Il Grazie

Posté par atempodiblog le 29 juillet 2008

Il Grazie dans Don Bruno Ferrero grazieff2

Un’insegnante chiese agli scolari della sua prima elementare di disegnare qualcosa per cui sentissero di ringraziare il Signore. Pensò quanto poco di cui essere grati in realtà avessero questi bambini provenienti da quartieri poveri. Ma sapeva che quasi tutti avrebbero disegnato panettoni o tavole imbandite.
L’insegnante fu colta di sorpresa dal disegno consegnato da Tino: una semplice mano disegnata in maniera infantile.
Ma la mano di chi?
La classe rimase affascinata dall’immagine astratta. « Secondo me è la mano di Dio che ci porta da mangiare » disse un bambino. « Un contadino » disse un altro, « perché alleva i polli e le patatine fritte ».
Mentre gli altri erano al lavoro, l’insegnante si chinò sul banco di Tino e domandò di chi fosse la mano. « E’ la tua mano, maestra » mormorò il bambino.
Si rammentò che tutte le sere prendeva per mano Tino, che era il più piccolo e lo accompagnava all’uscita. Lo faceva anche con altri bambini, ma per Tino voleva dire molto.

Hai mai pensato al potere immenso delle tue mani?


Dovremmo imparare ad osservare i « comandamenti della casalinga »:
« Se ci dormi sopra… rimettilo in ordine.
Se lo indossi… appendilo.
Se finisci di mangiare… mettilo nel lavandino.
Se ci cammini sopra… sbattilo.
Se lo apri… chiudilo.
Se lo svuoti… riempilo.
Se suona… rispondi.
Se miagola… dagli da mangiare.
Se piange… amalo ».

di Bruno Ferrero – A volte basta un raggio di sole

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Strategia dell’anatra

Posté par atempodiblog le 15 juillet 2008

Tre giovani avevano compiuto diligentemente i loro studi alla scuola di grandi maestri. Prima di lasciarsi fecero una promessa: avrebbero percorso il mondo e si sarebbero ritrovati, dopo un anno, portando la cosa più preziosa che fossero riusciti a trovare.
Il primo non ebbe dubbi: partì alla ricerca di una gemma splendida ed inestimabile. Attraversò mari e deserti, salì montagne e visitò città sinché non l’ebbe trovata: era la più splendida gemma che avesse mai rifulso sotto il sole. Tornò allora in patria in attesa degli amici.
Il secondo tornò dopo poco tenendo per mano una ragazza dal volto dolce ed attraente. « Ti assicuro che non c’è nulla di più prezioso di due persone che si amano », disse.
Si misero ad aspettare il terzo amico. Molti anni passarono prima che questi arrivasse. Era infatti partito alla ricerca di Dio. Aveva consultato i più celebrati maestri di tutte le contrade, ma non aveva trovato Dio. Aveva studiato e letto, ma senza trovare Dio. Aveva rinunciato a tutto, ma Dio non lo aveva trovato. Un giorno, spossato per il tanto girovagare, si abbandonò nell’erba sulla riva di un lago. Incuriosito seguì le affannate manovre di un’anatra che in mezzo ai canneti cercava i piccoli che s’erano allontanati da lei. I piccoli erano numerosi e vivaci, e sino al calar dei sole l’anatra cercò, nuotando senza posa tra le canne, finché non ebbe ricondotto sotto la sua ala l’ultimo dei suoi nati.
Allora l’uomo sorrise e fece ritorno al paese.
Quando gli amici lo rividero, uno gli mostrò la gemma e l’altro la ragazza che era diventata sua moglie, poi pieni di attesa, gli chiesero: « E tu, che cos’hai trovato di prezioso? Qualcosa di magnifico, se hai impiegato tanti anni. Lo vediamo dal tuo sorriso ». « Ho cercato Dio », rispose il terzo giovane. « E lo hai trovato? », chiesero i due, sbalorditi.
« Ho scoperto che era Lui che cercava me ». Non devi fare molto, tu. Solo lasciarti trovare da Dio. Lui ti sta cercando.

di Bruno Ferrero

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La consolazione

Posté par atempodiblog le 11 juillet 2008

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Una bambina torna dalla casa di una vicina alla quale era appena morta, in modo tragico la figlioletta di otto anni.
« Perché sei andata? », le domanda il padre.
« Per consolare la mamma ».
« E che potevi fare, tu così piccola, per consolarla? ».
« Le sono salita in grembo e ho pianto con lei ».

