Papa Francesco: la speranza è “sicura”, fondata sul fatto che Dio è sempre accanto a ognuno di noi

Posté par atempodiblog le 16 février 2017

Papa Francesco: la speranza è “sicura”, fondata sul fatto che Dio è sempre accanto a ognuno di noi
E’ “un dono straordinario del quale siamo chiamati a farci ‘canali’, con umiltà e semplicità, per tutti”. “Siamo invitati a vantarci dell’abbondanza della grazia di cui siamo pervasi in Gesù Cristo” e “il nostro vanto più grande sarà quello di avere come Padre un Dio che non fa preferenze, che non esclude nessuno, ma che apre la sua casa a tutti gli esseri umani, a cominciare dagli ultimi e dai lontani”.
di AsiaNews

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La speranza cristiana “non delude”, è “sicura” perché si fonda sul fatto che Dio ci ama e ci è sempre accanto, non ci lascia soli nemmeno un attimo della nostra vita. La speranza, allora, è “un dono straordinario del quale siamo chiamati a farci ‘canali’, con umiltà e semplicità, per tutti”. La speranza non delude è stato l’argomento del quale papa Francesco ha parlato oggi alle settemila persone presenti nell’aula Paolo VI, in Vaticano, per l’udienza generale.

Proseguendo nel ciclo di catechesi dedicato al tema della speranza cristiana, infatti, il Papa si è soffermato sul concetto espresso da san Paolo che nella Lettera ai romani esorta a vantarci. “Fin da piccoli – ha detto Francesco – ci viene insegnato che non è una bella cosa vantarsi. Ed è giusto, perché vantarsi di quello che si è o di quello che si ha, oltre a una certa superbia, tradisce anche una mancanza di rispetto nei confronti degli altri, specialmente verso coloro che sono più sfortunati di noi. In questo passo della Lettera ai Romani, però, l’Apostolo Paolo ci sorprende, in quanto per ben due volte ci esorta a vantarci. Vuole che facciamo i pavoni? Di cosa allora è giusto vantarsi? E come è possibile fare questo, senza offendere, senza escludere qualcuno? Nel primo caso, siamo invitati a vantarci dell’abbondanza della grazia di cui siamo pervasi in Gesù Cristo, per mezzo della fede. Paolo vuole farci capire che, se impariamo a leggere ogni cosa con la luce dello Spirito Santo, ci accorgiamo che tutto è grazia! Se facciamo attenzione, infatti, ad agire – nella storia, come nella nostra vita – non siamo solo noi, ma è anzitutto Dio. È Lui il protagonista assoluto, che crea ogni cosa come un dono d’amore, che tesse la trama del suo disegno di salvezza e che lo porta a compimento per noi, mediante il suo Figlio Gesù. A noi è richiesto di riconoscere tutto questo, di accoglierlo con gratitudine e di farlo diventare motivo di lode, di benedizione e di grande gioia. Se facciamo questo, siamo in pace con Dio e facciamo esperienza della libertà. E questa pace si estende poi a tutti gli ambiti e a tutte le relazioni della nostra vita: siamo in pace con noi stessi, siamo in pace in famiglia, nella nostra comunità, al lavoro e con le persone che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino”.

“Paolo però ci esorta a vantarci anche nelle tribolazioni. Questo non è facile da capire, ci risulta più difficile e può sembrare che non abbia niente a che fare con la condizione di pace appena descritta. Invece ne costituisce il presupposto più autentico, più vero. Infatti, la pace che ci offre e ci garantisce il Signore non va intesa come l’assenza di preoccupazioni, di delusioni, di mancanze, di motivi di sofferenza. Se fosse così, nel caso in cui riuscissimo a stare in pace, quel momento finirebbe presto e cadremmo inevitabilmente nello sconforto. La pace che scaturisce dalla fede è invece un dono: è la grazia di sperimentare che Dio ci ama e che ci è sempre accanto, non ci lascia soli nemmeno un attimo della nostra vita. E questo, come afferma l’Apostolo, genera la pazienza, perché sappiamo che, anche nei momenti più duri e sconvolgenti, la misericordia e la bontà del Signore sono più grandi di ogni cosa e nulla ci strapperà dalle sue mani e dalla comunione con Lui”.

“Ecco allora perché la speranza cristiana è solida, ecco perché non delude. Mai delude. Non è fondata su quello che noi possiamo fare o essere, e nemmeno su ciò in cui noi possiamo credere. Il suo fondamento è ciò che di più fedele e sicuro possa esserci, vale a dire l’amore che Dio stesso nutre per ciascuno di noi. E’ facile dire: Dio ci ama. Tutti lo diciamo. Ma pensate un po’: ognuno di noi è capace di dire: sono sicuro, sono sicuro che Dio mi ama? Non è tanto facile dirlo. Ma è vero. E’ un buon esercizio, questo, dire a se stessi: Dio mi ama. Dio mi ama. E questa è la radice della nostra sicurezza, la radice della speranza. E il Signore ha effuso abbondantemente nei nostri cuori lo Spirito, lo Spirito Santo che è l’amore di Dio, come artefice, come garante, proprio perché possa alimentare dentro di noi la fede e mantenere viva questa speranza. E questa sicurezza: Dio mi ama. ‘Ma in questo momento brutto?’ – Dio mi ama. ‘E a me, che ho fatto questa cosa brutta e cattiva?’ – Dio mi ama. Quella sicurezza non ce la toglie nessuno. E dobbiamo ripeterlo come preghiera: Dio mi ama. Sono sicuro che Dio mi ama. Sono sicura che Dio mi ama”.

“Adesso comprendiamo perché l’Apostolo Paolo ci esorta a vantarci sempre di tutto questo. Io mi vanto dell’amore di Dio, perché mi ama. La speranza che ci è stata donata non ci separa dagli altri, né tanto meno ci porta a screditarli o emarginarli. Si tratta invece di un dono straordinario del quale siamo chiamati a farci ‘canali’, con umiltà e semplicità, per tutti. E allora il nostro vanto più grande sarà quello di avere come Padre un Dio che non fa preferenze, che non esclude nessuno, ma che apre la sua casa a tutti gli esseri umani, a cominciare dagli ultimi e dai lontani, perché come suoi figli impariamo a consolarci e a sostenerci gli uni gli altri. E non dimenticatevi: la speranza non delude. D’accordo? La speranza non delude”.

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Papa Francesco: fermare subito i piccoli risentimenti, distruggono fratellanza nel mondo

Posté par atempodiblog le 13 février 2017

Papa Francesco: fermare subito i piccoli risentimenti, distruggono fratellanza nel mondo
La distruzione delle famiglie e dei popoli inizia dalle piccole gelosie e invidie, bisogna fermare all’inizio i risentimenti che cancellano la fratellanza: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Una Messa che ha voluto offrire per padre Adolfo Nicolás, preposito generale della Compagnia di Gesù dal 2008 al 2016, che dopodomani torna in Oriente per il suo lavoro. “Che il Signore – ha detto Francesco – retribuisca tutto il bene fatto e lo accompagni nella nuova missione. Grazie, padre Nicolás”. Hanno partecipato alla celebrazione i membri del Consiglio dei Nove Cardinali, in Vaticano per la loro 18.ma riunione.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

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Fratellanza distrutta dalle piccole cose
Al centro dell’omelia del Papa, la prima Lettura, tratta dalla Genesi, che parla di Caino e Abele. Per la prima volta nella Bibbia “si dice la parola fratello”. E’ la storia “di una fratellanza che doveva crescere, essere bella e finisce distrutta”. Una storia – osserva il Papa – che comincia “con una piccola gelosia”: Caino è irritato perché il suo sacrificio non è gradito a Dio e inizia a coltivare quel sentimento dentro di sé. Potrebbe controllarlo ma non lo fa:

“E Caino preferì l’istinto, preferì cucinare dentro di sé questo sentimento, ingrandirlo, lasciarlo crescere. Questo peccato che farà dopo, che è accovacciato dietro il sentimento. E cresce. Cresce. Così crescono le inimicizie fra di noi: cominciano con una piccola cosa, una gelosia, un’invidia e poi questo cresce e noi vediamo la vita soltanto da quel punto e quella pagliuzza diventa per noi una trave, ma la trave l’abbiamo noi, ma è là. E la nostra vita gira intorno a quello e quello distrugge il legame di fratellanza, distrugge la fraternità”.

Il risentimento non è cristiano
Pian piano si diventa “ossessionati, perseguitati” da quel male, che cresce sempre di più:

“E così cresce, cresce l’inimicizia e finisce male. Sempre. Io mi distacco da mio fratello, questo non è mio fratello, questo è un nemico, questo dev’essere distrutto, cacciato via … e così si distrugge la gente, così le inimicizie distruggono famiglie, popoli, tutto! Quel rodersi il fegato, sempre ossessionato con quello. Questo è accaduto a Caino, e alla fine ha fatto fuori il fratello. No: non c’è fratello. Sono io soltanto. Non c’è fratellanza. Sono io soltanto. Questo che è successo all’inizio, accade a tutti noi, la possibilità; ma questo processo dev’essere fermato subito, all’inizio, alla prima amarezza, fermare. L’amarezza non è cristiana. Il dolore sì, l’amarezza no. Il risentimento non è cristiano. Il dolore sì, il risentimento no. Quante inimicizie, quante spaccature”.

