Papa Francesco: rigidità e mondanità, un disastro per i sacerdoti

Posté par atempodiblog le 10 décembre 2016

Papa Francesco: rigidità e mondanità, un disastro per i sacerdoti
I sacerdoti siano mediatori dell’amore di Dio, non intermediari che pensano al proprio interesse. E’ il monito di Papa Francesco nell’omelia alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, tutta incentrata sulle tentazioni che possono mettere a rischio il servizio dei sacerdoti. Il Papa ha messo in guardia dai “rigidi” che caricano sui fedeli cose che loro non portano. Ancora, ha denunciato la tentazione della mondanità che trasforma il sacerdote in un funzionario e lo porta ad essere “ridicolo”.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

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Sono come bambini ai quali offri una cosa e non gli piace, gli offri il contrario e non va bene lo stesso. Papa Francesco ha preso spunto dalle parole di Gesù che, nel Vangelo odierno, sottolinea l’insoddisfazione del popolo, mai contento. Anche oggi, ha subito osservato il Pontefice, “ci sono cristiani insoddisfatti – tanti – che non riescono a capire cosa il Signore ci ha insegnato, non riescono a capire il nocciolo proprio della rivelazione del Vangelo”. Quindi, si è soffermato sui preti “insoddisfatti” che, ha avvertito, “fanno tanto male”. Vivono insoddisfatti cercano sempre nuovi progetti, “perché il loro cuore è lontano dalla logica di Gesù” e per questo “si lamentano o vivono tristi”.

No ai sacerdoti intermediari, sì a sacerdoti mediatori dell’amore di Dio
La logica di Gesù, ha ripreso, dovrebbe dare invece “piena soddisfazione” a un sacerdote. “E’ la logica del mediatore”. “Gesù – ha sottolineato – è il mediatore fra Dio e noi. E noi dobbiamo prendere questa strada di mediatori”, “non l’altra figura che assomiglia tanto ma non è la stessa: intermediari”. L’intermediario, infatti, “fa il suo lavoro e prende la paga”, “lui mai perde”. Totalmente diverso è il mediatore:

“Il mediatore perde se stesso per unire le parti, dà la vita, se stesso, il prezzo è quello: la propria vita, paga con la propria vita, la propria stanchezza, il proprio lavoro, tante cose, ma – in questo caso il parroco – per unire il gregge, per unire la gente, per portarla a Gesù. La logica di Gesù come mediatore è la logica di annientare se stesso. San Paolo nella Lettera ai Filippesi è chiaro su questo: ‘Annientò se stesso, svuotò se stesso’ ma per fare questa unione, fino alla morte, morte di croce. Quella è la logica: svuotarsi, annientarsi”.

Il sacerdote autentico, ha soggiunto, “è un mediatore molto vicino al suo popolo”, l’intermediario invece fa il suo lavoro ma poi ne prende un altro “sempre come funzionario”, “non sa cosa significhi sporcarsi le mani” in mezzo alla realtà. Ed è per questo, ha ribadito, che quando “il sacerdote cambia da mediatore a intermediario non è felice, è triste”. E cerca un po’ di felicità “nel farsi vedere, nel far sentire l’autorità”.

La rigidità porta ad allontanare le persone che cercano consolazione
Agli intermediari del suo tempo, ha aggiunto, “Gesù diceva che piaceva loro passeggiare per le piazze” per farsi vedere e onorare:

“Ma anche per rendersi importanti, i sacerdoti intermediari prendono il cammino della rigidità: tante volte, staccati dalla gente, non sanno che cos’è il dolore umano; perdono quello che avevano imparato a casa loro, col lavoro del papà, della mamma, del nonno, della nonna, dei fratelli… Perdono queste cose. Sono rigidi, quei rigidi che caricano sui fedeli tante cose che loro non portano, come diceva Gesù agli intermediari del suo tempo. La rigidità. Frusta in mano col popolo di Dio: ‘Questo non si può, questo non si può…’. E tanta gente che si avvicina cercando un po’ di consolazione, un po’ di comprensione viene cacciata via con questa rigidità”.

Quando il sacerdote rigido e mondano diventa funzionario finisce nel ridicolo
Tuttavia, ha ammonito, la rigidità “non si può mantenere tanto tempo, totalmente. E fondamentalmente è schizoide: finirai per apparire rigido ma dentro sarai un disastro”. E con la rigidità, la mondanità. “Un sacerdote mondano, rigido – ha detto Francesco – è uno insoddisfatto perché ha preso la strada sbagliata”:

“Su rigidità e mondanità, è successo tempo fa che è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo – lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o (che stava) per diventare prete – davanti allo specchio, con un mantello, grande, largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il ‘saturno’, l’ha messo e si guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote – è saggio quel monsignore, molto saggio – è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: ‘E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne!’. Così che il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre”.

Un buon sacerdote si riconosce se sa giocare con un bambino
“Nell’esame di coscienza – ha detto poi il Papa – considerate questo: oggi sono stato funzionario o mediatore? Ho custodito me stesso, ho cercato me stesso, la mia comodità, il mio ordine o ho lasciato che la giornata andasse al servizio degli altri?”. Una volta, ha raccontato, una persona mi “diceva che lui riconosceva i sacerdoti dall’atteggiamento con i bambini: se sanno carezzare un bambino, sorridere a un bambino, giocare con un bambino… E’ interessante questo perché significa che sanno abbassarsi, avvicinarsi alle piccole cose”. Invece, ha affermato, “l’intermediario è triste, sempre con quella faccia triste o troppo seria, faccia scura. L’intermediario ha lo sguardo scuro, molto scuro! Il mediatore – ha ripreso – è aperto: il sorriso, l’accoglienza, la comprensione, le carezze”.

Policarpo, San Francesco Saverio, San Paolo: tre icone di sacerdoti mediatori
Nella parte finale dell’omelia il Papa ha quindi proposto, tre “icone” di “sacerdoti mediatori e non intermediari”. Il primo è il “grande” Policarpo che “non negozia la sua vocazione e va coraggioso alla pira e quando il fuoco viene intorno a lui, i fedeli che erano lì, hanno sentito l’odore del pane”. “Così – ha detto – finisce un mediatore: come un pezzo di pane per i suoi fedeli”.

L’altra icona è San Francesco Saverio, che muore giovane sulla spiaggia di San-cian, “guardando la Cina” dove voleva andare ma non potrà perché il Signore lo prende a Sé.

E poi, l’ultima icona: l’anziano San Paolo alle Tre Fontane. “Quella mattina presto – ha rammentato – i soldati sono andati da lui, l’hanno preso, e lui camminava incurvato”. Sapeva benissimo che questo accadeva per il tradimento di alcuni all’interno della comunità cristiana ma lui ha lottato tanto, tanto, nella sua vita, che si offre al Signore come un sacrificio”.

I sacerdoti e il desiderio di terminare la vita in croce
“Tre icone – ha concluso – che possono aiutarci. Guardiamo lì: come voglio finire la mia vita di sacerdote? Come funzionario, come intermediario o come mediatore, cioè in croce?”.

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Misericordia, parola nel deserto

Posté par atempodiblog le 21 novembre 2016

Misericordia, parola nel deserto
Oltre centomila fedeli in piazza San Pietro per la chiusura del Giubileo della Misericordia. «Ma lasciamo aperta la porta del perdono» ha detto il Papa.
di Gian Guido Vecchi – Corriere della Sera

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«Riscoprire il centro, ritornare all’essenziale» del Vangelo oltre la tentazione del potere e «le appaganti sicurezze offerte dal mondo». Tra i settantamila di piazza San Pietro si fa silenzio, mentre Francesco si avvicina alla facciata della Basilica per chiudere la Porta Santa e con essa il Giubileo della Misericordia, qualche istante di raccoglimento e poi quasi solo il rumore di cardini e battenti.

In realtà l’Anno Santo non era cominciato qui, l’8 dicembre 2015, ma nove giorni prima nel Centrafrica in guerra civile, con i caschi blu dell’Onu intorno alla cattedrale di mattoni rossi, impastati con la terra del fiume Ubangi: il Papa che il 29 novembre dell’anno scorso apre per la prima volta una Porta Santa fuori da Roma e definisce Bangui «capitale spirituale» di un mondo afflitto dal «virus dell’inimicizia», quella che ha più volte definito la «terza guerra mondiale combattuta a pezzi». E ora, nell’omelia della messa conclusiva, è come se Francesco riepilogasse il senso di un Giubileo aperto in tutte
le diocesi del mondo (2.089 circoscrizioni, più di diecimila Porte Sante) e che «fuori dal fragore delle cronache», fa notare, ha visto arrivare a Roma più di 21 milioni di pellegrini (21.292.926). Un Giubileo sobrio, alieno da «kermesse» e grandi eventi e attento alla preghiera più che all’indotto, perché la Chiesa torni all’essenziale: «Quante volte siamo stati tentati di scendere dalla croce. La forza di attrazione del potere e del successo è sembrata una via facile e rapida per diffondere il Vangelo, dimenticando in fretta come opera il regno di Dio».

