L’avventura dei ricci

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2008

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Un’estate, una famiglia di ricci venne ad abitare nella foresta. Il tempo era bello, faceva caldo, e tutto il giorno i ricci si divertivano sotto gli alberi. Poi correvano nei campi, nei dintorni della foresta, giocavano a nascondino tra i fiori, acchiappavano mosche per nutrirsi e, la notte, si addormentavano sul muschio, nei pressi delle tane. Un giorno, videro una foglia cadere da un albero: era autunno. Giocarono a rincorrere la foglia, dietro le foglie che cadevano sempre più numerose; ed essendo le notti diventate un po’ più fredde, dormivano sotto le foglie secche.
Faceva però sempre più freddo. Nel fiume a volte si formava il ghiaccio.
La neve aveva ricoperto le foglie. I ricci tremavano tutto il giorno, e la notte non potevano chiudere occhio, tanto avevano freddo.
Così una sera, decisero di stringersi uno accanto all’altro per riscaldarsi, ma fuggirono ben presto ai quattro angoli della foresta: con tutti quegli aghi si erano feriti il naso e le zampe. Timidamente, si avvicinarono ancora, ma di nuovo si punsero il muso. E tutte le volte che uno correva verso l’altro, capitava la stessa cosa.
Era assolutamente necessario trovare un modo per stare vicini: gli uccelli si tenevano caldo uno con l’altro, così pure i conigli, le talpe e tutti gli animali.
Allora, con dolcezza, a poco a poco, sera dopo sera, per potersi scaldare senza pungersi, si accostarono l’uno all’altro, ritirarono i loro aculei e, con mille precauzioni, trovarono infine la giusta misura.
Il vento che soffiava non dava più fastidio; ora potevano dormire al caldo tutti insieme.

Dovrebbe esistere anche un « Decalogo della tenerezza ».
Potrebbe essere, più o meno, così:
1. Poiché la tenerezza è possibile, non c’è nessuna ragione per starne senza.
2. Parlatevi un po’ ogni giorno.
3. Crescete insieme, continuamente.
4. Stimati. Gli unici che apprezzano uno zerbino sono quelli che hanno le scarpe sporche.
5. Sii compassionevole.
6. Sii gentile. L’amore non ammette le cattive maniere.
7. Scopri il lato buono e bello delle persone, anche quando fanno di tutto per nasconderlo.
8. Non temere i dissapori e i litigi: solo i morti e gli indifferenti non litigano mai.
9. Non farti coinvolgere dalle piccole irritazioni e meschinità quotidiane.
10. Continua a ridere. Tiene in esercizio il cuore e protegge da disturbi cardiaci.

di Bruno Ferrero - Il canto del grillo

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Un po’ d’argento

Posté par atempodiblog le 7 novembre 2008

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« Rabbì, che cosa pensi del denaro? » chiese un giovane al maestro.
« Guarda dalla finestra », disse il maestro, « cosa vedi? ».
« Vedo una donna con un bambino, una carrozza trainata da due cavalli e un contadino che va al mercato ».
« Bene. Adesso guarda nello specchio. Che cosa vedi? ».
« Che cosa vuoi che veda rabbì? Me stesso, naturalmente ».
« Ora pensa: la finestra è fatta di vetro e anche lo specchio è fatto di vetro. Basta un sottilissimo strato d’argento sul vetro e l’uomo vede solo se stesso ».

Siamo circondati da persone che hanno trasformato in specchi le loro finestre. Credono di guardare fuori e continuano a contemplare se stessi.
Non permettere che la finestra del tuo cuore diventi uno specchio.

di Bruno Ferrero - L’importante è la rosa

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L’uovo

Posté par atempodiblog le 31 octobre 2008

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Una donna, che non aveva grandi risorse economiche, trovò un uovo. Tutta felice, chiamò il marito e i figli e disse: « Tutte le nostre preoccupazioni sono finite. Guardate un po’: ho trovato un uovo! Noi non lo mangeremo, ma lo porteremo al nostro vicino perché lo faccia covare dalla sua chioccia. Così presto avremo un pulcino, che diventerà una gallina. Noi naturalmente non mangeremo la gallina, ma le faremo deporre molte uova, e dalle uova avremo molte altre galline, che faranno altre uova. Così avremo tante galline e tante uova. Noi non mangeremo né galline né uova, ma le venderemo e ci compreremo una vitellina. Alleveremo la vitellina e la faremo diventare una mucca. La mucca ci darà altri vitelli, finché avremo una bella mandria. Venderemo la mandria e ci compreremo un campo, poi venderemo e compreremo, compreremo e venderemo ».
Mentre parlava, la donna gesticolava. L’uovo le scivolò di mano e si spiaccicò per terra.

