Piacenza ai confessori: la misericordia non si ferma

Posté par atempodiblog le 4 avril 2020

Piacenza ai confessori: la misericordia non si ferma
Lettera tratta da: Vatican News

Piacenza ai confessori: la misericordia non si ferma dans Cardinale Mauro Piacenza Card-Mauro-Piacenza

Lettera del cardinale Penitenziere in occasione della Pasqua: nell’emergenza provocata dalla pandemia,“Dio non si distanzia

La misericordia non si ferma. È questo il leitmotiv della lettera che il cardinale Mauro Piacenza ha inviato ai penitenzieri e confessori in occasione della Pasqua.

La riflessione del penitenziere maggiore prende le mosse dalle difficoltà che l’emergenza pandemia provoca anche nella vita delle comunità cristiane, con le attuali restrizioni in atto in moltissimi Paesi per arginare la propagazione del contagio. Ma, sottolinea appunto il cardinale, «la misericordia non si ferma e Dio non si distanzia». Infatti, sottolinea, il distanziamento sociale «richiesto per motivi sanitari, pur necessario», non può, «né deve mai tradursi in distanziamento ecclesiale».

Il cardinale ricorda in proposito che, qualora fosse impossibile «la celebrazione ordinaria del sacramento», i confessori sono chiamati «a pregare, a consolare, a presentare le anime alla divina misericordia», adempiendo al loro «ruolo sacerdotale di intercessori». In questi momenti più che mai, infatti, tutti hanno «bisogno della prossimità e della “carezza” di Gesù».

Il porporato sottolinea lo sforzo di quanti, in questi tempi di epidemia, si impegnano a rendere più creativa la pastorale per cercare di farsi prossimi al «popolo loro affidato, dando testimonianza di fede, di coraggio, di paternità». La misericordia si rende concreta anche nei «piccoli gesti di tenerezza e di amore compiuti verso i più poveri», in particolare «verso i morenti nelle corsie d’ospedale, verso gli operatori sanitari, verso chi è solo ed impaurito, verso chi non ha una casa nella quale trascorrere il tempo della quarantena o chi non riesce ad avere il necessario per sopravvivere».

Tutto ciò è vivificato dal sacrificio della messa, seppure «celebrata senza la presenza fisica del popolo, dalla quale scaturisce ogni grazia per la Chiesa e per il mondo». Grazie alla Croce, sottolinea il porporato, è donata a tutti gli uomini «la possibilità della salvezza e della riconciliazione». In tal senso, nonostante le attuali drammatiche circostanze, si è chiamati a riscoprire ciò che è essenziale nel ministero sacerdotale: «l’opera di Cristo più che la nostra, l’attuazione sacramentale della salvezza, di cui siamo ministri, cioè servi».

Scaturisce da qui quella misericordia che «non si ferma nella celebrazione della sacra liturgia» ma diventa «carità vissuta, che tende la mano amica a quanti soffrono e nel ministero sacerdotale è offerta del perdono di Dio». In questo senso, la misericordia si esprime anche «nella riscoperta dei valori per i quali vale la pena vivere e morire, nella riscoperta del silenzio, della adorazione e della preghiera, nella riscoperta della prossimità dell’altro e, soprattutto, di Dio». Non viene arrestata nemmeno dalla morte: infatti, anche chi è stato chiamato all’eternità «è raggiunto dalla preghiera di suffragio nella certezza pasquale che con la morte non si spezzano i rapporti ma si trasformano, rafforzati, nella comunione dei santi».

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Comastri: Giovanni Paolo II trasformò la sua croce in amore

Posté par atempodiblog le 2 avril 2020

Comastri: Giovanni Paolo II trasformò la sua croce in amore
Intervista con il cardinale Angelo Comastri, vicario del Papa per la Città del Vaticano, sulla testimonianza di San Giovanni Paolo II, nel 15.mo della morte, il 2 aprile del 2005
di Alessandro Gisotti – Vatican News

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Sono passati 15 anni dalla morte di Karol Wojtyla, come ricordato da Papa Francesco all’udienza generale di oggi. Indimenticabili i giorni che segnarono il passaggio alla Casa del Padre di San Giovanni Paolo II, dopo una lunga malattia vissuta con una testimonianza cristiana che attrasse non solo i credenti ma anche persone lontane dalla Chiesa. Proprio sull’insegnamento che il Papa polacco può darci oggi, in un momento di grande sofferenza globale a causa della pandemia, si sofferma il cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per lo Stato della Città del Vaticano, in questa intervista con i media vaticani.

Cardinale Angelo Comastri, il 2 aprile di 15 anni fa, dopo una lunga malattia vissuta offrendo una straordinaria testimonianza, moriva San Giovanni Paolo II. Cosa ci offre oggi, in un contesto drammatico come quello che stiamo vivendo a causa dell’emergenza Coronavirus, la vita e l’esempio di Karol Wojtyla?
Il dilagare dell’epidemia, la crescita dei contagiati e il bollettino quotidiano del numero dei morti ha trovato impreparata la società e ha messo in luce il vuoto spirituale di molte persone. Il giornalista Indro Montanelli, poco prima di morire, uscì con questa considerazione lucida e onesta: “Se debbo chiudere gli occhi senza sapere da dove vengo e dove vado e che cosa sono venuto a fare su questa terra, valeva la pena che aprissi gli occhi? La mia è una dichiarazione di fallimento! ». Queste parole di Montanelli fotografano la situazione di una parte dell’attuale società. Anche per questo, l’epidemia spaventa: perché in tanta gente si è spenta la fede. Giovanni Paolo II era un credente, un credente convinto, un credente coerente e la fede illuminava il cammino della sua vita.

Nonostante molte sofferenze vissute e la lunga malattia, Karol Wojtyla dava sempre la sensazione a chi lo incontrava di essere un uomo in pace e pieno di gioia…
Giovanni Paolo II sapeva che la vita è una veloce corsa verso la Grande Festa: la Festa dell’abbraccio con Dio, l’Infinitamente Felice. Ma dobbiamo prepararci all’incontro, dobbiamo purificarci per essere pronti all’incontro, dobbiamo togliere le riserve di orgoglio e di egoismo che tutti abbiamo, per poter abbracciare Colui che è Amore senza ombre. Giovanni Paolo II viveva la sofferenza con questo spirito: e, anche nei momenti più duri (come il momento dell’attentato) non ha mai perso la serenità. Perché? Perché aveva sempre davanti la meta della vita. Oggi molti non credono più nella meta della vita. Per questo motivo vivono il dolore con disperazione: perché non vedono al di là del dolore.

Giovanni Paolo II ha sempre trovato nelle esperienze di sofferenza, di dolore, una dimensione di speranza, di speciale occasione di incontro con il Signore. Ricordiamo su tutto la Lettera Apostolica “Salvifici Doloris”. Una sua riflessione su questo particolare carisma del Papa polacco?
Il dolore indubbiamente fa paura a tutti, ma quando è illuminato dalla fede diventa una potatura dell’egoismo, delle banalità e delle frivolezze. Di più. Noi cristiani viviamo il dolore in comunione con Gesù Crocifisso: aggrappati a Lui, noi riempiamo il dolore con l’Amore e lo trasformiamo in una forza che contesta e vince l’egoismo ancora presente nel mondo. Giovanni Paolo II è stato un vero maestro del dolore redento dall’Amore e trasformato in antidoto dell’egoismo e in redenzione dell’egoismo umano. Ciò è possibile soltanto aprendo il cuore a Gesù: soltanto con Lui si capisce il dolore e si valorizza il dolore.

Quest’anno a causa dell’emergenza attuale, vivremo una Pasqua “inedita” per rispettare le disposizioni di contrasto al contagio. Anche l’ultima Pasqua di Giovanni Paolo II fu segnata dalla malattia, dall’isolamento. Eppure ne abbiamo tutti un ricordo indelebile. Quale insegnamento possiamo trarre da quell’ultima Pasqua di Papa Wojtyla guardando a quello che succede oggi?
Tutti ricordiamo l’ultimo Venerdì Santo di Giovanni Paolo II. Indimenticabile è la scena che abbiamo visto in televisione: il Papa, ormai privo di forze, teneva il Crocifisso con le sue mani e lo guardava con stringente amore e si intuiva che diceva: “Gesù, anch’io sono in croce come te, ma insieme a te aspetto la Risurrezione”. I santi sono vissuti tutti così. Mi limito a ricordare Benedetta Bianchi Porro, divenuta cieca e sorda e paralizzata a motivo di una grave malattia e morta serenamente il 24 gennaio 1964. Poco tempo prima, ebbe la forza di dettare una meravigliosa lettera per un giovane handicappato e disperato di nome Natalino. Ecco cosa uscì dal cuore di Benedetta: “Caro Natalino, ho 26 anni come te. Il letto ormai è la mia dimora. Da alcuni mesi sono anche cieca, ma non sono disperata, perché io so che in fondo alla via Gesù mi aspetta. Caro Natalino, la vita è una veloce passerella: non costruiamo la casa sulla passerella, ma attraversiamola tenendo stretta la mano di Gesù per arrivare in Patria”. Giovanni Paolo II era su questa lunghezza d’onda.

