Ascoltare e seguire Gesù

Posté par atempodiblog le 15 mai 2011

Ascoltare e seguire Gesù dans Commenti al Vangelo Altro-Ges

Cari fratelli e sorelle!
La liturgia della IV Domenica di Pasqua ci presenta una delle icone più belle che, sin dai primi secoli della Chiesa, hanno raffigurato il Signore Gesù: quella del Buon Pastore. Il Vangelo di san Giovanni, al capitolo decimo, ci descrive i tratti peculiari del rapporto tra Cristo Pastore e il suo gregge, un rapporto talmente stretto che nessuno potrà mai rapire le pecore dalla sua mano. Esse, infatti, sono unite a Lui da un vincolo d’amore e di reciproca conoscenza, che garantisce loro il dono incommensurabile della vita eterna. Nello stesso tempo, l’atteggiamento del gregge verso il Buon Pastore, Cristo, è presentato dall’Evangelista con due verbi specifici: ascoltare e seguire. Questi termini designano le caratteristiche fondamentali di coloro che vivono la sequela del Signore. Innanzitutto l’ascolto della sua Parola, dal quale nasce e si alimenta la fede. Solo chi è attento alla voce del Signore è in grado di valutare nella propria coscienza le giuste decisioni per agire secondo Dio. Dall’ascolto deriva, quindi, il seguire Gesù: si agisce da discepoli dopo aver ascoltato e accolto interiormente gli insegnamenti del Maestro, per viverli quotidianamente.

In questa domenica viene dunque spontaneo ricordare a Dio i Pastori della Chiesa, e coloro che si stanno formando per diventare Pastori. Vi invito pertanto a una speciale preghiera per i Vescovi – compreso il Vescovo di Roma! –, per i parroci, per tutti coloro che hanno responsabilità nella guida del gregge di Cristo, affinché siano fedeli e saggi nel compiere il loro ministero. In particolare, preghiamo per le vocazioni al sacerdozio in questa Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, affinché non manchino mai validi operai nella messe del Signore. Settant’anni or sono, il Venerabile Pio XII istituì la Pontificia Opera per le vocazioni sacerdotali. La felice intuizione del mio Predecessore si fondava sulla convinzione che le vocazioni crescono e maturano nelle Chiese particolari, facilitate da contesti familiari sani e irrobustiti da spirito di fede, di carità e di pietà. Nel messaggio inviato per questa Giornata Mondiale ho sottolineato che una vocazione si compie quando si esce “dalla propria volontà chiusa e dalla propria idea di autorealizzazione, per immergersi in un’altra volontà, quella di Dio, lasciandosi guidare da essa”. Anche in questo tempo, nel quale la voce del Signore rischia di essere sommersa in mezzo a tante altre voci, ogni comunità ecclesiale è chiamata a promuovere e curare le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Gli uomini infatti hanno sempre bisogno di Dio, anche nel nostro mondo tecnologico, e ci sarà sempre bisogno di Pastori che annunciano la sua Parola e fanno incontrare il Signore nei Sacramenti.

Cari fratelli e sorelle, rinvigoriti dalla gioia pasquale e dalla fede nel Risorto, affidiamo i nostri propositi e le nostre intenzioni alla Vergine Maria, madre di ogni vocazione, perché con la sua intercessione susciti e sostenga numerose e sante vocazioni al servizio della Chiesa e del mondo.

Cari fratelli e sorelle, la beatificazione del Papa Giovanni Paolo II ha avuto, come sapete, una risonanza mondiale. Vi sono altri testimoni esemplari di Cristo, molto meno noti, che la Chiesa addita con gioia alla venerazione dei fedeli. Oggi, a Würzburg, in Germania, è proclamato beato Georg Häfner, sacerdote diocesano, morto martire nel campo di concentramento di Dachau; e sabato 7 maggio scorso, nella diocesi Pozzuoli, è stato beatificato un altro presbitero, Giustino Maria Russolillo, fondatore della Società delle Divine Vocazioni. Ringraziamo il Signore perché non fa mancare santi sacerdoti alla sua Chiesa!

