Lascia che Maria canti nel tuo cuore il Magnificat

Posté par atempodiblog le 22 décembre 2022

Lascia che Maria canti nel tuo cuore il Magnificat
di Padre Livio Fanzaga – La pazienza di Dio. Vangelo per la vita quotidiana, Ed. Piemme

Lascia che Maria canti nel tuo cuore il Magnificat dans Avvento Magnificat

Lascia che Maria ti prenda per mano
Per celebrare il Natale è necessaria una decisione che non molti si sentono di prendere. Il vero problema è costituito dal fatto che bisogna cambiare vita. Non c’è nulla di più doloroso che tagliare le catene del male che ci imprigionano. La rinuncia al peccato è una delle imprese più grandi che l’uomo, con l’aiuto della grazia, possa compiere. In noi vi è forse il desiderio, ma non la ferma volontà di decidere.
Sappiamo che la confessione è una via obbligata, perché la culla del cuore abbia la purezza necessaria per accogliere il Salvatore. Ma esitiamo nell’incertezza dei deboli e tutto rimane come prima. Il Signore ancora una volta rischia di bussare invano.
Perché il tuo cuore sia pronto, perché Gesù entri nella tua vita, è necessario l’intervento di Maria. Affidati a lei. Chiedile di aiutarti a fare un esame di coscienza. Implora dal suo cuore di madre la grazia del pentimento. Se le tue gambe sono incerte, domandale di prenderti per mano e di accompagnarti fin davanti al sacerdote per la tua confessione.
Ti assicuro, caro amico, che tornerai con le lacrime della gioia.

Anche tu, con Maria, chiama Gesù «mio Salvatore»
Lascia che Maria canti nel tuo cuore il Magnificat, questo poema di luce divina che è sgorgato dalla sua anima esultante, quando si è incontrata con Elisabetta. Anche lei è stata salvata da Dio, che l’ha preservata dal male, fin dal primo istante del suo concepimento. Nello slancio della sua infinita riconoscenza, Maria chiama Dio «mio Salvatore». Gesù è anche il tuo Salvatore. A Natale Maria te lo porge, perché tu lo accolga nella tua vita.

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Ella ama i luoghi profondi per umiltà

Posté par atempodiblog le 7 décembre 2022

Ella ama i luoghi profondi per umiltà dans Fede, morale e teologia Madonna-Natale

Dio mio! Quando avremo la grazia che la Santa Vergine venga a nascere nel nostro cuore?
Per me vedo che ne sono indegno, e certamente voi penserete lo stesso: ma il suo Figlio divino non nacque forse in una stalla?…
Coraggio dunque, e prepariamo il posto alla Santa Bambina: Ella ama i luoghi profondi per umiltà, vili per semplicità e larghi per carità; sta volentieri vicino al presepio e ai piedi della Croce, e non si cura di dover esulare in Egitto, lontana da ogni sollievo, purché abbia con sé il suo caro Bambino.

San Francesco di Sales. Negli insegnamenti e negli esempi
Diario Sacro estratto dalla sua vita e dalle sue opere per cura delle “Visitandine di Roma”.
Libreria Editrice F. Ferrari

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“Il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di lui”

Posté par atempodiblog le 4 décembre 2022

“Il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di lui”
Tratto da: Le vie del cuore. Vangelo per la vita quotidiana. Commento ai vangeli festivi Anno A, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

“Il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di lui” dans Avvento San-Giovanni-Battista

Sarebbe errato considerare san Giovanni il Battista un uomo dell’Antica Alleanza. Egli appartiene ad ambedue. È il precursore e nello stesso tempo il discepolo del Messia. È il più grande fra i nati di donna, ma anche il più piccolo nel Regno dei cieli. Ecco perché la Chiesa si prepara al Natale facendosi guidare dalla sua parola.

Caro amico, ti sei chiesto che cosa  significa la  parola “Natale”?

Significa “nascita”. Nascita di chi? Colui che nasce è il Figlio di Dio che si è fatto uomo. A Natale vedi Dio col volto di un bambino. Vedi il tuo Creatore senza grandezza, senza forza, senza pompa, senza prestigio. Vedi il tuo Dio piccolo e indifeso. Vedi il tuo Dio in braccio a una donna, sistemato in una grotta, rifugio di animali.

Giovanni Battista dovette capire, prima del suo martirio, un aspetto misterioso dell’agire divino. Dio ordinariamente non si impone con la sua onnipotenza. Egli ama le vie della piccolezza e dell’umiltà. Dio ama più nascondersi che mostrarsi.

L’umiltà di Dio è la grande medicina per l’orgoglio umano. È l’orgoglio che perde l’uomo. Noi viviamo in un mondo che nega Dio e glorifica se stesso. Vuoi celebrare il tuo Natale con questo mondo? Forse lo hai celebrato più di una volta e nessuno meglio di te ne conosce il sapore amaro.

Celebra il tuo Natale con i pastori. Essi sono i piccoli del Regno di Dio. Nella notte santa accostati con loro alla capanna. Inginocchiati con loro davanti alla culla e contempla con i loro occhi limpidi l’umiltà infinita di Dio.

E lascia infine che Maria  deponga nel tuo cuore purificato dal pentimento il Bambino Gesù, nostro Dio e Salvatore, ma ormai divenuto nostro fratello.

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Avvento – Colui che ci attende, ci precede

Posté par atempodiblog le 28 novembre 2022

Avvento  Colui che ci attende, ci precede
di Romano Guardini

Estratto da “La Santa Notte. Dall’Avvento all’Epifania”, Morcelliana 1994
Fonte: ORA, LEGE et LABORA

Avvento – Colui che ci attende, ci precede dans Avvento Avvento

Le festività della Chiesa certo rammentano fatti trascorsi, ma sono anche presente, attuazione viva; poiché ciò che è accaduto una volta nella storia, deve farsi continuamente evento nella vita del credente. Allora è venuto il Signore, per tutti; ma Egli deve venire sempre di nuovo per ciascuno. Ognuno di noi deve sperimentare l’attesa, ognuno l’arrivo, perché gliene nasca la salvezza.

Quando udiamo così tale notizia, forse ci viene il pensiero: quel che è importante nella vita, debbo essere io a trovarlo! Deve scaturire dal mio stesso impegnarmi e lottare. Così, anche la salvezza deve necessariamente essere cosa della mia serietà e del mio sforzo. Che significato deve avervi l’attendere Uno che viene da altrove?

Ma non sarebbe un pensiero giusto. Certo – debbo di necessità volere ed eseguire io stesso, per quanto concerne ciò che mi è più proprio; tuttavia questo non sarebbe tutto e nemmeno la cosa decisiva.

Che cosa v’è di più importante per me che trovare un amico nella vita? Un amico è una persona che non pensa solo a se stessa, ma anche a me; uno, cui sta a cuore che le cose mi vadano per il verso giusto. Quindi un amico è una realtà grande e preziosa. Ma io me lo posso creare da solo? Certo no! Posso andare a prendermelo da qualche parte? In verità, allo stesso modo, no. Io posso essere ricettivo e vigile, al fine di notare quando mi si avvicina una persona che può divenire importante per me – ma è necessario che venga! Venga verso di me dallo spazio a perdita d’occhio della vita umana. In qualche occasione ci incontriamo, veniamo a dialogare e poi si sviluppa quella realtà bella e feconda che prende il nome di amicizia…

Così è anche per l’amore. L’uomo ha bisogno della donna, che gli sia compagna, e la donna dell’uomo, che le possa essere come una ‘patria’, affinché poi essi nella reciprocità creino quel mondo vivo, che si chiama famiglia e casa – ma l’uno può fabbricarsi l’altro? Ancora una volta no. Lo può cercare; cercare tuttavia significa avere delle mire, e la mira, l’intenzione cosciente come guasta facilmente ogni cosa! No, ma l’altro deve necessariamente una volta venire a lui dall’ampiezza del mondo, dalla moltitudine delle persone, in qualche momento…

Se riflettiamo con precisione, le cose stanno in modo simile per la nostra professione, il nostro lavoro di vita, la nostra posizione nella totalità dell’esistenza – parecchio di questo possiamo conquistarlo lottando – ma dell’altro, e non irrilevante, deve necessariamente risultare dalle combinazioni della vita. Deve aprirsi la possibilità; io debbo vedere: qui, ora – e poi gettarmici dentro. Certo allora sono io stesso a buttarmi e a impegnarmi nell’opera, ma prima mi si è schiusa la possibilità.

