29 giugno 1972: Santa Messa per il IX anniversario dell’incoronazione di Sua Santità nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

Posté par atempodiblog le 29 juin 2020

IX ANNIVERSARIO DELL’INCORONAZIONE DI SUA SANTITÀ

OMELIA DI PAOLO VI

Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo
Giovedì, 29 giugno 1972

29 giugno 1972: Santa Messa per il IX anniversario dell'incoronazione di Sua Santità nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo dans Anticristo Paolo-VI

Al tramonto di giovedì 29 giugno, solennità dei Ss. Pietro e Paolo, alla presenza di una considerevole moltitudine di fedeli provenienti da ogni parte del mondo, il Santo Padre celebra la Messa e l’inizio del suo decimo anno di Pontificato, quale successore di San Pietro.
Con il Decano del Sacro Collegio, Signor Cardinale Amleto Giovanni Cicognani e il Sottodecano Signor Cardinale Luigi Traglia sono trenta Porporati, della Curia, e alcuni Pastori di diocesi, oggi presenti a Roma.
Due Signori Cardinali per ciascun Ordine, accompagnano processionalmente il Santo Padre all’altare.
Al completo il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, con il Sostituto della Segreteria di Stato, arcivescovo Giovanni Benelli, ed il Segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, arcivescovo Agostino Casaroli.
Diamo un resoconto della Omelia di Sua Santità.

Il Santo Padre esordisce affermando di dovere un vivissimo ringraziamento a quanti, Fratelli e Figli, sono presenti nella Basilica ed a quanti, lontani, ma ad essi spiritualmente associati, assistono al sacro rito, il quale, all’intenzione celebrativa dell’Apostolo Pietro, cui è dedicata la Basilica Vaticana, privilegiata custode della sua tomba e delle sue reliquie, e dell’Apostolo Paolo, sempre a lui unito nel disegno e nel culto apostolico, unisce un’altra intenzione, quella di ricordare l’anniversario della sua elezione alla successione nel ministero pastorale del pescatore Simone, figlio di Giona, da Cristo denominato Pietro, e perciò nella funzione di Vescovo di Roma, di Pontefice della Chiesa universale e di visibile e umilissimo Vicario in terra di Cristo Signore. Il ringraziamento vivissimo è per quanto la presenza di tanti fedeli gli dimostra di amore a Cristo stesso nel segno della sua povera persona, e lo assicura perciò della loro fedeltà e indulgenza verso di lui, non che del loro proposito per lui consolante di aiutarlo con la loro preghiera.

LA CHIESA DI GESÙ, LA CHIESA DI PIETRO
Paolo VI prosegue dicendo di non voler parlare, nel suo breve discorso, di lui, San Pietro, ché troppo lungo sarebbe e forse superfluo per chi già ne conosce la mirabile storia; né di se stesso, di cui già troppo parlano la stampa e la radio, alle quali per altro esprime la sua debita riconoscenza. Volendo piuttosto parlare della Chiesa, che in quel momento e da quella sede sembra apparire davanti ai suoi occhi come distesa nel suo vastissimo e complicatissimo panorama, si limita a ripetere una parola dello stesso Apostolo Pietro, come detta da lui alla immensa comunità cattolica; da lui, nella sua prima lettera, raccolta nel canone degli scritti del Nuovo Testamento. Questo bellissimo messaggio, rivolto da Roma ai primi cristiani dell’Asia minore, d’origine in parte giudaica, in parte pagana, quasi a dimostrare fin d’allora l’universalità del ministero apostolico di Pietro, ha carattere parenetico, cioè esortativo, ma non manca d’insegnamenti dottrinali, e la parola che il Papa cita è appunto tale, tanto che il recente Concilio ne ha fatto tesoro per uno dei suoi caratteristici insegnamenti. Paolo VI invita ad ascoltarla come pronunciata da San Pietro stesso per coloro ai quali in quel momento egli la rivolge.

Dopo aver ricordato il brano dell’Esodo nel quale si racconta come Dio, parlando a Mosè prima di consegnargli la Legge, disse: «Io farò di questo popolo, un popolo sacerdotale e regale», Paolo VI dichiara che San Pietro ha ripreso questa parola così esaltante, così grande e l’ha applicata al nuovo popolo di Dio, erede e continuatore dell’Israele della Bibbia per formare un nuovo Israele, l’Israele di Cristo. Dice San Pietro: Sarà il popolo sacerdotale e regale che glorificherà il Dio della misericordia, il Dio della salvezza.

Questa parola, fa osservare il Santo Padre, è stata da taluni fraintesa, come se il sacerdozio fosse un ordine solo, e cioè fosse comunicato a quanti sono inseriti nel Corpo Mistico di Cristo, a quanti sono cristiani. Ciò è vero per quanto riguarda quello che viene indicato come sacerdozio comune, ma il Concilio ci dice, e la Tradizione ce l’aveva già insegnato, che esiste un altro grado del sacerdozio, il sacerdozio ministeriale che ha delle facoltà, delle prerogative particolari ed esclusive.

Ma quello che interessa tutti è il sacerdozio regale e il Papa si sofferma sul significato di questa espressione. Sacerdozio vuol dire capacità di rendere il culto a Dio, di comunicare con Lui, di offrirgli degnamente qualcosa in suo onore, di colloquiare con lui, di cercarlo sempre in una profondità nuova, in una scoperta nuova, in un amore nuovo. Questo slancio dell’umanità verso Dio, che non è mai abbastanza raggiunto, né abbastanza conosciuto, è il sacerdozio di chi è inserito nell’unico Sacerdote, che è Cristo, dopo l’inaugurazione del Nuovo Testamento. Chi è cristiano è per ciò stesso dotato di questa qualità, di questa prerogativa di poter parlare al Signore in termini veri, come da figlio a padre.

IL NECESSARIO COLLOQUIO CON DIO
«Audemus dicere»: possiamo davvero celebrare, davanti al Signore, un rito, una liturgia della preghiera comune, una santificazione della vita anche profana che distingue il cristiano da chi cristiano non è. Questo popolo è distinto, anche se confuso in mezzo alla marea grande dell’umanità. Ha una sua distinzione, una sua caratteristica inconfondibile. San Paolo si disse «segregatus», distaccato, distinto dal resto dell’umanità appunto perché investito di prerogative e di funzioni che non hanno quanti non possiedono l’estrema fortuna e l’eccellenza di essere membra di Cristo.

Paolo VI aggiunge, quindi, che i fedeli, i quali sono chiamati alla figliolanza di Dio, alla partecipazione del Corpo Mistico di Cristo, e sono animati dallo Spirito Santo, e fatti tempio della presenza di Dio, devono esercitare questo dialogo, questo colloquio, questa conversazione con Dio nella religione, nel culto liturgico, nel culto privato, e ad estendere il senso della sacralità anche alle azioni profane. «Sia che mangiate, sia che beviate – dice San Paolo – fatelo per la gloria di Dio». E lo dice più volte, nelle sue lettere, come per rivendicare al cristiano la capacità di infondere qualcosa di nuovo, di illuminare, di sacralizzare anche le cose temporali, esterne, passeggere, profane.

Siamo invitati a dare al popolo cristiano, che si chiama Chiesa, un senso veramente sacro. E sentiamo di dover contenere l’onda di profanità, di desacralizzazione, di secolarizzazione che monta e vuol confondere e soverchiare il senso religioso nel segreto del cuore, nella vita privata o anche nelle affermazioni della vita esteriore. Si tende oggi ad affermare che non c’è bisogno di distinguere un uomo da un altro, che non c’è nulla che possa operare questa distinzione. Anzi, si tende a restituire all’uomo la sua autenticità, il suo essere come tutti gli altri. Ma la Chiesa, e oggi San Pietro, richiamando il popolo cristiano alla coscienza di sé, gli dicono che è il popolo eletto, distinto, «acquistato» da Cristo, un popolo che deve esercitare un particolare rapporto con Dio, un sacerdozio con Dio. Questa sacralizzazione della vita non deve oggi essere cancellata, espulsa dal costume e dalla realtà quotidiana quasi che non debba più figurare.

SACRALITÀ DEL POPOLO CRISTIANO
Abbiamo perduto, fa notare Paolo VI, l’abito religioso, e tante altre manifestazioni esteriori della vita religiosa. Su questo c’è tanto da discutere e tanto da concedere, ma bisogna mantenere il concetto, e con il concetto anche qualche segno, della sacralità del popolo cristiano, di coloro cioè che sono inseriti in Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote.

Oggi talune correnti sociologiche tendono a studiare l’umanità prescindendo da questo contatto con Dio. La sociologia di San Pietro, invece, la sociologia della Chiesa, per studiare gli uomini mette in evidenza proprio questo aspetto sacrale, di conversazione con l’ineffabile, con Dio, col mondo divino. Bisogna affermarlo nello studio di tutte le differenziazioni umane. Per quanto eterogeneo si presenti il genere umano, non dobbiamo dimenticare questa unità fondamentale che il Signore ci conferisce quando ci dà la grazia: siamo tutti fratelli nello stesso Cristo. Non c’è più né giudeo, né greco, né scita, né barbaro, né uomo, né donna. Tutti siamo una sola cosa in Cristo. Siamo tutti santificati, abbiamo tutti la partecipazione a questo grado di elevazione soprannaturale che Cristo ci ha conferito. San Pietro ce lo ricorda: è la sociologia della Chiesa che non dobbiamo obliterare né dimenticare.