Benedetto XVI

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« Ritorna a casa tua… »

Posté par atempodiblog le 15 mai 2011

Il povero ossesso, ora guarito, era sempre seduto ai piedi di Nostro Signore… La bontà di Gesù l’aveva colpito… Avrebbe voluto restare per sempre vicino a Lui…
- Io lo capisco… Si doveva stare così bene con Nostro Signore!
- Tuttavia, Gesù disse a Pietro di togliere gli ormeggi. Gli apostoli e Gesù si diressero verso la barca. Il miracolato li seguiva. Se avesse osato, avrebbe chiesto di salire sulla barca per non lasciare Nostro Signore. Adesso fa la prova. <<Maestr0, dice, prendimi con te…>>, e guardava Gesù con gli occhi pieni di affetto…
- L’ha preso con sé?
- No, Gesù non voleva permettergli di salire nella barca. <<Ritorna a casa tua – gli disse – racconta ala tua famiglia tutto ciò che il buon Dio ha fatto per te>>.
- Pover’uomo, come doveva esser triste!…
- A lungo seguì con gli occhi la barca e nella barca Nostro Signore, poi ritornò a casa sua, dove fece molto bene.
Visono delle fanciulle che desiderano diventare suore. Il buon Dio le vuole invece nel mondo per darvi il buon esempio. Per essere Religiose bisogna essere chiamate da Nostro Signore.

PROPOSITO: Dirò a Nostro Signore: <<Fa’ di me ciò che Tu vuoi, ma se mi chiami, dammi la forza di dire un grande SI’>>.

di Henry Perroy

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Proclamare il Vangelo in situazioni diverse

Posté par atempodiblog le 15 mai 2011

Proclamare il Vangelo in situazioni diverse dans Commenti al Vangelo siateluce

Dal Vangelo di Marco abbiamo ascoltato il racconto della guarigione dell’indemoniato di Gerasa. Gesù lo libera da una moltitudine di demoni. La gente del luogo rimane impressionata, inquieta e impaurita. Ma quell’uomo, guarito, è pieno di gratitudine e di entusiasmo; vorrebbe lasciare tutto e seguire immediatamente Gesù come discepolo itinerante, alla maniera degli apostoli e degli altri che lo accompagnavano nel suo continuo andare da una città all’altra per predicare il Vangelo. Gesù non esaudisce questo desiderio; non gli permette di lasciare la sua casa. Gli chiede però di diventare missionario nel suo ambiente: “Va nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato”. Quell’uomo obbedisce e prontamente si mette ad evangelizzare tra i suoi familiari e tra gli abitanti del suo territorio. “Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decapoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati”. Anch’egli è discepolo e collaboratore di Gesù, sebbene in un modo diverso dagli altri.

In quest’uomo, come in altri personaggi del Vangelo (ad esempio Zaccheo, Lazzaro) che credono in Gesù, ma rimangono nella loro famiglia e nel loro lavoro, possiamo vedere prefigurati i cristiani laici, mentre nel gruppo itinerante, che lascia la famiglia e il lavoro per andare con Gesù, possiamo vedere prefigurati i sacerdoti e le persone consacrate. Gli uni e gli altri in situazioni diverse, con carismi e responsabilità diverse, hanno il compito di proclamare il Vangelo con la vita e con la parola. “La missione – insegna Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris Missio – riguarda tutti i cristiani (RMi 2). “Il Signore chiama sempre ad uscire da se stessi, a condividere con gli altri i beni che abbiamo, cominciando da quello più prezioso che è la fede” (RMi 49).

Tratto da: vatican.va

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Paziente misericordia di Dio

Posté par atempodiblog le 9 mai 2011

La scuola del perdono dans Commenti al Vangelo Padre-Misericordioso

Gli anni continuano a passare e la nostra radicale conversione non arriva mai. Quando si entra nella vecchiaia — un’età che sopraggiunge sempre inaspettata — si è tentati di temere che il Signore potrebbe anche stancarsi dei nostri indugi. Ma non bisogna perdere mai la fiducia nella sua paziente misericordia.

Allora può essere utile ricorrere alla «preghiera del ritardatario». È un testo abbastanza insolito che la liturgia ambrosiana propone nella Settimana Santa, nel quale ci si mette arditamente nei panni della «vergine stolta» della parabola:

«Non chiudere la tua porta, anche se ho fatto tardi.
Non chiudere la tua porta: sono venuto a bussare.
A chi ti cerca nel pianto apri, Signore pietoso.
Accoglimi al tuo convito, donami il Pane del Regno»
(Confractorium del Lunedì Santo).

