Per essere cristiani bisogna obbedire alla Chiesa

Posté par atempodiblog le 5 novembre 2011

Due lettere di Don Luigi Giussani, scritte a ridosso delle elezioni del 18 aprile 1948 (dove si giocò il destino dell’Italia), tratte da: « Don Giussani – Vita di un amico » di Renato Farina. Ed. Piemme

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Lettera ai compagni di classe
Milano, 12 aprile 1948
Mio caro amico, forse ti sembrerà strano ricevere questa mia lettera, e a prima vista ti sembrerà ancor più sconveniente il contenuto. Ma il tuo buon senso saprà comprendermi e l’amicizia che ci lega mi saprà perdonare se, cercando di assolvere un mio preciso dovere di coscienza, urterò forse la tua suscettibilità. Una quindicina di anni fa mi chiamavi « Gigetto » o « Gigi » e ci si faceva compagnia. Ora mi chiami col « Don » e non ci si vede che raramente: tu hai preso la tua strada, io ho preso la mia. Tu le tue idee, io le mie. Ma, io spero che, oltre l’amicizia di coscritti, noi continuiamo ad avere ancora una grande cosa in comune: il rispetto alla tradizione cristiana lasciataci dai nostri vecchi, la fede nella Chiesa di Dio. Ci si sta avvicinando ad un giorno che è decisivo per la vita della nostra religione. Tu hai già capito, e forse ti cominci a ribellare a ciò che dico. Ti hanno già persuaso che la Chiesa e la Religione col 18 aprile non c’entrano. Ti han già persuaso che c’è tutta una montatura dei preti « che fan politica ». Ti han già persuaso che si può essere comunisti e rimanere cristiani. Io volevo semplicemente dirti che: giudici e responsabili del cristianesimo non sono i capi di partito o i propagandisti che dominano la situazione negli stabilimenti. I giudici e i responsabili del Suo Cristianesimo li ha creati Gesù Cristo nel Vangelo, e non il Papa e i Vescovi. Ad essi Dio ha detto (Vangelo di San Matteo): «Qualunque cosa voi condannerete sulla terra, la condannerò anch’io nel cielo. Chi ascolta voi ascolta me; chi non ascolta voi non ascolta me». E questo significa che chi non ubbidisce al Papa ed ai Vescovi non è più Cristiano. [...] Senti amico, tu non puoi rimproverarmi se con queste mie parole ho voluto anch’io contribuire a che tu per l’atto decisivo del tuo voto ti abbia a mettere una mano sulla coscienza. Ricordati che è una illusione sperare in un benessere economico da movimenti contrari – anche se non ne sei persuaso alle leggi di Dio e della Chiesa. Non si può servire a due padroni (Vangelo). Non si può pretendere che la Chiesa benedica il tuo matrimonio o la tua morte, perché ti comoda così e poi sostenere quelli che ne sparlano e la calunniano. Dio non si prende in giro. Credimi, è con tutto il mio solito espansivo affetto che io ti prego: non agire per inqualificabile avversione verso l’Idea Cristiana, non ascoltare chi ti riempire la testa di antipatia e di sfiducia, verso il segno della Croce che è il Segno della Fede dei tuoi vecchi, compi un atto di fede nella tua religione che ti ha battezzato, che ti ha educato, che salverà la tua anima. Ascoltami, amico, se non vuoi avere una tremenda responsabilità: per sempre.
Credimi: non sono un impostore: tu mi conosci.
Ti stringe la mano il tuo affezionatissimo amico
Don Luigi Giussani

