Commento di Don Dolindo Ruotolo al Vangelo di oggi

Posté par atempodiblog le 4 décembre 2022

Commento di Don Dolindo Ruotolo al Vangelo di oggi dans Commenti al Vangelo Ges-e-il-Battista

Che cosa faceva Giovanni nel deserto, tutto solo? Guidato dalla luce dello Spirito Santo, meditava la grandezza di Dio, pregava, riparava per l’umana ingratitudine, e teneva in penitenza il suo corpo con ogni specie di disagio per amore di Dio.

Si può credere con ogni verosimiglianza che la Vergine Santissima, sua dolcissima zia, l’abbia personalmente guidato nelle vie di Dio, giacché i suoi genitori dovettero morire presto.

Non è supponibile, infatti, che la Vergine Santissima, così piena di bontà e di grazie, abbia trascurato colui che era andato a visitare ed a santificare stando ancora egli rinchiuso nel seno materno.

[...]

La figura stessa di Giovanni, scarna e spettrale, sembrava che avesse solo la voce con la quale chiamava a penitenza; era quasi tipicamente una voce che sembrava venire dalle profondità del mistero, e corsero le turbe per farsi battezzare confessando i propri peccati. Sentivano tutti il bisogno di purificarsi, erano stanchi di una vita di peccati, ed avevano il desiderio di vederla mutata. Il battesimo di Giovanni non rimetteva di per sé le colpe; ma eccitando l’anima a compunzione ed a pentimento, attraeva la misericordia di Dio e non era una semplice e sterile cerimonia.

Al popolo che andava a Giovanni si unirono anche dei farisei e dei sadducei, i quali andarono ad osservare il novello profeta, più per curiosità che per vera compunzione; più per criticare che per sanzionare la sua missione; è evidente dalle parole severe che il santo Precursore rivolse loro. Essi erano abituati ad avvelenare il popolo con le loro false teorie religiose e perciò Giovanni li chiamò razza di vipere, cioè anime avvelenate che non sapevano propinare che veleno, subdolamente e quasi senza farsi scorgere, ammantati di ipocrisia gli uni, e di fasto gli altri. Li esortò particolarmente a fare penitenza, come quelli che ne avevano più bisogno, e a non presumere di potersi salvare perché figli di Abramo, poiché i veri figli della spirituale discendenza di lui dovevano essere suscitati dalla grazia e non dalla natura.

San Giovanni quando disse queste severe parole battezzava a Betabara, dove Israele sotto la guida di Giosuè aveva miracolosamente attraversato il Giordano. Erano là ancora le dodici pietre poste a ricordo del miracolo, ed il Precursore additandole gridò che Dio per mantenere la promessa fatta ad Abramo di una spirituale discendenza non si sarebbe fermato alla progenie naturale di lui, ma avrebbe suscitato anche dalle pietre i suoi figli spirituali, tagliando anzi come inutili ed infruttuosi alberi, quelli che, fidando sulla discendenza naturale da Abramo, non avrebbero fatto buoni frutti di penitenza. Era necessario, per formare la progenie eletta, non tanto discendere da Abramo, quanto dal Redentore; Egli avrebbe costituito negli apostoli le dodici pietre fondamentali della Chiesa universale, testimonianza viva del passaggio dalla morte alla vita operato da Lui, e da quelle pietre sarebbero nati i veri figli di Abramo, i veri discendenti ed eredi della grande promessa.

del Servo di Dio don Dolindo Ruotolo

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“Il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di lui”

Posté par atempodiblog le 4 décembre 2022

“Il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di lui”
Tratto da: Le vie del cuore. Vangelo per la vita quotidiana. Commento ai vangeli festivi Anno A, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

“Il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di lui” dans Avvento San-Giovanni-Battista

Sarebbe errato considerare san Giovanni il Battista un uomo dell’Antica Alleanza. Egli appartiene ad ambedue. È il precursore e nello stesso tempo il discepolo del Messia. È il più grande fra i nati di donna, ma anche il più piccolo nel Regno dei cieli. Ecco perché la Chiesa si prepara al Natale facendosi guidare dalla sua parola.

Caro amico, ti sei chiesto che cosa  significa la  parola “Natale”?

Significa “nascita”. Nascita di chi? Colui che nasce è il Figlio di Dio che si è fatto uomo. A Natale vedi Dio col volto di un bambino. Vedi il tuo Creatore senza grandezza, senza forza, senza pompa, senza prestigio. Vedi il tuo Dio piccolo e indifeso. Vedi il tuo Dio in braccio a una donna, sistemato in una grotta, rifugio di animali.

Giovanni Battista dovette capire, prima del suo martirio, un aspetto misterioso dell’agire divino. Dio ordinariamente non si impone con la sua onnipotenza. Egli ama le vie della piccolezza e dell’umiltà. Dio ama più nascondersi che mostrarsi.

L’umiltà di Dio è la grande medicina per l’orgoglio umano. È l’orgoglio che perde l’uomo. Noi viviamo in un mondo che nega Dio e glorifica se stesso. Vuoi celebrare il tuo Natale con questo mondo? Forse lo hai celebrato più di una volta e nessuno meglio di te ne conosce il sapore amaro.

Celebra il tuo Natale con i pastori. Essi sono i piccoli del Regno di Dio. Nella notte santa accostati con loro alla capanna. Inginocchiati con loro davanti alla culla e contempla con i loro occhi limpidi l’umiltà infinita di Dio.

E lascia infine che Maria  deponga nel tuo cuore purificato dal pentimento il Bambino Gesù, nostro Dio e Salvatore, ma ormai divenuto nostro fratello.

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La porta stretta

Posté par atempodiblog le 21 août 2022

Il Vangelo della XXI domenica del tempo ordinario (Lc 13, 22-30)
La porta stretta
di Fulvia Sieni – L’Osservatore Romano

La porta stretta dans Beato Charles de Foucauld La-porta-stretta

Arrivando oggi a Betlemme e volendo entrare nella Basilica della Natività, siamo costretti ad abbassarci, quasi ad inchinarci poiché il portale di ingresso alla grande chiesa, sorta sul luogo dove si fa memoria della nascita di Gesù, è piccolo, basso e stretto. Le ragioni delle sue dimensioni sono rintracciabili nella necessità di evitare che crociati o nemici entrassero nel luogo sacro sulle loro cavalcature, ma la teologia simbolica, che sempre precede la costruzione dei luoghi di culto, ci ricorda due cose importanti tra tutte: la kenosi, la discesa e il farsi piccolo di Gesù nella sua incarnazione e la necessità di imitarlo in questa via di umiltà, di farci piccoli come Lui per entrare nel Regno dei Cieli.

È la porta stretta annunciata da Gesù nel Vangelo quella da attraversare per essere accolti dal Padrone di casa, colui che «quando apre nessuno può chiudere e quando chiude nessuno può aprire» (cf. iv Antifona Maggiore di Avvento O Clavis David nella Novena di Natale).

«Dio non ha vincolato la salvezza alla scienza, all’intelligenza, alla ricchezza, ad una lunga esperienza, a particolari doti che non tutti hanno ricevuto. No. L’ha vincolata a ciò che tutti possono avere, che è alla portata di tutti […]. Questo è ciò che ci vuole per guadagnare il cielo: Gesù lo vincola qui, all’umiltà, al farsi piccoli, al cercare l’ultimo posto, all’obbedienza o, come dice altrove, alla povertà di spirito, alla purezza del cuore, all’amore della giustizia, allo spirito di pace» (C. De Foucauld).

La Parola della pagina del Vangelo di questa xxi domenica del tempo ordinario non si può addomesticare, dobbiamo riconoscerglielo: «Sforzatevi» (agonízesthe), più propriamente «“lottate” per entrare per la porta stretta, perché molti — ve lo dico — cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» (Lc 13,24). Gesù va dritto al punto e ci ricorda che c’è una lotta da fare, un combattimento da affrontare per varcare la soglia benedetta del Regno dei Cieli.

È molto di più che un’esortazione: il Signore ci sta dando un’indicazione di cammino, ci sta suggerendo la modalità con cui affrontare la vita.