In questo periodo segnato dalla pandemia, ogni giorno in diretta streaming su Vatican News e sui media che lo ritrasmettono, tantissime persone si uniscono in preghiera alla recita dell’Angelus e del Rosario. Viene naturale pensare a Giovanni Paolo II legato a Maria fin dallo stemma episcopale…
Sì, Giovanni Paolo II aveva voluto sul suo stemma come motto queste parole: Totus Tuus Maria. Perché? La Madonna è stata vicina a Gesù nel momento della Crocifissione e ha creduto che quello era il momento della vittoria di Dio sulla cattiveria umana. Come? Attraverso l’Amore che è la Forza Onnipotente di Dio. E Maria, poco prima che Gesù consumasse il Suo Sacrificio di Amore sulla Croce, ha sentito le parole impegnative che Gesù le ha rivolto: “Donna, ecco tuo figlio!”. Cioè: “Non pensare a me, ma pensa agli altri, aiutali a trasformare il dolore in amore, aiutali a credere che la bontà è la forza che vince la cattiveria”. Maria da quel momento si preoccupa di noi e quando ci lasciamo guidare da lei siamo in mani sicure. Giovanni Paolo II ci credeva, si è fidato di Maria e con Maria ha trasformato il dolore in occasione di amore.

C’è da ultimo un aneddoto, una parola che Giovanni Paolo II le ha rivolto e che a 15 anni di distanza vuole condividere anche come segno di speranza per tante persone nel mondo, che soffrono, che hanno amato e continuano ad amare Karol Wojtyla?
Nel marzo 2003, Giovanni Paolo II m’invitò a predicare gli Esercizi Spirituali alla Curia Romana. Anche lui partecipò a quel corso di Esercizi Spirituali con esemplare raccoglimento. Al termine degli Esercizi, mi ricevette con tanta bontà e mi disse: “Ho pensato di regalarle una croce come la mia”. Io giocai sul doppio senso della parola e dissi a Giovanni Paolo II: “Padre Santo è difficile che mi possa dare una croce come la sua…”. Giovanni Paolo II sorrise e mi disse: “No… la croce è questa”, e mi indicò una croce pettorale che voleva donarmi. E poi aggiunse: “Anche lei avrà la sua croce: la trasformi in amoreQuesta è la saggezza che illumina la vita”. Non ho più dimenticato questo meraviglioso consiglio che mi ha dato un Santo.

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Il Vaticano pubblica un e-book per pregare e non perdere il senso di comunità nel tempo della pandemia

Posté par atempodiblog le 1 avril 2020

Il Vaticano pubblica un e-book per pregare e non perdere il senso di comunità nel tempo della pandemia
On line sul sito della Libreria Editrice Vaticana “Forti nella tribolazione”, volume digitale a cura del Dicastero per la Comunicazione che raccoglie pronunciamenti del Papa, preghiere e meditazioni, indicazioni sui sacramenti
di Salvatore Cernuzio – Vatican Insider

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Il Vaticano pubblica un e-book per pregare e non perdere il senso di comunità nel tempo della pandemia 

Nei giorni della quarantena, della desolazione sociale, del terrore suscitato dalle notizie apprese dai Tg o sul web per la pandemia di Covid-19 che sembra irrefrenabile, arriva dalla Santa Sede un aiuto per tutti i credenti. Si tratta di un libro dal titolo “Forti nella tribolazione”, da oggi disponibile gratuitamente sul sito internet della Libreria Editrice Vaticana. Pensato e curato dal Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, il volume vuole aiutare a scoprire la vicinanza di Dio in un periodo dove, guardandosi intorno, sembra di scorgere solo dolore, sofferenza, paura, solitudine.

Quasi un compendio, dunque, in 184 pagine per condividere, meditare, pregare tutti insieme, in modo da mantenere vivo il senso di comunità messo duramente alla prova dall’emergenza sanitaria. In sostanza, il servizio che i media vaticani hanno cercato di offrire sin dall’inizio della epidemia di coronavirus attraverso iniziative come “In prima linea”, il programma radiofonico in onda su 105 per dar voce a tutti coloro che in questi giorni aiutano gli altri, o semplicemente svolgendo il lavoro di canale di trasmissione delle parole del Papa. A cominciare da quelle pronunciate nelle omelie a Santa Marta, per volontà dello stesso Pontefice trasmesse ogni mattina alle 7 in streaming come segno di accompagnamento ai fedeli “digiuni” delle funzioni religiose.

Proprio le riflessioni mattutine del Pontefice compongono un’ampia sezione del volume. Assieme ad esse, gli Angelus e i vari interventi straordinari di Francesco sul tema a partire dal 9 marzo. Tra questi, anche la stupenda preghiera pronunciata dal Vescovo di Roma venerdì scorso, in piazza San Pietro, in occasione della benedizione straordinaria “Urbi et Orbi” per chiedere a Dio di porre fine all’ondata di sofferenza provocata dal coronavirus.

Più nel dettaglio, “Forti nella tribolazione” – che in copertina riporta una immagine dell’arcangelo Michele, protettore della Chiesa contro il male – si divide in tre sezioni. La prima è costellata di preghiere, riti e suppliche per i momenti difficili tratti dalla tradizione cristiana, come ad esempio le invocazioni per i malati, per la liberazione dal male, per affidarsi all’azione dello Spirito Santo. Preghiere che provengono da diverse Chiese nel mondo, ma anche da varie epoche storiche.

La seconda parte, invece, si basa sulle indicazioni delle autorità ecclesiastiche per continuare a vivere i sacramenti. Uno strumento utile in un tempo in cui, per prevenire il rischio di contagio, sono diventate una costante le celebrazioni «senza concorso di popolo» che suscitano non poche sofferenza nei credenti, soprattutto in vista della Pasqua. Le meditazioni nel libro vertono quindi sul tema della comunione spirituale spiegando anche come si ottiene il perdono dei peccati, nonostante l’impossibilità di confessarsi. Una indicazione, questa, già offerta ai fedeli da Papa Francesco attingendo al Catechismo della Chiesa cattolica. 

Infine la terza parte è, come detto, una summa degli interventi che il Pontefice ha fatto e che farà. Sì, anche quelli che «farà», perché il libro, pubblicato solo on line e non in edizione cartacea, sarà aggiornato più volte a settimana e arricchito con nuovi testi. È possibile scaricarlo più volte con un semplice click.

Il senso di tutta l’iniziativa viene spiegato nell’introduzione a firma di Andrea Tornielli, direttore editoriale dei media vaticani: «Il libro è un tentativo di aiutare tutti in questo momento di angoscia e di tribolazione ad essere comunque forti, che vuol dire avere una speranza», si legge. «Vorrebbe essere un piccolo aiuto offerto a tutti, per saper scorgere e sperimentare nel dolore, nella sofferenza, nella solitudine e nella paura la vicinanza e la tenerezza di Dio. Certo, la fede non cancella il dolore, la comunione ecclesiale non toglie l’angoscia – scrive Tornielli -, ma illumina la realtà e la rivela abitata dall’amore e dalla speranza fondata non sulle nostre capacità, ma proprio su Colui che è fedele e non ci abbandona mai».

È possibile scaricare il libro cliccando Freccia dans Viaggi & Vacanze QUI

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Il Papa nel silenzio

Posté par atempodiblog le 28 mars 2020

Il Papa nel silenzio
I fuochi, l’adorazione, la benedizione in una piazza San Pietro vuota. “Da settimane – ha detto Francesco – sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti”.
di Matteo Matzuzzi – Il Foglio
Tratto da: Radio Maria

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Nella piazza vuota c’erano solo i fuochi accesi, l’icona della Salus populi romani, il Crocifisso miracoloso di San Marcello. Poco più in là, nell’atrio della basilica vaticana, l’altare per l’adorazione. Tutto immerso nel silenzio, interrotto solo dal verso di qualche gabbiano e dalle sirene delle ambulanze. In mezzo, il Papa. Un momento di preghiera straordinario per supplicare la fine dell’epidemia che resterà nella storia. La pioggia non ha smesso un attimo di cadere sul sagrato di San Pietro, mentre si proclamava il Vangelo – “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”, chiede Gesù agli apostoli turbati dalla tempesta di vento che aveva fatto riempire d’acqua la barca sulla quale si trovavano – e si cantavano le litanie. “Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: ‘Siamo perduti’, così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”, ha detto il Papa nella sua riflessione, tutta svolta attorno al tema della paura e della fede. “Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balìa della tempesta”. Una supplica accorata, terminata con la concessione dell’indulgenza plenaria e la benedizione urbi et orbi, alla città di Roma e al mondo intero. In silenzio anche questa: il Papa, affaticato, benediceva con il santissimo mentre le campane della basilica suonavano a festa.