Se accanto a te c’è qualcuno che soffre, piangi con lui. Se c’è qualcuno che è felice, ridi con lui.
L’amore vede e guarda, ode e ascolta. Amare è partecipare, completamente, con tutto l’essere. Chi ama scopre in sé infinite risorse di consolazione e compartecipazione. Siamo angeli con una ala sola: possiamo volare solo se ci teniamo abbracciati.

Bruno Ferrero – 40 storie nel deserto

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La parabola dei vetri colorati

Posté par atempodiblog le 10 juillet 2008

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di Bruno Ferrero

Uscirono dalla vetreria lo stesso giorno. Gli operai le trattarono con attenzione e cautela. Le impilarono tra morbidi panni e poi le riposero in una cassa immerse in soffici materiali antiurto.
Erano dieci lastre di vetro colorato. Lastre blu, azzurro, verde, arancione, giallo rosso, viola.
«Avete visto come ci trattano?», esclamò fieramente una lastra blu.
«Siamo certamente tra le cose più preziose dell’universo», le fece eco una lastra gialla.
«I migliori tra i migliori, però siamo noi!», gridarono all’unisono quelle rosse. «Siamo il colore del sangue, della vita, della lotta!».
«I rossi si credono sempre speciali», brontolarono le lastre verdi.
«Sono solo dei palloni gonfiati», aggiunsero tutti i toni dell’azzurro.
La cassa fu chiusa, sollevata, caricata su qualcosa di veloce e puzzolente. Le lastre, timorose e sorprese, tacquero per un po’.
Il viaggio fu lungo, ma alla fine la cassa tornò a essere posata sulla salda terra e aperta.

Nel grande stanzone
«Finalmente, un po’ d’aria!», esclamarono insieme le lastre di vetro. Si trovavano in un grande stanzone, formicolante di operai indaffarati. Uno di essi afferrò la prima lastra, quella blu, tracciò sulla sua superficie degli strani ghirigori.
«Ehi, smettila di farmi il solletico!», strillò la lastra. Il blu è tremendamente suscettibile.
Ma l’uomo impugnò uno strumento affilato e cominciò a tagliare la lastra in frammenti di varie dimensioni.
«No! Non rompermi!», gridava disperata la lastra blu. Le altre lastre inorridirono e cominciarono a lagnarsi e a piangere: «Qui ci fanno a pezzi!».
«Facciamo sciopero!», gridarono le lastre rosse.
Ma non servì a niente. Una dopo l’altra furono fatte a pezzi. Solo la lastra viola, facendo finta di niente, riuscì a nascondersi dietro a un armadio.
Gli operai raccolsero i pezzi di vetro e li disposero attentamente su un grande tavolo. Un pezzo rosso e uno giallo si trovarono a contatto e cominciarono a litigare.
«Non voglio stare vicino a questo qui!», protestavano contemporaneamente.
Gli azzurri  contestavano i verdi: «State lontani, profeti di sventura!».
Ma i solerti operai non avevano finito e tra frammento e frammento fecero scorrere una lama ardente di piombo fuso che saldò in modo indissolubile un pezzo di vetro all’altro.
Questa volta i pezzi di vetro colorato non ebbero neanche la forza di protestare. Si rassegnarono. Il loro destino era segnato per sempre.