In fondo il Regno dei Cieli è come la Terra Promessa per Israele: era un dono per il popolo da parte del Dio che l’aveva promessa ad Abramo e aveva liberato il popolo dalla schiavitù in Egitto, ma era anche un compito, una conquista che Israele ha ottenuto un pezzettino alla volta, combattendo e contro i popoli che già la abitavano.

«Nell’ultimo giorno molti che si ritenevano dentro si scopriranno fuori, mentre molti che pensavano di essere fuori saranno trovati dentro» (Agostino).

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE ai partecipanti del Festival della Gioventù – Medjugorje, 1-6 agosto 2022

Posté par atempodiblog le 2 août 2022

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE ai partecipanti del Festival della Gioventù – Medjugorje, 1-6 agosto 2022
Fonte: Medjugorje.hr
Tratto da: Radio Maria

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE ai partecipanti del Festival della Gioventù – Medjugorje, 1-6 agosto 2022 dans Apparizioni mariane e santuari Papa-Francesco-Medjugorje

Carissimi!

In quel tempo, come ci dice l’evangelista Matteo, Gesù rivolgendosi a tutti disse: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero.» (Mt 11, 28-30). Come in quel tempo, così anche oggi Gesù si rivolge a tutti voi, cari giovani, e attraverso il motto del Festival di quest’anno, ispirato dal Vangelo appena menzionato, vi rivolge il Suo invito: «Imparate da me e troverete ristoro».

Il Signore rivolge queste Sue parole non solo agli apostoli o ad alcuni Suoi amici, ma a tutti coloro che sono stanchi e oppressi. Lui sa quanto può essere dura la vita e che ci sono molte cose che opprimono il nostro cuore: numerose delusioni, ferite del passato, pesi che portiamo, ingiustizie che sopportiamo e numerose incertezze e preoccupazioni. Di fronte a tutto questo, si trova Gesù che ci rivolge il Suo invito: «Venite a me e imparate da me». Questa chiamata richiede cammino e fiducia, e non ci permette di stare fermi, rigidi e impauriti davanti alle sfide della vita. Sembra facile, ma nei momenti bui semplicemente ci ripieghiamo su noi stessi. È proprio da questa solitudine che Gesù vuole farci uscire, per questo ci dice: «Vieni».

La via d’uscita è nella relazione con il Signore, nel guardare Colui che ci ama veramente. Però non basta soltanto uscire da sé stessi, bisogna anche sapere in che direzione andare, perché ci sono tante offerte ingannevoli che promettono un futuro migliore, ma ci lasciano sempre di nuovo nella solitudine. Per questo motivo il Signore ci indica dove andare: «Venite a me».

Cari amici, andate da Lui con il cuore aperto, prendete il suo giogo e imparate da Lui. Andate dal Maestro per diventare i Suoi discepoli ed eredi della Sua pace. Prendete il Suo giogo con il quale scoprirete la volontà di Dio e diventerete partecipi del mistero della Sua croce e risurrezione. Il «giogo» di cui Cristo parla è la legge d’amore, è il comandamento che ha lasciato ai Suoi discepoli: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi (Gv, 15,12). Perché la vera medicina, per le ferite dell’uomo, è una vita fondata sull’amore fraterno, che trova la propria sorgente nell’amore di Dio.

Camminando insieme a Lui e seguendoLo, imparerete da Lui. Lui è il Signore che non impone agli altri un peso che Lui stesso non porta. Si rivolge agli umili, ai piccoli e ai poveri perché Egli stesso si è fatto povero e umile. Se vogliamo davvero imparare, dobbiamo umiliarci e riconoscere la nostra ignoranza e arroganza, in quei momenti in cui pensiamo di poter ottenere tutto da soli e con le nostre forze, e soprattutto avere l’orecchio aperto per le parole del Maestro. In questo modo conosciamo il Suo cuore, il Suo amore, il Suo modo di pensare, vedere ed agire. Ma essere vicini al Signore e seguirLo richiede coraggio.

Carissimi, non abbiate paura, andate da Lui con tutto ciò che portate nel proprio cuore. Egli è l’unico Signore che offre vero ristoro e vera pace. Seguite l’esempio di Maria, Sua e nostra Madre, che vi condurrà a Lui. Affidatevi a Lei, che è la Stella del mare, il segno di speranza sul mare agitato che ci conduce verso il porto della pace. Colei, che conosce Suo Figlio, vi aiuterà ad imitarLo nella vostra relazione con Dio Padre, nella compassione del prossimo e nella consapevolezza di ciò che siamo chiamati a fare: essere figli di Dio. In questo momento, nel cuore dell’estate, il Signore vi invita ad andare in vacanza con Lui, nel luogo più speciale che esista, che è il vostro stesso cuore.

Cari giovani, mentre in questi giorni riposate in Gesù Cristo, vi affido tutti alla Beata Vergine Maria, alla nostra Madre celeste, affinché con la Sua intercessione ed esempio possiate prendere su di voi il dolce e leggero giogo della sequela di Cristo. Vi accompagni lo sguardo di Dio Padre che vi ama, affinché negli incontri con gli altri, possiate essere i testimoni della pace che riceverete in cambio come dono. Prego per quest’intenzione evi benedico, raccomandandomi alle vostre preghiere.

A Roma, presso San Giovanni in Laterano
La memoria della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, il 16 luglio 2022

Papa Francesco

Divisore dans San Francesco di Sales

Freccia dans Articoli di Giornali e News Festival della Gioventù – Medjugorje

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Gesù nei Vangeli, è come aver avuto un registratore

Posté par atempodiblog le 3 juillet 2022

Gesù nei Vangeli, è come aver avuto un registratore
Come ha dimostrato Richard Bauckhami, i Vangeli riferiscono fedelmente la tradizione su Gesù appresa mnemonicamente con diligenza e trasmessa con cura da quanti erano stati scelti dal Maestro.
di Luisella Scrosati – La nuova Bussola Quotidiana

Gesù nei Vangeli, è come aver avuto un registratore dans Commenti al Vangelo Vangelo-ed-evangelisti

C’è un mantra ripetuto dall’approccio storico-critico ai Vangeli, e cioè che questi ultimi non devono essere intesi come biografie, ma come il frutto della predicazione delle prime comunità cristiane. La preoccupazione principale della Chiesa primitiva non era tanto quella di trasmettere i fatti e i detti di Gesù, quanto piuttosto di offrire una sorta di rilettura della sua vita in chiave teologica e morale. La “tradizione su Gesù” risentirebbe così di un adattamento parenetico e kerygmatico, che renderebbe vana la speranza di ritrovare nei Vangeli l’effettiva vita e gli autentici insegnamenti del Signore. I Vangeli ci consegnerebbero, invece, quello che la comunità cristiana credeva di Gesù, e non – diciamo così – Gesù. Un altro modo per distanziare il Cristo della fede dal Cristo della storia.

Si è già visto come il paziente lavoro di Birger Gerhardsson (1926-2013), che eredita e sviluppa quello del suo maestro, Harald Riesenfeld (1913-2008), abbia mosso una critica decisiva a questa posizione. Il Sitz im Leben dei Vangeli non è il contesto della predicazione e della catechesi, bensì la volontà di custodire e trasmettere quella che il professor Richard Bauckham (vedi qui e qui) denomina la “Jesus tradition”. Si tratta di una tradizione “isolata”, nata cioè con il preciso scopo di preservare le tradizioni su Gesù il più fedelmente possibile, distinguendole in questo modo sia dalle tradizioni di Israele – condizione essenziale per la nascita del Cristianesimo, affrancato dal Giudaismo – sia dalla successiva predicazione apostolica.

Le tecniche mnemoniche in uso nelle scuole rabbiniche, l’importanza dell’apprendimento a memoria nel mondo giudaico – come in generale nel mondo antico -, sono un riferimento fondamentale per capire come siano nati i Vangeli e come questi scritti trasmettano effettivamente le parole e le azioni del Rabbi galileo.

Nel precedente approfondimento di apologetica, avevamo anche considerato la cura con cui san Paolo, nelle proprie lettere, distinguesse gli insegnamenti del Signore dalle proprie aggiunte, mostrando così che le istruzioni e le esortazioni parenetiche dell’Apostolo venivano mantenute distinte dalla tradizione vera e propria di Gesù. Nessun assorbimento della Jesus tradition nella predicazione apostolica, ma anzi l’attenzione di apprendere, contraddistinguere e comunicare quanto proveniva dal Maestro, mediante l’apprendimento e l’insegnamento mnemonico, dalle considerazioni, pur altamente autorevoli, degli Apostoli. Bauckham fa altresì notare che l’estrema rarità delle citazioni esplicite dei detti e delle gesta di Gesù negli altri scritti neotestamentari sono un’interessante spia del fatto che la predicazione fosse un’attività consapevolmente distinta dalla trasmissione della tradizione di Gesù.

