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Halloween, un fenomeno da non sottovalutare

Posté par atempodiblog le 14 octobre 2014

Halloween, un fenomeno da non sottovalutare
Quella che molti ritengono essere una semplice carnevalata nasconde un disegno tutt’altro che innocente e casuale, un mondo sotterraneo che abbina business e occultismo
di don Aldo Buonaiuto – RomaSette

Halloween, un fenomeno da non sottovalutare dans Don Aldo Buonaiuto Halloween-don-Buonaiuto

Immagini di mostri, streghe, fantasmi e scheletri stanno facendo capolino lungo strade ed edifici delle nostre città. Il motivo è Halloween. Quella che molti ritengono essere una semplice carnevalata, nasconde un disegno tutt’altro che innocente e casuale, un mondo sotterraneo che abbina business e occultismo. Uno degli aspetti più preoccupanti è come, negli ultimi anni, venga sempre più pubblicizzata in strutture pubbliche e private come asili e scuole di ogni ordine e grado. Halloween, infatti, sta diventando un problema legato all’educazione e alla formazione delle giovani generazioni che ormai conoscono più le vicende e le leggende di questa assurda ricorrenza che le feste religiose e civili della nostra tradizione. Non credo che esista il precedente di un evento perfettamente estraneo alla nostra cultura che si sia insidiato con tale successo in un lasso di tempo così limitato. Un martellamento continuo cui sono sottoposti i nostri figli con insegnanti letteralmente “infatuati” che presentano miriadi di iniziative per “giocare” con tutto ciò che è macabro.

Le librerie sono popolate da pubblicazioni e anche libri di testo per gli istituti scolastici destinati ai bambini dai 3 anni in su che danno più rilevanza ad Halloween che al Natale. Ci sono classici della narrativa che rappresentano la “notte delle streghe” in veste di racconto a sfondo malinconico, fino a giungere ad audio-libri con cd e dvd forniti di schede didattiche per le maestre e di linee guida per le recite. Nessuna fascia di età è esclusa a partire da fumetti e schede da colorare, dedicati ai più piccoli che ancora non sanno leggere e scrivere, per giungere alle analoghe versioni soft-horror per i preadolescenti. Canzoncine e musiche, gadget e lavoretti, filastrocche e racconti, laboratori e corsi, fiabe e film, sfilate e festicciole, puzzle e carte da gioco, piatti dolci e salati, tutto in salsa lugubre. Ma cosa c’è di educativo in tutto ciò? Qualcuno si azzarda addirittura ad affermare che i bambini sono “naturalmente” attratti dai mostri… La verità è che i veri mostri siamo noi che permettiamo ai piccoli di nutrirsi di queste nefandezze!

Il termine Halloween deriva dall’espressione “All-Hallows-Eve” che significa “vigilia di tutti i santi” e indica un fenomeno che sempre più si sovrappone alla festività religiosa di Ognissanti presentandosi come una pseudo-festa delle tenebre. Secondo alcuni studiosi di folklore, All-Hallows-Eve avrebbe soppiantato una ricorrenza pagana dei popoli celti, chiamata Samhain. Con tale termine si indicava una serie di giorni considerati “sacri” dai sacerdoti celtici – i druidi – a cavallo tra la fine di ottobre e i primi di novembre durante i quali la popolazione celebrava il passaggio tra la fine dell’estate e l’inizio dell’inverno. Durante la festa si svolgevano riti orgiastici con uso smodato di bevande alcoliche; l’offerta di sacrifici, inoltre, era considerata necessaria per ingraziarsi gli spiriti delle tenebre.

Il substrato pagano è sopravvissuto anche alla predicazione dei primi apostoli e alla conversione delle terre barbariche al cristianesimo rimanendo nascosto sotto la cenere ma mai del tutto sopito. Fu Papa Gregorio IV, nell’834, ad accorgersi della permanenza del suddetto retaggio nei popolani. Come contromisura alle superstizioni celtiche, decise di spostare la festa di Ognissanti dal tredici maggio – sua data originaria – al primo novembre al fine di fermare la proliferazione di rituali magici in onore di Samhain. Similarmente, nel X secolo, venne introdotta la festa di tutti i fedeli defunti in opposizione a quella delle streghe.

Proprio a motivo di queste sue origini Halloween oggigiorno è l’anticamera verso qualcosa di ancora più inquietante. Per i seguaci dell’occulto il 31 ottobre sarebbe il capodanno satanico, il giorno più magico dell’anno, propizio per compiere i riti più indicibili. Per le organizzazioni settarie in genere è la grande occasione per adescare nuovi adepti. Purtroppo i giovani sono i più esposti a cadere in queste trappole infernali a causa della loro inesperienza e della loro curiosità. I mass-media riportano sempre più frequentemente le scelleratezze che avvengono durante le notti di ottobre e novembre: innumerevoli riti malefici, profanazioni di camposanti, furti di ostie consacrate, sacrifici di animali, vere e proprie messe nere. Sono solo la punta di un iceberg.

La diocesi di Rieti ha da poco comunicato che lo scorso 6 ottobre, presso la chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie in Vazia, in circostanze ancora da chiarire, è stato perpetrato il furto sacrilego dell’Eucaristia. Nello stesso giorno un altro furto sacrilego è avvenuto anche a Spinetoli, in provincia di Ascoli Piceno, dove ignoti, dopo essersi introdotti in una chiesa, hanno forzato lo sportellino del tabernacolo sottraendo la pisside con dentro un centinaio di ostie consacrate. Esiste anche la compravendita – principalmente tramite internet – di reliquie rubate, fatto che dimostra l’esistenza di un mercato del sacro clandestino. Poco tempo fa, per esempio, è stato denunciato per ricettazione dalla Guardia di Finanza di Cosenza un uomo che cercava di vendere su eBay – noto sito internet di annunci economici – due oggetti della tradizione sacra e popolare: una spina della corona di Gesù e una parte della spugna imbevuta di aceto che i soldati romani posero sul suo costato.

Di fronte a questo scenario sono in aumento le diocesi, parrocchie, associazioni e semplici educatori che avanzano la proposta di opporsi ad Halloween tornando a celebrare la festa dei Santi che hanno l’indubbio merito di essere persone di grande esempio morale realmente vissute e non creature immaginarie o mitologiche. Sottovalutare il fenomeno Halloween, che procura confusione sostituendosi ai momenti liturgici significativi, significa promuoverlo. I bambini, sempre più frastornati e bombardati da questo evento, non conoscono o non sentono la festività dei Santi. È necessario sollecitare una pastorale attenta al ridare alla festa dei Santi e alla commemorazione dei defunti il valore irrinunciabile che la tradizione gli ha attribuito. È anche importante non aderire in alcun modo all’evento, decretando così il fallimento di questa trappola dell’occulto.

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La morte: aurora di vita eterna

Posté par atempodiblog le 31 juillet 2014

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“Tu non devi rallentare, affievolire alcuna attività spirituale, serafica, apostolica per l’avvicinarsi e imminenza della morte. Essa non spegne lo spirito-anima; l’avvia sempre più in crescente giovinezza immortale; è aurora di vita eterna, tramonto della vita temporale”.

Beato Giustino M. Russolillo

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Il male del nostro secolo

Posté par atempodiblog le 14 janvier 2014

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“L’amnesia dell’eterno é il male del nostro secolo”.

Charles Péguy

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Maria e il ricordo dei defunti, un grande richiamo al Cielo

Posté par atempodiblog le 1 novembre 2013

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Giovanni Peduto: C’è un legame, un rapporto tra Maria e le anime dei defunti?

Mons. Angelo Comastri: Certamente, Maria è la Regina del Paradiso, è la Regina dei Santi, come noi la chiamiamo. E noi desideriamo che tutte le anime siano in Paradiso, e anche quelle del Purgatorio sono orientate al Paradiso. Certamente, Maria è in Cielo assieme ai Santi accanto a Gesù e accanto alla Santissima Trinità; è chiaro che nel mese di novembre Maria è un grande richiamo al Cielo, così come anche il ricordo dei Defunti è un richiamo al Cielo, perché viviamo in un’epoca di grande amnesia dell’eternità.

