Natale, ogni sacerdote potrà celebrare fino a quattro Messe

Posté par atempodiblog le 18 décembre 2020

Natale, ogni sacerdote potrà celebrare fino a quattro Messe
Per favorire la partecipazione dei fedeli in tempo di Covid, il prefetto della Congregazione del Culto divino, Robert Sarah, ha firmato un decreto che dà ai vescovi la possibilità di consentire ai sacerdoti di celebrare quattro Messe per le solennità di Natale, Maria SS. Madre di Dio ed Epifania. Permesse altre concessioni nei giorni feriali (due Messe), nonché nelle domeniche e feste di precetto (tre Messe).
di Nico Spuntoni – La nuova Bussola Quotidiana

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Nelle stesse ore in cui il Governo prepara misure ulteriormente restrittive in vista dei giorni festivi e prefestivi che sembrano spianare la strada ad una sorta di lockdown natalizio tra il 24 dicembre e il 3 gennaio, si muove la Congregazione del Culto divino per agevolare e mettere in sicurezza la partecipazione dei fedeli alla liturgia. In un decreto firmato dal cardinale prefetto, Robert Sarah, e dal segretario, l’arcivescovo Arthur Roche, viene concesso all’«Ordinario del luogo, per motivi del perdurare del contagio generale con il cosiddetto Covid-19, di consentire quest’anno nel periodo natalizio di celebrare quattro Messe nel giorno di Natale, nel giorno di Maria Santissima Madre di Dio e dell’Epifania ai sacerdoti residenti nelle loro diocesi, ogni volta che lo ritengano necessario a beneficio dei fedeli».

Il Codice di Diritto Canonico al canone 905 sancisce che «non è consentito al sacerdote celebrare più di una volta al giorno», affidando all’Ordinario del luogo la facoltà, «nel caso vi sia scarsità di sacerdoti», di «concedere che i sacerdoti, per giusta causa, celebrino due volte al giorno e anche, se lo richiede la necessità pastorale, tre volte nelle domeniche e nelle feste di precetto».

L’Ordinamento Generale del Messale Romano permette che «nel Natale del Signore tutti i sacerdoti» per «motivi particolari, suggeriti o dal significato del rito o dalla solennità della festa» possano «celebrare o concelebrare più volte nello stesso giorno». Fu Papa Alessandro II a decretare il divieto delle celebrazioni ripetute nello stesso giorno, mettendo fine ad una consuetudine inaugurata a partire dal pontificato di Leone III e incontrando il favore di san Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae. Papa Innocenzo III confermò la decisione del suo predecessore, regolandone anche le eccezioni nel giorno della Natività e in caso di gravi necessità: nel 1204, intervenendo su una pratica d’uso antico (se ne parlava già nei sacramentari di San Gelasio e San Gregorio Magno) e comune soprattutto nelle città ma generalmente riservata ai vescovi, prescrisse che ogni sacerdote potesse celebrare tre Messe nel giorno di Natale.

La trinazione della Messa nella solennità del Natale simboleggia la nascita eterna dal Padre, quella terrena da Maria e quella spirituale nel cuore dei giusti per mezzo della carità. Il decreto della Congregazione del Culto divino concede così un’eccezionale deroga al numero massimo di Messe da celebrare il 25 dicembre ma anche l’1 e il 6 gennaio.

L’aumento del numero delle celebrazioni era stata la strada indicata lo scorso marzo dalla Conferenza episcopale polacca per scongiurare il pericolo di assembramenti nelle chiese e, al tempo stesso, per non sospendere il diritto alla libertà di culto come avvenuto altrove. In Italia, nonostante la stretta annunciata dal Governo tra la Vigilia e Capodanno, l’accesso alle funzioni liturgiche non sarà impedito e le disposizioni del cardinale Robert Sarah intendono favorire la partecipazione e la sicurezza dei fedeli in un momento in cui si avverte più che mai il bisogno di immergersi nel Mistero della nascita del Signore.

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Don Fabio Rosini: la speranza è vivere con lo Spirito Santo, non salute e lavoro

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2020

Don Fabio Rosini: la speranza è vivere con lo Spirito Santo, non salute e lavoro
Il sabato sera Don Fabio Rosini ci spiega su YouTube (e a modo suo) ciò che conta realmente nella nostra vita
di Gelsomino Del Guercio – Aleteia

Don Fabio Rosini: la speranza è vivere con lo Spirito Santo, non salute e lavoro dans Coronavirus Don-Fabio-Rosini

Metti un sabato sera a parlare di speranza e Spirito Santo con i frati francescani del Palatino di Roma e Don Fabio Rosini. In tempo di covid ci sono loro a riempire il weekend su YouTube, dove, da tre settimane, trasmettono “Visto che stai a casa”.

Un nuovo “programma” che rende attuali vita e messaggi di San Francesco d’Assisi, attraverso le riflessioni sempre concrete e puntuali di Don Fabio Rosini. L’appuntamento prosegue per altri due sabati (13 e 20 dicembre), alle ore 21,30 sul canale youtube “frati Palatino”. Se non avete visto le puntate precedenti, potete recuperarle sempre sullo stesso canale YouTube.

Che cos’è una speranza
Nella terza puntata, quella che si è tenuta sabato 6 dicembre, Don Fabio Rosini ha affrontato il tema della speranza. Ma attenzione. «Una speranza – ha detto il sacerdote romano – ha motivo di esistere ed è un dono di Dio, se è basata su una promessa, su qualcosa che Dio ti ha promesso. Proviamo a pensare ciò che Dio ha promesso a tutti, cosa che già da sola ci allontanerebbe un sacco di problemi».

«Già al battesimo c’è stata una promessa: che avremmo avuto una vita da figli di Dio. Ma allora, dirà qualcuno, ad esempio, perché ho perso il lavoro? Un figlio di Dio non perde il lavoro! Se sono figlio di Dio mi va tutto bene! No, se sei figlio di Dio ami. A Gesù mica è andato tutto bene».

Ciò che ha promesso Dio
E allora quale è la promessa? «Dio non ha promesso che ti risolve i tuoi problemi. La promessa è che Dio ti dona lo Spirito Santo».

Nell’Antico Testamento la promessa è scritta così nel libro di Ezechiele:

26: vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne.

27 Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi.

La malattia di Don Fabio
Dio promette, prosegue Rosini, «un cuore nuovo, non una situazione nuova». «Per esempio – evidenzia Don Fabio – io sono malato, ho una malattia di lungo corso. Dio mi ha promesso la salute? No, ma di vivere la malattia con lo Spirito Santo. Lo so che se chiedo quello, lui me lo dà. Perché in questo posso confidare. Questa è una speranza in cui posso attendere. La speranza di vivere con lo spirito di Cristo nel cuore. A prescindere se trovo un lavoro o no;o se sto in salute o no; o ancora, se chi mi sta accanto viva o no».

“I doni che mi ha dato il Signore”
Il sacerdote torna su se stesso: «Io sono una creatura, sono fragile, quindi spero, di stare meglio, di non soffrire. Statisticamente ho due tumori maligni primari. In genere se ne becca uno, ma dopo otto anni ne ho avuto un altro. Eppure io penso che il Signore sia molto fedele: perché mi ha dato il dono di vivere serenamente e allegramente; mi ha dato di combattere anche quando entravo nel buio e non capivo cosa stesse succedendo. Non mi ha mai mollato. Io non spero che vada tutto bene, ma di stare nella posizione giusta davanti a tutto».

L’equipaggiamento degli scout
Dicono gli scout che «non esiste l’equipaggiamento buono o cattivo, ma quello adeguato o non adeguato. Il problema non è se mi sposo o non mi sposo, non avere o non avere la salute, ma un cuore nuovo, cioè sentire accanto la presenza dello Spirito Santo in ogni momento della vita».

Attenti! E’ questa la vera lezione della pandemia
«Per amore dei Fratelli – continua Rosini – speriamo che si abbreviano le sofferenze di tutti in questa pandemia. Ma il Papa ha detto che c’è una cosa più grave del coronavirus: non crescere all’interno di questa pandemia, non imparare niente. Noi speriamo che passi presto». Invece dovremmo sperare prima di ogni cosa, sostiene Don Fabio, «di essere diventati più seri, più profondi, più asciutti, più fraterni, più attaccati a quello che conta, più capaci di amare, più capaci di comunione».

“E’ un principio operativo”
Chi opera in Dio, conclude Don Fabio Rosini, «si vede da quello che fa. La speranza è un principio operativo: se spero in Dio non porto avanti strategie per difendere la mia immagine, non rispondo al male con il male, non passo la vita angosciandomi su quello che sarà domani».

Come diceva Padre Pio: «il passato è la Misericordia, il presente è la Grazia, il futuro è la Provvidenza. La speranza – chiosa il sacerdote romano – è un tipo di relazione con il futuro, che è conoscenza della fedeltà di Dio. Spero in Dio perciò mi comporto così. Faccio certe scelte perché so che Dio non mi abbandonerà».

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Il Papa: albero e presepe segni di speranza in questo tempo difficile

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2020

Il Papa: albero e presepe segni di speranza in questo tempo difficile
Francesco all’Angelus: «Non c’è pandemia che possa spegnere la luce di Dio. Lasciamola entrare nel nostro cuore, tendiamo la mano a chi ha più bisogno»
di Domenico Agasso Jr. – Vatican Insder

Il Papa: albero e presepe segni di speranza in questo tempo difficile dans Articoli di Giornali e News Presepe-e-albero-di-Natale

Non c’è pandemia, non c’è crisi, «che possa spegnere questa luce», la luce di Dio. Dunque «lasciamola entrare nel nostro cuore», tendendo la mano «a chi ha più bisogno». Papa Francesco lo afferma all’Angelus [...]  sottolineando l’importanza del presepe e dell’albero di Natale: «Sono segni di speranza specialmente in questo tempo difficile. Facciamo in modo di non fermarci al segno ma di andare al significato, cioè a Gesù, alla bontà infinita che ha fatto risplendere sul mondo».