SOLLECITUDINI ED AFFETTO PER I DEBOLI E I DISORIENTATI
Paolo VI si chiede, poi, se la Chiesa di oggi si può confrontare con tranquillità con le parole che Pietro ha lasciato in eredità, offrendole in meditazione. «Ripensiamo in questo momento con immensa carità – così il Santo Padre – a tutti i nostri fratelli che ci lasciano, a tanti che sono fuggiaschi e dimentichi, a tanti che forse non sono mai arrivati nemmeno ad aver coscienza della vocazione cristiana, quantunque abbiano ricevuto il Battesimo. Come vorremmo davvero distendere le mani verso di essi, e dir loro che il cuore è sempre aperto, che la porta è facile, e come vorremmo renderli partecipi della grande, ineffabile fortuna della felicità nostra, quella di essere in comunicazione con Dio, che non ci toglie nulla della visione temporale e del realismo positivo del mondo esteriore!».

Forse questo nostro essere in comunicazione con Dio, ci obbliga a rinunce, a sacrifici, ma mentre ci priva di qualcosa moltiplica i suoi doni. Sì, impone rinunce ma ci fa sovrabbondare di altre ricchezze. Non siamo poveri, siamo ricchi, perché abbiamo la ricchezza del Signore. «Ebbene – aggiunge il Papa – vorremmo dire a questi fratelli, di cui sentiamo quasi lo strappo nelle viscere della nostra anima sacerdotale, quanto ci sono presenti, quanto ora e sempre e più li amiamo e quanto preghiamo per loro e quanto cerchiamo con questo sforzo che li insegue, li circonda, di supplire all’interruzione che essi stessi frappongono alla nostra comunione con Cristo».

Riferendosi alla situazione della Chiesa di oggi, il Santo Padre afferma di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio. Gli scienziati sono coloro che più pensosamente e più dolorosamente curvano la fronte. E finiscono per insegnare: «Non so, non sappiamo, non possiamo sapere». La scuola diventa palestra di confusione e di contraddizioni talvolta assurde. Si celebra il progresso per poterlo poi demolire con le rivoluzioni più strane e più radicali, per negare tutto ciò che si è conquistato, per ritornare primitivi dopo aver tanto esaltato i progressi del mondo moderno.

Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli.

PER UN «CREDO» VIVIFICANTE E REDENTORE
Come è avvenuto questo? Il Papa confida ai presenti un suo pensiero: che ci sia stato l’intervento di un potere avverso. Il suo nome è il diavolo, questo misterioso essere cui si fa allusione anche nella Lettera di S. Pietro. Tante volte, d’altra parte, nel Vangelo, sulle labbra stesse di Cristo, ritorna la menzione di questo nemico degli uomini. «Crediamo – osserva il Santo Padre – in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio Ecumenico, e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno della gioia di aver riavuto in pienezza la coscienza di sé. Appunto per questo vorremmo essere capaci, più che mai in questo momento, di esercitare la funzione assegnata da Dio a Pietro, di confermare nella Fede i fratelli. Noi vorremmo comunicarvi questo carisma della certezza che il Signore dà a colui che lo rappresenta anche indegnamente su questa terra». La fede ci dà la certezza, la sicurezza, quando è basata sulla Parola di Dio accettata e trovata consenziente con la nostra stessa ragione e con il nostro stesso animo umano. Chi crede con semplicità, con umiltà, sente di essere sulla buona strada, di avere una testimonianza interiore che lo conforta nella difficile conquista della verità.

Il Signore, conclude il Papa, si mostra Egli stesso luce e verità a chi lo accetta nella sua Parola, e la sua Parola diventa non più ostacolo alla verità e al cammino verso l’essere, bensì un gradino su cui possiamo salire ed essere davvero conquistatori del Signore che si mostra attraverso la via della fede, questo anticipo e garanzia della visione definitiva.

Nel sottolineare un altro aspetto dell’umanità contemporanea, Paolo VI ricorda l’esistenza di una gran quantità di anime umili, semplici, pure, rette, forti, che seguono l’invito di San Pietro ad essere «fortes in fide». E vorremmo – così Egli – che questa forza della fede, questa sicurezza, questa pace trionfasse su tutti gli ostacoli. Il Papa invita infine i fedeli ad un atto di fede umile e sincero, ad uno sforzo psicologico per trovare nel loro intimo lo slancio verso un atto cosciente di adesione: «Signore, credo nella Tua parola, credo nella Tua rivelazione, credo in chi mi hai dato come testimone e garante di questa Tua rivelazione per sentire e provare, con la forza della fede, l’anticipo della beatitudine della vita che con la fede ci è promessa».

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Dio è comunione d’Amore

Posté par atempodiblog le 6 juin 2020

Dio è comunione d’Amore

L'unità indivisibile della SS. Trinità dans Citazioni, frasi e pensieri Trinit

L’affermazione che Dio è amore non è un’intuizione della ragione, che mai avrebbe potuto pervenire a una vetta così alta della conoscenza. La presenza del male nel mondo, ma soprattutto nel cuore dell’uomo, ha impedito alla mente umana di volare troppo in alto e di riconoscere in Dio le perfezioni che gli sono proprie. Al contrario, non di rado sono stati attribuiti all’Onnipotente le passioni e persino le depravazioni degli uomini, impregnando le religioni umane di errori e di peccati. Per avvicinarsi alla comprensione del mistero divino nella luce della verità è necessario un cuore purificato dal male, senza il quale l’intelligenza viene oscurata ed è incapace di vedere le cose di lassù. È ancora più necessario un atteggiamento di profonda umiltà, che permetta a Dio di abbassarsi sino al livello della creatura per rivelarle il mistero inaccessibile della sua vita intima. Questo è stato l’atteggiamento della Vergine Maria nel momento in cui l’Altissimo ha rivelato se stesso nel suo mistero impenetrabile. Dio è amore perché dentro di sé è un rapporto eterno di amore fra le tre persone divine, che si sono rivelate come Padre, Figlio e Spirito Santo. Prima di essere un amore che si china su di noi, Dio è, nel suo intimo, una comunione inesauribile di amore. Proprio perché Dio è tale nella sua essenza, ogni sua manifestazione verso le creature è caratterizzata dalla bontà e dalla misericordia. Dio non può non amare, perché l’amore è l’essenza della divinità. Dobbiamo tuttavia essere consapevoli che, quando pronunciamo la parola «amore», usiamo uno strumento espressivo umanamente imperfetto e limitato. Dio è amore in un modo che trascende la nostra capacità di comprensione e che include tutte le perfezioni proprie della sua natura.

Per capire, sia pure nei limiti della nostra finitezza, il mistero dell’amore divino, dobbiamo fissare lo sguardo sul mistero della persona umana, che è la realtà la quale più di ogni altra riflette l’immagine divina. L’uomo è persona in quanto soggetto spirituale capace di conoscere e di amare. L’“io umano” è un mistero inafferrabile, la cui radice profonda è l’orientamento verso l’altro. Quando si afferma che l’uomo non è un’isola, si vuole indicare l’apertura di ognuno all’incontro verso un “tu”. Non è concepibile un “io” racchiuso in se stesso, come una monade senza porte e senza finestre. Nessuna persona potrebbe vivere in un totale isolamento, come se la sua vita interiore bastasse a se stessa. Senza l’incontro con un “tu” l’“io” umano morirebbe di asfissia. Ciò è dovuto alla sua natura intima, che è un movimento verso un altro che sia simile a sé. Questo è il motivo per il quale Adamo si sentiva solo e infelice nell’Eden delle meraviglie, pur circondato dagli animali ai quali aveva dato un nome. La persona umana appassisce e muore se è sola. L’incontro con un’altra persona, nella conoscenza e nell’amore, fa parte della sua natura intima. Le gioie e le sofferenze della vita sono in massima parte dovute ai rapporti riusciti o falliti, con le altre persone. La stessa dimensione religiosa dell’uomo nasce dal desiderio insopprimibile di incontrare un “Tu” che gli sia intimo e al quale possa affidarsi con la certezza di essere compreso e amato. La religione è una pianta sempre verde perché scaturisce dal bisogno della persona umana di andare oltre se stessa. L’“Io” e il “Tu” sono due poli che si cercano. L’uno è in funzione dell’altro. La persona si realizza nell’incontro con un’altra persona e nella comunione dell’amore.

La rivelazione che Dio è amore va intesa nel senso che l’unico Dio è una comunione interpersonale di amore. Se Dio fosse una sola persona non sarebbe infinito amore, ma piuttosto infinita solitudine. L’unità e l’unicità di Dio non vanno intese come se Dio fosse un “Io” che basta a se stesso, perché in tal caso non potrebbe essere né infinito amore né infinita felicità. Quando la fede cattolica afferma che Dio è una sola natura in tre persone divine, intende esprimere, per quanto possibile a un linguaggio umano, un mistero abissale di tre relazioni divine, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che fra loro realizzano una comunione eterna di amore. Per quanto le tre persone divine siano ugualmente partecipi della divinità, tuttavia sono fra loro distinte e hanno una loro precisa identità. Il Padre infatti è colui che genera, il Figlio è colui che è generato e lo Spirito Santo è l’ispirazione di amore fra il Padre e il Figlio. Il mistero interpersonale dell’amore è tale che non vi è né divisione né separazione, ma unità assoluta e inattaccabile. Non vi è dubbio che il mistero della Santissima Trinità trascenda ogni possibilità di comprensione da parte dell’intelletto umano, per quanto illuminato dalla fede. Tuttavia ci è almeno chiara la natura interpersonale dell’amore. L’amore non è qualcosa che esiste in se stesso, ma è dono reciproco fra un “io” e un “tu”. Questa, che è l’esperienza umana fondamentale, ci aiuta ad avvicinarci per quanto possibile al mistero dell’amore trinitario.

La comunione di amore delle tre persone divine è talmente perfetta da generare un’unità indivisibile, per cui l’unico Dio ha anche una sola conoscenza e una sola volontà. Il mistero d’amore del Dio uno nella natura, ma trino nelle persone, non può assolutamente essere criticato come una forma di “triteismo”, come se i cristiani non adorassero un solo Dio, ma tre dèi. Questa accusa, che viene in primo luogo dall’Islam, parte dall’incomprensione della natura dell’amore divino, che è necessariamente un rapporto interpersonale.