I Vangeli sono dunque il frutto di questa tradizione “isolata” da altri generi di predicazioni, attestati nel Nuovo Testamento, perché «solo essi, nella produzione letteraria del primo Cristianesimo, trasmettono la tradizione su Gesù e trasmettono esclusivamente le tradizioni su Gesù [...]. I discepoli non integrano l’insegnamento di Gesù con contributi – aggiunte o interpretazioni – a titolo personale» (Jesus and the Eyewitnesses, p. 278). Questo non significa che gli evangelisti non ci mettano del proprio: l’organizzazione e selezione del materiale, la precisazione di termini, luoghi, circostanze, etc., dipendono chiaramente dall’autore di ogni singolo Vangelo. Quello che Bauckham vuole qui sottolineare è che i Vangeli riferiscono fedelmente la tradizione su Gesù appresa mnemonicamente con diligenza e trasmessa con cura da quanti erano stati scelti dal Maestro.

Questa tradizione si forma quando Gesù è ancora in vita, anzi, per sua precisa volontà; gli stessi Sinottici (cf. Mt 9, 36-10,15; Mc 6, 7-13; Lc 9, 1-6; 10, 1-16) non mancano di enfatizzare che Gesù stesso inviò i suoi ad annunciare quanto avevano visto e udito da Lui, di modo che chi ascoltava loro, avrebbe ascoltato il Maestro stesso. «Chi ascolta voi, ascolta me» (Lc 10, 16); «Chi accoglie voi, accoglie me» (Mt 10, 40): sono espressioni che indicano non solo la comunione tra Cristo e i suoi apostoli, ma anche l’identità dell’insegnamento. E questo, nel contesto della trasmissione orale dell’epoca, significa che i discepoli avevano adeguatamente appreso l’insegnamento del maestro, grazie alla ripetuta memorizzazione.

La maggiore obiezione che viene mossa all’affermazione dei Vangeli come scrittura di una tradizione mnemonica, riguarda la variabilità di queste tradizioni che si riscontra in essi. Bauckham mostra che alcune plausibili ragioni di queste variazioni dissolvono l’obiezione. Anzitutto, Gesù stesso può aver utilizzato modi diversi di presentare un medesimo insegnamento, in situazioni temporalmente, geograficamente e contestualmente differenti. Il fatto che i Vangeli riportino i suoi detti una sola volta non comporta affatto che il Maestro li abbia effettivamente pronunciati una sola volta. Una seconda (ma non secondaria) ragione sta nel fatto delle traduzioni dall’aramaico/ebraico al greco. Un testo che poteva essere identico nella trasmissione in lingua semitica, sia orale che scritta, ha conosciuto delle ovvie variazioni nella traduzione.

Le differenze nelle parti narrative possono essere spiegate con la normale variabilità che si riscontra abitualmente quando più soggetti riferiscono di un medesimo evento: dettagli notati o meno, enfasi su alcuni aspetti piuttosto che su altri, diversità del destinatario della narrazione, e così via. Per tornare alla trasmissione dei detti di Gesù, possono esserci state anche delle alterazioni o aggiunte volutamente perseguite dall’evangelista per meglio spiegare ed adattare un insegnamento, senza tuttavia alternarne il senso. Infine, altre modifiche sono dovute all’opera redazionale che ogni evangelista ha compiuto per realizzare il proprio scritto.

L’importanza della tradizione orale non esclude la possibilità di testi scritti: «nelle culture prevalentemente orali dell’antichità, incluso il primo movimento cristiano, scrittura e oralità non erano alternative, ma complementari. Gli scritti esistevano per lo più per integrare e sostenere le forme orali di apprendimento e insegnamento». (pp. 287-8). Esempi di questa complementarietà tra scrittura e oralità nella tradizione rabbinica della Mishnah è stata documentata dal professore emerito di Jewish Studies and Comparative Religion all’Università di Washington, Martin S. Jaffee (1948). È dunque probabile l’esistenza di questi scritti a sostegno e rafforzamento della memorizzazione della tradizione orale su Gesù.

I Vangeli provengono dalla tradizione orale-scritta e nascono per continuarla e preservarla, come «mezzi per garantire la fedele preservazione della tradizione su Gesù» (p. 289).

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Il Papa: “La vecchiaia ha una bellezza unica: camminiamo verso l’Eterno”

Posté par atempodiblog le 10 juin 2022

Il Papa: “La vecchiaia ha una bellezza unica: camminiamo verso l’Eterno”
Udienza Generale del Papa. “Nicodemo. Come può un uomo nascere quando è vecchio?”.
di Veronica Giacometti – ACI Stampa

Il Papa: “La vecchiaia ha una bellezza unica: camminiamo verso l’Eterno” dans Commenti al Vangelo Papa-Francesco

Il Papa, continua il ciclo di catechesi sulla Vecchiaia, incentrando la sua riflessione sul tema ‘Nicodemo’. “Come può un uomo nascere quando è vecchio?”. Da una Piazza San Pietro calda e assolata il Pontefice commenta: “Tra le figure di anziani più rilevanti nei Vangeli c’è Nicodemo. Nel colloquio di Gesù con Nicodemo emerge il cuore della rivelazione di Gesù e della sua missione redentrice”.

Gesù dice a Nicodemo che per “vedere il regno di Dio” bisogna “nascere dall’alto”. “Non si tratta di ricominciare daccapo a nascere, di ripetere la nostra venuta al mondo, sperando che una nuova reincarnazione riapra la nostra possibilità di una vita migliore. Questa ripetizione è priva di senso. Anzi, essa svuoterebbe di ogni significato la vita vissuta, cancellandola come fosse un esperimento fallito, un valore scaduto, un vuoto a perdere. No, non è questo. Questa vita è preziosa agli occhi di Dio: ci identifica come creature amate da Lui con tenerezza », dice Francesco.

“Nicodemo fraintende questa nascita, e chiama in causa la vecchiaia come evidenza della sua impossibilità: l’essere umano invecchia inevitabilmente, il sogno di una eterna giovinezza si allontana definitivamente, la consumazione è l’approdo di qualsiasi nascita nel tempo”, continua Papa Francesco.

“L’obiezione di Nicodemo è molto istruttiva per noi  ne è convinto il Papa  Possiamo infatti rovesciarla, alla luce della parola di Gesù, nella scoperta di una missione propria della vecchiaia. Infatti, essere vecchi non solo non è un ostacolo alla nascita dall’alto di cui parla Gesù, ma diventa il tempo opportuno per illuminarla, sciogliendola dall’equivoco di una speranza perduta. La nostra epoca e la nostra cultura, che mostrano una preoccupante tendenza a considerare la nascita di un figlio come una semplice questione di produzione e di riproduzione biologica dell’essere umano, coltivano poi il mito dell’eterna giovinezza come l’ossessione – disperata – di una carne incorruttibile. Perché la vecchiaia è – in molti modi – disprezzata? Perché porta l’evidenza inconfutabile del congedo di questo mito, che vorrebbe farci ritornare nel grembo della madre, per ritornare sempre giovani nel corpo”.

Per il Papa “in attesa di sconfiggere la morte, possiamo tenere in vita il corpo con la medicina e la cosmesi, che rallentano, nascondono, rimuovono la vecchiaia. Naturalmente, una cosa è il benessere, altra cosa è l’alimentazione del mito. Non si può negare, però, che la confusione tra i due aspetti ci sta creando una certa confusione mentale”. « Tanti interventi chirurgici per apparire più giovani”. Il Papa cita anche la Magnani quando dice che le rughe sono un simbolo di esperienza, maturità. « Si diventa solo giovani di faccia, ma quello che conta è il cuore », dice il Papa a braccio.