Si è scritto più volte che il dramma che stiamo vivendo sarà ricordato anche da immagini-simbolo: i volti di medici e infermieri deturpati dall’uso continuo delle mascherine alla sequela dei camion militari con il loro carico di bare destinate ai crematori. Anche l’immagine del Pontefice da solo in piazza San Pietro, al crepuscolo di un venerdì d’inizio primavera, entrerà nei libri. Come vi era già entrata del resto l’istantanea della camminata in solitaria verso San Marcello al Corso, in una Roma deserta per la serrata. E come lo era stata la benedizione dalla finestra del Palazzo apostolico, dopo l’Angelus di domenica. Sotto di lui, il vuoto.

“Da settimane – ha detto Francesco – sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti”. Alla fine, le telecamere indugiavano sulla grande navata della basilica, tutta illuminata. E’ lì che si terranno i riti della Settimana santa e della Pasqua. Il Papa celebrerà all’altare della Cattedra, senza popolo presente. La Via Crucis, anziché al Colosseo, si svolgerà in piazza San Pietro. Rimandata la messa crismale del giovedì santo, se ne riparlerà a emergenza finita. E così faranno le altre chiese in Italia e in gran parte del mondo. In queste ore i vescovi diocesani stanno comunicando ai fedeli calendari aggiornati e misure straordinarie per le celebrazioni, tutte comunque garantite in streaming, almeno laddove i sacerdoti saranno in grado di farlo.

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La violenza domestica ai tempi del coronavirus: ​come chiedere aiuto

Posté par atempodiblog le 28 mars 2020

La violenza domestica ai tempi del coronavirus: ​come chiedere aiuto
Con le misure di contenimento, per le vittime di violenza domestica risulta difficile chiedere aiuto. Ecco i numeri utili, attivi tutti i giorni, 24 ore su 24
di Francesca Bernasconi – Il Giornale

La violenza domestica ai tempi del coronavirus: ​come chiedere aiuto dans Articoli di Giornali e News Femminicidio

L’isolamento imposto dal decreto “Io resto a casa”, rischia di generare un’emergenza nell’emergenza. In questo modo, infatti, potrebbero aumentare i casi di violenza domestica

L’isolamento e la violenza domestica
A lanciare l’allarme era stata anche la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani, Agnes Callamard, che aveva riflettuto sulle misure imposte dalle autorità di tutto il mondo, per combattere la diffusione del coronavirus. “Le autorità sanno o dovrebbero sapere che le misure di isolamento causeranno anche vittime tra le donne e i bambini”, aveva scritto su Twitter Callamard, sostenendo la necessità della messa a punto “un piano di emergenza”, in grado di proteggere le persone a rischio, che sono solitamente donne e bambini.

[...] anche la senatrice Pd Valeria Valente era tornata sui possibili rischi dell’isolamento domenisco, sostenendo: “In queste ore stanno diminuendo le denunce al 1522: non solo stare a casa con il proprio persecutore è pericoloso, ma può diventare più difficile, se non impossibile, chiedere aiuto”, ha detto la presidente ella Commissione del Senato di inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere. Poi ha aggiunto: “Stiamo lavorando, con la Commissione Femminicidio per accogliere le richieste dei centri antiviolenza. Pensiamo di presentare uno o più emendamenti al decreto ‘Cura Italia’ per dotare di maggiori risorse le case che ospitano donne vittime di violenza e per mettere loro a disposizione gli strumenti necessari per il servizio di accoglienza: kit sanitari e l’aiuto di medici e infermieri per prevenire e se necessario curare il Coronavirus”.

[...] anche Save the children ha lanciato l’allarme. “L’isolamento, la convivenza forzata e l’instabilità socio-economica in questo periodo di emergenza coronavirus – spiegano- possono comportare per le donne e i loro figli e figlie il rischio di una maggior esposizione alla violenza domestica e assistita”, data la condivisione prolungata degli spazi tra le vittime e chi le maltratta. Si riducono, inoltre, le possibilità per chiedere aiuto, che erano spesso legate all’assenza del partner dall’abitazione o alle uscite delle vittime, ora ridotte, se non annullate.

Come chiedere aiuto ai tempi del coronavirus
I Centri antiviolenza nazionali garantiscono la prosecuzione dell’attività e sono disponibili 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per consulenze telefoniche e accoglienza delle persone che hanno bisogno di aiuto. In caso di violenza domestica si può chiamare il numero nazionale 1522, sempre attivo e gratutito, con “un’accoglienza disponibile in italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo”. È possibile anche consultare il sito “dire contro la violenza”, per individuare il centro più vicino alla vittima, per chiedere aiuto. In caso di pericolo immediato, invece, ci si può rivolgere alle forze dell’ordine o al pronto intervento, chiamando i numeri 112 (carabinieri), 113 (polizia) o 188 (emergenza sanitaria). Nonostante le restrizioni imposte dal decreto, le vittime di violenza possono uscire di casa, per recarsi in un centro o dalle forze dell’ordine e chiedere aiuto: si tratta, infatti di una situazione di necessità.

La rete antiviolenza del Comune di Milano
A Milano restano attivi i numeri di consulenza telefonica e di pronto intervento e i servizi offerti dai 9 centri operativi della città, che offrono sostegno psicologico, consulenze e aiuto nella ricerca di un’abitazione. “È sempre possibile, quando necessario, anche il collocamento in strutture protette del Comune o in Case rifugio messe a disposizione dalle 5 tra cooperative sociali e associazioni che fanno parte della rete messa in campo dal Comune”, ha spiegato l’assessore alle Politiche sociali e abitative Gabriele Rabaiotti. E ha assicurato: “Di certo non intendiamo lasciare sole le donne che vivono situazioni di conflitto e di disagio spesso proprio laddove ora sono costrette a rimanere, nel loro appartamento. I servizi quindi continuano a funzionare a pieno regime, per garantire vicinanza e aiuto concreto a chi ne ha bisogno”.

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Consacrazione, vescovi italiani: seguite il Portogallo

Posté par atempodiblog le 24 mars 2020

Consacrazione, vescovi italiani: seguite il Portogallo
I vescovi del Portogallo e della Spagna stanno compiendo un atto salvifico epocale con la Consacrazione al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria. Supplichiamo i nostri vescovi italiani di imitarli domani. ll Signore sta permettendo, nella sua infinita misericordia, che tocchiamo con mano la grande fragilità dell’uomo, della sua salute, dei suoi sistemi economici, delle sicurezze terrene. E lo sta facendo comprendere al mondo intero. Si tratta di un grande avvertimento, che sarebbe colpevole e foriero di conseguenze funeste non accogliere.
di Luisella Scrosati – La nuova Bussola Quotidiana

Consacrazione, vescovi italiani: seguite il Portogallo dans Articoli di Giornali e News Maria-Immacolata

In Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede…”. Sono le ultime parole della seconda parte del segreto di Fatima, parole che da oltre un secolo fanno sì che in qualche modo si debba guardare al Portogallo con particolare attenzione, per cogliere i segnali della direzione da prendere di fronte ai tanti cambiamenti che hanno sconvolto il mondo e scosso la fede di intere nazioni. In Portogallo c’è un fenomeno molto particolare, che si registrava in Italia, ancora ai tempi di don Camillo: si può essere atei, comunisti, mangiapreti, ma quando si tira in ballo Lei, la Santissima Vergine di Fatima, si tira giù il cappello, in segno di rispetto.

Ed anche oggi, mentre c’è trepidazione per quello che sta accadendo a livello sanitario, ma ancor più per le decisioni che sono state prese a livello politico ed ecclesiale, una luce ci viene sempre da lì, dal Portogallo.

Domani, festa dell’Annunciazione della B. V. Maria, il Cardinale D. António Marto, vescovo di Leiria-Fatima, al termine del Santo Rosario che sarà pregato alle 18.30 (19.30 italiane) al Santuario di Fatima (e trasmesso qui), rinnoverà la consacrazione del Portogallo al Sacro Cuore di Gesù ed al Cuore Immacolato di Maria. E con loro ci saranno anche i vescovi spagnoli.

