La Samaritana e Gesù, il Messia da andare a vedere

Posté par atempodiblog le 14 mars 2020

La Samaritana e Gesù, il Messia da andare a vedere
Uno degli splendidi mosaici della basilica di San Marco è dedicato al colloquio di Gesù con la Samaritana. I due parlano della vita e dell’acqua che salva. Lo sguardo stupito della donna si trasforma nella scena accanto, dove si rivolge ai suoi concittadini per invitarli a vedere Colui che «mi ha detto tutto quello che ho fatto».
di Margherita del Castillo – La nuova Bussola Quotidiana

La Samaritana e Gesù, il Messia da andare a vedere dans Commenti al Vangelo Ges-e-la-Samaritana-al-pozzo-Venezia-Basilica-di-San-Marco
Gesù e la Samaritana al pozzo, Venezia – Basilica di San Marco

Signore – gli disse la donna – dammi di quest’acqua, perché io non abbia più sete.” (Gv 4, 15)
Sicar è la città della Samaria dove Gesù, durante il suo cammino dalla Giudea alla Galilea, decise, un giorno, di fermarsi a riposare. Sorgeva proprio qui il pozzo che Giacobbe aveva acquistato con tutto il terreno, lasciandolo poi in eredità al figlio Giuseppe. A Sicar avvenne uno degli episodi evangelici su cui la liturgia quaresimale ci invita a meditare: l’incontro tra Cristo e la donna samaritana, evocativo della portata universale del messaggio cristiano e proprio per questo caro alla tradizione iconografica occidentale.

Nel racconto della storia della Salvezza, così come si legge negli splendidi mosaici di cui è rivestita l’intera basilica di San Marco a Venezia, Gesù e la Samaritana occupano una porzione della volta del transetto destro: fin qui, il programma decorativo musivo aveva ripercorso lo svelarsi del disegno divino dalla Creazione del mondo alla manifestazione di Cristo quale Messia, attraverso l’Epifania, il Suo Battesimo e i primi miracoli da Lui compiuti.

Lo sfondo oro annulla ogni riferimento temporale mentre lo spazio, o meglio, il luogo, è identificato attraverso il disegno del pozzo che il mosaicista sceglie di rappresentare a forma di croce: l’acqua che può dissetare per sempre è solamente quella che sgorga dal sacrificio di Cristo, divenendo fonte battesimale e, quindi, possibilità di un’esistenza ontologicamente nuova. Il sacro legno che vi affonda le radici è l’Albero della Vita che si sviluppa, a guisa di fiamma, in tre rami rigogliosi, a significare il mistero della Trinità.

Attorno a quest’asse simbolico prende corpo il dialogo tra i due protagonisti: Gesù, seguito da due discepoli, si rivolge alla donna che porta con sé un’anfora. Parlano della vita e dell’acqua salvifica, come sappiamo dal resoconto che di quell’incontro fa Giovanni nel suo Vangelo, mentre i gesti espressivi delle mani di entrambi lasciano intuire il registro dialettico della loro conversazione.

Lo sguardo stupito, interrogativo, della samaritana si trasforma nella scena accanto, attraverso cui, pur nella staticità delle tessere musive, progredisce temporalmente il racconto, senza soluzione di continuità. Vestita con gli stessi abiti signorili, la donna si rivolge animatamente a un folto gruppo di uomini, i suoi concittadini. Le parole che rivolge loro non s’intuiscono solo dalla sua eloquente postura: il mosaicista ha voluto riferirle a chiare lettere nell’iscrizione che sormonta il riquadro: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?»

È un invito che facciamo nostro, sentendolo rivolto a noi. Basta solo andare a vedere!

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Le tentazioni di Gesù nel deserto

Posté par atempodiblog le 29 février 2020

Le tentazioni di Gesù nel deserto
Tratto da: L’ora di Satana (L’attacco del Male al mondo contemporaneo) di Padre Livio Fanzaga con Diego Manetti, Ed. Piemme

Le tentazioni di Gesù nel deserto dans Anticristo Cristo

Se Gesù è il nuovo Adamopossiamo dire che nell‘episodio delle tentazioni del deserto è come se la nuova umanità celebrasse in Cristo la prima vittoria sul Demonio, in virtù di quella grazia divina che rende possibile, per ogni uomo che la domandi, il resistere agli assalti satanici. In Gesù tentato vediamo però anche le nostre tentazioni, quasi come se i Vangeli offrissero una sintesi di quelle prove cui l’umanità tutta è sottoposta da Satana quando questi tenta di blandirne il cuore. Vorrei dunque chiederti di esaminarle nello specifico, per metterne in rilievo il valore di esemplarità rispetto alla vita di ogni uomo.

Intanto bisogna tener presente che le tre tentazioni hanno un filo conduttore, poiché Satana le ha ben preparate, le ha elaborate con calma. Non è che Gesù Cristo va nel deserto e lui lo tenta subito: no, aspetta! Per quaranta giorni Gesù prega e ha fame. Il Nemico studia bene l’avversario e i punti deboli e solo dopo parte all’attacco. Il Diavolo sa benissimo che questo è il Messia, e allora cosa fa? Gli confezione su misura tre tentazioni con cui poterlo sviare dal disegno messianico, verso una prospettiva unicamente terrena, svincolata dal messianismo del servo sofferente, sciolta dal disegno del Padre, che vuole che il Figlio, nell’umiltà e nell’obbedienza, porti su di sé i peccati del mondo fino all’annientamento di se stesso. Questa è l’ottica delle tre tentazioni: offrire a Gesù il miraggio di un trionfo politico e umano.

Entrando poi nello specifico delle tre tentazioni, quella del pane è la più importante, a mio parere, perché mette bene in evidenza, nella risposta di Gesù, come non di solo pane viva l’uomo (Lc 4, 4). Mentre tutte le culture passate – di tutti i tempi e di tutte le religioni- hanno sempre ritenuto che l’uomo avesse due dimensioni, essendo dotato di corpo ma anche di anima, e quindi che avesse fame del pane, ma anche di assoluto, di verità, di vita eterna, di immortalità, oggi all’opposto la cultura dominante ci vuole presentare l’uomo in una prospettiva ridotta, monca, come un semplice animale. Destinato dunque a soddisfare solo i desideri della carne e gli istinti più bassi. Certo, vi sono istinti più raffinati –la gloria, il potere, gli onori- ma in ultima analisi sempre di “carne” in senso paolino si tratta (Rm 8, 6-7). La filosofia di vita su cui si fonda questa opzione per la carne è quella secondo cui l’esistenza umana sarebbe limitata all’orizzonte terreno, per cui essendo “tutto qui”, tanto varrebbe godersi la vita. Citando magari a conferma di questa opzione esistenziale proprio una frase della Bibbia: “Polvere tu sei e in polvere ritornerai” (Gen 3, 19), deformandone il significato – ecco l’opera di Satana l’Ingannatore! – nel senso di ridurre la vita alla sola prospettiva intramondana e dunque al solo desiderio di pane terreno. E così oggi la gente non pensa più alla vita eterna. Ecco perché nei messaggi dati a Medjugorje la Regina della Pace non si stanca di ricordarci che la vita terrena passa e solo l’eternità resta, spronandoci a tendere al Cielo che è l’unica meta della nostra vita! Cioè la Madonna stessa sta lottando contro la tentazione di concepire la vita come un’avventura mondana, dove l’uomo si nutre delle cose di questo mondo e poi sparisce. Ma Gesù ci dice :”Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4), ricordandoci con ciò che l’uomo è stato creato con un’anima immortale, che l’uomo è capace di cibarsi della Verità di Dio, dell’Amore di Dio, e che l’immortalità oltre la morte è il nostro destino. Questa certamente è la più attuale delle tre tentazioni.

La seconda tentazione – quella per cui Satana, condotto Gesù sul pinnacolo del tempio, lo sfida: “Se tu sei il Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi Angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti porteranno nelle loro mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra” (Mt 4,6)- rappresenta un pericolo assai diffuso nel mondo contemporaneo, e apparentemente in contraddizione con la visione intramondana di cui dicevamo prima: è la tentazione di voler sfidare Dio a dare prova di essere veramente Dio, è il desiderio e la pretesa di vedere segni e miracoli. In fondo, mancando oggi la vera fede, non restano che i falsi profeti, i quali faranno prodigi e portenti, dice Gesù, capaci di ingannare molti (Mt 24, 24). Bisogna pensare che dietro a tutto questo c’è Satana, poiché l’Anticristo verrà con potenza diabolica, facendo cose strepitose, e ingannerà molti. La seconda tentazione la vedo dunque come una messa in guardia contro i falsi profeti, anticipando un tema che percorre variamente il Nuovo Testamento, fino all’Apocalisse (Ap 13), laddove si parla della Bestia che sale dal mare, del falso profeta che ha il volto di pecora ma la voce di drago, della falsa religione, dei falsi segni, che sono spettacolari – gèttati giù dal tempio!- ma fini a se stessi. Mentre il miracolo di Gesù esprime la compassione, l’amore, la pietà di Dio, i degni di Satana sono spettacolari, sono quelli che attirano, che incantano e , nella cornice dell’impostura anticristica, si moltiplicano, e la gente crede, si lascia attirare, si fa ingannare,  e questa seconda tentazione ha preso il volto di una delle bestie dell’Apocalisse, che vedremo meglio più avanti. Indubbiamente, per vincere questa tentazione, oggi ci vuole molta attenzione, ci vuole molto discernimento spirituale, bisogna vigilare e pregare, e pregare, e soprattutto non allontanarci mai dal vero profeta, che è il papa, vicario di Cristo.