“La vita nella carne mortale è una bellissima ‘incompiuta’: come certe opere d’arte che proprio nella loro incompiutezza hanno un fascino unico. Perché la vita quaggiù è “iniziazione”, non compimento: veniamo al mondo proprio così, come persone reali, per sempre. Ma la vita nella carne mortale è uno spazio e un tempo troppo piccolo per custodire intatta e portare a compimento la parte più preziosa della nostra esistenza nel tempo del mondo”, dice il Papa durante questa catechesi.

Per Francesco “la vecchiaia ha una bellezza unica: camminiamo verso l’Eterno”. Il Papa poi sottolinea in ultimo “la tenerezza” dei vecchi, Dio è così, sa “accarezzare” e la vecchiaia ci aiuta a capire la tenerezza di Dio. “Andiamo avanti e guardiamo i vecchi, messaggeri di una vita vissuta”.

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Fai il tifo per gli altri o li spii con occhi impuri?

Posté par atempodiblog le 4 juin 2022

Fai il tifo per gli altri o li spii con occhi impuri?
La sequela è anche smettere di avere uno sguardo modano sui fratelli e le sorelle accanto a noi. È rifiutare l’ubriacatura del gossip. È non perdere di vista ciò che ci aiuta ad essere santi.
don Luigi Maria Epicoco – Aleteia

Fai il tifo per gli altri o li spii con occhi impuri? dans Commenti al Vangelo Se-voglio-che-egli-rimanga-finch-io-venga-che-importa-a-te-Tu-seguimi

Vangelo di sabato 4 giugno 2022
Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era trovato al suo fianco e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: «Signore, e lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?».
Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

(Giovanni 21,20-25)

Tu seguimi
Il vangelo di Giovanni finisce con un finale dal sapore quasi comico. In realtà non è nelle intenzioni di Giovanni restituirci una scena paradossale, ma l’atteggiamento di Pietro che è eccessivamente curioso della vita di Giovanni fa dire a Gesù parole risolute:

«Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi».

“Che ti importa? Tu seguimi!”
I Padri della Chiesa hanno dato a queste parole il giusto peso teologico collegandolo con i grandi temi del martirio o del dono dello Spirito, io vorrei semplicemente riportare la questione a un dettaglio forse non intenzionale di questo brano ma che credo possa essere decisivo per la vita di ciascuno di noi.

La tentazione dell’eccessiva curiosità
Troppo spesso, infatti, personalmente e forse anche comunitariamente ci occupiamo di ciò che non dovrebbe interessarci. La vita e i fatti altrui ci sembrano un argomento molto interessante su cui posare la nostra attenzione, ma la fede cristiana è anche lasciarci ridimensionare in questa tentazione di eccessiva curiosità dalle parole di Gesù: “che ti importa? Tu seguimi!”.

Rifiutare l’ubriacatura del gossip
La sequela è anche smettere di avere uno sguardo modano sui fratelli e le sorelle accanto a noi. È rifiutare l’ubriacatura del gossip. È non perdere di vista ciò che ci aiuta ad essere santi.

Fare il tifo per gli altri
È rispettare e riconoscere che il Signore ha un progetto su ognuno e che molto spesso esso è misterioso a prima vista. Dovremmo sempre fare il tifo per gli altri e smettere invece di spiarli con occhi impuri, che proprio perché non hanno retta intenzione vedono sempre e comunque solo il male anche lì dove non c’è.

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Santità: Il primato di Dio sull’io

Posté par atempodiblog le 15 mai 2022

SANTA MESSA E CANONIZZAZIONE DEI BEATI
Titus Brandsma – Lazzaro, detto Devasahayam – César de Bus – Luigi Maria Palazzolo – Giustino Maria Russolillo -
Charles de Foucauld - Maria Rivier – Maria Francesca di Gesù Rubatto – Maria di Gesù Santocanale – Maria Domenica Mantovani

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Santità: Il primato di Dio sull’io

Piazza San Pietro
Domenica, 15 maggio 2022

[Multimedia]

Santità: Il primato di Dio sull’io dans Beato Charles de Foucauld Canonizzazione-don-Giustino-Maria-Russolillo


Abbiamo ascoltato alcune parole che Gesù consegna ai suoi prima di passare da questo mondo al Padre, parole che dicono che cosa significa essere cristiani: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Questo è il testamento che Cristo ci ha lasciato, il criterio fondamentale per discernere se siamo davvero suoi discepoli oppure no: il comandamento dell’amore. Fermiamoci sui due elementi essenziali di questo comandamento: l’amore di Gesù per noi – come io ho amato voi – e l’amore che Lui ci chiede di vivere – così amatevi gli uni gli altri.

Anzitutto come io ho amato voi. Come ci ha amato Gesù? Fino alla fine, fino al dono totale di sé. Colpisce vedere che pronuncia queste parole in una notte tenebrosa, mentre il clima che si respira nel cenacolo è carico di emozione e preoccupazione: emozione perché il Maestro sta per dare l’addio ai suoi discepoli, preoccupazione perché annuncia che proprio uno di loro lo tradirà. Possiamo immaginare quale dolore Gesù portasse nell’animo, quale oscurità si addensava sul cuore degli apostoli, e quale amarezza vedendo Giuda che, dopo aver ricevuto il boccone intinto dal Maestro per lui, usciva dalla stanza per inoltrarsi nella notte del tradimento. E, proprio nell’ora del tradimento, Gesù conferma l’amore per i suoi. Perché nelle tenebre e nelle tempeste della vita questo è l’essenziale: Dio ci ama.

Fratelli, sorelle, che questo annuncio sia centrale nella professione e nelle espressioni della nostra fede: «non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1 Gv 4,10). Non dimentichiamolo mai. Al centro non ci sono la nostra bravura, i nostri meriti, ma l’amore incondizionato e gratuito di Dio, che non abbiamo meritato. All’inizio del nostro essere cristiani non ci sono le dottrine e le opere, ma lo stupore di scoprirsi amati, prima di ogni nostra risposta. Mentre il mondo vuole spesso convincerci che abbiamo valore solo se produciamo dei risultati, il Vangelo ci ricorda la verità della vita: siamo amati. E questo è il nostro valore: siamo amati. Così ha scritto un maestro spirituale del nostro tempo: «prima ancora che qualsiasi essere umano ci vedesse, siamo stati visti dagli amorevoli occhi di Dio. Prima ancora che qualcuno ci sentisse piangere o ridere, siamo stati ascoltati dal nostro Dio che è tutto orecchie per noi. Prima ancora che qualcuno in questo mondo ci parlasse, la voce dell’amore eterno già ci parlava» (H. Nouwen, Sentirsi amati, Brescia 1997, 50). Lui ci ha amato per primo, Lui ci ha aspettato. Lui ci ama, Lui continua ad amarci. E questa è la nostra identità: amati da Dio. Questa è la nostra forza: amati da Dio.

Questa verità ci chiede una conversione sull’idea che spesso abbiamo di santità. A volte, insistendo troppo sul nostro sforzo di compiere opere buone, abbiamo generato un ideale di santità troppo fondato su di noi, sull’eroismo personale, sulla capacità di rinuncia, sul sacrificarsi per conquistare un premio. È una visione a volte troppo pelagiana della vita, della santità. Così abbiamo fatto della santità una meta impervia, l’abbiamo separata dalla vita di tutti i giorni invece che cercarla e abbracciarla nella quotidianità, nella polvere della strada, nei travagli della vita concreta e, come diceva Teresa d’Avila alle consorelle, “tra le pentole della cucina”.  Essere discepoli di Gesù e camminare sulla via della santità è anzitutto lasciarsi trasfigurare dalla potenza dell’amore di Dio. Non dimentichiamo il primato di Dio sull’io, dello Spirito sulla carne, della grazia sulle opere. A volte noi diamo più peso, più importanza all’io, alla carne e alle opere. No: il primato di Dio sull’io, il primato dello Spirito sulla carne, il primato della grazia sulle opere.

L’amore che riceviamo dal Signore è la forza che trasforma la nostra vita: ci dilata il cuore e ci predispone ad amare. Per questo Gesù dice – ecco il secondo aspetto – «come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Questo così non è solo un invito a imitare l’amore di Gesù; significa che possiamo amare solo perché Lui ci ha amati, perché dona ai nostri cuori il suo stesso Spirito, lo Spirito di santità, amore che ci guarisce e ci trasforma. Per questo possiamo fare scelte e compiere gesti di amore in ogni situazione e con ogni fratello e sorella che incontriamo, perché siamo amati e abbiamo la forza di amare. Così come io sono amato, posso amare. Sempre, l’amore che io compio è unito a quello di Gesù per me: “così”. Così come Lui mi ha amato, così io posso amare. È così semplice la vita cristiana, è così semplice! Noi la rendiamo più complicata, con tante cose, ma è così semplice.