Lettera agli amici di famiglia
Milano, 12 aprile 1948
Legato a voi da affetto che dona la vicinanza di casa, io non posso lasciar passare un momento così tragico e decisivo per la Chiesa e per la religione e non rivolgervi anch’io un ammonimento, senza altra pretesa che quella di soddisfare a un obbligo di carità verso di voi. Io ricordo con commozione tutta la simpatia con cui avete festeggiato la mia prima Santa Messa. Ebbene noi ci avviciniamo ad una data in cui ancora dobbiamo dimostrare questa fede, data in cui sia pure contro la nostra volontà gli avvenimenti ci impongono di scegliere con Cristo o contro Cristo; o con la Fede dei nostri vecchi o contro questa Fede.
Voi qui comincerete a ribellarvi e a dire che non si tratta di questo. Se ve lo dicessi io, povero prete qualsiasi, avreste ragione di ribellarvi. Ma quando i Pastori supremi che Dio stesso ha messo nel mondo per guidarci, quando cioè il Papa e tutti i Vescovi del mondo lanciano e ripetono con insistenza angosciosa il loro grido di allarme – sentite – o la Chiesa di Dio è impazzita o il grande pericolo c’è davvero. E non sapete che anch’io prete devo obbedire al Papa e ai Vescovi come qualsiasi cristiano? [...]  per essere cristiani bisogna obbedire alla Chiesa. Gesù ha detto nel Vangelo: « Chi ascolta voi ascolta me; chi non ascolta voi non ascolta me ». E non lo ha detto ai propagandisti o ai capi di nessun partito: lo ha detto al Papa e ai Vescovi. Ed ha soggiunto « Qualunque cosa voi approverete sulla terra l’approverò anch’io nel cielo; qualunque cosa voi condannerete, la condannerò anch’io ».
Lo so che voi avete le vostre idee: ma ci sono dei momenti – e questo è uno – in cui bisogna rinunciare anche ad una propria idea politica per non tradire la propria fede cristiana.
Lo so che avete interessi o necessità economiche: ma è una ben triste illusione cercare il benessere o l’interesse economico in movimenti contrari alla legge di Dio.
Lo so che mi griderete: « pensate a voi stessi che site peggio degli altri ». E avete ragione. E lo sappiamo anche noi; e siamo umiliati di dover sostenere la Divina Idea Cristiana, noi che siamo così disgraziati e cattivi, ma non siamo in gioco noi e la nostra cattiveria: è in gioco Dio e la Sua Chiesa. Se voi non votate per l’Idea Cristiana, voi votate non contro di noi, ma contro Gesù e contro la vostra Fede. [...] E’ per questo, amici, che con lo stesso affettuoso zelo con cui mi prodigo per i bambini, e con la stessa cordialità con cui sempre vi saluto, io vi prego: [...] non guardate a noi uomini che sosteniamo questo segno, non guardate alle nostre debolezze e alle nostre cattiverie personali, guardate alla vostra Chiesa e al vostro Signore.
E scusate.
Il vostro Sempre affezionatissimo
Don Luigi Giussani

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Il compito dei cristiani

Posté par atempodiblog le 25 septembre 2011

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“Testimoniare Cristo. Testimoniarlo adoperando gli arnesi della propria professione. Fosse pure quella di essere ammalati, incurabili, in un letto. Siamo stati scelti solo per questo, per la missione. Che questa salvezza, che è la persona di Cristo, possa essere incontrata”.

Don Luigi Giussani

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Gesù vivo fra noi

Posté par atempodiblog le 2 septembre 2011

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Solo ciò che agisce nel presente « è ». Ciò che non agisce nel presente « non è », non c’è. Perché noi non possiamo uscire dal presente: partiamo dal presente, agiamo nel presente, finiamo nel presente. Il presente è la grande caratteristica dell’essere. « Sarò  con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo ». Ma se « è » con noi tutti i giorni, deve essere visibile, tangibile, udibile, misurabile in tempo e spazio, oggi, adesso. Altrimenti « non è », c’è solo un vuoto. Se Gesù non fosse hic et nunc, qui ed ora con una espressione che, soprattutto nei primi anni, il Papa ha amato dire tante volte ci sarebbe un vuoto sterminato.

Don Luigi Giussani 

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Quando la sofferenza si rivela una grazia

Posté par atempodiblog le 17 août 2011

Quando la sofferenza si rivela una grazia dans Citazioni, frasi e pensieri croce

« Dio chiede una più particolare partecipazione alla Croce per la redenzione del male del mondo. Dio desidera la purificazione dei nostri peccati. E il digiuno e la disciplina che non pratichiamo volontariamente, il Signore misericordioso ce li fa vivere attraverso questi dolori e queste privazioni. Ma lo scopo più grande di tali avvenimenti è di richiamarci, soprattutto nei momenti di lotta vertiginosa, che Lui solo è il Vero, Lui solo è la speranza ».