I nostri propositi assomigliano spesso alle chiacchiere di questa donna: « Farò… Dirò… Rimedierò… ». Passano i giorni e gli anni, e non facciamo niente.

di Bruno Ferrero - Quaranta storie nel deserto

 

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I propositi

Posté par atempodiblog le 29 octobre 2008

I propositi dans Don Bruno Ferrero diddlfioreridfx6

L’adolescente scriveva i suoi propositi chino sul tavolo, mentre la mamma stirava la biancheria.
«Se vedessi qualcuno in procinto di annegare», scriveva l’adolescente «mi butterei subito in acqua per soccorrerlo. Se si incendia la casa salverei i bambini. Durante un terremoto non avrei certo paura a but­tarmi tra le macerie pericolanti per salvare qualcu­no. Poi dedicherei la mia vita per aiutare tutti i po­veri del mondo…».
La mamma: «Per piacere, vammi a prendere un po’ di pane qui sotto».
«Mamma, non vedi che piove?».

Quanti «vorrei» nella vita spirituale…
Una bambina di 12 anni ha scritto: «Siamo noi gli uomini del futuro, tocca a noi migliorare la si­tuazione. La cosa più grave è star lì a far niente, a guardare questo povero mondo che si sbriciola. Noi diciamo viva la pace e facciamo la guerra, abbasso la droga e ne aumentiamo il commercio, basta col terrorismo e uccidiamo i giusti. Però non è detto che a ciò non si possa mettere fine. Io volevo dire que­sto: se sei triste per l’odio nel mondo, non piangere e non perdere la speranza, ma fa’ qualcosa, anche di piccolo».
Fa’ qualcosa, anche di piccolo…

di Bruno Ferrero - Il canto del grillo

 

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Il laghetto gelato

Posté par atempodiblog le 15 octobre 2008

Il laghetto gelato dans Don Bruno Ferrero laghettovi9

Una volta, due  piccoli amici si divertivano a pattinare su un laghetto gelato. Era una sera nuvolosa e fredda, i due bambini giocavano senza timore; improvvisamente il ghiaccio si spacco e si aprì inghiottendo uno dei bambini.
Lo stagno non era profondo, ma il ghiaccio cominciò quasi subito a rinchiudersi.
L’altro bambino corse alla riva, afferrò la più grossa pietra che riuscì a trovare e si precipitò dove il suo piccolo compagno era sparito. Cominciò a colpire il ghiaccio con tutte le sue forze, picchiò e picchiò finché riuscì a rompere il ghiaccio, afferrare la mano del suo piccolo amico e aiutarlo a uscire dall’acqua…
Quando arrivarono i pompieri e videro quanto era accaduto si chiesero sbalorditi:
“Ma come ha fatto? Questo ghiaccio è pesante e solido, come ha potuto spaccarlo con questa pietra e quelle manine minuscole?”.
In quel momento comparve un anziano che disse: “lo so come ha fatto”.
“Come?”, chiesero.
Il vecchietto rispose:
“Non aveva nessuno dietro di lui a dirgli che non poteva farcela…”.


Ci sono forze sbalorditive dentro di noi, ma basta così poco a farcele dimenticare.


di Bruno Ferrero – I fiori semplicemente fioriscono

 

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Con mamma e papà si può

Posté par atempodiblog le 14 octobre 2008

CON MAMMA E PAPA’ SI PUO’….

Anche i più piccoli si stanno accorgendo che il mondo in cui sono stati chiamati a vivere è pieno di pericoli.

Non li sanno ancora distinguere bene, ma l’ansia e la paura e le raccomandazioni dei genitori comunicano un messaggio chiaro: “State attenti! Dietro ogni angolo e in ogni persona si può nascondere un’insidia…”.

Televisione e giornali non fanno che aumentare l’apprensione  e il sospetto. Un brutto inizio per i bambini che hanno bisogno soprattutto di una base di sicurezza per crescere bene.

Anche una storia semplice, come quella che segue, può comunicare la necessità della fiducia e della confidenza nei genitori.

C’E’ UN DRAGO IN VIA VERDI!

Per andare da casa a scuola, Fabio doveva percorrere pochi isolati (tre semafori e tutto marciapiede).

Adesso che era in quarta poteva percorrerlo da solo.

Era felice di caracollare fra la gente con il suo zainetto colorato sulla schiena e fermarsi a guardare le vetrine quando piacevano a lui. Con la mamma era costretto a fermarsi davanti alle vetrine di vestiti e calzature, mentre con il papà era quasi obbligatoria la sosta davanti ad un grosso magazzino di accessori per auto.

La vetrina preferita di Fabio era una scintillante esposizione di elettronica e soprattutto giochi per il computer. Ne possedeva sei, un po’ sorpassati. Ma il patto con mamma e papà era chiaro. Avrebbe avuto un gioco nuovo alla fine dell’anno scolastico, a promozione avvenuta.

La promozione non era un grosso problema per Fabio: riusciva bene a scuola, era diligente e studioso.

Era anche un bambino mite e gentile, perciò sospirava davanti alla vetrina mangiando con gli occhi le scatole luccicanti e le presentazioni dei giochi che passavano sui teleschermi.

Una piramide sfavillante di Tomb Raider annunciava l’ultimo successo “fantastico e devastante”.

Un sospiro, uno sguardo all’orologio e a casa di corsa.

Così tutte le sere.

Excalibur

 

Una sera la vetrina era particolarmente ammiccante.

Fabio si appoggiò al vetro per vedere meglio.