Insieme, in attesa della luce
Seguirono altri trasferimenti, altre sistemazioni. Si trovarono in una specie di cantina buia, sotto una grande volta.
«Qui siamo tutti uguali: grigi e squallidi. Così va la vita», filosofeggiò un giallo. Giocarono un po’ agli indovinelli per passare il tempo, ma si annoiavano e si addormentarono.
Poi arrivò la luce.
Furono svegliati da una sfilza di «Ooooh!». Meravigliati, videro davanti a loro una folla che si accalcava con il naso all’insù. Gli occhi della gente erano sgranati per lo stupore.
E nei loro occhi si rispecchiarono e poterono vedersi per la prima volta. Ammutolirono per la sorpresa: erano diventati una sbalorditiva vetrata multicolore che rappresentava una splendida Madonna con il Bambino Gesù in braccio. La luce del sole, che li aveva inondati, faceva risaltare ogni colore in tutta la sua intensità.
«Gente, ma siamo una bomba!», gridarono i rossi.
«Tutti insieme, effettivamente, facciamo un certo effetto», replicarono gli azzurri.
«Puoi ben dirlo, fratello», esclamò un giallo. Non aveva mai chiamato «fratello» nessuno.
Finalmente i pezzi di vetro, nel loro piccolo colorato cuore erano felici e appagati. Insieme, avevano capito il motivo per cui erano stati creati.
E la lastra viola? La trovarono alcuni mesi dopo, dietro l’armadio. Era coperta di polvere e non sapendo che farsene, la buttarono nella discarica.


La storia racconta la difficoltà di «fare gruppo». Ognuno dei componenti di un gruppo, soprattutto se si raduna per la prima volta, è dotato di carattere, temperamento, situazione familiare, «colore», diversi. Bisogna accettare di essere «spezzati», cioè rinunciare all’egoismo e all’egocentrismo, far scorrere del piombo fuso, cioè la capacità di accettazione e di collaborazione, infine essere illuminati dalla luce che proviene dall’alto, cioè avere un ideale, una finalità.

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La macchia nera

Posté par atempodiblog le 9 juillet 2008

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Una volta, un maestro fece una macchiolina nera nel centro di un bel foglio di carta bianco e poi lo mostrò agli allievi.
« Che cosa vedete? », chiese.
« Una macchia nera! », risposero in coro.
« Avete visto tutti la macchia nera che è piccola piccola », ribatté il maestro, « e nessuno ha visto il grande foglio bianco ».

La vita è una serie di momenti: il vero successo sta nel viverli tutti. Non rischiare di perdere il grande foglio bianco per inseguire una macchiolina nera.

di Bruno Ferrero

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Lo spaventapasseri

Posté par atempodiblog le 28 juin 2008

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Una volta un cardellino fu ferito a un’ala da un cacciatore. Per qualche tempo riuscì a sopravvivere con quello che trovava per terra. Poi, terribile e gelido, arrivò l’inverno. Un freddo mattino, cercando qualcosa da mettere nel becco, il cardellino si posò su uno spaventapasseri. Era uno spaventapasseri molto distinto, grande amico di gazze, cornacchie e volatili vari. Aveva il corpo di paglia infagottato in un vecchio abito da cerimonia; la testa era una grossa zucca arancione; i denti erano fatti con granelli di mais; per naso aveva una carota e due noci per occhi. « Che ti capita, cardellino? », chiese lo spaventapasseri, gentile come sempre. « Va male. – sospirò il cardellino – Il freddo mi sta uccidendo e non ho un rifugio. Per non parlare del cibo. Penso che non rivedrò la primavera ». « Non aver paura. Rifugiati qui sotto la giacca. La mia paglia è asciutta e calda ». Così il cardellino trovò una casa nel cuore di paglia dello spaventapasseri. Restava il problema del cibo. Era sempre più difficile per il cardellino trovare bacche o semi. Un giorno in cui tutto rabbrividiva sotto il velo gelido della brina, lo spaventapasseri disse dolcemente al cardellino. « Cardellino, mangia i miei denti: sono ottimi granelli di mais ». « Ma tu resterai senza bocca ». « Sembrerò molto più saggio ». Lo spaventapasseri rimase senza bocca, ma era contento che il suo piccolo amico vivesse. E gli sorrideva con gli occhi di noce. Dopo qualche giorno fu la volta del naso di carota. « Mangialo. E’ ricco di vitamine », diceva lo spaventapasseri al cardellino. Toccò poi alle noci che servivano da occhi. « Mi basteranno i tuoi racconti », diceva lui. Infine lo spaventapasseri offrì al cardellino anche la zucca che gli faceva da testa. Quando arrivò la primavera, lo spaventapasseri non c’era più. Ma il cardellino era vivo e spiccò il volo nel cielo azzurro.

« Mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo » (Matteo 26,26).

di Bruno Ferrero – Cerchi nell’acqua

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Il legno inutile

Posté par atempodiblog le 28 juin 2008

Il legno inutile dans Don Bruno Ferrero scalacielo

In un angolo sperduto del mondo, nel folto di una foresta fittissima, c’era una scaletta. Era una semplice scala a pioli, di vecchio legno stagionato e usurato.
Era circondata da abeti, lacci, betulle. Alberi stupendi. Là in mezzo sembrava davvero una cosa meschina.
I boscaioli che lavoravano nella foresta, un giorno, arrivarono fin là. Guardarono la scala con commiserazione: « Ma che robaccia è? » esclamò uno.
« Non è buona neanche da bruciare » disse un altro.
Uno di loro impugnò l’ascia e l’abbatté con due colpi ben assestati. Venne giù in un attimo. Era davvero una cosa da niente. I boscaioli si allontanarono ridacchiando.
Ma quella era la scala su cui ogni sera si arrampicava l’omino che accendeva le stelle.
Da quella notte il cielo sulla foresta rimase senza stelle.

C’è una scala anche dentro di te. Paragonata alle tante cose che ti vengono offerte ogni giorno é un niente. Ma è la scala che serve per salire ad accendere le stelle nel tuo cielo.
Si chiama preghiera.

Bruno Ferrero – A volte basta un raggio di sole

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La Rosa

Posté par atempodiblog le 23 juin 2008

La Rosa dans Don Bruno Ferrero rosa2ib5

Il poeta tedesco Rilke abitò per un certo periodo a Parigi. Per andare all’Università percorreva ogni giorno, in compagnia di una sua amica francese, una strada molto frequentata.
Un angolo di questa via era permanentemente occupato da una mendicante che chiedeva l’elemosina ai passanti. La donna sedeva sempre allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo.
Rilke non le dava mai nulla, mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta.
Un giorno la giovane francese, meravigliata domandò al poeta: «Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta?».
«Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore, non alle sue mani», rispose il poeta.
Il giorno dopo, Rilke arrivò con una splendida rosa appena sbocciata, la depose nella mano della mendicante e fece l’atto di andarsene.
Allora accadde qualcosa d’inatteso: la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento da terra, prese la mano dell’uomo e la baciò. Poi se ne andò stringendo la rosa al seno.
Per una intera settimana nessuno la vide più. Ma otto giorni dopo, la mendicante era di nuovo seduta nel solito angolo della via. Silenziosa e immobile come sempre.
«Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulla?», chiese la giovane francese.
«Della rosa», rispose il poeta.

«Esiste un solo problema, uno solo sulla terra. Come ridare all’umanità un significato spirituale, suscitare un’inquietudine dello spirito. E’ necessario che l’umanità venga irrorata dall’alto e scenda su di lei qualcosa che assomigli a un canto gregoriano. Vedete, non si può continuare a vivere occupandosi soltanto di frigoriferi, politica, bilanci e parole crociate. Non è possibile andare avanti così» (Antoine de Saint-Exupéry)

di Bruno Ferrero – L’importante è la rosa

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Accontentarsi

Posté par atempodiblog le 21 juin 2008

Lo zio Carlo mi ha detto: « Nella lettera a Babbo Natale hai scritto che desideri la pace nel mondo, ma perché non ti accontenti di una mountain bike? ».
(Ludovico, 7 anni)

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Un falco era stato catturato da un contadino e viveva legato per una zampa nell’aia di un cascinale.
Non si era rassegnato a vivere come un qualunque pollo. Aveva cominciato a dare strattoni su strattoni alla corda che lo teneva avvinto ad un robusto trave del pollaio. Fissava il cielo azzurro e partiva con tutte le sue forze. Inesorabile, la corda lo tirava a terra.
Provò e riprovò per settimane, finché la pelle della zampa fu tutta lacerata e le belle ali rovinate.
Alla fine si era abituato. Dopo qualche mese trovava di suo gradimento anche il mangime dei polli. Si accontentò di razzolare.
Così non si accorse che le piogge autunnali e la neve dell’inverno avevano fatto marcire la corda che lo legava a terra.
Sarebbe bastato un ultimo modesto strattone e il falco sarebbe tornato in libertà, padrone del cielo.
Ma non lo diede più.
Il nostro corpo fatica anche solo a salire una rampa di scale.
Ma la nostra anima ha le ali. E il cielo è nostro.

di Bruno Ferrero – C’è qualcuno lassù?