Don Luigi Giussani

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Il tempo della libertà

Posté par atempodiblog le 5 juillet 2011

«L’attesa delle vacanze documenta una volontà di vivere: proprio per questo non devono essere una “vacanza” da se stessi. Allora l’estate non sarà una interruzione o una proroga al prendere sul serio la vita» (Milano Studenti, 5 giugno 1964).
Don Luigi Giussani

Il tempo della libertà dans Don Luigi Giussani In-vacanza-con-lo-sguardo-rivolto-verso-il-Cielo

Appunti di un dialogo prendendo un aperitivo con don Giussani, prima di partire per le ferie
Fonte: Comunione e Liberazione

Dai primissimi giorni di Gioventù Studentesca abbiamo avuto un concetto chiaro e semplice: tempo libero è il tempo in cui uno non è obbligato a fare niente, non c’è qualcosa che si è obbligati a fare, il tempo libero è tempo libero.
Siccome discutevamo spesso coi genitori e coi professori sul fatto che Gs occupava troppo il tempo libero dei ragazzi, mentre i ragazzi avrebbero dovuto studiare o lavorare in cucina, in casa, io dicevo: «Avranno ben il tempo libero, i ragazzi!». «Ma un giovane, una persona adulta» mi si obiettava «lo si giudica dal lavoro, dalla serietà del lavoro, dalla tenacia e dalla fedeltà al lavoro». «No» rispondevo, «macché! Un ragazzo si giudica da come usa il tempo libero». Oh, si scandalizzavano tutti. E invece… se è tempo libero, significa che uno è libero di fare quello che vuole. Perciò quello che uno vuole lo si capisce da come utilizza il suo tempo libero.
Quello che una persona – giovane o adulto – veramente vuole lo capisco non dal lavoro, dallo studio, cioè da ciò che è obbligato a fare, dalle convenienze o dalle necessità sociali, ma da come usa il suo tempo libero. Se un ragazzo o una persona matura disperde il tempo libero, non ama la vita: è sciocco. La vacanza, infatti, è il classico tempo in cui quasi tutti diventano sciocchi. Al contrario, la vacanza è il tempo più nobile dell’anno, perché è il momento in cui uno si impegna come vuole col valore che riconosce prevalente nella sua vita oppure non si impegna affatto con niente e allora, appunto, è sciocco.
La risposta che davamo a genitori e insegnanti più di quarant’anni fa ha una profondità a cui essi non erano mai giunti: il valore più grande dell’uomo, la virtù, il coraggio, l’energia dell’uomo, il ciò per cui vale la pena vivere, sta nella gratuità, nella capacità della gratuità. E la gratuità è proprio nel tempo libero che emerge e si afferma in modo stupefacente. Il modo della preghiera, la fedeltà alla preghiera, la verità dei rapporti, la dedizione di sé, il gusto delle cose, la modestia nell’usare della realtà, la commozione e la compassione verso le cose, tutto questo lo si vede molto più in vacanza che durante l’anno. In vacanza uno è libero e, se è libero, fa quello che vuole.
Questo vuol dire che la vacanza è una cosa importante. Innanzitutto ciò implica attenzione nella scelta della compagnia e del luogo, ma soprattutto c’entra con il modo in cui si vive: se la vacanza non ti fa mai ricordare quello che vorresti ricordare di più, se non ti rende più buono verso gli altri, ma ti rende più istintivo, se non ti fa imparare a guardare la natura con intenzione profonda, se non ti fa compiere un sacrificio con gioia, il tempo del riposo non ottiene il suo scopo. La vacanza deve essere la più libera possibile. Il criterio delle ferie è quello di respirare, possibilmente a pieni polmoni.
Da questo punto di vista, fissare come principio a priori che un gruppo debba fare la vacanza insieme è innanzitutto contrario a quanto detto, perché i più deboli della compagnia, per esempio, possono non osare dire di no. In secondo luogo è contro il principio missionario: l’andare in vacanza insieme deve rispondere a questo criterio. Comunque, innanzitutto, libertà sopra ogni cosa. Libertà di fare ciò che si vuole… secondo l’ideale! Che cosa ne viene in tasca, a vivere così? La gratuità, la purità del rapporto umano.
In tutto questo l’ultima cosa di cui ci si può accusare è di invitare ad una vita triste o di costringere ad una vita pesante: sarebbe il segno che proprio chi obietta è triste, pesante e macilento. Dove macilento indica chi non mangia e non beve, perciò chi non gode della vita. E dire che Gesù ha identificato lo strumento, il nesso supremo tra l’uomo che cammina sulla terra e il Dio vivente, l’Infinito, il Mistero infinito, col mangiare e col bere: l’eucarestia è mangiare e bere – anche se adesso tanto spesso è ridotta a uno schematismo di cui non si capisce più il significato -. È un mangiare e un bere: agape è un mangiare e bere. L’espressione più grande del rapporto tra me e questa presenza che è Dio fatto uomo in te, o Cristo, è mangiare e bere con te. Dove tu ti identifichi con quel che mangi e bevi, così che, «pur vivendo nella carne io vivo nella fede del Figlio di Dio» (“fede” vuol dire riconoscere una Presenza).