L’amore non è una “forza”, ma è una persona che ama un’altra persona. Che cosa sarebbe Dio se fosse una sola persona? Sarebbe una contraddizione con se stesso, perché condannato a essere una realtà incompiuta e infelice. Infatti “persona” significa “relazione”, ma con chi sarebbe in relazione Dio se fosse una sola persona? Un Dio eternamente solo sarebbe un assurdo che ripugna alla ragione. Al contrario la rivelazione che Dio ci ha fatto di se stesso come comunione di tre persone, per quanto “inconcepibile” alla nostra finitezza, genera una luce che illumina la mente e un’attrazione che fa sussultare il cuore. Infatti l’uomo, creato a immagine divina, è strutturalmente orientato al dono di sé. Amare ed essere amata è quanto desidera ogni persona. L’esperienza dell’amore umano, per sua natura esposto al limite, alla fragilità e al peccato, spinge la persona umana a trascendere i limiti della finitezza, per elevarsi ad accogliere l’amore dalla sua fonte originaria. È infatti lì che ognuno di noi è passato dal nulla all’essere per un dono di amore ed è quella la meta alla quale indirizzare la nostra vita.

Tratto da: La gioia di amare, di padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

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Per fissare lo sguardo nel segreto di Dio che è comunione, unità, amore

Posté par atempodiblog le 5 juin 2020

Per fissare lo sguardo nel segreto di Dio che è comunione, unità, amore
di don Fabio Rosini – L’Osservatore Romano

Per fissare lo sguardo nel segreto di Dio che è comunione, unità, amore dans Commenti al Vangelo Il-Vangelo-della-solennit-della-Santissima-Trinit-Gv-3-16-18
Il Vangelo della solennità della Santissima Trinità (Gv 3, 16-18)

«Chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». La prima lettura di questa festa ci ricorda che il nome di Dio è: «Misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà». Credere al nome del Figlio suo benedetto vuol dire credere all’amore. La condanna trova strada nel cuore umano quando l’amore viene squalificato e disprezzato; è questa la tentazione sin dalla Genesi, quando il maligno pone il Padre in una luce distorta.

Una volta che l’amore vien venduto come un inganno, il bene diviene inaffidabile e il male appare più verosimile. Allora si arriva a pensare che un atteggiamento “smaliziato” sia adeguato, opportuno, perfino onesto.

Un male può essere dannoso, ma se nessuno crede alla cura e forse neanche la cerca, allora ha veramente vinto.

Lo scetticismo come atteggiamento appropriato è una mentalità che distrugge l’umanità, la quale si regge, invece, sulla fiducia.

Come stabilire relazioni autentiche senza dar credito a chi abbiamo di fronte? Come costruire la società senza un minimo di concordia?

Anche la Chiesa diviene ricettacolo di disincanto e delusione se la misericordia che il Nome di Dio porta in sé è ridotta a disquisizione teologica di un argomento poco assecondato e non sposato profondamente.

Come annunciare il Vangelo senza credere al bene? Come compaginare la comunità cristiana facendo leva sull’organizzazione o sull’operatività ma non sull’amore di Dio?

Ecco perché la Santa Madre Chiesa ci dona una domenica per fissare lo sguardo in Dio ossia nel suo segreto che è comunione, unità, amore.

Abbiamo bisogno di sollevare lo sguardo verso la bellezza di Dio, di placarci davanti alla tenerezza del Padre, di lasciarci liberare dalla misericordia del Buon Pastore e di aprire il cuore alla consolazione dello Spirito che ci parla bene del Padre.

Abbiamo necessità di vivere scendendo dal Tabor della liturgia, che ogni volta ci permette di dire: «È bello per noi stare con te». Dio è veramente bello. Dio è veramente amore.

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Il cantico del Magnificat

Posté par atempodiblog le 31 mai 2020

IL CANTICO DEL MAGNIFICAT

 Con Maria Immacolata verso il Santo Natale dans Avvento Maria-Immacolata

1. Ispirandosi alla tradizione veterotestamentaria, col cantico del Magnificat Maria celebra le meraviglie compiute in lei da Dio. Il cantico è la risposta della Vergine al mistero dell’Annunciazione: l’angelo l’aveva invitata alla gioia, ora Maria esprime l’esultanza del suo spirito in Dio salvatore. La sua gioia nasce dall’aver fatto l’esperienza personale dello sguardo benevolo rivolto da Dio a lei, creatura povera e senza influsso nella storia.

Con l’espressione Magnificat, versione latina di un vocabolo greco dello stesso significato, viene celebrata la grandezza di Dio, che con l’annuncio dell’angelo rivela la sua onnipotenza, superando attese e speranze del popolo dell’Alleanza e anche i più nobili desideri dell’anima umana.

Di fronte al Signore, potente e misericordioso, Maria esprime il sentimento della propria piccolezza: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1, 47-48). Il termine greco “tapéinosis” è probabilmente mutuato dal cantico di Anna, madre di Samuele. In esso sono indicate l’“umiliazione” e la “miseria” di una donna sterile (cf. 1 Sam 1, 11), che affida la sua pena al Signore. Con simile espressione Maria rende nota la sua situazione di povertà e la consapevolezza di essere piccola davanti a Dio che, con decisione gratuita, ha posato lo sguardo su di Lei, umile ragazza di Nazaret, chiamandola a divenire la Madre del Messia.

2. Le parole “d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Lc 1, 48) prendono avvio dal fatto che Elisabetta per prima abbia proclamato Maria “beata” (Lc 1, 45). Non senza audacia, il cantico predice che la stessa proclamazione si andrà estendendo ed ampliando con un dinamismo inarrestabile. Allo stesso tempo, esso testimonia la speciale venerazione per la Madre di Gesù, presente nella Comunità cristiana sin dal primo secolo. Il Magnificat costituisce la primizia delle varie espressioni di culto, trasmesse da una generazione all’altra, con cui la Chiesa manifesta il suo amore alla Vergine di Nazaret.

3. “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono” (Lc 1, 49-50).

Che cosa sono le “grandi cose” operate in Maria dall’Onnipotente? L’espressione ricorre nell’Antico Testamento per indicare la liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto o da Babilonia. Nel Magnificat essa si riferisce all’evento misterioso del concepimento verginale di Gesù, avvenuto a Nazaret dopo l’annuncio dell’angelo.

Nel Magnificat, cantico veramente teologico perché rivela l’esperienza del volto di Dio compiuta da Maria, Dio non è soltanto l’Onnipotente al quale nulla è impossibile, come aveva dichiarato Gabriele (cf. Lc 1, 37), ma anche il Misericordioso, capace di tenerezza e fedeltà verso ogni essere umano.

4. “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1, 51-53).

Con la sua lettura sapienziale della storia, Maria ci introduce a scoprire i criteri del misterioso agire di Dio. Egli, capovolgendo i giudizi del mondo, viene in soccorso dei poveri e dei piccoli, a scapito dei ricchi e dei potenti e, in modo sorprendente, colma di beni gli umili, che gli affidano la loro esistenza (cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, 37).

Queste parole del cantico, mentre ci mostrano in Maria un concreto e sublime modello, ci fanno capire che è soprattutto l’umiltà del cuore ad attrarre la benevolenza di Dio.

5. Infine, il cantico esalta il compimento delle promesse e la fedeltà di Dio verso il popolo eletto: “Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre” (Lc 1, 54-55).

Colmata di doni divini, Maria non ferma il suo sguardo al suo caso personale, ma capisce come questi doni siano una manifestazione della misericordia di Dio per tutto il suo popolo. In lei Dio compie le sue promesse con una fedeltà e generosità sovrabbondante.

Ispirato all’Antico Testamento ed alla spiritualità della figlia di Sion, il Magnificat supera i testi profetici che sono alla sua origine, rivelando nella “piena di grazia” l’inizio di un intervento divino che va ben oltre le speranze messianiche d’Israele: il mistero santo dell’Incarnazione del Verbo.

GIOVANNI PAOLO II, Udienza Generale, Mercoledì, 6 novembre 1996
© Copyright 1996 – Libreria Editrice Vaticana

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Gli apostoli sono raccolti in preghiera con Maria

Posté par atempodiblog le 30 mai 2020

La Madonna era presente nel Cenacolo, in preghiera con gli apostoli riuniti intorno a Lei. Mi viene in mente la scena della Pentecoste descritta dalla Valtorta nel suo L’Evangelo come mi è stato rivelato: lo Spirito Santo prima scende come una fiamma su Maria, poi questa fiamma si divide in tante piccole fiammelle che vanno a finire sugli apostoli; questo indica la mediazione di Maria, come sapientemente sintetizzato dalla giaculatoria “Vieni Spirito Santo, vieni per Maria”.

Tratto da: Medjugorje rinnova la Chiesa  La crisi dei nostri giorni e il tempo dei segreti, di Padre Livio Fanzaga con Diego Manetti, Ed. PIEMME

Gli apostoli sono raccolti in preghiera con Maria dans Commenti al Vangelo Pentecoste-di-El-Greco

Gli apostoli sono raccolti in preghiera con Maria

Non ti deve sfuggire la presenza di Maria, la Madre di Gesù, nel cenacolo insieme agli apostoli. Con felice intuito i grandi capolavori dell’arte, che hanno rappresentato l’avvenimento della Pentecoste pongono Maria al centro del gruppo, facendo di Lei il cuore stesso della Chiesa nascente. Si tratta di una intuizione molto profonda e teologicamente fondata, che mette in luce lo specialissimo legame che c’è fra Maria e lo Spirito Santo.

Questa intima cooperazione fra la Madre di Cristo e la terza persona della Santissima Trinità appare in tutta la sua evidenza nel momento dell’incarnazione, quando il Verbo di Dio assume la natura umana grazie al consenso della Vergine e l’azione dello Spirito Santo. Il capo della Chiesa, Cristo, è concepito nel grembo di Maria per opera dello Spirito Santo.

