Mons. Cavina: «Il Coronavirus ci ricorda che siamo fragili e bisognosi di Dio»

Posté par atempodiblog le 3 mars 2020

Mons. Cavina: «Il Coronavirus ci ricorda che siamo fragili e bisognosi di Dio»
Fonte: Il Timone
Tratto da: Radio Maria

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Un microscopico virus sta paralizzando il mondo e la presunzione dell’uomo di essere padrone del proprio destino si trasforma immediatamente in schiavitù. Una entità talmente piccola, che nemmeno vediamo, ci domina e manda in pezzi il sogno di volere costruire il paradiso in terra.

Si tratta di un evento che, ancora una volta, ci porta a confrontarci con la verità della condizione umana, in quanto ne mette a nudo la debolezza e la fragilità. Nello stesso tempo, esso costituisce un richiamo all’esercizio della virtù dell’umiltà, la quale – quando è vera – ci porta ad inginocchiarci davanti al Signore per comprendere chi è veramente l’uomo.

Dostoevskij nell’opera I Demoni fa dire a Kirillov che la perdita di Dio da parte dell’uomo non è la morte di Dio, ma dell’uomo, che si manifesta nella paura. E l’uomo che vive nella paura è già uno sconfitto perché non è più libero. Una società dove i diritti di Dio e la preghiera non sono più ritenuti necessari è destinata alla rovina. La Chiesa ha la missione di richiamare il primato di Dio, non per la difesa di Dio – che non ha bisogno di essere difeso – ma per la difesa dell’uomo, che privato dell’adorazione, diviene un uomo mutilato.

Scrive il filosofo Gustave Thibon: «Chiudere il cerchio, per l’uomo religioso, significa compiere il ciclo che riporta a Dio ciò che è uscito da Dio. Tutto ciò che i santi di una volta sapevano della creazione era che essa deve ritornare a Dio, e la meta era più importante del cammino. Oggi conosciamo molto meglio la strada della creazione, l’abbiamo picchettata, spianata, resa carrozzabile, ma abbiamo dimenticato la meta e corriamo, precipitati alternativamente dalla falsa speranza alla vera disperazione, su una strada che non conduce da nessuna parte perché gira attorno all’uomo». (In Il tempo perduto, l’eternità ritrovata, D’Ettoris 2019, 266).

Quando l’umanità diventa vittima della grande tentazione di bastare a se stessa, per una specie di orgoglio collettivo, pretende, poi, di risolvere in assoluta autonomia i suoi problemi. Ma non è così! Un mondo ridotto solo a lavoro, organizzazione, tecnica e scienza, in cui manca la preghiera e la contemplazione, diventa una sorta di inferno.

La prova che stiamo vivendo deve portare i cristiani ad affidare i bisogni dell’umanità ferita al Signore per l’intercessione della Beata Vergine Maria. Per questo invito tutti i lettori de Il Timone, il mercoledì delle Ceneri, a pregare il santo Rosario perché anche questa sofferenza si trasformi in grazia. Il sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, ricordava: «la vera città è quella in cui gli uomini hanno la loro casa e dove Dio ha la sua casa». In altre parole un’espressione visibile della dimensione dell’adorazione all’interno della società è indispensabile perché la società sia veramente umana.

Lodiamo, dunque, il Signore per la Sua grandezza; ringraziamoLo per i Suoi doni; rivolgiamo a Lui la nostra supplica perché soccorra le nostre povertà, perdoni i nostri peccati e i nostri errori e ci faccia conoscere la gioia di ritornare a Lui, sorgente della vera vita e compimento di ogni desiderio.

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Due virologi. «Non è la peste, ma neanche l’influenza. Ecco perché»

Posté par atempodiblog le 28 février 2020

Due virologi. «Non è la peste, ma neanche l’influenza. Ecco perché»
Lettera di due docenti di Veterinaria agli studenti: «Il principio di precauzione, se applicato bene, non sarà mai apprezzato abbastanza». L’invito a diffondere informazioni scientifiche sui rischi
Tratto da: Avvenire

Due virologi. «Non è la peste, ma neanche l'influenza. Ecco perché» dans Articoli di Giornali e News corona-virus

Molte informazioni sul coronavirus che circolano in rete e in tante trasmissioni tv sono spesso incomplete e contraddittorie. Con le università chiuse, due virologi, Sergio Rosati e Luigi Bertolotti, professori presso il Dipartimento di Scienze Veterinarie a Torino, hanno inviato via WhatsApp un appello ai propri studenti, invitandoli a essere parte attiva nella comunicazione. Un prezioso contributo di chiarezza che merita di essere rilanciato.

Care studentesse e cari studenti,

come virologi del Dipartimento di Scienze Veterinarie sentiamo il dovere di esprimere e farvi conoscere la nostra opinione su quanto sta accadendo sul nostro territorio. Chi di voi ha già frequentato le nostre lezioni di virologia e malattie virali conosce l’approccio che utilizziamo quando vi parliamo delle infezioni epidemiche e di quali strategie i virus adottano per sfruttare la popolazione animale e mantenersi in natura.

Abbiamo a che fare con un virus ad RNA con una forte propensione a mutare ed adattarsi. L’origine è sicuramente animale ed il pipistrello è la specie serbatorio più probabile (alberga numerosi betacoronavirus fra cui quello da cui ha originato il virus della SARS). È probabile che sia passato all’uomo già da un po’ di tempo e si sia adattato (abbia imparato) proprio attraverso le mutazioni, ad essere trasmesso nel circuito interumano. Il salto di specie garantisce ad un nuovo virus un notevole vantaggio verso la popolazione suscettibile. L’uomo quindi rappresenta una opportunità formidabile perché rappresenta una specie abbondante, che vive in promiscuità ed è sprovvisto di memoria immunologica. I coronavirus del raffreddore sono degli alfacoronavirus e condividono ben poco del Covid 2019 in termini di cross-protezione. Quindi non è attesa in tempi brevi una riduzione della virulenza. Solo quando l’immunità di popolazione avrà raggiunto un certo livello, allora il virus comincerà ad essere trasmesso con maggiore difficoltà e tenderanno ad aumentare le forme lievi, croniche o asintomatiche. Notate che queste sono già presenti nella maggior parte degli infetti ma abbiamo ancora un 15-20% di infetti che sviluppano forme gravi che richiedono l’ospedalizzazione.