Il sangue di tanta gente nel mondo grida a Dio dal suolo
Alla Messa a Santa Marta ci sono alcuni nuovi parroci, e il Papa dice: “Anche nei nostri presbiteri, nei nostri collegi episcopali: quante spaccature incominciano così! Ma perché a questo hanno dato quella sede e non a me? E perché questo? E … piccole cosine … spaccature … Si distrugge la fratellanza”. E Dio domanda: “Dov’è Abele, tuo fratello?”.  La risposta di Caino “è ironica”: “Non so: sono forse io il custode di mio fratello?”. “Sì, tu sei il custode di tuo fratello”. E il Signore dice: “La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo”. Ognuno di noi – afferma il Papa, e anche lui si mette nella lista – può dire di non aver mai ucciso nessuno:  ma “se tu hai un sentimento cattivo verso tuo fratello, lo hai ucciso; se tu insulti tuo fratello, lo hai ucciso nel tuo cuore. L’uccisione è un processo che incomincia dal piccolo”.  Così, sappiamo “dove sono quelli che sono bombardati” o “che sono cacciati” ma “questi non sono fratelli”:

“E quanti potenti della Terra possono dire questo … ‘A me interessa questo territorio, a me interessa questo pezzo di terra, questo altro … se la bomba cade e uccide 200 bambini, ma, non è colpa mia: è colpa della bomba. A me interessa il territorio …’. E tutto incomincia da quel sentimento che ti porta a staccarti, a dire a l’altro: ‘Questo è fulano [tizio], questo è così, ma non è fratello …’, e finisce nella guerra che uccide. Ma tu hai ucciso all’inizio. Questo è il processo del sangue, e il sangue oggi di tanta gente nel mondo grida a Dio dal suolo. Ma è tutto collegato, eh? Quel sangue là ha un rapporto – forse un piccolo goccetto di sangue – che con la mia invidia, la mia gelosia ho fatto io uscire, quando ho distrutto una fratellanza”.

Una lingua che distrugge il prossimo
Il Signore – è la preghiera conclusiva del Papa – oggi ci aiuti a ripetere questa sua domanda: « Dov’è tuo fratello? », ci aiuti a pensare a quelli che “distruggiamo con la lingua” e “a tutti quelli che nel mondo sono trattati come cose e non come fratelli, perché è più importante un pezzo di terra che il legame della fratellanza”.

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Un cristiano non può dire: me la pagherai

Posté par atempodiblog le 8 février 2017

Udienza generale. Un cristiano non può dire: me la pagherai. Ampia sintesi di Radio Vaticana
Papa Francesco ha tenuto stamane l’udienza generale in Aula Paolo VI proseguendo la catechesi sulla speranza cristiana. “Mercoledì scorso – ha detto – abbiamo visto che san Paolo, nella Prima Lettera ai Tessalonicesi, esorta a rimanere radicati nella speranza della risurrezione (cfr 5,4-11), con quella bella parola ‘saremo sempre con il Signore’. Nello stesso contesto, l’Apostolo mostra che la speranza cristiana non ha solo un respiro personale, individuale, ma comunitario, ecclesiale. Tutti noi speriamo. Tutti noi abbiamo speranza, ma anche comunitariamente”.

Un cristiano non può dire: me la pagherai dans Commenti al Vangelo Papa_Francesco

Sostenersi nella speranza
“Per questo, lo sguardo viene subito allargato da Paolo a tutte le realtà che compongono la comunità cristiana, chiedendo loro di pregare le une per le altre e di sostenersi a vicenda. Aiutarci a vicenda. Ma non solo aiutarci nei bisogni, nei tanti bisogni della vita quotidiana, ma aiutarci nella speranza, sostenerci nella speranza.

E non è un caso che cominci proprio facendo riferimento a coloro ai quali è affidata la responsabilità e la guida pastorale. Sono i primi ad essere chiamati ad alimentare la speranza, e questo non perché siano migliori degli altri, ma in forza di un ministero divino che va ben al di là delle loro forze. Per tale motivo, hanno quanto mai bisogno del rispetto, della comprensione e del supporto benevolo di tutti quanti”.

Vicinanza a chi è scoraggiato
“L’attenzione poi viene posta sui fratelli che rischiano maggiormente di perdere la speranza, di cadere nella disperazione. Ma noi sempre abbiamo notizie di gente che cade nella disperazione e fa cose brutte, no? La ‘dis-speranza’ li porta a tante cose brutte… Il riferimento è a chi è scoraggiato, a chi è debole, a chi si sente abbattuto dal peso della vita e delle proprie colpe e non riesce più a sollevarsi. In questi casi, la vicinanza e il calore di tutta la Chiesa devono farsi ancora più intensi e amorevoli, e devono assumere la forma squisita della compassione, che non è avere pietà: la compassione è patire con l’altro, soffrire con l’altro, avvicinarmi a quello che soffre con una parola, una carezza, ma che venga dal cuore, eh? Quella è la compassione! Hanno bisogno del conforto e della consolazione. Questo è quanto mai importante: la speranza cristiana non può fare a meno della carità genuina e concreta.

Lo stesso Apostolo delle genti, nella Lettera ai Romani, afferma con il cuore in mano: «Noi, che siamo i forti – che abbiamo la fede, la speranza o non abbiamo tante difficoltà – abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi» (15,1). Portare, eh? Portare le debolezze altrui. Questa testimonianza poi non rimane chiusa dentro i confini della comunità cristiana: risuona in tutto il suo vigore anche al di fuori, nel contesto sociale e civile, come appello a non creare muri ma ponti, a non ricambiare il male col male, a vincere il male con il bene, l’offesa con il perdono: il cristiano mai può dire: me la pagherai. Mai! Questo non è un gesto cristiano! L’offesa si vince con il perdono; a vivere in pace con tutti. Questa è la Chiesa! E questo è ciò che opera la speranza cristiana, quando assume i lineamenti forti e al tempo stesso teneri dell’amore. E l’amore è forte e tenero. E’ bello”.

Nessuno impara a sperare da solo
“Si comprende allora che non si impara a sperare da soli. Nessuno impara a sperare da solo. Non è possibile. La speranza, per alimentarsi, ha bisogno necessariamente di un “corpo”, nel quale le varie membra si sostengono e si ravvivano a vicenda. Questo allora vuol dire che, se speriamo, è perché tanti nostri fratelli e sorelle ci hanno insegnato a sperare e hanno tenuto viva la nostra speranza. E tra questi, si distinguono i piccoli, i poveri, i semplici, gli emarginati. Sì, perché non conosce la speranza chi si chiude nel proprio benessere: spera soltanto nel suo benessere e quello non è speranza: è sicurezza relativa; non conosce la speranza chi si chiude nel proprio appagamento, chi si sente sempre a posto… A sperare sono invece coloro che sperimentano ogni giorno la prova, la precarietà e il proprio limite. Sono questi nostri fratelli a darci la testimonianza più bella, più forte, perché rimangono fermi nell’affidamento al Signore, sapendo che, al di là della tristezza, dell’oppressione e della ineluttabilità della morte, l’ultima parola sarà la sua, e sarà una parola di misericordia, di vita e di pace. Chi spera, spera di sentire un giorno questa parola: ‘Vieni, vieni da me, fratello; vieni, vieni da me, sorella, per tutta l’eternità’”.

Senza lo Spirito Santo non si può avere speranza
“Cari amici, se — come abbiamo detto — la dimora naturale della speranza è un “corpo” solidale, nel caso della speranza cristiana questo corpo è la Chiesa, mentre il soffio vitale, l’anima di questa speranza è lo Spirito Santo. Senza lo Spirito Santo non si può avere speranza. Ecco allora perché l’Apostolo Paolo ci invita alla fine a invocarlo continuamente. Se non è facile credere, tanto meno lo è sperare. E’ più difficile sperare che credere, eh? E’ più difficile. Ma quando lo Spirito Santo abita nei nostri cuori, è Lui a farci capire che non dobbiamo temere, che il Signore è vicino e si prende cura di noi; ed è Lui a modellare le nostre comunità, in una perenne Pentecoste, come segni vivi di speranza per la famiglia umana. Grazie”.

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Papa: “Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche!”

Posté par atempodiblog le 31 janvier 2017

Papa: “Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche!”
“La felicità dei poveri in spirito ha una duplice dimensione: nei confronti dei beni e nei confronti di Dio. Riguardo ai beni materiali questa povertà in spirito è sobrietà: non necessariamente rinuncia, ma capacità di gustare l’essenziale, di condivisione; capacità di rinnovare ogni giorno lo stupore per la bontà delle cose, senza appesantirsi nell’opacità della consumazione vorace: più ho più voglio”.
di AsiaNews

Papa: “Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche!” dans Commenti al Vangelo Papa-Francesco
Immagine tratta da: Familia Cristiana

“Il povero in spirito è il cristiano che non fa affidamento su sé stesso, sulle sue ricchezze materiali, non si ostina sulle proprie opinioni, ma ascolta con rispetto e si rimette volentieri alle decisioni altrui”. Nella domenica nella quale il Vangelo propone il discorso delle Beatitudini, papa Francesco ha voluto sottolineare in particolare il senso della beatitudine dei poveri in spirito, commentando anche che “se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche!”.