Affacciato alla finestra dello studio nel Palazzo apostolico vaticano il Pontefice, prima di recitare la Preghiera mariana con i fedeli e i pellegrini riuniti in piazza San Pietro, ricorda che il Vangelo odierno «presenta la figura e l’opera di Giovanni il Battista. Egli indicò ai suoi contemporanei un itinerario di fede simile a quello che l’Avvento propone a noi, che ci prepariamo a ricevere il Signore nel Natale. Questo itinerario di fede è un itinerario di conversione». Che cosa significa la parola «conversione»? Il Vescovo di Roma lo spiega: nella Bibbia «vuol dire anzitutto cambiare direzione e orientamento; e quindi anche cambiare il modo di pensare. Nella vita morale e spirituale, convertirsi significa rivolgersi dal male al bene, dal peccato all’amore di Dio. E questo è quello che insegnava il Battista, che nel deserto della Giudea “proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati”». Ricevere il battesimo «era segno esterno e visibile della conversione di coloro che ascoltavano la sua predicazione e si decidevano a fare penitenza. Avveniva con l’immersione nel Giordano, nell’acqua, ma esso risultava inutile, era un segno soltanto e risultava inutile se non c’era la disponibilità a pentirsi e cambiare vita». Evidenzia Bergoglio: «La conversione comporta il dolore per i peccati commessi, il desiderio di liberarsene, il proposito di escluderli per sempre dalla propria vita. Per escludere il peccato, bisogna rifiutare anche tutto ciò che è legato ad esso, le cose che sono legate al peccato e cioè bisogna rifiutare la mentalità mondana, la stima eccessiva delle comodità, del piacere, del benessere, delle ricchezze». L’esempio di questo distacco «ci viene ancora una volta dal Vangelo di oggi nella figura di Giovanni il Battista: un uomo austero, che rinuncia al superfluo e ricerca l’essenziale».

L’altro aspetto «della conversione è la fine del cammino, cioè la ricerca di Dio e del suo regno. Distacco dalle cose mondane e ricerca di Dio e del suo regno». L’abbandono delle comodità e «della mentalità mondana non è fine a sé stesso, non è un’ascesi solo per fare penitenza: il cristiano non fa “il fachiro” – ammonisce il Papa - È un’altra cosa. Non è fine a sé stesso, il distacco, ma è finalizzato al conseguimento di qualcosa di più grande, cioè il regno di Dio, la comunione con Dio, l’amicizia con Dio». Ma questo «non è facile, perché sono tanti i legami che ci tengono vicini al peccato, e non è facile… La tentazione sempre tira giù, tira giù, e così i legami che ci tengono vicini al peccato: l’incostanza, lo scoraggiamento, la malizia, gli ambienti nocivi, i cattivi esempi». A volte è «troppo debole la spinta che sentiamo verso il Signore e sembra quasi che Dio taccia; ci sembrano lontane e irreali le sue promesse di consolazione. E allora si è tentati di dire che è impossibile convertirsi veramente». Quante volte «abbiamo sentito questo scoraggiamento! “No, non ce la faccio. Io incomincio un po’ e poi torno indietro”. E questo è brutto. Ma è possibile, è possibile». Ecco il consiglio del Papa: «Quando ti viene questo pensiero di scoraggiarti, non rimanere lì, perché questo è sabbia mobile, è sabbia mobile: la sabbia mobile di un’esistenza mediocre. La mediocrità è questo». Che cosa si può fare in questi casi, quando «uno vorrebbe andare ma sente che non ce la fa? Prima di tutto ricordarci che la conversione è una grazia: nessuno può convertirsi con le proprie forze. È una grazia che ti dà il Signore, e pertanto da chiedere a Dio con forza, chiedere a Dio che Lui ci converta, che davvero noi possiamo convertirci, nella misura in cui ci apriamo alla bellezza, alla bontà, alla tenerezza di Dio». Francesco invita a pensare «alla tenerezza di Dio. Dio non è un padre brutto, un padre cattivo, no. È tenero, ci ama tanto, come il buon Pastore, che cerca l’ultima del suo gregge. È amore, e la conversione è questo: una grazia di Dio. Tu incomincia a camminare, perché è Lui che ti muove a camminare, e tu vedrai come Lui arriverà. Prega, cammina e sempre si farà un passo in avanti».

Il Pontefice invoca «Maria Santissima, che [...] celebreremo come l’Immacolata», affinchè «ci aiuti a staccarci sempre più dal peccato e dalle mondanità, per aprirci a Dio, alla sua parola, al suo amore che rigenera e salva».

Dopo l’Angelus, il Papa saluta «di cuore tutti voi qui presenti – con questo brutto tempo, siete coraggiosi! – romani e pellegrini, e quanti sono collegati attraverso i media». Mette in evidenza che nella Piazza è stato innalzato l’albero di Natale «e il presepe è in allestimento. In questi giorni, anche in tante case vengono preparati questi due segni natalizi, per la gioia dei bambini… e anche dei grandi! Sono segni di speranza, specialmente in questo tempo difficile». Papa Bergoglio incoraggia a fare «in modo di non fermarci al segno, ma di andare al significato, cioè a Gesù, all’amore di Dio che Lui ci ha rivelato, andare alla bontà infinita che ha fatto risplendere sul mondo. Non c’è pandemia, non c’è crisi che possa spegnere questa luce – assicura – Lasciamola entrare nel nostro cuore, e tendiamo la mano a chi ha più bisogno. Così Dio nascerà nuovamente in noi e in mezzo a noi».

A tutti augura «una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo, e arrivederci».

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Radio Maria e il divieto di avanzare ipotesi

Posté par atempodiblog le 19 novembre 2020

Radio Maria e il divieto di avanzare ipotesi
In un mondo che mette in discussione ogni cosa, avanzare delle ipotesi crea reazioni spropositate, anche fra cattolici
di Marco Invernizzi – Alleanza Cattolica

Radio Maria e il divieto di avanzare ipotesi dans Anticristo Fanzaga

Improvvisamente, una domenica pomeriggio, i giornali online hanno scoperto che padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, avrebbe denunciato un “complotto” dietro la diffusione del Covid-19 e hanno riempito i rispettivi media con articoli scandalizzati. Avevo ascoltato l’intervento di padre Livio, peraltro precedente di diversi giorni, e avevo notato come il direttore di Radio Maria si preoccupasse di sottolineare che la sua è una ipotesi, e che le ipotesi sono opinioni che si possono cambiare di fronte a nuovi fatti che mutassero il quadro della situazione.

L’impressione che ho, anche questa è una ipotesi mi raccomando, è che il mondo dei media, i “giornaloni“ come li chiama padre Livio, detesti Radio Maria e cerchi sempre l’occasione per metterla in cattiva luce presso l’opinione pubblica. Diversamente non si spiegherebbe tanto accanimento e l’andare a ripescare una trasmissione precedente di diversi giorni, che per un quotidiano significano mesi se non anni.

Ma che cosa ha detto padre Livio di tanto politicamente scorretto?

  1. Ha detto che il virus potrebbe essere stato diffuso in modo non casuale. Queste le parole esatte, affidate all’agenzia Adnkronos per precisare meglio il contenuto delle sue trasmissioni sul tema e che tutti possono leggere sul sito di Radio Maria: «Per quanto riguarda l’origine della pandemia ho avuto fin dall’inizio l’impressione che non fosse casuale. Mi è parso un fenomeno troppo grosso per essere tale. Mi ha inoltre fatto pensare il fatto che proprio l’Occidente sia la parte del mondo più colpita di altre. Probabilmente non sapremo mai qual è l’origine della pandemia ma, fino a prova contraria, a mio parere resta sul tavolo l’ipotesi che possa essere stata provocata volutamente. Mi auguro di no e vorrei essere smentito. Può anche essere che l’uscita del virus da qualche laboratorio di armi biologiche sia stata un infortunio».

  2. La seconda cosa scandalosa che il direttore di Radio Maria ha detto riguarda Satana, una parola impronunciabile nel mondo del giornalismo e, in generale, fra gli intellettuali che scrivono sui “giornaloni”, tutti succubi del laicismo: «Se fosse vero (e spero di no) che la pandemia sia un progetto provocato da chi vuole costruire un “uomo nuovo” e “un mondo nuovo” sulle nostre spalle e a nostra insaputa, è ovvio che per un cristiano la mente ispiratrice non può essere che il maligno».

Siamo di nuovo di fronte a una ipotesi, ma frutto di un ragionamento. Che il male esista, nel caso specifico che il virus sia un male, anche un ateo non può non riconoscerlo. E allora qui si apre un tema antico quanto l’uomo, cioè quale sia l’origine del male. Il male può essere provocato o casuale, voluto o frutto di un incidente di laboratorio. Poi ci sono delle varianti: può essere casuale ma venire sfruttato da qualcuno per accrescere il proprio potere. Certamente esiste un altro dato di fatto, e cioè che il sistema sociale del mondo occidentale sta cambiando sotto la spinta della diffusione del virus. I piccoli chiudono e le grandi multinazionali guadagnano sempre maggiori spazi commerciali. Per fare un esempio, le librerie chiudono e Amazon aumenta il fatturato, oppure i tassisti vendono le loro licenze e vanno a lavorare come dipendenti appena ne trovino la possibilità. Questo significa che nel giro di non molti anni il mondo occidentale cambierà aspetto, se continuasse questa tendenza: meno proprietari, più concentrazione di potere economico in poche mani, in pratica il contrario di una società equilibrata basata sui principi di sussidiarietà e solidarietà. Questo non è un complotto, ma un fatto. Si tratta di vedere se c’è un agente a monte del progetto, oppure se qualcuno si sta approfittando di qualcosa che è accaduto ed è sfuggito di mano, oppure se siamo completamente in balia di una situazione andata fuori controllo. Credo che fare delle ipotesi e parlarne sia doveroso e necessario. Il complotto sarebbe impedire di affrontare il tema.

Infine Satana, la parola impronunciabile. Ma se il male esiste, non è un complotto chiedersi quali possano essere le cause naturali e soprannaturali (per chi ha il dono della fede).