Cardinale Giacomo Biffi

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Maria e la risurrezione di Cristo

Posté par atempodiblog le 26 avril 2011

Maria e la risurrezione di Cristo (1 Cor 15, 3-6a).

Maria e la risurrezione di Cristo dans Commenti al Vangelo Giovanni-Paolo-II-e-Maria

1. Dopo la deposizione di Gesù nel sepolcro, Maria “rimane sola a tener viva la fiamma della fede, preparandosi ad accogliere l’annuncio gioioso e sorprendente della resurrezione” (Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 3 aprile 1996, p. 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 1 (1996) 912). L’attesa vissuta il Sabato Santo costituisce uno dei momenti più alti della fede della Madre del Signore: nell’oscurità che avvolge l’universo, Ella si affida pienamente al Dio della vita e, riandando alle parole del Figlio, spera nella realizzazione piena delle divine promesse.
I Vangeli riportano diverse apparizioni del Risorto, ma non l’incontro di Gesù con sua Madre. Questo silenzio non deve portare a concludere che dopo la Resurrezione Cristo non sia apparso a Maria; ci invita invece a ricercare i motivi di una tale scelta da parte degli evangelisti.
Ipotizzando una “omissione”, essa potrebbe essere attribuita al fatto che quanto è necessario per la nostra conoscenza salvifica è affidato alla parola di “testimoni prescelti da Dio” (At 10, 41), cioè agli Apostoli, i quali “con grande forza” hanno reso testimonianza della risurrezione del Signore Gesù (cfr At 4, 33). Prima che a loro, il Risorto è apparso ad alcune donne fedeli a motivo della loro funzione ecclesiale: “Andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno” (Mt 28, 10).
Se gli autori del Nuovo Testamento non parlano dell’incontro della Madre con il Figlio risorto, ciò è, forse, attribuibile al fatto che una simile testimonianza avrebbe potuto essere considerata, da parte di coloro che negavano la resurrezione del Signore, troppo interessata, e quindi non degna di fede.

2. I Vangeli, inoltre, riferiscono un piccolo numero di apparizioni di Gesù risorto, e non certo il resoconto completo di quanto accadde nei quaranta giorni dopo la Pasqua. San Paolo ricorda un’apparizione “a più di cinquecento fratelli in una sola volta”(1 Cor 15, 6). Come giustificare che un fatto noto a molti non sia riferito dagli Evangelisti, nonostante la sua eccezionalità? E’ segno evidente che altre apparizioni del Risorto, pur essendo nel novero dei fatti avvenuti e notori, non sono state riportate.
La Vergine, presente nella prima comunità dei discepoli (cfr At 1, 14), come potrebbe essere stata esclusa dal numero di coloro che hanno incontrato il suo divin Figlio risuscitato dai morti?

3. E’ anzi legittimo pensare che verosimilmente la Madre sia stata la prima persona a cui Gesù risorto è apparso. L’assenza di Maria dal gruppo delle donne che all’alba si reca al sepolcro (cfr Mc 16, 1; Mt 28, 1), non potrebbe forse costituire un indizio del fatto che Ella aveva già incontrato Gesù? Questa deduzione troverebbe conferma anche nel dato che le prime testimoni della resurrezione, per volere di Gesù, sono state le donne, le quali erano rimaste fedeli ai piedi della Croce, e quindi più salde nella fede.
Ad una di loro, Maria Maddalena, infatti, il Risorto affida il messaggio da trasmettere agli Apostoli (cfr Gv 20, 17-18). Anche questo elemento consente forse di pensare a Gesù che si mostra prima a sua Madre, Colei che è rimasta la più fedele e nella prova ha conservato integra la fede.
Infine, il carattere unico e speciale della presenza della Vergine sul Calvario e la sua perfetta unione con il Figlio nella sofferenza della Croce, sembrano postulare una sua particolarissima partecipazione al mistero della risurrezione.
Un autore del secolo quinto, Sedulio, sostiene che Cristo si è mostrato nello splendore della vita risorta innanzitutto alla propria Madre. Infatti, Colei che nell’Annunciazione era stata la via del suo ingresso nel mondo era chiamata a diffondere la meravigliosa notizia della risurrezione, per farsi annunziatrice della sua gloriosa venuta. Inondata così dalla gloria del risorto, Ella anticipa lo “sfolgorio” della Chiesa (cfr Sedulio, Carmen Pascale, 5,357-364, CSEL 10, 140s).