Una caratteristica di questo virus è quella di essere molto contagioso. Il legame con il recettore cellulare è venti volte più forte rispetto al virus della SARS. Inoltre presenta siti per le proteasi cellulari simili a quelli dei virus influenzali associati a peste aviare ad alta patogenicità (furin-like) quindi potenzialmente in grado di dare forme a maggior tropismo tissutale, essendo queste proteasi espresse in molti tessuti.

Quindi per concludere il virus non è la peste nera ma non è neanche una banale influenza e vi spieghiamo perché:

1) L’influenza stagionale ha una mortalità di circa lo 0,1%, non banale, ma la popolazione è in gran parte immune (per pregresse infezioni, parzialmente cross-protettive verso le nuove varianti e per la vaccinazione). In un tale contesto il virus influenzale serpeggia fra la popolazione e colpisce una frazione minoritaria delle persone senza incidere in modo significativo sulla forza lavoro di un paese.

2) SARS-Cov2 è un virus nuovo. Non abbiamo memoria immunologica o immunità di gregge. In tali casi il virus, senza misure di controllo, avrebbe un andamento epidemico, arrivando ad interessare una larga fascia della popolazione recettiva (dove il denominatore è tutta la popolazione italiana) prima di cominciare a rallentare la progressione. Questo significa che, anche in assenza di forme gravi, una gran parte della popolazione in età lavorativa, sarebbe bloccata per settimane con immaginabili ripercussioni sull’economia nazionale. Quindi ben vengano le misure di restrizione attualmente in uso per arginare almeno i principali focolai epidemici.

3) Covid 2019 causa forme gravi che richiedono il ricovero nel 15% dei casi. Si tratta di polmoniti che vengono curate in terapia intensiva per diversi giorni con l’ausilio della respirazione assistita. Quindi poco importa se la categoria a rischio di decesso siano gli over settantenni, con tutto il rispetto per i nostri vecchi. Anche i quarantenni o i cinquantenni (una parte cospicua della forza lavoro) avrebbe necessità della stessa terapia. Provate a chiedervi quanti letti per terapia intensiva ci sono nelle province italiane e quanti di questi sono già giustamente occupati da pazienti che hanno subito operazioni chirurgiche, traumi, ustioni ecc. Da qui la necessità di applicare tutte le misure utili ad arginare l’espandersi dei focolai epidemici, anche se vengono percepite come eccessive.

L’appello che facciamo agli studenti che hanno già maturato una sensibilità e coscienza sulle misure di lotta alle malattie degli animali è quella di fare tesoro delle vostre conoscenze ed essere parte attiva nella comunicazione del rischio, senza allarmare eccessivamente ma senza sottovalutare il problema.

Vi sarete accorti che non tutti i virologi che quotidianamente affollano le trasmissioni televisive la pensano allo stesso modo. Questo è assolutamente normale (la scienza è democratica fra gli scienziati e sensibilità e approcci diversi sono il sale del dibattito scientifico). La verità è che nessuno conosce come andrà a finire. Il principio di precauzione, se applicato bene, non sarà mai apprezzato abbastanza, se il problema sanitario poi non si verifica. Mentre una sottovalutazione del pericolo, in presenza di un’epidemia fuori controllo, farebbe scoppiare la rivoluzione. La difficoltà di prendere la giusta decisione è un sottile filo che lega questi due estremi.

di Sergio Rosati e Luigi Bertolotti
Professore ordinario (Malattie infettive degli animali) e professore associato, Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università di Torino

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Coronavirus, a San Miniato vescovo espone il crocifisso “miracoloso” contro la peste del 600

Posté par atempodiblog le 27 février 2020

Coronavirus, a San Miniato vescovo espone il crocifisso “miracoloso” contro la peste del 600
de Il Messaggero

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Coronavirus, in piena emergenza monsignor Andrea Migliavacca, vescovo di San Miniato, nel Pisano, invitando tutti i fedeli alla preghiera, ha deciso l’esposizione straordinaria del crocifisso prodigioso da stasera alle ore 21 fino a domenica prossima, 1 marzo, nella chiesa di San Domenico a San Miniato. La popolazione si era rivolta con speranza al Crocifisso durante i difficili anni dal 1628 al 1631 segnati dal flagello della peste. E alla fine la città mantenne il voto di costruire un santuario per quella croce lignea, proprio per essere stata risparmiata dall’ennesima epidemia. Non sono previste tuttavia specifiche celebrazioni religiose, «se non quelle previste dalla vita ordinaria della parrocchia».

«Considerata la delicata situazione che stiamo vivendo, a causa della diffusione della sindrome influenzale da coronavirus, insieme alle disposizioni già date anche come vescovi toscani, mi preme invitare tutti alla preghiera – ha detto il vescovo Migliavacca – per questa ragione, valorizzando uno dei segni della nostra tradizione religiosa, verrà straordinariamente esposto il Santissimo Crocifisso di Castelvecchio». Il vescovo raccomanda «l’opportunità di una visita» e invita i fedeli «in ogni caso alla preghiera personale».

La straordinarietà della decisione è evidente, scrive «La Nazione» dando la notizia. Negli ultimi quarant’anni ci sono state due aperture eccezionali (ovvero fuori dalle tradizionali celebrazioni di ottobre), di cui una fu un momento di preghiera per la grave siccità del 2003. Mai prima d’ora c’erano stati cinque giorni di esposizione continua. Al crocifisso – pare trovato da viandanti e che i sanminiatesi portarono nelle città della Toscana in guerra come segno di pace – la popolazione si è sempre rivolta quando è stata colpita da carestie ed epidemie.