Oggi sembra che l’umanità abbia dimenticato il destino ultimo. Per questo, quando si dimentica il Paradiso, il mondo diventa inferno, il mondo diventa invivibile. Il richiamo dell’Aldilà è indispensabile non per alienarci, ma per farci vivere bene l’“aldiquà”.

Tratto da: Radio Vaticana

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Chiamati al Cielo. Dai nostri “sì” quotidiani al nostro “sì” ultimo

Posté par atempodiblog le 1 novembre 2013

Chiamati al Cielo. Dai nostri “sì” quotidiani al nostro “sì” ultimo

Mons. Jean-Pierre Batut, Vescovo Ausiliare di Lyon
Tratto da: Ufficio Catechistico Bergamo

Chiamati al Cielo. Dai nostri “sì” quotidiani al nostro “sì” ultimo dans Fede, morale e teologia 9j5b

jgxd dans Festa dei Santi e dei fedeli defuntiEcco il testo integrale della conferenza tenuta da Mons. Jean-Pierre Batut a Lourdes all’inizio di giugno (2009) sulla fede cristiana in relazione ai “Novissimi”, secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Nostra traduzione a cura di Liliana Moretti:

Spesso pensiamo che il nostro “sì” stia dietro di noi: per esempio, che si sia già realizzato quando abbiamo impegnato la nostra vita nel matrimonio, nella vita religiosa, ecc. In realtà, il nostro “sì” è sempre davanti a noi, poiché dobbiamo acconsentire fino alla fine con ciò che abbiamo scelto. E il “sì” più difficile è quello che conclude la nostra vita.

Desidero parlarvi di ciò che si identifica a volte con le realtà ultime, cioè l’incontro di Dio che è lo scopo della nostra vita. Perché? Perché non ne parliamo abbastanza! Affermiamo, naturalmente, il fatto “attendo la resurrezione dei morti e la vita del modo che verrà; ritornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti”… Ma non parliamo abbastanza del come.

Quindi, occorre parlarne: se non lo facciamo, favoriamo ogni genere di credenze in sostituzione, come la reincarnazione, che vengono a riempire un vuoto, ma che non hanno niente a che vedere con la fede cristiana.

Inoltre, i fini ultimi sono uno dei campi nei quali, come cristiani, abbiamo le cose più originali da dire. Abbiamo una quantità di cosa da dire in tanti altri campi: l’Europa, la crisi economica…. Ma in questi settori altri possono dire le nostre stesse cose, e dirle perfino meglio. Sui fini ultimi, se noi tacciamo, nessuno potrà dire al posto nostro ciò che abbiamo da dire.

1. L’insegnamento della Chiesa conduce in primo luogo alla resurrezione

La sola Scrittura è avara di dettagli su ciò che ci attende dopo la morte. Il teologo ortodosso Jean-Claude Larchet scrive: “La Scrittura sottolinea il carattere imprevedibile della morte (“voi non conoscete né il giorno né l’ora” Mt. 15,13). Essa ci dà delle indicazioni sulla sua origine (Rm 5,12). Ci annuncia la resurrezione futura dei corpi e la vita eterna del Regno che viene, ma non ci dà praticamente informazioni sul periodo che separa la morte di ogni persona dal giudizio finale e universale e dalla resurrezione alla fine dei tempi”. Lazzaro, in effetti, non ci ha lasciato delle memorie che ci raccontano ciò di cui aveva fatto esperienza al momento della sua morte e durante i suoi tre giorni nella tomba. Tuttavia, la tradizione della Chiesa ha chiarito il dato della Scrittura.  Il Catechismo della Chiesa cattolica (CCC) raccoglie questa eredità.

  • Il CCC inizia con l’affermare la fede nella resurrezione, e cita San Paolo: “Se il Cristo non è resuscitato, vana è la nostra predicazione, vana anche la vostra fede” (1Cor 15, 12-14). Egli sottolinea poi che Gesù ha legato la fede nella resurrezione alla sua stessa persona (“Io sono la Resurrezione e la Vita” Gv 11, 25), così che essere testimone del Cristo porta ad essere testimone della sua resurrezione (cf. At 1,22).
  • Il CCC si pronuncia quindi sul come della resurrezione. Lo fa partendo dalla resurrezione del Cristo, e afferma due cose essenziali:

- il Cristo è resuscitato con il suo stesso corpo (Lc 24,39)

- la sua resurrezione non è il semplice ritorno a una vita terrena: egli ha ormai un “corpo di gloria” (Fil 3,21), un “corpo spirituale” (1Cor 15, 44)

Ciò che vale per il Cristo vale anche per noi. Siamo certi che al momento della resurrezione noi resusciteremo nel nostro corpo e non nel corpo di un altro: ognuno potrà riconoscere gli altri ed essere riconosciuto da loro, come ci riconosciamo in questa vita. Allo stesso tempo, vivremo con un corpo glorioso, sottratto alle leggi dello spazio e del tempo e alle leggi della corruzione.

  • Infine, nella fede cristiana, non potrebbe esserci che la resurrezione del mio corpo. Nell’intervallo tra la morte e la resurrezione, non andrò ad abitare altri corpi. Quando sarà terminato il corso unico della nostra vita terrestre, noi non torneremo più ad altre vite terrene: gli uomini non muoiono che una volta (Eb 9,27). Non c’è “reincarnazione” dopo la morte (CCC 1013).

 2. La definizione della morte e la questione dell’anima

  • La medicina ha delle cose da dire a proposito della morte: essa la constata, con l’arresto della funzioni vitali, l’elettroencefalogramma, ecc. La filosofia ha tentato di definire la morte secondo altri criteri e la teologia non ha temuto di riprenderli. E’ così che la teologia, riprendendo una formula che risale a Platone, definisce la morte come “la separazione dell’anima e del corpo” (CCC 1005; 1016). Questa definizione fa parte della Tradizione della Chiesa. Si sono cercate altre definizioni, ma l’idea de “separazione dell’anima e del corpo” resta la più soddisfacente:

- perché essa dà conto del fatto che la morte riguarda il corpo: quest’ultimo non più che un cadavere;

- perché essa afferma allo stesso tempo che, nella morte, sopravvive qualcosa della persona.

Essa infatti non è totalmente annientata. Ciò è molto importante, perché significa che la resurrezione finale non sarà una nuova creazione a partire dal nulla (che sarebbe il caso se, una volta scomparso il corpo, non restasse nulla), ma la riunione di ciò che era stato separato: dell’anima immortale con un corpo ricreato certamente, ma che è il corpo di quest’anima, e non quello di un’altra. Di conseguenza, nel giorno finale io ritroverò il mio corpo. Ma cos’è questo “io”? Non il corpo, perché esso sarà scomparso nell’intervallo. E se è altra cosa che non il corpo, perché non chiamarlo anima?

         Negli ultimi decenni si è constatato un’allergia alla parola “anima”, alla quale si rimprovera di essere troppo filosofica. Nella Scrittura si trovano degli equivalenti a tale parola. D’altra parte, se si sopprime l’anima, si è condotti ad affermare come sopra che Dio ricreerà un giorno un essere nuovo senza rapporto con il mio essere presente, oppure si è costretti a dire che il momento della morte è già quello della resurrezione, contro cui l’apostolo Paolo metteva già in guardia:

         “Imeneo e Fileto….si sono allontanati dalla verità, pretendendo che la resurrezione è già avvenuta, rovesciando così la fede dei più” (2Tm 2,18).

Ma questo pone la domanda di sapere ciò che succede all’anima per il tempo che essa resta senza il suo corpo – quello che si chiama in termini classici “l’anima separata”.

3. La morte e il giudizio “singolo”

La morte è il momento dell’incontro, e questo incontro è un giudizio. Con ciò non bisogna intendere la nostra comparizione davanti a un tribunale, ma l’esperienza di vedere la nostra vita tutta insieme nella verità quando noi vedremo il Cristo. Un passaggio del vangelo di Matteo è particolarmente chiaro a tale proposito. Si tratta della profezia detta del “giudizio finale”, al capitolo 25, nella quale ogni essere umano, nell’incontro con il Cristo, prende coscienza dal fatto stesso che tutti gli atti della sua vita trovano il loro senso in riferimento al Cristo: “avevo fame e voi mi avete dato da mangiare…”. Prima del giudizio “finale”, questa stessa esperienza è fatta da ciascuno al momento della sua morte. E’ un giudizio nel quale la dimensione corporale non interviene e che si chiama il giudizio particolare (“particolare” nel senso di “individuale”).