Alle 30mila persone presenti in piazza san Pietro per la recita dell’Angelus, il Papa ha infatti ricordato che “la liturgia di questa domenica ci fa meditare sulle Beatitudini (cfr Mt 5,1-12a), che aprono il grande discorso detto ‘della montagna’, la ‘magna charta’ del Nuovo Testamento. Gesù manifesta la volontà di Dio di condurre gli uomini alla felicità. Questo messaggio era già presente nella predicazione dei profeti: Dio è vicino ai poveri e agli oppressi e li libera da quanti li maltrattano. Ma in questa sua predicazione Gesù segue una strada particolare: comincia con il termine «beati», cioè felici; prosegue con l’indicazione della condizione per essere tali; e conclude facendo una promessa. Il motivo della beatitudine, cioè della felicità, non sta nella condizione richiesta – per esempio «poveri in spirito», «afflitti», «affamati di giustizia», «perseguitati»… – ma nella successiva promessa, da accogliere con fede come dono di Dio. Si parte dalla condizione di disagio per aprirsi al dono di Dio e accedere al mondo nuovo, il «regno» annunciato da Gesù. Non è un meccanismo automatico questo, ma un cammino di vita al seguito del Signore, per cui la realtà di disagio e di afflizione viene vista in una prospettiva nuova e sperimentata secondo la conversione che si attua. Non si è beati se non si è convertiti, in grado di apprezzare e vivere i doni di Dio”.

“Mi soffermo sulla prima beatitudine: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (v. 4). Il povero in spirito è colui che ha assunto i sentimenti e l’atteggiamento di quei poveri che nella loro condizione non si ribellano, ma sanno essere umili, docili, disponibili alla grazia di Dio. La felicità dei poveri in spirito ha una duplice dimensione: nei confronti dei beni e nei confronti di Dio. Riguardo ai beni materiali questa povertà in spirito è sobrietà: non necessariamente rinuncia, ma capacità di gustare l’essenziale, di condivisione; capacità di rinnovare ogni giorno lo stupore per la bontà delle cose, senza appesantirsi nell’opacità della consumazione vorace: più ho più voglio. Questa è la consumazione vorace e questo uccide l’anima”. “Nei confronti di Dio è lode e riconoscimento che il mondo è benedizione e che alla sua origine sta l’amore creatore del Padre. Ma è anche apertura a Lui, è Lui il Signore, non io, è docilità alla sua signoria, che ha voluto il mondo per tutti gli uomini nella loro condizione di pochezza e di limite”.

“Il povero in spirito è il cristiano che non fa affidamento su sé stesso, sulle sue ricchezze materiali, non si ostina sulle proprie opinioni, ma ascolta con rispetto e si rimette volentieri alle decisioni altrui. Se nelle nostre comunità ci fossero più poveri in spirito, ci sarebbero meno divisioni, contrasti e polemiche! L’umiltà, come la carità, è una virtù essenziale per la convivenza nelle comunità cristiane. I poveri, in questo senso evangelico, appaiono come coloro che tengono desta la meta del Regno dei cieli, facendo intravedere che esso viene anticipato in germe nella comunità fraterna, che privilegia la condivisione al possesso. Questo vorrei sottolinearlo, privilegiare la comunione al possesso. La Vergine Maria, modello e primizia dei poveri in spirito perché totalmente docile alla volontà del Signore, ci aiuti ad abbandonarci a Dio, ricco di misericordia, affinché ci ricolmi dei suoi doni, specialmente dell’abbondanza del suo perdono”.

Anche quest’anno, dopo la recita della preghiera mariana, accanto a Francesco si sono affacciati due ragazzi dell’Azione cattolica delle parrocchie e delle scuole cattoliche di Roma. I ragazzi, a conclusione della ‘Carovana della Pace’, il cui slogan è Circondati di Pace, hanno letto un messaggio a favore della pace, dopo il quale dalla piazza sono stati lanciati dei palloncini colorati.

Il Papa ha infine ricordato che si celebra oggi la Giornata mondiale dei malati di lebbra. “Questa malattia, pur essendo in regresso, è ancora tra le più temute e colpisce i più poveri ed emarginati. È importante lottare contro questo morbo, ma anche contro le discriminazioni che esso genera. Incoraggio quanti sono impegnati nel soccorso e nel reinserimento sociale delle persone colpite dalla lebbra, per le quali assicuriamo la nostra preghiera”.

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“La missione non è proselitismo, no ad ogni arroganza”

Posté par atempodiblog le 9 janvier 2017

“La missione non è proselitismo, no ad ogni arroganza”
All’Angelus il Papa esorta ad «annunciare il Vangelo con mitezza, senza imposizione»

di Giacomo Galeazzi – La Stampa

“La missione non è proselitismo, no ad ogni arroganza” dans Commenti al Vangelo Angelus_di_Papa_Francesco

Appello di Francesco ad «annunciare il Vangelo con mitezza e fermezza, senza arroganza o imposizione». Conclusa la messa con l’amministrazione del battesimo ad un gruppo di bambini nella Cappella Sistina, alle 12 Francesco si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini riuniti numerosi in piazza San Pietro anche in una delle giornate più fredde dell’anno. Poi aggiunge a braccio:

«In questi giorni di tanto freddo penso e vi invito a pensare a tutte le persone che vivono per la strada, colpite dal freddo e tante volte dall’indifferenza. Purtroppo alcuni non ce l’hanno fatta. Preghiamo per loro e chiediamo al Signore di scaldarci il cuore per poterli aiutare».

«Questa festa ci fa riscoprire il dono e la bellezza di essere un popolo di battezzati, cioè di peccatori salvati dalla grazia di Cristo, inseriti realmente, per opera dello Spirito Santo, nella relazione filiale di Gesù con il Padre, accolti nel seno della madre Chiesa, resi capaci di una fraternità che non conosce confini e barriere – sostiene Jorge Mario Bergoglio. La Vergine Maria aiuti tutti noi cristiani a conservare una coscienza sempre viva e riconoscente del nostro Battesimo e a percorrere con fedeltà il cammino inaugurato da questo Sacramento della nostra rinascita».

Il Papa ricorda che «la vera missione non è mai proselitismo ma attrazione a Cristo, a partire dalla forte unione con Lui nella preghiera, nell’adorazione e nella carità concreta, che è servizio a Gesù presente nel più piccolo dei fratelli». Perciò, ribadisce il Pontefice, «ad imitazione di Gesù, pastore buono e misericordioso, e animati dalla sua grazia, siamo chiamati a fare della nostra vita una testimonianza gioiosa che illumina il cammino, che porta speranza e amore».

Francesco sottolinea che «nel contesto della festa del Battesimo del Signore, stamattina ho battezzato un bel gruppo di neonati». Ed esorta i fedeli a pregare per loro e per le loro famiglie: «Ieri pomeriggio – confida – ho battezzato un giovane catecumeno. Vorrei estendere la mia preghiera a tutti i genitori che in questo periodo si stanno preparando al Battesimo di un loro figlio, o lo hanno appena celebrato – afferma.

Invoco lo Spirito Santo su di loro e sui bambini, perché questo Sacramento, così semplice e nello stesso tempo così importante, sia vissuto con fede e con gioia. Vorrei inoltre invitare ad unirsi alla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, che diffonde, anche attraverso le reti sociali, le intenzioni di preghiera che propongo ogni mese a tutta la Chiesa. Così si porta avanti l’apostolato della preghiera e si fa crescere la comunione».

Francesco commenta la liturgia della parola. «Oggi, festa del Battesimo di Gesù, il Vangelo ci presenta la scena avvenuta presso il fiume Giordano: in mezzo alla folla penitente che avanza verso Giovanni il Battista per ricevere il battesimo c’è anche Gesù – afferma il Papa -; Giovanni vorrebbe impedirglielo dicendo: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te”. Il Battista infatti è consapevole della grande distanza che c’è tra lui e Gesù». Ma Gesù, sottolinea il Papa, «è venuto proprio per colmare la distanza tra l’uomo e Dio: se Egli è tutto dalla parte di Dio, è anche tutto dalla parte dell’uomo, e riunisce ciò che era diviso».

Per questo «chiede a Giovanni di battezzarlo, perché si adempia ogni giustizia, cioè si realizzi il disegno del Padre che passa attraverso la via dell’obbedienza e della solidarietà con l’uomo fragile e peccatore, la via dell’umiltà e della piena vicinanza di Dio ai suoi figli».