4. Essendo immagine e modello della Chiesa, che attende il Risorto e che nel gruppo dei discepoli lo incontra durante la apparizioni pasquali, sembra ragionevole pensare che Maria abbia avuto un contatto personale col Figlio risorto, per godere anche lei della pienezza della gioia pasquale.
Presente sul Calvario durante il Venerdì Santo (cfr Gv 19, 25) e nel Cenacolo a Pentecoste (cfr At 1, 14), la Vergine Santissima è probabilmente stata testimone privilegiata anche della risurrezione di Cristo, completando in tal modo la sua partecipazione a tutti i momenti essenziali del Mistero pasquale. Accogliendo Gesù risorto, Maria è inoltre segno ed anticipazione dell’umanità, che spera nel raggiungimento della sua piena realizzazione mediante la risurrezione dai morti.
Nel tempo pasquale la comunità cristiana, rivolgendosi alla Madre del Signore, la invita a gioire: “Regina Coeli, laetare. Alleluja!”, “Regina del cielo, rallegrati. Alleluja! ». Ricorda così la gioia di Maria per la risurrezione di Gesù, prolungando nel tempo il “rallegrati” rivoltole dall’Angelo nell’annunciazione, perché divenisse “causa di gioia” per l’intera umanità.

Giovanni Paolo II

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Un misterioso anagramma

Posté par atempodiblog le 7 avril 2011

 

Un misterioso anagramma dans Antonio Socci pilato

[...] Ponzio Pilato, il prefetto romano che mise a morte Gesù [...], nato fra il reatino e l’Abruzzo, è particolarmente moderno, lo sentiamo come uno di noi a causa di quel drammatico dialogo riportato nel Vangelo. Pilato interroga l’imputato. Gesù lo fissa, calmo, e gli dice: “il mio regno non è di questo mondo”. Pilato è incuriosito da quell’uomo di cui ha sentito dire cose inaudite, è colpito dal suo volto, dalla sua forza interiore. Ma da governatore pragmatico vuol capire innanzitutto se è un sovversivo: “Dunque tu sei re?”. Allora Gesù gli dichiara apertamente che sì, è re, ma della verità, cioè del cosmo e della storia: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”.

Pilato tace, visibilmente stupito, ma non è tipo da seguire ciò che gli dice il cuore. Sa che solo il potere conta e quell’uomo di Nazaret sembra del tutto inerme e indifeso, uno che non conta nulla. Pilato, come si pensa oggi, ritiene che non esista la Verità: esiste solo il potere di imporre una propria verità. Così risponde scetticamente a Gesù con una battuta che non attende una risposta: “e che cos’è la verità?”. In latino le parole di Pilato, come riporta il Vangelo, suonano così: “Quid est veritas?”.

Quelle stesse parole, anagrammate, contengono la risposta: “est vir qui adest” (è l’uomo che sta di fronte). Lo nota tre secoli più tardi Agostino d’Ippona. Se solo Pilato avesse capito cosa stava dicendo, se solo avesse aspettato la riposta da quell’uomo che era ed è la Verità fatta carne. Ma il prefetto romano aveva un pregiudizio (la Verità non esiste) e così condannò l’innocente, perché non gli conveniva mettersi contro la folla. Che la verità non esista è proprio il dogma dei tempi moderni, che pure dicono di essere contro tutti i dogmi. E’ la “dittatura del relativismo”. [...]