In merito al discernimento degli spiriti e dei segni, bisogna sempre tener presente un insegnamento che ricaviamo da San Giovanni della Croce, nella Salita al monte Carmelo. Questo dottore conduce un attento esame di tutti i fenomeni mistici e arriva a dire che tutti possono essere imitati da Satana – che, in quanto imitatore è detto anche la “scimmia” di Dio-, tutti tranne uno: l’unico fenomeno mistico che il Diavolo non riesce a imitare sono i tocchi dello Spirito Santo sulla punta dell’anima, sono i tocchi divini, sono i baci d’amore interiori, fenomeno mistico così profondo che il maligno non riesce a riprodurlo. Però ricordiamo che tutti gli altri fenomeni mistici possono essere perfette imitazioni diaboliche. Basta ricordare il proliferare di veggenti che si ebbe a Lourdes dopo le prime: erano almeno cinquanta, e un caso risultò così verosimile che il primo biografo di Lourdes, Jean-Baptiste Estrade, diceva: ma questa qui è ancora migliore di Bernadette! Questo – altri casi che potrei citarvi – solo per dirvi che sono tempi in cui il demonio si dà molto da fare con segni e prodigi che cercano di imitare quelli veri ma che, per lo natura, hanno dentro qualcosa di satanico, che solo con il discernimento si può mascherare.

Parlando di falsi profeti e di falsi segni, ecco che torna ancora la figura di Satana come Ingannatore. A questo punto penso che si possa dunque esaminare la terza tentazione di Gesù nel deserto, quella in cui il Diavolo lo sfida ad adorarlo come Dio, come vertice assoluto di quella menzogna e di quell’inganno che costituiscono le trame più profonde delle tentazioni diaboliche contro il Figlio di Dio e contro l’umanità.

Con la terza tentazione (Lc 4, 5 – 8) si entra decisamente nell’orizzonte dell’inganno anticristico – che la Chiesa Cattolica chiama impostura anticristica – che percorre tutta la storia della Chiesa fino alla cosiddetta “massima impostura anticristica” (CCC 675-677). Quest’ultima consiste nell’abiura della verità, nell’illusione che l’uomo possa salvare se stesso con le sue sole forze, per cui l’uomo indica se stesso come Dio e immagina di salvarsi come Dio, rischio dal quale Benedetto XVI ha messo più volte in guardia fin dall’inizio del suo pontificato. La stessa prospettiva dell’uomo che crede di essere il padrone del mondo è in realtà uno strumento del demonio. Si tratta cioè di un’illusione, con la quale il diavolo inganna l’uomo, lo allontana da Dio, per far sì che adori il “Principe di questo mondo”. Insomma, la terza tentazione denuncia proprio l’illusione anticristica anticipando quella società anticristica in cui l’uomo che vuole fare a meno di Cristo dice: i padroni del mondo siamo noi, Dio non c’è, c’è solo l’uomo; l’uomo capisce, è intelligente, ha la potenza, sa salvare se stesso. Ma così facendo la società che rifiuta Dio si prepara a diventare strumento del Principe delle tenebre e ad adorare il Principe di questo mondo.

Esaminando le tre tentazioni, vorrei ancora precisare come quello delle tentazioni di Gesù nel deserto sia un discorso ‘aperto’ – “dopo aver esaurito ogni tentazione, il Diavolo si allontanò da Lui fino al momento fissato” (Lc 4,13) –, non concluso, poiché Satana avrebbe cercato di tentare Gesù successivamente, in particolare in vista della Passione. Ma intanto Gesù ha conquistato una prima vittoria nel deserto, poiché ha respinto il falso messianismo, confermandosi il servo sofferente di Jahvé, che porta la croce nell’umiltà, nel compimento della volontà del Padre, fino alla Passione che Gesù ha affrontato liberamente e che anzi ha desiderato. E nella Passione Gesù accetta fino in fondo il piano del Padre, che ha voluto che il Figlio fosse il servo sofferente, che porta su di sé tutti i peccati degli uomini, che li espia con il suo amore, che li brucia con il suo amore e con la sua obbedienza. Infondo, tutto il peccato del mondo consiste nel disamore, nel disprezzo, nella disobbedienza e nel rifiuto di Dio. Queste sono le radici di tutti i peccati dell’umanità. Gesù, nel suo cuore, con la sua umiltà, con la sua obbedienza al Padre, con il suo amore per il Padre e per gli uomini, con il suo perdono, ha bruciato tutto il male del mondo, ha bruciato tutti i peccati del mondo.

La redenzione è avvenuta nel cuore di Cristo. Cristo è il braciere in cui tutto il peccato, tutto l’odio, il disamore del mondo sono stati bruciati. Ecco quindi il profondo valore redentivo della vittoria di Cristo sul tentatore nel deserto: vincendo Satana, Gesù ha respinto un messianismo terreno di autoglorificazione, scegliendo e accettando di essere il servo sofferente che dentro di sé, con la sua umiltà e con il suo amore, ha bruciato i peccati del mondo per cui in quel cuore noi tutti troviamo la salvezza.

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Il Vangelo perfeziona il Decalogo

Posté par atempodiblog le 15 février 2020

Il Vangelo perfeziona il Decalogo
Tratto da: Le vie del cuore. Vangelo per la vita quotidiana. Commento ai vangeli festivi Anno A, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

Il Vangelo perfeziona il Decalogo dans Commenti al Vangelo Mos-riceve-le-tavole-della-legge

(Sir 15, 15-20; 1 Cor 2, 6-10; Mt 5, 17-37)

Gesù conferma la santità del Decalogo 
Giustamente si afferma che la morale evangelica è una morale basata sull’amore. Amore verso Dio innanzi tutto: Dio amato con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze. In intima unione con l’amore di Dio vi è poi quello del prossimo, che ognuno deve amare come se stesso. Il Vangelo ci svela la misura sconfinata di questo amore, prendendo come riferimento quello infinito di Gesù, che ha amato il Padre e gli uomini fino a sacrificare la propria vita.

Tuttavia la morale evangelica, proposta da Gesù nel discorso della montagna, non sostituisce, ma al contrario conferma la legge del Decalogo, data a Mosè sul monte Sinai. “Non pensare”, dice, “che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti”. Non vi è dubbio, caro amico, che non è immaginabile nessun cammino di santità che non abbia come base i dieci comandamenti. Essi sono il fondamento insostituibile della moralità, nei quali si riflette la legge eterna di Dio che nessuno può mutare, o sostituire o abolire.

In sé e per sé i comandamenti, anche se nella loro completezza e chiarezza sono stati rivelati da Dio, appartengono a quella legge morale naturale che il Creatore ha scritto nell’anima e nella coscienza di ogni uomo. Essi sono la base della moralità universale e il fondamento di tutti gli autentici diritti umani. Nei dieci comandamenti si riflette la santità di Dio e nessun comportamento umano, che voglia essere morale, può minimamente discostarsi da loro. Non illuderti di essere una persona religiosa se non hai fondato la tua vita su questo fondamento eterno della moralità.

Gesù completa e perfeziona il Decalogo
Gesù ribadisce la necessità del Decalogo, ma nel medesimo tempo lo completa e lo perfeziona. “Non sono venuto per abolire”, afferma, “ma per dare compimento.” Gesù completa il decalogo nel senso che lo riporta alla radice dell’amore e nel medesimo tempo svela quei confini divini dell’amore che Mosè e i profeti non conoscevano. Anzi possiamo dire che è proprio la radice dell’amore che marca la differenza fra la legge di Mosè e quella di Cristo: “Vi do un comandamento nuovo: Amatevi come io vi ho amato”, dice Gesù.

Che cosa significa questo per la nostra vita spirituale? Significa che nel nostro cammino di santità dobbiamo incominciare con l’osservanza dei dieci comandamenti. Essi sono come le fondamenta del nostro edificio spirituale. Quando potremo dire di osservarli, allora inizia per noi quel cammino ascendente dell’amore, che ci porta alle più alte vette della vita mistica. Sappi però che sono illusorie e ingannevoli certe forme di misticismo, fuori e dentro il cristianesimo, dove l’esperienza di unione con Dio non si fonda su una solida piattaforma morale.

Non c’è mistica autentica senza moralità. Una vita spirituale genuina ha sempre alla base i dieci comandamenti.