Molte cose, importanti, decisive poggiano su combinazioni e incontri, che non ho disposti io stesso, che non ho potuto far emergere con l’energia mia propria. Sono venuti, mi si sono offerti.

Anche la nostra salvezza poggia su una venuta. Gli uomini non hanno potuto escogitare né produrre da sé Colui che la opera; Egli è venuto presso di loro dal mistero della libertà divina. Quanto spesso hanno tentato di farlo! In tutti i popoli ci appaiono figure di salvatori, che sono scaturite dall’esperienza vissuta della distretta [bisogno pressante, necessità] dell’esistenza. Portano i tratti dei Greci e dei Romani, degli Indiani e dei Germani, e incarnano nella loro immagine [di Salvatore] ciò che il loro popolo e la loro epoca hanno inteso come salvezza. Poiché però sono nati dal mondo, non sono stati in grado di portarlo all’aperto, nella libertà, e poiché sono formati della materia del tempo, sono passati con esso.

Il Salvatore reale è venuto dalla libertà di Dio: in un piccolo popolo, che certo nessun consiglio delle nazioni avrebbe scelto; in un’epoca, che nessuno potrebbe dimostrare fosse quella giusta; in una figura di fronte alla quale, se ci riesce di strapparci il velo dell’abitudinarietà, ci coglie lo stupore: perché proprio in questa? Così la decisione della fede in buona parte consiste nell’eliminare i criteri propri di ciò che è giusto e conveniente e nell’accogliere Colui che si appressa, venendo dalla libertà di Dio: «Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!» (Mt 21, 9).

Questo ci dice l’Avvento. Ogni giorno ci esorta a meditare sul miracolo di questa venuta. Ma ci ricorda pure che essa adempie il suo senso quando il Redentore non viene solo presso l’umanità nella sua totalità, ma anche presso ciascun uomo in particolare: nelle sue gioie e angosce, nelle sue conoscenze chiare, nelle sue perplessità e tentazioni, in tutto ciò che costituisce la sua natura e la sua vita, a lui solo proprie. Egli deve farsi consapevole: Cristo è il mio redentore; Colui che mi conosce fino in quanto mi è più gelosamente proprio, assume il mio destino nel suo amore, mi illumina lo spirito, mi tocca il cuore, mi volge la volontà a ciò che è giusto, retto.

Così l’Avvento è il tempo che ci ammonisce a interrogarci, ciascuno nell’intimo della sua coscienza: Egli è venuto da me? Io ho notizia di Lui? V’è confidenza tra Lui e me? Egli è per me dottore e maestro? Ma poi subito l’ulteriore domanda: Nel mio intimo la porta è aperta per Lui? E la decisione: La voglio spalancare.

Amici miei, come potrebbe avvenire questo?

Scendiamo al piano assolutamente pratico. Che cosa potremmo fare? Soprattutto cercare di fare qualche esperienza di Lui. Potremmo prenderci un libro che tratta di Lui, e leggervi ogni giorno di queste settimane che portano al Natale. Ma non leggere come facciamo per istruirci su qualche argomento, bensì con cuore aperto, nell’anelito dello spirito. Leggere così che dalle parole possa farcisi incontro la verità viva; nel modo inteso da Agostino quando nelle Confessioni narra come sia venuto agli scritti di Plotino e da essi gli si sia dischiusa la spiritualità di Dio. «E io percepii» dice, «come si percepisce col cuore». In questa parola v’è tutto Agostino – ma anche l’uomo in genere, poiché quando un grande parla attingendo a quanto gli è più proprio, in lui parla l’essenza di tutti. «E» – dice proseguendo – «non vi fu più possibilità di dubitare» (Conf. 7, 10). Così deve farsi chiaro per noi Gesù Cristo; «luminosamente evidente», come dice la bella espressione [1], il suo essere, il suo agire e il suo destino.

Perché ciò tuttavia possa avvenire, occorre più che un semplice leggere e pensare. Per quanto indispensabile sia questo, non basta. Poiché quel che in questo caso deve conoscere è più profondo dello spirito naturale; più profondo del cuore che la nascita ci ha dato. E l’uomo nuovo in noi, che «è nato da Dio» e cresce verso la vita eterna (Gv 1, 13). Così Agostino afferma che, dove si tratti della verità, v’è certamente il magister exterius docens, il Maestro che insegna dall’esterno; quindi, la persona che ci parla o il libro che leggiamo. Le sue parole però rimangono esterne, finché non parla il magister interius docens, il Maestro che insegna dall’interno. Ma quegli è Dio.

Non basta dunque soltanto leggere e pensare; dobbiamo anche pregare. Vi può essere chi ha in capo i testi dell’Antico e del Nuovo Testamento, ha familiarità con lo stadio attuale della Leben-Jesu-Forschung, della «ricerca sulla vita di Gesù», e tuttavia non sa quanto è l’essenziale, l’autentico! Dobbiamo pregare che Colui, il quale solo ha conoscenza del Cristo vivente, lo Spirito Santo, voglia operare affinché la sacra figura del Signore ci si faccia luminosamente evidente. Che ci avvenga quanto intende Giovanni quando dice: «Abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1, 14).

«Epifania» non solo dello spirito, ma anche del cuore. L’aprirsi degli occhi e insieme l’animo che viene toccato. Allora la figura di Cristo emerge dalle pure e semplici espressioni che ne parlano. Egli diviene reale, si fa vicino, e tra Lui e noi s’instaura quel legame, che significa obbedienza, fedeltà, fiducia, accordo e si chiama «fede». Fede reale e non un semplice «tener-per-vero», che è l’ordine esterno, mentre la fede reale è la chiarezza nello spirito, l’esser toccati nel cuore, la coscienza viva della realtà santa e sacra. E ciò che solo Dio può dare, ma noi dobbiamo pregarlo di concedercela.

Sarebbe questa la seconda cosa che possiamo fare in Avvento.

Credo però che dobbiamo aggiungerne una terza, esercitare l’amore. Non si può conoscere Cristo come si conosce una persona qualsiasi della storia, ma solo da quella profondità interiore che nell’amore si ridesta.

Forse si obietterà: Che cosa dici ora? Che si possa conoscere Cristo soltanto se lo si ama – ma come debbo amarLo se non so ancora nulla di Lui? E’ giusto – sebbene invero l’amore abbia molti gradi, e già nella prima ricerca possa essere amore, in quanto è più di un mero voler sapere. Ma lasciamo stare questo aspetto e pensiamo che è amore verso Cristo il nostro quando amiamo i suoi fratelli. San Giovanni nella sua prima lettera dice: «Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (Gv 4, 20).