Antonio Socci

 

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Il proposito di verginità di Maria

Posté par atempodiblog le 24 mars 2011

Il proposito di verginità di Maria dans Commenti al Vangelo mariasantissima

1. All’angelo che le annuncia il concepimento e la nascita di Gesù, Maria rivolge una domanda: « Come avverrà questo? Non conosco uomo » (Lc 1, 34). Un tale quesito risulta, a dir poco, sorprendente se andiamo con la mente ai racconti biblici che riportano l’annuncio di una nascita straordinaria ad una donna sterile. In quei casi si tratta di donne sposate, naturalmente sterili, alle quali il dono del figlio è offerto da Dio attraverso la normale vita coniugale (cf. 1 Sam 1, 19-20), in risposta ad accorate preghiere (cf. Gen 15, 2; 30, 22-23; 1 Sam 1, 10; Lc 1, 13).
Diversa è la situazione in cui Maria riceve l’annuncio dell’angelo. Ella non è una donna maritata che abbia problemi di sterilità; per scelta volontaria intende restare vergine. Questo suo proposito di verginità, frutto di amore per il Signore, sembra, quindi, costituire un ostacolo alla maternità annunciata.
A prima vista le parole di Maria sembrerebbero esprimere soltanto il suo stato presente di verginità: Maria affermerebbe di non « conoscere » uomo, cioè di essere vergine. Tuttavia il contesto nel quale viene posta la domanda « come avverrà questo? » e l’affermazione seguente « non conosco uomo », mettono in evidenza sia l’attuale verginità di Maria, sia il suo proposito di rimanere vergine. L’espressione da lei usata, con la forma verbale al presente, lascia trasparire la permanenza e la continuità del suo stato.

2. Facendo presente questa difficoltà, Maria, lungi dall’opporsi al progetto divino, manifesta l’intenzione di adeguarvisi totalmente. Del resto, la fanciulla di Nazaret è vissuta sempre in piena sintonia con la volontà divina ed ha optato per una vita verginale nell’intento di piacere al Signore. In realtà il suo proposito di verginità la disponeva ad accogliere il volere divino « con tutto il suo « io » umano, femminile, ed in tale risposta di fede erano contenute una perfetta cooperazione con la grazia di Dio, che previene e soccorre, ed una perfetta disponibilità all’azione dello Spirito Santo » (Redemptoris Mater, 13).
Ad alcuni, le parole e intenzioni di Maria sono apparse inverosimili, poiché nell’ambiente giudaico la verginità non era ritenuta un valore, né un ideale da perseguire. Gli stessi scritti dell’Antico Testamento lo confermano in taluni noti episodi ed espressioni. Nel libro dei Giudici, ad esempio, si narra della figlia di Iefte che, dovendo affrontare la morte mentre è ancora una ragazza non maritata, piange la sua verginità, cioè si rammarica di non essersi potuta sposare (Gdc 11, 38). Il matrimonio, inoltre, in virtù del precetto divino: « Siate fecondi e moltiplicatevi » (Gen 1, 28), è considerato come la naturale vocazione della donna, che comporta le gioie e le sofferenze proprie della maternità.

3. Per meglio comprendere il contesto in cui matura la decisione di Maria, occorre tener presente come, nel tempo che precede immediatamente l’inizio dell’era cristiana, in alcuni ambienti giudaici si comincia a manifestare un certo orientamento positivo verso la verginità. Ad esempio, gli Esseni, dei quali sono state ritrovate numerose ed importanti testimonianze storiche a Qumran, vivevano nel celibato o limitavano l’uso del matrimonio, a motivo della vita comune e della ricerca di una maggiore intimità con Dio.
In Egitto, inoltre, esisteva una comunità di donne che, in collegamento con la spiritualità essena, osservavano la continenza. Tali donne, le Terapeute, appartenenti a una setta descritta da Filone Alessandrino (De Vita Contemplativa, 21-90), si dedicavano alla contemplazione e ricercavano la sapienza.
Non sembra che Maria sia venuta a conoscenza di questi gruppi religiosi giudaici che praticavano l’ideale del celibato e della verginità. Ma il fatto che Giovanni Battista vivesse probabilmente una vita celibataria, e che nella comunità dei suoi discepoli questa fosse tenuta in alta considerazione, potrebbe far supporre che anche il proposito verginale di Maria rientri in tale nuovo contesto culturale e religioso.

