Se un dogma cambia la storia… gli ospedali…

Posté par atempodiblog le 13 octobre 2008

Non è facile capire, per l’uomo moderno, l’incredibile influenza e le conseguenze che può avere avuto in passato sulla vita degli uomini un dogma religioso. Un esempio interessante è l’efficacia operativa che ha avuto nella storia del mondo è il dogma dell’Incarnazione di Dio e della resurrezione dei corpi. Ad esso infatti mi sembra si possa ricondurre l’istituzione tipicamente cristiana e medievale dell’ospedale. Se è vero infatti che la medicina, come scienza, nasce dalla valorizzazione del Logos, tipicamente greca, e biblica, è altresì un fatto che la grecità e le altre culture non hanno mai avuto una attenzione particolare, di tipo caritativo e non solo speculativo, per il corpo debole, sofferente, malato.

La carità cristiana, e solo quella, ha prodotto nei secoli xenodochi, ospizi, misericordie, orfanotrofi, ospedali ed opere pie, dai moti dei pegni ai monti delle doti per le fanciulle senza padre, non solo in nome di Cristo, ma in nome, nel contempo, di una nuova visione teologica del corpo umano. Perché il corpo avesse un ruolo, una attenzione nuova, fu necessario che il pensiero filosofico e teologico cristiano rompesse i ponti con la visione negativa della materia, presente nel mondo greco, e desse al corpo una dignità totalmente altra. Occorreva che il corpo divenisse il tempio di Dio stesso, destinato alla resurrezione eterna. Platone non avrebbe mai accettato la rivoluzione “materialistica” corporale del cristianesimo; avrebbe respinto l’idea di un Dio che prende corpo come pure l’idea che anima e corpo potessero vivere, congiunti, in eterno. Per lui, come poi per gli gnostici, e l’oriente in genere, il corpo era essenzialmente prigione (soma-sema). Tutta la visione greca, e non solo, era essenzialmente cosmocentrica. Per questo “era assurdo che quel corpo che da essi era visto come ostacolo e fonte di ogni negatività e di ogni male, quel corpo dovesse risorgere” (Reale). Dinanzi all’antropocentrismo cristiano, estremamente rivoluzionario, che propone l’uomo come vertice del creato e il corpo come strumento nobile, destinato a risorgere, proposto da san Paolo, i filosofi ateniesi risponderanno con l’interuzione del dialogo. Plotino, che non voleva neppure farsi un ritratto, per disprezzo al suo corpo, sosterrà che l’unica resurrezione possibile è dal corpo, non del corpo, “perché risorgere con un corpo equivale a cadere da un sonno in un altro”, essendo esso, in fondo, solo la prigione, la zavorra, il limite, dell’anima. Analogamente Celso, polemista pagano dei primi secoli, scriverà che “non è in effetti possibile che un corpo completamente corrotto ritorni alla natura originaria e proprio a quella primitiva costituzione dalla quale si è dissolto”, perché Dio potrebbe “sì fornire alla anima una vita eterna, ma ‘i cadaveri’, dice Eraclito, ‘son da buttar via più che lo sterco’. Ma rendere irragionevolmente eterna la carne, piena di cose che il tacere è bello, Dio certo né lo vorrà né lo potrà”, essendo ciò assolutamente irragionevole.

Anche nel mondo romano, l’opposizione al cristianesimo fu spesso dovuta proprio alla visione del corpo propria dei cristiani, accusati, casua l’Eucarestia, di cannibalismo. Così per Apuleio il dogma della resurrezione dei corpi era assurdo, e il mediatore non poteva essere un dio fatto uomo ma dei “daemones, genere animalia, ingenio rationabilia, animo passiva, corpore aeria, tempore aeterna”. Il cristianesimo insomma pose fine all’inconciliabilità platonico-gnostica tra materia e spirito, rendendo così comprensibile, doverosa, diffusa la cura del corpo. Ma no è tutto: la filosofia cristiana cercò di armonizzare anima e corpo, dopo secoli di dualismo, subordinando il corpo all’anima, ma in un modo del tutto originale, tramite una visione unitaria e non dualistica dell’uomo, considerato non più come somma direi spuria di anima e corpo, ma come composto, indissolubile, unico, di anima e corpo, in modo che l’uno non possa essere senza l’altro, cioè senza una comunione profonda. Per san Tommaso, infatti, sebbene “il corpo è per l’anima e non viceversa”, l’uomo “non è né l’anima né il corpo, ma l’insieme dei due”, al punto che all’anima, “senza il corpo sarebbe
impossibile prendere coscienza del proprio essere” (“Sergio Simonetti, L’anima in san Tommaso, Armando).