Gesù interiorizza il Decalogo
Gesù dunque conferma il Decalogo e ne fa la base del comandamento nuovo dell’amore. Ma questo non è tutto. L’opera di perfezionamento e di approfondimento di Gesù non riguarda soltanto la formulazione della legge morale, ma anche il nostro modo di osservarla. Conosci certamente le aspre polemiche di Gesù nei confronti di scribi e farisei. Gesù critica in loro due gravi difetti. Innanzitutto il fatto di aver appesantito i comandamenti divini con una lunga serie di precetti umani. Ma più ancora denuncia una osservanza della legge morale solamente esteriore, che non comporta l’adesione del cuore.

Questo è un punto di fondamentale importanza. L’osservanza della legge di Dio deve partire dal cuore. In ultima istanza deve essere sempre un atto di amore. Nella prospettiva cristiana il cuore è il centro della vita morale. E’ nell’intimo della persona umana che nasce la moralità, la quale poi si esprime in comportamenti esteriori. Gesù critica i farisei perché il loro agire esterno è inappuntabile, ma dentro si sé covano il male.

Un cuore puro, aperto alla voce di Dio, è il segno inequivocabile di una autentica moralità. Un cuore puro è la misura della santità. Il Vangelo giustamente sottolinea l’importanza dell’intenzione che sta alla base del nostro agire. Non pochi peccati si consumano nell’intimo di noi stessi, dove soltanto Dio vede. Chi può conoscere le invidie, le gelosie, le mormorazioni, i pensieri malvagi, le maledizioni e cose di questo genere che fermentano nel cuore, inquinandolo, senza che poi si esprimano all’esterno? Caro amico, prima ancora del tuo comportamento esterno, al quale tieni per essere approvato dagli uomini, sorveglia i pensieri e sentimenti presenti nel tuo cuore, che Dio vede e giudica e preoccupati che siano sempre limpidi e irreprensibili.

La legge morale è una e immutabile
Oggi si ama parlare di pluralismo etico e di evoluzione della morale sono affermazioni che nascondono la volontà degli uomini di stabilire loro, secondo i propri criteri e le proprie convenienze, ciò che è bene e ciò che è male.

In realtà esiste una sola legge morale, le cui tracce sono presenti nelle varie culture dell’umanità, ed è quella dei dieci comandamenti essa è impressa nella ragione umana, la quale, se non si lascia offuscare dalle passioni, è ben capace di riconoscerla. Non può esistere una parte del mondo in cui l’adulterio sia un bene e un’altra in cui sia male.

Allo stesso modo occorre affermare che non esiste una evoluzione della morale. Ciò che era male ieri, lo è anche oggi la violazione di uno solo dei comandamenti sarà sempre male, fino alla fine del mondo.

Di qui la necessità della fedeltà, specialmente da parte di chi deve custodire e insegnare la legge di Dio. Oggi, come ieri, abbiamo bisogno di voci, come quelle del Battista, che sappiano dire: “Non ti è lecito!”.

La legge di Dio è santa
Ciò che colpisce nel Decalogo e nell’approfondimento che ne ha fatto Gesù nel discorso della montagna, è il suo altissimo ideale di perfezione. In  nessun’altra cultura umana e in nessun’altra religione potresti trovare una proposta morale così pure ed elevata. Si tratta veramente di una moralità di origine divina, alla quale gli uomini da soli non darebbero mai pervenuti.

Dobbiamo confessare dall’intimo del cuore che la legge di Dio è santa e conduce alla santità. L’uomo di buona volontà ha davanti a sé un cammino sicuro, che lo porta alla piena realizzazione di se stesso, nel perfetto amore per Dio e per il prossimo.

Non avere esitazioni, caro amico. Viviamo in tempi in cui gli uomini ingannano se stessi, proclamando abolita o superata la legge di Dio. Ma intanto si degradano nei vizi e nella schiavitù del male. Tu segui il cammino che Gesù ti indica e farai l’esperienza di una particolare beatitudine, di cui parla il salmista: “Beato è l’uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore”.

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Il Papa: Scivolare nella mondanità è deviare il cuore da Dio

Posté par atempodiblog le 13 février 2020

Il Papa: Scivolare nella mondanità è deviare il cuore da Dio
All’omelia della Messa a Casa Santa Marta stamani Papa Francesco esorta a fare attenzione alla “caduta con anestesia”, quando gradualmente dimentichiamo il Signore
di Debora Donnini – Vatican News

Il Papa: Scivolare nella mondanità è deviare il cuore da Dio dans Commenti al Vangelo Papa-Francesco

Lasciarsi scivolare lentamente nel peccato, relativizzando le cose ed entrando “in negoziato” con gli dei del denaro, della vanità e dell’orgoglio. Da quella che definisce come una “caduta con anestesia”, il Papa mette in guardia stamani nell’omelia della Messa a Casa Santa Marta, riflettendo sulla storia del re Salomone. La Prima Lettura della Liturgia odierna (1Re 11,4-13) “ci racconta – dice – l’apostasia, diciamo così, di Salomone”, che non è stato fedele al Signore. Quando era vecchio, le sue donne gli fecero infatti “deviare il cuore” per seguire altri dei. Fu dapprima un “ragazzo bravo”, che al Signore chiese solo la saggezza e Dio lo rese saggio, al punto che da lui vennero i giudici e anche la Regina di Saba, dall’Africa, con regali perché aveva sentito parlare della sua saggezza. “Si vede che questa donna era un po’ filosofa e gli fece domande difficili”, dice il Papa notando che “Salomone uscì da queste domande vittorioso” perché sapeva rispondere. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

La lenta apostasia
A quel tempo, prosegue il Papa, si poteva avere più di una sposa, che non vuol dire – spiega – che fosse lecito fare “il donnaiolo”. Il cuore di Salomone, però, si indebolì non per aver sposato queste donne – poteva farlo – ma perché le aveva scelte di un altro popolo, con altri dei. E Salomone quindi cadde nel “tranello” e lasciò fare quando una delle mogli gli diceva di andare ad adorare Camos o Moloc. E così fece per tutte le sue donne straniere che offrivano sacrifici ai loro dei. In una parola, “permise tutto, smise di adorare l’unico Dio”. Dal cuore indebolito per la troppa affezione alle donne, “entrò il paganesimo nella sua vita”. Quindi, evidenzia Francesco, quel ragazzo saggio che aveva pregato bene chiedendo la saggezza, è caduto al punto da essere rigettato dal Signore.

“Non è stata un’apostasia da un giorno all’altro, è stata un’apostasia lenta”, spiega il Papa. Anche il re Davide, suo padre, infatti, aveva peccato – in modo forte almeno due volte – ma subito si era pentito e aveva chiesto perdono: era rimasto fedele al Signore che lo custodì fino alla fine. Davide pianse per quel peccato e per la morte del figlio Assalonne e quando, prima, fuggiva da lui, si umiliò pensando al suo peccato, quando la gente lo insultava. “Era santo. Salomone non è santo”, afferma. Il Signore gli aveva dato tanti doni ma lui aveva sprecato tutto perché si era lasciato indebolire il cuore. Non si tratta, nota il Papa, del “peccato di una volta”, ma dello “scivolare”.

Le donne gli fecero deviare il cuore e il Signore lo rimprovera: “Tu hai deviato il cuore”. E questo succede nella nostra vita. Nessuno di noi è un criminale, nessuno di noi fa dei grossi peccati come aveva fatto Davide con la moglie di Uria, nessuno. Ma dove è il pericolo? Lasciarsi scivolare lentamente perché è una caduta con anestesia, tu non te ne accorgi, ma lentamente si scivola, si relativizzano le cose e si perde la fedeltà a Dio. Queste donne erano di altri popoli, avevano altri dèi, e quante volte noi dimentichiamo il Signore ed entriamo in negoziato con altri dèi: il denaro, la vanità, l’orgoglio. Ma questo si fa lentamente e se non c’è la grazia di Dio, si perde tutto.

Attenti alla mondanità, non si può stare bene con Dio e con il diavolo
Di nuovo il Papa si richiama al Salmo 105 (106) per sottolineare che questo mescolarsi con le genti e imparare ad agire come loro significa farsi mondani, pagani:

E per noi questa scivolata lenta nella vita è verso la mondanità, questo è il grave peccato: “Lo fanno tutti, ma sì, non c’è problema, sì, davvero non è l’ideale, ma…”. Queste parole che ci giustificano al prezzo di perdere la fedeltà all’unico Dio. Sono degli idoli moderni. Pensiamo a questo peccato della mondanità. Di perdere il genuino del Vangelo. Il genuino della Parola di Dio, di perdere l’amore di questo Dio che ha dato la vita per noi. Non si può stare bene con Dio e con il diavolo. Questo lo diciamo tutti noi quando parliamo di una persona che è un po’ così: “Questo sta bene con Dio e con il diavolo”. Ha perso la fedeltà.