In un modo analogo è stato concepito il corpo di Cristo, che è la Chiesa, nel giorno della Pentecoste. Anche in questa circostanza l’azione dello Spirito Santo si accompagna a quella di Maria, la cui preghiera si unisce a quella di Cristo al Padre, per ottenere l’effusione dello Spirito.

In questa luce è molto più chiaro, caro amico, perché Maria, oltre ad essere la Madre di Gesù è anche Madre della Chiesa. Non solo il Capo, che è Cristo, ma tutto il corpo è generato per l’azione congiunta dello Spirito Santo e dell’umile vergine di Nazareth. Maria Santissima e lo Spirito operano insieme costantemente, anche nell’opera di santificazione della Chiesa lungo il corso dei secoli.

Tratto da: Le vie del cuore. Vangelo per la vita quotidiana. Commento ai vangeli festivi Anno A, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

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La discesa dello Spirito Santo. Fine del ciclo messianico.

Posté par atempodiblog le 29 mai 2020

La discesa dello Spirito Santo. Fine del ciclo messianico.
Tratto da: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.

La discesa dello Spirito Santo. Fine del ciclo messianico. dans Commenti al Vangelo Pentecoste 

[27 aprile 1947]
Non ci sono voci e rumori nella casa del Cenacolo. Non c’è presenza di discepoli, almeno io non sento nulla che mi autorizzi a dire che in altri ambienti della casa siano raccolte delle persone. Ci sono soltanto la presenza e le voci dei Dodici e di Maria Ss., raccolti nella sala della Cena.
Sembra più ampia la stanza, perché le suppellettili, messe diversamente, lasciano libero tutto il centro della stanza e anche due delle pareti. Contro la terza è spinto il tavolone usato per la Cena, e fra esso e il muro, e anche ai due dei lati più stretti del tavolo, sono messi i sedili-lettucci usati nella Cena e lo sgabello usato da Gesù per la lavanda dei piedi. Però non sono, questi lettucci, messi verticalmente alla tavola, come per la Cena, ma parallelamente, di modo che gli apostoli possono stare seduti senza occuparli tutti, pur lasciando un sedile, l’unico messo verticale rispetto alla tavola, tutto per la Vergine benedetta, che è al centro della tavola, al posto che nella Cena occupava Gesù.
La tavola è nuda di tovaglie e stoviglie, nude le credenze, denudati i muri dei loro ornamenti. Solo il lampadario arde al centro, ma con la sola fiamma centrale accesa; l’altro giro di fiammelle che fanno da corolla al bizzarro lampadario sono spente.
Le finestre sono chiuse e sbarrate dalla pesante sbarra di ferro che le traversa. Ma un raggio di sole si infiltra baldanzoso da un forellino e scende come un ago lungo e sottile sino al pavimento, dove mette un occhiolino di sole.

La Vergine, seduta sola sul suo sedile, ha ai lati, sui lettucci, Pietro e Giovanni: alla destra Pietro, alla sinistra Giovanni. Mattia, il novello apostolo, è tra Giacomo d’Alfeo e il Taddeo. Davanti a Lei, la Madonna ha un cofano largo e basso di legno scuro, chiuso. Maria è vestita di azzurro cupo. Ha sui capelli il velo bianco e sopra questo il lembo del suo manto. Gli altri sono tutti a capo scoperto.
Maria legge lentamente a voce alta. Ma, per la poca luce che giunge sin là, io credo che più che leggere Ella ripeta a memoria le parole scritte sul rotolo che Ella tiene spiegato. Gli altri la seguono in silenzio, meditando. Ogni tanto rispondono se ne è il caso.
Maria ha il viso trasfigurato da un sorriso estatico. Chissà cosa vede di così capace da accenderle gli occhi, come due stelle chiare, e da arrossarle le guance d’avorio, come se su Lei si riflettesse una fiamma rosata? È veramente la mistica Rosa…
Gli apostoli si sporgono in avanti, stando un poco per sbieco, per vederla in viso mentre così dolcemente sorride e legge, e pare la sua voce un canto d’angelo. E Pietro se ne commuove tanto che due lucciconi gli cascano dagli occhi e per un sentiero di rughe, incise ai lati del suo naso, scendono a perdersi nel cespuglio della barba brizzolata. Ma Giovanni riflette il sorriso verginale e si accende come Lei di amore, mentre segue col suo sguardo ciò che la Vergine legge sul rotolo e, quando le porge un nuovo rotolo, la guarda e le sorride.
La lettura è finita. Cessa la voce di Maria. Cessa il fruscio delle pergamene svolte e avvolte. Maria si raccoglie in orazione segreta, congiungendo le mani sul petto e appoggiando il capo contro il cofano. Gli apostoli la imitano…

Un rombo fortissimo e armonico, che ha del vento e dell’arpa, che ha del canto umano e della voce di un organo perfetto, risuona improvviso nel silenzio del mattino. Si avvicina, sempre più armonico e più forte, ed empie delle sue vibrazioni la Terra, le propaga e imprime alla casa, alle pareti, alle suppellettili. La fiamma del lampadario, sino allora immobile nella pace della stanza chiusa, palpita come se un vento l’investisse, e le catenelle della lumiera tintinnano vibrando sotto l’onda di suono soprannaturale che le investe.
Gli apostoli alzano il capo sbigottiti e, come quel fragore bellissimo, in cui sono tutte le note più belle che Dio abbia dato ai Cieli e alla Terra, si fa sempre più vicino, alcuni si alzano pronti a fuggire, altri si rannicchiano al suolo coprendosi il capo con le mani e il manto, o battendosi il petto domandando perdono al Signore, altri ancora si stringono a Maria, troppo spaventati per conservare quel ritegno verso la Purissima che hanno sempre.
Solo Giovanni non si spaventa, perché vede la pace luminosa di gioia che si accentua sul volto di Maria, che alza il capo sorridendo ad una cosa nota a Lei sola e che poi scivola in ginocchio aprendo le braccia, e le due ali azzurre del suo manto così aperto si stendono su Pietro e Giovanni, che l’hanno imitata inginocchiandosi.
Ma tutto ciò, che io ho tenuto minuti a descrivere, si è fatto in men di un minuto.

E poi ecco la Luce, il Fuoco, lo Spirito Santo, entrare, con un ultimo fragore melodico, in forma di globo lucentissimo, ardentissimo, nella stanza chiusa, senza che porta o finestra sia mossa, e rimanere librato per un attimo sul capo di Maria, a un tre palmi dalla sua testa, che ora è scoperta, perché Maria, vedendo il Fuoco Paraclito, ha alzato le braccia come per invocarlo e gettato indietro il capo con un grido di gioia, con un sorriso d’amore senza confini. E dopo quell’attimo in cui tutto il Fuoco dello Spirito Santo, tutto l’Amore è raccolto sulla sua Sposa, il Globo Ss. si scinde in tredici fiamme canore e lucentissime, di una luce che nessun paragone terreno può descrivere, e scende a baciare la fronte di ogni apostolo.
Ma la fiamma che scende su Maria non è una lingua di fiamma dritta sulla fronte che bacia, ma è una corona che abbraccia e cinge come un serto il capo verginale, incoronando Regina la Figlia, la Madre, la Sposa di Dio, l’incorruttibile Vergine, la Tutta Bella, l’eterna Amata e l’eterna Fanciulla che nulla cosa può avvilire e in nulla, Colei che il dolore aveva invecchiata ma che è risorta nella gioia della Risurrezione, avendo in comune col Figlio un accentuarsi di bellezza e di freschezza di carni, di sguardi, di vitalità… avendone già un anticipo della bellezza del suo glorioso Corpo assunto al Cielo ad essere il fiore del Paradiso.
Lo Spirito Santo rutila le sue fiamme intorno al capo dell’A­mata. Quali parole le dirà? Mistero! Il viso benedetto è trasfigurato di gioia soprannaturale e ride del sorriso dei Serafini, mentre delle lacrime beate sembrano diamanti giù per le gote della Benedetta, percosse come sono dalla luce dello Spirito Santo.
Il Fuoco rimane così per qualche tempo… E poi dilegua… Della sua discesa resta a ricordo una fragranza che nessun terrestre fiore può sprigionare… Il profumo del Paradiso…

Gli apostoli tornano in loro stessi… Maria resta nella sua estasi. Soltanto si raccoglie le braccia sul petto, chiude gli occhi, abbassa il capo… Continua il suo colloquio con Dio… insensibile a tutto… Nessuno osa turbarla.
Giovanni, accennandola, dice: «È l’Altare. E sulla sua gloria si è posata la Gloria del Signore…».
«Sì. Non turbiamo la sua gioia. Ma andiamo a predicare il Signore e siano manifeste le sue opere e le sue parole fra i popoli», dice Pietro con soprannaturale impulsività.
«Andiamo! Andiamo! Lo Spirito di Dio arde in me», dice Giacomo d’Alfeo.
«E ci sprona ad agire. Tutti. Andiamo ad evangelizzare le genti».
Escono, come fossero spinti o attratti da un vento o da una forza gagliarda…

Dice Gesù:

«E qui l’Opera che il mio amore per voi ha dettata, e che voi avete ricevuta per l’amore che una creatura ha avuto per Me e per voi, è finita.
È finita oggi, commemorazione di Santa Zita da Lucca, umile servente che servì il suo Signore nella carità in questa Chiesa di Lucca, nella quale Io, da luoghi lontani, ho portato il mio piccolo Giovanni perché mi servisse nella carità e con lo stesso amore di S. Zita per tutti gli infelici. Zita dava pane ai poverelli ricordando che in ognuno di essi Io sono e beati saranno, al mio fianco, coloro che avranno dato pane e bevanda a coloro che hanno sete e fame. Maria-Giovanni ha dato le mie parole a coloro che languiscono nell’ignoranza o nella tiepidezza o dubbio sulla Fede, ricordando che è detto dalla Sapienza che coloro che si affaticano per far conoscere Iddio splenderanno come stelle nell’eternità, dando gloria al loro Amore col farlo noto e amato, e a molti.
E ancora è finita oggi, giorno nel quale la Chiesa eleva agli altari il puro giglio dei campi Maria Teresa Goretti, dallo stelo spezzato mentre ancor la corolla era un boccio. E da chi spezzato se non da Satana, invido di quel candore, splendente più del suo antico aspetto d’angelo? Spezzato perché sacro all’Amatore divino. Vergine e martire, Maria, di questo secolo d’infamie, nel quale si vilipende anche l’onore della Donna, sputando la bava dei rettili a negare il potere di Dio di dare una dimora inviolata al suo Verbo incarnantesi per opera di Spirito Santo a salvare coloro che credono in Lui. Anche Maria-Giovanni è martire dell’Odio, che non vuole celebrate le mie meraviglie con l’Opera, arma potente a strappargli tante prede. Ma anche Maria-Giovanni sa, come sapeva Maria-Teresa, che il martirio, qualunque nome e aspetto abbia, è chiave per aprire senza indugio il Regno dei Cieli a quelli che lo patiscono per continuare la mia Passione.
L’Opera è finita. E con la sua fine, con la discesa dello Spirito Santo, si conclude il ciclo messianico, che la mia Sapienza ha illuminato dal suo albore: il Concepimento immacolato di Maria, al suo tramonto: la discesa dello Spirito Santo. Tutto il ciclo messianico è opera dello Spirito d’Amore, per chi sa ben vedere. Giusto, dunque, iniziarlo col mistero dell’immacolato Concepimento della Sposa dell’Amore e concluderlo con il sigillo di Fuoco Paraclito sulla Chiesa di Cristo.
Le opere manifeste di Dio, dell’Amore di Dio, hanno fine con la Pentecoste. Da allora in poi continua l’intimo, misterioso operare di Dio nei suoi fedeli, uniti nel Nome di Gesù nella Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica, Romana; e la Chiesa, ossia l’adunanza dei fedeli — pastori, pecore e agnelli — può procedere e non errare per la spirituale, continua operazione del­l’Amore, Teologo dei teologi, Colui che forma i veri teologi, che sono coloro che sono persi in Dio ed hanno Dio in loro — la vita di Dio in loro per la direzione dello Spirito di Dio che li conduce — che sono coloro che veramente sono “figli di Dio” secondo il concetto di Paolo.

E al termine dell’Opera devo mettere ancora una volta il lamento messo alla fine di ogni anno evangelico, e nel mio dolore di veder spregiato il dono mio vi dico: “Non avrete altro, poiché non avete saputo accogliere questo che vi ho dato”. E dico anche ciò che vi feci dire per richiamarvi sulla via retta nella passata estate: “Non mi vedrete finché non venga il giorno nel quale diciate: ‘Benedetto colui che viene in nome del Signore’”».

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Gesù non ci ha lasciato soli

Posté par atempodiblog le 24 mai 2020

Gesù non ci ha lasciato soli

Gesù non ci ha lasciato soli dans Commenti al Vangelo Velo-del-Cielo

Non pensare che Gesù, ritornando al Padre, ci abbia lasciato soli, Egli ci assicura che rimane con noi fino alla fine del mondo. L’evangelista Marco sottolinea che, dopo l’Ascensione di Gesù, gli apostoli sono partiti a predicare ovunque, ma il “Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano”. Tu ti chiederai: “Ma Gesù si trova in cielo o in terra?”. Ebbene, la risposta più vera e più calzante è che sono state infrante le barriere che separano il tempo dall’eternità e il cielo è qui sulla terra, nei cuori degli uomini che credono, che si convertono e che portano Gesù nel cuore.

Non ti meraviglia questo evento mirabile della navicella della Chiesa che veleggia ormai da due millenni fra i marosi della storia senza affondare? Gesù di essa ha detto che “le porte dell’inferno non prevarranno”. Per quale motivo? Perché Gesù naviga con noi, sulla barca della nostra vita e della storia e se Lui è con noi, le forze del male non potranno portare l’umanità alla distruzione.

Tratto da: Desiderio d’infinito. Vangelo per la vita quotidiana, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

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Se siamo testimoni del Vangelo, saremo anche perseguitati

Posté par atempodiblog le 16 mai 2020

Se siamo testimoni del Vangelo, saremo anche perseguitati dans Commenti al Vangelo frate-cingolo-corona

Nella tradizione cappuccina il rosario che pende dal cingolo dei frati dovrebbe avere una croce senza crocifisso, perché quel posto è per noi.
Facile a dirsi, difficile a farsi.
Ma è la strada percorsa da Gesù, è la strada che Egli indica anche a ciascuno di noi: se siamo testimoni del Vangelo, saremo anche perseguitati.
In questo tempo di prova non dimentichiamoci dei Cristiani perseguitati in tante parti del mondo.

Liturgia della Parola del giorno: At 16, 1-10; Sal 99; Gv 15, 18-21

fra Luca Casalicchio, OFM Cap

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Cristo in noi

Posté par atempodiblog le 9 mai 2020

Cristo in noi

Cristo in noi dans Commenti al Vangelo Dio

In Cristo, Dio si è donato all’uomo, partecipando così alla sua sorte; si è fatto uno con l’uomo a tal punto che

«chi ha visto me», dice Gesù, «ha visto il Padre» (Gv 14, 9).

E non solo nel senso che ci è stato concesso per grazia di poter riconoscere Dio nel Cristo, ma anche a significare la gioia di Dio nell’esistere in Lui come uomo. Ciò che è avvenuto una volta in Cristo – dice san Paolo – deve ripetersi continuamente. Non in modo identico, che la vera e propria incarnazione di Dio è un evento in cui è impegnato Dio come Persona, in modo intangibilmente unico, – ma spiritualmente; così può aver luogo in ciascuno, proprio in ciascuno. Nessuno è superfluo, perché ognuno esiste una sola volta e Dio ama l’uomo a tal punto che vuoi rinnovare in tutti il mistero dell’incarnazione.

Credere significa accogliere in sé il Cristo risuscitato, vivere da cristiani significa far posto a Dio perché si esprima e si affermi nella nostra propria esistenza. La fede è perfetta quando Cristo penetra nell’esistenza dell’uomo e vi diventa l’Unico, il Tutto: la vita del Cristo è il tema che, proposto sempre di nuovo, dev’essere sviluppato in ognuno di noi. Nella nostra vita riappare di continuo il Cristo e nel Cristo Dio; di continuo l’uomo può trasformarsi in Cristo e, per suo mezzo, in Dio. Così cresce l’uomo nuovo, nel quale Cristo rivive la sua vita e Dio da compimento al suo amore. Così l’uomo diventa ciò che dev’essere secondo l’intenzione di Dio.

di Romano Guardini – Il Rosario della Madonna, Ed. Morcellina

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La fede invitta di Maria

Posté par atempodiblog le 11 avril 2020

La fede invitta di Maria dans Commenti al Vangelo La-piet-di-Michelangelo

Tu hai creduto che era il Figlio di Dio Colui che supplicava Dio di non abbandonarLo. Mentre, spezzata dal dolore, Tu Madre, morta col Figlio, tenevi in grembo il Suo corpo senza vita con lo stesso amore con cui lo tenevi da bambino. Tu sola hai creduto con l’eroismo della fede più grande di quella di Abramo, nella gloria imminente della Resurrezione.

Da dove la sorgente segreta della Tua fede vittoriosa che ha consentito a Dio di diventare uomo, affinché l’uomo fosse partecipe della divina natura?

Come potremo noi, uomini di poca fede, sballottati dalle onde del dubbio e dell’incertezza, in ricerca continua di umane sicurezze, trovare un appoggio sicuro per credere?

La fede invitta di Maria sgorga come acqua trasparente dalle sorgenti inesauribili della sua profondissima umiltà.

Un cuore umile, puro e semplice, crede con la fiducia di un bimbo ad ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

Anche la Vergine ha udito il sibilo del serpente infrangere l’altissimo silenzio dell’anima che accoglie e medita la Parola di Verità ma il Suo Cuore neppure per un istante ha distolto lo sguardo dalla divina contemplazione per posarsi sui sinuosi ragionamenti dell’antico e viscido seduttore.

 A noi esseri instabili ma assetati di certezze concedi o Vergine fedele di attingere con le labbra alle sorgenti chiare e fresche della Tua umile fede.

di Padre  Livio Fanzaga – Magnificat. Il poema di Maria, ed. SugarCo

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Il Papa ricorda i sacerdoti morti per essere vicini ai malati

Posté par atempodiblog le 9 avril 2020

Il Papa ricorda i sacerdoti morti per essere vicini ai malati
Nell’Ultima cena Gesù istituisce l’Eucaristia e fonda il sacerdozio. E Papa Francesco nella Messa in Coena Domini ricorda la santità di tanti parroci anonimi e coloro che si sono sacrificati soprattutto in questo periodo di pandemia. A tutti raccomanda: sperimentate il perdono di Dio e perdonate con generosità
di Adriana Masotti – Vatican News

Il Papa ricorda i sacerdoti morti per essere vicini ai malati dans Commenti al Vangelo Santo-Padre

Un Giovedì Santo davvero particolare quello di quest’anno a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia che ha stravolto in poco tempo la vita di tutti. Anche i giorni del Triduo Pasquale, al centro della calendario liturgico, i più importanti per i cristiani, vedranno le chiese aperte ma le celebrazioni senza la presenza dei fedeli. Sarà così anche per le celebrazioni liturgiche di Papa Francesco. Il Papa non ha presieduto stamattina la Messa del Crisma con i sacerdoti di Roma, ma alle 18, all’altare della Cattedra in San Pietro, celebra la Messa in Coena Domini, che fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia.