Accanto a Tomb Raider era apparso Swagman. Pezzi di carta metallizzata rossa mandavano bagliori inquietanti.

Fabio era assorto nella lettura delle caratteristiche che si leggevano a stento sulle confezioni.

“Ti piacciono, eh?” disse una voce alle sue spalle.

Fabio si girò di scatto.

Era un signore dall’aria gentile e sorridente, con gli occhiali cerchiati d’oro e un cappello un po’ fuori moda.

Fabio si tranquillizzò.

“Oh, si!” rispose.

“Ne hai già qualcuno?” .

“Sei. Ho anche Supermario… Ma gli altri sono un po’ vecchi… Quando sarò promosso, però, papà me ne compra uno nuovo”.

“Bravo, bravo” disse il signore gentile.

Poi, quasi distrattamente aggiunse:

“Se ripassi di qui, domani sera, te ne posso imprestare uno che ho a casa e nessuno usa…”.

“No, grazie!”, esclamò vivacementeFabio.

La mamma e il papà gli raccomandavano sempre di non accettare niente dalle persone che non conosceva.

“Là, là… Non ti preoccupare”, continuò il signore gentile.

“Te lo impresto soltanto”.

Confuso, Fabio borbottò una specie di saluto e corse a casa.

La sera dopo, il signore gentile si era fermato accanto alla vetrina di giochi elettronici.

Fabio aveva fatto il proposito di non fermarsi, ma non poté farne a meno.

Sorrise timidamente.

Il signore gentile gli tese un pacchetto avvolto in carta di giornale.

“Hai visto, mi sono ricordato…”.

“Non posso. Papà non vuole…”,mormorò Fabio.

“Mica devi dirglielo… Sarà un piccolo segreto”, ribattè l’uomo. E gli strizzò l’occhio.

Fabio alzò un angolo della carta che avvolgeva la scatola.

“Ma è Excalibur!”

“Ti piace?”.

“Bè…”.

“Provalo. Te lo matto nello zainetto”.

Appena in casa, contrariamente al solito, Fabio gridò alla mamma:

Ho tanti compiti” e si chiuse nella sua camera per provare il nuovo gioco.

Una volta tanto la pubblicità aveva ragione: era davvero un bel gioco.

Una manica lacerata

Il giorno dopo, il signore gentile era di nuovo là che lo aspettava.

Fabio gli raccontò la trama di Excalibur e tutte le possibilità che il gioco offriva. Era indubbiamente il più appassionante che avesse mai provato.

“Sono contento che ti sia piaciuto”, disse il signore gentile.

E, quasi distrattamente, aggiunse:

“Ne ho altri a casa. Perché non facciamo una deviazione e così vedi se ce n’è qualcuno che piace?”.

“Ma…”.

“Sono due passi, qui vicino. Ormai siamo amici, no?”.

Fabio cedette, anche se una vocina interna disapprovava.

Il signore gentile abitava in una strada parallela. Una villetta isolata, con il giardino davanti.

Nel salotto c’era un grande televisore e una poltrona dall’aria comoda.

“Togliti lo zainetto. Guarda in mezzo ai video”, disse il signore gentile.

Fabio non aveva mai visto tanti video e cominciò a leggerne i titoli.

Il signore gentile stava alle sue spalle.

Con una mano sfiorò i capelli del bambino.

Fabio sentì qualcosa di strano, come un brivido e si voltò.

Quello che vide lo riempì di terrore.

Il signore gentile si era tolto i guanti e le sue mani erano coperte di squame color verde, terminavano con artigli lunghi e affilati, gli occhi erano rossi fuoco e, adesso che si era tolto il cappello, sulla testa ondeggiava una cresta cornea verde e gialla, mentre dalla bocca spuntavano zanne aguzze.

Fabio gridò e si precipitò fuori.

“Fermo! Dove vai?”, gracchiò il signore gentile diventato drago.

Tentò di afferrarlo con gli artigli verdi e con l’unghiona lacerò la manica della camicia di Fabio che si divincolò con tutte le sue forze e si precipitò verso la porta.

Corse senza voltarsi indietro.

Arrivato a casa chiuse la porta a chiave. Poi si buttò sul letto cercando di calmare il cuore che sembrava un tamburino impazzito. Le lacrime scorrevano abbondanti e bagnavano il cuscino.

Che fare?

Dirlo a mamma e papà? Era escluso.

Aveva disubbidito e poi loro che cosa ci potevano fare?

Papà era piccolo, con gli occhiali e un po’ di pancetta…

Mamma aveva anche dei ragni…

Era molto meglio non dire niente a nessuno:

“Domani, prenderò l’autobus”, propose.

Rumore di duello, sibili, schianti

 

A cena, annaspò a cercare scuse per la camicia strappata e per i segni delle lacrime sul viso.

Gli pareva di avercela fatta, ma ad un tratto, la mamma fissò gli occhi nei suoi e seria seria disse:

“Fabio, adesso dimmi la verità, Che cosa ti è successo?.

Singhiozzando, Fabio raccontò tutto.

“Si è trasformato in un drago! E’ vero… non me lo sono inventato!.