Stupisce infine, e lo scrivo con profondo rammarico, che all’interno del mondo cattolico padre Livio non venga difeso da questa nuova aggressione mediatica, che mira con evidenza a screditarlo. Perciò mi ha fatto male l’intervento quasi appassionato del direttore del quotidiano dei vescovi italiani, Marco Tarquinio, per prendere le distanze dal direttore di Radio Maria su Avvenire del 17 novembre. Si parla tanto di non dividere, di unire, di non creare contrapposizioni e, poi, si evita di affrontare benevolmente un’ipotesi avanzata da un confratello nella stessa fede. Viviamo in un mondo strano, nel quale si mette in discussione ogni cosa, dal Papa all’identità sessuale delle persone, ma quando viene avanzata una ipotesi estranea al politicamente corretto “apriti cielo”. Mala tempora

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Un giro d’Italia mariano

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2020

Un giro d’Italia mariano
di Giampaolo Mattei – L’Osservatore Romano

Un giro d’Italia mariano dans Apparizioni mariane e santuari Papa-e-Madonna-Rue-du-Bac

Un “giro d’Italia” mariano per ridare speranza, fiducia a un popolo alle prese con l’emergenza sanitaria e sociale. Per incoraggiare, Vangelo alla mano, chi vede l’orizzonte nero. Del resto, dicono con un sorriso i missionari vincenziani che hanno messo su questo progetto di evangelizzazione, «tanto più i tempi sono difficili tanto più ci si rivolge alla Mamma».

È proprio con questo spirito semplice, di popolo, che l’immagine della Madonna — espressione della spiritualità della Medaglia miracolosa di santa Caterina Labouré — girerà l’Italia in lungo e in largo, per un anno, e porterà ovunque anche la corona del rosario benedetta che Papa Francesco, personalmente, ha voluto mettere al collo della statua, incontrando — mercoledì mattina, 11 novembre, in Vaticano — i promotori del pellegrinaggio.

Sono le persone, le comunità, e non i luoghi le mete di questo pellegrinaggio a 190 anni dalle apparizioni mariane a Parigi, a Rue du Bac. «Si parte dai poveri» affermano i vincenziani. E uno slancio molto forte verrà sicuramente proprio dalla Giornata mondiale dei poveri che si celebrerà domenica 15 novembre.

Insomma portando in spalla la statua della Madonna, «con tutto il vigore spirituale della Medaglia miracolosa», i missionari busseranno alle porte delle persone emarginate, degli ammalati, degli anziani soli, di coloro che vivono la sofferenza. E anche dei giovani. Perché, ricordano, «la pandemia sta rendendo ancora più gravi le emergenze sociali».

Maria-della-Medaglia-Miracolosa dans Articoli di Giornali e News

Il 27 novembre si celebrerà la festa della Beata Vergine della Medaglia miracolosa e il pellegrinaggio in Italia dell’immagine di Maria inizierà — nel rispetto delle norme anti-covid — martedì 1° dicembre per concludersi il 22 novembre 2021. Ecco il calendario: 1° dicembre – 1° gennaio 2021: Lazio, Marche, Umbria; 2 gennaio – 3 febbraio: Campania; 4 febbraio – 28 febbraio: Calabria; 1° marzo – 31 marzo: Sicilia; 1° aprile – 30 aprile: Puglia, Basilicata e Abruzzo; 1° maggio – 31 maggio: Toscana e Liguria; 1° giugno – 30 giugno: Piemonte e Lombardia; 12 settembre – 13 ottobre: Emilia Romagna e Triveneto; 19 ottobre – 22 novembre: Sardegna.

Un pellegrinaggio popolare per questo tempo difficile, dunque. Ma non è che nel 1830 — quando Maria apparve alla giovane religiosa vincenziana Caterina Labouré — le cose andassero poi tanto meglio. La Francia viveva un tempo complicato — spiegano i missionari — segnato da una seconda rivoluzione e da lotte fratricide. Ed ecco che Maria interviene in quella storia dicendo: “Sono con voi e se venite a me troverete consolazione”». Ecco perché, dicono, «vogliamo semplicemente testimoniare che Maria è vicina, è madre di coloro che oggi sono più in difficoltà: pensiamo alle donne e agli uomini che vivono nei tanti luoghi della sofferenza, negli ospedali soprattutto, ma anche nelle case di riposo per gli anziani e nelle strutture per i poveri».

In sostanza, l’obiettivo del pellegrinaggio è ricordare, con i fatti, che davvero «Maria non lascia mai solo nessuno». E tutto questo, ci tengono a far notare i promotori, «nella semplicità più totale» come suggerisce il Vangelo. A conferma che un pellegrinaggio è sempre un fatto di popolo.

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Rue du Bac nella sala Clementina

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2020

Rue du Bac nella sala Clementina
di Giampaolo Mattei – L’Osservatore Romano

Rue du Bac nella sala Clementina dans Apparizioni mariane e santuari Santo-Padre

Alzandosi sulla punta dei piedi e protendendosi il più possibile in avanti con le braccia, Francesco ha voluto personalmente mettere la corona del rosario al collo della statua della Madonna — espressione della spiritualità della Medaglia miracolosa di santa Caterina Labouré — che per un anno sarà portata in tutta Italia, in pellegrinaggio, in particolare tra i poveri e gli ammalati, a 190 anni dalle apparizioni a Parigi, a Rue du Bac.

Mercoledì mattina, 11 novembre, alle 8.55, prima dell’udienza generale, Francesco ha accolto nella sala Clementina la piccola delegazione che sta per dare vita a questo vero e proprio “giro d’Italia mariano”. Il Papa ha compiuto il gesto di porre la corona sulla statua — significativo nella sua semplicità — dopo essersi raccolto in preghiera davanti all’immagine, averla accarezzata con la mano per poi tracciare su se stesso il segno della croce.

Rue-du-Bac dans Articoli di Giornali e News

A presentare a Francesco questa iniziativa del “pellegrinaggio di Maria” in Italia sono stati il superiore generale della congregazione della Missione, padre Tomaž Mavrič; padre Erminio Antonello, superiore provinciale vincenziano per l’Italia; e padre Valerio Di Trapani, che si occupa dell’organizzazione pratica dell’evento. Con loro c’era Amerigo Pompili, il falegname che ha realizzato la teca per poter trasportare l’immagine mariana (scolpita negli anni ’50, è stata restaurata per l’occasione). E con particolare familiarità, poi, il Papa ha salutato suor Stefania Monti e suor Antonietta Collacchi, rispettivamente superiora della comunità delle Suore vincenziane a Santa Marta e responsabile del Dispensario pediatrico in Vaticano.

Francesco ha firmato una pergamena che ricorda la sua benedizione dell’immagine per il pellegrinaggio e ha ricevuto in dono due bottiglie di vino sloveno per la celebrazione della messa. A ciascuno dei presenti il Papa ha dato una corona del rosario.

Papa-e-Madonna-della-Medaglia-Miracolosa dans Coronavirus

Il 27 novembre si celebra la festa della Beata Vergine della Medaglia miracolosa e il pellegrinaggio in Italia dell’immagine di Maria inizierà (nel rispetto delle norme anti covid) martedì 1° dicembre per concludersi il 22 novembre 2021.

Ecco il calendario:

1° dicembre – 1° gennaio 2021: Lazio, Marche, Umbria;
2 gennaio – 3 febbraio: Campania;
4 febbraio – 28 febbraio: Calabria;
1° marzo – 31 marzo: Sicilia;
1° aprile – 30 aprile: Puglia, Basilicata e Abruzzo;
1° maggio – 31 maggio: Toscana e Liguria;
1° giugno – 30 giugno: Piemonte e Lombardia;
12 settembre – 13 ottobre: Emilia Romagna e Triveneto;
19 ottobre – 22 novembre: Sardegna.

La statua sarà portata anzitutto nei luoghi d’accoglienza per i poveri, con lo slancio della Giornata mondiale che si celebra domenica prossima. Poi anche nelle parrocchie, con particolare attenzione ai giovani. E non mancherà la preghiera per le vittime del covid e per quanti sono alle prese con l’emergenza sanitaria e sociale.

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Appello in Francia: «Senza la domenica, non possiamo vivere»

Posté par atempodiblog le 4 novembre 2020

Appello in Francia: «Senza la domenica, non possiamo vivere»
Vescovi, filosofi e imprenditori si uniscono per chiedere al governo di non chiudere le chiese e di autorizzare la partecipazione pubblica e fisica alla Messa durante il lockdown
della Redazione di Tempi.it

Appello in Francia: «Senza la domenica, non possiamo vivere» dans Articoli di Giornali e News francia-lockdown-liberta-culto-ansa
Foto: Ansa

Pubblichiamo una nostra traduzione dell’appello al governo uscito su Le Figaro e firmato da vescovi, filosofi e imprenditori (in fondo i nomi) perché durante questo secondo lockdown in Francia siano tenute aperte le chiese e sia garantito il rispetto della libertà di culto.

Proprio nel momento in cui il nostro paese entrava nel suo secondo periodo di confinamento, il triplice assassinio di Nizza è venuto dolorosamente a ricordarci che i cristiani pagano un tributo alto negli attentati terroristici. Tre persone sono state selvaggiamente massacrate in una chiesa per il solo motivo di essere cristiane. Già il 26 luglio 2016 padre Jacques Hamel era stato sgozzato a Saint-Étienne-du-Rouvray durante la Messa che stava celebrando.

Gli omaggi che si moltiplicano dappertutto in Francia, in questi giorni in cui siamo ancora sotto choc per la decapitazione del professore Samuel Paty, mostrano fino a che punto il nostro paese resti attaccato alle sue libertà fondamentali, messe in pericolo da questi crimini: libertà di espressione, libertà di insegnamento, libertà di culto. I cristiani in generale, i cattolici in particolare, sono sensibili ai tributi di simpatia e solidarietà che vengono loro rivolti. Sono coscienti del loro dovere di partecipare a questo sforzo collettivo, se necessario nella lotta contro il terrorismo islamico.