Ogni uomo riceve nella sua anima immortale il suo riconoscimento eterno, dal momento della sua morte, in un giudizio particolare che riferisce la sua vita al Cristo

  • attraverso la purificazione;
  • per entrare immediatamente nella beatitudine del Cielo;
  • per dannarsi in eterno.

(CCC 1022)

Abbiamo un esempio di questo giudizio nel vangelo: si tratta del “buon ladrone” al quale Gesù dice: “oggi, tu sarai con me in paradiso” (Lc 22,43). Il “paradiso” significa due cose:

1/la beatitudine con il Cristo; 2/ non già la resurrezione, ma l’attesa della resurrezione.

Tutto questo significa che non c’è e non può esserci “sonno della morte”, se si intende con questo uno stato di incoscienza tra la morte e la fine del mondo. Come dice l’apostolo Paolo, i morti vivono nel Cristo.

4. Purgatorio, Cielo e Inferno

          Il Purgatorio

La Chiesa, in particolare nel Secondo Concilio di Lione  (1274)  ha stabilito la sua infallibilità sulla questione del purgatorio.

Anche se la parola “purgatorio” è introdotta solo a partire dal XII secolo, l’affermazione di una purificazione dopo la morte è già presente nel giudaismo. Essa si esprime indirettamente attraverso la preghiera per i defunti, come la si trova in 2Mac 12, 44-45 (e nel Nuovo Testamento: 1Cor 15,29 e 2Tm 1,18): se questa preghiera ha un senso, è proprio perché i defunti sono in un processo (e non in un luogo, poiché il purgatorio non è un luogo) di purificazione.

Allo stesso modo con cui dà conto del giudizio, l’incontro con il Cristo spiega questa purificazione: in effetti, questo incontro nella luce piena mi farà percepire in piena verità la differenza tra l’amore del Cristo e l’indigenza dell’amore che è stata presente nella mia vita. La percezione di una tale differenza è una fonte di sofferenza, ma si tratta di una sofferenza che nasce dal desiderio di rispondere pienamente all’amore di cui sono amato.

Nel Credo, l’affermazione “disceso agli Inferi” corrisponde a quella del Limbo dei padri: tra la morte del Cristo e la sua resurrezione, la discesa agli Inferi (cioè nel luogo di soggiorno dei morti, e non “nell’Inferno”) esprime l’atto con il quale il Cristo, nel mistero della sua morte, unisce ogni essere umano (che abbia conosciuto il Cristo o meno) alla sua per proporgli la salvezza.

Poiché Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è realmente unica, cioè divina, dobbiamo considerare che lo Spirito Santo offre a tutti, nel modo che Dio conosce, la possibilità di essere associati al mistero pasquale (del Cristo – (Vaticano II, Gaudium et Spes, 22).

La predicazione sul purgatorio è oggi più urgente che mai: la credenza nella reincarnazione, che nello spirito di molti gioca il ruolo di una «seconda possibilità» data a qualcuno, (mentre nelle spiritualità orientali, dalle quali deriva, essa è piuttosto una fatalità) ha, in effetti, preso il posto del purgatorio molto più della resurrezione propriamente detta.

         Il Cielo

Citiamo ancora il Catechismo:

Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono pienamente purificati, vivono per sempre con il Cristo. Sono per sempre simili a Dio perché lo vedono come esso è (cf. 1Gv 3,2), “faccia a faccia” (1Cor 13,12;  Ap 22,4). Questa vita perfetta con la Trinità è chiamata il Cielo (CCC 1023-1024).

Il Cielo non è rappresentabile più del purgatorio: più che un luogo, il Cielo è una Persona, il cui contatto rende beati e immortali. Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono nel Cristo supera ogni comprensione e ogni rappresentazione. La Scrittura ci parla per immagini: vita, luce, pace, festa di nozze, vino del regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: “Ciò che l’occhio non ha visto, ciò che l’orecchio non ha sentito, ciò che non è percepito dal cuore dell’uomo, tutto ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano” (1Cor 2,9; CCC 1027).

          L’Inferno

Gesù nel Vangelo parla della “Gheenna”, del “fuoco che non si spegne” (Mt 5,22; 29; 13,42-50). Nella profezia del giudizio finale, troviamo questa parola terribile: “allontanatevi da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il demonio e i suoi angeli” (Mt 25,41).

Il fatto che il Cristo stesso si preoccupi di parlarci dell’inferno come di un rischio reale per noi, deve farci riflettere. Le sue affermazioni ci rivelano l’abisso della nostra stessa libertà che, perché capace del meglio, è anche capace di dire a Dio un “no” irreversibile. Non c’è paragone fra il Cielo e l’inferno, poiché noi siamo fatti per il primo e non per il secondo; ma c’è una capacità di rifiuto già attuata nel “demonio e i suoi angeli” e della quale l’amore di Dio stesso non può che prendere atto. All’opposto della comunione per la quale noi siamo fatti, l’inferno è la solitudine assoluta, l’abisso insondabile di una separazione eterna da Dio e da tutti gli altri.

Occorre sottolineare che la Chiesa, quando ha proclamato molte persone “beati” o “santi”, non ha mai voluto dire niente di chi fosse dannato. La Chiesa, in effetti, deve riporre speranza per tutti: “La Chiesa prega perché nessuno si perda… Se è vero che nessuno può salvarsi da solo, è anche vero che “Dio vuole che tutti siano salvati” (1Tm 2,4) e che per Lui “tutto è possibile” (Mt 19,26)” – (CEC 1058).

5. La fine dei tempi e il giudizio finale

          La differenza tra il giudizio particolare e il giudizio finale risiede nel fatto che il giudizio finale coincide con la fine dei tempi. Esso rappresenta la dimensione universale del giudizio. Il giudizio finale stesso sarà preceduto dalla venuta del Cristo nella gloria e dalla resurrezione (cf. Gv 5,28-29). Tutto il senso della storia sarà allora rivelato. Il giudizio finale interverrà con il ritorno glorioso del Cristo. Il Padre solo ne conosce il giorno, lui solo decide della sua venuta. Attraverso il Figlio Gesù-Cristo, pronuncerà allora la sua parola definitiva sulla storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’economia della salvezza, e comprenderemo i cammini mirabili attraverso i quali la sua Provvidenza avrà condotto ogni cosa verso il suo Fine Ultimo (CCC 1040).

          Ciò che avverrà, allora, è quello che la Scrittura chiama “i cieli nuovi e la terra nuova” (Ap 21,1). Nelle immagini che ci presenta l’Apocalisse, colpisce vedere la dimensione comunitaria di ciò che è annunciato, così come l’insistenza sulla vittoria della Vita (Ap 21,2)

Di tutti questi punti, possiamo ricordare:

          che la nostra intera vita, in un senso, è una preparazione alla morte

          che allo stesso tempo non ne dovremmo sottostimare l’importanza e il valore, poiché tutto ciò che noi viviamo nella nostra vita sulla terra impegna per l’eternità.

          che non sarebbe cristiano vedere nella morte il male assoluto: da un punto di vista cristiano, la morte è il momento in cui Dio chiama l’uomo verso di Lui. Essa è “nostra sorella morte corporale” (San Francesco d’Assisi)

          che è legittimo, e non morboso, desiderare fin da ora come san Paolo “essere con il Cristo” (Fil 1,23), o ancora voler “vedere Dio”, secondo l’espressione di santa Teresa d’Avila. Sarebbe piuttosto allarmante che non ci pensassimo mai e che ci lasciasse indifferenti.

“La vita cristiana intera è un’attesa. Il cristiano sa che è fatto per le cose più grandi… La vita cristiana è una vita nascosta. Ma, quando il mondo sarà ripiegato come una tenda, la realtà fino ad allora nascosta sarà manifestata. Per il cristiano questa vita consiste nel darsi poco a poco dei modi di vita divini. E l’educazione che si persegue fino all’ora della morte, perché tutta la vita umana non è che un’adolescenza, consiste, secondo la parola di Jean Guitton, “in questa disciplina attraverso la quale si prepara il bambino alla sua vita temporale, l’adulto alla sua vita eterna, perché ciò che egli vede egli abbia l’impressione di aver già visto”.