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Don Gabriele e la Messa che il Coronavirus non fermerà

Posté par atempodiblog le 24 février 2020

Don Gabriele e la Messa che il Coronavirus non fermerà
«Ieri, dinanzi al tabernacolo e alla statua dell’Assunta, anch’io ho pianto. Quando sentirete suonare le campane della Messa, unitevi al sacerdote che offrirà il Sacrificio del Signore per tutti. Uscirò sul sagrato della parrocchiale benedicendo con Santissimo Sacramento tutta la parrocchia e tutto il paese». La toccante lettera del parroco di Castiglione d’Adda ai “fedeli nella prova”: continua a celebrare nonostante la sospensione e offre il sacrificio per la sua gente.
di Andrea Zambrano – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: Radio Maria

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Dopo il lodigiano e il cremonese anche nella Diocesi di Milano il vescovo ha disposto la sospensione delle Messe con concorso di popolo a causa dell’epidemia di Coronavirus. Si tratta di misure gravi e clamorose alle quali i fedeli devono sottostare con pazienza e fede. Ma se le Messe pubbliche sono sospese e si è sollevati dal precetto (ma si tratta comunque di un provvedimento discutibile, leggi QUA), è bene ricordare che questo non significa che i preti non possano e non debbano comunque celebrare le Sante Messe anche senza fedeli.

In quest’ottica, sta facendo il giro delle chat di Whatsapp un messagio audio di don Gabriele Bernardelli, parroco di Castiglione d’Adda, che ha scritto un messaggio ai suoi fedeli nel quale ha detto loro che continuerà a celebrare Messa e a benedirli sul sagrato della chiesa con il Santissimo. Si tratta di un gesto di grande fede che dà il valore della Messa, che non è un servizio da togliere a piacimento a seconda delle evenienze.

È un gesto commovente che richiama alla memoria una celebre scena del film “Don Camillo e Peppone” che rievoca l’alluvione del ’51 quando la Bassa reggiana e parmense, fino al Polesine, furono allagate. Nel corso del film, la popolazione fugge dalle case all’arrivo dell’acqua e si rifiugia oltre l’argine dove si accampa in attesa che le acque si ritirino. Con Brescello completamente allagata, la chiesa sottosopra invasa dalle acque e Peppone nella piazza del paese che va in barca, va in scena una delle immagini più commoventi della serie nata dalla penna di Giovannino Guareschi. 

Don Camillo ha appena finito di celebrare Messa e dispone gli altoparlanti in modo che i suoi fedeli possano ascoltare al di là del fiume. E dice così: «Fratelli, sono addolorato di non poter celebrare l’ufficio divino con voi, ma sono vicino a voi per elevare una preghiera nell’alto dei Cieli. Non è la prima volta che il fiume invade le nostre case, un giorno però le acque si ritireranno ed il sole ritornerà a splendere. E allora con la fratellanza che ci ha unito in queste ore terribili, con la tenacia che Dio ci ha dato, ricominceremo a lottare perché il sole sia più splendente, perché i fiori siano più belli e perché la miseria sparisca dai nostri Paesi e dai nostri villaggi. Dimenticheremo le discordie e quando avremo voglia di morte cercheremo di sorridere così tutto sarà più facile e il nostro Paese diventerà un piccolo paradiso in terra. Andate fratelli, io rimango qui per salutare il primo sole che porterà a voi lontani, con la voce delle nostre campane, il lieto annuncio del risveglio».

Le parole di don Gabriele ci richiamano la stessa intensità e la stessa drammaticità. Ma anche la stessa certezza che il Signore della vita può portare il sole dove oggi c’è angoscia e timore.

E ci ricordano che la Messa si fa per Dio, quindi la presenza o meno dei fedeli è subordinata a questo. Sarebbe un dramma se i preti intendessro queste disposizioni come un tana liberi tutti, una vacanza inaspettata dai propri doveri che sono primariamente il culto di Dio. 

Ecco le parole di don Gabriele, le pubblichiamo perché siano da sprone ad altri parroci colpiti dalle misure interdittive a fare altrettanto e a non spezzare la catena che ci lega al Cielo attraverso il Santo Sacrificio dell’altare per continuare a chiedere protezione e salvezza.  

AI MIEI FEDELI NELLA PROVA
Cari fratelli e sorelle, nessuno di noi, forse, avrebbe mai pensato di trovarsi nella situazione nella quale, invece, siamo venuti a trovarci. Il nostro animo è frastornato, l’emergenza sembrava così lontana. Invece è qui, in casa nostra. Anche questo fatto ci porta a considerare come nel mondo siamo ormai un’unica grande famiglia. Ora ci dobbiamo attenere alle indicazioni che le autorità preposte hanno stabilito, tra cui la cessazione della celebrazione della Santa Messa. È facile, in questa situazione, lasciarsi andare spiritualmente, diventando apatici nei confronti della preghiera, ritenuta inutile.

Vi invito, invece, cari fratelli e sorelle, ad incrementare la preghiera, che sempre apre le situazioni a Dio. Ci rendiamo conto, in congiunture come la presente, della nostra impotenza, perciò gridiamo a Dio la nostra sorpresa, la nostra sofferenza, il nostro timore. Mi è venuto in mente, ieri, il brano che si legge il Mercoledì delle Ceneri, tratto dal profeta Gioele, laddove si dice: «Tra il vestibolo e l’altare, piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: “Perdona, Signore, al tuo popolo”». Non ho vergogna a dirvi che ieri, dinanzi al tabernacolo e alla statua dell’Assunta, anch’io ho pianto. E vi chiedo di innalzare con me al Signore il grido della nostra preghiera. Pregare significa già sperare. Vi ricordo tutti nell’Eucaristia quotidiana e con me don Manuel, don Gino e don Abele.

Quando sentirete suonare le campane della Messa, unitevi al sacerdote che offrirà il Sacrificio del Signore per tutti. Domani mattina, dopo la Messa che celebrerò alle 11.00, uscirò sul sagrato della parrocchiale benedicendo con il Santissimo Sacramento tutta la parrocchia e tutto il paese. Ricordiamo soprattutto quanti sono stati contagiati dal virus e i loro familiari, affinché non si scoraggino, ma anche tutti gli operatori sanitari che si stanno spendendo per far fronte al contagio.
Stiamo uniti nella preghiera. Il vostro parroco, don Gabriele.