Sarà l’amore di Dio a fermarci
E, in pratica, prosegue, significa non essere fedele “né a Dio né al diavolo”. In conclusione, il Papa esorta a chiedere al Signore la grazia di fermarci quando capiamo che il cuore inizia a scivolare:

Pensiamo a questo peccato di Salomone, pensiamo a come è caduto quel Salomone saggio, benedetto dal Signore, con tutte le eredità del padre Davide, come è caduto lentamente, anestetizzato verso questa idolatria, verso questa mondanità e gli è stato tolto il regno. Chiediamo al Signore la grazia di capire quando il nostro cuore incomincia a indebolirsi e a scivolare, per fermarci. Sarà la sua grazia e il suo amore a fermarci se noi lo preghiamo.

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Commento al Vangelo: La Presentazione del Signore

Posté par atempodiblog le 2 février 2020

Commento al Vangelo: La Presentazione del Signore
Vangelo della Festa della Presentazione del Signore (Ciclo A) e commento al Vangelo.
Tratto da: OPUS DEI

Commento al Vangelo: La Presentazione del Signore dans Commenti al Vangelo Presentazione-di-Ges-al-Tempio

Vangelo (Lc 2, 22-40)

Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo, che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio:

– Ora lascia, o Signore, che il tuo servo

vada in pace secondo la tua parola;

perché i miei occhi han visto la tua salvezza,

preparata da te davanti a tutti i popoli,

luce per illuminare le genti

e gloria del tuo popolo Israele.

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.

Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre:

– Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima.

C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Quando ebbero tutto compiuto secondo la Legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.


Commento

Il Vangelo della quarta domenica del tempo ordinario coincide con quello della festa della Presentazione del Signore che viene celebrata il 2 febbraio. San Luca ci racconta che Maria e Giuseppe salirono al Tempio di Gerusalemme “quando venne il tempo della loro purificazione”. Secondo le varie prescrizioni della Legge di Mosè (cfr. Lv 12, 1-8), da quando una donna israelita dava alla luce un maschio, dovevano passare un totale di 40 giorni prima di presentarsi al Tempio per compiere una cerimonia di purificazione rituale. La cerimonia includeva due offerte da sacrificare. Se la famiglia non aveva risorse sufficienti, poteva presentare un paio di tortore o di colombe.

La Sacra Famiglia, inoltre, approfittava della salita al Tempio per presentare il bambino al Signore e riscattarlo. Infatti la Legge di Mosè stabiliva che ogni primogenito di Israele apparteneva a Dio. Egli stesso aveva detto: “nel paese d’Egitto io mi riservai in Israele tutti i primogeniti degli uomini e degli animali; essi saranno miei” (Nm 3, 13). Pertanto era necessario presentarli al Signore e pagare per essi un riscatto (cfr. Es 13, 1-13), che consisteva in un certo numero di monete (cfr. Nm 18, 16).

Benché Gesù fosse il Figlio di Dio incarnato e la sua nascita fosse stata verginale, Maria e Giuseppe adempiono con riverenza e docilità tutte queste prescrizioni della Legge. Con loro stupore (cfr. v. 33), la scena e le vicende che accadono appaiono piene di un profondo significato. Le parole di Simeone riguardanti il bambino e sua madre sono rivestite di mistero. Il bambino che l’anziano prende fra le braccia è la salvezza di Dio incarnata (da qui il nome che gli è stato imposto: “Gesù”, Dio salva). Una salvezza che sarà luce per i pagani e gloria per Israele.

Poi Simeone fa due vaticini su Gesù e su Maria. Del bambino dice che sarà “segno di contraddizione”, perché l’incarnazione del Figlio di Dio è un segno che richiede a ogni persona una risposta impegnativa. In quanto, poi, all’annuncio della spada che trapasserà l’anima di Maria, Beda il Venerabile dice che Simone “si riferiva al dolore della Vergine per la passione del Signore. Benché Gesù Cristo muoia per propria volontà (come Figlio di Dio) e benché Ella non dubiti che avrebbe sconfitto la morte, tuttavia non avrebbe potuto assistere alla crocifissione del Figlio delle proprie viscere senza un sentimento di dolore”[1].

Il Catechismo della Chiesa condensa il mistero di tutta questa scena così: “La Presentazione di Gesù al Tempio (cfr. Lc 2, 22-39) lo mostra come il Primogenito che appartiene al Signore (cfr. Es 13, 2. 12-13). In Simeone e Anna è tutta l’attesa di Israele che viene all’Incontro con il suo Salvatore (la tradizione bizantina chiama così questo avvenimento). Gesù è riconosciuto come il Messia tanto a lungo atteso, ‘luce delle genti’ e ‘gloria di Israele’, ma anche ‘segno di contraddizione’, La spada di dolore predetta a Maria annunzia l’altra offerta, perfetta e unica, quella della croce, la quale darà la salvezza ‘preparata da Dio davanti a tutti i popoli’”[2].

San Josemaría invitava a meditare il passo della Presentazione rivivendolo come un personaggio che si fosse trovato lì ed era molto interessato a tutto ciò che stava succedendo: “E questa volta sarai tu, piccolo amico, a portare la gabbia delle tortore. Vedi? Lei – l’Immacolata – si sottomette alla Legge come se fosse impura. Bambino mio, imparerai anche tu da questo esempio a non essere sciocco e a compiere la Santa Legge di Dio nonostante tutti i sacrifici che richiede? Purificarsi! Noi due sì che abbiamo bisogno di purificazione! – Espiare, per trovare aldilà dell’espiazione, l’Amore. Un amore che cauterizzi, che bruci le scorie della nostra anima, che sia fuoco che accende di fiamma divina la miseria del nostro cuore”[3].

Pablo M. Edo


[1] Catena Aurea, in loc.

[2] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 529.

[3] San Josemaría, Santo Rosario, quarto mistero gaudioso, La purificazione della Madonna.

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Non giudichiamo, ma ricordiamo agli altri chi sono davvero

Posté par atempodiblog le 13 janvier 2020

Non giudichiamo, ma ricordiamo agli altri chi sono davvero
E’ facile giudicare quello che vediamo, molto più difficile è vedere al di là dei pregiudizi, della prima sensazione, di quello che appare. Neanche Gesù è immune da questo trattamento, ma ci ricorda che dietro quello che siamo diventati, peccatori, farisei, pubblicani, c’è molto di più.
don Luigi Maria Epicoco – Aleteia

Non giudichiamo, ma ricordiamo agli altri chi sono davvero dans Commenti al Vangelo Ges

In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione.
Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi. Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore. Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi».
Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca. (Luca 4,14-22)

Il racconto del Vangelo [...] è tutto costruito sul contrasto tra la fama di Gesù e il pregiudizio dei suoi compaesani. Ormai Gesù è conosciuto ovunque, e i racconti dei suoi miracoli e delle sue predicazioni hanno travalicato i confini. Eppure tornando a casa Egli deve combattere con un demonio più pericoloso di tutti: il pregiudizio.

Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi». Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di Giuseppe?».

Troppo spesso viviamo schiavi dei pregiudizi. Sono essi la causa principale della sofferenza nelle nostre relazioni e nei nostri ambienti. Eppure pur avendo a volte sperimentato in prima persona quanto si possa soffrire a causa di essi, capita anche a noi di ingrossare il numero di coloro che non si creano molti problemi a ragionare nello stesso modo. Un cristiano è uno che sa guardare sempre al di là della prima sensazione, del chiacchiericcio della gente, degli errori fatti, delle cadute vissute. È Gesù che ci ha educato a questo. Infatti molto spesso si intratteneva con persone che la maggior parte della gente aveva emarginato: pubblicani, peccatori, prostitute, poveri, lebbrosi, ultimi. Il suo era un andare controcorrente non per un vago buonismo o populismo, ma per una chiara volontà teologica: ricordare a queste persone chi sono davvero al di là di ciò che sono diventati. E ognuno di loro è immagine e somiglianza di Dio. Ognuno di loro è stato creato dal Padre guardando una bellezza e una bontà che forse a prima vista non si riconosce più. Gesù disseppellisce sotto i pregiudizi le vere identità delle persone, il loro vero nome. “Non è il figlio di Giuseppe?”; certo che lo è, ma è anche molto di più. E’ questa la grande lezione del Vangelo di oggi: le persone sono molto di più di quello che pensiamo e giudichiamo.