Non bisogna che siamo spaesati arrivando in cielo. La nostra vita è un apprendistato. Si tratta di imparare i rudimenti di ciò che un giorno dovremo esercitare. Quindi cerchiamo già nella preghiera di balbettare ciò che sarà più tardi la “conversazione celeste” con Dio e i suoi angeli; quindi occorre sgrossare la nostra intelligenza così incollata al mondo dello spazio e del tempo e acclimatarla poco a poco alle cose divine con l’azione dei doni dello Spirito Santo; quindi la carità è l’inizio maldestro di quella comunione completa che riunirà tutti i santi. Così facendo, cominciamo a fare ciò che dovremo fare per sempre. E’ la nostra vera vita che si abbozza. Tutto comincia” (Card. Jean DANIELOU, 1905-1974).

+ Jean-Pierre Batut

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Tra terra e cielo il senso della vita

Posté par atempodiblog le 31 octobre 2013

TUTTI I SANTI/DEFUNTI
Tra terra e cielo il senso della vita
Queste due giornate aiutano a comprendere quando un’esistenza umana può dirsi realizzata; i parametri umani di ricchezza, carriera, successo appaiono totalmente insufficienti. La realizzazione sta altrove, perché la persona umana è fatta per dare concretezza a Dio: mani, cuore, intelligenza tutto può servire per permettere a Dio di incarnarsi ancora e servire i suoi figli
di Marco Doldi – Agenzia SIR

Tra terra e cielo il senso della vita dans Festa dei Santi e dei fedeli defunti o73jLa festa di Tutti I Santi e quella della Commemorazione dei Fedeli Defunti conducono a riflettere sul duplice orizzonte dell’umanità, che viene espresso con le semplici parole “terra” e “cielo”. La prima rappresenta il cammino storico dell’uomo e della creazione, la seconda, il cielo, l’eternità e la pienezza della vita in Dio. La Chiesa è in cammino nel tempo, ma nello stesso tempo, celebra già la festa senza fine nella Gerusalemme celeste, dove vivono in eterno coloro che sono salvi. Di molti di questi si conosce il nome, perché la Chiesa stessa li propone come modelli ed amici; accanto a loro sono posti, nella speranza, quei fedeli che sono morti in pace con Dio e per i quali si prega in modo particolare nelle chiese o nei cimiteri.

La fede nella vita eterna deve essere, però, completata dalla verità della risurrezione dei corpi. Su questo punto oggi è venuta meno in molti la convinzione. L’uso, ad esempio, di cremare i corpi e di disperdere le ceneri, quasi come un congiungimento con la madre natura non esprime forse il contrario? La fede cristiana ha sempre invitato a conservare con rispetto il corpo, che pure va disfacendosi, esprimendo con questo gesto la convinzione che un giorno Dio, il Creatore, donerà nuovamente la vita. Anche se divenuto cenere, un corpo umano ha pur sempre un’altissima dignità, superiore a quella degli animali o delle piante, perché è stato abitato dall’anima immortale, perché attraverso esso la persona si è manifestata e realizzata, perché un giorno parteciperà della resurrezione di Cristo. Sì come Cristo è risorto dai morti nel suo vero corpo, così ogni uomo e ogni donna lo faranno per la grazia di Dio.

Le due giornate – la prima addirittura è solennità – conducono a pensare con insistenza alla condizione storica dell’uomo, tante volte descritta come quella di un pellegrino in cammino verso la Citta dalle solida fondamenta. In questo viaggio nessuno è solo, come attesta la verità della comunione dei santi. Nel battesimo ciascuno è stato inserito come membro vivo nel Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa. È unito a tanti fratelli e a tante sorelle che quaggiù vivono beatitudini del vangelo ed è unito a tutti coloro, che sono già accanto al Padre. Essere cristiani, far parte della Chiesa, significa aprirsi a questa comunione, che abbraccia terra e cielo. In questa comunione tutti ricevono e, soprattutto, danno qualcosa nell’ordine della grazia: i santi intercedono per coloro che camminano quaggiù e questi ultimi con la preghiera, la penitenza e la carità aiutano chi si sta preparando all’abbraccio definitivo con il Padre.

Ancora, queste due giornate aiutano a comprendere quando un’esistenza umana può dirsi realizzata; i parametri umani di ricchezza, carriera, successo appaiono totalmente insufficienti. La realizzazione sta altrove, perché la persona umana è fatta per dare concretezza a Dio: mani, cuore, intelligenza tutto può servire per permettere a Dio di incarnarsi ancora e servire i suoi figli. La persona diviene così uno strumento libero affinché Dio possa agire ancora nella storia. E un solo gesto di carità ha il senso di una vita realizzata. La carità è l’altro nome della santità. “Ogni cristiano – ha recentemente ricordato Papa Francesco – è chiamato alla santità e la santità non consiste anzitutto nel fare cose straordinarie, ma nel lasciare agire Dio” (Udienza, 2/10/13). La santità è l’incontro tra la debolezza dell’uomo e la forza della grazia di Dio, è avere fiducia nella sua azione, che permette di fare tutto con gioia ed umiltà per la gloria di Dio e nel servizio del prossimo.

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I Santi: uomini che non portano maschere

Posté par atempodiblog le 28 octobre 2013

I Santi: uomini che non portano maschere
Tratto da: La nuova Bussola Quotidiana

In vista della festa di Tutti i Santi e della commemorazione dei defunti, riportiamo il testo integrale della lettera scritta ai propri fedeli dai sacerdoti del Decanato di Valceresio, Arcidiocesi di Milano. La lettera, non solo spiega il senso delle festività di inizio novembre, ma mette in guardia dalla festa pagana di Halloween, il cui reale significato è la celebrazione del dio della morte. E durante la quale le sette sataniche ne approfittano per reclutare adepti.

santi

Carissimi amici,

come ogni anno la Chiesa si appresta a vivere la festa di Tutti i Santi e il giorno in cui si commemorano i nostri cari defunti che già godono della visione di Dio. L’occasione di questa grande festa ci richiama al destino che ci attende: la vita in Cristo. Gesù, infatti, con la sua morte e risurrezione, ha impedito che la parola “fine” tirasse il sipario sulla nostra vita. Il tratto di strada, più o meno lungo, che percorriamo sulla terra è un pellegrinaggio verso la vera patria che è il Cielo, popolato da coloro che la Chiesa ha posto come modelli per tutti, i Santi, e da coloro che ci hanno preceduto nel raggiungimento della méta, i nostri cari defunti.

Così, persino il momento più drammatico per la vita di un uomo, com’è la morte, viene raggiunto dalla luce della fede che ci consente di guardare con speranza al momento del nostro tornare alla casa del Padre. A questo proposito conviene riascoltare le parole che nel 2007 Papa Benedetto XVI ha scritto nell’Enciclica Spe Salvi: «Da una parte, non vogliamo morire; soprattutto chi ci ama non vuole che moriamo. Dall’altra, tuttavia, non desideriamo neppure di continuare ad esistere illimitatamente e anche la terra non è stata creata con questa prospettiva. Allora, che cosa vogliamo veramente? Questo paradosso del nostro stesso atteggiamento suscita una domanda più profonda: che cosa è, in realtà, la “vita”? E che cosa significa veramente “eternità”? Ci sono dei momenti in cui percepiamo all’improvviso: sì, sarebbe propriamente questo – la “vita” vera – così essa dovrebbe essere. A confronto, ciò che nella quotidianità chiamiamo “vita”, in verità non lo è. Agostino, nella sua ampia lettera sulla preghiera indirizzata a Proba, una vedova romana benestante e madre di tre consoli, scrisse una volta: In fondo vogliamo una sola cosa – “la vita beata”, la vita che è semplicemente vita, semplicemente “felicità”. Non c’è, in fin dei conti, altro che chiediamo nella preghiera. Verso nient’altro ci siamo incamminati – di questo solo si tratta… Non sappiamo che cosa vorremmo veramente; non conosciamo questa “vera vita”; e tuttavia sappiamo, che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso il quale ci sentiamo spinti» (n. 11).