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La scatola

Posté par atempodiblog le 18 juin 2008

La scatola dans Don Bruno Ferrero diddljv3

La bambina stava preparando un suo pacco di Natale. Avvolgeva una scatola con costosissima carta dorata. Impiegava una quantità sproporzionata di carta e fiocchi e nastro colorato.
« Cosa fai? » la rimproverò aspramente il padre. « Stai sprecando tutta la carta! Hai idea di quanto costa? ».
La bambina con gli occhi pieni di lacrime si rifugiò in un angolo stringendo al cuore la sua scatola.
La sera della vigilia di Natale, con i suoi passettini da uccellino, si avvicinò al papà ancora seduto a tavola e gli porse la scatola avvolta con la preziosa carta da regalo.
« E per te, papi » mormorò.
Il padre si intenerì. Forse era stato troppo duro. Dopo tutto quel dono era per lui. Sciolse lentamente il nastro, sgrovigliò con pazienza la carta dorata e aprì pian piano la scatola. Era vuota!
La sorpresa sgradita riacutizzò la sua irritazione ed esplose:
« E tu hai sprecato tutta questa carta e tutto questo nastro per avvolgere una scatola vuota!? ».
Mentre le lacrime tornavano a far capolino nei suoi grandi occhi, la bambina disse: « Ma dentro ci ho messo un milione di bacini! ».
Per questo, oggi c’è un uomo che in ufficio tiene sulla scrivania una scatola da scarpe.
« Ma è vuota » dicono tutti.
« No. E piena dell’amore della mia bambina » risponde lui.

C’era una volta un bambino, che andando e stando a scuola teneva sempre chiuso il pugno della mano sinistra. Quando era interrogato dalla maestra, si alzava e rispondeva tenendo il suo pugno chiuso; scriveva, con la destra, e conservava il pugno sinistro ben chiuso.
Un giorno la maestra, anche per dare soddisfazione a tutti gli alunni, gli chiese il perché di questo atteggiamento.
Il bambino non voleva rispondere, ma poi, dietro le insistenze della maestra e soprattutto per accontentare i compagni di scuola, decise di svelare il segreto.
« Quando ogni mattina parto da casa per venire a scuola, mia madre, mi stampa sul palmo della mano sinistra un forte bacio e poi chiudendomi la mano, mi dice sorridendo: Bambino mio, tieni sempre ben chiuso qui nella tua mano il bacio di tua madre!
Per questo tengo sempre il pugno chiuso: c’è il bacio della mia mamma dentro ».

di Bruno Ferrero – Il Segreto dei Pesci Rossi

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I gessetti colorati

Posté par atempodiblog le 16 juin 2008

Nessuno sapeva quando quell’uomo fosse arrivato in città. Sembrava sempre stato là, sul marciapiede della via più affollata, quella dei negozi, dei ristoranti, dei cinema eleganti, del passeggio serale, degli incontri degli innamorati.
Ginocchioni per terra, con dei gessetti colorati, dipingeva angeli e paesaggi meravigliosi, pieni di sole, bambini felici, fiori che sbocciavano e sogni di libertà.
Da tanto tempo, la gente della città si era abituata all’uomo. Qualcuno getteva una moneta sul disegno. Qualche volta si fermavano e gli parlavano. Gli parlavano delle loro preoccupazioni, delle loro speranze; gli parlavano dei loro bambini: del più piccolo che voleva ancora dormire nel lettone e del più grande che non sapeva che Facoltà scegliere, perché il futuro è difficile da decifrare…
L’uomo ascoltava. Ascoltava molto e parlava poco.
Un giorno, l’uomo cominciò a raccogliere le sue cose per andarsene.
Si riunirono tutti intorno a lui e lo guardavano. Lo guardavano ed aspettavano.
« Lasciaci qualcosa. Per ricordare ».
L’uomo mostrava le sue mani vuote: che cosa poteva donare?
Ma la gente lo circondava e aspettava.
Allora l’uomo estrasse dallo zainetto i suoi gessetti di tutti i colori, quelli che gli erano serviti per dipingere angeli, fiori e sogni, e li distribuì alla gente.
Un pezzo di gessetto colorato ciascuno, poi senza dire una parola se ne andò.
Che cosa fece la gente dei gessetti colorati? Qualcuno lo inquadrò, qualcuno lo portò al museo civico di arte moderna, qualcuno lo mise in un cassetto, la maggioranza se ne dimenticò.