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Coronavirus, come spiegarlo ai nostri figli

Posté par atempodiblog le 23 février 2020

Lettera aperta: «Caro bambino, ecco perché il coronavirus ci fa tanta paura ma tu non lo devi temere»
Coronavirus, come spiegarlo ai nostri figli
Lo psicoterapeuta Alberto Pellai: «Così riusciremo a sconfiggere quel mostriciattolo fantasma»
di Alberto Pellai (Medico e psicoterapeuta. Ricercatore presso il Dipartimento di scienze biomediche dell’Università degli studi di Milano)
Tratto dal: Corriere della Sera

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È un virus. È così piccolo che lo si può vedere solo in laboratori speciali con microscopi speciali. Ecco perché ci spaventa tanto. Perché è invisibile a occhio nudo. Da sempre noi esseri viventi abbiamo paura di ciò che ci può fare male e che non si può vedere. Succedeva all’uomo delle caverne che andava a caccia di animali feroci che erano nascosti nelle foreste. Lui non li vedeva e doveva andarli a cercare. Loro stavano appostati in luoghi nascosti e, per non essere uccisi, potevano ucciderlo. È lì che il nostro cervello ha imparato ad accendere l’emozione della paura. Ci ha dotato della capacità di avvertire un pericolo che non si vede. Ci fa sentire l’allarme quando ancora non abbiamo davanti a noi il pericolo. Così siamo più preparati ad affrontarlo quando ci si presenta davanti.

La paura è come la sirena dell’ambulanza che suona dentro di te. La senti e ti avverte che qualcosa di grave sta per succedere. Bisogna correre all’ospedale per evitare che le cose precipitino. Il coronavirus, oggi, fa suonare tutte le sirene d’allarme del mondo. Ne parlano in continuazione alla televisione. Ci sono adulti più tranquilli, altri in ansia, altri molto spaventati: e poi c’è gente con i nervi saldi che sta lavorando giorno e notte per combattere questo rischio. Purtroppo hanno cancellato le gite scolastiche. Non si fanno più gli allenamenti sportivi. Sembra di stare in guerra, ti viene da pensare. E così provi una paura difficile da addomesticare. Non posso togliertela quella paura, ma posso dirti che, mentre è giusto sentire l’allarme per qualcosa che ci minaccia, allo stesso tempo dobbiamo imparare a prendere le cose nella giusta misura e per quello che sono.

È vero: il coronavirus è un nuovo agente di infezione che per la prima volta sta colpendo gli esseri umani. Prima era presente solo nel corpo di alcuni animali. È vero: il coronavirus ha contagiato migliaia di persone in Cina e nel mondo e ora è presente nella nazione in cui vivi anche tu. È vero : ci sono persone infettate dal coronavirus che sono morte. Però, affermato che queste sono tre verità che tutti sappiamo, ecco altre verità che, in questo clima di allarme, vengono raccontate, ma le persone colgono molto meno. Il contagio al momento ha colpito un numero molto ristretto di persone. La malattia si è localizzata in alcune zone precise, chiamate focolai di infezione. Quando è stata identificata la zona del focolaio, gli esperti hanno preso tutte le precauzioni possibili per non farlo uscire da lì. È come un animale in trappola. Ecco perché gli abitanti di alcuni paesi e città sono oggi in isolamento e quarantena. Viene chiesto loro di non uscire dal loro territorio, così da non trasportare il virus in luoghi in cui esso ancora non è arrivato.

La malattia prodotta dal coronavirus è simile ad un’influenza. Fa tossire, starnutire, dà febbre. In molte persone il virus non produce nemmeno questi sintomi. Solo pochissime persone si ammalano con sintomi molto più gravi, come la polmonite. Ad oggi, il 2% delle persone affette dal virus è morto. Vuol dire che di tutti gli ammalati, muore, purtroppo, una persona su 50. E sappi che tra i malati non ci sono praticamente bambini. Ovvero, sembra che chi ha la tua età, ha una capacità naturale di resistere all’attacco del virus. Che, quindi, per i bambini non rappresenta una reale minaccia.

Inoltre, considera che: nei luoghi in cui c’è l’infezione, ci sono migliaia di persone. Di quelle migliaia di persone, pochissime contraggono l’infezione, di quelle pochissime solo 1 su 50 muore. È tristissimo sapere che una persona muore per una malattia. Però è importante che tu consideri che la paura che senti, riguarda una minaccia che ha pochissime probabilità di riguardare la tua vita. Ma tutto il mondo, proprio per evitare, che questo accada, oggi si sta dando da fare per evitare che questa infezione si diffonda. È fondamentale perciò che le persone vengano allertate e allarmate. Perché così percepiscono un rischio e imparano a fare tutto quello che serve per evitare che esso si trasformi in un pericolo crescente. È quello che hanno già fatto con te i tuoi genitori da quando sei nato. Ti hanno insegnato che prima di attraversare la strada, devi aspettare che il semaforo diventi verde. Altrimenti rischi di essere tirato sotto da un’automobile. E questo ti ha permesso di imparare ad andare in giro sicuro per il mondo, sapendo come evitare gli incidenti. Ti hanno insegnato che non si può mangiare solo cotoletta e patatine. Perché il tuo corpo ha bisogno anche di fibre e vitamine che trovi nella frutta e nella verdura. Solo così puoi mantenere un corpo sano. Ti hanno insegnato che quando navighi in rete non devi fornire le tue generalità – nome, cognome e indirizzo – a nessuno, perché non sai chi c’è dall’altra parte.