In questi giorni dunque vogliamo esercitare l’amore, perché ci si aprano gli occhi a scorgere Cristo. Vogliamo farlo dove ci troviamo, in rapporto alle persone con cui viviamo: dare loro il diritto d’essere così come sono; accoglierle continuamente e vivere con loro in amicizia… Da quest’ambito prossimo attorno a noi, la nostra famiglia, la cerchia degli amici nostri, la nostra professione, poi l’amore si dilata a coloro che stanno più lontano, a seconda del modo in cui la vita ci porta appresso il loro essere e il loro bisogno.

Queste tre cose sono strettamente congiunte.

Dapprima il cercare e pensare e leggere, affinché il nostro sapere su Cristo si arricchisca. Infine, interroghiamoci dunque onestamente: che è tutto quel che leggo nel corso d’una settimana? Quanto di ciò è superfluo? Quanto inutile? E quanto tempo dedico a libri che parlino di quanto è più importante? Se ci interroghiamo con serietà e rispondiamo con lealtà, probabilmente ci vergogneremo.

La seconda cosa è chiedere a Dio che ci illumini. A questo bastano le parole più semplici. Ma se vogliamo testi colmi di energia divina, sono a nostra disposizione, pensiamo soltanto ai due stupendi inni Veni, Creator Spiritus e Veni, Sancte Spiritus, entrambi contenuti nel Messale.

La terza cosa è per noi aprire la strada all’illuminazione con l’esercitare l’amore. Non in pure parole, ma sul serio; non in sentimenti, ma nell’agire.

L’Avvento reale sorge dall’intimo. Dall’intimo del cuore umano credente e soprattutto dalla profondità dell’amore di Dio. Ma dobbiamo preparare la via al suo amore. Non per nulla nel Vangelo della Messa della quarta domenica d’Avvento appare la figura del Precursore, e la «voce di uno che grida nel deserto» risuona: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» (Lc 3, 4-6).


[1] Einlenchten = «evidenziarsi», letter. «illuminare da dentro» (n.d.t.).

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Celebri il Natale se Gesù nasce nel tuo cuore

Posté par atempodiblog le 25 novembre 2022

Celebri il Natale se Gesù nasce nel tuo cuore
Tratto da: Desiderio d’infinito. Vangelo per la vita quotidiana, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

Celebri il Natale se Gesù nasce nel tuo cuore dans Avvento Ges-fai-del-nostro-cuore-la-Tua-culla

[...] Il tempo di Avvento [...] è un periodo liturgico di quattro domeniche che ci prepara al Natale. Il mese di dicembre è vissuto freneticamente dall’intera società e noi rischiamo di passare accanto al mistero del Natale senza neppure sfiorarlo.

Ogni Natale è un avvenimento di grazia. Non è il semplice ricordo della venuta di Gesù nel mondo. E’ il mistero dell’incarnazione che si prolunga nella storia e nella vita di ogni uomo.

Tu vivi il Natale se Dio nasce nel tuo cuore. Tu sei quella culla nella quale Maria desidera deporre il piccolo Gesù. Se non si verifica questo grande avvenimento di grazia della nascita del Figlio di Dio nel tuo cuore, anche questo Natale sarà passato invano.

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Esperienze ordinarie di Paradiso

Posté par atempodiblog le 1 novembre 2022

Esperienze ordinarie di Paradiso
Tratto da: Il Paradiso, di Padre Livio Fanzaga – Edizioni Ares

Esperienze ordinarie di Paradiso dans Fede, morale e teologia Festa-di-tutti-i-santi

Il paradiso è ciò che l’uomo desidera dal profondo del suo cuore. E’ la ragione per la quale è stato creato. E’ il fine ultimo della vita. E’ l’approdo della tormentata navigazione nel mare del tempo. Il golfo di luce del paradiso dà senso alle fatiche e alle traversie affrontate. Ogni uomo nasce crocifisso. Senza la gloria della resurrezione e la beatitudine eterna la vita avrebbe l’amaro sapore di una beffa. Se la vita è dolore, come insegnano l’esperienza e la saggezza dei popoli, che senso avrebbe se finisse, come osservava Pascal, con un paio di badilate di terra sulla fatidica bara? L’attesa del paradiso ha una sua logica razionale. Non è solo un desiderio insopprimibile, ma un postulato della ragione. Senza la prospettiva della vita eterna non varrebbe neppure la pena incominciare l’estenuante traversata. Il tentativo patetico di chi colloca il paradiso su questa terra per motivare la fatica di vivere, altro non è che una pietosa bugia, come l’ultima sigaretta offerta al condannato prima di sistemarsi sulla sedia elettrica. Il paradiso è l’unica risposta ragionevole e accettabile alla domanda che senso abbia una vita flagellata dal male e dalla sofferenza e votata inesorabilmente alla morte.

Il desiderio del paradiso ha una sua razionalità. E’ radicato profondamente nella natura umana nella quale si riflette l’ immagine divina. L’uomo, creato capace di Dio, è stato ordinato fin dal principio al paradiso. L’ Eden originario, dove l’uomo godeva della divina amicizia e di doni straordinari, prima fra tutti quello dell’immortalità, è una profezia del paradiso. La condizione esistenziale dei progenitori dell’umanità era un’attesa della beatitudine eterna. Non c’è da meravigliarsi che le tematiche connesse al paradiso attraversino le culture più diverse. Senza il paradiso, quello vero, che la Parola di Dio ci ha rivelato, la vita umana sarebbe un’ombra subito dissipata e lo stesso cammino storico dell’umanità sarebbe un correre inutile verso il nulla. Il Paradiso è necessario perché la vita umana abbia un senso e la storia uno sbocco. Come il mondo ha bisogno di un Dio creatore per essere razionale e intelligibile, così il mistero della nostra esistenza, assediata dal dolore e dalla morte, ha bisogno della speranza della vita eterna per essere sopportabile.

La ragione può ipotizzare l’esistenza di una felicità ultraterrena a partire dalle considerazioni sulla natura umana, orientata alla trascendenza, e sui desideri del cuore impregnati di infinito. Ma è la Parola di Dio che afferma esplicitamente che l’uomo è stato creato per il paradiso. Nel mirabile affresco, nel quale delinea il grandioso piano della creazione e della redenzione, S. Paolo così si esprime: “In lui (Cristo) ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi, mediante Gesù Cristo, secondo il disegno di amore della sua volontà” (Ef 1, 4-5). Per l’apostolo c’è una vera e propria predestinazione dell’uomo al paradiso, dove gli uomini sono figli adottivi di Dio in Cristo Gesù. Il Padre crea ogni uomo mediante Gesù Cristo e in vista di Lui, perché sia santo e immacolato davanti a Lui nella carità.

Il fine per cui Dio crea gli uomini è la gloria del cielo. Il catechismo tradizionale sintetizzava l’insegnamento millenario della Chiesa con parole di una semplicità disarmante. “Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e per goderlo per sempre nell’altra in paradiso”. La dottrina cattolica ha rigettato l’opinione di Calvino sulla doppia predestinazione, come se Dio creasse gli uomini alcuni per il paradiso e altri per l’inferno (cfr Institutio, 3.221.5). E’ aberrante per il concetto stesso di divinità, come per la dignità dell’uomo creato libero, che Dio decida con un decreto eterno che alcuni siano predestinati alla vita eterna e altri alla dannazione eterna. L’amore di Dio ha creato gli angeli e gli uomini perché partecipino alla gloria e alla gioia della Santissima Trinità. Il raggiungimento della meta è un dono di grazia, ma passa attraverso la libera scelta di ognuno. Decidersi per il paradiso è dunque ciò che l’uomo deve fare nel tempo della vita perché raggiunga il suo fine ultimo.