Mossi da questa grande speranza nei prossimi giorni visiteremo i cimiteri dove riposano le persone che abbiamo amato in attesa della risurrezione dell’ultimo giorno quando, al ritorno di Cristo, la morte verrà definitivamente distrutta e tutti potremo vivere della Sua stessa vita sotto “cieli nuovi” e in una “terra nuova”, travolti dallo stupore per la bellezza di tutto. Il tempo sfocerà nell’eterno e l’uomo non potrà più scegliere “per” o “contro” il Signore. Avverrà, infatti, il giudizio “dei vivi e dei morti”, cioè di tutta l’umanità. Verrà così smascherato il tentativo degli uomini di vivere “come se Dio non ci fosse” e tutto (noi, gli altri e il mondo) apparirà nella sua nuda verità. Il giudizio sarà: “particolare” al momento della morte di ciascun uomo e “universale” al momento del ritorno di Cristo alla fine dei tempi.

Paradiso e Inferno, che non sono due luoghi ma due condizioni umane, sono le possibilità che stanno davanti a noi in base a come si è giocata la nostra libertà di fronte a Dio. Poiché nel morire la decisione definitiva di una persona può essere incerta, la Chiesa afferma la possibilità del Purgatorio, come estrema occasione di purificazione e salvezza grazie alle preghiere di Gesù e Maria e all’intercessione della Chiesa mediante la celebrazione della santa Messa per i defunti, l’Indulgenza, l’offerta della sofferenza e delle opere di carità, la preghiera quotidiana.

Vista la grandezza del destino che ci attende, vista la forza che queste realtà ci danno per vivere con più intensità il reale, riteniamo veramente assurdo e pericoloso il proliferare di un modo pagano di festeggiare queste ricorrenze, a scapito del grande tesoro della fede che vogliamo custodire e trasmettere con gratitudine.

Uno dei modi più confusi e deviati è la festa di Halloween. La fede ha realtà molto più interessanti e ragionevoli da consegnarci rispetto alle zucche vuote, ai bambini (e anche adulti!) travestiti da streghe, fantasmi, vampiri e diavoli, al girovagare di casa in casa con la domanda sulle labbra: «Dolcetto o scherzetto?», che è l’ingenua traduzione di una formula dell’antico cerimoniale pagano, e al dilagare di discutibili feste serali e notturne dei ragazzi più grandi storditi dal volume della “musica” (se così si può chiamare) e ambigui divertimenti.

Preoccupati per il moltiplicarsi ingenuo di feste come questa, vi proponiamo tre criteri di giudizio per educare il nostro modo di guardare la realtà a partire dalla fede:
1. Il cuore di ogni uomo è pieno di domande grandi sul senso di tutto. La vita e la morte sono, forse, i nodi più scoperti. Usiamo del tempo che abbiamo per andare a fondo delle questioni più decisive, verificando se in noi la fede regge davanti alle sfide del vivere o se, quello di Cristo, è diventato solo un nome.
2. Halloween è una festa nata in ambito pagano, che non ha nulla a che vedere con la fede cristiana. Celebra il dio della morte (Samhain) ed è intrisa di esoterismo e magia, finendo talvolta per percorrere sentieri che sanno di diabolico. C’è un’evidente contraddizione per chi è battezzato, anche se l’intenzione con cui festeggiamo non è cattiva, né tantomeno contro la fede in Cristo.
3. Secondo uno studio della comunità “Giovanni XXIII”, fondata da don Oreste Benzi, il 16% dei ragazzi che partecipano a sette occulte ed esoteriche, dove avvengono le cose più cruente come i sacrifici offerti al Diavolo e la profanazione dell’Eucaristia, viene adescato proprio in questa occasione. Occorre, dunque, essere molto vigilanti senza inoltrarsi in luoghi e compagnie che potrebbero risultare molto pericolosi.

Il cardinale Scola, nella sua Lettera pastorale Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all’umano, ci invita, tra le altre cose, a ritrovare il vero senso della festa che troppo spesso finisce per “esaurire l’io anziché ricaricarlo” (pag. 33). Custodiamo il gusto per le cose belle, vere, buone e giuste. I Santi che festeggiamo sono uomini e donne che hanno vissuto senza maschere, pieni di passione per Cristo e per il fratello, perché erano certi che «la fede non abita nel buio, ed è luce per le nostre tenebre» (Papa Francesco, Lumen Fidei, 4).

Con grande affetto, in Cristo!
I sacerdoti del Decanato

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Potete eludere la Vita, ma non la Morte

Posté par atempodiblog le 25 octobre 2013

Potete eludere la Vita, ma non la Morte dans Citazioni, frasi e pensieri 8uto

O anima mia, che tu sia pronta per la venuta della Straniera,
Che tu sia pronta per colei che sa come fare domande.
O stanchezza di uomini che vi stornate da Dio,
Per la grandezza della vostra mente e la gloria della vostra azione,
Per le arti e le invenzioni e le imprese temerarie,
Per gli schemi della grandezza umana del tutto screditata
Che riducete la terra e l’acqua al vostro servizio,
Che sfruttate i mari e sviscerate le montagne,
Che dividete le stelle in comuni e preferite,
Impegnati a ideare il frigorifero perfetto,
Impegnati a risolvere una morale razionale,
Impegnati a stampare più libri che potete,
A far progetti di felicità e a buttar via bottiglie vuote,
Passando dalla vacuità ad un febbrile entusiasmo
Per la nazione o la razza o ciò che voi chiamate umanità;
Sebbene abbiate dimenticato la via al Tempio,
V’è una che ricorda la via alla vostra porta:
Potete eludere la Vita, ma non la Morte.
Non rinnegherete la Straniera.

di Thomas Stearns Eliot
Tratto da: I cori della Roccia

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Un fenomeno vincente e preoccupante: Halloween, festa delle zucche vuote

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2013

Un fenomeno vincente e preoccupante
Halloween, festa delle zucche vuote
Perché si è affermata così rapidamente una festività estranea alla nostra cultura? È una trovata commerciale o qualcosa di più? È un processo inevitabile? La risposta più appropriata ed efficace è riproporre la ricchezza della festività di Tutti i santi, per introdurre anche i bambini a una visione seria ma anche serena dell’aldilà.
di Paolo Pegoraro – Vita Pastorale

Un fenomeno vincente e preoccupante: Halloween, festa delle zucche vuote dans Fede, morale e teologia Tutti-i-Santi

Halloween non fa più notizia
È un dato di fatto, anche in Italia. Come se ci fosse sempre stata. Invece è comparsa, almeno come fenomeno di costume, non più di sette anni fa. Ma nessuno si chiede più perché ragnatele, zucche e teschi invadano le vetrine di ogni genere di negozi a fine ottobre. «In fondo si tratta solo di una festa innocua», è l’acquiescente risposta che ci diamo.
A fare una ricerca in libreria non si trova nulla che racconti la storia di questa festa. In compenso, però, si scopre che dal 2001 si pubblicano un numero incredibile di libri per bambini: Come festeggiare Halloween, Halloween party, Halloween per bambini, Tre feste… tre recite – Halloween Natale Pasqua. «Lo vedi?», sospira sollevata una parte di noi. «È solo un’occasione d’intrattenimento per i più piccini…».
Sarà poi vero? Damien Le Guay, filosofo e critico letterario, denuncia la situazione nel fulminante pamphlet La faccia nascosta di Halloween. Come la festa della zucca ha sconfitto Tutti i santi (Elledici 2004, pp. 127, € 8,00). In Francia, nota Le Guay, Halloween si è imposta senza colpo ferire in appena tre anni e una vittoria così rapida non s’improvvisa: «Halloween è una festa artificiale: fu premeditata, non spontanea; è stata venduta, progettata, lanciata come un prodotto di largo consumo» (p. 87).
Dietro, infatti, c’era l’abile strategia di marketing del gruppo Masport-César, azienda specializzata in maschere e costumi, che ha fatto balzare il proprio fatturato da 4,27 a 126,23 milioni di euro. La produzione nazionale di zucche passava dalle 21.700 tonnellate del 1996 alle 30.100 del 2000. Una volta consolidato questo nuovo settore di mercato in Europa, ecco farsi avanti anche i colossi statunitensi: McDonalds, Disney e Coca-Cola.