La piazza è gremita, sono arrivati anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il premier Matteo Renzi. Francesco alza lo sguardo e sillaba: «La misericordia, portandoci al cuore del Vangelo, ci esorta a rinunciare ad abitudini e consuetudini che possono ostacolare il servizio al regno di Dio, a trovare il nostro orientamento solo nella perenne e umile regalità di Gesù e non nell’adeguamento alle precarie regalità e ai mutevoli poteri di ogni epoca». Il Giubileo in questo senso non è finito, stamattina sarà diffusa la lettera apostolica Misericordia et misera : «Anche se si chiude la Porta Santa, rimane sempre spalancata per noi la vera porta della misericordia, che è il Cuore di Cristo. Dal costato squarciato del Risorto scaturiscono fino alla fine dei tempi la misericordia, la consolazione e la speranza». Francesco ha voluto che l’Anno Santo si chiudesse nel giorno della solennità di «Cristo Re dell’Universo».

Ma Gesù alla fine «appare senza potere e senza gloria: è sulla croce, dove sembra più un vinto che un vincitore». E di fronte a questa «regalità paradossale», ci possono essere tre possibili reazioni che Francesco riassume con tre immagini della Crocifissione. C’è il buon ladrone che «non si è chiuso in se stesso» ma con i suoi peccati «ha chiesto di essere ricordato e ha provato la misericordia di Dio», l’immagine del Giubileo. E poi ci sono due tentazioni. La prima è quella del «popolo che stava a vedere», la tentazione di tenere le distanze invece di «avvicinarsi e farsi prossimi» a chi soffre. La
seconda, «la più terribile», è quella di coloro che chiedono a Gesù di salvare se stesso, come fece Satana: «È un attacco diretto all’amore: “salva te stesso”, non gli altri, prevalga l’io con la sua forza, la sua gloria, il suo successo».

È la tentazione del potere, del denaro. Intervistato dall’emittente dei vescovi, Francesco dice: «Il nemico più grande di Dio è il denaro. Perché il denaro è l’idolo, in questo mondo sembra che comandi. Il denaro è uno strumento fatto per servire, la povertà è al cuore del Vangelo e Gesù parla di questo scontro: Dio e il denaro, due signori, due padroni. Il diavolo sempre entra per le tasche. Si deve lottare per fare una Chiesa povera per i poveri, secondo il Vangelo. Si deve lottare». Poi rispondendo a una domanda sul segreto che lo mantiene pieno di energie alla soglia degli 80 anni ha spiegato: «Io prego: quello mi aiuta tanto. Poi dormo bene: è una grazia del Signore. Dormo come un legno. Il giorno delle scosse del terremoto, non ho sentito nulla».

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Il Papa: “Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia è tra noi”

Posté par atempodiblog le 19 novembre 2016

Il Papa: “Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia è tra noi”
Il concistoro di Francesco che ha consegnato la berretta rossa a diciassette nuovi cardinali: «Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Lui ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Il Nostro Padre non aspetta ad amare il mondo quando saremo buoni». Il Pontefice e i nuovi porporati salgono su due pulmini e vanno a incontrare Ratzinger
di Andrea Tornielli – Vatican Insider

Il Papa: “Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia è tra noi” dans Andrea Tornielli Concistoro_creazione_nuovi_cardinali
Il terzo concistoro di Papa Francesco per la creazione di nuovi cardinali

«Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi! Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni. Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore». Il Papa predica ai cardinali del concistoro, nel giorno in cui vengono incorporati nel collegio diciassette nuovi porporati, tredici con meno di ottant’anni e dunque elettori in un eventuale conclave, più quattro ultraottantenni. E in un tempo in cui nel mondo, ma anche nella Chiesa, sembrano prevalere le polarizzazioni, invita a tornare all’essenziale della missione nel segno della misericordia.

Apre la lista dei porporati l’italiano Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria – che apre la lista e nel suo saluto ha ricordato come alcuni cardinali vengono «da luoghi dove molti, milioni, sono i “malcapitati”, adulti e bambini, lasciati morti o mezzi morti sulle strade dei loro villaggi e quartieri, o sotto le macerie delle proprie case e scuole, a causa di efferate violenze e di sanguinosi, disumani e inestricabili conflitti». Quindi seguono Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui (Repubblica Centrafricana); Carlos Osoro Sierra, arcivescovo di Madrid (Spagna); Sérgio Da Rocha, arcivescovo di Brasilia (Brasile); Blase Joseph Cupich, arcivescovo di Chicago (USA); Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dhaka (Bangladesh), Baltazar Enrique Porras Cardozo, arcivescovo di Mérida (Venezuela); Jozef De Kesel, arcivescovo di Malines-Bruxelles (Belgio); Maurice Piat, vescovo di Port-Louis (Isole Mauritius); Kevin Joseph Farrell, Prefetto del dicastero per i laici e la famiglia (USA); Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Tlalnepantla (Messico); John Ribat, arcivescovo di Port Moresby (Papua Nuova Guinea); Joseph William Tobin, arcivescovo di Newark (USA); Antony Soter Fernandez, arcivescovo emerito di Kuala Lumpur (Malesia); Renato Corti, vescovo emerito di Novara (Italia); S ebastian Koto Khoarai, vescovo emerito di Mohale’s Hoek (Leshoto); don Ernst Simoni, prete della diocesi di Shkodrë-Pult (Albania). Dei diciassette nominati, uno, l’africano Koto Khoarai, primo cardinale del Leshoto, non è presente a Roma. Non era in condizioni di affrontare il viaggio e riceverà la berretta dalle mani del nunzio apostolico in Sud Africa, Peter Brian Wells nei prossimi giorni.

Nell’omelia Bergoglio ha commentato il brano evangelico: dopo l’istituzione dei dodici apostoli, Gesù discese «dove una moltitudine lo aspettava per ascoltarlo e per farsi guarire. La chiamata degli apostoli è accompagnata da questo mettersi in cammino verso la pianura». L’elezione, «li conduce al cuore della folla» e così «il Signore rivela a loro e a noi che la vera vetta si raggiunge nella pianura», e «specialmente in una chiamata: siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso». Questo invito è accompagnato da quattro esortazioni: «amate, fate il bene, benedite e pregate», azioni che «facilmente realizziamo con i nostri amici».

Il problema però sorge, ha aggiunto Francesco, «quando Gesù ci presenta i destinatari di queste azioni», dicendo: «Amate i vostri nemici, fate il bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male». E queste «non sono azioni che vengono spontanee». Di fronte ad avversari e nemici, infatti, «il nostro atteggiamento primario e istintivo è quello di squalificarli, screditarli, maledirli; in molti casi cerchiamo di demonizzarli, allo scopo di avere una “santa” giustificazione per toglierceli di torno». È questa, osserva ancora il Pontefice, una delle «caratteristiche più proprie del messaggio di Gesù», da lì «proviene la potenza della nostra missione». Il nemico è «qualcuno che devo amare. Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Dio ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Dio ha figli e non precisamente per toglierseli di torno».

«Il Nostro Padre – ha detto ancora Francesco – non aspetta ad amare il mondo quando saremo buoni, non aspetta ad amarci quando saremo meno ingiusti o perfetti; ci ama perché ha scelto di amarci, ci ama perché ci ha dato lo statuto di figli. Ci ha amato anche quando eravamo suoi nemici. L’amore incondizionato del Padre verso tutti è stato, ed è, vera esigenza di conversione per il nostro povero cuore che tende a giudicare, dividere, opporre e condannare. Sapere che Dio continua ad amare anche chi lo rifiuta è una fonte illimitata di fiducia e stimolo per la missione».

Bergoglio ha ricordato che il nostro è un tempo «in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti. Vediamo, ad esempio – ha spiegato – come rapidamente chi sta accanto a noi non solo possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status di nemico». Nemico «perché viene da una terra lontana o perché ha altre usanze», per «il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua condizione sociale» o perché «pensa in maniera diversa e anche perché ha un’altra fede». E poco a poco, «senza che ce ne rendiamo conto, questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di procedere. Quindi, tutto e tutti cominciano ad avere sapore di inimicizia» e le differenze «si trasformano in sintomi di ostilità, minaccia e violenza».

«Quante ferite si allargano a causa di questa epidemia di inimicizia e di violenza - osserva ancora Francesco – che si imprime nella carne di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell’indifferenza! Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi!».

«Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni – sottolinea il Pontefice per ribadire come questo male colpisca anche all’interno della Chiesa – Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore, perché andrebbe contro la ricchezza e l’universalità della Chiesa che possiamo toccare con mano in questo collegio cardinalizio». Un collegio dove differenze di usanze, colore di pelle e lingue rappresenta invece «una delle nostre più grandi ricchezze».

«Come Chiesa – ha concluso Francesco – continuiamo ad essere invitati ad aprire i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità. Caro fratello neo cardinale, il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella quotidianità della vita spezzata e condivisa, di una vita spesa e donata. Nel dono quotidiano e silenzioso di ciò che siamo. La nostra vetta è questa qualità dell’amore; la nostra meta e aspirazione è cercare nella pianura della vita, insieme al Popolo di Dio, di trasformarci in persone capaci di perdono e di riconciliazione».