Eppure, proprio mentre si riafferma che la libertà di culto costituisce un diritto fondamentale da proteggere, questa viene ristretta nel suo esercizio da un divieto quasi totale di riunirsi negli edifici religiosi. Non la si considera infatti una «attività essenziale». Noi pensiamo al contrario che la libertà di culto non si possa mettere in discussione e che sia necessario lasciarla libera di esprimersi, soprattutto in questi tempi in cui viene minacciata. Se la «Repubblica assicura la libertà di coscienza» (legge del 1905, primo articolo), lo Stato di diritto deve rendere possibile l’esercizio e la pratica del culto.

Molti cattolici si rifiutano di disertare le loro chiese, dove i fedeli vanno a trovare consolazione e speranza, in questi tempi difficili da affrontare da soli. La celebrazione della Messa non è per loro una modalità di esercitare la loro fede, ma ne costituisce la fonte e il punto più alto. L’Eucaristia non soltanto riunisce, ma costruisce la Chiesa; ne è il cuore e il centro vitale. Fin dalle origini della Chiesa, i cristiani hanno sempre affermato: «Senza la domenica, non possiamo vivere». Neanche le persecuzioni hanno mai scoraggiato i cristiani dal riunirsi il giorno del Signore.

Questo nuovo confinamento, necessario per proteggerci dal virus, rappresenta un periodo particolarmente difficile e ansiogeno per tanti. Le Messe costituiscono uno dei rari momenti in cui i fedeli riprendono forza e coraggio per essere sostenuti. Vietarne l’accesso è una pena doppia per i cattolici, così provati nella loro fede. Non priviamoli di questi spazi di rinnovamento!

Se i luoghi di consumo e le grandi catene di distribuzione restano aperti, non potranno però soddisfare le aspirazioni più profonde del cuore e non saranno sufficienti a fugare le paure. Davanti all’epidemia di coronavirus, noi siamo coscienti delle precauzioni sanitarie che vanno prese e del rispetto di tutte le norme che bisogna osservare rigorosamente. Da quando il confinamento è finito, noi ci siamo fatti carico delle nostre responsabilità rispettando tutte le misure necessarie. Non sono stati rinvenuti focolai nelle chiese. Noi condividiamo totalmente la preoccupazione perché sia preservata la salute pubblica. Ma il divieto generale delle Messe ci sembra avere un carattere sproporzionato davanti al bisogno di riaffermare le nostre libertà più care, tra le quali c’è quella di praticare la religione. Noi vogliamo anche poter celebrare pubblicamente la Messa, in particolare la domenica. L’Eucaristia è il cuore della nostra vita.

Ci sembra dunque che questo tema debba interpellare tutti gli uomini che hanno a cuore le nostre libertà pubbliche fondamentali. Attraverso questo divieto della pratica religiosa è la libertà di culto a non essere rispettata. Davanti a questa situazione di profonda gravità, noi abbiamo presentato diversi ricorsi davanti al Consiglio di Stato già dopo la fine del confinamento di giugno e questi ha intimato al primo ministro di prendere misure meglio proporzionate ai rischi sanitari.

Firmatari: Marc Aillet, vescovo di Bayonne; Bernard Ginoux, vescovo di Montauban; Jean-Pierre Cattenoz, arcivescovo di Avignon; David Macaire, arcivescovo di Saint-Pierre e Fort-de-France; Dominique Rey, vescovo di Fréjus-Toulon; Charles Beigbeder, imprenditore; Rémi Brague, filosofo; Chantal Delsol, filosofa; Fabrice Hadjadj, filosofo; Jean d’Orléans, conte di Parigi; Pierre Manent, filosofo; Charles Millon, ex ministro della Difesa; Jean Sévillia, storico e giornalista; Thibaud Collin, docente di filosofia.

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Non sarà lo stato a salvarci dal virus, ma le nostre scelte individuali

Posté par atempodiblog le 4 novembre 2020

Non sarà lo stato a salvarci dal virus, ma le nostre scelte individuali
Ciò che non è stato fatto finora dalle istituzioni non sarà recuperato adesso. Ne usciremo, ma dipende da noi
di Enrico Bucci – Il Foglio
Tratto da: Radio Maria

Non sarà lo stato a salvarci dal virus, ma le nostre scelte individuali dans Articoli di Giornali e News mascherine

Ieri i nuovi contagiati da Covid-19 sono stati 28.244, in aumento rispetto alle 24 ore precedenti, a fronte di 182.287 tamponi processati (quasi 47 mila più di lunedì). I morti sono stati 353, mai così tanti da maggio. I ricoveri in terapia intensiva sono stati 203, contro gli 83 di lunedì.

Siamo di nuovo in balia degli eventi e delle chiacchiere discordanti. E’ come giocare a mosca cieca, ma sull’orlo di un burrone. Vorrei togliere per un momento almeno la benda dagli occhi; se qualcuno cerca ottimismo a buon mercato, guardi pure altrove. Credo che riconoscere la verità dei fatti aiuti a non soccombere al frastuono, e anche a ritrovare un po’ di pace mentale e concordia su alcuni punti fondamentali, che elenco qui di seguito.

Punto primo: non c’è modo di riparare oggi a quanto non è stato fatto in estate. Siamo un paese il cui funzionamento è impossibilitato da una ragnatela di regole, dalla polverizzazione della responsabilità, dal familismo amorale e dall’anarchia individualista dei suoi abitanti. Dunque non è possibile sperare in nessun ravvedimento improvviso, né in qualche salvifica azione delle istituzioni o dello stato. Solo sforzi individuali e senso di comunità fra i cittadini (tutti) possono mitigare i danni. L’unità nazionale invocata oggi da Mario Monti per la politica può servire a dare un’immagine di un parlamento migliore e poco più; serve ancora di più la concordia tra i cittadini e la convinzione nell’affrontare i danni che subiremo.

Punto secondo: come in tutte le epidemie di cui si ha memoria storica, il patogeno crea divisione nella comunità, che comincia a identificare “categorie più a rischio”, che è un altro modo di dire più colpevoli. Questa divisione, che si traduce in eterogeneità di comportamenti e in avversione a regole anche ovvie, avvantaggia la diffusione del virus perché fa perdere tempo prezioso e paralizza l’azione di una collettività così grande da non riuscire a risolversi ad agire nel modo giusto con sufficiente velocità. La tempesta citochinica nei nostri corpi è un esempio di cosa crea la confusione di messaggi, che porta a una risposta immune scoordinata e dannosa; la tempesta comunicativa e politica del paese agisce esattamente nello stesso modo, paralizzando le nostre difese e addirittura rivolgendole contro noi stessi.

Punto terzo: date le condizioni illustrate ai punti precedenti, la difesa migliore dal virus può avvenire quasi solo su base volontaria e individuale. Dobbiamo evitare di contagiarci finché non avremo un mezzo di contrasto più efficace dalla ricerca scientifica. Questo non significa affatto smettere di vivere: significa indossare sempre correttamente le mascherine, restringere il numero dei contatti e soprattutto la loro eterogeneità (cioè, a parità di contatti giornalieri, il numero di persone diverse che incontriamo in una settimana), spostare le proprie attività ricreative il più possibile all’aperto e a distanza da altri e usare ogni mezzo per sostituire la socialità in presenza con quella da remoto, per quanto la seconda non sia che un pallido surrogato della prima. In “socialità” comprendo anche quella lavorativa: ognuno faccia quanto è nelle sue possibilità per spostare il lavoro in remoto, almeno temporaneamente.

Punto quarto: per mantenere la forza di andare avanti, abbiamo una sola via, cioè la solidarietà. Tutti coloro che dipendono per il proprio reddito dalla presenza di clienti, e non da uno stipendio statale, pagheranno un prezzo altissimo. I bambini che perderanno pezzi di scuola saranno ugualmente danneggiati in modo pesante. I medici e gli infermieri stanno ammalandosi e stanno morendo. Ognuno cerchi, per quel che può, di aiutare nel modo migliore che riesce a pensare. Fa bene a chi è aiutato, ma anche a chi dà aiuto e permette di recuperare quel senso di comunità che è indispensabile per sbarrare la strada al virus nel modo migliore possibile.

Punto quinto: è necessario più che mai resistere alla depressione, all’incertezza, alla paura. Stare in casa, vedere il proprio lavoro crollare, vedere le persone ammalarsi o morire sono tutte cose che hanno un pesante impatto, anche su chi crede di essere immune. Questo stato d’animo negativo è alla base sia della disperazione sia del suo opposto, il negazionismo e l’ottimismo a ogni costo. Abbiamo bisogno di guardare al male per quello che è, senza nasconderci dietro a storie immaginifiche o a cospirazioni e rimanendo saldi nel nostro comportamento. Pagheremo un prezzo e ne usciremo, con o senza le istituzioni, la politica, la scienza: sta a noi fare che questo prezzo non sia più alto del necessario, restando calmi e razionali.

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Francia, tra Nizza e covid, chiese chiuse. No del vescovo

Posté par atempodiblog le 1 novembre 2020

Francia, tra Nizza e covid, chiese chiuse. No del vescovo
Messe pubbliche sospese da martedì in Francia. Per covid e con la scusa delle ragioni di sicurezza dopo l’attentato di Nizza. 30 persone per funerale, solo sei ai matrimoni, compresi gli sposi: «Il governo cambi queste stupide norme, con quale diritto decide quale tipo di culto può essere praticato e quale no?». La Bussola intervista il vescovo francese Xavier Malle: «Dopo l’attacco di Nizza, siamo gravemente colpiti e dobbiamo ritrovarci nella nostra chiesa-famiglia, ma ci siamo abituati: la nostra Chiesa è perseguitata fin dalla Rivoluzione francese».
di Nico Spuntoni – La nuova Bussola Quotidiana

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Mentre gli occhi sono ancora bagnati dalle lacrime versate per l’attentato di Nizza, i cattolici francesi si preparano ad affrontare un’altra durissima prova. Venerdì è cominciato il nuovo lockdown annunciato mercoledì scorso dal presidente Macron e destinato a durare almeno fino al 1 dicembre. Con il ritorno del reconfinement verrà interdetta la partecipazione dei fedeli alle Messe, mentre matrimoni e funerali si potranno svolgere soltanto a numero contingentato. Il divieto sarebbe dovuto entrare in vigore da subito, ma dopo le proteste dei vescovi, il governo francese ha deciso di concedere un periodo di “tolleranza” – questo il termine utilizzato in conferenza dal primo ministro Jean Castex – per la Solennità di Ognissanti e per la Commemorazione dei Defunti.