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Il giorno del tuo battesimo è scritto nei cieli

Posté par atempodiblog le 12 janvier 2020

Il giorno del tuo battesimo è scritto nei cieli dans Commenti al Vangelo Battesimo

Il giorno del tuo battesimo è scritto nei cieli
Anche noi cristiani ricordiamo più facilmente il giorno della nostra nascita di quello del nostro battesimo. Sulla carta di identità, che portiamo sempre con noi, abbiamo scritto quando siamo nati. Per avere il certificato di battesimo invece dobbiamo andare a richiederlo nella parrocchia dove siamo stati battezzati. Bisogna studiare un modo semplice perché tutti i cristiani si ricordino quando e dove hanno ricevuto il battesimo. In questo modo potrebbero più facilmente celebrare questa splendida ricorrenza e visitare il fonte battesimale dove sono diventati figli di Dio. Non vi è dubbio infatti che il giorno in cui sei stato battezzato è ancora più importante di quello della tua nascita. Infatti in quel giorno da semplice creatura di Dio, sei diventato suo figlio e il tuo nome è stato scritto nel libro di coloro che hanno diritto, per la grazia santificante ricevuta, alla gloria e alla gioia del Paradiso.

Col battesimo hai ricevuto la grazia santificante
Mi stupiscono quei genitori che ritardano negligentemente il battesimo dei loro figli. Una volta mi sono arrabbiato con un giovane di quelli che si dicono “cristiani impegnati”, ma che aveva deciso di non battezzare il suo bambino, finché non avesse deciso lui stesso, una volta pervenuto all’età adulta. Evidentemente non si rendeva conto di quali immensi benefici privava suo figlio. Col battesimo infatti veniamo purificati dal peccato di origine, nel quale siamo nati e che ci priva di Dio. Siamo rivestiti della grazia santificante e diveniamo tempio della Santissima Trinità.

Tratto da: Desiderio d’infinito. Vangelo per la vita quotidiana, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

Divisore dans San Francesco di Sales

Rinnova spesso le promesse del tuo battesimo
Nel giorno del tuo battesimo i genitori hanno assunto al tuo posto gli impegni del buon cristiano davanti alla comunità. Ora devi essere tu a rinnovare la tua fede, la tua adesione a Cristo e il tuo impegno per la Chiesa. Nella festività di oggi, come nella notte del Sabato santo e nell’anniversario del tuo battesimo, rinnova con fervore le tue promesse battesimali e ringrazia Dio per averti dato un dono di cui non ne esiste uno più grande.

Tratto da: Le vie del cuore. Vangelo per la vita quotidiana. Commento ai vangeli festivi Anno A, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

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Battesimo di fuoco e Spirito Santo

Posté par atempodiblog le 11 janvier 2020

Battesimo di fuoco e Spirito Santo dans Citazioni, frasi e pensieri Spirto-Santo

Sai perché gli uomini sono generalmente inquieti e mai soddisfatti? La ragione vera e profonda è perché non hanno mai fatto l’esperienza dell’amore di Dio. Chiedi all’Onnipotente che ti conceda questa immensa grazia. Una volta che avessi gustato il suo amore non lo abbandoneresti più. La fame dell’uomo è fame di amore infinito. Solo Dio può saziarlo. Il battesimo di fuoco nel quale Gesù Cristo ti battezza è l’immersione nel suo amore sconfinato. Basterebbe una sola goccia per colmare di gioia la tua vita.

di Padre Livio Fanzaga

Divisore dans San Francesco di Sales

Vieni signore Gesù! Come al principio della vita cristiana nel sacrosanto battesimo della grazia, così alla fine di ogni vita umana, con il battesimo della gloria, dopo trascorsa tutta la vita nel battesimo di fuoco e Spirito Santo, di cui abbia presente in me la prova nella veemenza e grandezza del desiderio di Te!

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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Epifania, il Santo Padre: Adorare è un gesto d’amore che cambia la vita

Posté par atempodiblog le 6 janvier 2020

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE
CAPPELLA PAPALE
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Lunedì, 6 gennaio 2020

[Multimedia]

Epifania, il Santo Padre: Adorare è un gesto d’amore che cambia la vita dans Commenti al Vangelo Adorazione



Nel Vangelo (
Mt 2,1-12) abbiamo sentito che i Magi esordiscono manifestando le loro intenzioni: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (v. 2). Adorare è il traguardo del loro percorso, la meta del loro cammino. Infatti, quando, giunti a Betlemme, «videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono» (v. 11). Se perdiamo il senso dell’adorazione, perdiamo il senso di marcia della vita cristiana, che è un cammino verso il Signore, non verso di noi. È il rischio da cui ci mette in guardia il Vangelo, presentando, accanto ai Magi, dei personaggi che non riescono ad adorare.

C’è anzitutto il re Erode, che utilizza il verbo adorare, ma in modo ingannevole. Chiede infatti ai Magi che lo informino sul luogo dove si trovava il Bambino «perché – dice – anch’io venga ad adorarlo» (v. 8). In realtà, Erode adorava solo sé stesso e perciò voleva liberarsi del Bambino con la menzogna. Che cosa ci insegna questo? Che l’uomo, quando non adora Dio, è portato ad adorare il suo io. E anche la vita cristiana, senza adorare il Signore, può diventare un modo educato per approvare sé stessi e la propria bravura: cristiani che non sanno adorare, che non sanno pregare adorando. È un rischio serio: servirci di Dio anziché servire Dio. Quante volte abbiamo scambiato gli interessi del Vangelo con i nostri, quante volte abbiamo ammantato di religiosità quel che ci faceva comodo, quante volte abbiamo confuso il potere secondo Dio, che è servire gli altri, col potere secondo il mondo, che è servire sé stessi!

Oltre a Erode, ci sono altre persone nel Vangelo che non riescono ad adorare: sono i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo. Essi indicano a Erode con estrema precisione dove sarebbe nato il Messia: a Betlemme di Giudea (cfr v. 5). Conoscono le profezie, le citano esattamente. Sanno dove andare – grandi teologi, grandi! –, ma non vanno. Anche da questo possiamo trarre un insegnamento. Nella vita cristiana non basta sapere: senza uscire da sé stessi, senza incontrare, senza adorare non si conosce Dio. La teologia e l’efficienza pastorale servono a poco o nulla se non si piegano le ginocchia; se non si fa come i Magi, che non furono solo sapienti organizzatori di un viaggio, ma camminarono e adorarono. Quando si adora ci si rende conto che la fede non si riduce a un insieme di belle dottrine, ma è il rapporto con una Persona viva da amare. È stando faccia a faccia con Gesù che ne conosciamo il volto. Adorando, scopriamo che la vita cristiana è una storia d’amore con Dio, dove non bastano le buone idee, ma bisogna mettere Lui al primo posto, come fa un innamorato con la persona che ama. Così dev’essere la Chiesa, un’adoratrice innamorata di Gesù suo sposo.

All’inizio dell’anno riscopriamo l’adorazione come esigenza della fede. Se sapremo inginocchiarci davanti a Gesù, vinceremo la tentazione di tirare dritto ognuno per la sua strada. Adorare, infatti, è compiere un esodo dalla schiavitù più grande, quella di sé stessi. Adorare è mettere il Signore al centro per non essere più centrati su noi stessi. È dare il giusto ordine alle cose, lasciando a Dio il primo posto. Adorare è mettere i piani di Dio prima del mio tempo, dei miei diritti, dei miei spazi. È accogliere l’insegnamento della Scrittura: «Il Signore, Dio tuo, adorerai» (Mt 4,10). Dio tuo: adorare è sentire di appartenersi a vicenda con Dio. È dargli del “tu” nell’intimità, è portargli la vita permettendo a Lui di entrare nelle nostre vite. È far discendere la sua consolazione sul mondo. Adorare è scoprire che per pregare basta dire: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28), e lasciarci pervadere dalla sua tenerezza.

Adorare è incontrare Gesù senza la lista delle richieste, ma con l’unica richiesta di stare con Lui. È scoprire che la gioia e la pace crescono con la lode e il rendimento di grazie. Quando adoriamo permettiamo a Gesù di guarirci e cambiarci. Adorando diamo al Signore la possibilità di trasformarci col suo amore, di illuminare le nostre oscurità, di darci forza nella debolezza e coraggio nelle prove. Adorare è andare all’essenziale: è la via per disintossicarsi da tante cose inutili, da dipendenze che anestetizzano il cuore e intontiscono la mente. Adorando, infatti, si impara a rifiutare quello che non va adorato: il dio denaro, il dio consumo, il dio piacere, il dio successo, il nostro io eretto a dio. Adorare è farsi piccoli al cospetto dell’Altissimo, per scoprire davanti a Lui che la grandezza della vita non consiste nell’avere, ma nell’amare. Adorare è riscoprirci fratelli e sorelle davanti al mistero dell’amore che supera ogni distanza: è attingere il bene alla sorgente, è trovare nel Dio vicino il coraggio di avvicinare gli altri. Adorare è saper tacere davanti al Verbo divino, per imparare a dire parole che non feriscono, ma consolano.

Adorare è un gesto d’amore che cambia la vita. È fare come i Magi: è portare al Signore l’oro, per dirgli che niente è più prezioso di Lui; è offrirgli l’incenso, per dirgli che solo con Lui la nostra vita si eleva verso l’alto; è presentargli la mirra, con cui si ungevano i corpi feriti e straziati, per promettere a Gesù di soccorrere il nostro prossimo emarginato e sofferente, perché lì c’è Lui. Di solito noi sappiamo pregare – chiediamo, ringraziamo il Signore –, ma la Chiesa deve andare ancora più avanti con la preghiera di adorazione, dobbiamo crescere nell’adorazione. È una saggezza che dobbiamo imparare ogni giorno. Pregare adorando: la preghiera di adorazione.