La formula della creazione prevede il giuramento dei nuovi cardinali, quindi l’imposizione della berretta e la consegna dell’anello cardinalizio con l’assegnazione del titolo o della diaconia. Durante il rito, l’unico neo-cardinale al quale il Papa si è inchinato è Ernst Simoni, l’unico non vescovo, prete che ha subito la persecuzione in Albania.

Il Pontefice e i nuovi cardinali, al termine della celebrazione, salgono su due pulmini e si recano al Monastero Mater Ecclesiae per incontrare il Papa emerito Benedetto XVI.

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Papa: non lasciarsi ingannare, Dio non ci abbandona mai

Posté par atempodiblog le 14 novembre 2016

Papa: non lasciarsi ingannare, Dio non ci abbandona mai
Le costruzioni umane, “anche le più sacre”, sono “passeggere” e non bisogna riporre sicurezza né in esse né nei “falsi messia” che speculano sui bisogni delle persone: l’unica certezza è che la nostra vita è nelle “mani” del Signore, perché Dio “non ci abbandona mai”. Così il Papa all’Angelus domenicale, in cui ha esortato pure a non dimenticare quanti nel mondo non hanno cibo e acqua. Quindi ha ricordato l’odierna chiusura delle Porte Sante nelle chiese cattedrali di tutto il mondo, in vista della conclusione del Giubileo della Misericordia.
di Giada Aquilino – Radio Vaticana

Papa: non lasciarsi ingannare, Dio non ci abbandona mai dans Commenti al Vangelo Papa_Francesco

La nostra vita “non si può perdere” perché è nelle “mani” del Signore. È una certezza quella che Papa Francesco trasmette all’Angelus in Piazza San Pietro. Gesù, spiega, sa che “c’è sempre chi specula sul bisogno umano di sicurezze”: mette in guardia quindi dai tanti “falsi messia” che “anche oggi ci sono” ed esorta a “non farsi terrorizzare e disorientare da guerre, rivoluzioni e calamità”, perché anch’esse fanno parte “della realtà di questo mondo”.

“La storia della Chiesa è ricca di esempi di persone che hanno sostenuto tribolazioni e sofferenze terribili con serenità, perché avevano la consapevolezza di essere saldamente nelle mani di Dio. Egli è un Padre fedele, è un Padre premuroso, che non abbandona i suoi figli. Dio non ci abbandona mai! E questa certezza dobbiamo averla nel cuore: Dio non ci abbandona mai”.

Riflettendo sul brano evangelico di Luca dedicato al discorso di Gesù “sugli ultimi tempi”, pronunciato di fronte al tempio di Gerusalemme, il Pontefice sottolinea come Cristo voglia far capire, pure “a noi oggi”, che le costruzioni umane, “anche le più sacre”, sono “passeggere” e non bisogna riporre in esse la nostra sicurezza:

“Quante presunte certezze nella nostra vita pensavamo fossero definitive e poi si sono rivelate effimere! D’altra parte, quanti problemi ci sembravano senza uscita e poi sono stati superati”.

Chiaro, osserva il Papa, il compito della comunità cristiana “per andare incontro al ‘giorno del Signore’”, affidandosi alla Vergine Maria perché ci aiuti a capire “in profondità” la verità:

“Rimanere saldi nel Signore, in questa certezza che Egli non ci abbandona mai, camminare nella speranza, lavorare per costruire un mondo migliore, nonostante le difficoltà e gli avvenimenti tristi che segnano l’esistenza personale e collettiva, è ciò che veramente conta”.

In tale prospettiva va collocato l’impegno scaturito dal Giubileo straordinario della Misericordia, nel giorno di chiusura delle Porte Sante nelle chiese cattedrali in tutte le diocesi del mondo:

“L’Anno Santo ci ha sollecitati, da una parte, a tenere fisso lo sguardo verso il compimento del Regno di Dio e, dall’altra, a costruire il futuro su questa terra, lavorando per evangelizzare il presente, così da farne un tempo di salvezza per tutti”.

D’altra parte Dio, ricorda ancora Francesco, “conduce la nostra storia e conosce il fine ultimo delle cose e degli eventi”: perché è sotto lo sguardo misericordioso del Signore, assicura il Pontefice, che “si dipana la storia nel suo fluire incerto e nel suo intreccio di bene e di male” e tutto quello che succede è conservato in Lui.

Subito dopo l’Angelus, nella Giornata italiana del ringraziamento per i frutti della terra e del lavoro umano, il Pontefice auspica che la madre terra sia “sempre coltivata in modo sostenibile”.

“La Chiesa è accanto con simpatia e riconoscenza al mondo agricolo ed esorta a non dimenticare quanti, in varie parti del mondo, sono privi dei beni essenziali come il cibo e l’acqua”.

Quindi saluta i tanti pellegrini presenti in Piazza San Pietro, ringraziando in particolare “le associazioni che in questi giorni hanno animato il Giubileo delle persone emarginate”, e ricorda che in questa settimana è stato restituito alla devozione dei fedeli “il più antico crocifisso ligneo della Basilica di San Pietro”, risalente al quattordicesimo secolo:

“Dopo un laborioso restauro è stato riportato all’antico splendore e sarà collocato nella cappella del Santissimo Sacramento, a ricordo del Giubileo della Misericordia”.

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Papa Francesco: i rigidi sembrano buoni ma non conoscono la libertà dei figli di Dio

Posté par atempodiblog le 25 octobre 2016

Papa Francesco: i rigidi sembrano buoni ma non conoscono la libertà dei figli di Dio
Dietro la rigidità c’è sempre qualcosa di nascosto, una doppia vita, i rigidi non sono liberi, sono schiavi della legge, Dio invece dona la libertà, la mitezza, la bontà: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

Papa Francesco: i rigidi sembrano buoni ma non conoscono la libertà dei figli di Dio dans Commenti al Vangelo Papa_Francesco

Nel Vangelo del giorno, Gesù guarisce una donna di sabato provocando lo sdegno del capo della Sinagoga perché – dice – è stata violata la Legge del Signore. “Non è facile – commenta il Papa – camminare nella Legge del Signore”, è “una grazia che dobbiamo chiedere”. Gesù lo accusa di essere ipocrita, una parola che “ripete tante volte ai rigidi, a quelli che hanno un atteggiamento di rigidità nel compiere la legge”, che non hanno la libertà dei figli, “sono schiavi della Legge”. Invece, “la Legge – osserva – non è stata fatta per farci schiavi, ma per farci liberi, per farci figli”. “Dietro la rigidità c’è un’altra cosa, sempre! E per questo Gesù dice: ipocriti!”:

“Dietro la rigidità c’è qualcosa di nascosto nella vita di una persona. La rigidità non è un dono di Dio. La mitezza, sì; la bontà, sì; la benevolenza, sì; il perdono, sì. Ma la rigidità no!

Dietro la rigidità c’è sempre qualcosa di nascosto, in tanti casi una doppia vita; ma c’è anche qualcosa di malattia. Quanto soffrono i rigidi: quando sono sinceri e si accorgono di questo, soffrono! Perché non riescono ad avere la libertà dei figli di Dio; non sanno come si cammina nella Legge del Signore e non sono beati. E soffrono tanto! Sembrano buoni, perché seguono la Legge; ma dietro c’è qualcosa che non li fa buoni: o sono cattivi, ipocriti o sono malati. Soffrono!”.

Papa Francesco ricorda la parabola del figlio prodigo, in cui il figlio maggiore, che si era comportato sempre bene, s’indigna col padre perché riaccoglie con gioia il figlio minore dissoluto, ma tornato a casa pentito.  Questo atteggiamento – spiega il Papa – fa vedere cosa c’è dietro una certa bontà: “la superbia di credersi giusto”:

“Dietro questo far bene, c’è superbia. Quello sapeva che aveva un padre e nel momento più buio della sua vita è andato dal padre; questo soltanto del padre capiva che era il padrone, ma mai lo aveva sentito come padre. Era un rigido: camminava nella Legge con rigidità. L’altro ha lasciato la Legge da parte, se ne è andato senza la Legge, contro la Legge, ma ad un certo punto ha pensato al padre ed è tornato. E ha avuto il perdono. Non è facile camminare nella Legge del Signore senza cadere nella rigidità”.

Il Papa conclude l’omelia con questa preghiera:

“Preghiamo il Signore, preghiamo per i nostri fratelli e le nostre sorelle che credono che camminare nella Legge del Signore è diventare rigidi. Che il Signore faccia sentire loro che Lui è Padre e che a Lui piace la misericordia, la tenerezza, la bontà, la mitezza, l’umiltà. E a tutti ci insegni a camminare nella Legge del Signore con questi atteggiamenti”.