Quindi, prosegue Jorge Mario Bergoglio, «nel momento in cui Gesù, battezzato da Giovanni, esce dalle acque del fiume Giordano, la voce di Dio Padre si fa sentire dall’alto: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. E nello stesso tempo lo Spirito Santo, in forma di colomba, si posa su Gesù, che dà pubblicamente avvio alla sua missione di salvezza».

Una missione, evidenzia il Papa, «caratterizzata dallo stile del servo umile e mite, munito solo della forza della verità, come aveva profetizzato Isaia: “Non griderà, né alzerà il tono, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità”; ecco lo stile missionario dei discepoli di Cristo».

Dopo la preghiera mariana Francesco saluta «tutti voi, fedeli di Roma e pellegrini italiani e di vari Paesi, in particolare il gruppo di giovani di Cagliari, che incoraggio a proseguire il cammino iniziato con il Sacramento della Confermazione e li ringrazio perché mi offrono l’occasione di sottolineare che la Confermazione o Cresima non è solo un punto di arrivo, ma anche e soprattutto un punto di partenza nella vita cristiana. Avanti, con la gioia del Vangelo».

Infine augura «a tutti una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci».

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La sua forza e il suo potere si chiama Misericordia

Posté par atempodiblog le 7 janvier 2017

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“Scoprire che lo sguardo di questo Re sconosciuto – ma desiderato – non umilia, non schiavizza, non imprigiona.

Scoprire che lo sguardo di Dio rialza, perdona, guarisce.

Scoprire che Dio ha voluto nascere là dove non lo aspettavamo, dove forse non lo vogliamo. O dove tante volte lo neghiamo.

Scoprire che nello sguardo di Dio c’è posto per gli ultimi, feriti, gli affaticati, i maltrattati e gli abbandonati: che la sua forza e il suo potere si chiama Misericordia.

Com’è lontana, per alcuni, Gerusalemme da Betlemme!”.

Papa Francesco

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I “Santi Innocenti” del Vangelo e quelli di oggi

Posté par atempodiblog le 28 décembre 2016

I “Santi Innocenti” del Vangelo e quelli di oggi
La Chiesa commemora i bambini di Betlemme fatti uccidere da Erode per eliminare il neonato Gesù. Così simili ai tanti minori violentati da guerre e manipolazioni scatenate dagli adulti. Papa Francesco ha parlato diffusamente anche di loro, nell’omelia per la notte di Natale. Mentre il Patriarca ecumenico Bartolomeo chiede che il 2017 diventi sia proclamato «Anno della sacralità dell’infanzia»
di Gianni Valente – Vatican Insider

I “Santi Innocenti” del Vangelo e quelli di oggi dans Articoli di Giornali e News Ges_Bambino
La Chiesa commemora i bambini di Betlemme fatti uccidere da Erode per eliminare il neonato Gesù, così simili ai tanti minori violentati da guerre e manipolazioni scatenate dagli adulti

Oggi la liturgia della Chiesa cattolica fa memoria dei santi innocenti. Sono le vittime della strage degli innocenti, i i bambini sotto i due anni che secondo il Vangelo Erode fece ammazzare nella regione di Betlemme, per essere sicuro di eliminare tra loro anche Gesù, appena nato. La Chiesa li celebra tre giorni dopo il Natale, per sottolineare che la loro vicenda tragica ha un legame misterioso con la promessa di salvezza entrata nel mondo con la nascita di Cristo. 

Ci sono tanti santi innocenti anche oggi. Le foto e i filmati dagli scenari di guerra li mostrano mentre magari giocano tra le macerie delle loro case o quando riescono a divertirsi perfino tuffandosi nelle nei crateri creati dalle bombe che si sono riempiti d’acqua, che loro usano come se fossero piccole piscine. 

Non c’è niente di più umanamente insostenibile del dolore dei bambini. E non c’è niente di più diabolico del dolore provocato ai bambini. Ne hanno accennato, nelle loro parole per il Natale, sia Papa Francesco sia Bartolomeo, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, con una sincronia eloquente. Il Successore di Pietro, nella omelia della notte di Natale, guardando al mistero della nascita di Gesù, ha invitato a lasciarsi interpellare «anche dai bambini che, oggi, non sono adagiati in una culla e accarezzati dall’affetto di una madre e di un padre, ma giacciono nelle squallide “mangiatoie di dignità”: nel rifugio sotterraneo per scampare ai bombardamenti, sul marciapiede di una grande città, sul fondo di un barcone sovraccarico di migranti». I bambini «che non vengono lasciati nascere», quelli «che piangono perché nessuno sazia la loro fame», quelli «che non tengono in mano giocattoli, ma armi». 

Il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, nella sua lettera enciclica per il Natale 2016, ha chiesto di proclamare il 2017 come Anno della sacralità dell’infanzia. «I bambini e le bambine di oggi – ha rimarcato il Successore di Andrea nel suo appello natalizio – non sono solo vittime delle guerre e delle migrazioni forzate», ma sono minacciati anche nei Paesi economicamente sviluppati e politicamente stabili, dove vengono manipolati dalla televisione e da internet, e da un’economia che mira solo a trasformarli «fin dalla giovane età in consumatori». Nella sua Lettera natalizia, il Primus inter pares tra i primati delle Chiese ortodosse ha riproposto le frasi del Vangelo in cui si condensa la predilezione di Gesù per i bambini: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli»; e «chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». Dio – scrive Bartolomeo nella sua ultima Lettera enciclica – si rivela al mondo col «cuore puro e la semplicità di un bambino», e i bambini «comprendono verità che sfuggono alle persone sapienti». Nel suo messaggio, il Patriarca ecumenico cita anche il poeta greco Odisseas Elytis: «Si può costruire Gerusalemme solo coi bambini!» 

I Santi Innocenti del Vangelo sono i primi ad essere uccisi a causa di Cristo, anzi al posto di Cristo, senza neanche saperlo. Sono il fiore dei martiri, come scrive il poeta francese Charles Péguy nel suo Il Mistero dei Santi Innocenti. La sofferenza degli innocenti, che altri scrittori – a cominciare da Albert Camus – vedono come l’emblema del male invincibile e la prova dell’inesistenza di Dio, per Péguy può essere abbracciata solo nel mistero di una salvezza donata e ricevuta gratuitamente. Così, i Santi innocenti vanno in Paradiso senza aver avuto neanche il tempo di fare del bene. E Péguy se li immagina che giocano anche lì, usando le corone del martirio per il gioco dei cerchietti, sorprendendo e allietando così il cuore stesso di Dio. 

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Il parto indolore della Madre di Dio

Posté par atempodiblog le 24 décembre 2016

Il parto indolore della Madre di Dio
del servo di Dio don Dolindo Ruotolo

Il parto indolore della Madre di Dio dans Commenti al Vangelo natale

Ora, la bella aurora della nascita del Re d’Amore era Maria nell’elevazione del suo amore, e la stella tremolante in adorazione era san Giuseppe. Maria era tutta un fulgore di contemplazione e di estasi. Bella nella sua innocenza purissima, circondata da un tenue nembo di luce che la delineava nella notte come placida luna nel firmamento, genuflessa, con le mani congiunte e lo sguardo al cielo, era l’immagine del seno del Padre, e rifletteva da sé qualche barlume dell’eterno mistero.

Contemplava.

Si trovava tra l’eternità senza tempo ed i tempi carichi di secoli; mirava nell’eternità il Verbo, termine dell’eterna generazione del Padre, e mirava nel tempo il percorso dei secoli delle promesse che terminavano in Lei con la generazione temporale del Verbo nell’umana carne.

Era tutta avvolta dalla luce dell’eterna armonia, ed era Essa tutta un’armonia di amore. La grazia rigurgitava per così dire in Lei, tanta ne era l’abbondanza, ed essa vi era immersa in un placidissimo riposo.

Contemplava il cielo, ed un sorriso le sfiorava le labbra nella gioia immensa che vi regnava; contemplava nel suo seno il Verbo eterno che vedeva nel Padre, e la sua vita mortale s’illuminava di splendori eccelsi, poiché essa era Madre di Dio. L’Amore eterno, che l’aveva fecondata, la illuminava tutta ed Essa a poco a poco si trasumanava. Sembrava tutta luce e, come un ferro incandescente nel fùoco, brillava, perché traspariva da Lei il Verbo Incarnato.

Il suo corpo immacolato era come spirito, sembrava trasparente, anzi evanescente nella luce del Verbo. L’eterna vita affiorava dalla piccola creatura umana e la passava come raggio che attraversa un cristallo.

Oh, prodigio di Dio! Le madri sentono dolori immani quando un figlio viene alla luce, e sentono strapparsi quasi la vita dalla piccola vita che irrompe nel mondo; Maria invece sentiva una gioia immensa a misura che il momento della sua maternità s’avanzava. L’amore quasi la liquefaceva ed il suo corpo sembrava fluido come una cascata di fulgori placidissimi.

Fu un momento sublime: tratta a Dio si sentì tutta immersa nella conoscenza dell’infinita sua grandezza, la contemplò amandola, e volle applaudirla con una lode proporzionata che avrebbe voluto trarre dal pieno olocausto di se stessa.