La celebrazione delle Messe pubbliche, dunque, sarà sospesa a partire dal 3 novembre. Una decisione fortemente contestata dall’episcopato transalpino che lo considera, come ha scritto, monsignor Marc Aillet, vescovo di Bayonne, “un grave attacco alla libertà di culto” dal momento che non ci sono stati casi di contagio all’interno delle chiese dove vengono rispettate rigorosamente tutte le precauzioni sanitarie. Uno dei pastori più attivi in questi giorni nel mettere in evidenza le contraddizioni delle disposizioni restrittive all’esercizio del culto previste nell’articolo 47 del decreto che prescrive le misure anti-covid è monsignor Xavier Malle, giovane vescovo di Gap-Embrun che ha accettato di dire la sua alla Bussola.

Eccellenza, contrariamente a quanto si era temuto in un primo momento, sarà possibile partecipare alle Messe di Ognissanti e recarsi in visita ai cimiteri. Lei ha scritto su Twitter: “Un effetto dei nostri martiri di Nizza?”
Era una richiesta della Chiesa di Francia. Il divieto di partecipare alle Messe nel giorno di Ognissanti e il 2 novembre sarebbe stato traumatico per le famiglie che hanno perso una persona cara durante il primo lockdown e non sono state in grado di accompagnarle adeguatamente. Le persone sono morte assolutamente sole, è stato un grande fallimento della prima ondata. Un’altra buona notizia è stata la possibilità per le famiglie e per i cappellani di continuare a visitare i nostri anziani nelle case di riposo.

Nell’articolo 47 del decreto che prescrive le misure generali per contrastare la pandemia si era deciso – con dietrofront dell’ultima ora – di stabilire un massimo di sei persone per i matrimoni e di trenta per i funerali. Qual era la logica alla base di questa decisione del governo?
Chi ha potuto decidere questi numeri? Trenta per un funerale sono meglio dei venti previsti durante la prima ondata, ma date le dimensioni delle nostre chiese non ha alcun senso igienico. Quanto al limite di sei persone per un matrimonio, non è rispettoso: due sposi, due testimoni, il celebrante e poi bisognerà chiedere di scegliere un solo genitore? Spero che il governo cambierà questi stupidi numeri. Così come spero che cambierà idea sul divieto di adorazione.

I sostenitori della sospensione delle funzioni religiose si appellano alla legge di separazione tra Stato e Chiese del 1905 e dicono: “esiste il libero esercizio del culto ma rimane sotto stretto controllo statale per motivi di ordine pubblico”. Come si sente di rispondere a quest’argomentazione?
La vera questione d’ordine pubblico è quella di dover, purtroppo, proteggere le nostre chiese dagli attacchi. Per quanto riguarda i protocolli sanitari, ci stiamo allenando da mesi. Per quanto ne so, nessuna chiesa è diventata un “cluster”. E con quale diritto un governo civile in un Paese in cui vige la separazione tra Stato e Chiesa decide quale tipo di culto può essere praticato in una chiesa e quale no? Una sepoltura sì, ma un matrimonio no! Il Consiglio di Stato ha ricordato alla fine del primo lockdown che la libertà religiosa gode di uno status altamente protetto in Francia e questo è una fortuna. I giudici avevano riaperto il nostro culto prima ancora della decisione del governo. Dobbiamo tornare in tribunale? Personalmente, chiedo al governo di revocare la sua decisione.

Si può dire che le chiese sono ancora di più servizi “essenziali” e “vitali” per i cattolici dopo l’attentato di Nizza?
Poter celebrare nelle nostre chiese è importante per due motivi: beneficiare dell’aiuto dei sacramenti e vivere un tempo fraterno in comunità. E dopo l’attacco di Nizza, siamo gravemente colpiti e dobbiamo ritrovarci nella nostra chiesa-famiglia.

Leggi restrittive, profanazioni sacrileghe, attentati terroristici: il cattolicesimo è sotto attacco in Francia. Crede che la Chiesa francese sia tornata ad essere una Chiesa di martiri?
Qualche tempo fa, un giovane filosofo francese, Martin Steffens ha scritto un libro intitolato “Nient’altro che amore, linee guida per il martire in arrivo”. Era prima dell’assassinio di padre Hamel a Rouen. Il martirio è etimologicamente colui che testimonia la sua fede, anche dando la vita. In questo momento c’è un’identificazione molto forte con Nostro Signore Gesù. Ecco perché la canonizzazione è più veloce, senza bisogno di miracoli. Ma al di là del martirio sanguinoso che prima pensavamo riservato ai nostri fratelli cristiani d’Oriente, ma che ora sappiamo che potrebbe riguardare anche noi, c’è il martirio incruento. Quindi il martirio dei media. Ad esempio, è impossibile in Francia affermare che non è giusto promuovere cartoni animati non rispettosi.

La nostra Chiesa in Francia è perseguitata fin dalla Rivoluzione francese. Le nostre chiese furono saccheggiate due volte, durante la Rivoluzione e nel 1906. Abbiamo una grande capacità di resistenza. Quindi, come dice san Paolo, teniamo duro!

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Le indulgenze plenarie per i defunti estese a tutto il mese di novembre

Posté par atempodiblog le 25 octobre 2020

Le indulgenze plenarie per i defunti estese a tutto il mese di novembre

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Decreto
Questo anno,
nelle attuali contingenze
dovute alla pandemia
da “covid-19”,
le Indulgenze plenarie
per i fedeli defunti
saranno prorogate per tutto
il mese di Novembre,
con adeguamento delle opere
e delle condizioni
a garantire l’incolumità
dei fedeli.

Sono pervenute a questa Penitenzieria Apostolica non poche suppliche di Sacri Pastori i quali chiedevano che quest’anno, a causa dell’epidemia da “covid-19”, venissero commutate le pie opere per conseguire le Indulgenze plenarie applicabili alle anime del Purgatorio, a norma del Manuale delle Indulgenze (conc. 29, § 1). Per questo motivo la Penitenzieria Apostolica, su speciale mandato di Sua Santità Papa Francesco, ben volentieri stabilisce e decide che quest’anno, per evitare assembramenti laddove fossero proibiti:

a — l’Indulgenza plenaria per quanti visitino un cimitero e preghino per i defunti anche soltanto mentalmente, stabilita di norma solo nei singoli giorni dal 1° all’8 novembre, può essere trasferita ad altri giorni dello stesso mese fino al suo termine. Tali giorni, liberamente scelti dai singoli fedeli, potranno anche essere tra loro disgiunti;

b — l’Indulgenza plenaria del 2 novembre, stabilita in occasione della Commemorazione di tutti i fedeli defunti per quanti piamente visitino una chiesa o un oratorio e lì recitino il “Padre Nostro” e il “Credo”, può essere trasferita non solo alla domenica precedente o seguente o al giorno della solennità di Tutti i Santi, ma anche ad un altro giorno del mese di novembre, a libera scelta dei singoli fedeli.

Gli anziani, i malati e tutti coloro che per gravi motivi non possono uscire di casa, ad esempio a causa di restrizioni imposte dall’autorità competente per il tempo di pandemia, onde evitare che numerosi fedeli si affollino nei luoghi sacri, potranno conseguire l’Indulgenza plenaria purché, unendosi spiritualmente a tutti gli altri fedeli, distaccati completamente dal peccato e con l’intenzione di ottemperare appena possibile alle tre consuete condizioni (confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre), davanti a un’immagine di Gesù o della Beata Vergine Maria, recitino pie orazioni per i defunti, ad esempio le Lodi e i Vespri dell’Ufficio dei Defunti, il Rosario Mariano, la Coroncina della Divina Misericordia, altre preghiere per i defunti più care ai fedeli, o si intrattengano nella lettura meditata di uno dei brani evangelici proposti dalla liturgia dei defunti, o compiano un’opera di misericordia offrendo a Dio i dolori e i disagi della propria vita.

Per un più agevole conseguimento della grazia divina attraverso la carità pastorale, questa Penitenzieria prega vivamente che tutti i sacerdoti provvisti delle opportune facoltà, si offrano con particolare generosità alla celebrazione del sacramento della Penitenza e amministrino la Santa Comunione agli infermi.

Tuttavia, per quanto riguarda le condizioni spirituali per conseguire pienamente l’Indulgenza, si ricorda di ricorrere alle indicazioni già emanate nella nota «Circa il Sacramento della Penitenza nell’attuale situazione di pandemia», emessa da questa Penitenzieria Apostolica il 19 marzo 2020.

Infine, poiché le anime del Purgatorio vengono aiutate dai suffragi dei fedeli e specialmente con il sacrificio dell’Altare a Dio gradito (cfr. Conc. Tr. Sess. XXV, decr. De Purgatorio), tutti i sacerdoti sono vivamente invitati a celebrare tre volte la Santa Messa il giorno della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, a norma della Costituzione Apostolica «Incruentum Altaris», emessa da Papa Benedetto XV, di venerata memoria, il 10 agosto 1915.

Il presente Decreto è valido per tutto il mese di novembre. Nonostante qualsiasi disposizione contraria.
Dato in Roma, dalla sede della Penitenzieria Apostolica, il 22 ottobre 2020, memoria di San Giovanni Paolo II.

di Maurus Card. Piacenza
Paenitentiarius Maior

Christophorus Nykiel
Regens

Krzysztof-Nykiel dans Cardinale Mauro Piacenza

Un gesto di prossimità in tempo di pandemia

Questo anno, a causa della pandemia da covid-19, i fedeli hanno la possibilità di lucrare le indulgenze plenarie per i defunti per tutto il mese di novembre e non solo nei giorni tra il 1˚ e l’8, come da tradizione. Lo spiega il reggente della Penitenzieria apostolica, monsignor Krzysztof Nykiel, in questa intervista a «L’Osservatore Romano».