Per il coronavirus è un po’ la stessa cosa. Il mondo adesso viene avvertito che la fuorì c’è un virus di cui non conosciamo molte cose. E perciò ce ne dobbiamo difendere. Ogni giorno nei laboratori, gli scienziati stanno lavorando per trovare un vaccino e una cura. In ogni momento, le persone che ci governano stanno promuovendo leggi per tutelare la nostra salute. In tutti gli ospedali il personale medico e paramedico è pronto a curare le persone che si ammaleranno. E i malati hanno il 98% di probabilità di guarire. Così come, al momento, la quasi totalità della popolazione ha ottime probabilità di non ammalarsi. Gli esperti di prevenzione ci dicono di fare poche cose che sono molto importanti: — se ti viene da tossire e starnutire, fallo nel cavo del gomito. In questo modo, non solo si riduce il rischio di diffondere il coronavirus, ma qualsiasi altro virus respiratorio — lavati bene le mani, sopra, sotto e tra le dita, con il sapone liquido, per un tempo di alcune decine di secondi. Potresti cantare per intero «tanti auguri a me» mentre ti lavi le mani, così riesci a far durare l’operazione il giusto tempo e nel frattempo ti dici una cosa bella e ti metti «dentro» un po’ d’allegria — usa fazzoletti di carta e cestinali subito dopo — non metterti le mani in bocca, negli occhi, nel naso (ma questo lo sapevi già!) e non mangiarti le unghie. Anzi tienile corte e curate.

Ecco tutto qui: questo è quello che puoi fare tu in prima persona per far fuori quel mostriciattolo fantasma, chiamato coronavirus. Non si può dire nulla di più. Avere paura oggi è naturale. Siamo spaventati e dobbiamo difenderci da qualcosa che non abbiamo ancora imparato bene a conoscere e affrontare. Ma l’uomo, nel corso della storia ha saputo fare cose straordinarie. Ha imparato a vincere malattie ben più terribili, ha inventato missili che possono portarci sulla luna, ha scoperto come trasformare la luce del sole in energia che fa accendere la luce di notte nelle nostre case, quando fuori c’è il buio. La paura ci fa vedere tutto buio e cupo. Ma tu non perderti nel buio. Affidati al lavoro di milioni di persone che oggi stanno lavorando e combattendo per vincere la battaglia contro il coronavirus. Impara a immaginarle tutte insieme. Un esercito infinito di milioni di uomini e donne – medici, ricercatori, scienziati, infermieri, forze dell’ordine – contro un invisibile microscopico virus. Ce la faremo, vedrai, ce la faremo.

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La campagna social #JeNeSuisPasUnVirus. “Sono cinese, ma non sono un virus”

Posté par atempodiblog le 22 février 2020

La campagna social #JeNeSuisPasUnVirus. “Sono cinese, ma non sono un virus”
L’appello pubblicato su Twitter da Lou Chengwang è diventata una campagna social, per lottare contro la psicosi generata dal coronavirus, ai danni degli asiatici
Tratto da: HuffPost

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“Sono cinese, ma non sono un virus. Capisco che tutti abbiano paura, ma non abbiate pregiudizi, per favore”.

È cominciata così. Con una foto su Twitter e un foglio di carta in mano. “Je ne suis pas un virus”, recita la scritta sul foglio, diventata poi un hashtag: io non sono un virus. L’appello pubblicato da Lou Chengwang è diventata una campagna social, per lottare contro la psicosi generata dal coronavirus, ai danni degli asiatici.

Lo slogan è un richiamo al “Je suis Charlie”, lanciato nel 2015 dopo l’attentato terroristico di Parigi. Dalla Francia si leva un nuovo coro, per mettere fine agli episodi di razzismo e intolleranza di cui sono vittime i cinesi in questi giorni.

L’Associazione dei giovani cinesi di Francia (Ajcf) ha denunciato una serie di episodi iniziati da quando i media hanno cominciato a parlare del fenomeno.  Offese, battute, insulti, pregiudizi, alimentati anche dai media: il quotidiano regionale “Le Courrier Picard”, alcuni giorni fa titolava in prima pagine “Allarme giallo”.

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Coronavirus: Indicazioni e comportamenti da seguire

Posté par atempodiblog le 22 février 2020

Coronavirus: Indicazioni e comportamenti da seguire

  • Rivolto a: Cittadini

    Coronavirus: Indicazioni e comportamenti da seguire dans Articoli di Giornali e News STOP-Coronavirus

Che cos’è
Il Coronavirus identificato a Wuhan, in Cina, per la prima volta alla fine del 2019 è un nuovo ceppo virale che non è stato precedentemente mai identificato nell’uomo. È stato chiamato SARS-CoV-2 e la malattia respiratoria che provoca Covid-19.

Quali sono i sintomi?
Come altre malattie respiratorie, il nuovo coronavirus può causare sintomi lievi come raffreddore, mal di gola, tosse e febbre, oppure sintomi più severi quali polmonite e difficoltà respiratorie.

Cosa fare in caso di sintomi
Coloro che riscontrano sintomi influenzali o problemi respiratori non devono andare in pronto soccorso, ma devono chiamare il numero 112 che valuterà ogni singola situazione e spiegherà che cosa fare. Per informazioni generali chiamare 1500, il numero di pubblica utilità attivato dal Ministero della Salute.

Il nuovo coronavirus colpisce solo le persone anziane o anche i più giovani?
Le persone più suscettibili alle forme gravi sono gli anziani e quelle con malattie croniche come il diabete e le malattie cardiache.

Le azioni attivate
Regione Lombardia ha attivato tutte le misure preventive necessarie e la task force regionale sta operando in stretto contatto con il Ministero della Salute e con la Protezione Civile.

Per scongiurare la diffusione del virus, nella serata del 21 febbraio,  il Ministro della Salute, Roberto Speranza e il Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, hanno firmato un’ordinanza contenente indicazioni preventive per 10 Comuni lombardi: Codogno, Castiglione d’Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e San Fiorano.

Previeni l’infezione seguendo alcune semplici regole

1. Lavati spesso le mani
Il lavaggio e la disinfezione delle mani sono decisivi per prevenire l’infezione.
Le mani vanno lavate con acqua e sapone per almeno 20 secondi.
Se non sono disponibili acqua e sapone, è possibile utilizzare anche un disinfettante per mani a base di alcol al 60%.
Lavarsi le mani elimina il virus.