Le ritornò sulle labbra il suo cantico: Magnificat anima mea Dominum e, nell’elevarlo innanzi a Dio con tutto l’impeto del suo amore, non eruppe dal suo cuore una parola ma il Verbo, la lode eterna del Padre, e s’adagiò sul terreno come un raggio di luce, lodando il Padre nell’umana carne. Era l’umiliato per amore e vagì.

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Papa Francesco: rigidità e mondanità, un disastro per i sacerdoti

Posté par atempodiblog le 10 décembre 2016

Papa Francesco: rigidità e mondanità, un disastro per i sacerdoti
I sacerdoti siano mediatori dell’amore di Dio, non intermediari che pensano al proprio interesse. E’ il monito di Papa Francesco nell’omelia alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, tutta incentrata sulle tentazioni che possono mettere a rischio il servizio dei sacerdoti. Il Papa ha messo in guardia dai “rigidi” che caricano sui fedeli cose che loro non portano. Ancora, ha denunciato la tentazione della mondanità che trasforma il sacerdote in un funzionario e lo porta ad essere “ridicolo”.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

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Sono come bambini ai quali offri una cosa e non gli piace, gli offri il contrario e non va bene lo stesso. Papa Francesco ha preso spunto dalle parole di Gesù che, nel Vangelo odierno, sottolinea l’insoddisfazione del popolo, mai contento. Anche oggi, ha subito osservato il Pontefice, “ci sono cristiani insoddisfatti – tanti – che non riescono a capire cosa il Signore ci ha insegnato, non riescono a capire il nocciolo proprio della rivelazione del Vangelo”. Quindi, si è soffermato sui preti “insoddisfatti” che, ha avvertito, “fanno tanto male”. Vivono insoddisfatti cercano sempre nuovi progetti, “perché il loro cuore è lontano dalla logica di Gesù” e per questo “si lamentano o vivono tristi”.

No ai sacerdoti intermediari, sì a sacerdoti mediatori dell’amore di Dio
La logica di Gesù, ha ripreso, dovrebbe dare invece “piena soddisfazione” a un sacerdote. “E’ la logica del mediatore”. “Gesù – ha sottolineato – è il mediatore fra Dio e noi. E noi dobbiamo prendere questa strada di mediatori”, “non l’altra figura che assomiglia tanto ma non è la stessa: intermediari”. L’intermediario, infatti, “fa il suo lavoro e prende la paga”, “lui mai perde”. Totalmente diverso è il mediatore:

“Il mediatore perde se stesso per unire le parti, dà la vita, se stesso, il prezzo è quello: la propria vita, paga con la propria vita, la propria stanchezza, il proprio lavoro, tante cose, ma – in questo caso il parroco – per unire il gregge, per unire la gente, per portarla a Gesù. La logica di Gesù come mediatore è la logica di annientare se stesso. San Paolo nella Lettera ai Filippesi è chiaro su questo: ‘Annientò se stesso, svuotò se stesso’ ma per fare questa unione, fino alla morte, morte di croce. Quella è la logica: svuotarsi, annientarsi”.

Il sacerdote autentico, ha soggiunto, “è un mediatore molto vicino al suo popolo”, l’intermediario invece fa il suo lavoro ma poi ne prende un altro “sempre come funzionario”, “non sa cosa significhi sporcarsi le mani” in mezzo alla realtà. Ed è per questo, ha ribadito, che quando “il sacerdote cambia da mediatore a intermediario non è felice, è triste”. E cerca un po’ di felicità “nel farsi vedere, nel far sentire l’autorità”.

La rigidità porta ad allontanare le persone che cercano consolazione
Agli intermediari del suo tempo, ha aggiunto, “Gesù diceva che piaceva loro passeggiare per le piazze” per farsi vedere e onorare:

“Ma anche per rendersi importanti, i sacerdoti intermediari prendono il cammino della rigidità: tante volte, staccati dalla gente, non sanno che cos’è il dolore umano; perdono quello che avevano imparato a casa loro, col lavoro del papà, della mamma, del nonno, della nonna, dei fratelli… Perdono queste cose. Sono rigidi, quei rigidi che caricano sui fedeli tante cose che loro non portano, come diceva Gesù agli intermediari del suo tempo. La rigidità. Frusta in mano col popolo di Dio: ‘Questo non si può, questo non si può…’. E tanta gente che si avvicina cercando un po’ di consolazione, un po’ di comprensione viene cacciata via con questa rigidità”.

Quando il sacerdote rigido e mondano diventa funzionario finisce nel ridicolo
Tuttavia, ha ammonito, la rigidità “non si può mantenere tanto tempo, totalmente. E fondamentalmente è schizoide: finirai per apparire rigido ma dentro sarai un disastro”. E con la rigidità, la mondanità. “Un sacerdote mondano, rigido – ha detto Francesco – è uno insoddisfatto perché ha preso la strada sbagliata”:

“Su rigidità e mondanità, è successo tempo fa che è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo – lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o (che stava) per diventare prete – davanti allo specchio, con un mantello, grande, largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il ‘saturno’, l’ha messo e si guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote – è saggio quel monsignore, molto saggio – è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: ‘E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne!’. Così che il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre”.

Un buon sacerdote si riconosce se sa giocare con un bambino
“Nell’esame di coscienza – ha detto poi il Papa – considerate questo: oggi sono stato funzionario o mediatore? Ho custodito me stesso, ho cercato me stesso, la mia comodità, il mio ordine o ho lasciato che la giornata andasse al servizio degli altri?”. Una volta, ha raccontato, una persona mi “diceva che lui riconosceva i sacerdoti dall’atteggiamento con i bambini: se sanno carezzare un bambino, sorridere a un bambino, giocare con un bambino… E’ interessante questo perché significa che sanno abbassarsi, avvicinarsi alle piccole cose”. Invece, ha affermato, “l’intermediario è triste, sempre con quella faccia triste o troppo seria, faccia scura. L’intermediario ha lo sguardo scuro, molto scuro! Il mediatore – ha ripreso – è aperto: il sorriso, l’accoglienza, la comprensione, le carezze”.

Policarpo, San Francesco Saverio, San Paolo: tre icone di sacerdoti mediatori
Nella parte finale dell’omelia il Papa ha quindi proposto, tre “icone” di “sacerdoti mediatori e non intermediari”. Il primo è il “grande” Policarpo che “non negozia la sua vocazione e va coraggioso alla pira e quando il fuoco viene intorno a lui, i fedeli che erano lì, hanno sentito l’odore del pane”. “Così – ha detto – finisce un mediatore: come un pezzo di pane per i suoi fedeli”.

L’altra icona è San Francesco Saverio, che muore giovane sulla spiaggia di San-cian, “guardando la Cina” dove voleva andare ma non potrà perché il Signore lo prende a Sé.

E poi, l’ultima icona: l’anziano San Paolo alle Tre Fontane. “Quella mattina presto – ha rammentato – i soldati sono andati da lui, l’hanno preso, e lui camminava incurvato”. Sapeva benissimo che questo accadeva per il tradimento di alcuni all’interno della comunità cristiana ma lui ha lottato tanto, tanto, nella sua vita, che si offre al Signore come un sacrificio”.

I sacerdoti e il desiderio di terminare la vita in croce
“Tre icone – ha concluso – che possono aiutarci. Guardiamo lì: come voglio finire la mia vita di sacerdote? Come funzionario, come intermediario o come mediatore, cioè in croce?”.

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Misericordia, parola nel deserto

Posté par atempodiblog le 21 novembre 2016

Misericordia, parola nel deserto
Oltre centomila fedeli in piazza San Pietro per la chiusura del Giubileo della Misericordia. «Ma lasciamo aperta la porta del perdono» ha detto il Papa.
di Gian Guido Vecchi – Corriere della Sera

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«Riscoprire il centro, ritornare all’essenziale» del Vangelo oltre la tentazione del potere e «le appaganti sicurezze offerte dal mondo». Tra i settantamila di piazza San Pietro si fa silenzio, mentre Francesco si avvicina alla facciata della Basilica per chiudere la Porta Santa e con essa il Giubileo della Misericordia, qualche istante di raccoglimento e poi quasi solo il rumore di cardini e battenti.

In realtà l’Anno Santo non era cominciato qui, l’8 dicembre 2015, ma nove giorni prima nel Centrafrica in guerra civile, con i caschi blu dell’Onu intorno alla cattedrale di mattoni rossi, impastati con la terra del fiume Ubangi: il Papa che il 29 novembre dell’anno scorso apre per la prima volta una Porta Santa fuori da Roma e definisce Bangui «capitale spirituale» di un mondo afflitto dal «virus dell’inimicizia», quella che ha più volte definito la «terza guerra mondiale combattuta a pezzi». E ora, nell’omelia della messa conclusiva, è come se Francesco riepilogasse il senso di un Giubileo aperto in tutte
le diocesi del mondo (2.089 circoscrizioni, più di diecimila Porte Sante) e che «fuori dal fragore delle cronache», fa notare, ha visto arrivare a Roma più di 21 milioni di pellegrini (21.292.926). Un Giubileo sobrio, alieno da «kermesse» e grandi eventi e attento alla preghiera più che all’indotto, perché la Chiesa torni all’essenziale: «Quante volte siamo stati tentati di scendere dalla croce. La forza di attrazione del potere e del successo è sembrata una via facile e rapida per diffondere il Vangelo, dimenticando in fretta come opera il regno di Dio».