Non solo l’uomo è creato per il paradiso, ma lo sperimenta già qui sulla terra, grazie al dono dello Spirito Santo. La presenza dello Spirito nel cuore dell’uomo fa sì che il desiderio della felicità eterna si faccia strada nel groviglio dei desideri carnali e tenga viva la speranza della luce anche nei momenti più oscuri. Lo Spirito Santo è l’amore di Dio diffuso nei nostri cuori. La sua azione intima e silenziosa fa pregustare, nel tempo del pellegrinaggio, la gioia del cielo, acuendone sempre più il desiderio. La certezza del paradiso proviene indubbiamente dall’atto di fede, che crede fermamente nella divina rivelazione, in particolare alle parole di Gesù al riguardo. Tuttavia la verità della fede è confortata dall’esperienza della vita cristiana, che, in quando avvolta dall’amore di Dio e dalla sua grazia, fa pregustare la felicità del cielo. Dio, nella sua sublime sapienza nel guidare le anime, le infiamma per il paradiso facendo pregustare quella che S. Paolo chiama la “caparra” della vita eterna.

“In Lui (Cristo) siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà –a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo, che era stato promesso, il quale è la caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria” (Ef 1, 11-14). Nella visione paolina, prima di conseguire la completa redenzione in cielo, il cristiano può già sperimentare su questa terra un “anticipo” (“caparra”) della gloria e della gioia future. Non si tratta un dono particolare riservato ad alcune anime privilegiate, ma della normalità della vita cristiana, in quanto permeata e guidata dallo Spirito Santo (cfr Rm 8, 14- 17).

Tuttavia l’esperienza del paradiso può anche assumere il significato di una grazia particolare, che Dio concede, in determinati momenti della loro vita, a delle anime privilegiate. Al riguardo assumono uno straordinario valore le esperienze mistiche di alcuni santi, che Dio concede non solo come dono personale, ma anche per la edificazione del popolo cristiano. Si tratta indubbiamente di esperienze straordinarie, che però confermano la vita cristiana ordinaria vissuta sotto la guida dello Spirito. L’anima sposa, accesa dall’amore di Dio, vorrebbe sciogliere i vincoli della carne per poter unirsi subito a  Cristo sposo. La vita sulla terra appare un esilio insopportabile e la morte una liberazione. “Mòro perché non moro” (“Muoio perché non muoio”) recita il celebre ritornello di una poesia di S. Teresa d’Avila. “ Morte, orsù, dunque, affrettati, scocca il tuo dardo d’oro! Quella che in ciel tripudia, quella è la vira vera; ma poiché invan raggiungerla, senza morir, si spera, morte, crudel non essere, dammi il il Tesor che imploro!” (S. Teresa d’Avila – Poesie- Desiderio del Cielo).

Non bisogna tuttavia pensare che i mistici abbiano trascorso l’intera vita in questa continua tensione amorosa. Anche loro hanno avuto momenti, a volte lunghi, di oscurità e di aridità. Dio conduce le anime non solo con infinita sapienza, ma anche con straordinaria dolcezza. Ciò che Dio concede come dono straordinario ad alcune anime, non lo nega come esperienza ordinaria a tutte quelle anime che aprono il cuore al suo amore. Non c’è anima aperta ai tocchi della grazia nella quale Dio non versi qualche goccia del suo amore purissimo. Si tratta di momenti speciali, che sono delle vere e proprie perle preziose da conservare gelosamente nel segreto del cuore lungo il cammino della vita. Quando si è sperimentata, anche per un solo istante, la dolcezza del paradiso non la si dimentica più.

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Difendere la propria reputazione? Ecco cosa ci dice san Francesco di Sales

Posté par atempodiblog le 9 juin 2022

Difendere la propria reputazione? Ecco cosa ci dice san Francesco di Sales
Fonte: La divinizzazione della sofferenza di padre Adolphe Tanquerey, Verona 2021, pp.111-112
Tratto da: Il Cammino dei Tre Sentieri

Difendere la propria reputazione? Ecco cosa ci dice san Francesco di Sales dans Fede, morale e teologia San-Francesco-di-Sales

A volte stimiamo la nostra reputazione anche più della salute e dei beni temporali.

E’ certo doveroso vigilare su di essa ed evitare qualunque cosa che possa danneggiarla o diminuirla: la stima degli altri è un bene utile non solo per noi stessi, ma per esercitare un’influenza legittima intorno a noi.

Tuttavia, Dio consente in alcuni casi che, senza colpa da parte nostra, perdiamo questa buona fama.

(…)

La ragione risiede nel fatto che l’umiltà è una delle virtù più eccellenti e il fondamento del nostro edificio spirituale, specialmente quando è praticata per amore di Dio.

Questa è la ragione per cui i santi accettarono di perdere la loro reputazione e quando si videro calunniati risposero con san Francesco di Sales: “Non dicono che questo soltanto? Oh! Davvero non sanno tutto; mi lusingano, mi risparmiano; vedo che mi considerano meglio di me. Dio sia benedetto! Dobbiamo correggerci; se non merito di essere umiliato in questo, lo merito in molte altre cose; è sempre per gran misericordia che io sia trattato così benevolmente.”

Il santo però aggiunge: “Nondimeno, faccio eccezione per alcuni crimini, così atroci e infami che nessuno dovrebbe subirne calunnia, qualora ne sia davvero colpevole; senza contare che dalla buona reputazione – o viceversa dalla cattiva fama  di alcune persone dipende spesso l’edificazione o lo scandalo di molti. In questi casi, bisogna a buona ragione badare a riparare il torto ricevuto”.

Tale era la condotta del Santo: voleva che la dignità episcopale fosse rispettata nella sua persona e si giustificava da certe calunnie che avrebbero compromesso il suo ministero.

A parte questo, mai cercò di scusarsi o giustificarsi.

Per riuscire meglio in questi propositi, egli patì ogni umiliazione o affronto per amore di Gesù rimettendo a Lui la custodia della propria fama.

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Una fede fatta di prove

Posté par atempodiblog le 24 avril 2022

L’apostolo Tommaso dubita della parola degli amici
Una fede fatta di prove: altro che fede che debba fare a meno del vedere e del toccare!
Tratto da: Qual è la vera fede cattolica? – Di Corrado Gnerre. – Edizioni: Fede & Cultura

Una fede fatta di prove dans Commenti al Vangelo L-incredulit-di-Tommaso

«Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente!”. Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”» (Gv 20,26-29).

L’apostolo Tommaso dubita della parola degli amici. Questo episodio viene solitamente utilizzato, nella catechesi moderna, per affermare che la vera fede sia quella che prescinda totalmente dai segni, cioè dal vedere e constatare. In realtà questa traduzione non è fondata.

Il noto biblista Ignace de la Potterie (1914-2003) afferma che nell’originale greco il verbo è all’aoristo (pisteusantes) e che anche nella versione latina era messo al passato (crediderunt).

Per cui la frase deve essere così tradotta: “Beati coloro che senza aver visto (senza aver visto me direttamente), hanno creduto”.

Dunque, Gesù rimprovera Tommaso non perché vuol vedere, ma perché non si è fidato di coloro che già avevano visto. Altro che fede che debba fare a meno del vedere e del toccare!

Divisore dans San Francesco di Sales

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Giudizi temerari/ Imprudenza e leggerezza nel giudicare un’azione e temerarietà nel voler giudicare il cuore

Posté par atempodiblog le 6 février 2022

Giudizi temerari/ Imprudenza e leggerezza nel giudicare un’azione e temerarietà nel voler giudicare il cuore
Tratto dal commento di padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, al libroEsercizio di perfezione e di virtù cristiane” di padre Alfonso Rodriguez S.J.