4. La straordinaria vicenda della Vergine di Nazaret non deve però farci cadere nell’errore di legare completamente le sue disposizioni intime alla mentalità dell’ambiente, svuotando l’unicità del mistero avvenuto in lei. In particolare, non dobbiamo dimenticare che Maria aveva ricevuto, dall’inizio della sua vita, una grazia sorprendente riconosciutale dall’angelo al momento dell’Annunciazione. « Piena di grazia » (Lc 1, 28), Maria fu arricchita di una perfezione di santità che, secondo l’interpretazione della Chiesa, risale al primo momento della sua esistenza: il privilegio unico dell’Immacolata concezione ha esercitato un influsso su tutto lo sviluppo della vita spirituale della giovane donna di Nazaret.
Si deve dunque ritenere che a guidare Maria verso l’ideale della verginità è stata un’ispirazione eccezionale di quello stesso Spirito Santo che, nel corso della storia della Chiesa, spingerà tante donne sulla via della consacrazione verginale.
La presenza singolare della grazia nella vita di Maria, porta a concludere per un impegno della giovane nella verginità. Colma di doni eccezionali del Signore dall’inizio della sua esistenza, ella è orientata ad una dedizione di tutta se stessa – anima e corpo – a Dio nell’offerta verginale.

Inoltre, l’aspirazione alla vita verginale era in armonia con quella « povertà » dinanzi a Dio, a cui l’Antico Testamento attribuisce un grande valore. Impegnandosi pienamente in questa via, Maria rinuncia anche alla maternità, ricchezza personale della donna, tanto apprezzata in Israele. In tal modo « Ella primeggia tra gli uomini e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza » (LG 55). Ma, presentandosi a Dio come povera, e mirando ad una fecondità solo spirituale, frutto dell’amore divino, al momento dell’Annunciazione Maria scopre che la sua povertà è trasformata dal Signore in ricchezza: Ella sarà la Madre Vergine del Figlio dell’Altissimo. Più tardi scoprirà anche che la sua maternità è destinata ad estendersi a tutti gli uomini che il Figlio è venuto a salvare (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 501).

Giovanni Paolo II

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La Trasfigurazione

Posté par atempodiblog le 20 mars 2011

La Trasfigurazione dans Commenti al Vangelo Trasfigurazione-Ges

“La Trasfigurazione è una rivelazione della persona di Gesù, della sua realtà profonda”, ha detto. “Chi vuole conoscere Dio, deve contemplare il volto di Gesù”; è in Lui, ha proseguito il Papa, che si manifesta la santità, la Misericordia e la volontà di Dio:

“La volontà di Dio si rivela pienamente nella persona di Gesù. Chi vuole vivere secondo la volontà di Dio, deve seguire Gesù, ascoltarlo, accoglierne le parole e, con l’aiuto dello Spirito Santo, approfondirle”.

Quindi il Pontefice si è rivolto esplicitamente ai parrocchiani di San Corbiniano:

“E’ questo il primo invito che desidero farvi, cari amici, con grande affetto: crescete nella conoscenza e nell’amore a Cristo, sia come singoli, sia come comunità parrocchiale, incontrateLo nell’Eucaristia, nell’ascolto della sua parola, nella preghiera, nella carità”.

Fonte: Radio vaticana

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Vivere con i piedi per terra e il cuore in Cielo

Posté par atempodiblog le 28 février 2011

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Nella Liturgia odierna riecheggia una delle parole più toccanti della Sacra Scrittura. Lo Spirito Santo ce l’ha donata mediante la penna del cosiddetto “secondo Isaia”, il quale, per consolare Gerusalemme abbattuta dalle sventure, così si esprime: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,15). Questo invito alla fiducia nell’indefettibile amore di Dio viene accostato alla pagina, altrettanto suggestiva, del Vangelo di Matteo, in cui Gesù esorta i suoi discepoli a confidare nella provvidenza del Padre celeste, il quale nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, e conosce ogni nostra necessità (cfr 6,24-34). Così si esprime il Maestro: “Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno”.

