Viviamo in un mondo di illusioni e di inganni, ma la menzogna maggiore ci viene propinata quando ci vogliono fare credere che questa vita, la vita terrena, sia l’unica e la sola vera. Ci vogliono espropriare dell’unica vera vita, che è la vita eterna, quella che professiamo nell’ultimo articolo del Credo apostolico, quando affermiamo: «Credo vitam aeternam. Amen»: Dei dodici articoli del Credo, undici ci indicano la condizione dei cristiani nel tempo, l’ultimo, il dodicesimo, ci mostra la loro ricompensa, che è l’eternità.
L’errore che consiste nel credere che la vita di quaggiù sia la vera vita, ha scritto mons. Gaume, è l’errore più radicale di tutti gli altri, perché non riguarda aspetti particolari o secondari, ma il nostro modo di essere, prende tutte le facoltà della nostra anima, confonde la nostra ragione e la nostra volontà, corrompe tutta la nostra esistenza.
Quest’errore non è solo teorizzato direttamente dagli evoluzionisti e dai pseudo scienziati atei, come Richard Dawkins o i nostri Odifreddi e Galimberti, ma viene inculcato in maniera più insidiosa dai mass media, dalla pubblicità, dalla pressione psicologica dei luoghi comuni. È un ateismo non teorico, ma pratico, una prospettiva secolarista radicalmente distorta perché non ci indica nulla che vada oltre i piaceri e le pene, i beni e i mali della vita terrena. Era l’errore degli uomini che vissero al tempo del diluvio universale di cui il Vangelo dice che «Edebant et bibebant» (Mt. 24,38; Lc. 18, 27-28), mangiavano e bevevano. Pensavano solo ai piaceri e ai bisogni del corpo, a mangiare, a bere, a sposarsi, a divertirsi, a fare affari. Erano immersi nelle occupazioni del mondo. E tanto più l’uomo si occupa di questo mondo, tanto meno si occupa dell’altro.
La nostra casa invece è il cielo e il primo passo che dobbiamo fare per occuparci del cielo, è quello di respingere la filosofia di vita egoistica del nostro tempo, incentrata solo sulla soddisfazione dei nostri piaceri e dei nostri bisogni.
Quando recitiamo il Credo dobbiamo pronunziare con forza le ultime parole «Credo vitam aeternam», perché queste parole sono la nostra risposta al secolarismo e al laicismo che voglio convincerci che la vita eterna non esiste, che il Cielo è vuoto, secondo il titolo dell’ultimo insulso libro di Galimberti.
«Credo vitam aeternam»: in queste parole la Chiesa professa la sua fede nell’immortalità dell’anima e nell’esistenza della vita eterna. Ce lo insegna la Chiesa, ce lo dimostra la ragione, ce lo attesta la storia di tutti i popoli; l’anima è immortale: ha avuto un inizio, non avrà mai fine. Vivrà in eterno.
Immagine vivente del Dio vivente, l’uomo è vita. Per lui la vita non è solamente il primo e il più prezioso dei beni, ma è il suo essere. La vita è tutto, l’uomo la ama come se stesso.
Amiamo il bambino perché rappresenta la vita che nasce. Rispettiamo l’anziano perché in lui cogliamo la vita che declina. Tutto ciò che pensa e fa l’uomo lo fa per amore alla vita.
La cultura di morte contemporanea vuole spegnere la vita nel suo nascere, con l’aborto e l’infanticidio; vuole spegnerla al suo tramonto, con l’eutanasia; vuole estinguere non solo la vita del corpo, ma prima di tutto la vita dell’anima, e questo la fa diffondendo una mentalità evoluzionista e materialista. Ciò che ci viene proposto è un modello di uomo e di donna che cura al massimo il proprio corpo ma che dimentica la propria anima, che cerca ogni forma di piacere, ma che è incapace di dare un senso alla propria vita, che cerca la felicità sulla terra, ma si avvia alla infelicità, alla depressione, al suicidio.