Mamma e papà si guardarono e poi si alzarono insieme.

“Un drago, eh? Tocca a noi”.

Quello che successe dopo lasciò Fabio a bocca aperta.

Mamma e papà entrarono in camera.

Si sentirono scatti, serrature che si aprivano, zip che si chiudevano e poi mamma a papà comparvero avvolti in tute argentee. Impugnavano armi. Sembravano perfino più alti.

“Dov’è questa casa?”.

“In via Verdi, la casa col giardino…” mormorò Fabio intimidito.

Non sapeva più che cosa pensare.

“Adesso vai in camera tua!”, ordinò il papà.

Poco dopo, Fabio sentì l’auto che si metteva in moto.

Sospeso tra paura e curiosità, rimase per un po’ alla finestra, poi decise di arrivare fino all’angolo per dare una sbirciatina.

Riusciva a vedere l’ingresso e il primo piano della casa di via Verdi.

Vide le due figure in tuta entrare nella casa con molta decisione.

Gli parve di sentire delle voci, dei grugniti e poi una specie di ruggito. Rumore di duello, sibili, schianti.

Ad un tratto le finestre della casa si illuminarono come per una esplosione.

Pieno di paura, Fabio corse a casa.

Si infilò sotto le coperte con il cuore in gola. Il tempo sembrava non passare mai, ma poi sentì il rumore familiare della macchina di papà.

Corse incontro ai genitori, ridendo e piangendo.

Mamma e papà avevano le tute macchiate di spruzzi verdastri.

“Dovesse ancora capitare, devi dirlo subito a noi, hai capito?”, disse papà che aveva ancora la visiera sugli occhi e un’aria molto più importante del solito.

“Sissignore… SI papà!”, rispose Fabio e lo abbracciò.

Fabio ha fatto un brutto incontro e non ha il coraggio di parlarne con i genitori. Ha rischiato di finire nelle fauci di un uomo-drago. Ma la soluzione del problema sta proprio nel dirlo a mamma e papà. Sono addirittura due “cacciatori di draghi”!

PER IL DIALOGO:

- Che cosa capita a Fabio? Pensate che ci siano in giro uomini-drago? Avete mai sentito parlare di qualcuno che può fare male ai bambini?

- Perché Fabio ha paura di confidarsi con i genitori? Voi riuscite a dire tutto quello che vi succede ai vostri genitori? Che cosa tenete solo per voi? Perché?

- I genitori di Fabio lo tolgono dai pasticci. Pensate che i vostri genitori lo possano fare sempre?

- Riuscite a parlare con i vostri insegnanti ed educatori di quello che vi succede anche fuori di scuola?

PER L’ATTIVITA’:

Si possono aiutare i bambini della classe a disegnare la mappa dei pericoli reali e immaginari che ci sono nel quartiere o nella città.

ANCHE LA BIBBIA RACCONTA…

Si può commentare ai ragazzi Matteo 18, 6-7: “Chi scandalizza anche uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina e fosse gettato negli abissi del mare”.

 

racconti di Bruno Ferrero –  “Parabole per la scuola e la catechesi”


Questo articolo proviene da Grafica Pastorale-Annuncio della Parola con le immagini
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L’incidente

Posté par atempodiblog le 10 octobre 2008

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Una giovane donna tornava a casa dal lavoro in automobile. Guidava con molta attenzione perché l’auto che stava usando era nuova fiammante, ritirata il giorno prima dal concessionario e comprata con i risparmi soprattutto del marito che aveva fatto parecchie rinunce per poter acquistare quel modello.
Ad un incrocio particolarmente affollato, la donna ebbe un attimo di indecisione e con il parafango andò ad urtare il paraurti di un’altra macchina.
La giovane donna scoppiò in lacrime. Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito? Il conducente dell’altra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente e i dati del libretto.
La donna cercò i documenti in una grande busta di plastica marrone.
Cadde fuori un pezzo di carta.
In una decisa calligrafia maschile vi erano queste parole: « In caso di incidente…, ricorda, tesoro, io amo te, non la macchina! ».


Lo dovremmo ricordare tutti, sempre. Le persone contano, non le cose. Quanto facciamo per le cose, le macchine, le case, l’organizzazione, l’efficienza materiale! Se dedicassimo lo stesso tempo e la stessa attenzione alle persone, il mondo sarebbe diverso. Dovremmo ritrovare il tempo per ascoltare, guardarsi negli occhi, piangere insieme, incaraggiarsi, ridere, passeggiare…
Ed è solo questo che porteremo con noi davanti a Dio.
Noi e la nostra capacità d’amare. Non le cose, neanche i vestiti, neanche questo corpo…
Un papà e il suo bambino camminavano sotto i portici di una via cittadina su cui si affacciavano negozi e grandi magazzini. Il papà portava una borsa di plastica piena di pacchetti e sbuffò, rivolto al bambino. « Ti ho preso la tuta rossa, ti ho preso il robot trasformabile ti ho preso la bustina dei calciatori… Che cosa devo ancora prenderti? ».
« Prendimi la mano » rispose il bambino.