Giudizi temerari/ Imprudenza e leggerezza nel giudicare un’azione e temerarietà nel voler giudicare il cuore dans Fede, morale e teologia sant-Alfonso-Rodriguez-sj

Per quanto riguarda il giudizio: questo può riguardare o l’azione che uno compie oppure la sua intenzione. Come sappiamo, quando Cristo ci ha proibito di giudicare l’intenzione delle persone è perché il cuore è noto soltanto a Dio. Per quanto riguarda l’azione in sé per sé considerata, per es. vediamo una persona che uccide un’altra persona, anche per quanto riguarda l’azione bisogna agire con molta prudenza. Bisogna effettivamente non precipitarsi nel giudizio, ma avere tutti gli elementi necessari. La temerarietà può riguardare sia l’azione in se stessa in quanto noi non sappiamo giudicare con oggettività, per cui molte volte esprimiamo giudizi a partire da dati assolutamente insufficienti, per cui se vediamo una persona in giro a mezzanotte pensiamo “chissà dove va… invece, può darsi, sia andata a trovare un povero, non bisogna essere precipitosi ed imprudenti e di valutare bene la materia in se stessa, sia l’intenzione nota soltanto a Dio, perché soltanto Lui vede nel fondo dei cuori.

Mi ricordo sempre la morte del povero cardinale Daniélou, grande uomo di Chiesa, che era andato a trovare una povera ex prostituta abbandonata (lui era solito fare questi gesti di grandissima carità) e quando arrivò al sesto piano, dopo aver salito tutte le scale a piedi, morì d’infarto. Ebbe un infarto arrivato in cima. Ecco il giudizio temerario, subito c’era chi diceva: “perché era là?”, “cosa faceva là?, “quella era una prostituta!… E giù giudizi a più non posso. Si trattava, invece, di uno squisitissimo atto di carità.

Si chiamano giudizi temerari in quanto c’è una temerarietà, quindi un’imprudenza e una leggerezza nel giudicare un’azione e c’è anche una temerarietà di voler giudicare il cuore e a noi l’intenzione sfugge. [...]

I giudizi temerari già son tali quando si consumano nel nostro cuore, se poi vengono manifestati ad altri assumono una gravità maggiore, cioè la gravità della diffamazione, della calunnia e perciò, diceva il nostro autore, i teologi ci ammoniscono che bisogna guardarsi dal manifestare ad altri tali giudizi o sospetti quando si presentano alla mente per non essere causa agli altri dello stesso sospetto o confermarveli nel caso li avessero già avuti. Tale è infatti la nostra perversa inclinazione che degli altri crediamo più facilmente il male che il bene. Poi abbiamo visto che questo atteggiamento del giudicare temerariamente oltre che offendere il prossimo, offende anche Dio che si è riservato il diritto di giudicare. La persona santa non giudica mai: scusa, compatisce e prega.

S-Alfonso-Rodriguez-gesuita dans Libri

Dei giudizi temerari
Tratto da: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane di padre Alfonso Rodriguez S.J.
Proprietà riservata alla Società Editrice Internazionale di Torino
Torino, 1931
Scuola Tipografica Salesiana Via Cottolengo, 32

CAPO XV
Dei giudizi temerari; e si dichiara in che consista la malizia e gravezza di essi (da pag. 147 a p. 149)

1) I giudizi temerari sono contrari alla carità;
2) Perché si infama il prossimo nel nostro cuore;
3) Altro averli, altro ammetterli;
4) E un usurpare la giurisdizione di Dio;
5) Specie se si giudica l’interno altrui.

1) «E tu, dice l’Apostolo S. Paolo, perché giudichi il tuo fratello, o perché disprezzi il tuo fratello?» (Rom. 14, 10). Fra le altre tentazioni colle quali il demonio, nemico del nostro bene, ci suole far guerra, una, e molto principale, è il metterci nella mente giudizi o sospetti contro i nostri fratelli, acciocché, levando da noi la buona opinione che di essi abbiamo, ne levi insieme l’amore e la carità, o almeno ci faccia raffreddare in essa. Per la medesima ragione abbiamo noi altri da procurare di resistere con molta diligenza a questa tentazione, tenendola per molto grave; poiché tocca un tasto tanto principale e delicato, quanto è la carità. Così ce ne avverte S. Agostino (S. Aug. De amicit. l. 2, c. 24): Se ti vuoi conservare in amore e carità coi tuoi fratelli, egli dice, prima d’ogni altra cosa bisogna che ti guardi molto dai sinistri giudizi e sospetti; perché questi sono il veleno della carità. E S. Bonaventura (S. BONAV. Stim. amor. p. 3, c. 8) dice: Una peste sono questi giudizi, occulta e segreta, ma gravissima, la quale scaccia lontano da sé Dio e distrugge la carità dei fratelli.

2) La malizia e gravezza di questo vizio consiste nell’infamare una persona il suo prossimo entro se stessa, disprezzandolo e stimandolo meno, e dandogli un basso e disonorevole luogo entro il suo cuore, per indizi leggieri e a ciò fare non bastevoli. Nel che fa torto ed ingiuria al suo fratello; e tanto sarà maggiore la colpa in questo, quanto la cosa della quale uno giudica il suo fratello sarà più grave e gl’indizi meno sufficienti.

Si potrà ben comprendere la gravezza di questa colpa da un’altra simile. Se tu lacerassi la fama del tuo fratello presso d’un altro, facendo che quel tale perdesse il buon concetto e la buona opinione che prima aveva di lui, e così presso d’un tale venissi ad infamarlo, ben si vede che sarebbe questo un grave peccato. Or questo medesimo torto ed ingiuria gli fai col torgli presso di te, senza cagione e senza bastanti indizi, quel buon concetto e quella buona opinione che avevi tu di lui; perché tanto stima il tuo fratello l’essere in buona riputazione presso di te, quanto l’essere nella medesima presso qualunque altro. E in causa propria potrà ben ciascuno conoscere qual grave torto ed ingiuria fa egli in questo al suo prossimo. Non t’aggraveresti tu, che uno ti tenesse per tale, senza che n’avessi dato motivo bastante? Or così viene aggravato da te quell’altro col giudicarlo tu per tale. Misuralo da te stesso; ché questa è la misura della carità col nostro prossimo e della giustizia ancora.

3) È però qui da avvertirsi che l’esser tentato di giudizi temerari è una cosa, e l’esser vinto dalla tentazione di essi è un’altra. Come siamo soliti di dire nelle altre tentazioni, che l’aver tentazioni è una cosa, e un’altra è l’esser vinto e il consentir in esse; e diciamo che non sta il male nella prima, ma nella seconda cosa; così qui non sta il male nell’esser uno molestato da pensieri di sinistri giudizi e sospetti; sebbene sarebbe meglio che avessimo tanta carità e amore verso i nostri fratelli, tal concetto di essi e tanta cognizione dei nostri propri difetti, che non si risvegliasse in noi il pensiero dei difetti altrui: ma finalmente, come dice S. Bernardo (S. BERN. De inter. domo, c. 8, n. 15), «non sta la colpa nel senso, ma nel consenso» e nell’esser vinto dalla tentazione; ed allora dice uno esser vinto dalla tentazione dei giudizi temerari, quando deliberatamente consente in essi, e per mezzo di quelli perde la buona opinione e il buon concetto che aveva del suo fratello, e non lo stima più come faceva prima; anzi entro se stesso lo disprezza, secondo le parole sopra citate dell’Apostolo S. Paolo.