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Papa Francesco: “Dialogo significa ascoltare, non ‘abbaiare’ contro l’altro”

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2016

Papa Francesco: “Dialogo significa ascoltare, non ‘abbaiare’ contro l’altro”
Nell’Udienza giubilare, Francesco incita i 100mila fedeli presenti al dialogo per “abbattere muri di divisioni e incomprensioni” e creare “ponti di comunicazione”, non rinchiudendosi “nel proprio piccolo mondo”
di Salvatore Cernuzio – Zenit

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“Ascoltare, spiegare, mitezza, non abbaiare l’altro, non urlare, cuore aperto”. È la ricetta che Papa Francesco offre ai 100mila fedeli presenti all’Udienza giubilare, per avviare un dialogo e un dialogo che vada a buon fine: in famiglia, nel quartiere, a scuola, sul posto di lavoro.

“C’è tanto bisogno di dialogo nelle nostre famiglie, e come si risolverebbero più facilmente le questioni se si imparasse ad ascoltarsi vicendevolmente!”, afferma il Papa.

“Il dialogo abbatte i muri delle divisioni e delle incomprensioni; crea ponti di comunicazione e non consente che alcuno si isoli, rinchiudendosi nel proprio piccolo mondo”.

Esso è “un aspetto molto importante della misericordia” nonché elemento essenziale per la vita di ciascuno perché “permette alle persone di conoscersi e di comprendere le esigenze gli uni degli altri”.

Anzitutto, spiega il Papa, il dialogo “è un segno di grande rispetto, perché pone le persone in atteggiamento di ascolto e nella condizione di recepire gli aspetti migliori dell’interlocutore”. Proprio come accadde con la samaritana e Gesù di cui parla il Vangelo di oggi.

In secondo luogo, “il dialogo è espressione di carità”, sottolinea il Santo Padre, “perché, pur non ignorando le differenze, può aiutare a ricercare e condividere il bene comune”.

Inoltre, “il dialogo ci invita a porci dinanzi all’altro vedendolo come un dono di Dio, che ci interpella e ci chiede di essere riconosciuto”.

Molte volte, infatti, “non incontriamo i fratelli, pur vivendo loro accanto, soprattutto quando facciamo prevalere la nostra posizione su quella dell’altro”.

“Quante volte, quante volte – esclama Bergoglio a braccio – stiamo ascoltando uno e lo fermiamo: ‘No, questo non è così!’. Lasciamo che lui finisca di spiegare quello che vuole dire. Questo impedisce il vero dialogo, questa è aggressione…”.

Non si può parlare di dialogo, dunque, quando non si ascolta abbastanza o quando si tende a interrompere l’altro “per dimostrare di avere ragione”. Il vero dialogo necessita invece di “momenti di silenzio, in cui cogliere il dono straordinario della presenza di Dio nel fratello”, evidenzia Francesco.

È così che si aiuta le persone “a umanizzare i rapporti e a superare le incomprensioni”.

E questo accade nel rapporto tra marito e moglie, tra genitori e figli, ma anche tra gli insegnanti e i loro alunni oppure tra dirigenti e operai. Poi c’è il dialogo tra le religioni, “per scoprire la verità profonda della loro missione in mezzo agli uomini” e “per contribuire alla costruzione della pace e di una rete di rispetto e di fraternità”.

Di dialogo “vive anche la Chiesa con gli uomini e le donne di ogni tempo, per comprendere le necessità che sono nel cuore di ogni persona e per contribuire alla realizzazione del bene comune”. “Pensiamo al grande dono del creato e alla responsabilità che tutti abbiamo di salvaguardare la nostra casa comune: il dialogo su un tema così centrale è un’esigenza ineludibile”, osserva il Pontefice.

Tutte le forme di dialogo sono pertanto “espressione della grande esigenza di amore di Dio”, che “a tutti va incontro e in ognuno pone un seme della sua bontà, perché possa collaborare alla sua opera creatrice”.

Allora “non dimenticate”, raccomanda a braccio Francesco, “dialogare è ascoltare quello che mi dice l’altro e dire con mitezza quello che penso io. Se le cose vanno così la famiglia, il quartiere, il posto di lavoro andranno bene.

Ma se io non lascio che l’altro dica tutto quello che ha nel cuore, incomincio a urlare – oggi si urla tanto – non avrà buon fine questo rapporto fra noi, non avrà buon fine fra marito e moglie, tra genitori e figli”.

“Gesù – conclude il Santo Padre – ben conosceva quello che c’era nel cuore della samaritana; ciononostante non le ha negato di potersi esprimere ed è entrato poco alla volta nel mistero della sua vita”.

Un insegnamento, questo, che vale anche per noi: “Attraverso il dialogo – assicura Bergoglio – possiamo far crescere i segni della misericordia di Dio e renderli strumento di accoglienza e rispetto”.

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Papa Francesco: cristiani rifiutino lotte, lavorare per l’unità nella Chiesa

Posté par atempodiblog le 21 octobre 2016

Papa Francesco: cristiani rifiutino lotte, lavorare per l’unità nella Chiesa
Umiltà, dolcezza, magnanimità. Nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, Papa Francesco ha indicato questi tre punti chiave per costruire l’unità nella Chiesa. Ancora una volta, il Pontefice ha dunque esortato i cristiani a rifiutare le gelosie, le invidie e le lotte.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

 Papa Francesco: cristiani rifiutino lotte, lavorare per l'unità nella Chiesa dans Commenti al Vangelo Papa_Francesco

“Pace a voi”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia sottolineando che il saluto del Signore “crea un vincolo”, un vincolo di pace.

Un saluto, ha ripreso, che “ci unisce per fare l’unità dello spirito”. “Se non c’è pace – ha osservato – se non siamo capaci di salutarci nel senso più ampio della parola, avere il cuore aperto con spirito di pace, mai ci sarà l’unità”.

Lo spirito del male semina guerre, i cristiani evitino lotte 
E questo, ha precisato Francesco, vale per “l’unità nel mondo, l’unità nelle città, nel quartiere, nella famiglia”:

“Lo spirito del male semina guerre, sempre. Gelosie, invidie, lotte, chiacchiere … sono cose che distruggono la pace e pertanto non può essere l’unità. E come è il comportamento di un cristiano per l’unità, per trovare questa unità? Paolo dice chiaramente: ‘Comportatevi in maniera degna, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità’.

Questi tre atteggiamenti. Umiltà: non si può dare la pace senza l’umiltà. Dove c’è la superbia, c’è sempre la guerra, sempre la voglia di vincere sull’altro, di credersi superiore. Senza umiltà non c’è pace e senza pace non c’è unità”.

Riscoprire la dolcezza, il sopportarsi a vicenda
Il Papa ha quindi constatato con amarezza che abbiamo ormai “dimenticato la capacità di parlare con dolcezza, il nostro parlato è sgridarci. O sparlare degli altri … non c’è dolcezza”.

La dolcezza, invece, “ha un nocciolo che è la capacità di sopportare gli uni gli altri”: ‘Sopportandovi a vicenda’, dice Paolo. Bisogna avere pazienza, ha ripreso il Papa, “sopportare i difetti degli altri, le cose che non piacciono”:

“Primo: umiltà; secondo: dolcezza, con questo sopportarsi a vicenda; e terzo: magnanimità: cuore grande, cuore largo che ha capacità per tutti e non condanna, non si rimpiccolisce nelle piccolezze, ‘che ha detto questo’, ‘che ho sentito questo’, ‘che …’: no: largo il cuore, c’è posto per tutti. E questo fa il vincolo della pace, questo è il modo degno di comportarci per fare il vincolo della pace che è creatore di unità. Creatore di unità è lo Spirito Santo, ma favorisce, prepara la creazione dell’unità”.

Aiutiamo a costruire l’unità con il vincolo della pace
“Questa – ha detto ancora – è la maniera degna della chiamata del mistero al quale siamo stati chiamati, il mistero della Chiesa”. Il Papa ha così invitato tutti a riprendere il capitolo XIII della Lettera ai Corinzi che ci “insegna come fare lo spazio allo Spirito, con quali atteggiamenti nostri perché Lui faccia l’unità”:

“Il mistero della Chiesa è il mistero del Corpo di Cristo: ‘Una sola fede, un solo Battesimo’, ‘un solo Dio Padre di tutti che è al di sopra di tutti’, opera ‘per mezzo di tutti ed è presente in tutti’: questa è l’unità che Gesù ha chiesto al Padre per noi e che noi dobbiamo aiutare a fare, questa unità, con il vincolo della pace. E il vincolo della pace cresce con l’umiltà, con la dolcezza, con il sopportarsi l’uno con l’altro, e con la magnanimità”.

“Chiediamo che lo Spirito Santo – è stata la sua invocazione – ci dia la grazia non solo di capire, ma di vivere questo mistero della Chiesa, che è un mistero di unità”.