di Bruno Ferrero – A volte basta un raggio di sole

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Dov’è il mio bacio

Posté par atempodiblog le 3 octobre 2008

Dov'è il mio bacio dans Don Bruno Ferrero ricordaamiciil1

C’era una volta una bambina che si chiamava Cecilia. Il papà e la mamma della bambina lavoravano tanto. La loro era una bella famiglia e vivevano felici. Mancava solo una cosa, ma Cecilia non se ne era mai accorta.
Un giorno, quando aveva nove anni, andò per la prima volta a dormire a casa della sua amica Adele. Quando fu ora di dormire, la mamma di Adele rimboccò loro le coperte e diede a ognuna il bacio della buonanotte.
« Ti voglio bene » disse la mamma ad Adele.
« Anch’io » sussurrò la bambina.
Cecilia era così sconvolta che non riuscì a chiudere occhio. Nessuno le aveva mai dato il bacio della buonanotte o le aveva detto di volerle bene. Rimase sveglia tutta la notte, pensando e ripensando: « È così che dovrebbe essere ».
Quando tornò a casa, non salutò i genitori e corse in camera sua. Li odiava. Perché non l’avevano mai baciata? Perché non l’abbracciavano e non le dicevano che le volevano bene? Forse non gliene volevano? Cecilia pianse fino ad addormentarsi e rimase arrabbiata per diversi giorni.
Alla fine decise di scappare di casa. Preparò il suo zainetto, ma non sapeva dove andare. Era bloccata per sempre con i genitori più freddi e peggiori del mondo. All’improvviso, trovò una soluzione. Andò dritta da sua madre e le stampò un bacio sulla guancia: « Ti voglio bene ».
Poi corse dal papà e lo abbracciò: « Buonanotte papà », disse, « ti voglio bene ». Quindi andò a letto, lasciando i genitori ammutoliti in cucina.
Il mattino seguente, quando scese per colazione, diede un bacio alla mamma e uno al papà. Alla fermata dell’autobus si sollevò in punta di piedi e diede ancora un bacio alla mamma: « Ciao, mamma. Ti voglio bene ».
Cecilia andò avanti così giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese. A volte, i suoi genitori si scostavano, rigidi e impacciati. A volte ne ridevano. Ma Cecilia non smise. Aveva il suo piano e lo seguiva alla lettera. Poi, una sera, dimenticò di dare il bacio alla mamma prima di andare a letto. Poco dopo, la porta della sua camera si aprì e sua madre entrò. « Allora, dov’è il mio bacio? » chiese, fingendo di essere contrariata.
Cecilia si sollevò a sedere: « Oh, l’avevo scordato ». La baciò e poi: « Ti voglio bene, mamma ». Quindi tornò a coricarsi e chiuse gli occhi.
Ma la mamma rimase lì e alla fine disse: « Anch’io ti voglio bene ». Poi si chinò e baciò Cecilia proprio sulla guancia.
Poi aggiunse con finta severità: « E non ti dimenticare più di darmi il bacio della buonanotte ».
Cecilia rise e promise: « Non succederà più ».

 

Oggi, qualcuno sta aspettando il « suo » bacio. Da te.

 

di Bruno Ferrero – Ma noi abbiamo le ali

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Quando finisce la notte

Posté par atempodiblog le 2 octobre 2008

Quando finisce la notte dans Don Bruno Ferrero manicuorenq2 

Un vecchio rabbino domandò una volta ai suoi allievi da che cosa si potesse riconoscere il momento preciso in cui finiva la notte e cominciava il giorno.
“Forse da quando si può distinguere con facilità un cane da una pecora?”.
“No”, disse il rabbino.
“Quando si distingue un albero di datteri da un albero di fichi?”.
“No”, ripeté il rabbino.
“Ma quand’è, allora?”, domandarono gli allievi.
Il rabbino rispose: “E’ quando guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Fino a quel punto è ancora notte nel tuo cuore”.


cuorexa6 dans Racconti e storielle 

“Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli”. Martin Luther King

di Bruno Ferrero - Il canto del grillo

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Il cerchio della gioia

Posté par atempodiblog le 30 septembre 2008

Il cerchio della gioia dans Don Bruno Ferrero girotondoyj9
Immagine tratta da collinaitaliana.com