Cari fratelli e sorelle, oggi ciascuno di noi può chiedersi: “Sono un cristiano adoratore?”. Tanti cristiani che pregano non sanno adorare. Facciamoci questa domanda. Troviamo tempi per l’adorazione nelle nostre giornate e creiamo spazi per l’adorazione nelle nostre comunità. Sta a noi, come Chiesa, mettere in pratica le parole che abbiamo pregato oggi al Salmo: “Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra”. Adorando, scopriremo anche noi, come i Magi, il senso del nostro cammino. E, come i Magi, proveremo «una gioia grandissima» (Mt 2,10).

Tratto da: La Santa Sede

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La Sapienza nella creazione del mondo

Posté par atempodiblog le 5 janvier 2020

La Sapienza nella creazione del mondo dans Commenti al Vangelo San-Montfort

La Sapienza eterna ha incominciato a risplendere fuori del seno di Dio quando, al termine di un’intera eternità, creò la luce, il cielo e la terra.
San Giovanni afferma che tutto è stato fatto per mezzo del Verbo, cioè della Sapienza eterna. Salomone la definisce madre e artefice di tutte le cose.
Notiamo ch’egli non la chiama solamente artefice dell’universo, ma anche madre: infatti l’artefice non ama e non si prende cura della sua opera come una madre fa con il suo bambino.

La Sapienza eterna avendo creato tutte le cose, dimora in esse per abbracciarle, sostenerle, rinnovarle. È lei la bellezza sovranamente retta che mise il bell’ordine nel mondo da lei creato. Tutto lei ha separato, composto, pesato, aggiunto, contato.
Lei ha steso i cieli, ha disposto con ordine il sole, la luna, le stelle e i pianeti; lei ha gettato le fondamenta della terra, ha stabilito i limiti e le leggi del mare e degli abissi, ha plasmato le montagne, ha dosato, equilibrato tutto, perfino le sorgenti.
Infine – ella dice – stavo con Dio e disponevo ogni cosa con una precisione così perfetta e al tempo stesso con una varietà così piacevole, che mi pareva di giocare per divertire me e il Padre…

Questo ineffabile gioco della divina Sapienza si nota effettivamente nella diversità delle creature da lei prodotte nell’universo.
Infatti, a voler prescindere dalle differenti specie di angeli, quasi infiniti di numero, dalle differenti grandezze degli astri, e dai diversi caratteri degli uomini, non si vede forse la meravigliosa varietà delle stagioni e dei tempi, degli istinti negli animali, delle innumerevoli specie di piante, delle bellezze nei fiori, dei sapori nei frutti? «Chi è saggio comprenda queste cose». La Sapienza si è comunicata a qualcuno? Ebbene, solo costui avrà l’intelligenza di questi misteri della natura.

La Sapienza ha rivelati questi misteri ai santi, come si legge nella loro vita. Talvolta essi si stupirono talmente nel contemplare la bellezza, la soavità e l’ordine immessi dalla divina Sapienza nelle piccole cose come l’ape, la spiga di frumento, il fiore, il bruco, da cadere rapiti in estasi.

Da: ‘L’amore dell’eterna Sapienza’ di  San Luigi Maria Grignion de Montfort

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Cristo luce per la nostra vita

Posté par atempodiblog le 26 décembre 2019

Natale è il Dio che viene verso di noi perché noi possiamo vivere di Lui!
Cristo luce per la nostra vita
Omelia del giorno di Natale del 2019. Trasmessa dalla Cappella della Medaglia Miracolosa in Rue du Bac a Parigi
Tradizione di Claudio Forti
Trasmessa da Radio Maria Francia e da France Culture

Cristo luce per la nostra vita dans Antoine de Saint-Exupéry Buon-Natale

La Messa, trasmessa da RADIO MARIA FRANCIA – è quella in cui viene letto il famoso prologo al Vangelo di San Giovanni 1, 1-18.

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

Botti di Capodanno, l'appello dei medici degli ospedali: “E' una tradizione negativa e pericolosa” dans Articoli di Giornali e News Santo-Natale

Lorenza era qui qualche giorno fa per celebrare il Signore. Ella era aiutata da una guida. Lorenza ci vede pochissimo. All’uscita dalla celebrazione il suo viso era luminoso. Mi chiese di benedirla assieme alla sua guida. Lei non era credente, per questo la sua domanda mi ha sconvolto. Molti fedeli presenti erano impreparati a questa benedizione inattesa e luminosa.

Fratelli e sorelle, questa recente scena si inscrive nel mistero della nostra umanità. Oggi l’umanità cerca la luce. Chi glie la potrà donare? «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto levarsi una grande luce. Tu hai portato la gioia…», diceva il profeta Isaia. Ma noi, abbiamo riconosciuto il Cristo? Abbiamo accolto il Messia, il Bambino Gesù, l’Emmanuele? (Quali luci ci attraggono – mi verrebbe da chiedere -: quella effimera degli schermi TV o dei cellulari? Ndt).

Il Signore Gesù verrà presto solo se lo aspetteremo molto. Il Signore Gesù non verrà presto se la sua attesa non sarà forte in noi. Era davvero atteso il Dio che è nato stanotte? Era molto atteso? Era desiderato intensamente? Siamo convinti con tutto il nostro essere che attraverso Gesù si è manifestata la grazia di Dio, e che questa venuta era per la salvezza di tutti gli uomini?

Voi avete ascoltato dalla liturgia di questa mattina che “Dio ci ha parlato per mezzo di Suo Figlio”. «Il Verbo è la luce vera. La luce vera che illumina il cammino di ogni uomo che viene nel mondo». Per i credenti Betlemme non è dunque solo il luogo di una nascita, ma la certezza che tutto ciò che esiste è venuto all’esistenza per Gesù.

Fratelli e sorelle, guardiamo alla nostra vita. Molte cose vorrebbero giungere a maturazione; molte dimensioni sono ancora in cammino; molti progetti sono ancora in attesa. Tu non conosci il tempo in cui si adempiranno. Ma tu, per come Dio ti vede, non sembri dare la stessa importanza che Egli dà ad essi. Come potremo allora fare discernimento? Quante volte cercheremo di mettere in atto ciò che sarà in grado di donarci una gioia profonda, una pace duratura, una giustizia per tutti?

È Cristo una luce per la nostra vita? È una luce per la nostra fede? È Lui la via nelle nostre decisioni? Col Natale tutto riceve nuova vita, ma ciò dipende dalla nostra umiltà. Lasciamo perciò perdere i miraggi che trasformano il Natale in una serie di emozioni superficiali, in un consumismo che non nutre i desideri profondi della nostra anima, o gli aspetti meravigliosi (della tecnica e della scienza moderne) Ndt), che non riescono a renderci più fraterni! Il Natale non è quell’immagine che spesso ci viene presentata. Natale è il Dio che viene verso di noi perché noi possiamo vivere di Lui!

Lorenza, di cui vi ho parlato prima, non ha ricevuto tutto ciò attraverso la vista, che è tanto flebile in lei. Il Vangelo ci parla di ciechi che vedono l’ineffabile bellezza dell’Assoluto. (Un grande francese, Antoine de Saint-Exupéry, nel suo “Il piccolo principe”, parla di un’altra “vista” quando dice «Non si vede che con il cuore». E la Bibbia definisce come «sapienza del cuore», la sapienza umana illuminata dalla fede. Ndt). Il Vangelo ci parla di questa comprensione degli umili. Essi comprendono ciò che Dio deve ancora rivelare ai sapienti.

Fratelli e sorelle, fino a quando i nostri occhi (del cuore) rimarranno bendati dalla nostra sufficienza (orgoglio e supponenza), la grazia del Natale non entrerà in noi. La gioia del Natale è come un fuoco nel caminetto. Se voi osservate quel fuoco sentirete i crepitii che sono come il gioioso annuncio del Natale Divino. Ma, a causa degli ostacoli posti dalla nostra rugosità, dal nostro correre e affannarci, la brace non ha ancora preso fuoco e il fumo causato da questa resistenza è ancora troppo denso.

Gesù, da Betlemme, Gesù, fuoco d’amore, vuole renderci ardenti d’amore nel progetto di Suo Padre! È Natale, ed è importante e urgente vivere il vero Natale, di cui l’uomo è davvero degno. «Allontànati dal tumulto», diceva Sant’Anselmo. Tieniti lontano dal tumulto (e dalla confusione). È tempo di fuggire dalle occupazioni superficiali! Scendi nel segreto della tua anima. Conserva in te ciò che può aiutarti a cercare il Salvatore!