E in tal caso, quando si confessa, non ha da dire che gli sono venuti nella mente giudizi temerari contro il suo fratello; ma che ha consentito in essi e che è stato vinto dalla tentazione. E avvertono qui i teologi, che la persona si deve grandemente guardare di comunicar ad un altro il giudizio, o sospetto cattivo, che gli è venuto in mente del suo prossimo; acciocché non sia cagione che l’altro venga ad ammettere il medesimo giudizio e sospetto, o a confermarsi in quello, che forse gli era già venuto prima nella mente; perché è tanto cattiva la nostra inclinazione, che più facilmente crediamo il male dell’altro che il bene. Ed anche avvertono che nel confessarsi non deve uno manifestar la persona contro la quale ha avuto in mente il giudizio, come né anche la persona della quale si sia offeso per la tale o tal cosa che fece; acciocché non venga con questo a ingenerare a di lei pregiudizio nel confessore qualche cattivo sospetto, o qualche mal concetto. La circospezione e la cura che i dottori e i Santi vogliono che abbiamo dell’onore e della buona opinione del nostro prossimo è tanto grande; e tu vuoi per certi leggieri indizi levargli il buon concetto e la riputazione in cui era presso di te, e in cui ha naturale ragione e diritto di essere presso di tutti, mentre le sue azioni non fanno sufficiente testimonianza del contrario?

4) Oltre l’ingiuria e il torto che in questo si fa al prossimo, contiene in sé questo vizio un’altra malizia e ingiuria grave contro, Dio; che è usurpare la giurisdizione e il giudizio che unicamente è proprio del medesimo Dio, contravvenendo a quello che dice Cristo nostro Redentore, come si legge nel Vangelo: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati» (Lc 6, 37). S. Agostino (S. AUG. De serm. Dom. in monte, l. 2, c, 18) dice che il Signore proibisce qui i giudizi temerari, quali sono giudicar l’intenzione del cuore, od altre cose incerte ed occulte: perché Dio riservò a sé la cognizione di queste cause; e così comanda che noi non c’ingeriamo in esse. L’Apostolo S. Paolo dichiara questa cosa più in particolare scrivendo ai Romani: «Chi sei tu che condanni il servo altrui? Egli sta ritto o cade per il suo padrone» (Rom. 14, 4). Il giudicare è atto di superiore: quest’uomo non è tuo suddito: ha padrone lascialo giudicare a lui; non usurpar tu la giurisdizione di Dio. «Per la qual cosa non vogliate giudicare prima del tempo, fintantoché venga il Signore, il quale rischiarerà i nascondigli delle tenebre e manifesterà i consigli del cuore; e allora ciascheduno avrà lode da Dio» (1Cor 4, 5). Questa è la ragione che adduce l’Apostolo S. Paolo del non dover noi giudicare in simili cose; perché queste sono cose incerte ed occulte, che appartengono al giudizio di Dio; e così colui che s’intromette in giudicar queste cose usurpa la giurisdizione e il giudizio che unicamente appartengono a Dio.

5) Nelle Vite dei Padri (De vit. patr. 1. 5, lib. 9, n. 11) si racconta di uno di quei monaci, che con alcuni indizi che vide, o udì, giudicò malamente di un altro monaco, e subito sentì una voce dal cielo che gli disse: Gli uomini si sono ribellati, e hanno usurpato il mio giudizio, e si sono ingeriti nella giurisdizione altrui. E se diciamo questo, e lo dicono i Santi ancora, delle cose che hanno qualche apparenza di male; che sarà di coloro che ancora le cose per se stesse buone le interpretano sinistramente, giudicando che si facciano con mala intenzione e per fini umani? Questo è più propriamente usurpare la giurisdizione e il giudizio di Dio; poiché ancora dentro i cuori degli uomini si vuole entrare e giudicar le intenzioni ed i pensieri occulti; il che è proprio solamente di Dio. «Vi siete fatti giudici di pensamenti ingiusti», dice l’Apostolo S. Giacomo (Gc 2, 4); e il Savio aggiunge che questi tali si vogliono far indovini, giudicando quel che non sanno e non possono sapere (Prov 23, 7).

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L’acqua cambiata in vino/ “Maria può ottenere qualsiasi grazia”

Posté par atempodiblog le 15 janvier 2022

L’acqua cambiata in vino
di Padre Livio Fanzaga – La pazienza di Dio. Vangelo per la vita quotidiana, Ed. Piemme

L’acqua cambiata in vino/ “Maria può ottenere qualsiasi grazia” dans Commenti al Vangelo Nozze-di-Cana

Maria intercede presso Gesù
Hai notato con quale ardita autorità la madre si rivolge al Figlio, “costringendoLo” in un certo senso ad anticipare l’ora dei miracoli e della sua manifestazione al mondo? Con questo episodio Dio ha voluto mostrarci quanto sia grande l’intercessione di Maria presso il suo cuore.

Maria non è la fonte delle grazie, ma è Colei che può ottenerci qualsiasi grazia. Il suo potere sul cuore del Figlio non conosce limiti. Non chiedere grazie a Dio pregando da solo, ma fallo con Maria e attraverso di Lei. Qualsiasi cosa chiederai in unione con Lei, animato dalla sua stessa fede, la otterrai.

Maria ci insegna l’audacia nel chiedere. Con Maria domanda a Dio anche ciò che alla mediocrità della tua carne potrebbe sembrare impossibile. Non esitare a chiedere insieme a Lei la grazia della santità e della vita eterna. Se sapessi quanto è felice di intercedere per te e di esaudirti, al di là di ogni tua ragionevole attesa!

La sollecitudine materna di Maria
Il vangelo ci svela un aspetto toccante della sollecitudine materna di Maria. Lei si preoccupa della buona riuscita del banchetto degli sposi, senza che questi si accorgano di nulla. La Madre di Gesù è anche Madre nostra e, come ogni madre, si da pensiero dei figli, anche quando essi non pensano a Lei e forse neppure sanno se esista.

Quante persone al mondo conoscono nulla di Maria. Persino non pochi battezzati la ignorano, ma Lei si occupa di ogni uomo, nessuno escluso, con pari amore e dedizione. Ama ognuno come se fosse il suo unico figlio e fa tutto il possibile perché ogni uomo si salvi e sia con Lei in Cielo.

Ripensa alla tua vita e soffermati su quei momenti in cui ti è sembrato che una mano misteriosa ti proteggesse e ti sostenesse lungo il cammino. Tu forse allora eri lontano dalla Madre, ma Lei era vicino a te e non cessava, neppure per un momento, di guidarti con mano forte e sicura.

Divisore dans San Francesco di Sales

“Maria può ottenere qualsiasi grazia”
di Padre Livio Fanzaga – Radio Maria

Cari amici, l’intercessione di Maria ha tutte le caratteristiche dell’amore materno. Non chiede soltanto ciò che è necessario, ma anche ciò di cui potremmo fare a meno.

Era forse così necessario il vino delle nozze di Cana, dopo che i convitati avevano già terminato la razione prevista? La Madonna però non ha voluto che un piccolo disguido offuscasse la gioia di un banchetto. La Madre chiede anche le piccole cose che possano far felici i suoi figli.

Se la Madonna può ottenere qualsiasi grazia dal cuore di Gesù, non sarebbe stolto da parte nostra  presumere di fare a meno di una così potente intercessione?

Se avessimo l’umiltà di essere suoi figli, accettandola come madre, e non esitassimo a ricorrere a Lei in ogni nostro necessità, potremmo ottenere qualsiasi grazia di cui abbiamo bisogno. Rivolgiamoci alla Madre con la stessa fiducia con cui Lei si rivolge al Figlio. Nessuna grazia ci sarà preclusa.