Un giorno, non molto tempo fa, un contadino si presentò alla porta di un convento e bussò energicamente. Quando il frate portinaio aprì la pesante porta di quercia, il contadino gli mostrò, sorridendo, un magnifico grappolo d’uva.
« Frate portinaio » disse il contadino « sai a chi voglio regalare questo grappolo d’uva che è il più bello della mia vigna? ».
« Forse all’Abate o a qualche frate del convento ».
« No, a te! ».
« A me? » Il frate portinaio arrossì tutto per la gioia. « Lo vuoi dare proprio a me? »
« Certo, perché mi hai sempre trattato con amicizia e mi hai aiutato quando te lo chiedevo. Voglio che questo grappolo d’uva ti dia un po’ di gioia! ».
La gioia semplice e schietta che vedeva sul volto del frate portinaio illuminava anche lui.
Il frate portinaio mise il grappolo d’uva bene in vista e lo rimirò per tutta la mattina. Era veramente un grappolo stupendo. Ad un certo punto gli venne un’idea: « Perché non porto questo grappolo all’Abate per dare un po’ di gioia anche a lui? ».
Prese il grappolo e lo portò all’Abate.
L’Abate ne fu sinceramente felice. Ma si ricordò che c’era nel convento un vecchio frate ammalato e pensò: « Porterò a lui il grappolo, così si solleverà un poco ». Così il grappolo d’uva emigrò di nuovo. Ma non rimase a lungo nella cella del frate ammalato. Costui pensò infatti che il grappolo avrebbe fatto la gioia del frate cuoco, che passava le giornate ai fornelli, e glielo mandò. Ma il frate cuoco lo diede al frate sacrestano (per dare un po’ di gioia anche a lui), questi lo portò al frate più giovane del convento, che lo portò ad un altro, che pensò bene di darlo ad un altro.
Finché, di frate in frate il grappolo d’uva tornò dal frate portinaio (per portargli un po’ di gioia). Così fu chiuso il cerchio. Un cerchio di gioia.

Non aspettare che inizi qualche altro. Tocca a te, oggi, cominciare un cerchio di gioia. Spesso basta una scintilla piccola piccola per far esplodere una carica enorme. Basta una scintilla di bontà e il mondo comincerà a cambiare.
L’amore è l’unico tesoro che si moltiplica per divisione: è l’unico dono che aumenta quanto più ne sottrai. E’ l’unica impresa nella quale più si spende, più si guadagna; regalalo, buttalo via, spargilo ai quattro venti, vuotati le tasche, scuoti il cesto, capovolgi il bicchiere e domani ne avrai più di prima.

di Bruno Ferrero – 40 storie nel deserto

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Il topolino

Posté par atempodiblog le 29 septembre 2008

Il topolino dans Don Bruno Ferrero pimbolipk8

In una notte gelida d’inverno, un lama buddhista trovò sulla soglia della porta un topolino intirizzito e quasi morto di freddo. Il lama raccolse il topolino, lo ristorò e gli chiese di restare a fargli compagnia. Da quel momento la vita del topolino fu piacevole. Ma nonostante questo, la bestiola non aveva l’aria felice. Il lama si preoccupò: « Che hai, piccolo amico? », gli chiese.
« Tu sei molto buono con me. E tutto nella tua casa è molto buono con me. Ma c’è il gatto… ».
Il lama sorrise. Non aveva pensato al gatto di casa, un animale troppo saggio e troppo ben pasciuto per degnarsi di dare la caccia ai topi.
Il lama esclamò: « Ma quel bel micione non ti vuole certo male, amico mio! Non farebbe mai male a un topolino! Non hai niente da temere, te lo assicuro ».
« Ti credo, ma è più forte di me » piagnucolò il topolino. « Ho tanta paura del gatto. Il tuo potere è grande. Trasformami in gatto! Cosi non avrei più paura di quella bestia orribile ».
Il lama scosse la testa. Non gli sembrava una buona idea… Ma il topolino lo supplicava e allora disse: « Sia fatto come desideri, piccolo amico! ».
E di colpo il topolino fu trasformato in un grosso gatto.
Quando morì la notte e nacque il giorno, un bel gattone uscì dalla camera del lama. Ma appena vide il gatto di casa, il gatto-topolino corse a rifugiarsi nella camera del lama e si infilò sotto il letto.
« Che ti succede, piccolo amico? » chiese il lama, sorpreso. « Avrai mica ancora paura del gatto? ».
Il topolino-gatto si vergognò moltissimo. E implorò: « Ti prego trasformami in un cane, un grosso cane dalle zanne taglienti, che abbaia forte… ».
« Dal momento che lo desideri ti accontento e così sia! ».
Quando il giorno morì e si accesero le lampade a olio, un grosso cane nero uscì dalla camera del lama. Il cane andò fin sulla soglia della casa e incontrò il gatto di casa che usciva dalla cucina. Il gattone quasi svenne per la paura alla vista del cane. Ma il cane ebbe ancora più paura. Guaì penosamente e corse a rifugiarsi nella camera del lama. Il saggio guardò il povero cane tremante e disse: « Che ti succede? Hai incontrato un altro cane? ».
Il cane-topolino si vergognò da morire. E chiese: « Trasformami in una tigre, ti prego, in una grossa terribile tigre! ».
Il lama lo accontentò e, il giorno dopo, una enorme tigre dagli occhi feroci uscì dalla camera del lama. La tigre passeggiò per tutta la casa spaventando tutti, poi uscì nel giardino e là incontrò il gatto che usciva dalla cucina. Appena vide la tigre, il gatto fece un balzo terrorizzato, si arrampicò su un albero e poi chiuse gli occhi, dicendo: « Sono un gatto morto! ».
Ma la tigre, vedendo il gatto, miagolò lamentosamente e fuggì ancora più veloce del gatto e corse a rifugiarsi in un angolo della stanza del lama.
« Che bestia spaventosa hai incontrato? », gli chiese il lama.
« Io… io ho paura… del… gatto! », balbettò la tigre, che tremava ancora.
Il lama scoppiò in una gran risata. « Adesso capisci, piccolo amico » spiegò. « L’apparenza non è niente! Di fuori hai l’aspetto terribile di una tigre, ma hai paura del gatto perché il tuo cuore è rimasto quello di un topolino ».