La Basilica solo in apparenza vuota
La Basilica vaticana è vuota, con il Papa che indossa i paramenti di colore bianco, solo poche persone: i lettori, i cantori, alcuni sacerdoti e alcune religiose, un vescovo e il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica, tutti a distanza di sicurezza. Omesso il tradizionale rito della lavanda dei piedi che gli anni scorsi vedevano Francesco ripetere il gesto di Gesù a carcerati, poveri e rifugiati. L’ultima volta lo aveva fatto nella Casa Circondariale di Velletri o, nel 2018, in quella romana di Regina Coeli. Eppure, tramite i media sono probabilmente molto più numerosi del solito coloro che oggi partecipano alla Messa.

Gesù amò i suoi fino alla fine
Ad aprire la celebrazione è il canto del Gloria. La prima Lettura è tratta dal Libro dell’Esodo e riferisce le prescrizioni date dal Signore al suo popolo, per mezzo di Mosè e Aronne, per la cena pasquale. La seconda è un brano della seconda Lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi che ai fedeli ricorda: “Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché Egli venga”. La pagina del Vangelo secondo Giovanni è la descrizione dell’Ultima cena di Gesù con i suoi che, scrive, “amò fino alla fine”.

Eucaristia, servizio, unzione
Il Papa tiene l’omelia a braccio. Sottolinea tre parole che sono tre realtà al centro del Giovedì Santo: l’Eucaristia, il servizio, l’unzione. Il Signore vuole rimanere con noi, nell’Eucaristia, afferma Francesco, e noi diventiamo il suo tabernacolo. Gesù, continua, arriva a dire che “se non mangiamo il suo corpo e non beviamo il suo sangue, non entreremo nel Regno dei Cieli”. Ma per entrare nel Regno dei Cieli è necessaria anche la dimensione del servizio e Francesco prosegue:

Servire, sì, tutti. Ma il Signore, in quello scambio di parole che ha avuto con Pietro, gli fa capire che per entrare nel Regno dei Cieli dobbiamo lasciare che il Signore ci serva, che sia il Servo di Dio servo di noi. E questo è difficile da capire.

La grazia del sacerdozio
E poi il sacerdozio: il Papa dice che oggi desidera essere vicino a tutti i sacerdoti. Tutti dal primo all’ultimo, dice, siamo unti dal Signore, unti per celebrare l’Eucaristia e per servire. E se non è stato possibile oggi celebrare la Messa crismale con i sacerdoti, in questa di stasera il Papa vuole ricordare i sacerdoti, specie quelli che offrono la vita per il Signore, e che si fanno servitori degli altri. Ricorda le molte decine di sacerdoti che sono morti in Italia a causa del Covid-19, prestando servizio agli ammalati, assieme ai medici e al personale sanitario. “sono i Santi della porta accanto”, capaci di dare la vita. E poi ci sono i sacerdoti che prestano servizio nelle carceri o quelli che vanno lontano per portare il Vangelo e muoiono lì, quindi e prosegue:

Diceva un vescovo che la prima cosa che lui faceva, quando arrivava in questi posti di missione, era andare al cimitero e mettere sulla tomba dei sacerdoti che hanno lasciato la vita lì, giovani, per la peste del posto: non erano preparati, non avevano gli anticorpi, loro; nessuno ne conosce il nome.

Porto all’altare con me tutti i sacerdoti
Tanti i sacerdoti anonimi, i parroci di campagna o nei paesini di montagna, sacerdoti che conoscono la gente. “Oggi vi porto nel mio cuore e vi porto all’altare”, afferma Papa Francesco. E poi ci sono i sacerdoti calunniati che per strada vengono insultati:

Tante volte succede oggi, non possono andare in strada perché dicono loro cose brutte in riferimento al dramma che abbiamo vissuto con la scoperta dei sacerdoti che hanno fatto cose brutte.

Chiedere perdono e perdonare
Cita poi i sacerdoti, i vescovi e lui stesso “che non si dimenticano di chiedere perdono” perché “tutti siamo peccatori”.  E poi i sacerdoti in crisi, nell’oscurità. A tutti raccomanda solo una cosa: “non siate testardi come Pietro. Lasciatevi lavare i piedi. Il Signore è il vostro servo, Lui è vicino a voi per darvi la forza, per lavarvi i piedi”. Dall’essere perdonati a perdonare il peccato degli altri. Papa Francesco raccomanda un “cuore grande di generosità nel perdono” sull’esempio di Cristo.

Lì c’è il perdono di tutti. Siate coraggiosi. Anche nel rischiare nel perdonare, per consolare. E se non potete dare un perdono sacramentale in quel momento, almeno date la consolazione di un fratello che accompagna e lascia la porta aperta perché torni.

Il Papa conclude ringraziando il Signore per il sacerdozio e per i sacerdoti e dice infine: “Gesù vi vuole bene. Soltanto chiede che voi vi lasciate lavare i piedi”.

La preghiera al Signore perché vinca il male
Al momento della preghiera dei fedeli un diacono presenta cinque intenzioni. Si prega per la Chiesa perché “annunci a ogni uomo che solo in te c’è salvezza”; la seconda supplica il Signore di sostenere “le sofferenze dei popoli” e perché “i governanti cerchino il vero bene e le persone ritrovino speranza e pace ». La terza è per i sacerdoti perché siano “un riflesso vivo del sacrificio che celebrano e servano i fratelli con generosa dedizione”. Nella quarta si prega per i giovani, perché il Signore tocchi il loro cuore e loro lo seguano “sulla via della croce”, scoprendo “che solo in te c’è libertà, gioia e vita piena”. Infine si chiede a Dio di consolare l’umanità afflitta “con la certezza della tua vittoria sul male: guarisci i malati, consola i poveri e tutti libera da epidemie, violenze ed egoismi”. Una preghiera quanto mai attuale in mezzo alla ‘tempesta’ in cui stiamo vivendo.

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Il Papa nel silenzio

Posté par atempodiblog le 28 mars 2020

Il Papa nel silenzio
I fuochi, l’adorazione, la benedizione in una piazza San Pietro vuota. “Da settimane – ha detto Francesco – sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti”.
di Matteo Matzuzzi – Il Foglio
Tratto da: Radio Maria

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Nella piazza vuota c’erano solo i fuochi accesi, l’icona della Salus populi romani, il Crocifisso miracoloso di San Marcello. Poco più in là, nell’atrio della basilica vaticana, l’altare per l’adorazione. Tutto immerso nel silenzio, interrotto solo dal verso di qualche gabbiano e dalle sirene delle ambulanze. In mezzo, il Papa. Un momento di preghiera straordinario per supplicare la fine dell’epidemia che resterà nella storia. La pioggia non ha smesso un attimo di cadere sul sagrato di San Pietro, mentre si proclamava il Vangelo – “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”, chiede Gesù agli apostoli turbati dalla tempesta di vento che aveva fatto riempire d’acqua la barca sulla quale si trovavano – e si cantavano le litanie. “Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: ‘Siamo perduti’, così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”, ha detto il Papa nella sua riflessione, tutta svolta attorno al tema della paura e della fede. “Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balìa della tempesta”. Una supplica accorata, terminata con la concessione dell’indulgenza plenaria e la benedizione urbi et orbi, alla città di Roma e al mondo intero. In silenzio anche questa: il Papa, affaticato, benediceva con il santissimo mentre le campane della basilica suonavano a festa.

Si è scritto più volte che il dramma che stiamo vivendo sarà ricordato anche da immagini-simbolo: i volti di medici e infermieri deturpati dall’uso continuo delle mascherine alla sequela dei camion militari con il loro carico di bare destinate ai crematori. Anche l’immagine del Pontefice da solo in piazza San Pietro, al crepuscolo di un venerdì d’inizio primavera, entrerà nei libri. Come vi era già entrata del resto l’istantanea della camminata in solitaria verso San Marcello al Corso, in una Roma deserta per la serrata. E come lo era stata la benedizione dalla finestra del Palazzo apostolico, dopo l’Angelus di domenica. Sotto di lui, il vuoto.

“Da settimane – ha detto Francesco – sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti”. Alla fine, le telecamere indugiavano sulla grande navata della basilica, tutta illuminata. E’ lì che si terranno i riti della Settimana santa e della Pasqua. Il Papa celebrerà all’altare della Cattedra, senza popolo presente. La Via Crucis, anziché al Colosseo, si svolgerà in piazza San Pietro. Rimandata la messa crismale del giovedì santo, se ne riparlerà a emergenza finita. E così faranno le altre chiese in Italia e in gran parte del mondo. In queste ore i vescovi diocesani stanno comunicando ai fedeli calendari aggiornati e misure straordinarie per le celebrazioni, tutte comunque garantite in streaming, almeno laddove i sacerdoti saranno in grado di farlo.

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Annunciazione, quel Sì che restaura la storia

Posté par atempodiblog le 25 mars 2020

Annunciazione, quel Sì che restaura la storia
Il sì della Vergine cambia tutto. Non solo cambia la Storia, ma per così dire “restaura” la Storia che era stata compromessa con il peccato originale di Adamo ed Eva.
di Stefano Bimbi – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: 
Radio Maria

Annunciazione, quel Sì che restaura la storia dans Angeli Annunciazione

Ogni 25 marzo ricorre la bella solennità dell’Annunciazione. Questa data non è convenzionale, ma al pari di quella del Natale, è una data storica. Infatti, recenti studi hanno accertato i turni al tempio di Gerusalemme da parte delle classi sacerdotali. Ebbene, la classe a cui apparteneva Zaccaria, il marito di Elisabetta, aveva il turno a fine settembre. Sapendo che, come ci narra il Vangelo, proprio in quel periodo l’angelo Gabriele annuncia a Zaccaria il concepimento di suo figlio Giovanni, risulta chiaro che il sesto mese di gravidanza per Elisabetta è fine marzo. Ecco quindi che sia la data dell’Annunciazione – e di conseguenza anche quella del Natale – risultano confermate storicamente.