La piazza è gremita, sono arrivati anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il premier Matteo Renzi. Francesco alza lo sguardo e sillaba: «La misericordia, portandoci al cuore del Vangelo, ci esorta a rinunciare ad abitudini e consuetudini che possono ostacolare il servizio al regno di Dio, a trovare il nostro orientamento solo nella perenne e umile regalità di Gesù e non nell’adeguamento alle precarie regalità e ai mutevoli poteri di ogni epoca». Il Giubileo in questo senso non è finito, stamattina sarà diffusa la lettera apostolica Misericordia et misera : «Anche se si chiude la Porta Santa, rimane sempre spalancata per noi la vera porta della misericordia, che è il Cuore di Cristo. Dal costato squarciato del Risorto scaturiscono fino alla fine dei tempi la misericordia, la consolazione e la speranza». Francesco ha voluto che l’Anno Santo si chiudesse nel giorno della solennità di «Cristo Re dell’Universo».

Ma Gesù alla fine «appare senza potere e senza gloria: è sulla croce, dove sembra più un vinto che un vincitore». E di fronte a questa «regalità paradossale», ci possono essere tre possibili reazioni che Francesco riassume con tre immagini della Crocifissione. C’è il buon ladrone che «non si è chiuso in se stesso» ma con i suoi peccati «ha chiesto di essere ricordato e ha provato la misericordia di Dio», l’immagine del Giubileo. E poi ci sono due tentazioni. La prima è quella del «popolo che stava a vedere», la tentazione di tenere le distanze invece di «avvicinarsi e farsi prossimi» a chi soffre. La
seconda, «la più terribile», è quella di coloro che chiedono a Gesù di salvare se stesso, come fece Satana: «È un attacco diretto all’amore: “salva te stesso”, non gli altri, prevalga l’io con la sua forza, la sua gloria, il suo successo».

È la tentazione del potere, del denaro. Intervistato dall’emittente dei vescovi, Francesco dice: «Il nemico più grande di Dio è il denaro. Perché il denaro è l’idolo, in questo mondo sembra che comandi. Il denaro è uno strumento fatto per servire, la povertà è al cuore del Vangelo e Gesù parla di questo scontro: Dio e il denaro, due signori, due padroni. Il diavolo sempre entra per le tasche. Si deve lottare per fare una Chiesa povera per i poveri, secondo il Vangelo. Si deve lottare». Poi rispondendo a una domanda sul segreto che lo mantiene pieno di energie alla soglia degli 80 anni ha spiegato: «Io prego: quello mi aiuta tanto. Poi dormo bene: è una grazia del Signore. Dormo come un legno. Il giorno delle scosse del terremoto, non ho sentito nulla».

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Il Papa: “Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia è tra noi”

Posté par atempodiblog le 19 novembre 2016

Il Papa: “Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia è tra noi”
Il concistoro di Francesco che ha consegnato la berretta rossa a diciassette nuovi cardinali: «Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Lui ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Il Nostro Padre non aspetta ad amare il mondo quando saremo buoni». Il Pontefice e i nuovi porporati salgono su due pulmini e vanno a incontrare Ratzinger
di Andrea Tornielli – Vatican Insider

Il Papa: “Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia è tra noi” dans Andrea Tornielli Concistoro_creazione_nuovi_cardinali
Il terzo concistoro di Papa Francesco per la creazione di nuovi cardinali

«Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi! Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni. Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore». Il Papa predica ai cardinali del concistoro, nel giorno in cui vengono incorporati nel collegio diciassette nuovi porporati, tredici con meno di ottant’anni e dunque elettori in un eventuale conclave, più quattro ultraottantenni. E in un tempo in cui nel mondo, ma anche nella Chiesa, sembrano prevalere le polarizzazioni, invita a tornare all’essenziale della missione nel segno della misericordia.

Apre la lista dei porporati l’italiano Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria – che apre la lista e nel suo saluto ha ricordato come alcuni cardinali vengono «da luoghi dove molti, milioni, sono i “malcapitati”, adulti e bambini, lasciati morti o mezzi morti sulle strade dei loro villaggi e quartieri, o sotto le macerie delle proprie case e scuole, a causa di efferate violenze e di sanguinosi, disumani e inestricabili conflitti». Quindi seguono Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui (Repubblica Centrafricana); Carlos Osoro Sierra, arcivescovo di Madrid (Spagna); Sérgio Da Rocha, arcivescovo di Brasilia (Brasile); Blase Joseph Cupich, arcivescovo di Chicago (USA); Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dhaka (Bangladesh), Baltazar Enrique Porras Cardozo, arcivescovo di Mérida (Venezuela); Jozef De Kesel, arcivescovo di Malines-Bruxelles (Belgio); Maurice Piat, vescovo di Port-Louis (Isole Mauritius); Kevin Joseph Farrell, Prefetto del dicastero per i laici e la famiglia (USA); Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Tlalnepantla (Messico); John Ribat, arcivescovo di Port Moresby (Papua Nuova Guinea); Joseph William Tobin, arcivescovo di Newark (USA); Antony Soter Fernandez, arcivescovo emerito di Kuala Lumpur (Malesia); Renato Corti, vescovo emerito di Novara (Italia); S ebastian Koto Khoarai, vescovo emerito di Mohale’s Hoek (Leshoto); don Ernst Simoni, prete della diocesi di Shkodrë-Pult (Albania). Dei diciassette nominati, uno, l’africano Koto Khoarai, primo cardinale del Leshoto, non è presente a Roma. Non era in condizioni di affrontare il viaggio e riceverà la berretta dalle mani del nunzio apostolico in Sud Africa, Peter Brian Wells nei prossimi giorni.

Nell’omelia Bergoglio ha commentato il brano evangelico: dopo l’istituzione dei dodici apostoli, Gesù discese «dove una moltitudine lo aspettava per ascoltarlo e per farsi guarire. La chiamata degli apostoli è accompagnata da questo mettersi in cammino verso la pianura». L’elezione, «li conduce al cuore della folla» e così «il Signore rivela a loro e a noi che la vera vetta si raggiunge nella pianura», e «specialmente in una chiamata: siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso». Questo invito è accompagnato da quattro esortazioni: «amate, fate il bene, benedite e pregate», azioni che «facilmente realizziamo con i nostri amici».

Il problema però sorge, ha aggiunto Francesco, «quando Gesù ci presenta i destinatari di queste azioni», dicendo: «Amate i vostri nemici, fate il bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male». E queste «non sono azioni che vengono spontanee». Di fronte ad avversari e nemici, infatti, «il nostro atteggiamento primario e istintivo è quello di squalificarli, screditarli, maledirli; in molti casi cerchiamo di demonizzarli, allo scopo di avere una “santa” giustificazione per toglierceli di torno». È questa, osserva ancora il Pontefice, una delle «caratteristiche più proprie del messaggio di Gesù», da lì «proviene la potenza della nostra missione». Il nemico è «qualcuno che devo amare. Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Dio ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Dio ha figli e non precisamente per toglierseli di torno».

«Il Nostro Padre – ha detto ancora Francesco – non aspetta ad amare il mondo quando saremo buoni, non aspetta ad amarci quando saremo meno ingiusti o perfetti; ci ama perché ha scelto di amarci, ci ama perché ci ha dato lo statuto di figli. Ci ha amato anche quando eravamo suoi nemici. L’amore incondizionato del Padre verso tutti è stato, ed è, vera esigenza di conversione per il nostro povero cuore che tende a giudicare, dividere, opporre e condannare. Sapere che Dio continua ad amare anche chi lo rifiuta è una fonte illimitata di fiducia e stimolo per la missione».

Bergoglio ha ricordato che il nostro è un tempo «in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti. Vediamo, ad esempio – ha spiegato – come rapidamente chi sta accanto a noi non solo possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status di nemico». Nemico «perché viene da una terra lontana o perché ha altre usanze», per «il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua condizione sociale» o perché «pensa in maniera diversa e anche perché ha un’altra fede». E poco a poco, «senza che ce ne rendiamo conto, questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di procedere. Quindi, tutto e tutti cominciano ad avere sapore di inimicizia» e le differenze «si trasformano in sintomi di ostilità, minaccia e violenza».

«Quante ferite si allargano a causa di questa epidemia di inimicizia e di violenza - osserva ancora Francesco – che si imprime nella carne di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell’indifferenza! Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi!».

«Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni – sottolinea il Pontefice per ribadire come questo male colpisca anche all’interno della Chiesa – Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore, perché andrebbe contro la ricchezza e l’universalità della Chiesa che possiamo toccare con mano in questo collegio cardinalizio». Un collegio dove differenze di usanze, colore di pelle e lingue rappresenta invece «una delle nostre più grandi ricchezze».

