Riti familiari e simbologie del Natale
Il dolce di origine milanese, con la sua tipica forma a cupola, regna sovrano durante le feste natalizie sulle tavole italiane. Ha origini antichissime e molte sono le leggende che cercano di ricostruirne la storia.
di Sara Deodati – Radici Cristiane
Lo scrittore Pietro Verri nella sua Storia di Milano (1783) narra dell’usanza culinaria che nel IX secolo animava le feste natalizie legate al territorio milanese: la preparazione di tre grandi pani, diversi da quelli che si mangiavano durante l’anno, che ogni pater familias tagliava distribuendoli nel corso di una celebrazione rievocativa dell’Ultima Cena, detta “rito del ciocco”.
Il capofamiglia versava un po’ di vino dal proprio bicchiere su un grosso ceppo acceso, solitamente di quercia, insieme a un piccolo fascio di rami e bacche di ginepro, quindi spezzava il “pane grande”, dopo averne inciso la superficie con una croce, distribuendone a tutti i componenti della famiglia. Il ceppo simboleggiava l’albero del Bene e del Male, il fuoco l’opera di Redenzione di Gesù Cristo, i pani il mistero della Divina Trinità. Il pane, preparato per l’occasione con cura particolare, diventava dunque metafora dei legami familiari.
Il “pan de toni”, o “panettone”
Con l’andar del tempo si diffuse la consuetudine di utilizzare solo la farina bianca per fare il pane natalizio, quella cioè di frumento, più pregiata del comune pane di miglio, sottolineando così l’eccezionalità dell’evento. Per aiutarne la lievitazione e come devozione le donne, dopo aver lavorato l’impasto, vi tracciavano sopra, con la fede nuziale, un solco a forma di croce. Il pane di Natale venne dunque chiamato “pan del ton” (pane di lusso), da cui “panettone”.
Su questi antichi riti si innestano molte leggende. Una del 1500 racconta che alla vigilia di Natale alla corte del Duca Ludovico Sforza detto il Moro, Signore di Milano, si tenne un grande pranzo ma il cuoco bruciò il dolce dimenticandolo nel forno; vista la sua disperazione, lo sguattero Toni propose una soluzione alternativa. Aveva preparato per sé un dolce usando degli ingredienti d’avanzo. Era un pane zuccherato, profumato di frutta candita e burro. Tutti furono entusiasti e al Duca che voleva conoscere il nome di quella prelibatezza, il cuoco rivelò: “L’è ‘l pan de Toni”, diventato poi “pan di Toni” ed infine panettone.
Uno dei racconti più “romantici”, ambientato sempre nella Corte di Ludovico il Moro, vede Ughetto degli Antellari (o Antellani), cavaliere milanese, innamorarsi di Adalgisa, figlia di Mastro Toni, panettiere del borgo delle Grazie; per entrare nel laboratorio del padre dell’amata e avvicinarla, si finse fornaio e per incrementare le magre vendite provò a inventare un dolce: con la migliore farina del mulino impastò uova, burro, zucchero e uva sultanina. Creò così il panettone (da “pan di Toni”, il fornaio) la cui bontà conquistò sia Adalgisa che la sua famiglia.
Tra le leggende fiorite intorno all’origine del panettone vi è anche quella che attribuisce l’invenzione del dolce a suor Ughetta, monaca cuciniera in un convento molto povero: non riuscendo a darsi pace all’idea di non poter servire nemmeno un dolce e per allietare il Natale delle giovani novizie, pensò di aggiungere all’impasto del pane, alcuni ingredienti fra cui pezzi di cedro e uvetta (in milanese “ughetta”), tracciando infine col coltello una croce sulla sommità del dolce in segno di benedizione, dando origine così al panettone.
È difficile stabilire chi fu realmente l’inventore di tanta bontà. Vi consiglio comunque di dare un bel morso a questo dolce e di decidere poi quale delle storie vi piace di più.
Il panettone poté diventare uno dei dolci natalizi più diffusi solo quando la grande industria alimentare lombarda degli anni ‘50 riuscì a produrlo in notevoli quantità. Angelo Motta (1890-1957) creò l’odierno panettone alto, fasciando l’impasto con carta sottile in modo da farlo crescere verticalmente.
Si trattava allora del classico dolce meneghino ben diverso dal consumistico prodotto di massa farcito e ricoperto di cioccolato, crema o panna, oggi tanto pubblicizzato e spesso preferito dagli italiani.
La curiosità
Il 3 febbraio ricorre la festa di San Biagio. Nella devozione popolare il santo è invocato contro il mal di gola perché, secondo la tradizione, avrebbe salvato miracolosamente un bambino che aveva una lisca di pesce conficcata in gola. L’episodio avvenne durante il percorso che lo conduceva alla prigione, dopo essere stato catturato dai romani.
Nel giorno della sua festa i sacerdoti benedicono la gola dei fedeli usando due candele benedette, incrociate e legate da un nastro rosso; ad esse il fedele accosta la propria gola fino a toccarle e poi le bacia.
Nel Milanese è tradizione conservare fino al 3 febbraio un panettone, detto appunto il “panettone di San Biagio” e di consumarlo la mattina a digiuno, “per benedire la gola”, come popolarmente si dice, proteggendola dai malanni stagionali.
È un altro chiarissimo esempio di come devozione, senso religioso, e usanze popolari si intreccino dando luogo ad un costume diffuso.