Bisogna sempre incominciare dal cuore.

di Bruno Ferrero – A volte basta un raggio di sole

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Due blocchi di ghiaccio

Posté par atempodiblog le 24 septembre 2008

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C’erano una volta due blocchi di ghiaccio. Si erano formati durante il lungo inverno, all’interno di una grotta di tronchi, rocce e sterpaglie in mezzo ad un bosco sulle pendici di un monte. Si fronteggiavano con ostentata reciproca indifferenza. I loro rapporti erano di una certa freddezza. Qualche « buongiorno », qualche « buonasera ». Niente di più. Non riuscivano cioè a « rompere il ghiaccio ».
Ognuno pensava dell’altro: « Potrebbe anche venirmi incontro ». Ma i blocchi di ghiaccio, da soli, non possono nè andare nè venire.
Ma non succedeva niente e ogni blocco di ghiaccio si chiudeva ancora di più in se stesso. Nella grotta viveva un tasso. Un giorno sbottò: »Peccato che ve ne dobbiate stare qui. E’ una magnifica giornata di sole! ». I due blocchi di ghiaccio scricchiolarono penosamente. Fin da piccoli avevano appreso che il sole era il grande pericolo. Sorprendentemente quella volta, uno dei due blocchi di ghiaccio chiese: « Com’è il sole? ». « E’ meraviglioso, è la vita! » rispose il tasso. « Puoi aprirci un buco nel tetto della tana… Vorrei vedere il sole… » disse l’altro. Il tasso non se lo fece ripetere. Aprì uno squarcio nell’intrico delle radici e la luce calda e dolce del sole entrò come un fiotto dorato. Dopo qualche mese, un mezzodì, mentre il sole intiepidiva l’aria, uno dei blocchi si accorse che poteva fondere un po’ e liquefarsi diventando un limpido rivolo d’acqua. Si sentiva diverso, non era più lo stesso blocco di ghiaccio di prima. Anche l’altro fece la stessa meravigliosa scoperta. Giorno dopo giorno, dai blocchi di ghiaccio sgorgavano due ruscelli d’acqua che scorrevano all’imboccatura della grotta e, dopo poco, si fondevano insieme formando un laghetto cristallino, che rifletteva il colore del cielo. I due blocchi di ghiaccio sentivano ancora la loro freddezza, ma anche la loro fragilità e la loro solitudine, la preoccupazione e l’insicurezza comuni. Scoprirono di essere fatti allo stesso modo e di aver bisogno in realtà l’uno dell’altro. Arrivarono due cardellini e un’allodola e si dissetarono. Gli insetti vennero a ronzare intorno al laghetto, uno scoiattolo dalla lunga coda morbida ci fece il bagno. E in tutta questa felicità si rispecchiavano i due blocchi di ghiaccio che ora avevano trovato un cuore.

A volte basta solo un raggio di sole. Una parola gentile. Un saluto. Una carezza. Un sorriso. Ci vuole così poco a fare felici quelli che ci stanno accanto. Allora, perchè non lo facciamo?

di Bruno Ferrero – A volte basta un raggio di sole

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Il falenino e la stella

Posté par atempodiblog le 23 septembre 2008

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Una piccola falena d’animo delicato s’invaghì una volta di una stella. Ne parlò alla madre e questa gli consigliò d’invaghirsi invece di un abat-jour. «Le stelle non son fatte per svolazzarci dietro», gli spiegò. «Le lampade, a quelle sì puoi svolazzare dietro».
«Almeno lì approdi a qualcosa», disse il padre. «Andando dietro alle stelle non approdi a niente».
Ma il falenino non diede ascolto né all’uno né all’altra. Ogni sera, al tramonto, quando la stella spuntava s’avviava in volo verso di essa e ogni mattina, all’alba, se ne tornava a casa stremato dall’immane e vana fatica.
Un giorno il padre lo chiamò e gli disse: «Non ti bruci un’ala da mesi, ragazzo mio, e ho paura che non te la brucerai mai. Tutti i tuoi fratelli si sono bruciacchiati ben bene volteggiando intorno ai lampioni di strada, e tutte le tue sorelle si sono scottate a dovere intorno alle lampade di casa. Su avanti, datti da fare, vai a prenderti una bella scottatura! Un falenotto forte e robusto come te senza neppure un segno addosso!».
Il falenino lasciò la casa paterna ma non andò a volteggiare intorno ai lampioni di strada ne intorno alle lampade di casa: continuò ostinatamente i suoi tentativi di raggiungere la stella, che era lontana migliaia di anni luce. Lui credeva invece che fosse impigliata tra i rami più alti di un olmo.
Provare e riprovare, puntando alla stella, notte dopo notte, gli dava un certo piacere, tanto che visse fino a tardissima età. I genitori, i fratelli e le sorelle erano invece morti tutti bruciati ancora giovanissimi.