La prima consacrazione risale al 13 maggio del 1931, quando i vescovi, alla presenza di trecentomila fedeli, cercarono rifugio nel Cuore Immacolato per essere risparmiati dalla peste del comunismo, che stava invadendo l’Europa, in particolare la vicina Spagna. E la Madonna non fece mancare la sua speciale protezione: la guerra civile non coinvolse il Portogallo e a questa nazione furono risparmiate le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale. La consacrazione venne rinnovata sette anni dopo, per mantenere il voto che i vescovi portoghesi avevano pronunciato nel 1936: essi avevano chiesto di essere risparmiati dai comunisti; “in cambio” avrebbero rinnovato la consacrazione, per far conoscere al mondo intero la potenza della mediazione di Maria Santissima. I vescovi portoghesi avevano preso alla lettera le parole che la Madonna aveva indirizzato a Lucia il 13 giugno 1917: «Non ti scoraggiare, Io non ti abbandonerò mai. Il Mio Cuore Immacolato sarà il tuo rifugio e la via che ti condurrà a Dio»Dio ha stabilito un rifugio, come accadde con Noè, per salvare i suoi dalle tempeste del mondo; chi entra in questo rifugio non perisce.

In quegli anni fu sotto gli occhi di tutti l’eccezionalità del Portogallo, rispetto al resto dell’Europa. Il Cardinale Cerejeira ammise candidamente che “se vediamo i due anni che sono passati dal nostro voto, non si può non riconoscere che la mano invisibile di Dio ha protetto il Portogallo, risparmiandolo dalla furia della guerra e dalla piaga del comunismo ateo”.

Il 2 dicembre 1940, in piena guerra, Suor Lucia confidò in una lettera a Pio XII la ragione per cui il Portogallo veniva preservato dalla strage: “Santo Padre, Nostro Signore concede una speciale protezione al nostro Paese in questa guerra, per via della Consacrazione della Nazione, compiuta dai prelati portoghesi, al Cuore Immacolato di Maria, come prova delle grazie che verrebbero concesse ad altre nazioni se anch’esse si consacrassero a Lei”.

La Madonna ha chiesto questa consacrazione esplicitamente anche all’Italia. Il 19 settembre 1995, sette mesi dopo le lacrimazioni di sangue, la Madonna apparve alla famiglia Gregori, dicendo: “La vostra Nazione è in pericolo… Consacratevi tutti a me, al mio Cuore Immacolato, e io proteggerò la vostra Nazione sotto il mio manto ora pieno di grazie. Ascoltatemi, vi prego, vi supplico! Io sono la vostra Madre celeste, vi prego non mi fate piangere ancora nel vedere tanti miei figli morire per le vostre colpe non accettandomi e permettendo che Satana agisca”.

Quello che leggete, allora, non è un semplice articolo, ma un accorato appello, un misero eco di quel “vi supplico!”, pronunciato dalla Madonna. Il Signore sta permettendo, nella sua infinita misericordia, che tocchiamo con mano la grande fragilità dell’uomo, della sua salute, dei suoi sistemi economici, delle sicurezze terrene. E lo sta facendo comprendere al mondo intero. Si tratta di un grande avvertimento, che sarebbe colpevole e foriero di conseguenze funeste non accogliere. Di fronte a questa situazione, che ci ha colto tutti d’improvviso, Dio ci tende ancora una volta una mano, ci offre un rifugio: il Cuore Immacolato di Sua Madre.

I vescovi del Portogallo stanno compiendo un atto salvifico epocale: chiediamo, supplichiamo i nostri vescovi italiani di imitarli. Al più presto. E’ soprattutto ai nostri Pastori che questo aiuto del Cielo è indirizzato: afferrino questa mano materna, che li potrà trarre fuori dalla situazione difficile in cui ci troviamo e che sta paralizzando la vita della nostra Chiesa italiana. Lasciamo da parte le dispute teologiche e i ragionamenti umani e, con semplicità e candore, obbediamo alla richiesta di nostra Madre.

Uniamoci il 25 marzo alle 19.30 italiane alla preghiera del Santo Rosario che verrà pregato a Fatima e all’atto di consacrazione. Consacriamo noi stessi, le nostre famiglie, le nostre parrocchie, le nostre città e imploriamo la Madonna perché tocchi i cuori e le menti dei nostri Vescovi, perché anche loro compiano questo atto dal quale potrà dipendere la vita e salvezza eterna di milioni di persone.

Cuore Immacolato di Maria, intercedi per noi.

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Papa Francesco: Angelus, il 27 marzo “momento di preghiera” sul sagrato della basilica di San Pietro “con la piazza vuota”. Il 25 marzo il Padre Nostro con tutti i capi delle Chiese cristiane

Posté par atempodiblog le 22 mars 2020

Papa Francesco: Angelus, il 27 marzo “momento di preghiera” sul sagrato della basilica di San Pietro “con la piazza vuota”. Il 25 marzo il Padre Nostro con tutti i capi delle Chiese cristiane
di M.Michela Nicolais – Agenzia SIR

Papa Francesco: Angelus, il 27 marzo “momento di preghiera” sul sagrato della basilica di San Pietro “con la piazza vuota”. Il 25 marzo il Padre Nostro con tutti i capi delle Chiese cristiane dans Articoli di Giornali e News Benedizione

“In questi giorni di prova, mentre l’umanità trema per la minaccia della pandemia, vorrei proporre a tutti i cristiani di unire le loro voci verso il Cielo”. È l’appello del Papa, che al termine dell’Angelus trasmetto in diretta streaming dalla Biblioteca apostolica vaticana ha invitato “tutti i Capi delle Chiese e i leader di tutte le Comunità cristiane, insieme a tutti i cristiani delle varie confessioni, a invocare l’Altissimo, Dio onnipotente, recitando contemporaneamente la preghiera che Gesù Nostro Signore ci ha insegnato”.

“Invito dunque tutti a farlo parecchie volte al giorno, ma tutti insieme recitare il Padre Nostro mercoledì prossimo 25 marzo a mezzogiorno”, la proposta nel dettaglio: “Nel giorno in cui molti cristiani ricordano l’annuncio alla Vergine Maria dell’Incarnazione del Verbo, possa il Signore ascoltare la preghiera unanime di tutti i suoi discepoli che si preparano a celebrare la vittoria di Cristo Risorto”.

“Con questa medesima intenzione, venerdì prossimo 27 marzo, alle ore 18, presiederò un momento di preghiera sul sagrato della Basilica di San Pietro, con la piazza vuota”, ha annunciato Francesco: “Fin d’ora invito tutti a partecipare spiritualmente attraverso i mezzi di comunicazione. Ascolteremo la Parola di Dio, eleveremo la nostra supplica, adoreremo il Santissimo Sacramento, con il quale al termine darò la Benedizione Urbi et Orbi, a cui sarà annessa la possibilità di ricevere l’indulgenza plenaria”.

“Alla pandemia del virus vogliamo rispondere con la universalità della preghiera, della compassione, della tenerezza”, ha spiegato il Papa: “Rimaniamo uniti. Facciamo sentire la nostra vicinanza alle persone più sole e più provate”.

“La nostra vicinanza – ha proseguito Francesco a braccio – ai medici;  vicinanza agli operatori sanitari, agli infermieri, alle infermiere, ai volontari; vicinanza alle autorità, che devono prendere misure dure ma per il nostro bene. Vicinanza ai poliziotti, ai soldati che per le strade cerano di mantenere sempre l’ordine, perché si compiano le cose che il Governo chiede di fare per il bene di tutti noi. E vicinanza a tutti”.

Infine, la “vicinanza alle popolazioni della Croazia colpite questa mattina da un terremoto”: “Il Signore Risorto dia loro la forza e la solidarietà per affrontare questa calamità”.

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Un grande manto di misericordia in quest’ora di crisi

Posté par atempodiblog le 22 mars 2020

Un grande manto di misericordia in quest’ora di crisi
Intervista con il cardinale Penitenziere sull’indulgenza plenaria e le possibili assoluzioni collettive
di Andrea Tornielli – L’Osservatore Romano

Un grande manto di misericordia in quest’ora di crisi dans Articoli di Giornali e News Madre-di-Misericordia

«Un grande manto di misericordia viene steso su tutti coloro che desiderano riceverla». Così il cardinale Penitenziere maggiore Mauro Piacenza, in questa intervista con i media vaticani, illustra il decreto sull’indulgenza plenaria offerta in occasione dell’emergenza per la pandemia.