Un’idea simile, per la quale non vi è nulla di fisico che non sia anche spirituale, e viceversa, apre la possibilità di guardare all’uomo nella sua unità integrità, nella profonda relazione esistente in lui tra vita biologica e vita fisica. Apre, come dicevo, all’epopea della carità medievale e controriformista, creatrice unica dell’istituzione ospedaliera. Ebbene , nell’attualità mi sembra che accada una regressione: da una parte l’attenzione cristiana per il corpo, perdendo il suo punto di equilibrio, determina una visione totalmente materialista (che è comunque i parte debitrice al cristianesimo). Dallo spiritualismo pre cristiano, che disprezzava il corpo, si passa al materialismo post cristiano, cartesiano, nietzchiano, meccanicista, che trascura la componente spirituale. Dall’altra anima e corpo vengono nuovamente scissi e tornano in conflitto tra loro: si pensi all’idea del gender, che scinde sessualità biologica e sessualità culturale; si pensi alla contraccezione, che scinde amore spirituale e amore carnale; si pensi alla fecondazione in vitro, dove sperma e ovuli vengono conservati sotto azoto, sradicati dal loro ambiente naturale, e dove il processo fisiologico della formazione dell’embrione, che in natura avviene nel corpo, viene spostato in un utero altrui, o in una provetta di vetro, come se operazioni di questo tipo non avessero alcuna conseguenza psico-fisica sulla donna e sul nascituro.

di Francesco Agnoli

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L’ultima utopia

Posté par atempodiblog le 15 mars 2008

La vita, si sa, è fatta di esami. Ma sino a poco fa, nei primi anni della nostra esistenza, eravamo anzitutto accolti, amati, serviti, ammirati. Ogni vita un dono, un miracolo, di cui prendersi cura.

Ma basta con le favole, con la poesia. Da un po’ di tempo ci viene promessa la luna: la tecnica riuscirà a produrre creature perfette, selezionate, filtrate, e ogni mela ammaccata verrà gettata via, lontano dagli occhi e lontano dal cuore, come è giusto che sia. Due secoli fa l’illuminista Condorcet, prima di finire suicida, perché condannato alla ghigliottina, prometteva ai posteri che il futuro avrebbe portato un mondo meraviglioso. Niente infortuni sul lavoro, niente malattie, uomini più intelligenti e più buoni, niente guerre…. Dopo Condorcet altri prometteranno allo stesso modo il paradiso sulla terra, ma ogni malattia sconfitta lascerà sempre il posto ad un altro male, ogni dolore ad un altro dolore. Saranno politici, letterati, filosofi, a proporsi come i nuovi Mosè, a voler traghettare l’umanità verso nuovi cieli terrestri: sempre con gravissimi danni e sonore delusioni. Eppure, ancora quarant’anni fa precisi, nel celebre 1968, Adriano Buzzati Traverso, scriveva: “Tra poco l’uomo riuscirà a modificare se stesso; fra poco potremo far nascere i nostri figli del sesso desiderato; fra poco potremo garantirci contro il rischio che possa nascere un bambino deficiente; fra poco potremo verosimilmente prevedere, e almeno in parte predeterminare, le caratteristiche fisiche e psichiche del nascituro…”.
Gli fa eco, oggi, Gregory Stock, allorché propone di “riprogettare gli esseri umani”, per raggiungere ogni traguardo possibile. Divenire più che umani, “trasumani”, è il sogno di molti, è il superuomo nella versione tecnologica. Fallita l’antica versione, quella politica ed etica, fallite l’ideologie materialiste, rimane l’ultima utopia: la medicina dei desideri. La medicina, cioè, che non si prende più a carico l’uomo, con la sua malattia, la sua fragilità, il suo limite, ma che accantona i malati, li sopprime, li scarta, in nome di quello che vuole andare a creare, l’uomo nuovo, l’uomo senza peccato originale, l’uomo che non patisce e non muore, e, forse, l’uomo che non è più capace di sentimenti e di amore. Per questo l’ultima utopia non ha nulla di nuovo, funziona esattamente come le altre: elimina ciò che dimostra la sua imperfezione e chiede aiuto, lo travolge con le sue promesse, lo dimentica con le sue illusioni. Elimina l’individuo che c’è, in nome dell’Umanità futura; sacrifica il singolo alla collettività; la concretezza di ogni uomo, al sogno prometeico. Così la vita diventa, come si diceva, subito un esame: test genetici, diagnosi pre-impianto, diagnosi pre natali, con tutti i rischi di falsi negativi e falsi positivi annessi e connessi. Con tutto il carico di speranze deluse, di inganni, di fantasmi che vivono sempre dentro ai sogni impossibili. In realtà, il figlio perfetto nessuno ce lo saprà dare, mai; e se anche nascesse, sarebbe a rischio, ogni minuto, ogni secondo, di sopraggiunte imperfezioni, sciagure, dolori, che la vita ci sa riservare, dietro ad ogni angolo e ad ogni curva. Perché siamo limitati, e nel limite viviamo la nostra essenza di mendicanti, dell’amore di dio e degli uomini.
E’ molto più facile che all’illusione del controllo, controllo sulla vita, sul Dna, sull’uomo, si sostituisca, come è già accaduto e accade spesso, nei più importanti laboratori, il mondo fuori controllo. Lo ha scritto molto bene, tra gli altri, J. Testart, il padre della prima bambina in provetta francese, nel suo la vita in vendita, riflettendo sui rischi, fisici e sociali, delle tecniche artificiali: “possiamo ragionevolmente chiederci se la procreazione medicalmente assistita non contribuirà a diffondere la sterilità degli individui umani. E anche a diffondere l’idea che la sessualità debba essere sterile”. Mentre ce lo chiediamo, sappiamo con certezza che l’idea dell’uomo perfetto contribuirà a distruggere l’amore per l’uomo imperfetto, quello che effettivamente esiste.

di Francesco Agnoli

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