Non solo marketing
Un ruolo chiave, però, lo avevano svolto i mass media, divenuti i principali promotori del nuovo fenomeno sociale. Immediata la risposta di ristoranti e discoteche, che improvvisano seduta stante party di Halloween e menù a base di zucca. Ma se si tratta soltanto di soldi spillati ai gonzi, perché preoccuparsi? Damien Le Guay, infuocato da un sarcasmo degno di Leon Bloy, elenca una serie di motivi che fanno riflettere.

1 - Per prima cosa, denuncia la compiacente passività che vige ormai in ogni strato sociale: in nome del precetto del divertimento, spesso troppo simile all’alienazione, si abbraccia acriticamente ogni cosa. Anche i cristiani non amano più farsi troppe domande su quello che succede.
2 - Il secondo aspetto preoccupante è lo svilimento della solennità di Tutti i santi e della commemorazione di tutti i fedeli defunti. Halloween s’insinua in un vuoto di disaffezione e, insieme a Babbo Natale e ferragosto, consolida quel calendario “post-cristiano” di feste ridotte a nuda esteriorità. Proprio come le sue zucche, sgargianti ma vuote, Halloween «manifesta tutta la “pericolosità” dell’ideologia moderna delle feste: le idee sono scomparse, rimane solo la pratica festiva. Una sorta di pratica senza teoria, di azione senza ragione, di realizzazioni senza responsabili, di battaglia senza un avversario identificabile» (p. 54).

Il ruolo dell’immaginazione
3 – Terzo motivo:«L’aspetto più desolante della festa di Halloween è la sua povertà spirituale e il pericolo simbolico che costituisce» (p. 119). Le Guay parla a proposito di “povertà spirituale” perché questo revival europeo di Halloween è svincolato da tutti i significati che aveva ricevuto nei secoli precedenti: mischia nel suo calderone simboli celtici e cristiani, folklore statunitense, fascinazioni occultiste e psicologia spicciola per venire incontro a ogni prurigine esoterica. Ma tutto è riproposto come maschera e burla, anche la paura della morte. Perché è proprio la realtà della morte, forzosamente nascosta per tutto il resto dell’anno, a essere esorcizzata in un ambiguo rito collettivo, quasi una festa dell’eterna giovinezza che relega nelle case, ancora una volta, gli anziani.
4 - Altro motivo di preoccupazione è che dietro la mascherata della stregoneria e del diabolico, presentate come qualcosa da non prendere sul serio, si cela invece un fenomeno in drammatica crescita: «Presentare Halloween come un rito pagano è eccessivo; sarebbe altrettanto menzognero non riconoscere in essa numerosi e vari aspetti presi in prestito dal paganesimo e dalla stregoneria» (p. 38). Anche se Halloween non promuove esplicitamente fenomeni di occultismo, è accertato che nella notte del 31 ottobre il loro numero aumenta in modo consistente.
5 - Ultima, ma forse più fondata ragione su cui interrogarsi, è che Halloween è una festa indirizzata ai bambini. Le Guay invoca un «principio di precauzione per l’immaginario» (p. 9) perché è nell’immaginazione dei più piccoli che si produce una più forte suggestione, inoculando una fitta cortina di simboli legati a una certa idea – per nulla cristiana – dell’aldilà. Senza considerare che per le prossime generazioni festeggiare Halloween sarà un evento normale, anzi, tradizionale.
Quelle di Le Guay sono riflessioni che vale la pena considerare, quanto meno perché sono domande critiche che risvegliano l’attenzione dalla presunta “inevitabilità” di Halloween. Quale atteggiamento avere davanti a un fenomeno che si espande anno dopo anno? Limitarsi a un confronto muscolare è di sicuro controproducente, anche perché Halloween sembra essere fatta apposta per provocare una beffarda “caccia alle streghe”. A ben vedere, inoltre, Halloween evidenzia un nervo scoperto della società contemporanea: l’incapacità collettiva di affrontare il problema-morte senza depotenziarlo o razionalizzarlo.
Occorre promuovere, innanzi tutto, una serie di atteggiamenti positivi e propositivi che per il cristiano significano testimonianza prima ancora che sfida. Un primo passo è quello della conoscenza e dell’informazione per vivere consapevolmente questi veri e propri segni dei tempi. La repentina imposizione di un fenomeno di massa come Halloween non può passare sotto l’attenzione di tutti come se nulla fosse, a meno che non si sia sprofondati nella rassegnazione. Bisogna avere il coraggio di farsi delle domande, ma anche di farle: provate a domandare che cosa si festeggia ad Halloween, o perché la si festeggia in Italia: otterrete le più varie, balbettanti risposte.

Offrire alternative valide
Il secondo atteggiamento che dovrebbero promuovere quanti si occupano della catechesi è riproporre il valore della solennità di Tutti i santi, all’interno di una rinnovata catechesi sui misteri escatologici della fede cristiana. La liturgia ci prepara alla commemorazione dei fedeli defunti celebrando la comunione di tutta la Chiesa – di quanti pellegrinano, di quanti si purificano e di quanti già contemplano Dio – ricordandoci la comune vocazione alla santità. Dunque la solennità di Tutti i santi va riproposta innanzi tutto nel suo significato ecclesiale, secondo quanto ricorda Lumen gentium 49: «Tutti quelli che sono di Cristo, infatti, avendo il suo Spirito formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in lui (cf Ef 4,16). L’unione di coloro che sono in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è affatto spezzata, anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dalla comunione dei beni spirituali». Questa fraternità indistruttibile è un annuncio di speranza più liberante di qualsiasi esorcismo sull’aldilà: nella notte in cui Halloween dà piede libero ai nostri fantasmi interiori, la Chiesa c’invita a meditare non sulla morte, ma sulla vita eterna. Tornare a contemplare l’orizzonte ultimo della nostra vita è l’incoraggiamento di cui abbiamo bisogno per dissipare demoni e paure.
L’ultima attenzione pastorale da attuare è quella verso i bambini, proprio perché Halloween ne fa i suoi involontari protagonisti. Qui il ruolo dei genitori diventa insostituibile: per quanto insegnanti o catechisti possano aiutarli, è loro compito accompagnare gradualmente i figli verso una presa di coscienza pacifica, ma senza veli, con il mistero della morte. Una modalità è certamente la visita ai propri cari al cimitero, raccontando le loro vite ai ragazzi se non li hanno conosciuti, magari con l’aiuto delle loro fotografie. Insegnare a pregare per i defunti con serena confidenza è la via migliore per sviluppare una visione cristiana dell’aldilà, vitale, sentita, integrata anche a livello affettivo. Da incoraggiare, infine, il rapporto dei bambini con gli anziani e i nonni in modo speciale.

Divisore dans San Francesco di Sales

Evoluzione storica di un fenomeno multiforme
CHI HA PAURA DELL’ALDILÀ?

Il fascino di Halloween è legato in modo inequivocabile a come immaginiamo l’aldilà. Commemorare i defunti è atto religioso elementare, tanto che molti antropologi considerano la sepoltura dei propri simili come la prima azione propriamente umana. Il ricordo dei propri cari ha sempre rivestito una fondamentale importanza sia nei culti primordiali che in quelli più elaborati: ogni cultura ha sviluppato un suo “giorno dei morti”.

È una festa celtica? Per i Celti britannici l’occasione era Oidche Shamhna, la Notte di Samhain, dio della morte, che segnava la fine dell’estate e l’arrivo dell’inverno. Si riteneva che durante questo passaggio della ruota stagionale Samhain liberasse gli spiriti malefici e i morti tornassero sulla terra; per ammansirli si lasciavano davanti alle porte offerte di cibo e s’indossavano costumi spaventosi per ricacciare gli spiriti nel loro mondo. A officiare i riti di Samhain erano i druidi, che in cambio di compensi proteggevano la popolazione accendendo grandi falò e offrendo sacrifici, talvolta umani.