E, in concreto, che cosa significa vivere questo amore? Prima di lasciarci questo comandamento, Gesù ha lavato i piedi ai discepoli; dopo averlo pronunciato, si è consegnato sul legno della croce. Amare significa questo: servire e dare la vitaServire, cioè non anteporre i propri interessi; disintossicarsi dai veleni dell’avidità e della competizione; combattere il cancro dell’indifferenza e il tarlo dell’autoreferenzialità, condividere i carismi e i doni che Dio ci ha donato. Nel concreto, chiedersi “che cosa faccio per gli altri?” Questo è amare, e vivere le cose di ogni giorno in spirito di servizio, con amore e senza clamore, senza rivendicare niente.

E poi dare la vita, che non è solo offrire qualcosa, come per esempio alcuni beni propri agli altri, ma donare sé stessi. A me piace domandare alle persone che mi chiedono consiglio: “Dimmi, tu dai l’elemosina?” – “Sì, Padre, io do l’elemosina ai poveri” – “E quando tu dai l’elemosina, tocchi la mano della persona, o butti l’elemosina e fai così per pulirti?”. E diventano rossi: “No, io non tocco”. “Quando tu dai l’elemosina, guardi negli occhi la persona che aiuti, o guardi da un’altra parte?” – “Io non guardo”. Toccare e guardare, toccare e guardare la carne di Cristo che soffre nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle. È molto importante, questo. Dare la vita è questo. La santità non è fatta di pochi gesti eroici, ma di tanto amore quotidiano. Sei una consacrata o un consacrato? – ce ne sono tanti, oggi, qui – Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato o sposata? Sii santo e santa amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore, una donna lavoratrice? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli, e lottando per la giustizia dei tuoi compagni, perché non rimangano senza lavoro, perché abbiano sempre lo stipendio giusto. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Dimmi, hai autorità? – e qui c’è tanta gente che ha autorità – Vi domando: hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali» (Cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 14). Questa è la strada della santità, così semplice! Sempre guardare Gesù negli altri.

Servire il Vangelo e i fratelli, offrire la propria vita senza tornaconto – questo è un segreto: offrire senza tornaconto –, senza ricercare alcuna gloria mondana: a questo siamo chiamati anche noi. I nostri compagni di viaggio, oggi canonizzati, hanno vissuto così la santità: abbracciando con entusiasmo la loro vocazione – di sacerdote, alcuni, di consacrata, altre, di laico – si sono spesi per il Vangelo, hanno scoperto una gioia che non ha paragoni e sono diventati riflessi luminosi del Signore nella storia. Questo è un santo o una santa: un riflesso luminoso del Signore nella storia. Proviamoci anche noi: non è chiusa la strada della santità, è universale, è una chiamata per tutti noi, incomincia con il Battesimo, non è chiusa. Proviamoci anche noi, perché ognuno di noi è chiamato alla santità, a una santità unica e irripetibile. La santità è sempre originale, come diceva il beato Carlo Acutis: non c’è santità di fotocopia, la santità è originale, è la mia, la tua, di ognuno di noi. È unica e irripetibile. Sì, il Signore ha un progetto di amore per ciascuno, ha un sogno per la tua vita, per la mia vita, per la vita di ognuno di noi. Cosa volete che vi dica? Portatelo avanti con gioia. Grazie.


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Una fede fatta di prove

Posté par atempodiblog le 24 avril 2022

L’apostolo Tommaso dubita della parola degli amici
Una fede fatta di prove: altro che fede che debba fare a meno del vedere e del toccare!
Tratto da: Qual è la vera fede cattolica? – Di Corrado Gnerre. – Edizioni: Fede & Cultura

Una fede fatta di prove dans Commenti al Vangelo L-incredulit-di-Tommaso

«Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente!”. Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”» (Gv 20,26-29).

L’apostolo Tommaso dubita della parola degli amici. Questo episodio viene solitamente utilizzato, nella catechesi moderna, per affermare che la vera fede sia quella che prescinda totalmente dai segni, cioè dal vedere e constatare. In realtà questa traduzione non è fondata.

Il noto biblista Ignace de la Potterie (1914-2003) afferma che nell’originale greco il verbo è all’aoristo (pisteusantes) e che anche nella versione latina era messo al passato (crediderunt).

Per cui la frase deve essere così tradotta: “Beati coloro che senza aver visto (senza aver visto me direttamente), hanno creduto”.

Dunque, Gesù rimprovera Tommaso non perché vuol vedere, ma perché non si è fidato di coloro che già avevano visto. Altro che fede che debba fare a meno del vedere e del toccare!

Divisore dans San Francesco di Sales

Cliccare per approfondire:

Freccia dans Viaggi & Vacanze L’importanza dei segni

Freccia dans Viaggi & Vacanze Non è la richiesta di una fede cieca

Freccia dans Viaggi & Vacanze Guardare per credere

 

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Pace, pace, pace!

Posté par atempodiblog le 27 février 2022

PAPA FRANCESCO
ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 27 febbraio 2022
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Pace, pace, pace! dans Commenti al Vangelo Papa-Francesco-e-Maria

Lo sguardo e il parlare

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel Vangelo della Liturgia odierna Gesù ci invita a riflettere sul nostro sguardo e sul nostro parlare. Lo sguardo e il parlare.

Anzitutto sul nostro sguardo. Il rischio che corriamo, dice il Signore, è concentrarci a guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello senza accorgerci della trave che c’è nel nostro (cfr Lc 6,41). In altre parole, essere attentissimi ai difetti degli altri, anche a quelli piccoli come una pagliuzza, trascurando serenamente i nostri, dandogli poco peso. È vero quanto dice Gesù: troviamo sempre motivi per colpevolizzare gli altri e giustificare noi stessi. E tante volte ci lamentiamo per le cose che non vanno nella società, nella Chiesa, nel mondo, senza metterci prima in discussione e senza impegnarci a cambiare anzitutto noi stessi. Ogni cambiamento fecondo, positivo, deve incominciare da noi stessi. Al contrario, non ci sarà cambiamento. Ma – spiega Gesù – facendo così il nostro sguardo è cieco. E se siamo ciechi non possiamo pretendere di essere guide e maestri per gli altri: un cieco, infatti, non può guidare un altro cieco (cfr v. 39).

Cari fratelli e sorelle, il Signore ci invita a ripulire il nostro sguardo. Per prima cosa ci chiede di guardare dentro di noi per riconoscere le nostre miserie. Perché se non siamo capaci di vedere i nostri difetti, saremo sempre portati a ingigantire quelli altrui. Se invece riconosciamo i nostri sbagli e le nostre miserie, si apre per noi la porta della misericordia. E dopo esserci guardati dentro, Gesù ci invita a guardare gli altri come fa Lui – questo è il segreto: guardare gli altri come fa Lui –, che non vede anzitutto il male, ma il bene. Dio ci guarda così: non vede in noi degli sbagli irrimediabili, ma vede dei figli che sbagliano. Cambia l’ottica: non si concentra sugli sbagli, ma sui figli che sbagliano. Dio distingue sempre la persona dai suoi errori. Salva sempre la persona. Crede sempre nella persona ed è sempre pronto a perdonare gli errori. Sappiamo che Dio perdona sempre. E ci invita a fare lo stesso: a non ricercare negli altri il male, ma il bene.