Può spiegare qual è l’origine del decreto sull’indulgenza in questo momento di emergenza per il Covid 19?
La legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime. La Chiesa sta al mondo per annunciare il Vangelo e per offrire i sacramenti, cioè la sovrabbondanza di doni e di grazia divina che sono messi a disposizione di tutti. È evidente a ciascuno di noi la crisi che stiamo attraversando in questo momento, purtroppo ormai in tanti Paesi del mondo. Viviamo in una situazione di emergenza: ci sono ospedali che rischiano di non poter più accogliere i malati, ci sono malati costretti a vivere isolati e purtroppo anche a morire senza il conforto e la vicinanza dei propri cari, ci sono malati ai quali manca la vicinanza di un sacerdote per l’unzione degli infermi e la confessione. Ci sono tantissime persone in quarantena e intere città la cui popolazione deve rimanere chiusa in casa a motivo delle norme per contenere il contagio emanate dalle autorità.

Quali sono le necessità più urgenti?
La straordinarietà di questo tempo richiede provvedimenti straordinari per aiutare, per essere vicini, per confortare, per assistere, per non far mancare mai a nessuno la carezza di Dio di fronte alla sofferenza e alla prospettiva della morte imminente. Per questo la Penitenzieria, agendo al servizio del Papa e con la sua autorità, ha emanato il decreto sulle indulgenze.

Può elencare le peculiarità di questo provvedimento?
Innanzitutto si offre l’indulgenza plenaria a tutti gli ammalati affetti dal Coronavirus che si trovano negli ospedali o in quarantena a casa. La offre anche, alle stesse condizioni, agli operatori sanitari, ai familiari e a quanti assistono i malati. Ancora, l’indulgenza è offerta anche per tutti coloro che, in occasione di questa pandemia, pregano affinché cessi, pregano quanti stanno soffrendo e per quanti il Signore ha chiamato a sé.

Quali sono le condizioni per ricevere il dono dell’indulgenza?
Sono molto semplici. Ai malati e a chi li assiste è chiesto di unirsi spiritualmente, là dove è possibile attraverso i mezzi di comunicazione, alla celebrazione della Messa o alla recita del Rosario o alla Via Crucis o ad altre forme di devozione. Se questo non è possibile, è chiesto di recitare il Credo, il Padre Nostro e un’invocazione a Maria. A tutti gli altri, a chi offre preghiere per le anime dei defunti, per chi soffre, e invoca la fine della pandemia, è chiesto — ove sia possibile — una visita al Santissimo Sacramento o l’adorazione eucaristica. Oppure, ancora, la lettura delle Sacre Scritture per almeno mezz’ora, o la recita del Rosario o la Via Crucis. Come è evidente a tutti, la recita delle preghiere e la lettura della Bibbia possono essere fatte senza muoversi da casa, e dunque nel pieno rispetto delle norme per contrastare la diffusione del contagio.

E chi si trova in punto di morte?
Coloro che sono in punto di morte e non possono ricevere l’Unzione degli infermi, né confessarsi, né comunicarsi, vengono affidati alla Misericordia divina. A ciascuno di loro è donata l’indulgenza plenaria, purché siano debitamente disposti e abbiano recitato abitualmente durante la loro vita qualche preghiera. Come si vede, un grande manto di misericordia viene steso su tutti coloro che desiderano riceverla.

Il decreto della Penitenzieria parla sempre di malati colpiti dal Coronavirus. Questo significa che l’indulgenza non è offerta agli altri ammalati?
Ricordiamoci sempre del bene delle anime: il decreto presenta provvedimenti straordinari dovuti all’emergenza generale che stiamo vivendo. Si estende a tutti gli ammalati, perché tutti gli ammalati ricoverati oggi negli ospedali vivono in un modo o nell’altro le conseguenze dell’emergenza per la pandemia.

Parliamo del sacramento della confessione. Sono possibili altre forme rispetto a quella individuale, a tu per tu con il sacerdote?
L’assoluzione collettiva, senza la confessione individuale, può essere sempre data in imminente pericolo di morte, oppure in casi — recita il Codice di diritto canonico — di “grave necessità”. Come Penitenzieria Apostolica abbiamo chiarito che, soprattutto nei luoghi maggiormente interessati dal contagio e fino a quando il fenomeno non sarà rientrato, ricorrono i casi di grave necessità. E dunque i vescovi diocesani, per il bene delle anime, possono prendere decisioni in questo senso, come pure possono farlo nei casi di necessità improvvisa i sacerdoti, preavvertendo il loro vescovo o informandolo quanto prima dopo aver amministrato il sacramento. Si possono pensare assoluzioni collettive alle porte dei reparti degli ospedali dove si trovano fedeli contagiati in pericolo di morte, coinvolgendoli per quanto possibile.

Che cosa può dire sulla confessione individuale?
Raccomandiamo che, ove avvenga, sia sempre celebrata nel pieno rispetto delle norme per contenere il contagio, e dunque a debita distanza con l’uso di mascherine, ovviamente sempre preservando il segreto sacramentale. Ma vorrei ricordare qui, come ha fatto anche il Santo Padre nell’omelia della Messa di Santa Marta venerdì 20 marzo, l’importanza dell’atto di contrizione, quando si è impossibilitati a confessarsi. È una possibilità citata dal Catechismo della Chiesa cattolica: l’esame di coscienza e la recita dell’Atto di dolore, una vera contrizione accompagnata dal proposito di non peccare più e di recarsi al confessionale non appena sarà possibile, sono graditi a Dio, ci riconciliano con lui e ottengono il perdono dei peccati.

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La preghiera del cristiano davanti al dramma che stiamo vivendo

Posté par atempodiblog le 19 mars 2020

La preghiera del cristiano davanti al dramma che stiamo vivendo
“Se le circostanze vi impediscono di andare in Chiesa, sappiate comunque che nessuno può impedirvi di rivolgervi a Dio e chiedere il suo aiuto in questo momento di grande prova”
del Card. Robert Sarah – Il Foglio

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Cari amici,
Sono felice di unirmi a voi con queste righe per incoraggiarvi a pregare di più, senza demordere. Pregate con un cuore traboccante di amore e carità, un cuore riconciliato con Dio e con i nostri fratelli e le nostre sorelle.

Se le circostanze o le disposizioni civlli o ecclesiastiche determinate dal coronavirus vi impediscono di andare in Chiesa semplicemente per incontrare il Signore o per partecipare all’Eucaristia, sappiate comunque che nessuno, assolutamente nessuno, può impedirvi di rivolgervi a Dio e chiedere il suo aiuto in questo momento di grande prova. Ricordate le parole che Gesù ci rivolge nella Terza domenica di Quaresima: “Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre… Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità” (Gv 4,21-24).

E’ ora, in questo momento in cui il coronavirus opprime i popoli del mondo interno, che dobbiamo rivolgerci con più intensità, fiducia e verità verso Dio, per affidarci alla sua tenerezza di Padre e alla Santissima Vergine Maria, in modo che ci copra e ci protegga con il suo manto materno. San Paolo ce lo raccomanda quando scrive ai cristiani di Efeso, e anche a noi: “Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi” (Ef 6,18).

Insieme, con un cuore solo e un’anima sola e uniti nella stessa fede, alziamo le mani a Dio e preghiamo. Affidiamo a lui il mondo e la sua Chiesa. Il suo cuore si addolcirà e ci salverà.

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Coronavirus, Papa Francesco a piedi da solo: prega il «Crocifisso miracoloso» per la fine dell’epidemia

Posté par atempodiblog le 16 mars 2020

Coronavirus, Papa Francesco a piedi da solo: prega il «Crocifisso miracoloso» per la fine dell’epidemia
Francesco è stato a pregare a Santa Maria Maggiore davanti all’icona Salus populi Romani e poi a piedi su via del Corso nella chiesa di San Marcello, dove si conserva il Cristo che secondo la tradizione liberò la città dalla peste nel 1522
di Ester Palma – Corriere della Sera

Coronavirus, Papa Francesco a piedi da solo: prega il «Crocifisso miracoloso» per la fine dell'epidemia dans Articoli di Giornali e News Basilica-Maria-Maggiore-Vergine-Salus-populi-Romani

Un pellegrinaggio solitario e cittadino per chiedere la liberazione di Roma dell’Italia e del mondo intero dal coronavirus. Domenica pomeriggio, poco dopo le 16, Papa Francesco ha lasciato il Vaticano in forma privata e si è recato in visita alla Basilica di Santa Maria Maggiore, per rivolgere una preghiera alla Vergine, Salus populi Romani, la cui icona è lì custodita e venerata. Francesco è molto devoto all’icona bizantina con l’immagine della Madonna col Bambino che si trova nella cappella Paolina o Borghese. E’ a pregare davanti all’immagine che andò, in gran segreto, la mattina dopo la sua elezione e prima di ogni viaggio apostolico non manca mai di salutarla e portarle dei fiori. Per secoli l’icona è rimasta sopra la porta del battistero della basilica, ma nel 1240 le venne attribuito il titolo di Regina Coeli e fu spostata nella navata, in una cornice di marmo. Dal 1613 è sull’altare della Cappella Paolina, che fu costruita appositamente.