Di fronte alla situazione di tante persone, vicine e lontane, che vivono in miseria, questo discorso di Gesù potrebbe apparire poco realistico, se non evasivo. In realtà, il Signore vuole far capire con chiarezza che non si può servire a due padroni: Dio e la ricchezza. Chi crede in Dio, Padre pieno d’amore per i suoi figli, mette al primo posto la ricerca del suo Regno, della sua volontà. E ciò è proprio il contrario del fatalismo o di un ingenuo irenismo. La fede nella Provvidenza, infatti, non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani. E’ chiaro che questo insegnamento di Gesù, pur rimanendo sempre vero e valido per tutti, viene praticato in modi diversi a seconda delle diverse vocazioni: un frate francescano potrà seguirlo in maniera più radicale, mentre un padre di famiglia dovrà tener conto dei propri doveri verso la moglie e i figli. In ogni caso, però, il cristiano si distingue per l’assoluta fiducia nel Padre celeste, come è stato per Gesù. E’ proprio la relazione con Dio Padre che dà senso a tutta la vita di Cristo, alle sue parole, ai suoi gesti di salvezza, fino alla sua passione, morte e risurrezione. Gesù ci ha dimostrato che cosa significa vivere con i piedi ben piantati per terra, attenti alle concrete situazioni del prossimo, e al tempo stesso tenendo sempre il cuore in Cielo, immerso nella misericordia di Dio.

Cari amici, alla luce della Parola di Dio di questa domenica, vi invito ad invocare la Vergine Maria con il titolo di Madre della divina Provvidenza. A lei affidiamo la nostra vita, il cammino della Chiesa, le vicende della storia. In particolare, invochiamo la sua intercessione perché tutti impariamo a vivere secondo uno stile più semplice e sobrio, nella quotidiana operosità e nel rispetto del creato, che Dio ha affidato alla nostra custodia.

Benedetto XVI
Fonte: Vatican.va

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L’Annunciazione

Posté par atempodiblog le 25 mars 2010

L'Annunciazione dans Commenti al Vangelo ionec7

L’Annunciazione è una bellissima festa, perché è la festa del SI.
In quel giorno, in verità, furono pronunciati tre SI.
- Tre SI? Io non li vedo.
- C’è anzitutto il SI che Gabriele disse a Dio che lo mandava in un villaggio di Nazareth da una giovane donna di nome Maria. <<Sì, io ci vado>> disse Gabriele.
- Dopo c’è il SI che la Santa Vergine disse all’Angelo che Le chiedeva se accettava di essere la Madre di Dio. <<Sì, io sono la Sua schiava>>, disse Maria.
Infine, c’è il SI che pronunciò il Verbo scendendo sulla terra per obbedire a Suo Padre. <<Sì, Padre mio, Io andrò sulla terra per obbedirti>>, disse Gesù.
- E’ vero, non ci avevo mai pensato…
- E che diresti se aggiungessi un quarto SI?
- Quale?
- Il tuo. SI a un sacrificio che Nostro Signore ti chiede e che tu da molto tempo Gli rifiuti. SI a un piccolo sacrificio che Egli ti chiede oggi.
Vuoi dunque promettergli di dire un bel SI oggi?

PROPOSITO: SI, glielo prometto.

di Henry Perroy 

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Non è la richiesta di una fede cieca

Posté par atempodiblog le 30 mars 2008

Intervista di Socci ad Ignace de la Potterie.
Ignace de la Potterie. “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto hanno creduto”