Cosa stabilisce il nuovo decreto?
Sostanzialmente, il decreto della Penitenzieria apostolica modifica le modalità previste per il conseguimento dell’indulgenza plenaria per le anime del Purgatorio, per il prossimo novembre, mese tradizionalmente dedicato al culto dei santi e alla preghiera per i fratelli defunti. Ordinariamente, infatti, l’indulgenza plenaria per i defunti è concessa al fedele che, nei giorni dell’ottava dal 1° all’8 novembre, si rechi al cimitero e preghi per i defunti, oppure a colui che, nel giorno della Commemorazione dei fedeli defunti, visiti una chiesa o vi reciti un Padre nostro e un Credo. Tuttavia, si è ben consapevoli della diffusione del covid-19 in tante aree del mondo e della necessità di prendere adeguate misure per prevenire l’estendersi del contagio, evitando anzitutto assembramenti di persone. Proprio per garantire l’incolumità dei fedeli che nei prossimi giorni intendono recarsi nei cimiteri a pregare sulle tombe dei loro cari, quest’anno la Penitenzieria ha voluto estendere il tenore delle suddette concessioni all’intero mese di novembre, per cui i fedeli potranno compiere le pie opere previste non più soltanto nei giorni dal 1° all’8 novembre o il 2 novembre, ma in un giorno a loro scelta di quel mese. Viene concessa su mandato di Papa Francesco e in accoglimento alle richieste pervenute da diverse Conferenze episcopali.

Ci può ricordare che cos’è l’indulgenza e come si consegue?
L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati già rimessi quanto alla colpa. Essa può essere parziale o plenaria, a seconda che liberi in parte o in tutto dalla pena temporale. Ogni fedele può conseguire per se stesso le indulgenze o applicarle ai defunti a modo di suffragio. Per ottenere l’indulgenza plenaria il fedele, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato, deve eseguire l’opera indulgenziata e adempiere alle tre condizioni della confessione sacramentale, della comunione eucaristica e della preghiera secondo le intenzioni del Pontefice. L’indulgenza è la testimonianza concreta di quanto veramente l’amore di Dio è più grande di ogni peccato e che dove arriva la divina misericordia tutto rinasce, tutti si rinnova, tutto è risanato.

Il nuovo decreto non è l’unico provvedimento attuato dalla Penitenzieria in questo tempo di pandemia. Quali altre iniziative ha già preso?
La Penitenzieria apostolica è il tribunale della Curia romana, denominato “Tribunale della misericordia”, cui sono affidate le questioni relative al foro interno e alla concessione delle indulgenze. Il 19 marzo scorso ha emesso due documenti, che hanno avuto ampia risonanza, per chiarire alcuni aspetti legati alle materie di sua competenza in concomitanza con la diffusione su scala mondiale del coronavirus. Attraverso la Nota circa il sacramento della Riconciliazione nell’attuale situazione di pandemia, essa ha individuato nel diffondersi del contagio uno dei casi di grave necessità contemplati dal codice di Diritto canonico per autorizzare la concessione dell’assoluzione collettiva ai fedeli (cfr. can. 961 § 1), demandando al discernimento dei singoli ordinari la determinazione delle modalità concrete per la celebrazione del sacramento e ribadendo con forza, anche e soprattutto in questo tempo di grave sofferenza, la necessità di accostarsi al sacramento della riconciliazione. Con uno speciale decreto, inoltre, si è concesso il dono dell’indulgenza ai fedeli affetti dal morbo nonché agli operatori sanitari, ai familiari e a tutti coloro che, a qualsiasi titolo — anche con la preghiera — si prendono cura di essi. La Chiesa, dunque, è ben consapevole delle sofferenze inflitte dal covid-19 e, nel prendere su di sé la stessa croce del suo Signore e Maestro, si fa prossima a quanti sono nell’afflizione sia sul piano spirituale che materiale.

di Nicola Gori – L’Osservatore Romano

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FRATELLI TUTTI/ Guerre, creato, pandemia: solo un Padre può guarire noi e la realtà

Posté par atempodiblog le 5 octobre 2020

FRATELLI TUTTI/ Guerre, creato, pandemia: solo un Padre può guarire noi e la realtà
Ieri è stata pubblicata la nuova enciclica di papa Francesco, dal titolo “Fratelli tutti”. Tre considerazioni utili per addentrarsi nella sua lettura
di don Federico Pichetto – Il Sussidiario

FRATELLI TUTTI/ Guerre, creato, pandemia: solo un Padre può guarire noi e la realtà dans Articoli di Giornali e News Fratelli-tutti-enciclica-Papa-Francesco

FRATELLI TUTTI, ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO. Sarà la storia a dirci se l’enciclica firmata il 3 ottobre da papa Francesco, e pubblicata nel giorno in cui la Chiesa celebra proprio il poverello di Assisi, sarà anche il testamento del suo pontificato o piuttosto l’ennesima profezia che alza lo sguardo dalla miseria delle vicende terrene in cui è impantanata la Santa Sede per donare nuovamente all’umanità orizzonte e prospettiva. Tuttavia la Fratelli tutti – questo il nome del documento – col suo centinaio abbondante di pagine e i suoi otto capitoli si presenta da subito come un nuovo atto dirompente di questo pontificato. Lo fa nei temi, decisamente non nuovi per l’età bergogliana, ma soprattutto nei toni: la condanna della guerra e la perentorietà con cui si esclude l’esistenza di un conflitto “giusto” suonano come un netto superamento del catechismo del 1992 e hanno il sapore di un pronunciamento dogmatico e definitivo che difficilmente i futuri successori di Pietro potranno ignorare.

Ma l’enciclica non è soltanto questo: c’è dentro un ampliamento radicale dei principi della Dottrina sociale della Chiesa, dalla destinazione universale dei beni al primato del bene comune, dalla sussidiarietà alla solidarietà, dalla necessità di partecipare al processo politico fino al primato della persona in quanto depositaria del mandato divino di custode del creato. Ci saranno riflessioni e voci autorevoli che potranno squadernare implicazioni, tematiche e ripercussioni delle parole impresse dal Papa nell’agone del dibattito intra ed extra ecclesiale, eppure s’indovinano almeno tre prime considerazioni che – a caldo – possono fungere da bussola per tutti coloro che vogliano addentrarsi nella lettura diretta del testo.

In primis, è portata a compimento la profezia di Benedetto XVI quando asseriva che solo la Chiesa – paradossalmente – sarebbe rimasta a difendere i valori illuministi della ragione in virtù del suo legame con l’origine di quei valori, Gesù Cristo. Francesco ripropone la terna parigina di libertà, fraternità e uguaglianza non come pietre con cui seppellire il bimillenario apporto della Chiesa alla società, ma come tasselli con cui oggi la medesima Chiesa richiama l’uomo a ricostruire il tessuto sociale e civile del nostro tempo.

E poi la pandemia, vista come il sintomo con cui la realtà ripresenta all’uomo il bisogno di essere guarita, di avere qualcuno che la risani. Il Papa ne parla citando Enea: “Sono le lacrime che provengono dalle cose e dalle manifestazioni della mortalità a poter toccare davvero le menti”. “Se tutto è connesso – suggerisce Francesco – è difficile pensare che questo disastro mondiale non sia in rapporto con il nostro modo di porci rispetto alla realtà, pretendendo di essere padroni assoluti della propria vita e di tutto ciò che esiste. Non voglio dire che si tratta di una sorta di castigo divino. E neppure basterebbe affermare che il danno causato alla natura alla fine chiede il conto dei nostri soprusi. È la realtà stessa che geme e si ribella”, interpellandoci.

Ecco: è questa chiamata all’umano che segna l’orizzonte e la traiettoria della Chiesa di Bergoglio, una chiamata trasversale a tutte le religioni, libera dai condizionamenti politici dei populismi e delle ideologie liberali, ma fortemente radicata in quel Vangelo che il Papa annuncia come autentico servizio all’umanità. Perché che cosa può davvero risvegliare l’umano e renderlo rinnovato protagonista della storia? Non una strategia, non un piano politico, ma solo un fatto capace di calamitare tutta l’energia affettiva e morale dell’Io. Un fatto che sferzi i nostri cuori di pietra e con cui intraprendere la strada del cambiamento, della conversione. La strada che – unica – può rispondere al bisogno di ricominciare, e di rinascere, che si nasconde dentro il cuore di ogni uomo e del mondo intero.

Fratelli tutti dunque, figli pieni di desiderio e mendicanti di un Padre che, come buon samaritano, risani il nostro cuore e le nostre indicibili – a volte perfino scandalose – ferite.

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Messaggio dell’Arcivescovo Bruno Forte per l’inizio dell’anno scolastico

Posté par atempodiblog le 26 septembre 2020

Messaggio dell’Arcivescovo Bruno Forte per l’inizio dell’anno scolastico

Messaggio dell’Arcivescovo Bruno Forte per l’inizio dell’anno scolastico dans Coronavirus Ritorno-a-scuola

Cari Amici,

l’anno scolastico 2020-2021 si presenta in modo del tutto particolare: la pandemia da Coronavirus che abbiamo dovuto affrontare e che stiamo ancora affrontando condiziona i nostri comportamenti e richiede attenzioni e precauzioni tanto necessarie, quanto per molti aspetti inedite. Oltre a raccomandare il senso di responsabilità verso se stessi e verso il bene comune, per osservare quanto ci viene richiesto (dall’uso della mascherina, al lavaggio frequente delle mani, al distanziamento fra le persone, all’impiego dei banchi singoli…), mi sembra importante richiamare l’importanza che in questa fase può avere la didattica via rete, sottolineando al tempo stesso il valore impareggiabile di quella in presenza, che consente ai nostri ragazzi e giovani di socializzare fra loro e di stabilire anche con i docenti rapporti significativi e fecondi.