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Il particolare ruolo che Dio ha assegnato a Maria Vergine negli ultimi tempi

Posté par atempodiblog le 25 novembre 2021

Escatologia e apparizioni mariane
Il particolare ruolo che Dio ha assegnato a Maria Vergine negli ultimi tempi
Tratto da: Il tempo dei segreti. A Medjugorje la Madonna ha deciso di cambiare il mondo. Di Padre Livio Fanzaga con Diego Manetti. Ed. PIEMME

Il particolare ruolo che Dio ha assegnato a Maria Vergine negli ultimi tempi dans Anticristo UKEM8201

[…] veniamo ora al rapporto tra storia della salvezza e apparizioni mariane, in particolare quelle moderne, per introdurre le quali prendo lo spunto da quanto scrive il Montfort nel suo già citato Trattato:

«Maria ha prodotto, con lo Spirito Santo, la cosa più grande che vi sia stata e vi sarà mai, che è un Dio-Uomo, e produrrà di conseguenza le cose più grandi che vi saranno negli ultimi tempi. La formazione e l’educazione dei grandi santi che vi saranno verso la fine del mondo è riservata a Lei» (n.35);

«Maria deve essere terribile al diavolo e ai suoi seguaci come un esercito schierato in battaglia, specialmente in questi ultimi tempi, poiché il
diavolo, ben sapendo che gli rimane poco tempo, e molto meno che mai, per perdere le anime, raddoppia ogni giorno i suoi sforzi e i suoi combattimenti; susciterà presto crudeli persecuzioni e tenderà terribili insidie ai servi fedeli e ai veri figli di Maria, che egli vince più difficilmente degli altri (n.50);

«Ma il potere di Maria su tutti i diavoli risplenderà particolarmente negli ultimi tempi, quando satana tenderà insidie al suo calcagno, cioè ai suoi umili schiavi e ai suoi figli poveri che Ella susciterà per fargli guerra» (n.54).

Da queste citazioni si evince chiaramente il particolare ruolo che, secondo il Montfort, Dio ha assegnato a Maria Vergine negli ultimi tempi. Se consideriamo poi che il Trattato, pur scritto nel 1712, è stato pubblicato solo nel 1842, comprendiamo lo stretto rapporto con apparizioni di poco precedenti: nel 1830, infatti a Rue du Bac, Parigi, la Madonna appare a Caterina Labouré (1806-1876) nella visione della «medaglia miracolosa», la principale delle quattro apparizioni avute dalla religiosa. Che così descrive proprio quella del 27 novembre:

«Stava in piedi… i piedi poggiavano sopra un globo, o meglio, sopra un mezzo globo, o almeno io non ne vidi che una metà (in seguito Caterina dirà dl aver visto anche un serpente di colore verdastro e chiazzato di giallo, sotto i piedi della Vergine, N.d.R.). In quel momento… ecco formarsi intorno alla Santissima Vergine un quadro piuttosto ovale, sul quale si leggevano queste parole scritte a lettere d’oro: O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi».

Questi simboli della medaglia hanno un significato ben preciso: la lettera M è l’’iniziale del nome Maria, la lettera I è l’iniziale del nome Iesus (Gesù). ti cuore circondato da spine è di Gesù; l’altro, trapassato da una spada, è di Maria.

La Madonna sì presenta dunque come l’Immacolata  di fatto anticipando il relativo dogma proclamato da Pio IX nel 1854 e “confermato” nel 1858 dalle apparizioni dell’Immacolata Concezione a Lourdes  che esorta gli uomini alla conversione, mettendoli in guardia dalle perverse trame sataniche. Una missione che viene ribadita fino alle odierne apparizioni di Medjugorje dove la Vergine si presenta come Regina della Pace ma altresì promette il trionfo del Suo Cuore Immacolato:

«Cari figli , adesso come mai prima, satana desidera sedurre più gente possibile sul cammino della morte e del peccato. Perciò, cari figli, aiutate il mio Cuore Immacolato affinché trionfi in un mondo di peccato» (25 settembre 1991).

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Il Giappone cristiano tra santi, martiri e samurai

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2021

Il Giappone cristiano tra santi, martiri e samurai
Dall’arrivo di san Francesco Saverio ai martiri di Nagasaki, dai due secoli e mezzo di epopea dei cristiani nascosti fino ai giorni nostri con i missionari di padre Kolbe e la venerabile “Maria delle Formiche”. Gabriele Di Comite ripercorre la storia del Giappone cristiano nel saggio Santi, martiri e samurai.
di Fabio Piemonte – La nuova Bussola Quotidiana

Il Giappone cristiano tra santi, martiri e samurai dans Articoli di Giornali e News santi-martiri-e-samurai-storia-del-Giappone-cristiano

Il Giappone è una terra di santi, martiri e samurai. Il cristianesimo comincia ad affermarsi nell’isola soltanto dal 1549 con l’arrivo di san Francesco Saverio (†1552) e di altri missionari che, giunti contestualmente alle navi dei commercianti portoghesi, in pochi decenni e pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane, contribuiscono alla conversione alla fede cattolica di oltre 600.000 persone, tra le quali anche signori feudali, guerrieri e monaci buddisti. Seguono due secoli e mezzo di atroci persecuzioni che causano la morte di oltre 5.000 credenti, durante i quali si forma il popolo dei “cristiani nascosti”, custodi in clandestinità di una fede senza sacerdoti, né chiese, né sacramenti.

La storia del Giappone cristiano è raccontata in maniera avvincente e attraverso una narrazione particolarmente documentata da Gabriele Di Comite nel suo recente saggio Santi, martiri e samurai (La Fontana di Siloe 2021, pp. 308).

«Io mi sento animato da un tal sentimento nel cuore circa l’andata al Giappone, che non sarei per mutar pensiero, né pur quando di certo sapessi di dovermi trovar in pericoli assai maggiori […]. Tanta è la speranza che […] Iddio stesso m’ha posta in cuore di propagare la Religion Cristiana». Francesco Saverio scrive così a Ignazio di Loyola riguardo al suo zelo apostolico nel Paese del Sol Levante. Egli si muove in un contesto difficile sia per la lingua particolarmente ostica, sia per le lotte intestine tra i signori feudali (daimyō) dei diversi territori. Eppure riesce, attraverso la strada della bellezza, ossia donando un dipinto di una Madonna con il Bambino a uno di costoro, a ottenere l’autorizzazione per predicare il Vangelo a Kagoshima. Di lì, poi, la città di Yamaguchi diventerà la sede generalizia dei gesuiti. Questo non senza essere osteggiato dai bonzi buddhisti, la cui predicazione era tanto radicata sul territorio quanto lontana dalla dottrina cattolica sul piano teologico.

Alessandro Valignano, altro missionario gesuita, constata che per convertire i giapponesi bisogna conoscere e rispettare le loro usanze, adattarsi alle abitudini locali e parlare la loro lingua. Era opportuno insomma che anche i missionari mangiassero su tavoli bassi, seduti su stuoie di tatami e avessero nelle proprie case la sala per la cerimonia del tè. Allievo di Valignano, Matteo Ricci sposa il suo metodo d’inculturazione della fede.

Accanto ai gesuiti vi sono anche diversi samurai, guerrieri che arrivano a sostituirsi all’aristocrazia nel controllo delle province per la loro forza militare, tra i quali Takayama Ukon. Egli, rinunciando ai privilegi feudali, si adopera in prima persona per la costruzione di chiese, orfanatrofi, ospedali, cimiteri e la diffusione della fede, anche attraverso la trasformazione della stanza della cerimonia zen del tè in eremo cristiano, la fondazione di scuole teologiche e del seminario di Azuchi. «Io non cerco la mia salvezza con le armi ma con la pazienza e l’umiltà, in accordo con la dottrina di Gesù Cristo che io professo», scrive in un messaggio a chi gli veniva incontro in armi, prima di salpare esule nel 1614 per l’attività missionaria nelle Filippine, alla cui comunità dona una statua della Madonna del Rosario. Soprannominato “Giusto Takayama” e “samurai di Cristo”, è stato un vero martire della fede, riconosciuto come tale già da sant’Alfonso. È stato infatti poi beatificato nel 2017.