Dopo lo sguardo, Gesù oggi ci invita a riflettere sul nostro parlare. Il Signore spiega che la bocca «esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (v. 45). È vero, da come uno parla ti accorgi subito di quello che ha nel cuore. Le parole che usiamo dicono la persona che siamo. A volte, però, prestiamo poca attenzione alle nostre parole e le usiamo in modo superficiale. Ma le parole hanno un peso: ci permettono di esprimere pensieri e sentimenti, di dare voce alle paure che abbiamo e ai progetti che intendiamo realizzare, di benedire Dio e gli altri. Purtroppo, però, con la lingua possiamo anche alimentare pregiudizi, alzare barriere, aggredire e perfino distruggere; con la lingua possiamo distruggere i fratelli: il pettegolezzo ferisce e la calunnia può essere più tagliente di un coltello! Al giorno d’oggi, poi, specialmente nel mondo digitale, le parole corrono veloci; ma troppe veicolano rabbia e aggressività, alimentano notizie false e approfittano delle paure collettive per propagare idee distorte. Un diplomatico, che fu Segretario Generale delle Nazioni Unite e vinse il Nobel per la Pace, disse che «abusare della parola equivale a disprezzare l’essere umano» (D. Hammarskjöld, Tracce di cammino, Magnano BI 1992, 131).

Domandiamoci allora che genere di parole utilizziamo: parole che esprimono attenzione, rispetto, comprensione, vicinanza, compassione, oppure parole che mirano principalmente a farci belli davanti agli altri? E poi, parliamo con mitezza o inquiniamo il mondo spargendo veleni: criticando, lamentandoci, alimentando l’aggressività diffusa?

La Madonna, Maria, di cui Dio ha guardato l’umiltà, la Vergine del silenzio che ora preghiamo, ci aiuti a purificare il nostro sguardo e il nostro parlare.

Divisore dans San Francesco di Sales

Dopo l’Angelus

Pace, pace, pace!

Cari fratelli e sorelle!

In questi giorni siamo stati sconvolti da qualcosa di tragico: la guerra. Più volte abbiamo pregato perché non venisse imboccata questa strada. E non smettiamo di pregare, anzi, supplichiamo Dio più intensamente. Per questo rinnovo a tutti l’invito a fare del 2 marzo, Mercoledì delle ceneri, una giornata di preghiera e digiuno per la pace in Ucraina. Una giornata per stare vicino alle sofferenze del popolo ucraino, per sentirci tutti fratelli e implorare da Dio la fine della guerra.

Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere. Si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio. E si distanzia dalla gente comune, che vuole la pace; e che in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra. Penso agli anziani, a quanti in queste ore cercano rifugio, alle mamme in fuga con i loro bambini… Sono fratelli e sorelle per i quali è urgente aprire corridoi umanitari e che vanno accolti.

Con il cuore straziato per quanto accade in Ucraina – e non dimentichiamo le guerre in altre parti del mondo, come nello Yemen, in Siria, in Etiopia… –, ripeto: tacciano le armi! Dio sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza. Perché chi ama la pace, come recita la Costituzione Italiana, «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (Art. 11).

Ieri, a Granada, in Spagna, sono stati proclamati Beati il sacerdote Gaetano Giménez Martín e quindici compagni martiri, uccisi in odium fidei nel contesto della persecuzione religiosa degli anni Trenta del secolo scorso in Spagna. La testimonianza di questi eroici discepoli di Cristo possa suscitare in tutti il desiderio di servire il Vangelo con fedeltà e coraggio. Un applauso ai nuovi beati.

Saluto tutti voi, romani e pellegrini!

Saluto in particolare las niñas Quinceñeras di Panamá; i giovani universitari della diocesi di Porto; i fedeli di Mérida-Badajoz e di Madrid, in Spagna; quelli di Parigi e della Polonia; i gruppi di Reggio Calabria, della Sicilia e dell’Unità Pastorale Alta Langa; i cresimandi di Urgnano e i ragazzi di Petosino, diocesi di Bergamo.

Un saluto speciale a quanti sono venuti in occasione della Giornata delle Malattie Rare, che ricorre domani: incoraggio le diverse Associazioni dei malati e dei familiari, come pure i ricercatori che operano in questo campo. Vi sono vicino! Saluto i popoli qui presenti… Vedo anche tante bandiere dell’Ucraina! (in ucraino) Sia lodato Gesù Cristo!

A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.


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L’acqua cambiata in vino/ “Maria può ottenere qualsiasi grazia”

Posté par atempodiblog le 15 janvier 2022

L’acqua cambiata in vino
di Padre Livio Fanzaga – La pazienza di Dio. Vangelo per la vita quotidiana, Ed. Piemme

L’acqua cambiata in vino/ “Maria può ottenere qualsiasi grazia” dans Commenti al Vangelo Nozze-di-Cana

Maria intercede presso Gesù
Hai notato con quale ardita autorità la madre si rivolge al Figlio, “costringendoLo” in un certo senso ad anticipare l’ora dei miracoli e della sua manifestazione al mondo? Con questo episodio Dio ha voluto mostrarci quanto sia grande l’intercessione di Maria presso il suo cuore.

Maria non è la fonte delle grazie, ma è Colei che può ottenerci qualsiasi grazia. Il suo potere sul cuore del Figlio non conosce limiti. Non chiedere grazie a Dio pregando da solo, ma fallo con Maria e attraverso di Lei. Qualsiasi cosa chiederai in unione con Lei, animato dalla sua stessa fede, la otterrai.

Maria ci insegna l’audacia nel chiedere. Con Maria domanda a Dio anche ciò che alla mediocrità della tua carne potrebbe sembrare impossibile. Non esitare a chiedere insieme a Lei la grazia della santità e della vita eterna. Se sapessi quanto è felice di intercedere per te e di esaudirti, al di là di ogni tua ragionevole attesa!

La sollecitudine materna di Maria
Il vangelo ci svela un aspetto toccante della sollecitudine materna di Maria. Lei si preoccupa della buona riuscita del banchetto degli sposi, senza che questi si accorgano di nulla. La Madre di Gesù è anche Madre nostra e, come ogni madre, si da pensiero dei figli, anche quando essi non pensano a Lei e forse neppure sanno se esista.

Quante persone al mondo conoscono nulla di Maria. Persino non pochi battezzati la ignorano, ma Lei si occupa di ogni uomo, nessuno escluso, con pari amore e dedizione. Ama ognuno come se fosse il suo unico figlio e fa tutto il possibile perché ogni uomo si salvi e sia con Lei in Cielo.

Ripensa alla tua vita e soffermati su quei momenti in cui ti è sembrato che una mano misteriosa ti proteggesse e ti sostenesse lungo il cammino. Tu forse allora eri lontano dalla Madre, ma Lei era vicino a te e non cessava, neppure per un momento, di guidarti con mano forte e sicura.

Divisore dans San Francesco di Sales

“Maria può ottenere qualsiasi grazia”
di Padre Livio Fanzaga – Radio Maria

Cari amici, l’intercessione di Maria ha tutte le caratteristiche dell’amore materno. Non chiede soltanto ciò che è necessario, ma anche ciò di cui potremmo fare a meno.

Era forse così necessario il vino delle nozze di Cana, dopo che i convitati avevano già terminato la razione prevista? La Madonna però non ha voluto che un piccolo disguido offuscasse la gioia di un banchetto. La Madre chiede anche le piccole cose che possano far felici i suoi figli.

Se la Madonna può ottenere qualsiasi grazia dal cuore di Gesù, non sarebbe stolto da parte nostra  presumere di fare a meno di una così potente intercessione?

Se avessimo l’umiltà di essere suoi figli, accettandola come madre, e non esitassimo a ricorrere a Lei in ogni nostro necessità, potremmo ottenere qualsiasi grazia di cui abbiamo bisogno. Rivolgiamoci alla Madre con la stessa fiducia con cui Lei si rivolge al Figlio. Nessuna grazia ci sarà preclusa.

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Papa Francesco: impariamo dai magi in cammino verso Betlemme il desiderio di Dio

Posté par atempodiblog le 6 janvier 2022

Papa Francesco: impariamo dai magi in cammino verso Betlemme il desiderio di Dio
A che punto è il viaggio della mia fede? All’omelia nella Messa per la solennità dell’Epifania del Signore, Papa Francesco indica nei magi, che vanno in cerca del Signore, l’immagine di chi non si accontenta di una vita apatica, “appiattita sul consumo” ma si lascia interrogare mettendosi in gioco. I magi, che ritornano per un’altra strada, “ci provocano a percorrere strade nuove”, afferma il Papa, per portare il Vangelo a tutti
di Adriana Masotti – Vatican News

Papa Francesco: impariamo dai magi in cammino verso Betlemme il desiderio di Dio dans Commenti al Vangelo Epifania-del-Signore

La Chiesa celebra oggi l’Epifania del Signore, il giorno cioè della sua manifestazione al mondo tramite la testimonianza di tre personaggi che alla grotta di Betlemme arrivano da lontano. Nell’omelia alla Messa nella Basilica vaticana, Papa Francesco si lascia interrogare dai magi, sapienti e astrologi, e sollecita tutti noi a porci domande a partire da quel loro pellegrinaggio verso Gesù, sotto la guida della stella. A concelebrare con Francesco sono 21 cardinali, 19 vescovi, circa 150 sacerdoti. Ridotto, invece, a causa della pandemia, il numero dei fedeli presenti.