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Papa Francesco: Pastorale vocazionale non un programma, ma incontro con Gesù

Posté par atempodiblog le 21 octobre 2016

Papa Francesco: Pastorale vocazionale non un programma, ma incontro con Gesù
La pastorale vocazionale non è un progetto, ma consiste nell’imparare lo stile di Gesù. Così, in sintesi, il Papa nel discorso ai partecipanti al Convegno Internazionale di Pastorale vocazionale, in corso da mercoledì scorso in Vaticano, promosso dalla Congregazione per il Clero. Ai circa 255 partecipanti, ricevuti stamani in Sala Clementina, Francesco ha chiesto di “essere pastori in mezzo al popolo”, capaci di ascolto e misericordia.
di Debora Donnini – Radio Vaticana

Papa Francesco: Pastorale vocazionale non un programma, ma incontro con Gesù dans Commenti al Vangelo Pastorale_vocazionale

La chiamata di Matteo. E’ l’episodio del Vangelo con cui il Papa spiega la pastorale vocazionale: Gesù esce a predicare, poi vede Levi, il pubblicano, seduto al banco delle imposte, quindi lo chiama. “Uscire, vedere, chiamare” sono i tre verbi che incarnano questo dinamismo. Il motto del suo Pontificato,  Miserando atque eligendo, si riferisce proprio alla chiamata di Matteo e costituisce il tema dello stesso Convegno vocazionale. Un motto che fa memoria degli anni giovanili del Papa, quando sentì la chiamata del Signore: non “a seguito di una conferenza”, ricorda, ma “per aver sperimentato l’amore misericordioso di Gesù »:

“Dunque, è bello che siate venuti qui, da molte parti del mondo, a riflettere su questo tema, ma, per favore, che non finisca tutto con un bel convegno! La pastorale vocazionale è imparare lo stile di Gesù, che passa nei luoghi della vita quotidiana, si ferma senza fretta e, guardando i fratelli con misericordia, li conduce all’incontro con Dio Padre”.

Bisogna uscire e ascoltare i giovani. Non è un compito da ufficio burocratico
Prima di tutto dunque bisogna “uscire”. Serve una Chiesa in movimento, ricorda Francesco, che non resti chiusa “nel comodo criterio pastorale del ‘si è fatto sempre così’”. Bisogna invece essere “audaci e creativi”, uscire dalle rigidità e “dalle formule standardizzate che spesso risultano anacronistiche”:

“Lo chiedo soprattutto ai pastori della Chiesa, ai vescovi e ai sacerdoti: voi siete i principali responsabili delle vocazioni cristiane e sacerdotali, e questo compito non si può relegare a un ufficio burocratico. Anche voi avete vissuto un incontro che ha cambiato la vostra vita, quando un altro prete – il parroco, il confessore, il direttore spirituale – vi ha fatto sperimentare la bellezza dell’amore di Dio”.

Il Papa esorta quindi i pastori a fare lo stesso: uscire, ascoltare i giovani, aiutarli a discernere. “E’ triste – nota – quando un prete vive solo per se stesso, chiudendosi nella fortezza sicura della canonica”:

“Al contrario, siamo chiamati a essere pastori in mezzo al popolo, capaci di animare una pastorale dell’incontro e di spendere tempo per accogliere e ascoltare tutti, specialmente i giovani”.

Il pastore deve avere lo stesso sguardo misericordioso di Gesù, senza fretta e con discernimento
Il secondo asse portante per Francesco è “vedere”: senza farsi prendere dalla fretta o dall’”attivismo organizzato”, bisogna invece trovare il tempo per incontrare le persone.

Il termine miserando infatti esprime proprio un abbracciare con gli occhi e col cuore. Così Gesù ha guardato Matteo: e questo pubblicano finalmente non ha percepito uno sguardo di disprezzo, ma d’amore:

“Gesù ha sfidato i pregiudizi e le etichette della gente; ha creato uno spazio aperto, nel quale Matteo ha potuto rivedere la propria vita e iniziare un nuovo cammino”.

Un pastore deve quindi essere “attento, non frettoloso, capace di fermarsi e leggere in profondità”, senza far sentire l’altro giudicato.

Deve avere uno sguardo “capace di suscitare stupore per il Vangelo”, “uno sguardo di discernimento, che accompagna le persone, senza né impossessarsi della loro coscienza, né pretendere di controllare la grazia di Dio”. Soprattutto Francesco vuole che ci sia discernimento “senza leggerezze o superficialità”:

“Lo dico in particolare ai fratelli vescovi: vigilanza e prudenza. La Chiesa e il mondo hanno bisogno di sacerdoti maturi ed equilibrati, di pastori intrepidi e generosi, capaci di vicinanza, ascolto e misericordia”.

Gesù non presenta un programma ma suscita il fascino di seguirLo
Il terzo punto è “chiamare”, il verbo tipico della vocazione cristiana:

“Gesù non fa lunghi discorsi, non consegna un programma a cui aderire, non fa proselitismo, né offre risposte preconfezionate. Rivolgendosi a Matteo, si limita a dire: ‘Seguimi!’. In questo modo, suscita in lui il fascino di scoprire una nuova mèta, aprendo la sua vita verso un ‘luogo’ che va oltre il piccolo banco dove sta seduto”.

Il Papa esorta quindi a non ridurre la fede “a un libro di ricette o a un insieme di norme”, ma ad aiutare i giovani a “mettersi in cammino e a scoprire la gioia del Vangelo”. Francesco sa che non è un compito facile e che i risultati possono essere scarsi e produrre scoraggiamento, ma il Signore dona il coraggio di “gettare le reti anche quando siamo stanchi e delusi per non aver pescato nulla”, sottolinea.

Ai vescovi e ai sacerdoti Francesco chiede dunque di farsi prossimi, uscire a seminare la Parola con sguardi di misericordia. Chiede di esercitare il discernimento dando impulso alle vocazioni, attraverso l’evangelizzazione. E soprattutto a mostrare, dice, “la vostra testimonianza gioiosa” che è bello donare al Signore la vita per sempre.

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Papa Francesco: no a “religione del maquillage”, respingere apparenze

Posté par atempodiblog le 12 octobre 2016

Papa Francesco: no a “religione del maquillage”, respingere apparenze
Gesù ci chiede di fare il bene con umiltà, rifuggendo l’apparire, il “far finta” di fare qualcosa. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, nella memoria di San Giovanni XXIII. Il Pontefice ha dunque messo in guardia da una “religione del maquillage” ribadendo che la via del Signore è la via dell’umiltà.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

Papa Francesco: no a “religione del maquillage”, respingere apparenze dans Commenti al Vangelo Papa_Francesco

La libertà cristiana viene da Gesù, “non dalle nostre opere”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia muovendo dalla Lettera di San Paolo ai Galati per rivolgere poi l’attenzione al Vangelo odierno laddove Gesù rimprovera un fariseo tutto concentrato sulle apparenze e non sulla sostanza della fede.

Gesù ci chiede di accettare la giustizia che viene da Dio
A quel dottore della legge che aveva criticato Gesù perché non aveva fatto le abluzioni prima del pranzo, ha detto il Papa, il Signore risponde in modo netto:

“‘Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria’. E questo Gesù lo ripete tante volte nel Vangelo a questa gente: ‘Il vostro interno è cattivo, non è giusto, non è libero. Siete schiavi perché non avete accettato la giustizia che viene da Dio, la giustizia che ci ha dato Gesù’”.

In un altro passo del Vangelo, ha proseguito il Papa, Gesù chiede di pregare senza farsi vedere, senza apparire. Alcuni, ha notato, avevano “le facce toste”, “non avevano vergogna”: pregavano e facevano l’elemosina per farsi ammirare. Il Signore, invece, indica la strada dell’umiltà.

No alla “religione del maquillage”, rifuggire dalle apparenze
“Quello che importa, dice Gesù – è la riflessione di Francesco – è la libertà che ci ha dato la redenzione, che ci ha dato l’amore, che ci ha dato la ricreazione del Padre”:

“Quella libertà interna, quella libertà che si fa il bene di nascosto, senza far suonare la tromba perché la strada della vera religione è la stessa strada di Gesù: l’umiltà, l’umiliazione. E Gesù, Paolo lo dice ai Filippesi, umiliò se stesso, svuotò se stesso. E’ l’unica strada per togliere da noi l’egoismo, la cupidigia, la superbia, la vanità, la mondanità.

Al contrario questa gente che Gesù rimprovera è gente che segue la religione del maquillage: l’apparenza, l’apparire, fare finta di sembrare ma dentro… Gesù usa per questa gente un’immagine molto forte: ‘Voi siete sepolcri imbiancati, belli al di fuori ma dentro pieni di ossa di morti e marciume’”.

Chiediamo al Signore di respingere la religione dell’apparire
“Gesù – ha ripreso – ci chiama, ci invita a fare il bene con umiltà”. “Tu – ha detto – puoi fare tutto il bene che tu vuoi ma se non lo fai umilmente, come ci insegna Gesù, questo bene non serve, perché un bene che nasce da te stesso, dalla tua sicurezza non dalla redenzione che Gesù ci ha dato”. La redenzione, ha soggiunto, “viene per la strada dell’umiltà e delle umiliazioni perché non si arriva mai all’umiltà senza le umiliazioni. E vediamo Gesù umiliato in croce”:

“Chiediamo al Signore di non stancarci di andare su questa strada, di non stancarci di respingere questa religione dell’apparire, del sembrare, del fare finta di… E andare silenziosamente facendo il bene, gratuitamente come noi gratuitamente abbiamo ricevuto la nostra libertà interiore. E che Lui custodisca questa libertà interiore di tutti noi. Chiediamo questa grazia”.

