo abbandonare la Congregazione che gode della protezione particolare di Maria. In questa lotta è trascorsa la meditazione e la prima Santa Messa. Durante la seconda S. Messa ho pregato così la Madre Santissima: «O Maria, è difficile per me staccarmi dalla Congregazione che è sotto il Tuo speciale patrocinio». All’improvviso vidi la Santissima Vergine indicibilmente bella, che dall’altare si avvicinò a me, al Mio inginocchiatoio. Mi strinse a Sé e mi disse queste parole: «Vi sono Madre per l’infinita Misericordia di Dio. L’anima che mi è più cara è quella che compie fedelmente la volontà di Dio». Mi fece comprendere che ho eseguito fedelmente tutti i desideri di Dio e per questo ho trovato grazia ai Suoi occhi. «Sii coraggiosa; non temere gli ostacoli ingannevoli, ma considera attentamente la Passione di Mio Figlio ed in questo modo vincerai».

Santa Faustina Kowalska

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Servo degli ammalati

Posté par atempodiblog le 14 juillet 2020

Servo degli ammalati
di Gianluca Giorgio – L’Osservatore Romano

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San Camillo de Lellis, prima della conversione, era un uomo che aveva gettato, molte volte, il cuore in cose di poco conto: giochi, guerra, disordine. Questo stato di cose continuò fino al giorno in cui, nella piana di San Giovanni Rotondo, accolse il desiderio di cambiare vita e darsi a Dio. Era il 2 febbraio 1575. Un giorno come tanti, ma non come tutti.

Da quel momento la sua esistenza cambia. Vuole vivere per Dio. Non gioca più e si dà alla preghiera, chiedendo di essere ammesso come fratello laico, tra i Frati minori cappuccini.

Le Cronache raccontano che, giunto nel convento, che sarà la comunità nella quale dimorerà padre Pio, vi trascorse la notte.

La cella è la numero cinque, la stessa abitata, per tanti anni, dal santo religioso di Pietrelcina.

Se tutto, ormai, nella sua vita sembra essere appianato, una misteriosa piaga alla gamba lo porta lontano da quel luogo, e la strana malattia gli rende impossibile vestire il saio dei figli di san Francesco.

Lascia la Puglia per Roma, per tentare una cura presso l’ospedale di San Giacomo in Augusta.

Deluso, avvilito, senza un’occupazione, non sa cosa sarà il suo domani. Sembra leggere la storia degli uomini di tutti i tempi: soli e persi nel grande naufragio della vita, senza un orizzonte da cui sperare di vedere terra.

Gira per le corsie del nosocomio, nelle quali scopre gli sguardi dei ricoverati. Ciò lo turba, alla ricerca di una risposta a ciò che vede.

Il tempo passa. Quattro anni sono trascorsi dal quel giorno. Oltre a infermiere, per la bravura, è divenuto anche economo, prestando il proprio servizio ai degenti. Si dà da fare con la stessa foga che ha messo nella vita militare. È alto, forte, di grande volontà, lodato da tutti, ma di più amato per quella carità che lo fa essere padre, prima di infermiere.

Ha molti amici che lo aiutano e si riuniscono in una piccola stanza, nella quale è appeso un grande crocifisso per la preghiera in comune.

La piccola comunità genera ammirazione, ma anche invidia ed è bersaglio di cattiverie. Una notte alcuni uomini irrompono in quel luogo, mandando tutto all’aria: letti, medicine, carte, stoffa per le bende, e il crocifisso viene gettato dietro la porta.

Entrando Camillo vede la situazione: è scoraggiato, deluso e ripiomba in quello stesso stato d’animo, che lo ha condotto sulla soglia dell’ospedale, anni prima. Vuole mollare tutto.

Quanta umanità trasuda in queste ore della vita del “gigante della santità”.

Il momento della prova è giunto: il Getsemani arrivato. Rinnegare se stesso e tornare indietro è l’unica cosa che gli viene in mente. Non sappiamo se pianse. Stanco e avvilito, dopo aver pregato, si getta sul pagliericcio, ricomposto alla meglio per dormire qualche ora, prima di riprendere il turno.

Qui avviene l’incredibile: il santo svegliandosi vede le braccia del Cristo, staccarsi dal legno che lo incoraggiano, dicendo: «Di che ti affliggi, pusillanime? Prosegui pure l’impresa (che io ti aiuterò) perché questa è opera mia e non tua!». Il bene fatto è solo in parte di Camillo, il resto di Dio.

La scultura è esposta nella chiesa della Maddalena, a Roma, muta testimone di quell’amore, che non abbandona, soprattutto, nelle ore in cui tutto crolla.

Si alza, ma non più quel Camillo, un altro. Comprende che deve andare avanti e con lo straordinario coraggio, di cui la natura lo ha colmato, siede, ormai adulto, fra i banchi di scuola del Collegio romano, rimettendosi a studiare per diventare sacerdote.

Quel fatto lo mette in guardia dalla depressione del momento, rendendolo forte di fronte ai continui attacchi. È determinato, sa cosa vuole percependo che, senza istruzione, non può difendere i malati e tanto altro che brilla nei suoi ragionamenti.

Il 10 giugno 1584, in due anni, bruciando tutte le tappe, celebra la prima messa. Da una situazione di scarsa cultura, adesso, ha le basi per conquistare il mondo della sanità con l’amore ai malati e i sacramenti. Continua la sua esistenza, con slancio e con quell’amore che brucia.

Quando la sera rientra nella casa della Maddalena, dopo aver lavorato molte ore in ospedale, assiste i confratelli con qualche infermità, rifà i letti, svolge ciò che manca al quotidiano e tanto altro.

Fonda l’ordine dei Ministri degli infermi. “Ministri” in quanto servi dei pazienti e a loro sottoposti. Ai voti di castità, povertà e obbedienza aggiunge quello di curare i malati, anche a costo della stessa vita. Nella pandemia del 1606, nel continuo esercizio della carità, spirano molti religiosi, fra lo stupore di tutti.

La cosa che più sorprende dei figli di san Camillo, è che il fondatore vuole che i suoi religiosi, nel curare i corpi, non dimentichino la fede, mostrandosi sempre allegri e pronti al sorriso.

Il Pontefice Gregorio XIV approva la Regola del nuovo ordine. È il 21 settembre 1591.

San Camillo de Lellis ha raggiunto il suo scopo, e seppur superiore della comunità, è infaticabile. Spira, alle ventidue del 14 luglio 1614, atteso in un’altra realtà, ben più bella, varcando i sessantaquattro anni di età.

Tra le labbra una sola parola, “Maria”, la madre tanto amata da colui che ha speso la sua vita per quei fratelli, nei quali ha saputo leggere il dolce sguardo di Gesù.

Sarà canonizzato da Papa Benedetto XIV il 29 giugno 1746.

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