I magi, uomini dal cuore inquieto
Che cosa ha spinto “questi uomini d’Oriente a mettersi in viaggio?”. Potevano starsene tranquilli nelle loro sicurezze, afferma il Papa, “invece si lasciano inquietare da una domanda e da un segno” nel cielo: “Dov’è colui che è nato?

Il loro cuore non si lascia intorpidire nella tana dell’apatia, ma è assetato di luce; non si trascina stanco nella pigrizia, ma è acceso dalla nostalgia di nuovi orizzonti. I loro occhi non sono rivolti alla terra, ma sono finestre aperte sul cielo. Come ha affermato Benedetto XVI, erano “uomini dal cuore inquieto. […] Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale […]. Erano ricercatori di Dio”.

La vita non è “tutta qui
Il loro segreto, prosegue Francesco, è il desiderio. Desiderare significa infatti “cercare oltre l’immediato, oltre il visibile”.

È accogliere la vita come un mistero che ci supera, come una fessura sempre aperta che invita a guardare oltre, perché la vita non è “tutta qui”, è anche “altrove”. È come una tela bianca che ha bisogno di ricevere colore. Proprio un grande pittore, Van Gogh, scriveva che il bisogno di Dio lo spingeva a uscire di notte per dipingere le stelle. Sì, perché Dio ci ha fatti così: impastati di desiderio. Così ci ha fatti Dio: impastati di desiderio; orientati, come i magi, verso le stelle.

Abbiamo bisogno di ritrovare il desiderio di Dio
Sono i desideri, dice ancora il Papa, a farci andare oltre le abitudini consolidate, “oltre una fede ripetitiva e stanca”. Il nostro viaggio della vita e della fede ha bisogno di desiderio, “di slancio interiore”. E si domanda:

Non siamo da troppo tempo bloccati, parcheggiati dentro una religione convenzionale, esteriore, formale, che non scalda più il cuore e non cambia la vita? Le nostre parole e i nostri riti innescano nel cuore della gente il desiderio di muoversi incontro a Dio oppure sono “lingua morta”, che parla solo di sé stessa e a sé stessa?

L’analisi di Papa Francesco non fa sconti quando descrive tanti di noi e tante nostre comunità alle prese con la crisi della fede dovuta alla “scomparsa del desiderio di Dio”.

Ci siamo ripiegati troppo sulle mappe della terra e ci siamo scordati di alzare lo sguardo verso il Cielo; siamo sazi di tante cose, ma privi della nostalgia di ciò che ci manca. Nostalgia di Dio… Ci siamo fissati sui bisogni, su ciò che mangeremo e di cui ci vestiremo, lasciando evaporare l’anelito per ciò che va oltre. E ci troviamo nella bulimia di comunità che hanno tutto e spesso non sentono più niente nel cuore. Persone chiuse, comunità chiuse, vescovi chiusi, preti chiusi, consacrati chiusi perché la mancanza di desiderio porta alla tristezza, e all’indifferenza. Comunità tristi. Preti tristi. Vescovi tristi.

Gli insegnamenti dei magi
Il Papa suggerisce a ciascuno di noi di interrogarsi oggi, chiedendosi come va « il viaggio della nostra fede ». E di andare dai magi per imparare “ad alimentare il desiderio”. Da loro possiamo trarre alcuni insegnamenti:

Essi in primo luogo partono al sorgere della stella: ci insegnano che bisogna sempre ripartire ogni giorno, nella vita come nella fede, perché la fede non è un’armatura che ingessa, ma un viaggio affascinante, un movimento continuo e inquieto, sempre alla ricerca di Dio, sempre con il discernimento, in quel cammino.

I magi, poi, chiedono dov’è il Bambino Gesù. E’ necessario, infatti, porsi degli interrogativi e ascoltare le domande che Dio e le persone del nostro tempo ci rivolgono. I magi ci insegnano ad aver una fede coraggiosa che non ha “paura di sfidare le logiche oscure del potere e diventi seme di giustizia e di fraternità”. Infine, afferma ancora il Papa, essi ritornano percorrendo un’altra strada:

È la creatività dello Spirito, che fa sempre cose nuove. È anche, in questo momento, uno dei compiti del Sinodo che noi stiamo facendo: camminare insieme in ascolto, perché lo Spirito ci suggerisca vie nuove, strade per portare il Vangelo al cuore di chi è indifferente, lontano, di chi ha perduto la speranza ma cerca quello che i magi trovarono, “una gioia grandissima”. Uscire « oltre », andare avanti…

Adorare per lasciarci trasformare
Ma c’è un momento cruciale del loro viaggio, osserva Francesco, ed è quando, arrivando a destinazione, i magi “adorano il Bambino”. Il Papa sottolinea l’importanza dell’adorazione cioè dello stare alla presenza di Dio e dice: “Solo se recuperiamo il gusto dell’adorazione, si rinnova il desiderio”. Il desiderio di Dio “cresce solo stando davanti a Dio”, perché solo Gesù può trasformare il nostro cuore.

E nell’andare cos’, ogni giorno, lì avremo la certezza, come i magi, che anche nelle notti più oscure brilla una stella. È la stella del Signore, che viene a prendersi cura della nostra fragile umanità. Mettiamoci in cammino verso di Lui. Non diamo all’apatia e alla rassegnazione il potere di inchiodarci nella tristezza di una vita piatta. Prendiamo l’inquietudine dello Spirito, cuori inquieti. Il mondo attende dai credenti uno slancio rinnovato verso il Cielo.

Papa Francesco, infine, invita ciascuno di noi ad essere come i magi “aperti alle sorprese di Dio”. E conclude con tre consegne: “sogniamo, cerchiamo, adoriamo”.

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Madre di Dio e Madre di ogni uomo

Posté par atempodiblog le 1 janvier 2022

Madre di Dio e Madre di ogni uomo
La festa odierna di Maria Madre di Dio ci ricorda che solo in Gesù, Dio fatto uomo, c’è la salvezza. In Lui c’è anche la pienezza del tempo, entrando nella storia dell’uomo. La nuova Bussola Quotidiana pubblica ampi stralci dell’omelia che san Giovanni Paolo II ha tenuto il 1° gennaio 1997.

Madre di Dio e Madre di ogni uomo dans Commenti al Vangelo Maria-e-giovanni-paolo-ii

1. “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1, 31). Gesù vuol dire “Dio che salva”.Gesù, nome dato da Dio stesso, sta a dire che “in nessun altro c’è salvezza” (At 4, 12) se non in Gesù di Nazaret, nato da Maria Vergine. In Lui Dio si è fatto uomo, venendo incontro così ad ogni essere umano.

“Dio . . . aveva già parlato nei tempi antichi molte volte . . . ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1, 1). Questo Figlio è il Verbo eterno, della stessa sostanza del Padre, fatto uomo per rivelarci il Padre e per renderci possibile la comprensione di tutta la verità su di noi. Ci ha parlato con parole umane, ed anche con le sue opere e con la sua stessa vita: dalla nascita alla morte di croce e alla risurrezione.

Tutto ciò sin dall’inizio provoca meraviglia. Già i pastori giunti a Betlemme si stupirono di quanto avevano visto, e gli altri restarono attoniti ascoltando ciò che essi raccontavano del Neonato (cfr Lc 2, 18). Guidati dall’intuizione della fede, essi riconobbero il Messia nel bambino giacente nella mangiatoia e la povera nascita a Betlemme del Figlio di Dio li spinse a proclamare con gioia la gloria dell’Altissimo.