L’Annunciazione ricorda, appunto, l’annuncio che l’arcangelo Gabriele porta a Maria: Dio l’aveva scelta per diventare la madre del Salvatore. Il sì della Vergine cambia tutto. Non solo cambia la Storia, ma per così dire “restaura” la Storia che era stata compromessa con il peccato originale di Adamo ed Eva.

È interessante notare il parallelismo tra le due donne, Eva e Maria. Ad entrambe appare un angelo: Gabriele a Maria e l’angelo decaduto (il diavolo) a Eva. In entrambi i casi è la creatura angelica a prendere l’iniziativa iniziando il discorso. “È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?” chiede Lucifero sotto forma di serpente. Lo scopo è quello di confondere le idee a Eva facendo sembrare che Dio voglia privare di qualcosa l’umanità, mentre il divieto divino voleva preservare l’uomo dalla superbia. L’arcangelo Gabriele invece con dolcezza si rivolge a Maria dicendole “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”. Il messo celeste vuole infondere pace e serenità a Colei che sarà chiamata a diventare la madre di Dio.

Dimenticandosi cosa sia la prudenza, Eva ascolta la voce del seduttore e con curiosità prolunga rovinosamente la conversazione con lui. Avrebbe dovuto diffidare chi cercava di allontanarla da Dio! Maria invece, vergine prudentissima, ascolta le parole di Gabriele e si lascia interrogare dal progetto di Dio: “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato figlio dell’Altissimo”. Nonostante l’altezza delle promesse divine, Maria non si inorgoglisce, ma restando umile si chiede come possa avvenire questo nonostante il voto di verginità che insieme a Giuseppe aveva fatto. L’arcangelo la rassicura che “nulla è impossibile a Dio”.

Eva non mostra la stessa umiltà, ma appena l’angelo decaduto le assicura che può violare senza problemi il comandamento divino, si lascia affascinare dall’idea di diventare come Dio. L’amor proprio le fa dimenticare la riconoscenza che doveva al Creatore e con superbia afferra il frutto proibito. Al contrario di Eva, così concentrata su se stessa, Maria umilmente riconosce i diritti che Dio ha su di lei proclamandosi la serva del Signore, pronta ad eseguire la Sua Parola.

La conclusione dei due racconti la sappiamo. La disobbedienza di Eva (ed Adamo) porta ad una doppia morte: la “morte” dell’anima per il peccato che cancella la somiglianza con Dio e la morte del corpo che separato da Dio, principio di immortalità, ritornerà nella polvere da dove era stato tratto. Al contrario l’obbedienza di Maria manifesta la potenza di Dio che facendo partorire la Vergine darà al mondo il Suo Figlio per ristabilire l’ordine violato dal peccato originale.

A questo punto ci piacerebbe sapere cosa provava Maria quando sentiva “in diretta” le parole dell’arcangelo Gabriele. Possiamo a tal proposito ricordare cosa disse Maria stessa apparendo a Santa Veronica Giuliani: “Figlia mia, sappi che, quando venne l’angelo Gabriele a darmi questo annunzio da parte di Dio onnipotente, io stavo nella cognizione della mia bassezza e viltà; ed è questo l’esercizio che consegno a te. Sta sempre avvilita e annichilita sotto tutti, come vile fango e polvere”.

Quale esempio di umiltà ci dà Maria! Consigliandoci l’umiltà ci fa il più bel dono che una madre può fare ai suoi figli. Infatti, come lei stessa ricordò alla cugina Elisabetta, Dio “ha guardato all’umiltà della Sua serva, d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata”. Infatti il Signore “ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili”. L’umile Maria è diventata infatti, come ricordiamo nelle litanie lauretanee, addirittura “Regina degli angeli”. Quindi sovrana anche di quell’arcangelo Gabriele che le portò un così bel messaggio.

A questo punto comprendiamo come mai l’Annunciazione sia un fatto così importante tanto che è uno dei due momenti dell’anno liturgico, in cui nella S. Messa, durante la recita del Credo, anziché chinare soltanto il capo, come accade normalmente, ci dobbiamo inginocchiare alle parole “e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. La seconda volta che è prevista tale genuflessione è per la Messa di Natale. Entrambe queste feste ricordano infatti il Mistero dell’Incarnazione nei suoi due momenti determinanti (concepimento, nell’Annunciazione, e nascita, nel Natale).

In molti luoghi, ad esempio in Toscana fino al XVIII secolo, l’anno civile iniziava proprio il 25 marzo a sottolineare l’importanza di questo evento. Solo per un esigenza di uniformità fu poi abbandonato in favore del 1° gennaio che comunque era anch’essa una festa liturgica: la circoncisione di Gesù (ad otto giorni dalla nascita).

In conclusione non possiamo non ricordare che l’evento dell’Annunciazione possiamo ricordarlo ogni giorno con l’Angelus. Recitandolo all’alba, a mezzogiorno e al tramonto, nella sua semplicità e brevità, questa preghiera ha una grande efficacia nel sintonizzare i nostri pensieri con quelli di Dio mettendoci al fianco di Maria per guardare meravigliati la grandezza del progetto del Signore che si svela ogni giorno dinnanzi ai nostri occhi.

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La Samaritana e Gesù, il Messia da andare a vedere

Posté par atempodiblog le 14 mars 2020

La Samaritana e Gesù, il Messia da andare a vedere
Uno degli splendidi mosaici della basilica di San Marco è dedicato al colloquio di Gesù con la Samaritana. I due parlano della vita e dell’acqua che salva. Lo sguardo stupito della donna si trasforma nella scena accanto, dove si rivolge ai suoi concittadini per invitarli a vedere Colui che «mi ha detto tutto quello che ho fatto».
di Margherita del Castillo – La nuova Bussola Quotidiana

La Samaritana e Gesù, il Messia da andare a vedere dans Commenti al Vangelo Ges-e-la-Samaritana-al-pozzo-Venezia-Basilica-di-San-Marco
Gesù e la Samaritana al pozzo, Venezia – Basilica di San Marco

Signore – gli disse la donna – dammi di quest’acqua, perché io non abbia più sete.” (Gv 4, 15)
Sicar è la città della Samaria dove Gesù, durante il suo cammino dalla Giudea alla Galilea, decise, un giorno, di fermarsi a riposare. Sorgeva proprio qui il pozzo che Giacobbe aveva acquistato con tutto il terreno, lasciandolo poi in eredità al figlio Giuseppe. A Sicar avvenne uno degli episodi evangelici su cui la liturgia quaresimale ci invita a meditare: l’incontro tra Cristo e la donna samaritana, evocativo della portata universale del messaggio cristiano e proprio per questo caro alla tradizione iconografica occidentale.

Nel racconto della storia della Salvezza, così come si legge negli splendidi mosaici di cui è rivestita l’intera basilica di San Marco a Venezia, Gesù e la Samaritana occupano una porzione della volta del transetto destro: fin qui, il programma decorativo musivo aveva ripercorso lo svelarsi del disegno divino dalla Creazione del mondo alla manifestazione di Cristo quale Messia, attraverso l’Epifania, il Suo Battesimo e i primi miracoli da Lui compiuti.

Lo sfondo oro annulla ogni riferimento temporale mentre lo spazio, o meglio, il luogo, è identificato attraverso il disegno del pozzo che il mosaicista sceglie di rappresentare a forma di croce: l’acqua che può dissetare per sempre è solamente quella che sgorga dal sacrificio di Cristo, divenendo fonte battesimale e, quindi, possibilità di un’esistenza ontologicamente nuova. Il sacro legno che vi affonda le radici è l’Albero della Vita che si sviluppa, a guisa di fiamma, in tre rami rigogliosi, a significare il mistero della Trinità.

Attorno a quest’asse simbolico prende corpo il dialogo tra i due protagonisti: Gesù, seguito da due discepoli, si rivolge alla donna che porta con sé un’anfora. Parlano della vita e dell’acqua salvifica, come sappiamo dal resoconto che di quell’incontro fa Giovanni nel suo Vangelo, mentre i gesti espressivi delle mani di entrambi lasciano intuire il registro dialettico della loro conversazione.

Lo sguardo stupito, interrogativo, della samaritana si trasforma nella scena accanto, attraverso cui, pur nella staticità delle tessere musive, progredisce temporalmente il racconto, senza soluzione di continuità. Vestita con gli stessi abiti signorili, la donna si rivolge animatamente a un folto gruppo di uomini, i suoi concittadini. Le parole che rivolge loro non s’intuiscono solo dalla sua eloquente postura: il mosaicista ha voluto riferirle a chiare lettere nell’iscrizione che sormonta il riquadro: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?»

È un invito che facciamo nostro, sentendolo rivolto a noi. Basta solo andare a vedere!

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Le tentazioni di Gesù nel deserto

Posté par atempodiblog le 29 février 2020

Le tentazioni di Gesù nel deserto
Tratto da: L’ora di Satana (L’attacco del Male al mondo contemporaneo) di Padre Livio Fanzaga con Diego Manetti, Ed. Piemme

Le tentazioni di Gesù nel deserto dans Anticristo Cristo

Se Gesù è il nuovo Adamopossiamo dire che nell‘episodio delle tentazioni del deserto è come se la nuova umanità celebrasse in Cristo la prima vittoria sul Demonio, in virtù di quella grazia divina che rende possibile, per ogni uomo che la domandi, il resistere agli assalti satanici. In Gesù tentato vediamo però anche le nostre tentazioni, quasi come se i Vangeli offrissero una sintesi di quelle prove cui l’umanità tutta è sottoposta da Satana quando questi tenta di blandirne il cuore. Vorrei dunque chiederti di esaminarle nello specifico, per metterne in rilievo il valore di esemplarità rispetto alla vita di ogni uomo.