2. Evita il contatto ravvicinatocon persone che soffrono di infezioni respiratorie acute
Mantieni almeno un metro di distanza dalle altre persone, in particolare quando tossiscono o starnutiscono o hanno la febbre, perché il virus è contenuto nelle goccioline di saliva e può essere trasmesso a distanza ravvicinata.

3. Non toccarti occhi, naso e bocca con le mani
Il virus si trasmette principalmente per via respiratoria, ma può entrare nel corpo anche attraverso gli occhi, il naso e la bocca, quindi evita di toccarli con le mani non ben lavate.
Le mani, infatti, possono venire a contatto con superfici contaminate dal virus e trasmetterlo al tuo corpo.

4. Copri bocca e naso se starnutisci o tossisci
Se hai un’infezione respiratoria acuta, evita contatti ravvicinati con le altre persone, tossisci all’interno del gomito o di un fazzoletto, preferibilmente monouso, indossa una mascherina e lavati le mani. Se ti copri la bocca con le mani potresti contaminare oggetti o persone con cui vieni a contatto.

5. Non prendere farmaci antivirali né antibiotici a meno che siano prescritti dal medico
Allo stato attuale non ci sono evidenze scientifiche che l’uso dei farmaci antivirali prevenga l’infezione da nuovo coronavirus (SARS-CoV-2). Gli antibiotici non funzionano contro i virus, ma solo contro i batteri. Il SARS-CoV-2 è, per l’appunto, un virus e quindi gli antibiotici non vengono utilizzati come mezzo di prevenzione o trattamento, a meno che non subentrino co-infezioni batteriche.

6. Pulisci le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol
I disinfettanti chimici che possono uccidere il nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) sulle superfici includono disinfettanti a base di candeggina / cloro, solventi, etanolo al 75%, acido peracetico e cloroformio.
Il tuo medico e il tuo farmacista sapranno consigliarti.

7. Usa la mascherina solo se sospetti di essere malato o assisti persone malate
L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di indossare una mascherina solo se sospetti di aver contratto il nuovo coronavirus, e presenti sintomi quali tosse o starnuti, o se ti prendi cura di una persona con sospetta infezione da nuovo coronavirus (viaggio recente in Cina e sintomi respiratori).

Uso della mascherina
Aiuta a limitare la diffusione del virus,ma deve essere adottata in aggiunta ad altre misure di igiene quali il lavaggio accurato delle mani per almeno 20 secondi.
Non è utile indossare più mascherine sovrapposte.

8. I prodotti MADE IN CHINA e i pacchi ricevuti dalla Cina non sono pericolosi
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che le persone che ricevono pacchi dalla Cina non sono a rischio di contrarre il nuovo coronavirus, perché non è in grado di sopravvivere a lungo sulle superfici. A tutt’oggi non abbiamo alcuna evidenza che oggetti, prodotti in Cina o altrove, possano trasmettere il nuovo coronavirus (SARS-CoV-2).

9. Gli animali da compagnia non diffondono il nuovo coronavirus
Al momento, non ci sono prove che animali da compagnia come cani e gatti possano essere infettati dal virus.
Tuttavia, è sempre bene lavarsi le mani con acqua e sapone dopo il contatto con gli animali da compagnia.

10. Contatta il numero verde 1500 per maggiori informazioni
Il Ministero della Salute ha attivato il numero di pubblica utilità 1500.

Cosa-fare-in-caso-di-sintomi-CORONAVIRUS dans Coronavirus

Domande e risposte
Per ulteriori informazioni consulta le domande e le riposte del Ministero della Salute o chiama il numero di pubblica utilità 1500.

Fonte: Regione Lombardia

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Il coronavirus, Santa Giacinta di Fatima e San Giovanni Bosco

Posté par atempodiblog le 22 février 2020

Il coronavirus, Santa Giacinta di Fatima e San Giovanni Bosco
La diffusione della infezione da coronavirus ci fa giustamente molto paura, ci mette angoscia. Tutta la nostra fiducia nelle nostre capacità tecniche e nella potenza della scienza viene velata dal dubbio. Eppure nel passato vi sono state pestilenze e santi. Cosa ci hanno insegnato?
Ecco un articolo di Donal Anthony Foley, pubblicato su The Wandererche ci parla di  Santa Giacinta di Fatima e San Giovanni Bosco nella traduzione di Sabino Paciolla

di Sabino Paciolla – Il blog di Sabino Paciolla

Tutta la nostra confidenza in Maria dans Citazioni, frasi e pensieri San-Giovanni-Bosco

Per una di queste curiose coincidenze, l’attuale minaccia del coronavirus cinese è venuta alla ribalta proprio mentre si celebra il centenario della morte di Santa Giacinta di Fatima, una morte che può essere attribuita alle complicazioni derivanti dalla pandemia di influenza spagnola che afflisse il mondo tra il gennaio 1918 e il dicembre 1920. Si pensa che questa malattia abbia contagiato fino a 500 milioni di persone in tutto il mondo e abbia causato tra i 50 e i 100 milioni di morti.

Santa Giacinta è stata l’esempio perfetto di come comportarsi di fronte alla morte in giovane età. La Madonna le aveva detto che avrebbe dovuto andare in due ospedali ma non sarebbe stata curata, piuttosto avrebbe sofferto di più per amore di Dio, per la conversione dei peccatori e per rimediare ai peccati contro il Cuore Immacolato di Maria.

Dopo aver sopportato un dolore costante e un’operazione per rimuovere due costole malate con il solo anestetico locale, Giacinta finalmente morì il 20 febbraio 1920. In questo, la giovane santa ci ha lasciato un esempio meraviglioso dell’importanza della conformità alla volontà di Dio, in quanto era disposta ad accettare la morte particolare che Egli voleva per lei, indipendentemente da quanto potesse essere solitaria e dolorosa.