E’ venuto un Uomo ed ha lasciato anche a te la possibilità di colorare il mondo. Tu che hai fatto dei tuoi gessetti?

di Bruno Ferrero - A volte basta un raggio di sole

 

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Il club del novantanove

Posté par atempodiblog le 16 juin 2008

C’era una volta un re molto triste che aveva un servo molto felice che circolava sempre con un grande sorriso sul volto. «Paggio», gli chiese un giorno il re, «qual è il segreto della tua allegria?».
«Non ho nessun segreto. Signore, non ho motivo di essere triste. Sono felice di servirvi. Con mia moglie e i miei figli vivo nella casa che ci è stata assegnata dalla corte. Ho cibo e vestiti e qualche moneta di mancia ogni tanto».
Il re chiamò il più saggio dei suoi consiglieri: «Voglio il segreto della felicità del paggio!».
«Non puoi capire il segreto della sua felicità. Ma se vuoi, puoi sottrargliela».
«Come?».
«Facendo entrare il tuo paggio nel giro del novantanove».
«Che cosa significa?».
«Fa’ quello che ti dico…».
Seguendo le indicazioni del consigliere, il re preparò una borsa che conteneva novantanove monete d’oro e la fece dare al paggio con un messaggio che diceva: «Questo tesoro è tuo. Goditelo e non dire a nessuno come lo hai trovato».
Il paggio non aveva mai visto tanto denaro e pieno di eccitazione cominciò a contarle: dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta…
novantanove!
Deluso, indugiò con lo sguardo sopra il tavolo, alla ricerca della moneta mancante. «Sono stato derubato!» gridò. «Sono stato derubato! Maledetti!».
Cercò di nuovo sopra il tavolo, per terra, nella borsa, tra i vestiti, nelle tasche, sotto i mobili… Ma non trovò quello che cercava.
Sopra il tavolo, quasi a prendersi gioco di lui, un mucchietto di monete splendenti gli ricordava che aveva novantanove monete d’oro. Soltanto novantanove. «Novantanove monete. Sono tanti soldi», pensò. «Ma mi manca una moneta. Novantanove non è un numero completo» pensava. «Cento è un numero completo, novantanove no».
La faccia del paggio non era più la stessa. Aveva la fonte corrugata e i lineamenti irrigiditi. Stringeva gli occhi e la bocca gli si contraeva in una orribile smorfia, mostrando i denti.
Calcolò quanto tempo avrebbe dovuto lavorare per guadagnare la centesima moneta, avrebbe fatto lavorare sua moglie e i suoi figli. Dieci dodici anni, ma ce l’avrebbe fatta!
Il paggio era entrato nel giro del novantanove…
Non passò molto tempo che il re lo licenziò. Non era piacevole avere un paggio sempre di cattivo umore.

 

E se ci rendessimo conto, così di colpo, che le nostre novantanove monete sono il cento per cento del tesoro. E che non ci manca nulla, nessuno ci ha portato via nulla, il numero cento non è più rotondo del novantanove. È soltanto un tranello, una carota che ci hanno messo davanti al naso per renderci stupidi, per farci tirare il carretto, stanchi, di malumore, infelici e rassegnati. Un tranello per non farci mai smettere di spingere.
Quante cose cambierebbero se potessimo goderci i nostri tesori così come sono.