Crocifisso-miracoloso dans Coronavirus

Il Papa, come fa sapere la sala stampa vaticana, è poi stato, facendo un tratto di via del Corso a piedi, in San Marcello al Corso, dove si trova il Crocifisso miracoloso che nel 1522 venne portato in processione per i quartieri della città perché finisse la «Grande Peste» a Roma. L’immagine di legno, molto realistica, è di scuola senese e le vengono attribuiti molti miracoli. Come quello del 23 maggio 1519: nella notte un incendio distrusse la chiesa fondata nel IV secolo da papa Marcello I e poi ricostruita da Jacopo Sansovino, poi sostituito da Antonio da Sangallo il Giovane. La mattina successiva il crocifisso fu trovato incredibilmente intatto. Ma il miracolo che ha portato a San Marcello il Papa risale al 1522, quando la peste aveva invaso Roma. Dalla chiesa il 4 agosto partì una solenne processione penitenziale con clero, nobili e tutto il popolo: «Scalzi et coverti di cenere a una et alta voce, interrotta solo da singulti e sospiri, di chi li accompagnava, gridavano ‘misericordia SS. Crocifisso», narra una testimonianza dell’epoca che aggiunge come le autorità, temendo un aumento del contagio, tentarono invano di bloccare la manifestazione. Le processioni continuarono fino al 20 agosto, quando la peste fu improvvisamente debellata.

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Comastri: siamo in una tempesta ma nella barca con noi c’è Cristo

Posté par atempodiblog le 14 mars 2020

Comastri: siamo in una tempesta ma nella barca con noi c’è Cristo
Nel porgere gli auguri al Papa nel settimo anno di Pontificato, il cardinale Angelo Comastri riflette sulla difficile situazione che attraversa l’umanità a causa dell’epidemia di Coronavirus: siamo fragili e aggredibili, l’unica forza che abbiamo è Gesù. L’amore scambievole, dice, ci mette in comunione con Dio e ci rende felici
di Eugenio Bonanata – Vatican News

Comastri: siamo in una tempesta ma nella barca con noi c'è Cristo dans Cardinale Angelo Comastri Cardinale-Comastri

Nelle tempeste della vita, nei momenti di smarrimento, l’uomo non può contare unicamente sulle forze proprie. Occorre avere fede e ricordare che Dio può “salvarci da ogni tempesta”. Le parole dell’arciprete della Basilica di San Pietro, il cardinale Angelo Comastri sono legate strettamente all’attualità che presenta un mondo sgomento per un’epidemia che sta seminando migliaia di vittime. Cogliendo l’occasione del settimo anniversario del Pontificato di Papa Francesco, il porporato dunque non solo invita tutti a pregare per il Pontefice ma, attraverso la preghiera, a fare un atto di affidamento al nostro Padre celeste e a farci simili a Lui, mettendo in pratica l’amore scambievole:

R. - Questo è un giorno carico di emozioni per il Papa. Rivivrà sicuramente l’emozione di quel giorno, del 13 marzo di 7 anni fa. Al Papa vogliamo far giungere i nostri più cordiali auguri, carichi di affetto, carichi di riconoscenza ma soprattutto accompagnati dalla preghiera. Il Papa non si stanca di dire “Pregate per me”. Credo che sia il dono più bello che possiamo fargli. Per quanto riguarda la situazione della Chiesa in questo momento mi viene in mente un episodio raccontato da Matteo, Marco e Luca concordemente, è la tempesta sul mare di Galilea. Raccontano gli evangelisti che un giorno, attraversavano il mare di Galilea sulla barca e guarda caso Gesù si mette a poppa, il particolare lo dice San Marco che ripete le catechesi di San Pietro. Gesù si mette a poppa e si addormenta volutamente. Mentre Gesù riposa, si leva la tempesta, il mare inizia ad agitarsi e le onde diventano furiose. Gli apostoli hanno paura. Svegliano Gesù dicendo “Signore salvaci, affondiamo”. Gesù si sveglia, si alza e comanda al mare e al vento di placarsi. E Gesù si rivolge agli apostoli e dice: “Perché avete avuto paura? Gente di poca fede”. Nelle tempeste dobbiamo sempre ricordare che Dio è sopra la tempesta, che Dio può tirarci fuori da ogni tempesta purché abbiamo fede, purché apriamo il cuore a Lui. Don Divo Barsotti, un grande sacerdote, un giorno disse che il vero pericolo della chiesa, il vero rischio della chiesa è la pochezza di fede o la mancanza di fede. Non per nulla Gesù ha detto quando il figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra? E’ un bell’ammonimento, è un invito a crescere nella fede.

Lei nei giorni scorsi ha inaugurato la preghiera dell’Angelus e del Rosario ogni giorno dalla Cattedra di San Pietro. Qual è il valore di questo appuntamento?
R. - Quando il mare è in tempesta dobbiamo rivolgerci al Signore. L’unico che ci possa aiutare è Gesù. Questa preghiera nasce proprio da questa constatazione. Nelle difficoltà non possiamo risolvere le questioni con la nostra umana forza, dobbiamo aggrapparci al Signore, l’unica roccia. Per questo ho voluto fare questa preghiera e grazie a Dio, tutti quelli che potevano, hanno risposto. Pensate che il mio telefono è intasato da gente che mi dice solo “grazie, è entrato nelle nostre case e ci ha fatto sentire una grande famiglia che prega da San Pietro”. E ci tengo a precisare che la Basilica di San Pietro è stata sempre aperta in questi giorni, mai chiusa, dalle 7 del mattino fino alle 18 della sera. Chiaramente la gente ha difficoltà a venire. Ma i pochi che vengono pregano, e questa iniziativa allarga gli spazi e crea una grande famiglia orante.

Il ciclo proseguirà anche la prossima settimana?
R.- La preghiera continuerà fino al 3 aprile. Dopo avremo altre disposizioni, sapremo cosa decideranno di fare durante la Settimana Santa, questo lo deciderà il Santo Padre. E anche la domenica 15, domenica 22, domenica 29 verrà trasmessa anche la Messa delle 10.30, in modo che da San Pietro parta una grande, corale preghiera e il colonnato del Bernini si allarghi e abbracci tutti in una meravigliosa preghiera dal cuore della cattolicità.

In conclusione tutta questa situazione, questa vicenda di emergenza che cosa insegna?
R. - Ho tanto riflettuto su questo fatto. A me sembra di dover dire che questa epidemia improvvisa, inattesa, rapidissima ci fa riflettere. E la prima riflessione è questa: in poco tempo l’Italia, l’Europa e il mondo sembrano in ginocchio. Siamo tutti invitati a fare un grande bagno di umiltà, non siamo i padroni del mondo, siamo piccoli, siamo fragili, siamo molto spesso aggredibili, per questo dobbiamo darci la mano gli con gli altri e soprattutto aggrapparci al Signore. Madre Teresa diceva: Dio è la trave che tiene in piedi il tetto. Se togliamo la trave casca il tetto. Dobbiamo aggrapparci al Signore, questo è il primo grande invito. Secondo grande insegnamento: sentivo ieri in una trasmissione radiofonica un giovane che diceva “Se mi togliete la partita di calcio, se mi togliete la discoteca, cosa mi resta? Quale è lo scopo della mia vita?”. Ecco la grande riflessione: dobbiamo ritrovare l’essenziale. L’essenziale non è il divertimento, non è il denaro, non è il successo. Nel 1970 – per raccontare un particolare che può far riflettere – Mario Soldati, un buon giornalista, andò in Svezia per cantare il paradiso svedese e rimase diversi mesi in Svezia. La conclusione fu un libro, che ancora si può trovare, con questo titolo “I disperati del benessere”. E Soldati lì dice: è una società organizzata in maniera meravigliosa. Però lì manca qualcosa: c’è il più alto tasso di suicidi, manca qualcosa… non ebbe il coraggio di dire che mancava Dio. E Dio ci è venuto incontro in Gesù. Non siamo soli, nella bufera, nella barca c’è Gesù, purché lo svegliamo. E Gesù ci ha dato la formula della felicità. E sempre Madre Teresa diceva: nei paesi del benessere la segnaletica della felicità è tutta sbagliata. Qual è la formula della felicità? E’il comandamento dell’amore: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Il comandamento dell’amore ci mette in comunione con Dio, ci fa una trasfusione della vita di Dio e quando siamo in comunione con Dio siamo felici. Pensi che una volta dissi a Madre Teresa – era il 22 maggio 1997, la Madre morì il 5 settembre successivo, era l’ultima volta che l’ho vista - era affaticata, stanca: “Madre si prenda qualche giorno di ferie”. Madre Teresa mi guardò con occhio severo e mi disse: “Caro vescovo Angelo, non ho bisogno di ferie perché i miei giorni sono tutti i festivi. Fare del bene è una festa. Ricordalo, è l’unica festa. E concluse: un giorno o l’altro potresti sentir dire che Madre Teresa è morta per schianto del cuore, sì mi potrebbe scoppiare il cuore per troppa contentezza”. Gesù ce lo aveva detto. E anche questa epidemia ci conferma l’insegnamento di Gesù.