«Come Chiesa – ha concluso Francesco – continuiamo ad essere invitati ad aprire i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità. Caro fratello neo cardinale, il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella quotidianità della vita spezzata e condivisa, di una vita spesa e donata. Nel dono quotidiano e silenzioso di ciò che siamo. La nostra vetta è questa qualità dell’amore; la nostra meta e aspirazione è cercare nella pianura della vita, insieme al Popolo di Dio, di trasformarci in persone capaci di perdono e di riconciliazione».

La formula della creazione prevede il giuramento dei nuovi cardinali, quindi l’imposizione della berretta e la consegna dell’anello cardinalizio con l’assegnazione del titolo o della diaconia. Durante il rito, l’unico neo-cardinale al quale il Papa si è inchinato è Ernst Simoni, l’unico non vescovo, prete che ha subito la persecuzione in Albania.

Il Pontefice e i nuovi cardinali, al termine della celebrazione, salgono su due pulmini e si recano al Monastero Mater Ecclesiae per incontrare il Papa emerito Benedetto XVI.

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Papa: non lasciarsi ingannare, Dio non ci abbandona mai

Posté par atempodiblog le 14 novembre 2016

Papa: non lasciarsi ingannare, Dio non ci abbandona mai
Le costruzioni umane, “anche le più sacre”, sono “passeggere” e non bisogna riporre sicurezza né in esse né nei “falsi messia” che speculano sui bisogni delle persone: l’unica certezza è che la nostra vita è nelle “mani” del Signore, perché Dio “non ci abbandona mai”. Così il Papa all’Angelus domenicale, in cui ha esortato pure a non dimenticare quanti nel mondo non hanno cibo e acqua. Quindi ha ricordato l’odierna chiusura delle Porte Sante nelle chiese cattedrali di tutto il mondo, in vista della conclusione del Giubileo della Misericordia.
di Giada Aquilino – Radio Vaticana

Papa: non lasciarsi ingannare, Dio non ci abbandona mai dans Commenti al Vangelo Papa_Francesco

La nostra vita “non si può perdere” perché è nelle “mani” del Signore. È una certezza quella che Papa Francesco trasmette all’Angelus in Piazza San Pietro. Gesù, spiega, sa che “c’è sempre chi specula sul bisogno umano di sicurezze”: mette in guardia quindi dai tanti “falsi messia” che “anche oggi ci sono” ed esorta a “non farsi terrorizzare e disorientare da guerre, rivoluzioni e calamità”, perché anch’esse fanno parte “della realtà di questo mondo”.

“La storia della Chiesa è ricca di esempi di persone che hanno sostenuto tribolazioni e sofferenze terribili con serenità, perché avevano la consapevolezza di essere saldamente nelle mani di Dio. Egli è un Padre fedele, è un Padre premuroso, che non abbandona i suoi figli. Dio non ci abbandona mai! E questa certezza dobbiamo averla nel cuore: Dio non ci abbandona mai”.

Riflettendo sul brano evangelico di Luca dedicato al discorso di Gesù “sugli ultimi tempi”, pronunciato di fronte al tempio di Gerusalemme, il Pontefice sottolinea come Cristo voglia far capire, pure “a noi oggi”, che le costruzioni umane, “anche le più sacre”, sono “passeggere” e non bisogna riporre in esse la nostra sicurezza:

“Quante presunte certezze nella nostra vita pensavamo fossero definitive e poi si sono rivelate effimere! D’altra parte, quanti problemi ci sembravano senza uscita e poi sono stati superati”.

Chiaro, osserva il Papa, il compito della comunità cristiana “per andare incontro al ‘giorno del Signore’”, affidandosi alla Vergine Maria perché ci aiuti a capire “in profondità” la verità:

“Rimanere saldi nel Signore, in questa certezza che Egli non ci abbandona mai, camminare nella speranza, lavorare per costruire un mondo migliore, nonostante le difficoltà e gli avvenimenti tristi che segnano l’esistenza personale e collettiva, è ciò che veramente conta”.

In tale prospettiva va collocato l’impegno scaturito dal Giubileo straordinario della Misericordia, nel giorno di chiusura delle Porte Sante nelle chiese cattedrali in tutte le diocesi del mondo:

“L’Anno Santo ci ha sollecitati, da una parte, a tenere fisso lo sguardo verso il compimento del Regno di Dio e, dall’altra, a costruire il futuro su questa terra, lavorando per evangelizzare il presente, così da farne un tempo di salvezza per tutti”.

D’altra parte Dio, ricorda ancora Francesco, “conduce la nostra storia e conosce il fine ultimo delle cose e degli eventi”: perché è sotto lo sguardo misericordioso del Signore, assicura il Pontefice, che “si dipana la storia nel suo fluire incerto e nel suo intreccio di bene e di male” e tutto quello che succede è conservato in Lui.

Subito dopo l’Angelus, nella Giornata italiana del ringraziamento per i frutti della terra e del lavoro umano, il Pontefice auspica che la madre terra sia “sempre coltivata in modo sostenibile”.

“La Chiesa è accanto con simpatia e riconoscenza al mondo agricolo ed esorta a non dimenticare quanti, in varie parti del mondo, sono privi dei beni essenziali come il cibo e l’acqua”.

Quindi saluta i tanti pellegrini presenti in Piazza San Pietro, ringraziando in particolare “le associazioni che in questi giorni hanno animato il Giubileo delle persone emarginate”, e ricorda che in questa settimana è stato restituito alla devozione dei fedeli “il più antico crocifisso ligneo della Basilica di San Pietro”, risalente al quattordicesimo secolo:

“Dopo un laborioso restauro è stato riportato all’antico splendore e sarà collocato nella cappella del Santissimo Sacramento, a ricordo del Giubileo della Misericordia”.

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Papa Francesco: i rigidi sembrano buoni ma non conoscono la libertà dei figli di Dio

Posté par atempodiblog le 25 octobre 2016

Papa Francesco: i rigidi sembrano buoni ma non conoscono la libertà dei figli di Dio
Dietro la rigidità c’è sempre qualcosa di nascosto, una doppia vita, i rigidi non sono liberi, sono schiavi della legge, Dio invece dona la libertà, la mitezza, la bontà: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

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Nel Vangelo del giorno, Gesù guarisce una donna di sabato provocando lo sdegno del capo della Sinagoga perché – dice – è stata violata la Legge del Signore. “Non è facile – commenta il Papa – camminare nella Legge del Signore”, è “una grazia che dobbiamo chiedere”. Gesù lo accusa di essere ipocrita, una parola che “ripete tante volte ai rigidi, a quelli che hanno un atteggiamento di rigidità nel compiere la legge”, che non hanno la libertà dei figli, “sono schiavi della Legge”. Invece, “la Legge – osserva – non è stata fatta per farci schiavi, ma per farci liberi, per farci figli”. “Dietro la rigidità c’è un’altra cosa, sempre! E per questo Gesù dice: ipocriti!”:

“Dietro la rigidità c’è qualcosa di nascosto nella vita di una persona. La rigidità non è un dono di Dio. La mitezza, sì; la bontà, sì; la benevolenza, sì; il perdono, sì. Ma la rigidità no!

Dietro la rigidità c’è sempre qualcosa di nascosto, in tanti casi una doppia vita; ma c’è anche qualcosa di malattia. Quanto soffrono i rigidi: quando sono sinceri e si accorgono di questo, soffrono! Perché non riescono ad avere la libertà dei figli di Dio; non sanno come si cammina nella Legge del Signore e non sono beati. E soffrono tanto! Sembrano buoni, perché seguono la Legge; ma dietro c’è qualcosa che non li fa buoni: o sono cattivi, ipocriti o sono malati. Soffrono!”.

Papa Francesco ricorda la parabola del figlio prodigo, in cui il figlio maggiore, che si era comportato sempre bene, s’indigna col padre perché riaccoglie con gioia il figlio minore dissoluto, ma tornato a casa pentito.  Questo atteggiamento – spiega il Papa – fa vedere cosa c’è dietro una certa bontà: “la superbia di credersi giusto”:

“Dietro questo far bene, c’è superbia. Quello sapeva che aveva un padre e nel momento più buio della sua vita è andato dal padre; questo soltanto del padre capiva che era il padrone, ma mai lo aveva sentito come padre. Era un rigido: camminava nella Legge con rigidità. L’altro ha lasciato la Legge da parte, se ne è andato senza la Legge, contro la Legge, ma ad un certo punto ha pensato al padre ed è tornato. E ha avuto il perdono. Non è facile camminare nella Legge del Signore senza cadere nella rigidità”.

Il Papa conclude l’omelia con questa preghiera:

“Preghiamo il Signore, preghiamo per i nostri fratelli e le nostre sorelle che credono che camminare nella Legge del Signore è diventare rigidi. Che il Signore faccia sentire loro che Lui è Padre e che a Lui piace la misericordia, la tenerezza, la bontà, la mitezza, l’umiltà. E a tutti ci insegni a camminare nella Legge del Signore con questi atteggiamenti”.