Lo ha ricordato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con parole che desidero riportare: «So bene, cari studenti, che la scuola vi è mancata… Avete avvertito quanto valesse l’incontro quotidiano con i vostri insegnanti, la vicinanza dei vostri compagni… Quel che è accaduto è stato come una lezione di vita che vi ha fatto comprendere, in modo chiaro, come la scuola sia indispensabile allo sviluppo personale di ciascuno di voi» (a Vo’ Euganeo, Padova, il 14. 09. 2020). Il Capo dello Stato ha aggiunto anche una considerazione che deve farci particolarmente pensare: «L’inaugurazione dell’anno scolastico, mai come in questa occasione, ha il valore e il significato di una ripartenza per l’intera società…Ci troviamo di fronte a una sfida decisiva».

Si tratta di una sfida da cogliere e da affrontare insieme: è l’invito e l’augurio che rivolgo a tutti, Docenti, Personale non Docente e Studenti con i Loro Familiari, che tanto sono chiamati a fare per accompagnare i Loro Figli in questa fase delicata.

Auguro in particolare ai nostri ragazzi e giovani un’intensa e fruttuosa attività di studio e di crescita umana, culturale e spirituale, da vivere con serenità e autentica coralità. Prego perché tutto questo si realizzi al meglio, mentre offro a Voi tutti come spunto di riflessione un brano della mia recente lettera pastorale sulla prudenza, virtù più che mai necessaria in tempi non facili come questi:

«A causa della pandemia dovuta al Coronavirus l’intera umanità si è trovata a vivere una fase in cui a tutti sono state richieste decisioni pratiche importanti, al fine di adottare stili di vita e comportamenti che… ognuno è stato chiamato a far propri in maniera consapevole e responsabile, con rigorosa prudenza. La devastante azione del virus ha infranto modelli che sembravano vincenti e definitivi, fondati sulla corsa ai consumi continuamente stimolata dalla propaganda, alla ricerca di piaceri suggeriti come appetibili e facili a conseguirsi a prescindere da ogni giudizio morale… Il virus ha colpito questa presunzione, facendo vittime in tutto il pianeta…, La drammaticità dell’esperienza ha anche mostrato esempi altissimi di dedizione e di generosità, specialmente fra medici, operatori sanitari, sacerdoti e addetti ai servizi essenziali, che non si sono risparmiati, fino al punto da perdere in numero notevole la propria vita» (da La prudenza, virtù dei coraggiosi, Lettera pastorale per l’anno 2020-2021, n. 1).

Possa Dio aiutarci a far tesoro di questi esempi e accompagni tutti Voi nel cammino di crescita personale e collettivo che la scuola propone. Vi benedico, portandoVi nella preghiera e nel cuore.

+ Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti – Vasto
Presidente della CEAM

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Chiedete a Dio di proteggere la scuola di vostro figlio

Posté par atempodiblog le 2 septembre 2020

Chiedete a Dio di proteggere la scuola di vostro figlio
Nell’epoca del Covid-19, circondate la scuola di vostro figlio della protezione angelica
di Philip Kosloski – Aleteia

Chiedete a Dio di proteggere la scuola di vostro figlio dans Articoli di Giornali e News ritorno-a-scuola-coronavirus

Mentre le scuole riprendono un po’ in tutto il mondo, molti tornano in classe dovendo rispettare varie precauzioni mediche. Se queste possono aiutare a contenere la diffusione del nuovo coronavirus, è anche importante coinvolgere Dio nei preparativi, chiedendogli di inviare i Suoi santi angeli per proteggere l’edificio scolastico di vostro figlio.

Ecco una preghiera adattata dalla Benedizione di una Scuola del Rituale Romano:

Signore Gesù Cristo, che hai detto ai Tuoi apostoli di pregare perché la pace potesse scendere su qualsiasi casa in cui fossero entrati, ti supplichiamo di benedire questo edificio dedicato all’istruzione dei giovani. Effondi pienamente la Tua pace e la Tua benedizione su di esso, affinché insegnanti e studenti possano sperimentare la tua grazia salvifica, come ha fatto Zaccheo quando sei entrato in casa sua. Invita i tuoi angeli a fare la guardia e ad allontanare ogni potere del nemico. Ispira gli insegnanti con conoscenza, saggezza e sacro timore. Dona ai loro studenti la grazia dall’alto, perché possano cogliere, mantenere e mettere in pratica le lezioni che vengono insegnate loro. Fa’ che gli insegnanti e gli allievi possano esserti graditi mediante una vita realmente virtuosa, per poter alla fine meritare di essere accolti nella tua casa eterna in Cielo attraverso di te, Gesù Cristo, nostro Salvatore e nostro Dio, che vive e regna nei secoli dei secoli.

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Fratel Roger e la continuità di un incontro

Posté par atempodiblog le 20 août 2020

Fratel Roger e la continuità di un incontro
Intervista al priore Alois a ottant’anni dalla fondazione della comunità di Taizé
di Charles de Pechpeyrou – L’Osservatore Romano

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Ottant’anni dopo la fondazione della comunità ecumenica in un piccolo villaggio della Borgogna, sono adesso i figli, i genitori e i nonni di tutti i continenti a pregare insieme a Taizé: un cammino comune di cui si rallegra l’attuale priore, fratel Alois, intervistato da «L’Osservatore Romano». Il monaco tedesco ricorda naturalmente il suo predecessore, Roger Schutz, morto il 16 agosto 2005 all’età di 90 anni, che ha voluto creare non un movimento organizzato quanto piuttosto «un luogo di passaggio per attingere insieme alle fonti della fede», insistendo sul fatto che le tre preghiere comuni rimanessero al centro degli incontri giovanili e che i fratelli fossero prima di tutto persone di ascolto nei confronti di chi partecipa a questi incontri. Commentando infine l’emergenza coronavirus, che ha necessitato alcuni misure speciali all’interno della comunità, fratel Alois auspica che prevalga l’unità, invece del ripiegamento su sé stessi.

Taizé celebra quest’anno il suo ottantesimo anniversario. Ci può raccontare cosa è cambiato — e cosa non è cambiato — nella comunità tra il 1940 e il 2020?
Nel 1940 fratel Roger era il solo a portare avanti il progetto di dare vita a una comunità. Oggi siamo un centinaio di fratelli. Questo è un grande cambiamento. Inoltre accogliamo ogni anno migliaia di giovani da tutti i continenti, e questo è un’altra grande evoluzione che ancora oggi stupisce noi stessi. Ciò che non è cambiato, invece, è il cuore della nostra vocazione. Quando fratel Roger arrivò a Taizé nell’agosto del 1940, la situazione mondiale aveva poco a che fare con quella di oggi. Tuttavia, la sua prima intuizione rimane profondamente attuale: inserire una vita spirituale, una ricerca di Dio, laddove si trovano le fratture del mondo. All’epoca si trattava di accogliere i rifugiati — in particolare gli ebrei — durante la seconda guerra mondiale. Ancora oggi accogliamo dei profughi a Taizé e alcuni nostri fratelli vivono in piccole fraternità in luoghi particolarmente indifesi nel mondo odierno. Negli anni che hanno seguito la creazione della comunità, i primi fratelli che si unirono a Roger vivevano del lavoro agricolo, in condizioni molto semplici. Oggi continuiamo a guadagnarci da vivere, in diversi modi, senza accettare donazioni, regali o eredità. La regola che il nostro fondatore scrisse all’inizio degli anni Cinquanta continua tuttora a ispirarci oggi: vi aveva annotato le intuizioni spirituali essenziali che aveva nei confronti dei suoi fratelli. Tra queste ne isolerei due: il desiderio di essere presenti nel nostro tempo, rimanendo sempre attenti alle chiamate che il Vangelo ci rivolge; e la ricerca dell’unità tra i cristiani, non come fine a se stessa, ma come testimonianza del Vangelo e anche come fattore di pace per tutta l’umanità. Ciò che non è mai cambiato, infine, è la regolarità della nostra preghiera comune, tre volte al giorno, anche se le sue forme di espressione si sono modificate, soprattutto attraverso quelli che vengono chiamati i canti di Taizé.

Come si articolano gli scambi tra le diverse generazioni che hanno frequentato e frequentano la comunità?
All’interno della comunità viviamo quotidianamente questo dialogo tra generazioni: tra i fratelli maggiori arrivati a Taizé sessanta o addirittura settant’anni fa e i più giovani, che per la maggior parte non hanno conosciuto fratel Roger, ci sono ovviamente differenze notevoli. Siamo molto riconoscenti alle prime generazioni che hanno saputo accompagnare i cambiamenti nella comunità, nell’accoglienza dei giovani o nelle opzioni liturgiche, per esempio. Con i pellegrini si crea naturalmente una bella piattaforma di dialogo: ogni settimana dell’anno i giovani sono i più numerosi, ma ci sono anche adulti, genitori con i figli, persone anziane. Ci sono tanti scambi tra di loro e questa dimensione dell’incontro mi sembra molto importante. E poi un altro aspetto mi rallegra: quando i giovani mi spiegano di essere venuti su suggerimento dei genitori o dei nonni, a volte anche con loro. Tre generazioni che trovano la loro strada verso la nostra piccola collina, questo ci colpisce.

Come si mantiene la continuità di Taizé negli anni mentre altri movimenti nati dal dopoguerra sembrano spegnersi con il passare del tempo?
Siamo i primi a meravigliarci di questa continuità. Non so come spiegarla, ma la vedo come una delle più belle eredità di fratel Roger: attraverso tutti i mutamenti avvenuti da una generazione all’altra, lui ha sempre insistito sul fatto che le tre preghiere comuni rimanessero al centro degli incontri giovanili e d’altra parte ci ha sempre chiamati a essere prima di tutto persone di ascolto nei confronti di chi partecipa a questi incontri. Non ha mai voluto creare un movimento organizzato, suggerendo piuttosto che Taizé restasse un luogo di passaggio per attingere insieme alle fonti della fede. Ogni sera in chiesa, dopo la preghiera comune, con i fratelli siamo a disposizione di tutti coloro che desiderano parlare a tu per tu. E sono colpito dalla profonda sete spirituale che molti esprimono. Oggi sembra che per le giovani generazioni la fede sia spesso legata a un impegno concreto. D’altronde, i più giovani sono molto consapevoli delle questioni ecologiche. Non solo ne parlano, ma vogliono impegnarsi concretamente per salvare l’ambiente. Spetta a noi, quindi, di camminare accanto a loro e aiutarli a stabilire un legame con la fede. Spesso aspettano dalla Chiesa parole forti su questi temi.