L’insorgenza del coronavirus, invece, anche se forse pericolosa, non è necessariamente mortale, anche se ci sono stati migliaia di casi confermati durante l’attuale epidemia, e centinaia di persone sono di fatto morte. Coloro che lo contraggono soffrono di una grave infezione respiratoria e hanno sintomi che includono febbre e tosse secca.

La malattia si sta diffondendo rapidamente, ma al momento non è possibile dire se diventerà un fenomeno mondiale come l’influenza spagnola. Ma data l’interconnessione del mondo moderno, c’è sicuramente la possibilità che ciò accada.

Dobbiamo sperare e pregare sinceramente che non sia così, ma la possibilità fa sorgere la domanda: cosa possiamo fare se diventa più grave, non solo dal punto di vista pratico ma anche con mezzi spirituali?

Per quanto riguarda le questioni pratiche, è ovviamente ragionevole seguire i più recenti consigli medici, e prendere precauzioni prudenti per evitare l’esposizione al virus – laddove possibile.

Ma possiamo anche combattere le malattie minacciose in senso spirituale, come nel caso di San Giovanni Bosco nel XIX secolo.

Questo santo incredibile, il cui Oratorio e altre opere avevano sede a Torino, nel nord Italia, è stato il fondatore dei Salesiani, un ordine dedicato all’educazione dei giovani. Fu una delle figure spirituali più alte della sua epoca, un miracolato e un fidato confidente dei Papi Pio IX e Leone XIII. Era particolarmente noto per la sua profonda devozione alla Santa Vergine, sotto il titolo di “Maria Ausiliatrice”.

Prima dell’avvento della medicina moderna, il colera era una malattia particolarmente pericolosa e spesso mortale, e il santo aveva infatti profeticamente detto ai suoi ragazzi, nel maggio 1854, che Torino sarebbe stata colpita da un’epidemia; ma li confortava dicendo che se avessero fatto come diceva lui sarebbero stati al sicuro. Il consiglio che diede loro era semplice ma alla fine molto efficace: evitare il peccato, indossare una medaglia benedetta della Beata Vergine e ricorrere alla preghiera.

Proprio come aveva predetto, nel luglio 1854 in Italia scoppiò il colera. I sintomi e le conseguenze scoraggianti di questa malattia divennero presto evidenti, cioè vomito e dolori addominali, diarrea, crampi muscolari e, cosa più spaventosa di tutte, un tasso di mortalità molto elevato, fino al sessanta per cento.

Non appena Torino iniziò a essere colpita dalla malattia, Don Bosco adottò misure precauzionali, tra cui la pulizia di tutta la casa e la riduzione del numero di letti in ogni stanza. Ma andò oltre e, inginocchiato davanti all’altare, offrì la sua vita, se necessario, purché i suoi alunni potessero essere risparmiati da questo flagello.

Le autorità istituirono ospedali di fortuna, i lazzaretti, nel tentativo di far fronte alla malattia, ma trovarono molto difficile assumere personale, tale era la paura generale del colera.

La sera di sabato 5 agosto, festa della Madonna della Neve, parlò ai suoi alunni, sottolineando il potere della Madonna nel combattere la malattia, sia che fosse dovuta al contagio naturale, sia che si trattasse di una pestilenza mandata da Dio per punire il popolo per i suoi peccati. Parlò anche di come Lei fosse una sostenitrice immensamente potente, la Madre di Misericordia, che solo lei poteva aiutarli.

Soprattutto, disse ai suoi ragazzi che la migliore protezione era quella di fare una buona confessione e poi ricevere degnamente la Santa Comunione, e continuò dicendo che se si fossero messi in stato di grazia, e non avessero commesso peccato mortale, promise che nessuno di loro sarebbe stato colpito dalla malattia. Questa promessa ebbe un impatto enorme e il comportamento dei ragazzi divenne esemplare.

Devozione instancabile
Poi don Bosco e i suoi sacerdoti si impegnarono nella cura delle vittime della malattia in loco, e decise di chiedere ancora di più ai suoi alunni. Parlò loro in modo commovente dello stato di miseria a cui erano ridotte molte vittime del colera, e di come alcuni di loro erano morti perché non c’era nessuno che si occupasse di loro. Spiegò quanto fosse caritatevole impegnarsi in questo lavoro, anche a rischio personale, e finì chiedendo volontari tra loro perché aiutassero in quell’opera di misericordia. Il risultato fu che più di quaranta dei suoi ragazzi si offrirono volontari.

Furono rapidamente istruiti sui loro compiti e, mettendosi sotto la cura della divina Provvidenza, si misero al lavoro nelle condizioni più difficili che si potesse immaginare. Furono divisi in quattro gruppi e furono loro affidati quattro compiti: di aiutare nei lazzaretti; aiutare le vittime nelle loro case; cercare le persone che erano state abbandonate dai loro parenti, e un ultimo gruppo era di turno all’oratorio, aspettando giorno e notte per sapere dove sarebbe stato necessario il loro prossimo intervento.

Don Bosco era un grande esempio per tutti loro con la sua instancabile devozione ai malati e ai moribondi, ma i ragazzi dovevano comunque superare una grande ripugnanza nell’affrontare le vittime dell’epidemia, che spesso si contorcevano per il dolore e le terribili convulsioni, con schiuma alla bocca.

Questo andò avanti per oltre due mesi e lasciò i ragazzi completamente esausti, ma alla fine il peggio dell’epidemia di colera passò, e proprio come aveva promesso don Bosco, nessuno dei ragazzi prese la malattia.

La lezione che ci viene poi impartita dall’epidemia di colera a Torino nel 1854 è sicuramente che il miglior antidoto al coronavirus, o a qualsiasi altra simile minaccia per la salute, è quello di rimanere in uno stato di grazia, di pregare con fervore, e in particolare di avere una vera devozione alla Santa Vergine – espressa praticamente nell’indossare una medaglia benedetta a Lei dedicata, come la medaglia miracolosa.