Chi ci parla oggi del Cielo? Del Cielo non dovrebbero parlarci solo i sacerdoti, dovrebbe essere la società intera a ricordarcelo, in ogni occasione, come quando si faceva il segno della Croce prima di consumare il pasto e il linguaggio quotidiano conosceva formule come “grazie a Dio”, “se Dio vuole”, che esprimevano la convinzione dell’esistenza di una realtà soprannaturale e di una vita eterna dell’uomo.
Il Credo ci ricorda che il fine dell’uomo è il Cielo e Dio vuole che il maggior numero di anime raggiungano il Cielo ed evitino l’inferno, come dice la preghiera insegnata dalla Madonna ai tre pastorelli di Fatima: «Gesù mio, perdonateci le nostre colpe, preservateci dal fuoco dell’inferno e portate in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della vostra misericordia».
Le religioni secolari hanno negato la vita eterna proponendo il paradiso terrestre della società senza classi marxista. Poi, dopo il crollo del Muro del Berlino, la cultura postmarxista vorrebbe convincerci che non esiste paradiso né celeste né terrestre, ma il nulla è la regola suprema della vita e della morte:
Noi diciamo Credo la vita eterna per indicare che non abbiamo alcun dubbio sull’esistenza di una vita ultraterrena: una vita che sarà piena di tutti beni dell’anima e del corpo e di cui godranno i gusti, secondo i propri meriti. Questa vita eterna felice si chiama cielo. Il cielo è “la terra dei viventi,” perché l’uomo che muore entra nella terra di coloro che vivono: terra viventium.
La terra è una valle di lacrime, dove tutto declina e muore, il cielo è una terra felice dove tutto vive e nulla muore. A York, in Inghilterra, Francis Ingleby (1551-1586), oggi beato, condannato a morte da Elisabetta I perché era un sacerdote cattolico, quando la sentenza fu pronunciata esclamò: “Credo vivere bona Domini in terra viventium”.
Quali sono i “beni del Signore” che i “viventi” godranno in Paradiso? Il bene primo e incomparabile a qualsiasi altro è la visione di Dio faccia a faccia e il suo possesso. Nel Cielo non solo vedremo Dio, fonte di ogni bellezza, non solo possederemo Dio, origine di ogni bene, ma diverremo simili a Lui. Questa sarà la nostra suprema gioia. Ma un giorno avremo anche la gioia di rivedere i nostri cari, e di godere con i cinque sensi del nostro corpo risorto, che avrà le caratteristiche della luminosa chiarezza, della agilità, della sottigliezza, della impassibilità.
Oggi ci raccontano che il Paradiso, come l’inferno, non è un luogo, ma una “condizione”. Così non pensano san Tommaso d’Aquino né i Padri della Chiesa che insegnano che il Cielo è la sede beata dei Giusti. L’inferno che la Madonna mostra ai tre pastorelli di Fatima è un luogo, non una condizione. Ed è a un luogo, non ad una condizione, che si riferisce Gesù, quando dice al Buon Ladrone «Oggi sarai con me in Paradiso».
Si dice, ed è vero, che il Regno di Dio, che è il cielo, comincia sulla terra, nella nostra anima. Quando è in grazia di Dio, la nostra anima è realmente un riflesso del cielo. Ma l’uomo è un essere sociale: nasciamo e cresciamo in una famiglia, viviamo e moriamo in una società e di esse dobbiamo fare una anticipazione della felicità che godremo in Paradiso. Dobbiamo cristianizzare il mondo per fare in modo che questa valle di lacrime sia una valle felice, e non disperata, anche nella sofferenza.
Si può essere felici affrontando le difficoltà, abbracciando i sacrifici, soffrendo e lottando per quei grandi ideali che riempiono di gioia l’anima degli uomini. I santi non sono mai stati lugubri o tristi, ma allegri e gioiosi. Vi sono due note che distinguono chi cerca il cielo: una è lo spirito militante, l’altra è l’allegria che nasce dalla pace dell’anima di chi combatte nel tempo per conquistare la felicità eterna in cielo.
di Roberto De Mattei – Radici Cristiane