Intanto bisogna tener presente che le tre tentazioni hanno un filo conduttore, poiché Satana le ha ben preparate, le ha elaborate con calma. Non è che Gesù Cristo va nel deserto e lui lo tenta subito: no, aspetta! Per quaranta giorni Gesù prega e ha fame. Il Nemico studia bene l’avversario e i punti deboli e solo dopo parte all’attacco. Il Diavolo sa benissimo che questo è il Messia, e allora cosa fa? Gli confezione su misura tre tentazioni con cui poterlo sviare dal disegno messianico, verso una prospettiva unicamente terrena, svincolata dal messianismo del servo sofferente, sciolta dal disegno del Padre, che vuole che il Figlio, nell’umiltà e nell’obbedienza, porti su di sé i peccati del mondo fino all’annientamento di se stesso. Questa è l’ottica delle tre tentazioni: offrire a Gesù il miraggio di un trionfo politico e umano.

Entrando poi nello specifico delle tre tentazioni, quella del pane è la più importante, a mio parere, perché mette bene in evidenza, nella risposta di Gesù, come non di solo pane viva l’uomo (Lc 4, 4). Mentre tutte le culture passate – di tutti i tempi e di tutte le religioni- hanno sempre ritenuto che l’uomo avesse due dimensioni, essendo dotato di corpo ma anche di anima, e quindi che avesse fame del pane, ma anche di assoluto, di verità, di vita eterna, di immortalità, oggi all’opposto la cultura dominante ci vuole presentare l’uomo in una prospettiva ridotta, monca, come un semplice animale. Destinato dunque a soddisfare solo i desideri della carne e gli istinti più bassi. Certo, vi sono istinti più raffinati –la gloria, il potere, gli onori- ma in ultima analisi sempre di “carne” in senso paolino si tratta (Rm 8, 6-7). La filosofia di vita su cui si fonda questa opzione per la carne è quella secondo cui l’esistenza umana sarebbe limitata all’orizzonte terreno, per cui essendo “tutto qui”, tanto varrebbe godersi la vita. Citando magari a conferma di questa opzione esistenziale proprio una frase della Bibbia: “Polvere tu sei e in polvere ritornerai” (Gen 3, 19), deformandone il significato – ecco l’opera di Satana l’Ingannatore! – nel senso di ridurre la vita alla sola prospettiva intramondana e dunque al solo desiderio di pane terreno. E così oggi la gente non pensa più alla vita eterna. Ecco perché nei messaggi dati a Medjugorje la Regina della Pace non si stanca di ricordarci che la vita terrena passa e solo l’eternità resta, spronandoci a tendere al Cielo che è l’unica meta della nostra vita! Cioè la Madonna stessa sta lottando contro la tentazione di concepire la vita come un’avventura mondana, dove l’uomo si nutre delle cose di questo mondo e poi sparisce. Ma Gesù ci dice :”Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4), ricordandoci con ciò che l’uomo è stato creato con un’anima immortale, che l’uomo è capace di cibarsi della Verità di Dio, dell’Amore di Dio, e che l’immortalità oltre la morte è il nostro destino. Questa certamente è la più attuale delle tre tentazioni.

La seconda tentazione – quella per cui Satana, condotto Gesù sul pinnacolo del tempio, lo sfida: “Se tu sei il Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi Angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti porteranno nelle loro mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra” (Mt 4,6)- rappresenta un pericolo assai diffuso nel mondo contemporaneo, e apparentemente in contraddizione con la visione intramondana di cui dicevamo prima: è la tentazione di voler sfidare Dio a dare prova di essere veramente Dio, è il desiderio e la pretesa di vedere segni e miracoli. In fondo, mancando oggi la vera fede, non restano che i falsi profeti, i quali faranno prodigi e portenti, dice Gesù, capaci di ingannare molti (Mt 24, 24). Bisogna pensare che dietro a tutto questo c’è Satana, poiché l’Anticristo verrà con potenza diabolica, facendo cose strepitose, e ingannerà molti. La seconda tentazione la vedo dunque come una messa in guardia contro i falsi profeti, anticipando un tema che percorre variamente il Nuovo Testamento, fino all’Apocalisse (Ap 13), laddove si parla della Bestia che sale dal mare, del falso profeta che ha il volto di pecora ma la voce di drago, della falsa religione, dei falsi segni, che sono spettacolari – gèttati giù dal tempio!- ma fini a se stessi. Mentre il miracolo di Gesù esprime la compassione, l’amore, la pietà di Dio, i degni di Satana sono spettacolari, sono quelli che attirano, che incantano e , nella cornice dell’impostura anticristica, si moltiplicano, e la gente crede, si lascia attirare, si fa ingannare,  e questa seconda tentazione ha preso il volto di una delle bestie dell’Apocalisse, che vedremo meglio più avanti. Indubbiamente, per vincere questa tentazione, oggi ci vuole molta attenzione, ci vuole molto discernimento spirituale, bisogna vigilare e pregare, e pregare, e soprattutto non allontanarci mai dal vero profeta, che è il papa, vicario di Cristo.

In merito al discernimento degli spiriti e dei segni, bisogna sempre tener presente un insegnamento che ricaviamo da San Giovanni della Croce, nella Salita al monte Carmelo. Questo dottore conduce un attento esame di tutti i fenomeni mistici e arriva a dire che tutti possono essere imitati da Satana – che, in quanto imitatore è detto anche la “scimmia” di Dio-, tutti tranne uno: l’unico fenomeno mistico che il Diavolo non riesce a imitare sono i tocchi dello Spirito Santo sulla punta dell’anima, sono i tocchi divini, sono i baci d’amore interiori, fenomeno mistico così profondo che il maligno non riesce a riprodurlo. Però ricordiamo che tutti gli altri fenomeni mistici possono essere perfette imitazioni diaboliche. Basta ricordare il proliferare di veggenti che si ebbe a Lourdes dopo le prime: erano almeno cinquanta, e un caso risultò così verosimile che il primo biografo di Lourdes, Jean-Baptiste Estrade, diceva: ma questa qui è ancora migliore di Bernadette! Questo – altri casi che potrei citarvi – solo per dirvi che sono tempi in cui il demonio si dà molto da fare con segni e prodigi che cercano di imitare quelli veri ma che, per lo natura, hanno dentro qualcosa di satanico, che solo con il discernimento si può mascherare.

Parlando di falsi profeti e di falsi segni, ecco che torna ancora la figura di Satana come Ingannatore. A questo punto penso che si possa dunque esaminare la terza tentazione di Gesù nel deserto, quella in cui il Diavolo lo sfida ad adorarlo come Dio, come vertice assoluto di quella menzogna e di quell’inganno che costituiscono le trame più profonde delle tentazioni diaboliche contro il Figlio di Dio e contro l’umanità.

Con la terza tentazione (Lc 4, 5 – 8) si entra decisamente nell’orizzonte dell’inganno anticristico – che la Chiesa Cattolica chiama impostura anticristica – che percorre tutta la storia della Chiesa fino alla cosiddetta “massima impostura anticristica” (CCC 675-677). Quest’ultima consiste nell’abiura della verità, nell’illusione che l’uomo possa salvare se stesso con le sue sole forze, per cui l’uomo indica se stesso come Dio e immagina di salvarsi come Dio, rischio dal quale Benedetto XVI ha messo più volte in guardia fin dall’inizio del suo pontificato. La stessa prospettiva dell’uomo che crede di essere il padrone del mondo è in realtà uno strumento del demonio. Si tratta cioè di un’illusione, con la quale il diavolo inganna l’uomo, lo allontana da Dio, per far sì che adori il “Principe di questo mondo”. Insomma, la terza tentazione denuncia proprio l’illusione anticristica anticipando quella società anticristica in cui l’uomo che vuole fare a meno di Cristo dice: i padroni del mondo siamo noi, Dio non c’è, c’è solo l’uomo; l’uomo capisce, è intelligente, ha la potenza, sa salvare se stesso. Ma così facendo la società che rifiuta Dio si prepara a diventare strumento del Principe delle tenebre e ad adorare il Principe di questo mondo.

Esaminando le tre tentazioni, vorrei ancora precisare come quello delle tentazioni di Gesù nel deserto sia un discorso ‘aperto’ – “dopo aver esaurito ogni tentazione, il Diavolo si allontanò da Lui fino al momento fissato” (Lc 4,13) –, non concluso, poiché Satana avrebbe cercato di tentare Gesù successivamente, in particolare in vista della Passione. Ma intanto Gesù ha conquistato una prima vittoria nel deserto, poiché ha respinto il falso messianismo, confermandosi il servo sofferente di Jahvé, che porta la croce nell’umiltà, nel compimento della volontà del Padre, fino alla Passione che Gesù ha affrontato liberamente e che anzi ha desiderato. E nella Passione Gesù accetta fino in fondo il piano del Padre, che ha voluto che il Figlio fosse il servo sofferente, che porta su di sé tutti i peccati degli uomini, che li espia con il suo amore, che li brucia con il suo amore e con la sua obbedienza. Infondo, tutto il peccato del mondo consiste nel disamore, nel disprezzo, nella disobbedienza e nel rifiuto di Dio. Queste sono le radici di tutti i peccati dell’umanità. Gesù, nel suo cuore, con la sua umiltà, con la sua obbedienza al Padre, con il suo amore per il Padre e per gli uomini, con il suo perdono, ha bruciato tutto il male del mondo, ha bruciato tutti i peccati del mondo.

La redenzione è avvenuta nel cuore di Cristo. Cristo è il braciere in cui tutto il peccato, tutto l’odio, il disamore del mondo sono stati bruciati. Ecco quindi il profondo valore redentivo della vittoria di Cristo sul tentatore nel deserto: vincendo Satana, Gesù ha respinto un messianismo terreno di autoglorificazione, scegliendo e accettando di essere il servo sofferente che dentro di sé, con la sua umiltà e con il suo amore, ha bruciato i peccati del mondo per cui in quel cuore noi tutti troviamo la salvezza.

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