Cari ascoltatori di France Culture, a voi rivolgo un pensiero particolare, specialmente per coloro che in questi giorni vivono in una grande solitudine. E a voi tutti qui presenti, a voi e alle vostre famiglie, auguro una Santa e gioiosa Natività. La gioia del Natale vuol risplendere nei nostri cuori!

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Chiediamo a Giuseppe di preparare il nostro Natale

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2019

Chiediamo a Giuseppe di preparare il nostro Natale
Tratto da: Le vie del cuore. Vangelo per la vita quotidiana. Commento ai vangeli festivi Anno A, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

Chiediamo a Giuseppe di preparare il nostro Natale dans Avvento Santa-Famiglia

Non temere di prendere con te Maria
Giuseppe temeva di prendere con sé Maria come sua sposa. Il mistero di santità e di grazia che avvolgeva la Vergine Madre lo sovrastava e lo intimoriva. In lui non c’era il dubbio, ma quel timore santo che il soprannaturale incute ogni volta che si manifesta. L’invito dell’Angelo di non temere a prendere con sé Maria, lo rinfranca e lo incoraggia sulla via dell’accoglienza della volontà di Dio.

Questo invito dell’Angelo conserva una validità permanente, fino alla fine dei tempi. È un invito a ogni cristiano a non temere di accogliere Maria nella propria vita. Abbiamo forse paura che, prendendo con noi Maria, lasciamo da parte il Signore? Quale stoltezza in questo dubbio diabolico.

Rifletti, caro amico. Non è forse vero che Giuseppe prendendo con sé Maria come sua sposa, ha accolto anche Gesù? Non è forse che attraverso Maria è diventato padre putativo di Gesù? E per mezzo della Madre che abbiamo in dono il Figlio. A volte noi dimentichiamo la più evidente delle verità, e cioè che è stata Maria a concepire, a portare nel grembo e a donare al mondo il Figlio di Dio. Anche la Chiesa, come Giuseppe, accoglie il Salvatore dalle mani di Maria.

Verso il Natale con Giuseppe
Giuseppe ha avuto la missione specialissima di preparare il primo Natale. È Lui che conduce Maria nel lungo viaggio, mentre il bimbo divino nel grembo attende impaziente il momento di aprire gli occhi sul mondo degli uomini. È lui che cerca ansioso un alloggio adatto per loro. È lui che conduce Maria nella grotta, rifugio di animali, la pulisce e la riscalda. È 
lui che accoglie i pastori, mostrando loro il Bambino e la Madre.

Questo compito Giuseppe lo svolge volentieri per la Chiesa tutta e per ognuno di noi. Chiediamo a Giuseppe di preparare il nostro Natale. Lui ci aiuterà a mettere Maria e Gesù al centro dei nostri cuori e delle nostre famiglie. Chiediamo a Giuseppe di proteggere dal maligno la pace e la gioia che il Natale porterà ancora una volta a questo mondo triste e inquieto.

Chiediamo anche a Giuseppe di aprire il cuore a tanti padri, perché scoprano il grande dono e la responsabilità della paternità. Come Giuseppe, anche i padri siano custodi della fede e della santità delle loro famiglie.

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Il santo timore di san Giuseppe davanti al segno certo della divina Presenza

Posté par atempodiblog le 18 décembre 2019

Il santo timore di san Giuseppe davanti al segno certo della divina Presenza dans Commenti al Vangelo San-Giuseppe

Il santo timore di san Giuseppe davanti al segno certo della divina Presenza

San Giuseppe voleva ripudiare Maria per la stessa ragione per cui Pietro voleva allontanare il Signore: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc 5,8), così come anche il Centurione per respingere Gesù dalla sua casa: “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto” (Mt 8,8).

Così stava Giuseppe il quale, giudicandosi, anche lui, indegno e peccatore, si diceva: “Ella è così perfetta, così santa, che io non devo condividere oltre la sua intimità. La sua sorprendente dignità mi sorpassa e mi incute timore”.

La vedeva, sotto il timore della sua fede, portare il segno certo di una divina Presenza e, non potendone penetrare il Mistero, la voleva ripudiare. Pietro, lui, fu preso da un santo timore innanzi alla grandezza della Potenza, il Centurione davanti alla Maestà della Presenza.

Ti può sorprendere il fatto che san Giuseppe si giudicava indegno di vivere in comune con la santa Vergine, quando comprendi che santa Elisabetta, anche lei, non poteva sopportare la sua presenza se non con timore e rispetto?
Ecco le sue parole: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”, (Lc 1,43).

Ecco, dunque, perché san Giuseppe voleva ripudiarla. Ma perché in segreto e non alla luce del sole? Per evitare tutte le indagini sul motivo della separazione, che esigevano una spiegazione.

Se lui avesse detto del suo pensiero e della certezza che si era fatto della purezza di Maria, la gente non l’avrebbe deriso e non avrebbero lapidato Maria? Come avrebbero creduto nella Verità ancora muta nel seno materno? Che cosa avrebbero fatto al Cristo ancora invisibile?

di san Bernardo di Chiaravalle

Divisore dans San Francesco di Sales

Il pensiero dei santi Padri su san Giuseppe

Lo stupore di San Giuseppe fu tanto maggiore, quanto conoscendo meglio d’ogni altro l’eminente santità della Santa Vergine, e non ignorando il voto ch’Ella aveva fatto di perpetua castità, non poteva averLa in sospetto d’adultera.

Era bensì piuttosto orientato a credere ch’Ella dovesse essere la Vergine avventurata, onde parlava Isaia, che doveva partorire il Messia al mondo.

Lo credette, dice san Bernardo, (Hom.2. Super Missus Est) e con un sentimento di umiltà e di rispetto, simile a quello che fece dire, poi, san Pietro: “Allontanatevi da me, o Signore, perché sono un peccatore”; san Giuseppe pensava parimenti di allontanarsi dalla Vergine santa.

Io non dico questo come mio pensiero, soggiunse il santo Abate. Ed esso è il pensiero dei santi Padri.

di padre Jean Croiset S.J. – Le vite dei santi

Divisore dans San Francesco di Sales

L’ammirabile umiltà di San Giuseppe

La sua umiltà fu il motivo per il quale, come spiega san Bernardo, pensò di lasciare la Madonna quando La vide incinta; San Bernardo dice che san Giuseppe fece in se stesso questo ragionamento: «E che cosa è questo? lo so che Ella è vergine, perché insieme abbiamo riconfermato il voto di conservare la nostra verginità e purità, al quale sono certissimo che Ella non vuol mancare; l’altra parte io vedo ch’Ella sta per diventare madre. Come si possono conciliare insieme la maternità e la verginità, ossia che la verginità non impedisca la maternità? Oh! Dio! – certo deve aver detto a se stesso -, non sarà forse Lei quella gloriosa Vergine di cui par­lano i profeti, che concepirà e sarà madre del Messia? Ma, se è così, Dio non voglia ch’io rimanga con Lei, io che ne sono tanto indegno; è meglio che segreta­mente l’abbandoni a motivo della mia indegnità e che non abiti più a lungo in Sua compagnia». Sentimenti questi di un’ammirabile umiltà.

San Francesco di Sales – Trattenimenti spirituali

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Predica di Avvento, padre Cantalamessa: entriamo nella scia di Maria

Posté par atempodiblog le 7 décembre 2019

Predica di Avvento, padre Cantalamessa: entriamo nella scia di Maria
“Crediamo anche noi – ha detto padre Raniero Cantalamessa nella prima predica di Avvento alla presenza del Papa – perché quel che si avverò in Lei si avveri anche in noi”
di Amedeo Lomonaco – Vatican News

Predica di Avvento, padre Cantalamessa: entriamo nella scia di Maria dans Avvento Padre-Cantalamessa

È “Maria nell’Annunciazione” il fulcro della prima predica di Avvento di padre Raniero Cantalamessa, nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, alla presenza di Papa Francesco. La Beata Vergine, sottolinea il predicatore della Casa Pontificia, ha vissuto l’Avvento “nella sua carne”. Sa cosa significa essere “in attesa” e può aiutare “anche noi ad attendere, in senso forte ed esistenziale, la venuta del nostro Redentore”.

L’importanza della fede
Maria “è la prima di coloro che hanno creduto senza aver ancora visto”. Dice il suo sì a Dio. Il suo atto di fede è “suscitato dalla grazia dello Spirito Santo”. L’immensa “scia dei credenti che formano la Chiesa” – sottolinea padre Cantalamessa – comincia con la fede di Maria. Essere nella sua scia significa comprendere che “la fede è la base di tutto”, “la prima e la più ‘buo­na’ delle opere da compiere”. La grazia infatti “non può operare, se non tro­va la fede ad accoglierla”.

La fede è così importante perché è l’unica che mantiene alla grazia la sua gratuità. Grazia e fede: sono i due pilastri della sal­vezza; sono i due piedi per camminare o le due ali per volare. Non si tratta però di due cose parallele, quasi che da Dio venisse la grazia e da noi la fede, e la salvezza dipendesse così, in parti eguali, da Dio e da noi.