È una festa cristiana? La solennità di Tutti i santi, istituita nel settimo secolo da papa Bonifacio IV a ricordo dei martiri e inizialmente celebrata il 13 maggio, venne spostata al 1° novembre da Gregorio III nell’anno 834 con l’esplicito intento di aiutare i fedeli a vivere cristianamente la commemorazione dei defunti, abbandonando gli usi pagani. Nasceva così All Hallows’ Eve, cioè la Vigilia di Tutti i santi, celebrata la notte del 31 ottobre. Per Lutero è il giorno in cui la Chiesa ha formalmente abbandonato la fede biblica.

È una festa irlandese? Le tradizioni popolari sopravvissute nella cattolica Irlanda diedero origine alla festa di Halloween – storpiatura di [All] Hallows’ Eve – celebrata in parallelo alle festività cristiane. Ma gli elementi pagani sono decaduti a folklorismo: resta la forza coesiva della festa, ma si è indebolito il suo intimo significato. Si usa scavare volti paurosi nel cavolo rapa trasformandoli in lanterne, le Jack-o-lantern, a rappresentare il personaggio di un racconto, Jack il malfattore, che ingannò il diavolo e per questo, respinto sia dal paradiso che dall’inferno, fu condannato a vagare nella notte eterna facendosi luce con un lanternino. Il consueto trick-or-treat (dolcetto o scherzetto) che i bambini chiedono di casa in casa prende invece origine da un’usanza medievale: i pellegrini bussavano alle porte domandando un po’ di soul cake – il “dolce dell’anima”, un pane quadrato con uvetta – promettendo preghiere per i defunti del donatore.

È una festa americana? Halloween giunge negli Stati Uniti insieme alle centinaia di migliaia d’irlandesi costretti a lasciare la patria dalla disastrosa carestia di patate del 1845-’50. Mancando il cavolo rapa si cominciano a scavare le lanterne nelle zucche americane. Del tutto decontestualizzata, la festa perde anche il suo carattere nazionale e si tramuta in un carnevale nero all’insegna del divertimento collettivo: è negli Usa che Halloween raccoglie l’immaginario gotico di gatti neri, streghe, fantasmi, candele, mascherate e burle. D’altra parte, sono gli anni di Edgar Allan Poe. Si consolida l’uso del trick-or-treat: i bambini passano per le case chiedendo dolci, ma se non li ricevono possono insaponare i vetri della casa o anche romperli, scavare buche nel giardino o imbrattare di vernice le auto.

È una festa europea? Infine Halloween torna in Europa come fenomeno di massa una decina di anni fa, un vero e proprio format importato dagli Stati Uniti. Dal 1995 un’azienda francese di costumi, la Masport, comincia a promuovere Halloween in Europa, fino ad attirare l’attenzione dei giganti americani dell’intrattenimento (McDonalds, Disney, Coca-Cola). Oggi, in Francia, Halloween è un marchio commerciale registrato e detenuto dalla società Optos-Opus. In Italia l’interesse per Halloween è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi cinque anni, irraggiandosi dai maggiori centri urbani alle periferie.

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Gioia delle Anime del Purgatorio e loro crescente visione di Dio

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2013

Gioia delle Anime del Purgatorio e loro crescente visione di Dio dans Festa dei Santi e dei fedeli defunti li43

Gioia delle Anime del Purgatorio e loro crescente visione di Dio. L’esempio della ruggine.
Non credo che si possa trovare contentezza da comparare a quella di un’anima del Purgatorio, eccetto quella dei santi del Paradiso.
E ogni giorno questa contentezza cresce, per l’influsso di Dio in esse anime, il quale va crescendo, siccome va consumando l’impedimento dell’influsso.
2. La ruggine del peccato è l’impedimento, e il fuoco va consumando la ruggine; e così l’anima sempre più si va discoprendo al divino influsso. Siccome una cosa coperta non può corrispondere alla riverberazione del sole, non per difetto del sole, che di continuo luce, ma per l’opposizione della copertura: se si consumerà dunque la copertura, si discoprirà la cosa al sole; e tanto più corrisponderà alla riverberazione, quanto la copertura più si andrà consumando.
3. Così la ruggine (cioè il peccato) è la copertura delle anime, e nel Purgatorio si va consumando per il fuoco; e quanto più consuma, tanto più sempre corrisponde al vero sole Iddio. Però tanto cresce la contentezza, quanto manca la ruggine e si discopre l’anima al divin raggio. E così l’un cresce e l’altro manca, sin che sia finito il tempo.
4. Non manca però la pena, ma solo il tempo di stare in essa pena. E quanto alla volontà, non possono mai dire che quelle pene siano pene, tanto si contentano dell’ordinazione di Dio, con la quale è unita la loro volontà in pura carità.

Le Anime vogliono la perfetta purificazione.
E quando un’anima fosse presentata alla visione di Dio, avendo ancora un poco da purgare, se le farebbe una grande ingiuria, e le sarebbe passione maggiore che dieci Purgatorii.
2. Perciocché quella pura bontà e somma giustizia non la potrebbe sopportare, e sarebbe cosa inconveniente da parte di Dio.
3. Ed a quell’anima che vedesse Iddio non essere pienamente da sé ancora soddisfatto, in modo che le mancasse pure un sol batter d’occhio di purgazione, le sarebbe cosa intollerabile, e per levarsi quella poco ruggine, andrebbe più presto in mille Inferni (quando se li potesse eleggere), che star innanzi alla divina presenza, non purificata in tutto ancora.

Tratto da: Il trattato del Purgatorio di Santa Caterina da Genova (Ed. Segno)
Fonte: Flos Carmeli

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Il purgatorio in questa vita

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2013

Il purgatorio in questa vita  dans Citazioni, frasi e pensieri Madonna-con-Bambino-e-anime-purganti-Luca-Giordano-Chiesa-di-San-Pietro-di-Castello-Ve
Madonna con Bambino e anime purganti, Luca Giordano. Chiesa di San Pietro di Castello (Ve)

“Prego solo che la Tua Misericordia mi conceda il purgatorio in questa vita nel fuoco d’amore del Tuo Sacro Cuore”.

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

Divisore dans San Francesco di Sales

Freccia dans Viaggi & Vacanze Novena alle Sante Anime del Purgatorio del Beato Giustino M. della SS. Trinità Russolillo (dal 24 ottobre al 1 novembre)

Freccia dans Viaggi & Vacanze Offertorio del Prez.mo Sangue di N. S. per le anime purganti

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Santa Veronica Giuliani si adopera per liberare un’anima dal Purgatorio

Posté par atempodiblog le 22 octobre 2013

Santa Veronica Giuliani si adopera per liberare un'anima dal Purgatorio dans Festa dei Santi e dei fedeli defunti Santa-Veronica-Giuliani

“…Iddio voleva farmi la grazia di farmi comprendere perché quest’anima abbia avuto sì grandi pene, e fosse costretta (sia stata condannata) a stare sì gran tempo, cioè sino al giorno del giudizio, in sì atroce tormento. Ma, ora, le si è abbreviato il tempo, mediante l’orazione che si è fatta per lei, e con questa esibizione che io ho fatto a Dio, che mandi qualsiasi pena a me.
Ora, ho capito che verrà un gran patire…

In un istante, ho compreso che, per cinque punti speciali, ella abbia patito e patisca così:

1) per non aver fatto l’obbedienza dei superiori, in specie dei confessori;

2) per non aver osservato il voto della povertà, in più capi. Sopra il medesimo punto e, nello stesso tempo, mi era data notizia del come si deve praticare, in tutte le cose, questo santo voto, ed anco Iddio mi ha fatto conoscere i difetti da me commessi, sopra ciò;

3) per la singolarità del vivere che ella aveva fatto, e per essere stata cagione di altri difetti, in altre cose. Qui ancora ebbi più notizie, in un attimo;

4) per le troppe comodità e per essersi contentata, in molte cose; in specie, di (in) quelle che sono contro la regola;

5) il concetto che ella aveva di sé, e (perché) molte volte credeva che Iddio facesse le grazie, per mezzo suo, con altre cose simili.

Capito tutto ciò, mi parve, di nuovo, intendere che mi preparassi a grandi patimenti, se volevo la liberazione di quest’anima…”.