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Il coronavirus, la Madonna e Benedetto XVI

Posté par atempodiblog le 11 février 2020

Il coronavirus, la Madonna e Benedetto XVI
La società ci fa pensare di poter essere eternamente giovani, in buona salute anche in età avanzata, ma queste sono illusioni. A ricordarcelo è il coronavirus. Per sperare bisogna quindi rileggere le parole di Benedetto XVI in occasione dell’anniversario delle apparizioni della Madonna a santa Bernadette.
di Aurelio Porfiri – La nuova Bussola Quotidiana

Il coronavirus, la Madonna e Benedetto XVI dans Apparizioni mariane e santuari Benedetto-XVI-e-la-Santa-Vergine-di-Lourdes

In questi giorni, in tutto il mondo, non si fa altro che parlare di questa epidemia del coronavirus. Ci sono pagine di giornali, migliaia di video su YouTube, milioni di post su Facebook, che ne parlano continuamente, dandoci notizie più o meno affidabili. Questo perché, com’è naturale, la malattia ci fa paura, facendoci toccare in modo veramente concreto la nostra fragilità. Forse questo è anche un elemento “positivo”, nel senso che il richiamo alla nostra fragilità è anche un richiamo alla realtà, in quanto siamo esseri fragili.

La Chiesa festeggia la Madonna di Lourdes l’11 febbraio, giornata che dedica anche ai malati. I poveri, i malati, i sofferenti… Non sono queste le categorie a cui ci fa piacere appartenere, quelle di persone in grande difficoltà esistenziale. Nessuno vuole essere povero, malato e nessuno vuole essere sofferente. Ma purtroppo, se siamo fortunati nello sfuggire alla povertà, non lo saremo altrettanto nello sfuggire alla malattia e alla sofferenza, in quanto esse entrano nella vita di tutti prima o poi.

Siamo esseri deperibili; questo è solo un richiamo alla realtà. La società ci fa pensare di poter essere eternamente giovani, sempre in buona salute, efficaci e potenti anche in età avanzata; ma in realtà queste sono solo pie illusioni, cose che ci piace pensare per non voler affrontare la realtà per quello che è. E la realtà è che siamo esseri deperibili. Quindi, la malattia è qualcosa di compreso nel “pacchetto della nostra esistenza”. Ci fa paura, ed è giusto così, perché il nostro istinto ci richiama alla sopravvivenza. Ma, come detto, essa ci porta anche a vedere la vita per quello che è, a mettere tutto in prospettiva.

Seneca diceva: “Se vuoi sapere volta per volta che cosa evitare o che cosa ricercare, guarda al sommo bene, il fine supremo di tutta la tua vita. Ogni nostra azione vi si deve accordare: se uno non ha già disposto la propria vita nel suo complesso, non potrà deciderne i particolari. Nessuno, per quanto abbia pronti i colori, può fare un quadro somigliante, se non sa già che cosa vuol dipingere. Noi tutti decidiamo su singoli episodi della nostra vita, non sulla sua totalità e questo è il nostro errore”.

La malattia ci aiuta a vedere la vita nella sua totalità. Se è logico che cerchiamo di evitarla a tutti i costi, quando ce la troviamo davanti, cerchiamo di trarne qualche buon insegnamento. Sempre Seneca avverte: “Ma è proprio una vergogna per un individuo assennato che il rimedio al dolore sia la stanchezza di soffrire: è meglio che sia tu a lasciare il dolore, non il dolore te; rinuncia subito a un atteggiamento che, anche volendo, non sarai in grado di sostenere a lungo”.

Un elemento importante nel tempo della prova è la preghiera, che aiuta a mettere nelle mani di un Altro quello che non si riesce a sopportare nel momento della disperazione. L’atteggiamento di preghiera non ci fa bene solo spiritualmente, ma anche fisicamente, in quanto un atteggiamento positivo, di fiducia, aiuta un eventuale processo di guarigione. La malattia non è solo a livello fisico, ma spirituale. Corpo e spirito non sono disgiunti, se si cura uno influisce anche sulla sperata guarigione dell’altro.

Proprio in questa festa della Madonna di Lourdes, papa Benedetto XVI fece il suo discorso in cui annunciò la sua rinuncia all’esercizio del ministero petrino. Era il 2013. In quel discorso il Papa pronunciò queste parole: “Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”. Molti si sono affannati per comprendere il significato di queste espressioni, ma certo ci dicono della fatica che affanna non solo la nostra parte materiale, ma anche quella spirituale e di conseguenza quella psicologica.

Nello stesso giorno veniva promulgato il messaggio preparato dallo stesso Pontefice per la giornata internazionale del malato. In esso, tra l’altro, si legge:

Per accompagnarvi nel pellegrinaggio spirituale che da Lourdes, luogo e simbolo di speranza e di grazia, ci conduce verso il Santuario di Altötting, vorrei proporre alla vostra riflessione la figura emblematica del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37). La parabola evangelica narrata da san Luca si inserisce in una serie di immagini e racconti tratti dalla vita quotidiana, con cui Gesù vuole far comprendere l’amore profondo di Dio verso ogni essere umano, specialmente quando si trova nella malattia e nel dolore. Ma, allo stesso tempo, con le parole conclusive della parabola del Buon Samaritano, «Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10,37), il Signore indica qual è l’atteggiamento che deve avere ogni suo discepolo verso gli altri, particolarmente se bisognosi di cura. Si tratta quindi di attingere dall’amore infinito di Dio, attraverso un’intensa relazione con Lui nella preghiera, la forza di vivere quotidianamente un’attenzione concreta, come il Buon Samaritano, nei confronti di chi è ferito nel corpo e nello spirito, di chi chiede aiuto, anche se sconosciuto e privo di risorse. Ciò vale non solo per gli operatori pastorali e sanitari, ma per tutti, anche per lo stesso malato, che può vivere la propria condizione in una prospettiva di fede: «Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore» (Spe salvi, 37).

Ecco, con il Papa ora emerito, tutti ci auguriamo di essere capaci di vedere le cose in quella sola prospettiva che le rende non solo accettabili, ma anche piene di senso.

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