Verso la fine del Cinquecento giungono sull’isola anche missionari francescani, domenicani e agostiniani. Il diffondersi della fede cristiana preoccupa però i daimyō, per cui diverse ordinanze ne proibiscono il culto. Ne derivano punizioni esemplari per chi le infrange. Così san Paolo Miki e altri 25 fratelli nella fede, religiosi e laici, spagnoli, portoghesi e giapponesi sono crocifissi a Nagasaki.

Altri cristiani vengono indotti ad apostatare, costretti a calpestare immagini sacre (fumi-e), pena le torture più atroci, «infilzando aghi di metallo sotto le unghie» del reo o calandone il corpo in una fossa a testa in giù dove viene lasciato per giorni, fino alla crocifissione. «Con l’editto del 1641 inizia il periodo del Sakoku», ossia il Giappone diviene un Paese blindato per duecento anni e ai cristiani non resta che professare la propria fede in clandestinità. «Alla scoperta di un cristiano occulto, sarebbe stato punito tutto il villaggio». Di qui, a parte il tentativo isolato di riportare il Vangelo in Giappone del sacerdote siciliano Giovanni Battista Sidoti, per due secoli il Paese rimane senza l’ombra di un sacerdote. Relativamente a tale periodo di bando del cristianesimo, la documentazione storica racconta di 5000 martiri, anche se sono stati di fatto sicuramente molte migliaia di più.

Poi il Giappone conosce l’occidentalizzazione, implementa la rete ferroviaria e il progresso tecnologico, ma vive altresì l’orrore delle due bombe atomiche. Eppure ancora una volta non mancano mirabili testimonianze di fede. I cristiani escono gradualmente dalla clandestinità; soltanto nel 1947 la Costituzione del Paese esplicita la libertà religiosa. Tra le maggiori figure di rilievo del XX secolo basti ricordare il missionario polacco Fra Zeno della Milizia dell’Immacolata di san Massimiliano Kolbe che, insieme alla venerabile Satoko “Maria delle Formiche”, si prodiga per sottrarre gli orfani a un destino di povertà e miseria estrema tra cumuli d’immondizia.

Insomma, sebbene attualmente i cristiani in Giappone siano l’1% e i cattolici lo 0,5% (500.000, di cui solo a Nagasaki il 4,5%), il sangue dei martiri, tra i quali 42 santi e 396 beati, continua a essere seme di nuovi cristiani, «capace di rinnovare e far ardere continuamente lo zelo evangelizzatore» (Papa Francesco).

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Non basta fare il bene

Posté par atempodiblog le 7 novembre 2021

L’obolo della vedova
Non basta fare il bene

Tratto da: Desiderio d’infinito. Vangelo per la vita quotidiana, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

Non basta fare il bene dans Commenti al Vangelo obolo-vedova

La pagina odierna di Vangelo ci mostra due modi profondamente diversi di fare il bene.

Il primo modo, quello dei ricchi che gettano molte monete nel tesoro del tempio per farsi vedere, è condannato da Gesù.
Il secondo, quello di una povera vedova, che vi getta due spiccioli, cioè tutto quanto aveva per vivere, è lodato dal Signore e additato come esempio ai suoi discepoli.

Si tratta di un argomento della massima importanza, perché alla fine della vita ognuno di noi sarà giudicato in base alle opere buone che avrà compiuto. È quindi essenziale che tu comprenda, caro amico, che agli occhi di Dio non è sufficiente fare il bene, ma è necessario compierlo con le giuste disposizioni del cuore.

Anzi, potremmo dire che l’atteggiamento interiore ha un valore decisivo. Se tu fai una grande elemosina, ma col malcelato desiderio che sia conosciuta, lodata e approvata, corri il rischio di avere nessun merito davanti a Dio. Mentre un piccolo atto di carità, che tu compi nel nascondimento e con sacrificio, ottiene da Dio una grande ricompensa.

Il bene va fatto bene, con umiltà e purezza di cuore.

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Questa è la volontà di Dio, che siamo santi

Posté par atempodiblog le 1 novembre 2021

Questa è la volontà di Dio, che siamo santi dans Fede, morale e teologia Santi-amici-di-Dio

Ci sentiamo scossi, e il cuore batte più forte, quando ascoltiamo con attenzione il grido di san Paolo: Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione (1 Ts 4, 3). Oggi, ancora una volta, lo ripropongo a me stesso, lo ricordo a voi e a tutti gli uomini: questa è la volontà di Dio, che siamo santi.

La santità personale
Per dare la pace alle anime, ma una pace vera, per trasformare la terra, per cercare il Signore Dio nostro nel mondo e attraverso le cose del mondo, è indispensabile la santità personale. Nelle mie conversazioni con persone di tanti paesi e dei più diversi ambienti sociali, spesso mi sento domandare: «Che cosa può dire a noi che siamo sposati? E a noi che lavoriamo nei campi? E alle vedove? E ai giovani?».

“Un’unica zuppiera”
Rispondo sistematicamente che ho “un’unica zuppiera” da offrire, e ribadisco che Gesù ha predicato a tutti la buona novella, senza distinzione alcuna. Una sola zuppiera e un solo alimento: Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato, e portare a compimento la sua opera (Gv 4, 34).

Chiamata alla santità
Tutti sono chiamati alla santità, il Signore chiede amore a ciascuno: giovani e anziani, celibi e sposati, sani e malati, dotti e ignoranti, dovunque lavorino, dovunque si trovino.

Frequentare Dio nell’orazione
C’è un solo modo per crescere in intimità e in confidenza con Dio: frequentarLo nell’orazione, parlare con Lui, esprimergli — cuore a cuore — il nostro affetto.

di San Josemaría Escrivá de Balaguer
Tratto da: Amici di Dio. Omelie

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É Gesù Cristo la meraviglia di questo mondo

Posté par atempodiblog le 14 mai 2021

É Gesù Cristo la meraviglia di questo mondo dans Citazioni, frasi e pensieri Ges-Cristo-la-meraviglia-di-questo-mondo

Incominci a conoscere Gesù quando scopri che ti ama. É un’esperienza unica e indimenticabile nella vita di una persona. Quando ti rendi conto che Gesù ti ama, allora comprendi che nessuno lo può fare come Lui. Capita che l’amore degli uomini non ti sfama, non ti fortifica e non ti salva. Nessuna creatura può sottrarre dalla sua solitudine esistenziale un’altra creatura. Con Gesù non è così. Egli abbatte quelle pareti impenetrabili dell’io attraverso le quali nessun uomo può passare. Lui solo può entrare in un cuore e far ascoltare i battiti ineffabili del Suo Amore. Quando una persona scopre di essere amata da Gesù, la sua vita si trasforma in una sorgente perenne di gioia.

Gesù Cristo è una persona di sublime grandezza alla quale nessun altra può essere paragonata. Se guardi a Lui, vedi tutto ciò che di più bello, puro, elevato e santo l’uomo possa desiderare. Ogni sua parola, ogni suo gesto e l’intera sua vita traboccano di grazia e di verità. É Gesù Cristo la meraviglia di questo mondo. Gli uomini prima o poi finiscono inevitabilmente per deludere. Anche i migliori sono alberi a cui non ti puoi appoggiare senza correre il rischio di cadere. Solo in Gesù trovi quell’acqua limpida che placa la tua sete di Assoluto. Solo Lui ti ama per quello che sei.

Tratto da: Cristianesimo controcorrente. Pensieri sul destino dell’uomo, di Padre Livio Fanzaga – San Paolo Edizioni

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