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Umanità e Chiesa

Posté par atempodiblog le 19 avril 2011

« È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità? »
Thomas Stearns Eliot

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Ma come fa un uomo del mio tempo, un uomo di questo tempo, parlando di cultura, usando la parola cultura, a non tener presente questa frase qui?! Dimentica i quattro quinti del mondo.
[...] innanzitutto è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa, perché se io ho bisogno di una cosa, le corro dietro, se quella cosa va via. Nessuno correva dietro.
La Chiesa ha cominciato a abbandonare l’umanità secondo me, secondo noi, perché ha dimenticato chi era Cristo, non ha poggiato su… ha avuto vergogna di Cristo, di dire chi è Cristo.

Don Luigi Giovanni Giussani

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La nostra vita appartiene a un Altro

Posté par atempodiblog le 26 janvier 2010

La nostra vita appartiene a un Altro dans Don Luigi Giussani dongiussani

«La nostra vita appartiene a qualcosa d’Altro. L’inevitabilità [di ciò che accade] è come il sinonimo più chiarificatore di questa non appartenenza a noi della cosa, e soprattutto non appartiene a noi ciò da cui tutto deriva: la nostra vita appartiene a un Altro.
In questo senso si capisce perché la vita dell’uomo è drammatica: se non appartenesse a un Altro sarebbe tragica. La tragedia è quando una costruzione frana e tutti i sassi e i pezzi di marmo e i pezzi dimuro, crollano. E tutto nella vita diventa niente, è destinato a diventar niente, perché di ciò che abbiamo vissuto nel passato, di ciò che abbiamo vissuto fino a un’ora fa, fino a cinqueminuti fa, non esiste più niente di formato, di costruito non esiste più niente. E questo è tragico. La tragedia è il nulla come traguardo, il niente, il niente di ciò che c’è.
Mentre se tutto appartiene a un Altro, a qualcosa d’Altro, allora la vita dell’uomo è drammatica, non tragica. Riconosco che ti appartengo, riconosco che il tempo non è statomio, non mi apparteneva, come il tempo fino ad oggi non mi appartiene, non mi appartiene. Prendi pure la mia vita, accetto che non mi appartenga, riconosco che non mi appartiene, accetto che non mi appartenga.
Ciò che possiede il nostro tempo è morto per noi, si presenta ai nostri occhi e al nostro cuore come il luogo dove è amato il nostro destino, dove è amata la nostra felicità, tanto che Colui che possiede il tempo muore per il nostro tempo. Il Signore, Colui a cui appartiene il tempo, è buono».

Don Luigi Giussani – Si può vivere così?

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La maturità della fede

Posté par atempodiblog le 9 septembre 2009

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La grandezza della Madonna è la sua semplicità: lei ha detto: «Sì» e basta, non chiedeva altro. Noi, invece, abbiamo sempre bisogno di qualcosa d’altro, di qualche prova in più per potere essere decisi.
La maturità della fede, Cristo l’ha definita, paragonata al bambino. Il bambino sente istintivamente di appartenere ai genitori e di fronte alle cose dice: «Sì», sgrana gli occhi: non chiede altre conferme di ciò che vede. Quello che il bambino fa per istinto di natura, l’uomo con una fede matura lo fa coscientemente. Quindi la maturità della fede è il bambino che da istinto diventa coscienza, con la stessa semplicità.

Don Luigi Giussani

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