S. Veronica Giuliani – Il Diario, Ed. Cantagalli. A cura di Maria Teresa Carloni

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Digiuno e preghiera per le anime del Purgatorio

Posté par atempodiblog le 21 octobre 2013

Astenersi dal cibo, un modello universale. Distacco dalle cose, quindi dalla violenza dans Digiuno 6y8m

In parrocchia abbiamo cominciato tutti i venerdì, per aiutarci un po’ a fare il digiuno, alle 19:30 a trovarci per fare un incontro di preghiera.  “Alle sette e mezza?” - ha detto il Parroco – “un brutto orario. La gente cena…”, appunto, digiuno eh? Troviamo una pagnotta, davanti a Gesù si mangia meglio e quindi diciamo il Rosario e poi recitiamo le orazioni alla Croce Santa, “ti adoro Croce Santa”, una preghiera anche Paolo VI ha confermato che recitata secondo certe condizioni libera anime dal Purgatorio e la gente mi dice “vabbé ma dopo che ho liberato i miei parenti che… basta”. Ma come basta? Ma sai quanta gente c’è in Purgatorio? La Madonna a Medjugorje ha detto che oggi un gran numero di anime vanno all’Inferno, con buona pace di chi dice che l’inferno è vuoto; “no, ci sarà il diavolo…”, c’è il diavolo, ci sono i suoi angeli, ci sono tutti quelli che hanno rifiutato Gesù vivendo in peccato mortale fino alla fine della loro vita e senza pentirsi. L’inferno non è vuoto. “La maggior parte va in Purgatorio, pochissimi vanno subito in Paradiso”. Qual è il vantaggio di pregare per chi sta in Purgatorio? Che chi viene liberato va in Cielo e ha una riconoscenza infinita per chi è stato strumento di questa liberazione. Ma voi ci pensate se poteste liberare un anima dal Purgatorio?

Diego Manetti

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Rivoluzione

Posté par atempodiblog le 21 octobre 2013

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Nel giudicare la svolta della storia occidentale nel Settecento, si tenga sempre presente quella differenza radicale di prospettiva che da allora separa noi da tutte le generazioni precedenti. La diremo con le parole di Johan Huizinga: «Per l’uomo dell’Ancien Régime il nocciolo della prospettiva sociale stava nel concetto di eguaglianza totale tra gli uomini, ma riferita all’eternità, non ai pochi anni della vita terrena».

Il che, in fondo, vale non solo per l’égalité ma anche per le altre due Persone della Trinità rivoluzionaria: liberté, fraternité. Non capiremo nulla della storia se non metteremo in conto questa differenza radicale: noi guardiamo alla Terra, i nostri antenati guardavano al Cielo; noi ci aggrappiamo alla vita, loro meditavano sulla morte; noi ci preoccupiamo di far carriera, loro di salvarsi dall’inferno; noi ci confrontiamo con i padroni, loro con il Padre.

Certo, quella prospettiva non impediva che la si tradisse bellamente, col lasciare libero sfogo alle umane passioni di sempre. Ma si trattava pur sempre di “tradimenti” (ampiamente deplorati dalla coscienza pubblica e pagati dagli interessati con segreti o espliciti sensi di colpa) rispetto a un orientamento di pensiero e di vita generalmente e pacificamente accettato.

Le cose si sono talmente rovesciate che, mentre era peccaminoso “tradire” il Cielo per la Terra, a partire da un certo punto diventa peccaminoso (almeno socialmente) il contrario: il pensare all’eternità e non alla storia, anzi alla cronaca. È questo, infatti, il concetto di “alienazione” contro cui, seppure da punti di vista diversi, combattono sia il marxismo “proletario” che la psicoanalisi “borghese”. “Anormale”, un tempo, era chi guardava in basso; nei secoli moderni “anormale” è chi guarda in alto.

È forse questo il motivo per cui il linguaggio politico moderno fece ricorso all’astronomia, e quegli eventi li chiamò “rivoluzionari”: parola dotta che, sino al Settecento, riguardava la fisica e non la politica, indicando il movimento di un corpo astrale attorno al suo asse. Parola ottimamente scelta, per significare questo “rigirarsi” completo, questo mutamento totale di prospettiva.

Possiamo pensarne bene o male: sta di fatto che —nel giudicare la storia che ci ha preceduti— non ci è lecito dimenticare che questa “revolutio” è avvenuta e che, quindi, le “nostre” categorie non sono più le “loro”.

 Tratto da: Vittorio MESSORI, Pensare la storia. Una lettura cattolica dell’avventura umana, Paoline, Milano 1992, p. 225-226.
Fonte: Storia Libera

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Non giudichiamo, preghiamo per le persone che si sono tolte la vita

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2013

 Non giudichiamo, preghiamo per le persone che si sono tolte la vita dans Diego Manetti due-solitudini-che-pensano-di-completarsi

Tre anni fa, al termine di un incontro in Piemonte, mi avvicina una donna e mi dice che vorrebbe parlarmi. Mi racconta del figlio che si è suicidato a 19 anni, si è impiccato, lasciato dalla ragazza.

Purtroppo questo qua dell’affettività è un motivo ricorrente per il semplice fatto che i nostri giovani che non hanno un centro nella vita si attaccano l’uno all’altro, due solitudini che pensano di completarsi. E spesso l’altro diventa tutto… “sei la mia vita”, “sei il mio tutto”… son sciocchezze. Ma che sei il mio tutto? Il mio Tutto è Dio. E’ l’Infinito. Tu sei una cosina piccola come me, come fai ad essere il mio tutto? Appena appena me ne rendo conto vado in crisi e se tu mi rifiuti io mi sento perso. Per queste persone così fragili il suicidio è l’unica scelta.

Bèh, questa donna mi chiama e mi dice “puoi venire a casa mia a parlare?” e così ci siam trovati lì a parlare. Sapete la cosa che mi ha stupito? Uno dice “ma chi più di una madre può amare un figlio?”, ma io ho notato una cosa, che questa donna aveva risentimento nei confronti del figlio. Non me l’ha detto, lo sentivo dalle parole… come dire: “come ti sei permesso di toglierti la vita e lasciarmi qui!”, che poco poco è quello che pensiamo quando diciamo “perché ho perso i miei cari?” e li vorremmo tirare indietro.

Io mi son permesso di dire a questa signora “preghi per poter perdonare suo figlio”, lei si è arrabbiata e ha detto “ma come? Io amo mio figlio! Tu non sai…” e io di rimando “ma scusi, scusi… si fidi. Dica una piccola preghiera, ogni giorno, ‘Gesù mio, perdonami’, ‘Gesù mio, perdonami’. Avvolgi tutti nel perdono”. E lei: “io ho già perdonato!”. Io “perdonare è una cosa che solo Dio sa fare, chiedi, ogni giorno, la grazia di perdonare”. Ha masticato amaro e me ne sono andato a casa.

Dopo un anno mi telefona e mi dice: “avevi ragione, io ho cominciato a fare questa preghiera senza crederci e poco a poco è venuto fuori che io avevo rabbia verso mio figlio perché se n’era andato. Dopo un po’ che pregavo ‘Gesù mio, perdonami’, ‘Gesù mio, perdonami’, ho cominciato a sentirmi in pace. Sono andata a confessarmi, sono ritornata a Messa, adesso canto nel coro”.

E’ un mistero che ci lega a quelli che non ci sono più e spesso lo prendiamo dalla parte degli uomini e non dalla parte di Dio. Detto questo, preghiera per tutti quelli che hanno finito la vita nel suicidio. […] Noi non sappiamo nella coscienza di chi si toglie la vita quale possibilità si gioca nell’ultimo istante. Una donna andò a confessarsi da Padre Pio in preda all’angoscia perché il marito si era tolto la vita e Padre Pio la ricevette e questa donna sfoga il suo dolore da Padre Pio e dice: “mio marito è perso” e Padre Pio gli dice “no”, lei “ma si è buttato dal ponte” e lui “ah no, perché tra il ponte e l’acqua c’è stato il tempo di un ‘Gesù mio’”. La Misericordia di Dio è un mistero. Non giudichiamo, preghiamo per le persone che si sono tolte la vita, perché la Misericordia di Dio è più grande della nostra misura. Non diamo per perso nessuno.

Tratto da una catechesi audio di Diego Manetti

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