La stella della speranza è un segno distintivo. Ogni giorno dovresti chiedere la fede per osare l’impossibile. Chi desidera operare con Cristo e, di conseguenza, trasformare il mondo, rifiuterà di adeguarsi a leggi ed ordinamenti precostituiti. Sarà disobbediente, quando altri obbediranno, eseguirà quando altri troveranno insensato l’ordine impartito. Il mondo gli apparirà una prigione, quando altri parleranno di libertà, ed esso sarà trasparente agli occhi della sua fede, quando altri saranno disperati, sentendosi prigionieri. Fare cose impossibili è il realismo di coloro che conoscono la voce del loro Signore.
Se c’è una stella nel cielo della tua vita, non perdere tempo a scottarti a qualche lampadina.

di Bruno Ferrero - 40 storie nel deserto

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Il significato della vita

Posté par atempodiblog le 19 septembre 2008

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Un professore concluse la sua lezione con le parole di rito: « Ci sono domande? ».
Uno studente gli chiese: « Professore, qual è il significato della vita? ».
Qualcuno, tra i presenti che si apprestavano a uscire, rise. Il professore guardò a lungo lo studente, chiedendo con lo sguardo se era una domanda seria. Comprese che lo era. « Le risponderò » gli disse. Estrasse il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, ne tirò fuori uno specchietto rotondo, non più grande di una moneta. Poi disse: « Ero bambino durante la guerra. Un giorno, sulla strada, vidi uno specchio andato in frantumi.
Ne conservai il frammento più grande. Eccolo. Cominciai a giocarci e mi lasciai incantare dalla possibilità di dirigere la luce riflessa negli angoli bui dove il sole non brillava mai: buche profonde, crepacci, ripostigli. Conservai il piccolo specchio. Diventando uomo finii per capire che non era soltanto il gioco di un bambino, ma la metafora di quello che avrei potuto fare nella vita. Anch’io sono il frammento di uno specchio che non conosco nella sua interezza. Con quello che ho, però, posso mandare la luce, la verità, la comprensione, la conoscenza, la bontà, la tenerezza nei bui recessi del cuore degli uomini e cambiare qualcosa in qualcuno. Forse altre persone vedranno e faranno altrettanto. In questo per me sta il significato della vita« .

di Bruno Ferrero - Solo il vento lo sa

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Il segnale

Posté par atempodiblog le 4 septembre 2008

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Un giovane era seduto da solo nell’autobus; teneva lo sguardo fisso fuori del finestrino. Aveva poco più di vent’anni ed era di bell’aspetto, con un viso dai lineamenti delicati.
Una donna si sedette accanto a lui. Dopo avere scambiato qualche chiacchiera a proposito del tempo, caldo e primaverile, il giovane disse, inaspettatamente: «Sono stato in prigione per due anni. Sono uscito questa mattina e sto tornando a casa».
Le parole gli uscivano come un fiume in piena mentre le raccontava di come fosse cresciuto in una famiglia povera ma onesta e di come la sua attività criminale avesse procurato ai suoi cari vergogna e dolore. In quei due anni non aveva più avuto notizie di loro. Sapeva che i genitori erano troppo poveri per affrontare il viaggio fino al carcere dov’era detenuto e che si sentivano troppo ignoranti per scrivergli. Da parte sua, aveva smesso di spedire lettere perché non riceveva risposta.
Tre settimane prima di essere rimesso in libertà, aveva fatto un ultimo, disperato tentativo di mettersi in contatto con il padre e la madre. Aveva chiesto scusa per averli delusi, implorandone il perdono.
Dopo essere stato rilasciato, era salito su quell’autobus che lo avrebbe riportato nella sua città e che passava proprio davanti al giardino della casa dove era cresciuto e dove i suoi genitori continuavano ad abitare.
Nella sua lettera aveva scritto che avrebbe compreso le loro ragioni. Per rendere le cose più semplici, aveva chiesto loro di dargli un segnale che potesse essere visto dall’autobus. Se lo avevano perdonato e lo volevano accogliere di nuovo in casa, avrebbero legato un nastro bianco al vecchio melo in giardino. Se il segnale non ci fosse stato, lui sarebbe rimasto sull’autobus e avrebbe lasciato la città, uscendo per sempre dalla loro vita.
Mentre l’automezzo si avvicinava alla sua via, il giovane diventava sempre più nervoso, al punto di aver paura a guardare fuori del finestrino, perché era sicuro che non ci sarebbe stato nessun fiocco.
Dopo aver ascoltato la sua storia, la donna si limitò a chiedergli: «Cambia posto con me. Guarderò io fuori del finestrino».
L’autobus procedette ancora per qualche isolato e a un certo punto la donna vide l’albero.
Toccò con gentilezza la spalla del giovane e, trattenendo le lacrime, mormorò: «Guarda! Guarda! Hanno coperto tutto l’albero di nastri bianchi».

Siamo più simili a bestie quando uccidiamo.
Siamo più simili a uomini quando giudichiamo.
Siamo più simili a Dio quando perdoniamo.

di Bruno Ferrero - La vita è tutto quello che abbiamo

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