Giorni fa si è celebrato anche il quindicesimo anniversario della morte di fratel Roger, assassinato il 16 agosto 2005 da una squilibrata, proprio nella chiesa della Riconciliazione a Taizé. In che modo la sua eredità spirituale e umana è sempre presente?
È vero, questi due anniversari sono per noi una grande occasione per rendere grazie per la vita e l’opera del nostro fondatore. Non si tratta di guardare al passato, ma di rallegrarsi insieme per tutti i frutti che la sua vita continua a portare. Per quanto riguarda la Chiesa, il suo contributo più importante resta l’instancabile ricerca dell’unità. Fratel Roger ha avuto sin dall’inizio la volontà di porre la ricerca dell’unità al centro della comunità, affinché sperimentasse l’unità prima di parlarne. Anche oggi i fratelli, cresciuti in diverse Chiese e che ora vivono sotto lo stesso tetto, si sforzano così di anticipare l’unità del futuro. L’unità della famiglia umana è stata un’idea centrale, una preoccupazione che ha segnato tutta la vita di fratel Roger. All’indomani della seconda guerra mondiale, c’era un’emergenza: la riconciliazione tra popoli divisi. Sebbene ovviamente i problemi siano cambiati, credo che l’importanza dell’unità della nostra famiglia umana rimanga più urgente che mai. Un terzo contributo resta molto attuale: la testimonianza che non c’è contraddizione tra vita interiore e solidarietà, ma al contrario un legame profondo. Come ha detto il teologo ortodosso Olivier Clément, i giovani di Taizé possono fare questa sorprendente scoperta: niente è più responsabile della preghiera. Infine, all’interno della comunità, Roger Schutz ha insistito molto sulla vita fraterna: voleva che fossimo un solo corpo, per esprimere una “parabola di comunione”. Sono felice che continuiamo a vivere nutriti da questa intuizione. Non sarà mai il nostro obiettivo quello di diventare una grande istituzione, intendiamo invece rimanere una piccola comunità in cui i legami fraterni hanno la precedenza su tutto il resto.

Come hanno dovuto riorganizzarsi la comunità e il sito di Taizé di fronte alla pandemia di coronavirus? Quali misure sono state prese? Come vi siete adattati?
Noi fratelli, per limitare i rischi di contagio, ci siamo sin dall’inizio suddivisi in otto centri, e questo ci ha permesso di riscoprire diversamente la vita fraterna. È stato come un anno sabbatico, vissuto tutti insieme. Abbiamo dovuto adattarci a questa situazione senza precedenti in molti modi. Un esempio concreto: accogliamo tre famiglie yazide a Taizé, e un fratello ha aiutato i bambini a fare i compiti (con il confinamento tutto doveva essere fatto online). L’ospitalità fa parte del cuore di ciò che vogliamo vivere come comunità ed è stato quindi molto difficile rinunciarvi a metà marzo, quando è iniziato il lockdown. Questo ci ha stimolato a prendere diverse iniziative usando internet, in particolare la trasmissione, ogni sera in diretta, della preghiera da Taizé e anche un weekend “in rete” che ha riunito circa quattrocento giovani adulti. Il programma includeva meditazioni bibliche, condivisione in piccoli gruppi virtuali, workshop. Il riscontro è stato positivo e faremo una seconda proposta analoga nell’ultimo fine settimana di agosto. Da metà giugno a Taizé è stato ripristinato il servizio di accoglienza e sono state adottate una serie di misure sanitarie per garantire la massima protezione a tutti. Siamo in stretto contatto con le autorità civili per adattare le nostre direttive. I giovani si dimostrano molto responsabili in questa difficile situazione che stiamo attraversando tutti.

Cosa la preoccupa di più nella crisi del coronavirus?
Prima di tutto la sofferenza che tante persone sperimentano: la prova della malattia, la morte di una persona cara, la solitudine di tanta gente. Ci sono conseguenze molto dure che dovremo affrontare, siano esse economiche, sociali o anche psicologiche. Per esempio penso ai bambini che per mesi non hanno potuto abbracciare i nonni. Un’altra cosa che mi preoccupa è la tentazione di ripiegarsi su se stessi. Spero sinceramente che l’unità e la solidarietà prevarranno sulle accuse che vediamo incombere qua e là: non ci sarebbe niente di più inutile che cercare capri espiatori per la pandemia. Continuo a portare questo nella mia preghiera: che l’unità prevalga.

Di fronte alla crisi del covid-19, come può Taizé aiutare a mantenere la speranza mentre la società è una barca che fa acqua da tutte le parti?
Siamo tutti su questa barca. E non abbiamo risposte già pronte. Dobbiamo sempre tornare alla fonte della nostra speranza, che è la risurrezione di Cristo. Nel Vangelo non sono le previsioni apocalittiche che hanno l’ultima parola, ma l’orizzonte finale è la risurrezione. Risvegliare questa speranza attraverso la preghiera personale ma anche attraverso le nostre celebrazioni: questo ci aiuterà ad affrontare la realtà, non a edulcorarla. Vanno anche sottolineati tutti i gesti di solidarietà e i segni di speranza compiuti in questo periodo così difficile. Sono colpito da tutto quello che sento al riguardo. Sin dal mese di marzo abbiamo ricevuto messaggi molto forti da parte di alcuni amici, per esempio dal Nord Italia, che spiegavano come si era messa in moto questa solidarietà. Un altro recentissimo esempio è arrivato dal Libano, un paese tanto provato e al quale siamo strettamente legati: in seguito alle terribili esplosioni nel porto di Beirut, diverse famiglie sono scese dalle colline e dalle montagne circostanti per aiutare a sgomberare le macerie e ad accogliere famiglie le cui case erano state distrutte. In Europa ci sono nazioni e politici che scommettono su una maggiore solidarietà: noi vorremmo sostenerli. Ciò fa sperare in una maggiore fraternità tra i Paesi e anche con i diversi continenti. Sì, credo profondamente che la grande maggioranza delle persone abbia sete di fratellanza. E questo è un buon momento per rafforzare tale aspirazione. Nell’enciclica Laudato si’, Papa Francesco sottolinea l’essenziale «sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate». È vero: il virus non conosce confini, ma nemmeno la sete di solidarietà e di fraternità.

Cosa dicono e pensano i giovani di Taizé sulla crisi sanitaria, economica e sociale legata al covid-19?
Vorrei menzionare alcune preoccupazioni che avverto parlando con loro e che non sono solo legate all’attuale pandemia. C’è un’autentica paura di fronte al futuro tra molti giovani. Alcuni soffrono per le crescenti disuguaglianze, i cui effetti si possono già vedere a scuola. Come ho detto prima, noto anche una forte richiesta di cambiamento da parte delle generazioni più giovani di fronte all’emergenza climatica. Mi ricordo per esempio di uno scambio avvenuto una sera nella nostra chiesa con un giovane volontario portoghese che richiamava la mia attenzione sul crescente impegno di molti giovani a favore delle questioni ambientali. Il suo invito, come quello di altri ragazzi che vanno nella stessa direzione, ha dato vita, negli ultimi mesi, a una riflessione ecologica a Taizé, dove i giovani sono una forza trainante. Probabilmente siamo di fronte a un vero momento di conversione: semplificare tutto ciò che può essere nel nostro modo di vivere, senza aspettare che i cambiamenti vengano imposti dall’alto. Ricordandoci allo stesso tempo che la semplicità non significa mai assenza di gioia ma può anzi coincidere con uno spirito di festa. Mi sembra che la Chiesa abbia un ruolo importante da svolgere nel comunicare questi valori che provengono direttamente dal Vangelo.

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Il Cardinale Piacenza: “Maria non si è minimamente allontanata da noi”

Posté par atempodiblog le 13 août 2020

Il Cardinale Piacenza: “Maria non si è minimamente allontanata da noi”
Omelia del Penitenziere Maggiore in occasione della Messa celebrata ieri sera presso la Grotta della Vergine della Rivelazione, a Roma, nel corso della novena per la Solennità dell’Assunzione.
di Marco Mancini – ACI Stampa

Il Cardinale Piacenza: “Maria non si è minimamente allontanata da noi” dans Apparizioni mariane e santuari cardinale-mauro-piacenza
Il Cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore
Foto: Alan Holdren – CNA

“Nella realtà dell’Assunzione corporea di Maria trova saldezza e conforto la nostra speranza per il futuro che ci attende oltre la morte e per il nostro tribolato presente”. Lo ha detto il Cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore, nell’omelia della Messa celebrata ieri sera presso la Grotta della Vergine della Rivelazione, a Roma, nel corso della novena per la Solennità dell’Assunzione.

“L’Assunzione della Madonna - ha proseguito il porporato - dà sostegno alla nostra fiducia nella vita futura, perché rappresenta la primizia e la concreta caparra della risurrezione dei nostri corpi”.

“Maria – ha ricordato ancora il Penitenziere Maggiore – è una di noi, e se dunque una di noi, dietro a Gesù, è entrata nel Regno dei cieli con l’integrità della sua persona, vuol dire che la redenzione del nostro corpo è già cominciata”.

“L’Assunta, pur nella sua straordinaria esaltazione, non si è minimamente allontanata da noi. Il cielo – ha sottolineato il Cardinale Piacenza – è il mondo invisibile e più vero, dove dimora Dio con i suoi angeli e i suoi santi: ed è vicinissimo a noi perché il Creatore non è mai lontano dalle sue creature”.

Concludendo l’omelia il Cardinale ha pregato affinché “la gravissima pandemia che affligge l’umanità richiami tutti ad una illuminata riflessione e alla necessità di conversione” impegnando “tutti alla preghiera e alla cristiana solidarietà”.

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