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Papa Francesco: O Maria, noi ci affidiamo a te

Posté par atempodiblog le 12 mars 2020

Papa Francesco: O Maria, noi ci affidiamo a te
In questi giorni di emergenza sanitaria, Francesco affida la città di Roma, l’Italia e il mondo alla protezione della Madre di Dio come segno di salvezza e di speranza. In un videomessaggio, il Pontefice rivolge una preghiera a Maria, “Salute dei malati” e “Salvezza del popolo romano”
di Amedeo Lomonaco – Vatican News

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È una giornata di preghiera e di digiuno voluta dalla diocesi di Roma per l’Italia e per il mondo. Culmine di questa giornata la Messa, presieduta dal cardinale vicario Angelo De Donatis presso il Santuario della Madonna del Divino Amore senza la presenza dei fedeli per motivi di sicurezza e in diretta televisiva. La celebrazione è stata preceduta da un videomessaggio di Papa Francesco. Il Santo Padre affida il mondo alla protezione della Madre di Dio.

Preghiera di Papa Francesco
O Maria, tu risplendi sempre nel nostro cammino come segno di salvezza e di speranza. Noi ci affidiamo a te, Salute dei malati, che presso la croce sei stata associata al dolore di Gesù, mantenendo ferma la tua fede. Tu, Salvezza del popolo romano, sai di che cosa abbiamo bisogno e siamo certi che provvederai perché, come a Cana di Galilea, possa tornare la gioia e la festa dopo questo momento di prova. Aiutaci, Madre del Divino Amore, a conformarci al volere del Padre e a fare ciò che ci dirà Gesù, che ha preso su di sé le nostre sofferenze e si è caricato dei nostri dolori per condurci, attraverso la croce, alla gioia della risurrezione. Amen. 

Sotto la Tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.

Uniti nella preghiera
“Ci siamo tutti, c’è realmente tutta la Chiesa, c’è la Chiesa di Roma”, ha detto il cardinale De Donatis durante l’omelia. “Maria è qui con noi e chiediamo la sua intercessione potente”. “Siamo qui ai tempi del coronavirus – ha aggiunto il porporato – con tanta fede, ma anche con tanta angoscia”. “La vediamo nei volti delle persone, ma la sentiamo anche nel nostro cuore”. Un’angoscia, ha spiegato il vicario del Papa per la diocesi di Roma, provata da Gesù stesso, prima della Passione. “Alle tue mani affido il mio Spirito”: le ultime parole di Gesù sulla croce, ha affermato il cardinale De Donatis, sono “una consapevolezza permanente nel cuore di Gesù, e ci dicono che nessuno ha il potere di strapparci dalle mani di Dio”. Per essere liberati dall’angoscia, ha sottolineato infine il cardinale De Donatis, dobbiamo « affidarci alle mani di Dio: nessuno può strapparci da lì, neppure la morte”. “L’unica cosa autentica e utile in questo tempo di coronavirus – ha concluso il porporato – è mettersi in ginocchio, alla presenza di Dio dentro noi stessi. Dio custodirà la nostra umanità, ci porterà a stringerci gli uni agli altri”. Con la Messa di oggi si è inaugurata la celebrazione eucaristica quotidiana delle 19.00. La diocesi di Roma ha inoltre lanciato una raccolta fondi straordinaria a sostegno di medici, infermieri, operatori sanitari.

Da Pio XII a Francesco
La preghiera odierna di Papa Francesco con l’affidamento a Maria ricorda quanto affermato da Pio XII l’11 giugno 1944 nella chiesa di Sant’Ignazio. Il Pontefice, in quell’occasione, chiese alla Madonna del Divino Amore protezione e salvezza durante la ritirata delle truppe naziste.

Aprilo, o Maria, questo Cuore divino, e riversane su questi tuoi figli, spesso tanto infelici, i tesori di misericordia e di bontà, che Egli tiene riservati per chi si accosta a Lui con umiltà sincera e con fede incrollabile. Custodisci la tua Roma e preservala anche nell’avvenire dagli estremi mali, nelle persone, negli averi, nei monumenti della sua storia religiosa e civile, unica al mondo; ma soprattutto difendila dal male dei mali, dal peccato, che solo rende veramente miseri gli uomini e i popoli. Possa questa Roma dalla dura esperienza di tante sventure aver luce e forza per una miglior vita personale, familiare, collettiva, e, mercé tua, ritornare esempio alle genti di vera civiltà cristiana per la fede, vissuta in opere di giustizia e in umile amore. (Discorso di Pio XII ai fedeli in pellegrinaggio alla Madonna del Divino Amore, 11 giugno 1944).

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Coronavirus. Il Papa affida l’Italia e il mondo alla protezione di Maria

Posté par atempodiblog le 10 mars 2020

Coronavirus. Il Papa affida l’Italia e il mondo alla protezione di Maria
Lo riferisce il direttore della sala stampa vaticana Matteo Bruni. “In questi giorni di emergenza sanitaria, il Santo Padre affida la Città, l’Italia e il mondo alla protezione della Madre di Dio”
di Riccardo Maccioni – Avvenire

Coronavirus. Il Papa affida l'Italia e il mondo alla protezione di Maria dans Articoli di Giornali e News Il-Papa-davanti-alla-Madonna-nella-Basilica-di-San-Pietro-Ansa
Il Papa davanti alla Madonna nella Basilica di San Pietro – Ansa

Nei momenti più difficili, nelle prove più dure, si torna dalla madre. A lei, al suo amore totale e gratuito si chiede un aiuto per capire quale strada scegliere nei bivi decisivi dell’esistenza. È a chi ci ha dato la vita che affidiamo i tesori nascosti negli angoli silenziosi del nostro cuore. È “mamma” la prima e spesso anche l’ultima parola che pronunciamo in vita. Non a caso, da sempre, la Chiesa cattolica, dall’ultimo dei fedeli al primo dei suoi pastori, guarda a lei, all’intercessione della Madre celeste, ogni volta che c’è il rischio di smarrire la strada diretta a Dio.

Una consuetudine, un gesto d’amore che mercoledì il Papa rinnoverà ancora una volta. Ad annunciarlo il direttore della Sala stampa vaticana: «In questi giorni di emergenza sanitaria, il Santo Padre affida la città, l’Italia e il mondo alla protezione della Madre di Dio, come segno di salvezza e di speranza». L’occasione – ha aggiunto Matteo Bruni – sarà, mercoledì alle 19, «la Messa celebrata in assenza dei fedeli, promossa dal cardinale vicario Angelo De Donatis presso il Santuario della Madonna del Divino Amore per la Giornata di preghiera e di digiuno». In particolare «Francesco invierà un videomessaggio nel quale rivolge una sua preghiera alla Vergine».

A lanciare l’evento odierno era stato, come detto, il cardinale vicario di Roma con una lettera in cui spiegava il gesto di abbinare, antica tradizione della Chiesa nei momenti di prova, alla preghiera il digiuno. «Rinunciando ad un pasto – aveva sottolineato De Donatis –, vogliamo essere vicini, con un segno di elemosina, raccogliendo delle offerte che devolveremo a sostegno del personale sanitario che si sta spendendo con generosità e sacrificio nella cura dei malati». Perché sono innanzitutto loro, i medici, gli infermieri e tutte le altre figure professionali e di volontariato legate al mondo della salute a combattere con turni massacranti e senza chiedere niente in cambio un contagio tanto grave quanto sconosciuto. Uomini e donne ricordati martedì anche dal Papa in Casa Santa Marta durante la Messa mattutina nella quale aveva chiesto ai sacerdoti il coraggio di accompagnare gli operatori sanitari per portare la Parola di Dio e l’Eucaristia ai malati. Un invito – ha precisato più tardi Matteo Bruni – fatto «chiaramente nel rispetto delle misure sanitarie stabilite dalle autorità italiane».

Un richiamo alla prudenza che certo non indebolisce anzi per certi versi rafforza l’atto di coraggio umile che oggi avrà come protagonisti il Papa e la Chiesa. Una preghiera che ricorda il gesto con cui Pio XII l’11 giugno 1944 nella chiesa di Sant’Ignazio chiese alla Madonna del Divino Amore protezione e salvezza durante la ritirata delle truppe naziste. «Possa questa Roma dalla dura esperienza di tante sventure – invocò papa Pacelli – aver luce e forza per una miglior vita personale, familiare, collettiva, e, mercé tua, ritornare esempio alle genti di vera civiltà cristiana per la fede, vissuta in opere di giustizia e in umile amore».