“[Per grazia siete salvi mediante la fede e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio perché nessuno possa vantarsene. (San Paolo)]”

La fede di Maria
Gli aspetti della fede di Maria, sottolinea padre Cantalamessa, “possono aiutare la Chiesa di oggi a cre­dere più pienamente”. Il suo atto di fede è “personale, unico, irrepetibile”. “È un fidarsi di Dio e un affidarsi completamente a Dio”. E un rapporto da persona a persona. Questo si chiama fede soggettiva: l’accento è “sul fatto di credere, più che sulle cose credute”. Ma la fede di Maria è anche quanto mai oggettiva, comunitaria. Maria “non crede in un Dio soggettivo, personale” che si rivela “solo a lei nel segreto”. Crede invece “al Dio dei Padri, al Dio del suo popo­lo”.

Non ba­sta avere una fede solo soggettiva, una fede che sia un abban­donarsi a Dio nell’intimo della propria coscienza. È tanto facile, per questa strada, rimpicciolire Dio alla propria misura. Questo avviene quando ci si fa una propria idea di Dio, basata su una propria interpretazione personale della Bibbia, o su l’interpreta­zione del proprio ristretto gruppo, e poi si aderisce ad essa con tutte le forze, magari anche con fanatismo, senza accorgersi che ormai si sta credendo in sé stessi più che in Dio e che tutta quella incrollabile fiducia in Dio, altro non è che una incrollabile fiducia in se stessi. Non basta però neppure una fede solo oggettiva e dommati­ca, se questa non realizza l’intimo, personale contatto, da io a tu, con Dio. Essa diventa facilmente una fede morta, un credere per interposta persona o per interposta istituzione, che crolla non appena entra in crisi la fiducia in quella istituzione, nella Chiesa.

Credere
Non ba­sta dunque una fede solo soggettiva o soltanto oggettiva. “Bisogna credere personalmente, ma nella Chiesa; credere nella Chiesa, ma personalmente”. “La fede dommatica della Chiesa – spiega il predicatore della Casa Pontificia – non mortifica l’atto personale e la spontaneità del credere, ma anzi lo preserva e permette di conoscere e abbracciare un Dio immensamente più grande di quello della mia povera esperienza”. “Nessuna creatura infatti è capace di abbracciare, con il suo atto di fede, tutto quello che, di Dio, si può conoscere. La fede della Chiesa è come il grande angolare che permette di cogliere e fotografare, di un panorama, una porzione molto più vasta del semplice obiettivo”.

Il mondo è solcato, come il mare, dalla scia di un bel vascello, che è la scia di fede aperta da Maria. Entria­mo in questa scia. Crediamo anche noi perché quel che si avve­rò in Lei si avveri anche in noi. Invochiamo la Madonna con il dolce titolo di Virgo fidelis: Vergine credente, prega per noi!

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Papa Francesco: Se si offendono i deboli…

Posté par atempodiblog le 24 novembre 2019

Papa Francesco: Se si offendono i deboli…
Tratto da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVIII, n.005, 09/01/2018

Papa Francesco: Se si offendono i deboli... dans Commenti al Vangelo Dolcezza-Papa-Francesco

Aggredire e disprezzare la persona più debole, perché straniera o disabile, è una «traccia del peccato originale» e dell’«opera di Satana». Ed è impressionante constatare che oggi gravi episodi di bullismo avvengono anche nelle scuole, e vedono protagonisti bambini e ragazzi. Papa Francesco — nella messa celebrata lunedì 8 gennaio a Santa Marta — ha chiesto di non cedere alla crudeltà e alla malvagità di prendersela con i più deboli, ai quali invece bisogna stare vicini con la compassione autentica. E ha anche voluto condividere un toccante ricordo personale di quando era bambino a Buenos Aires.

Nella «prima lettura incomincia la storia di Samuele — ha fatto subito notare Francesco nell’omelia, riferendosi al passo biblico tratto proprio dal primo libro di Samuele (1, 1-8) — e c’è una cosa che attira l’attenzione: quest’uomo, che sarà il papà di Samuele, è un uomo — si chiamava Elkanà — e aveva due mogli. Una aveva dei figli, l’altra, no. E questa che aveva dei figli, Peninnà si chiamava; l’altra si chiamava Anna, che sarebbe la mamma di Samuele, non ne aveva, era sterile». Ma Peninnà, ha spiegato il Papa, «invece di aiutarla o consolarla, l’affliggeva con durezza. La maltrattava e umiliava: “Tu sei sterile”. Si faceva beffa».

«Lo stesso accade — ha osservato il Pontefice — con Agar e Sara, le mogli di Abramo, la schiava e la moglie. Agar aveva un figlio, Sara era sterile e Agar la insultava, la maltrattava, la prendeva in giro. Perché non avevano una ricchezza, che è un figlio». E ancora: «Possiamo pensare anche, per non pensare soltanto ai peccati delle donne, come Golia, quel soldato grande che aveva tutto, tutte le possibilità di vincere, era il più forte, quando vide Davide lo disprezzò». In pratica Golia «si faceva beffa del debole». Inoltre, ha proseguito Francesco, «possiamo anche pensare alla moglie di Giobbe», a «come vedendolo ammalato, umiliato, lo disprezzò, lo maltrattò». Lo stesso «anche la moglie di Tobia».

Davanti a queste realtà, ha detto il Papa, «io mi domando: cosa c’è dentro queste persone? Cosa c’è dentro di noi, che ci porta a disprezzare, a maltrattare, a farci beffa dei più deboli?». In effetti «si capisce, al limite, che uno se la prenda con uno che è più forte: può essere l’invidia che ti porta». Ma perché prendersela con «i più deboli? Cosa c’è dentro che ci porta a comportarci così?». Si tratta di «una cosa che è abituale, come se io avessi bisogno di disprezzare l’altro per sentirmi sicuro. Come una necessità».

A questo proposito Francesco ha voluto condividere un episodio della sua vita. «Io ricordo — questo succede anche tra i bambini — da bambino, avrò avuto sette anni: nel quartiere c’era una donna, sola, un po’ mattocca. E lei tutta la giornata camminava per il quartiere, salutava, diceva stupidaggini e nessuno capiva cosa dicesse, non faceva del male a nessuno. Le donne del quartiere le davano da mangiare, qualcuna anche qualche vestito. Viveva da sola. Girava tutta la giornata e poi andava nella sua stanza, viveva in una stanzina povera, lì».

Quella donna, ha ricordato ancora il Pontefice, «si chiamava Angiolina, e noi bambini la prendevamo in giro. Uno dei giochi che noi avevamo era: “andiamo a cercare la Angiolina per divertirci un po’”. Ancora, quando penso a questo, penso: “Ma quanta malvagità anche nei bambini! Prendersela con il più debole!”. E oggi lo vediamo continuamente, nelle scuole, con il fenomeno del bullying: aggredire il debole, perché tu sei grasso o perché tu sei così o tu sei straniero o perché tu sei nero, per questo aggredire, aggredire. I bambini, i ragazzi». Dunque, non se la sono presa con i più deboli «solo Peninnà o Agar o le mogli di Tobia e di Giobbe»; lo fanno «anche i bambini».

«Questo significa che c’è qualcosa dentro di noi che ci porta a questo, all’aggressione del debole» ha affermato il Pontefice. E «credo che sia una delle tracce del peccato originale, perché questo — aggredire il debole — è stato l’ufficio di Satana dall’inizio: lo ha fatto con Gesù e lo fa con noi, con le nostre debolezze». Ma «noi lo facciamo con gli altri. Non c’è compassione in Satana: non c’è posto per la compassione. E quando si aggredisce il debole, manca compassione. Sempre c’è bisogno di sporcare l’altro, di aggredire l’altro, come faceva questa donna» nel brano biblico proposto dalla liturgia.

«Si tratta di un’aggressione che viene da dentro e vorrebbe annientare l’altro perché è debole» ha rilanciato il Papa. «Gli psicologi daranno spiegazioni buone, profonde — ha aggiunto — ma io soltanto dico» che lo fanno «anche i bambini»; e «questa è una delle tracce del peccato originale, questa è opera di Satana». Così «come quando abbiamo un buon desiderio di fare un’opera buona, un’opera di carità, diciamo: “È lo Spirito Santo che mi ispira a fare questo”. Quando noi ci accorgiamo che abbiamo dentro di noi questo desiderio di aggredire quello perché è debole, non dubitiamo: c’è il diavolo, lì. Perché questa è opera del diavolo, aggredire il debole».

In conclusione il Papa ha suggerito di chiedere «al Signore che ci aiuti a vincere questa crudeltà», consapevoli «che tutti noi abbiamo la possibilità di farla: tutti noi!». E ha auspicato anche che il Signore «ci dia la grazia della compassione, quella è di Dio: Dio che ha compassione di noi, patisce con noi e ci aiuta a camminare».

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