2. Il nome Gesù apparteneva sin dall’inizio a colui che fu chiamato così l’ottavo giorno dopo la nascita. In un certo senso, Egli portò con sé venendo al mondo questo nome, che esprime in modo mirabile l’essenza e la missione del Verbo incarnato.

Egli è venuto nel mondo per salvare l’umanità. Quando, dunque, gli fu imposto questo nome, fu rivelato al tempo stesso chi era e quale sarebbe stata la sua missione. Molti in Israele avevano questo nome, ma Lui lo portò in un modo unico, realizzandone in pienezza il significato: Gesù di Nazaret, Salvatore del mondo.

3. San Paolo, come abbiamo ascoltato nella seconda Lettura, scrive: “. . . quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna, nato sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4, 4-5). Il tempo è congiunto al nome di Gesù sin dall’inizio. Questo nome Lo accompagna nella sua vicenda terrena immersa nel tempo, ma senza che Egli sia ad essa soggetto, poiché in Lui c’è la pienezza del tempo. Anzi nel tempo umano Dio ha recato la pienezza, entrando con essa nella storia dell’uomo. Non è entrato come un concetto astratto. È entrato come Padre che dà la vita, – una vita nuova, la vita divina – ai suoi figli adottivi. Per opera di Gesù Cristo noi tutti possiamo partecipare alla vita divina: figli nel Figlio, destinati alla gloria dell’eternità.

San Paolo approfondisce poi questa verità: “E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” (Gal 4, 6). In noi, uomini, la divina figliolanza proviene da Cristo e si attua per opera dello Spirito Santo. Lo Spirito viene per insegnarci che siamo figli e allo stesso tempo per rendere effettiva in noi questa figliolanza divina. Il Figlio è colui che con tutto il suo essere dice a Dio: “Abbà, Padre”.

Stiamo toccando qui il culmine del mistero della nostra vita cristiana. Il nome “cristiano” indica in effetti un nuovo modo di essere: esistere a somiglianza del Figlio di Dio. Come figli nel Figlio, partecipiamo alla salvezza, la quale non è soltanto liberazione dal male, ma è, prima di tutto, pienezza del bene: del sommo bene della figliolanza di Dio. Ed è lo Spirito di Dio a rinnovare la faccia della terra (cfr Sal 103[104], 30). Nel primo giorno dell’anno nuovo la Chiesa ci invita a prendere consapevolezza sempre più profonda di questo. Ci invita a considerare in tale luce il tempo umano.

4. La liturgia odierna celebra la solennità della Madre di Dio. Maria è Colei che è stata prescelta per essere Madre del Redentore condividendone intimamente la missione. Nella luce del Natale, si illumina il mistero della sua divina maternità. Maria, Madre di Gesù che nasce nella Grotta di Betlemme, è anche Madre di ogni uomo che viene nel mondo. Come non affidare a Lei l’anno che inizia, per implorare che sia un tempo di serenità e di pace per l’intera umanità? Nel giorno in cui si apre questo nuovo anno sotto lo sguardo benedicente della Madre di Dio, invochiamo per ciascuno e per tutti il dono della pace.

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Don Fabio Rosini: Natale è il giorno in cui ci sentiamo “preziosi”

Posté par atempodiblog le 24 décembre 2021

Don Fabio Rosini: Natale è il giorno in cui ci sentiamo “preziosi”
In quel giorno ognuno di noi riscopre di “contare” qualcosa: perché è stato preso in considerazione da Dio
di Gelsomino Del Guercio – Aleteia

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Natale è il giorno in cui dobbiamo sentirci preziosi più degli altri giorni, perché “contiamo” di più: Don Fabio Rosini spiega il significato di questa sua affermazione in un commento natalizio al Vangelo.

Il noto biblista ci porta nello spirito del Natale insegnandoci che il versetto più importante del Vangelo da conoscere è certamente: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. «Il Verbo – dice Don Fabio Rosini – allora non è qualcosa da capire, visto che diventa carne! E non è qualcosa di distante da noi, ma viene a vivere in mezzo a noi».

Dio “è una persona”
Allora Don Fabio ci chiede di focalizzarci su tre cose. In primo luogo, è una persona, non una specie di idea. Poi, in secondo luogo, non è solo presso Dio ma è anche carne umana come la nostra. In terzo luogo, non dimora in qualche luogo lontano dall’umanità, ma in mezzo a noi. Tutto ciò indica che abbiamo la possibilità di incontrare questa persona concreta e contemplare la sua gloria».

La Gloria non è spettacolarità
San Giovanni dice: “E noi abbiamo contemplato la sua gloria”. A cosa si riferisce? «“Gloria” – afferma il biblista, molto amato dai giovani – non indica una qualche spettacolarità: in ebraico la parola significa il peso o il valore reale di qualcosa. Infatti si dice cosa hanno contemplato: “Gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità”.

“Capisco la mia stessa carne”
Il Natale, secondo Don Fabio Rosini, annuncia che «Dio è a portata di mano e si è fatto carne, certo, ma c’è ancora di più: se capisco la carne di Cristo, capisco la mia stessa carne. Se vedo la Sua gloria, allora comincio a rendermi conto della rilevanza della mia vita. Se apprezzo la misura in cui Dio si è umiliato per me, quel che fa per unirsi con me, allora comincio a comprendere chi sono. Quando lo vedo, conosco la mia dignità».

“Chi sono io da essere preso così tanto a cuore?”
L’incarnazione, prosegue il popolare sacerdote, «non parla unicamente della generosità di Dio, ma manifesta la preziosità della nostra esistenza. Perché se colui che ha creato le galassie e il cosmo si è fatto carne per incontrarci, posso chiedermi: ma chi sono io da esser preso così tanto a cuore?».

Accogliere la vita da figli di Dio
Don Fabio, pertanto, in vista del Natale ci esorta a sentirci più sereni: «Rallegriamoci, quindi, che Dio si è fatto carne, ma questo vuol dire anche che è importante avere un corpo, essere vivi! E che ne possiamo fare di questa carne? Cosa è apparso nella Sua carne per illuminare la nostra? In essa Lui ha mostrato la gloria di Figlio del Padre. La carne umana ha questa potenzialità: accogliere questa vita da figli di Dio».

“Questo è ciò che è venuto a portare il Signore”
Il biblista – che sui canali “social” è seguito da migliaia di giovani utenti – sostiene che «Noi siamo figli di tanto altro, della nostra cultura, delle nostre storie e tante volte quel che abita in noi è generato solo dalle nostre paure più profonde… Ecco la Gloria che appare in questo giorno di Natale: vivere nella nostra fragile carne ma radicati in Dio, sorgendo dal suo amore di Padre. Questo è ciò che è venuto a portare il Signore Gesù. Questo è il nostro battesimo, in cui la Sua esistenza ci viene donata. È bello vivere guardando a noi stessi, al prossimo e al mondo partendo dalla certezza di essere amati, di essere preziosi come figli agli occhi del loro Padre. È un’esistenza nobile, limpida, pacificata» (cercoiltuovolto.it).

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Non basta fare il bene

Posté par atempodiblog le 7 novembre 2021

L’obolo della vedova
Non basta fare il bene

Tratto da: Desiderio d’infinito. Vangelo per la vita quotidiana, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

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La pagina odierna di Vangelo ci mostra due modi profondamente diversi di fare il bene.

Il primo modo, quello dei ricchi che gettano molte monete nel tesoro del tempio per farsi vedere, è condannato da Gesù.
Il secondo, quello di una povera vedova, che vi getta due spiccioli, cioè tutto quanto aveva per vivere, è lodato dal Signore e additato come esempio ai suoi discepoli.

Si tratta di un argomento della massima importanza, perché alla fine della vita ognuno di noi sarà giudicato in base alle opere buone che avrà compiuto. È quindi essenziale che tu comprenda, caro amico, che agli occhi di Dio non è sufficiente fare il bene, ma è necessario compierlo con le giuste disposizioni del cuore.

Anzi, potremmo dire che l’atteggiamento interiore ha un valore decisivo. Se tu fai una grande elemosina, ma col malcelato desiderio che sia conosciuta, lodata e approvata, corri il rischio di avere nessun merito davanti a Dio. Mentre un piccolo atto di carità, che tu compi nel nascondimento e con sacrificio, ottiene da Dio una grande ricompensa.

Il bene va fatto bene, con umiltà e purezza di cuore.

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