Bruno Ferrero – Ma noi abbiamo le ali

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Come Maria

Posté par atempodiblog le 15 juin 2008

Una notte ho fatto un sogno splendido. Vidi una strada lunga, una strada che si snodava dalla terra e saliva su nell’aria, fino a perdersi tra le nuvole, diretta in cielo. Ma non era una strada comoda, anzi era una strada piena di ostacoli, cosparsa di chiodi arrugginiti, pietre taglienti e appuntite, pezzi di vetro. La gente camminava su quella strada a piedi scalzi. I chiodi si conficcavano nella carne, molti avevano i piedi sanguinanti. Le persone però non desistevano: volevano arrivare in cielo. Ma ogni passo costava sofferenza e il cammino era lento e penoso. Ma poi, nel mio sogno, vidi Gesù che avanzava. Era anche lui a piedi scalzi. Camminava lentamente, ma in modo risoluto. E neppure una volta si ferì i piedi.
Gesù saliva e saliva. Finalmente giunse al cielo e là si sedette su un grande trono dorato. Guardava in giù, verso quelli che si sforzavano di salire. Con lo sguardo e i gesti li incoraggiava. Subito dopo di lui, avanzava Maria, la sua mamma.
Maria camminava ancora più veloce di Gesù.
Sapete perché? Metteva i suoi piedi nelle impronte lasciate da Gesù. Così arrivò presto accanto a suo Figlio, che la fece sedere su una grande poltrona alla sua destra.
Anche Maria si mise ad incoraggiare quelli che stavano salendo e invitava anche loro a camminare nelle orme lasciate da Gesù, come aveva fatto lei.
Gli uomini più saggi facevano proprio così e procedevano spediti verso il cielo. Gli altri si lamentavano per le ferite, si fermavano spesso, qualche volta desistevano del tutto e si accasciavano sul bordo della strada sopraffatti dalla tristezza.

Una mattina un professore di cardiologia condusse gli alunni al laboratorio di anatomia umana dell’Università.
Stavano osservando alcuni organi, quando notarono un cuore smisuratamente grande.
Il professore chiese ai ragazzi se sapevano dire a chi fosse appartenuto, intendendo quale malattia avesse causato la morte di quella persona.
« Io lo so » disse un ragazzo, in tono molto serio. « Era il cuore di una madre ».

di Bruno Ferrero – A volte basta un raggio di sole

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L’educazione

Posté par atempodiblog le 14 juin 2008

Quand’ero adolescente – raccontava un uomo ad un amico – mio padre mi mise in guardia da certi posti in città. Mi disse: « Non andare mai in una discoteca, figlio mio ».
« Perché no, papà? », domandai.
« Perché vedresti cose che non dovresti vedere ».
Questo, ovviamente, suscitò la mia curiosità. E alla prima occasione andai in una discoteca.
« E hai visto qualcosa che non dovevi vedere? », domandò l’amico.
« Certo », rispose l’uomo. « Ho visto mio padre ».

Un bambino in piedi sul letto nel suo pigiamino rosso punta il dito contro la mamma e fieramente dichiara: « In non voglio essere intelligente. Io non voglio essere beneducato. Io voglio essere come papà! ».
L’esempio non è uno dei tanti metodi per educare. E’ l’unico.

di Bruno Ferrero – A volte basta un raggio di sole

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Il disegno

Posté par atempodiblog le 13 juin 2008

Un bambino stava disegnando e l’insegnante gli disse: « E’ un disegno interessante, cosa rappresenta? ».
« E’ un ritratto di Dio ».
« Ma nessuno sa come sia fatto Dio ».
« Quando avrò finito il disegno lo sapranno tutti ».

Poco dopo la nascita di suo fratello, la piccola Sachi cominciò a chiedere ai genitori di lasciarla sola con il neonato. Si preoccupavano che, come quasi tutti i bambini di quattro anni, potesse sentirsi gelosa e volesse picchiarlo o scuoterlo, per cui dissero di no. Ma Sachi non mostrava segni di gelosia. Trattava il bambino con gentilezza e le sue richieste di essere lasciata sola si facevano più pressanti. I genitori decisero di consentirglielo.
Esultante, Sachi andò nella camera del bambino e chiuse la porta, ma rimase una fessura aperta, abbastanza da consentire ai curiosi genitori di spiare e ascoltare. Videro la piccola Sachi andare tranquillamente dal fratellino, mettere il viso accanto al suo e dire con calma: « Bambino, dimmi come è fatto Dio. Comincio a dimenticarmelo ».
I bambini sanno com’è fatto Dio, ma arrivano in un mondo che fa di tutto per farglielo dimenticare il più in fretta possibile.

di Bruno Ferrero – A volte basta un raggio di sole

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