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Papa Francesco: “Dialogo significa ascoltare, non ‘abbaiare’ contro l’altro”

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2016

Papa Francesco: “Dialogo significa ascoltare, non ‘abbaiare’ contro l’altro”
Nell’Udienza giubilare, Francesco incita i 100mila fedeli presenti al dialogo per “abbattere muri di divisioni e incomprensioni” e creare “ponti di comunicazione”, non rinchiudendosi “nel proprio piccolo mondo”
di Salvatore Cernuzio – Zenit

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“Ascoltare, spiegare, mitezza, non abbaiare l’altro, non urlare, cuore aperto”. È la ricetta che Papa Francesco offre ai 100mila fedeli presenti all’Udienza giubilare, per avviare un dialogo e un dialogo che vada a buon fine: in famiglia, nel quartiere, a scuola, sul posto di lavoro.

“C’è tanto bisogno di dialogo nelle nostre famiglie, e come si risolverebbero più facilmente le questioni se si imparasse ad ascoltarsi vicendevolmente!”, afferma il Papa.

“Il dialogo abbatte i muri delle divisioni e delle incomprensioni; crea ponti di comunicazione e non consente che alcuno si isoli, rinchiudendosi nel proprio piccolo mondo”.

Esso è “un aspetto molto importante della misericordia” nonché elemento essenziale per la vita di ciascuno perché “permette alle persone di conoscersi e di comprendere le esigenze gli uni degli altri”.

Anzitutto, spiega il Papa, il dialogo “è un segno di grande rispetto, perché pone le persone in atteggiamento di ascolto e nella condizione di recepire gli aspetti migliori dell’interlocutore”. Proprio come accadde con la samaritana e Gesù di cui parla il Vangelo di oggi.

In secondo luogo, “il dialogo è espressione di carità”, sottolinea il Santo Padre, “perché, pur non ignorando le differenze, può aiutare a ricercare e condividere il bene comune”.

Inoltre, “il dialogo ci invita a porci dinanzi all’altro vedendolo come un dono di Dio, che ci interpella e ci chiede di essere riconosciuto”.

Molte volte, infatti, “non incontriamo i fratelli, pur vivendo loro accanto, soprattutto quando facciamo prevalere la nostra posizione su quella dell’altro”.

“Quante volte, quante volte – esclama Bergoglio a braccio – stiamo ascoltando uno e lo fermiamo: ‘No, questo non è così!’. Lasciamo che lui finisca di spiegare quello che vuole dire. Questo impedisce il vero dialogo, questa è aggressione…”.

Non si può parlare di dialogo, dunque, quando non si ascolta abbastanza o quando si tende a interrompere l’altro “per dimostrare di avere ragione”. Il vero dialogo necessita invece di “momenti di silenzio, in cui cogliere il dono straordinario della presenza di Dio nel fratello”, evidenzia Francesco.

È così che si aiuta le persone “a umanizzare i rapporti e a superare le incomprensioni”.

E questo accade nel rapporto tra marito e moglie, tra genitori e figli, ma anche tra gli insegnanti e i loro alunni oppure tra dirigenti e operai. Poi c’è il dialogo tra le religioni, “per scoprire la verità profonda della loro missione in mezzo agli uomini” e “per contribuire alla costruzione della pace e di una rete di rispetto e di fraternità”.

Di dialogo “vive anche la Chiesa con gli uomini e le donne di ogni tempo, per comprendere le necessità che sono nel cuore di ogni persona e per contribuire alla realizzazione del bene comune”. “Pensiamo al grande dono del creato e alla responsabilità che tutti abbiamo di salvaguardare la nostra casa comune: il dialogo su un tema così centrale è un’esigenza ineludibile”, osserva il Pontefice.

Tutte le forme di dialogo sono pertanto “espressione della grande esigenza di amore di Dio”, che “a tutti va incontro e in ognuno pone un seme della sua bontà, perché possa collaborare alla sua opera creatrice”.

Allora “non dimenticate”, raccomanda a braccio Francesco, “dialogare è ascoltare quello che mi dice l’altro e dire con mitezza quello che penso io. Se le cose vanno così la famiglia, il quartiere, il posto di lavoro andranno bene.

Ma se io non lascio che l’altro dica tutto quello che ha nel cuore, incomincio a urlare – oggi si urla tanto – non avrà buon fine questo rapporto fra noi, non avrà buon fine fra marito e moglie, tra genitori e figli”.

“Gesù – conclude il Santo Padre – ben conosceva quello che c’era nel cuore della samaritana; ciononostante non le ha negato di potersi esprimere ed è entrato poco alla volta nel mistero della sua vita”.

Un insegnamento, questo, che vale anche per noi: “Attraverso il dialogo – assicura Bergoglio – possiamo far crescere i segni della misericordia di Dio e renderli strumento di accoglienza e rispetto”.

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Papa Francesco: cristiani rifiutino lotte, lavorare per l’unità nella Chiesa

Posté par atempodiblog le 21 octobre 2016

Papa Francesco: cristiani rifiutino lotte, lavorare per l’unità nella Chiesa
Umiltà, dolcezza, magnanimità. Nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, Papa Francesco ha indicato questi tre punti chiave per costruire l’unità nella Chiesa. Ancora una volta, il Pontefice ha dunque esortato i cristiani a rifiutare le gelosie, le invidie e le lotte.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

 Papa Francesco: cristiani rifiutino lotte, lavorare per l'unità nella Chiesa dans Commenti al Vangelo Papa_Francesco

“Pace a voi”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia sottolineando che il saluto del Signore “crea un vincolo”, un vincolo di pace.

Un saluto, ha ripreso, che “ci unisce per fare l’unità dello spirito”. “Se non c’è pace – ha osservato – se non siamo capaci di salutarci nel senso più ampio della parola, avere il cuore aperto con spirito di pace, mai ci sarà l’unità”.

Lo spirito del male semina guerre, i cristiani evitino lotte 
E questo, ha precisato Francesco, vale per “l’unità nel mondo, l’unità nelle città, nel quartiere, nella famiglia”:

“Lo spirito del male semina guerre, sempre. Gelosie, invidie, lotte, chiacchiere … sono cose che distruggono la pace e pertanto non può essere l’unità. E come è il comportamento di un cristiano per l’unità, per trovare questa unità? Paolo dice chiaramente: ‘Comportatevi in maniera degna, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità’.

Questi tre atteggiamenti. Umiltà: non si può dare la pace senza l’umiltà. Dove c’è la superbia, c’è sempre la guerra, sempre la voglia di vincere sull’altro, di credersi superiore. Senza umiltà non c’è pace e senza pace non c’è unità”.

Riscoprire la dolcezza, il sopportarsi a vicenda
Il Papa ha quindi constatato con amarezza che abbiamo ormai “dimenticato la capacità di parlare con dolcezza, il nostro parlato è sgridarci. O sparlare degli altri … non c’è dolcezza”.

La dolcezza, invece, “ha un nocciolo che è la capacità di sopportare gli uni gli altri”: ‘Sopportandovi a vicenda’, dice Paolo. Bisogna avere pazienza, ha ripreso il Papa, “sopportare i difetti degli altri, le cose che non piacciono”:

“Primo: umiltà; secondo: dolcezza, con questo sopportarsi a vicenda; e terzo: magnanimità: cuore grande, cuore largo che ha capacità per tutti e non condanna, non si rimpiccolisce nelle piccolezze, ‘che ha detto questo’, ‘che ho sentito questo’, ‘che …’: no: largo il cuore, c’è posto per tutti. E questo fa il vincolo della pace, questo è il modo degno di comportarci per fare il vincolo della pace che è creatore di unità. Creatore di unità è lo Spirito Santo, ma favorisce, prepara la creazione dell’unità”.

Aiutiamo a costruire l’unità con il vincolo della pace
“Questa – ha detto ancora – è la maniera degna della chiamata del mistero al quale siamo stati chiamati, il mistero della Chiesa”. Il Papa ha così invitato tutti a riprendere il capitolo XIII della Lettera ai Corinzi che ci “insegna come fare lo spazio allo Spirito, con quali atteggiamenti nostri perché Lui faccia l’unità”:

“Il mistero della Chiesa è il mistero del Corpo di Cristo: ‘Una sola fede, un solo Battesimo’, ‘un solo Dio Padre di tutti che è al di sopra di tutti’, opera ‘per mezzo di tutti ed è presente in tutti’: questa è l’unità che Gesù ha chiesto al Padre per noi e che noi dobbiamo aiutare a fare, questa unità, con il vincolo della pace. E il vincolo della pace cresce con l’umiltà, con la dolcezza, con il sopportarsi l’uno con l’altro, e con la magnanimità”.

“Chiediamo che lo Spirito Santo – è stata la sua invocazione – ci dia la grazia non solo di capire, ma di vivere questo mistero della Chiesa, che è un mistero di unità”.

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