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Papa: in un mondo in crisi di “orfanezza” c’è una Madre che ci difende

Posté par atempodiblog le 15 septembre 2016

Papa: in un mondo in crisi di “orfanezza” c’è una Madre che ci difende
In un “mondo che soffre la crisi di una grande orfanezza”, noi abbiamo una Madre che ci accompagna e ci difende: così il Papa nella Messa del mattino a Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria della Beata Vergine Maria Addolorata.

di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

Papa: in un mondo in crisi di “orfanezza” c'è una Madre che ci difende dans Commenti al Vangelo IMG_3736

Il Vangelo del giorno ci porta sul Calvario. Tutti i discepoli sono fuggiti, tranne Giovanni e alcune donne. Ai piedi della Croce c’è Maria, la Madre di Gesù: tutti – afferma il Papa – la guardavano dicendo: “Quella è la madre di questo delinquente! Quella è la madre di questo sovversivo!”:

“E Maria sentiva queste cose. Soffriva umiliazioni terribili. E anche sentiva i grandi, alcuni sacerdoti, che lei rispettava, perché erano sacerdoti: ‘Ma Tu che sei tanto bravo, scendi! Scendi!’. Con suo Figlio, nudo, lì. E Maria aveva una sofferenza tanto grande, ma non se ne è andata. Non rinnegò il Figlio! Era la sua carne”.

Papa Francesco ricorda quando a Buenos Aires si recava nelle carceri a visitare i detenuti e vedeva sempre una fila di donne che aspettavano di entrare:

“Erano mamme. Ma non si vergognavano: la loro carne era lì dentro. E queste donne soffrivano non solo la vergogna di essere lì – ‘Ma guarda quella! Cosa avrà fatto il figlio?’ – ma anche soffrivano le più brutte umiliazioni nelle perquisizioni che venivano fatte loro prima di entrare. Ma erano madri e andavano a trovare la propria carne. Così Maria, era lì, col Figlio, con quella sofferenza tanto grande”.

Gesù – afferma il Papa – ha promesso di non lasciarci orfani e sulla Croce ci dona sua Madre come nostra Madre:

“Noi cristiani abbiamo una Madre, la stessa di Gesù; abbiamo un Padre, lo stesso di Gesù. Non siamo orfani! E Lei ci partorisce in quel momento con tanto dolore: è davvero un martirio. Col cuore trafitto, accetta di partorire tutti noi in quel momento di dolore. E da quel momento Lei diventa la nostra Madre, da quel momento Lei è nostra Madre, quella che si prende cura di noi e non si vergogna di noi: ci difende”.

I primi mistici russi – ricorda Francesco – consigliavano di rifugiarsi sotto il manto della Madre di Dio nel momento delle turbolenze spirituali: “Lì non può entrare il diavolo. Perché Lei è Madre e come Madre difende. Poi l’Occidente ha preso questo consiglio e ha fatto la prima antifona mariana ‘Sub tuum praesidium’ – ‘Sotto il tuo mantello, sotto la tua custodia, oh Madre!’. Lì siamo sicuri”.

“In un mondo che possiamo chiamare ‘orfano’ – conclude il Papa – in questo mondo che soffre la crisi di una grande orfanezza, forse il nostro aiuto è dire ‘Guarda a tua Madre!’. Ne abbiamo una che ci difende, ci insegna, ci accompagna; che non si vergogna dei nostri peccati. Non si vergogna, perché lei è Madre. Che lo Spirito Santo, questo amico, questo compagno di strada, questo Paraclito avvocato che il Signore ci ha inviato, ci faccia capire questo mistero tanto grande della maternità di Maria”. 

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L’infinita misericordia di Dio nel ricercare i peccatori e nell’accoglierli, in uno sguardo generale alle parabole di Gesù

Posté par atempodiblog le 13 septembre 2016

L’infinita misericordia di Dio nel ricercare i peccatori e nell’accoglierli, in uno sguardo generale alle parabole di Gesù
del servo di Dio don Dolindo Ruotolo

L'infinita misericordia di Dio nel ricercare i peccatori e nell'accoglierli, in uno sguardo generale alle parabole di Gesù dans Commenti al Vangelo don_Dolindo_Ruotolo

Si avvicinavano a Gesù i peccatori e i pubblicani per ascoltarlo. Il testo greco dice che gli si avvicinavano tutti i peccatori ed i pubblicani, per far rilevare che tutti erano attratti dalla bontà di Gesù, anche quelli che poi non si convertivano per loro colpa.

C’era, infatti, nel Redentore una potente attrattiva, perché Egli era venuto in terra per rigenerarli ed aveva in sé la delicatezza di una mamma, la premura di un pastore e l’espansione di un affettuosissimo padre. I peccatori, poi, standogli vicino, si sentivano migliori, perché in quell’immensa luce di santità l’anima loro spontaneamente si umiliava.

I farisei e gli scribi non potevano tollerare la bontà di Gesù, perché contrastava troppo con la loro durezza; premurosi com’erano della loro fama e della loro gloria, disprezzavano i peccatori per ostentare anche così la loro pretesa giustizia e riprovavano l’atteggiamento di Gesù, non tanto perché loro dispiacesse, ma per far rimarcare al popolo che Egli non era giusto come loro.

Credevano che la sua familiarità coi peccatori dipendesse per lo meno da superficialità e volevano far rilevare che Egli non sapeva conoscerli, e quindi non era profeta. C’era nel loro rimprovero un insieme di orgoglio, di malignità e di avversione che li rivelava.

Gesù Cristo non rispose smascherandoli, come avrebbe potuto fare, ma rivelò la misericordia di Dio e per conseguenza quella del suo Cuore, aprendo così maggiormente alla fiducia il cuore dei peccatori di tutti i tempi, e manifestando il grande segreto della sua missione divina, Gesù raccontò tre parabole che esprimono la bontà di Dio stesso nel cercare, nell’accogliere i peccatori, e rivelò così che Egli non cercava i traviati né per superficialità di valutazione delle loro colpe, né per semplice compassione naturale, ma perché era Dio e li cercava per usare loro misericordia.

Le tre parabole, poi, manifestavano la valutazione vera che Egli faceva dei peccatori di tutte le nazioni e di tutte le epoche, riguardandoli come pecorelle smarrite dell’ovile di Dio, come valori dell’umanità, perduti con danno comune, e come figli lontani dal cuore paterno. Un pastore cerca la pecorella smarrita per compassione, una donna cerca il valore perduto per interesse, un padre per amore tenerissimo sospira al figlio ribelle, che si è allontanato da lui.

Sono i tre grandi momenti della divina misericordia: il Signore chiama l’umanità peccatrice come pecorella smarrita, la redime pagando il prezzo del suo riscatto, e l’accoglie in un amore paterno immenso che la ridona alla primitiva grandezza. Accolse Israele e lo cercò nel deserto del mondo come pecorella smarrita, portandolo Egli stesso per le vie della vita come un pastore porta sulle spalle la sua pecorella. Venne dal cielo in terra e fece luce per cercare l’umanità perduta e ridonarle il valore perduto col peccato; aspetta al suo Cuore l’umanità traviata ed apostata, immersa nelle sozzure dell’impurità e ridotta ad uno stato di estremo squallore, e l’accoglie con amore paterno riabilitandola.

La misericordia di Dio è sempre ricerca amorosa, valutazione divina di un’anima ed amore immenso nell’accoglierla, ma si può dire che le tre parabole proposte da Gesù riguardassero le tre grandi manifestazioni della misericordia di Dio Uno e Trino: quella fatta al popolo eletto, pecorella sua, il Padre; quella fatta nella redenzione, pagando il prezzo del nostro riscatto, il Figlio, e quella che fa ogni giorno nella Chiesa, e farà in modo meraviglioso alla fine dei tempi, accogliendo al suo Cuore i figli traviati, corrotti ed apostati dal suo paterno amore, lo Spirito Santo.

Gesù parla della gioia del pastore nel ritrovare la pecorella smarrita, della gioia della donna nel rintracciare la dramma perduta, e della gioia del padre nel riabbracciare il figlio traviato, non per dire che Dio ama più i peccatori che i giusti, ma per dire che è così piena e completa la sua misericordia che Egli accoglie i peccatori pentiti come se fossero giusti. Egli parla della festa che si fa nel cielo per un peccatore che si converte, per dirci che è più grande la gioia attuale dei Beati per un’anima che si salva, che per quelle che sono già salve o giuste; anche un padre gode più attualmente della guarigione di un figlio infermo, che della sanità degli altri, il che non significa che egli apprezza più i malati che i sani, ma proprio perché apprezza la salute, gode che il figlio infermo l’abbia recuperata.

Nei peccatori che si convertono c’è poi sempre una ricchezza di umiltà, di riconoscenza e di amore che li rende più cari al Signore, e facilita in loro l’efflusso della grazia.