Un’invocazione ormai antica di oltre 75 anni, nel cui solco oggi papa Francesco rilancerà l’affidamento, che è insieme gesto d’amore e di fiducia, dell’Italia e del mondo intero alla Vergine. «Tu – ha pregato il Pontefice l’8 dicembre scorso in piazza di Spagna – non solo sei madre e come tale non smetti mai di amare i tuoi figli, ma sei anche l’Immacolata, la piena di grazia, e puoi riflettere fin dentro le tenebre più fitte un raggio della luce di Cristo Risorto». Una via di salvezza che con la guida della Vergine può aprirsi anche davanti a chi oggi si sente più smarrito e solo, quando ai piedi di Maria riscopre la certezza di essere figlio. Amato. «Ti ringraziamo, Madre Immacolata» – sono ancora parole del Papa – di ricordarci che «per l’amore di Gesù Cristo, noi siamo liberi di amare, di volerci bene, ci doni la dolce memoria che siamo figli di Dio, Padre d’immensa bontà, eterna fonte di vita, di bellezza e di amore.

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Coronavirus\ L’importanza della preghiera

Posté par atempodiblog le 8 mars 2020

Coronavirus\ L’importanza della preghiera

Coronavirus\ L’importanza della preghiera dans Articoli di Giornali e News Preghiera-di-Mons-Bruno-Forte-Virus

[...] Invitiamo i credenti a frequentare le liturgie avendo cura di osservare le misure di precauzione già indicate nel Comunicato del 25 u.s., evitando contatti fisici (ad esempio al segno di pace o nell’uso delle acquasantiere), ricevendo la Santa Eucaristia nella mano e mantenendo le distanze minime suggerite fra le persone.

Stia a cuore a tutti che quanto sta avvenendo non generi allarmismo, suscitando paure ingiustificate. Ricordiamo l’importanza della preghiera affinché il Signore conceda la grazia della guarigione ai malati, consoli chi è nel dolore, preservi l’umanità intera dalla malattia, illumini e assista medici e infermieri, chiamati ad affrontare in frontiera questa fase emergenziale, oltre che coloro che hanno la responsabilità di adottare misure precauzionali e restrittive.

Si possono adoperare pregando parole come le seguenti:

Signore Gesù, Salvatore del mondo, speranza che non ci deluderà mai, abbi pietà di noi e liberaci da ogni male! Ti preghiamo di vincere il flagello di questo virus, che si va diffondendo, di guarire gli infermi, di preservare i sani, di sostenere chi opera per la salute di tutti. Mostraci il Tuo Volto di misericordia e salvaci nel Tuo grande amore. Te lo chiediamo per intercessione di Maria, Madre Tua e nostra, che con fedeltà ci accompagna. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

+ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti – Vasto
Presidente della CEAM

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Letture, come ai tempi dei Promessi Sposi sarà il Bene ad avere l’ultima parola

Posté par atempodiblog le 7 mars 2020

La visione manzoniana del Male sconfitto sempre dalla fede
Letture, come ai tempi dei Promessi Sposi sarà il Bene ad avere l’ultima parola
di Caterina Maniaci – ACI Stampa

Letture, come ai tempi dei Promessi Sposi sarà il Bene ad avere l'ultima parola dans Alessandro Manzoni I-promessi-sposi

Dall’autunno del 1629 al maggio 1630 Milano e buona parte della Lombardia sono flagellate dalla peste. Che viene considerata un pericolo minore, all’inizio, dalle autorità, e che rapidamente si  propaga e stermina una gran parte della popolazione. Questa, fra le tante epidemie che hanno costellato la vita del nostro Paese, viene ricordata in modo particolare perché Alessandro Manzoni l’ha mirabilmente rievocata nel suo romanzo capolavoro, I Promessi Sposi.

In questi giorni difficili e angoscianti che oggi in Italia, e ormai ovunque nel mondo, stiamo vivendo per via dell’epidemia diffusa dal famigerato coronavirus, vorremmo suggerire di riaprire quel romanzo, e in particolare il capitolo XXXI. In queste settimane spesso è stato citato e qui si vorrebbe farlo non tanto per rintracciare in questa cronaca remota le comparazioni, o le grandi differenze, con quello che stiamo affrontando oggi. Rileggere Manzoni e I Promessi Sposi può rappresentare invece l’occasione non solo per riscoprire la bellezza di questa storia e la grandezza del suo autore, ma per ritrovare consolazione e saggezza, una “guida” per affrontare con autentico spirito cristiano quello che accade ora quotidianamente.

Il Bene non viene sconfitto, alla fine, nonostante i percorsi difficili, i travagli, le pene e le ingiustizie subite. Il Bene si propaga forse più lentamente del Male, ma in modo più capillare e duraturo. La malattia, la pestilenza,  non sono quelle che avranno l’ultima parola, invece avranno una fine e i “buoni”, gli umili. Coloro che hanno sempre anteposto l’amore per gli altri a quello per sé stessi, potranno dire l’ultima parola. Perché la vita terrena, breve e piena di affanni, non è il fine ultimo del nostro destino, la nostra vera esistenza comincerà dopo la morte. Si tratta, a ben vedere, di un messaggio non tanto consolatorio, ma realistico, basato sulla evidenza della ragione di speranza che offre il cristianesimo e su quello che possiamo sperimentare quotidianamente noi stessi.

Manzoni racconta con forza, passione e commozione il sacrificio di tanti, conosciuti e sconosciuti, che nel momento della grande paura, dell’infuriare della pestilenza reagiscono e fanno fronte al dilagare del male e della morte. Le autorità sottovalutano il pericolo, lo nascondono e poi, quando non possono più negare l’evidenza, schiacciati sotto il peso della situazione precipitata, si affidano ai religiosi. Qui il racconto intreccia elementi storici a intuizioni personali. Il lazzaretto di Milano viene affidato ai padri cappuccini, sotto la guida di padre Felice Casati, noto per la vita caritatevole e molto stimato, affiancato da padre Michele Pozzobonelli, più giovane ma altrettanto animato da fervore caritatevole. Manzoni rileva la « stranezza » di un’autorità governativa che rinuncia al proprio compito per cederlo a uomini religiosi, ma sottolinea come questa situazione sia occasione del manifestarsi del potere infinito della carità cristiana, così come è bello che i frati abbiano accettato questo gravoso incarico quando nessun altro voleva accollarselo, senza altro fine che quello di servire il prossimo e  senza altra speranza che quella di una morte invidiabile in quanto viatico per la vita eterna. Molti confratelli, infatti, si ammalano e perdono la vita, anche padre Casati viene colpito dalla peste, ma guarisce e continua a prodigarsi nella vita terribile del lazzaretto.

Non si può, suggerendo una rilettura dei Promessi Sposi,  e in particolare degli ultimi capitoli dedicati appunto alla pestilenza e alle sue conseguenze sui vari protagonisti – ricordiamo che Renzo e Lucia si ritrovano proprio nel lazzaretto milanese – non citare uno dei più famosi episodi manzoniani, tra i più commoventi. Quello che ha come protagonista la piccola Cecilia e  la sua mamma.

Nel capitolo XXXIV Renzo vaga per la Milano sconvolta dalla peste. Si trova in una zona che oggi possiamo individuare come via Montenapoleone e vede una giovane donna uscire da un portone e dirigersi verso il carro dei monatti  (gli uomini che raccoglievano i cadaveri delle vittime di casa in casa, di strada in strada)  fermo lì vicino, portando in braccio un corpo immobile  quello che poi si scoprirà essere quello della sua figlioletta, una bimba di nove anni, Cecilia, appena spirata.  Uno dei monatti si avvicina per prendere il corpo e gettarlo insieme agli altri accatastati sul carro. Ma la madre si rifiuta di cederlo, è lei stessa che lo vuole posare sul carro, dare un’ultima carezza a quel viso tanto amato e già appassito. Mette in mano all’uomo dei denari in cambio della promessa che la figlioletta sarà sepolta sottoterra “così com’è vestita”, senza toglierle neanche un filo. Vuole insomma che la sua bimba mantenga bellezza e dignità anche nella morte, che non è la fine di tutto e non è nato separazione definitiva, perché, le mormora prima di lasciarla andare, si rivedranno presto in cielo, lei insieme all’altra sorella.

Umanità e bellezza anche nel caos, nella disperazione, nella paura. Un messaggio che non dobbiamo e non possiamo ignorare.

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