Il peccato è un male orribile che Dio aborre sempre; ma la vera penitenza può far fiorire il cuore dei peccatori anche più di quello dei giusti, e la tenerezza di Dio riguarda proprio questa fioritura di amore e di virtù.

Si deve notare che Gesù accennò semplicemente le parabole della pecorella smarrita e della dramma sperduta, mentre raccontò con minuti e bellissimi particolari quella del figliol prodigo, per dare maggiore risalto all’amore col quale Dio accoglie come padre i peccatori che vanno a Lui, pentiti.

Il suo Cuore divino non ebbe confini nella tenerezza quando parlò di ciò che l’anima fa per cercare Dio e, nell’esuberanza della parabola, rivelò l’esuberanza dell’amore di Dio. Si direbbe che la delicata sua carità abbia voluto dare più risalto al bisogno che il peccatore sente di Dio che a quello che fa Dio per un peccatore; l’amor suo nel cercarci è infinito, ma l’amor suo nell’accoglierci è tenerissimo, ed è divinamente psicologico che il Redentore si sia trattenuto di più sulla parabola del fìgliol prodigo. L’ampiezza di questa parabola, poi, può anche farci intendere quanto sarà esuberante la misericordia che Dio farà negli ultimi tempi ai figli apostati che ritorneranno al suo Cuore.

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Il Papa all’Angelus: Dio ci aspetta sempre e ci perdona

Posté par atempodiblog le 12 septembre 2016

Il Papa all’Angelus: Dio ci aspetta sempre e ci perdona
“Non c’è peccato in cui siamo caduti da cui, con la grazia di Dio, non possiamo risorgere; non c’è una persona irrecuperabile”. E’ quanto ha affermato Papa Francesco riferendosi al Vangelo odierno e aggiungendo che “Dio non smette mai di volere il nostro bene, anche quando pecchiamo”.
di Amedeo Lomonaco – Radio Vaticana

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Il capitolo 15 del Vangelo di Luca, considerato – ha detto il Papa – “il capitolo della misericordia”, raccoglie tre parabole con cui Gesù risponde alle mormorazioni di scribi e farisei. Nella prima parabola Dio è presentato come un pastore che lascia 99 pecore “per andare in cerca di quella perduta”. Nella seconda è paragonato ad “una donna che ha perso una moneta e la cerca fin quando non la trova”. Nella terza parabola Dio è immaginato come “un padre che accoglie il figlio che si era allontanato”. La festa di Dio per coloro che ritornano a Lui pentiti – ha detto il Papa – è quanto mai intonata all’Anno giubilare:

“Con queste tre parabole, Gesù ci presenta il volto vero di un Dio: un Padre dalle braccia aperte, che tratta i peccatori con tenerezza e compassione. La parabola che più commuove – commuove tutti -, perché manifesta l’infinito amore di Dio, è quella del padre che stringe a sé, e abbraccia il figlio ritrovato. ”.

Dio ci attende con pazienza
A colpire – ha affermato il Pontefice – non è tanto “la triste storia di un giovane che precipita nel degrado, ma le sue parole decisive:

“«Mi alzerò, andrò da mio padre» (v. 18). La via del ritorno verso casa è la via della speranza e della vita nuova. Dio aspetta sempre il nostro rimetterci in viaggio, ci attende con pazienza, ci vede quando ancora siamo lontani, ci corre incontro, ci abbraccia, ci bacia, ci perdona. Così è Dio! Così è il nostro Padre! E il suo perdono cancella il passato e ci rigenera nell’amore. Dimentica il passato: questa è la debolezza di Dio. Quando ci abbraccia e ci perdona, perde la memoria, non ha memoria! Dimentica il passato. Quando noi peccatori ci convertiamo il peccatore si converte e ci facciamo si fa ritrovare da Dio non lo ci attendono rimproveri e durezze, perché Dio salva, riaccoglie a casa con gioia e fa festa”.

Poi il Papa ha rivolto a tutti una domanda:

“Avete mai pensato che ogni volta che ci accostiamo al confessionale, c’è gioia e festa nel cielo? Avete pensato a questo? E’ bello! ».

La testimonianza del beato Bukowinski
Dopo l’Angelus, il Santo Padre ha ricordato che oggi a Karakanda, in Kazakhstan, viene proclamato beato Ladislao Bukowinski, sacerdote e parroco, perseguitato per la sua fede. “Nella sua vita – ha detto il Pontefice – ha dimostrato sempre grande amore ai più deboli e bisognosi e la sua testimonianza appare come un condensato delle opere di misericordia spirituali e corporali”.

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Udienza generale. Papa: la misericordia salva. Sintesi catechesi

Posté par atempodiblog le 7 septembre 2016

Udienza generale. Papa: la misericordia salva. Sintesi catechesi
No a una “fede fai da te” che falsa l’immagine dell’amore di Dio, riducendolo a un “idolo”, e dimentica o anzi si scandalizza della misericordia. “Beati invece coloro che, di fronte ai gesti e alle parole di Gesù, rendono gloria al Padre che è nei cieli”. Lo ha affermato Papa Francesco all’udienza generale dedicata al tema della misericordia “che salva”.
di Radio Vaticana

Udienza generale. Papa: la misericordia salva. Sintesi catechesi dans Commenti al Vangelo Papa_Francesco

Di seguito ampi stralci della catechesi del Papa:

“Nel brano del Vangelo di Matteo ascoltato all’inizio dell’udienza, “’intento dell’evangelista è quello di farci entrare più profondamente nel mistero di Gesù, per cogliere la sua bontà e la sua misericordia. L’episodio è il seguente: Giovanni Battista manda i suoi discepoli da Gesù – Giovanni era in carcere – per fargli una domanda molto chiara: ‘Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?’. Era proprio nel momento del buio… Il Battista attendeva con ansia il Messia e nella sua predicazione lo aveva descritto a tinte forti, come un giudice che finalmente avrebbe instaurato il regno di Dio e purificato il suo popolo, premiando i buoni e castigando i cattivi. Egli predicava così: ‘Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco’. Ora Gesù ha iniziato la sua missione pubblica con uno stile diverso; Giovanni soffre e nel doppio buio – nel buio del carcere, nel buio della cella, e nel buio del cuore non capisce questo stile e vuole sapere se è proprio Lui il Messia, oppure se si deve aspettare un altro”.

“E la risposta di Gesù sembra a prima vista non corrispondere alla richiesta del Battista. Gesù, infatti, dice: ‘Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato colui che non trova in me motivo di scandalo!’. Questa è la risposta di Gesù. Qui diventa chiaro l’intento del Signore Gesù: Egli risponde di essere lo strumento concreto della misericordia del Padre, che a tutti va incontro portando la consolazione e la salvezza, e in questo modo manifesta il giudizio di Dio. I ciechi, gli zoppi, i lebbrosi, i sordi, recuperano la loro dignità e non sono più esclusi per la loro malattia, i morti ritornano a vivere, mentre ai poveri è annunciata la Buona Notizia. E questa diventa la sintesi dell’agire di Gesù, che in questo modo rende visibile e tangibile l’agire stesso di Dio”.

“La giustizia che il Battista poneva al centro della sua predicazione, in Gesù si manifesta in primo luogo come misericordia. E i dubbi del Precursore non fanno che anticipare lo sconcerto che Gesù susciterà in seguito con le sue azioni e con le sue parole. Si comprende, allora, la conclusione della risposta di Gesù. Dice: ‘Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!’. Scandalo significa ‘ostacolo’. Gesù perciò ammonisce su un particolare pericolo: se l’ostacolo a credere sono soprattutto le sue azioni di misericordia, ciò significa che si ha una falsa immagine del Messia. Beati invece coloro che, di fronte ai gesti e alle parole di Gesù, rendono gloria al Padre che è nei cieli”.

“L’ammonimento di Gesù è sempre attuale: anche oggi l’uomo costruisce immagini di Dio che gli impediscono di gustare la sua reale presenza. Alcuni si ritagliano una fede “fai di te” che riduce Dio nello spazio limitato dei propri desideri e delle proprie convinzioni. Ma questa fede non è conversione al Signore che si rivela, anzi, gli impedisce di provocare la nostra vita e la nostra coscienza. Altri riducono Dio a un falso idolo; usano il suo santo nome per giustificare i propri interessi o addirittura l’odio e la violenza. Per altri ancora Dio è solo un rifugio psicologico in cui essere rassicurati nei momenti difficili: si tratta di una fede ripiegata su sé stessa, impermeabile alla forza dell’amore misericordioso di Gesù che spinge verso i fratelli. Altri ancora considerano Cristo solo un buon maestro di insegnamenti etici, uno fra i tanti della storia. Infine, c’è chi soffoca la fede in un rapporto puramente intimistico con Gesù, annullando la sua spinta missionaria capace di trasformare il mondo e la storia.

Noi cristiani crediamo nel Dio di Gesù, nel Dio di Gesù Cristo, e il suo desiderio è quello di crescere nell’esperienza viva del suo mistero di amore. Impegniamoci dunque a non frapporre alcun ostacolo all’agire misericordioso del Padre, ma domandiamo il dono di una fede grande per diventare anche noi segni e strumenti di misericordia”.

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Papa Francesco alla Porziuncola: Il mondo ha bisogno di perdono, troppi covano odio

Posté par atempodiblog le 5 août 2016

Papa Francesco alla Porziuncola: Il mondo ha bisogno di perdono, troppi covano odio dans Commenti al Vangelo Papa_Porziuncola

Perché dovremmo perdonare una persona che ci ha fatto del male? Perché noi per primi siamo stati perdonati, e infinitamente di più. Non c’è nessuno fra noi, qui, che non sia stato perdonato. Ognuno pensi… pensiamo in silenzio le cose brutte che abbiamo fatto e come il Signore ci ha perdonato. La parabola ci dice proprio questo: come Dio perdona noi, così anche noi dobbiamo perdonare chi ci fa del male. E’ la carezza del perdono. Il cuore che perdona. Il cuore che perdona accarezza.

Tanto lontano da quel gesto: “me la pagherai!”. Il perdono è un’altra cosa. Precisamente come nella preghiera che Gesù ci ha insegnato, il Padre Nostro, quando diciamo: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). I debiti sono i nostri peccati davanti a Dio, e i nostri debitori sono quelli a cui anche noi dobbiamo perdonare.

[...]

Dio si impietosisce, cioè prova un sentimento di pietà unito alla tenerezza: è un’espressione per indicare la sua misericordia nei nostri confronti. Il nostro Padre, infatti, si impietosisce sempre quando siamo pentiti, e ci rimanda a casa con il cuore tranquillo e sereno dicendoci che ci ha condonato ogni cosa e perdonato tutto. Il perdono di Dio non conosce limiti; va oltre ogni nostra immaginazione e raggiunge chiunque, nell’intimo del cuore, riconosce di avere sbagliato e vuole ritornare a Lui. Dio guarda al cuore che chiede di essere perdonato.

Il problema, purtroppo, nasce quando noi ci troviamo a confrontarci con un nostro fratello che ci ha fatto un piccolo torto. La reazione che abbiamo ascoltato nella parabola è molto espressiva: «Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”» (Mt 18,28). In questa scena troviamo tutto il dramma dei nostri rapporti umani. Quando siamo noi in debito con gli altri, pretendiamo la misericordia; quando invece siamo in credito, invochiamo la giustizia! E tutti facciamo così, tutti. Non è questa la reazione del discepolo di Cristo e non può essere questo lo stile di vita dei cristiani. Gesù ci insegna a perdonare, e a farlo senza limiti: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette» (v. 22). Insomma, quello che ci propone è l’amore del Padre, non la nostra pretesa di giustizia. Fermarsi a questa, infatti, non ci farebbe riconoscere come discepoli di Cristo, che hanno ottenuto misericordia ai piedi della Croce solo in forza dell’amore del Figlio di Dio. Non dimentichiamo, dunque, le parole severe con le quali si chiude la parabola: «Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello» (v. 35).

[...]

Il mondo ha bisogno di perdono; troppe persone vivono rinchiuse nel rancore e covano odio, perché incapaci di perdono, rovinando la vita propria e altrui piuttosto che trovare la gioia della serenità e della pace.

Papa Francesco
La meditazione del Papa alla Porziuncola 2e2mot5 dans Diego Manetti testo integrale

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Papa su strage Nizza: basta uccidere fratelli, costruire mondo su accoglienza

Posté par atempodiblog le 18 juillet 2016

Papa su strage Nizza: basta uccidere fratelli, costruire mondo su accoglienza
Appello del Papa all’Angelus in Piazza San Pietro, dopo la strage di Nizza. Francesco esprime la sua vicinanza al popolo francese e invoca la fine del terrore. Quindi, invita a costruire un mondo nuovo e fraterno praticando la virtù umana e cristiana dell’accoglienza, che oggi – osserva – rischia di essere trascurata.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

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Subito dopo la strage di Nizza, il Papa aveva manifestato il suo sgomento per la “violenza cieca” che colpisce persone innocenti, incapace di avere pietà anche davanti alla vita di tanti bambini. All’Angelus, davanti a numerosi pellegrini giunti da tutto il mondo in Piazza San Pietro, torna ad esprimere il suo dolore per quanto accaduto e chiede un momento di silenzio per pregare:

“Nei nostri cuori è vivo il dolore per la strage che, la sera di giovedì scorso, a Nizza, ha falciato tante vite innocenti, persino tanti bambini. Sono vicino ad ogni famiglia e all’intera nazione francese in lutto. Dio, Padre buono, accolga tutte le vittime nella sua pace, sostenga i feriti e conforti i familiari; Egli disperda ogni progetto di terrore e di morte, perché nessun uomo osi più versare il sangue del fratello. Un abbraccio paterno e fraterno a tutti gli abitanti di Nizza e a tutta la nazione francese”.

Commentando il brano evangelico di Marta e Maria, proposto dalla liturgia domenicale, Papa Francesco invita a costruire un mondo nuovo, più fraterno, basato sull’accoglienza e non sull’emarginazione e l’esclusione. Le due sorelle che accolgono a casa il Signore, ci ricordano che l’ospitalità è “una virtù umana e cristiana”, una virtù – afferma Francesco – che purtroppo “nel mondo di oggi rischia di essere trascurata”:

“Infatti, si moltiplicano le case di ricovero e gli ospizi, ma non sempre in questi ambienti si pratica una reale ospitalità. Si dà vita a varie istituzioni che provvedono a molte forme di malattia, di solitudine, di emarginazione, ma diminuisce la probabilità per chi è straniero, emarginato, escluso di trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo. Perché è straniero, profugo, migrante. Ascoltare quella dolorosa storia! Persino nella propria casa, tra i propri familiari, può capitare di trovare più facilmente servizi e cure di vario genere che ascolto e accoglienza”.

Oggi siamo presi da tanti problemi – e alcuni dei quali non importanti – sottolinea il Papa – e manchiamo della capacità di ascolto:

“Siamo indaffarati continuamente e così non abbiamo tempo per ascoltare. E io vorrei domandare a voi, farvi una domanda, ognuno risponda nel proprio cuore: ‘Tu, marito, hai tempo per ascoltare tua moglie? E tu, donna, hai tempo per ascoltare tuo marito? Voi genitori avete tempo, tempo da perdere, per ascoltare i vostri figli o i vostri nonni, gli anziani?’ – ‘Ma, i nonni sempre dicono le stesse cose, sono noiosi…’ – ‘Ma hanno bisogno di essere ascoltati!’. Ascoltare. Vi chiedo di imparare ad ascoltare e di dedicargli più tempo. Nella capacità di ascolto c’è la radice della pace”.

Nel passo evangelico Maria ascolta la parola di Gesù, mentre Marta, presa dalle cose da preparare, si lamenta col Maestro perché la sorella non l’aiuta. Il Signore la esorta a non affannarsi ma a scegliere come Maria la parte migliore, l’unica cosa necessaria:

“Nel suo affaccendarsi e darsi da fare, Marta rischia di dimenticare. E questo è il problema: rischia di dimenticare la cosa più importante, cioè la presenza dell’ospite, che era Gesù in questo caso. Si dimentica della presenza dell’ospite. E l’ospite non va semplicemente servito, nutrito, accudito in ogni maniera. Occorre soprattutto che sia ascoltato.

Ricordate bene questa parola: ascoltare! Perché l’ospite accolto come persona, con la sua storia, il suo cuore ricco di sentimenti e di pensieri, così che possa sentirsi veramente in famiglia. Ma se tu accogli un ospite a casa tua e continui a fare le cose, lo fai sedere lì, muto lui e muto te, è come se fosse di pietra, l’ospite di pietra. No! L’ospite va ascoltato”.

L’unica cosa di cui c’è bisogno – spiega il Papa – rimanda certamente all’ascolto della parola di Gesù, “che illumina e sostiene tutto ciò che siamo e che facciamo »:

“Se noi andiamo a pregare – per esempio – davanti al Crocifisso e parliamo, parliamo, parliamo e parliamo e poi ce ne andiamo: non ascoltiamo Gesù! Non lasciamo parlare Lui al nostro cuore. Ascoltare: quella parola è chiave. Non dimenticatevi! Ma non dobbiamo dimenticare che anche nella casa di Marta e Maria, Gesù, prima di essere Signore e Maestro, è pellegrino e ospite.

Dunque, la sua risposta ha questo primo e più immediato significato: Marta, Marta, perché ti dai tanto da fare per l’ospite fino a dimenticare la sua presenza? L’ospite di pietra! Per accoglierlo non sono necessarie molte cose; anzi, necessaria è una cosa sola: ascoltarlo – la parola: ascoltarlo – dimostrargli un atteggiamento fraterno, in modo che si accorga di essere in famiglia, e non in un ricovero provvisorio”.

Il Papa eleva la sua preghiera a Maria:

“La Vergine Maria, Madre dell’ascolto e del servizio premuroso, ci insegni ad essere accoglienti e ospitali verso i nostri fratelli e le nostre sorelle”.

Infine, Francesco rivolge un saluto caloroso anche a un gruppo di pellegrini cinesi.

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