Non è la richiesta di una fede cieca dans Antonio Socci L-incredulit-di-Tommaso

Due aspetti ci preme mettere in rilievo: anche in questa versione riveduta, le parole di Gesù vengono tradotte con un’imprecisione, rispetto all’originale greco. E tale imprecisione viene di fatto utilizzata per confermare con l’autorità del Vangelo un’impostazione che sembra prevalente nella Chiesa di oggi: l’idea che la vera fede sia quella che prescinde totalmente dai segni visibili. L’errore di traduzione a cui pensa di poter appoggiarsi tale interpretazione, che di fatto travisa il passo evangelico, consiste nel tradurre al presente il rimprovero di Gesù: “Beati coloro che credono, pur senza aver visto”. In questo modo le parole vengono trasformate in una regola di metodo valida per tutti coloro che vivono nei tempi successivi alla morte e risurrezione di Gesù. E infatti la nota spiega che solo per i contemporanei di Gesù “visione e fede erano abbinate”, mentre per tutti coloro che vengono dopo, “la normalità della fede poggia sull’ascolto, non sul vedere”. Secondo questa interpretazione sembra quasi che Gesù si opponga al naturale desiderio di vedere, chiedendo a noi una fede fondata solo sull’ascolto della Parola. In realtà, qui il verbo non è al presente, come viene tradotto. Nell’originale greco il verbo è all’aoristo (πιστεύσαντες), anche nella versione latina era messo al passato (crediderunt). “Tu hai creduto perché hai visto” – dice Gesù a Tommaso – “beati coloro che senza aver visto [ossia che senza aver visto me, direttamente] hanno creduto”. E l’allusione non è ai fedeli che vengono dopo, che dovrebbero “credere senza vedere”, ma agli apostoli e ai discepoli che per primi hanno riconosciuto che Gesù era risorto, pur nell’esiguità dei segni visibili che lo testimoniavano. In particolare il riferimento indica proprio Giovanni, che con Pietro era corso al sepolcro per primo dopo che le donne avevano raccontato l’incontro con gli angeli e il loro annuncio che Gesù Cristo era risorto. Giovanni, entrato dopo Pietro, aveva visto degli indizi, aveva visto la tomba vuota, e le bende rimaste vuote del corpo di Gesù senza essere sciolte, e pur nell’esiguità di tali indizi aveva cominciato a credere. La frase di Gesù “beati quelli che pur senza aver visto [me] hanno creduto” rinvia proprio al “vidit et credidit” riferito a Giovanni al momento del suo ingresso nel sepolcro vuoto. Riproponendo l’esempio di Giovanni a Tommaso, Gesù vuole indicare che è ragionevole credere alla testimonianza di coloro che hanno visto dei segni, degli indizi della sua presenza viva. Non è la richiesta di una fede cieca, è la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili. L’imprecisione introdotta dai traduttori riguardo al tempo dei verbi usati da Gesù è servita a cambiare il senso delle sue parole e a riferirle non più a Giovanni e agli altri discepoli, ma ai credenti futuri. E’ passata così inconsapevolmente l’interpretazione del teologo esegeta protestante Rudolf Bultmann,che traduceva i due verbi del passo al presente (“Beati coloro che non vedono e credono”) per presentarla “come una critica radicale dei segni e delle apparizioni pasquali e come un’apologia della fede privata di ogni appoggio esteriore” (Donatien Mollat). Mentre è esattamente il contrario. Ciò che viene rimproverato a Tommaso non è di aver visto Gesù. Il rimprovero cade sul fatto che all’inizio Tommaso si è chiuso e non ha dato credito alla testimonianza di coloro che gli dicevano di aver visto il Signore vivo. Sarebbe stato meglio per lui dare un credito iniziale ai suoi amici, nell’attesa di rifare di persona l’esperienza che loro avevano fatto. Invece Tommaso ha quasi preteso di dettare lui le condizioni della fede. Vi è un altro ricorrente errore di traduzione, ripetuto anche dalla nuova versione CEI. Quando Gesù sottopone le sue ferite alla “prova empirica” richiesta da Tommaso, accompagna questa offerta con un’esortazione: “E non diventare incredulo, ma diventa (γίνου) credente”. Significa che Tommaso non è ancora né l’uno né l’altro. Non è ancora incredulo, ma non è nemmeno ancora un credente. La versione CEI, come molte altre, traduce invece: “E non essere incredulo, ma credente”. Ora, nel testo originale, il verbo “diventare” suggerisce l’idea di dinamismo, di un cambiamento provocato dall’incontro col Signore vivo. Senza l’incontro con una realtà vivente non si può cominciare a credere. Solo dopo che ha visto Gesù vivo Tommaso può cominciare a diventare “credente”. Invece la versione inesatta, che va per la maggiore, sostituendo il verbo essere al verbo diventare, elimina la percezione di tale movimento, e sembra quasi sottintendere che la fede consiste in una decisione da prendere a priori, un moto originario dello spirito umano. E’ un totale rovesciamento. Tommaso, anche lui, vede Gesù e allora, sulla base di questa esperienza, è invitato a rompere gli indugi e a diventare credente. Se al diventare si sostituisce l’essere, sembra quasi che a Tommaso sia richiesta una fede preliminare, che sola gli permetterebbe di “vedere” Gesù e accostarsi alle sue piaghe. Come vuole l’idealismo per cui è la fede a creare la realtà da credere. Le spiegazioni della nota, basate su queste traduzioni inesatte, e che per fortuna, come ha premesso monsignor Antonelli, non possiedono “alcun carattere di ufficialità”, sembrano comunque piegare le parole di Gesù alla nuova tendenza che vige oggi nella Chiesa, secondo cui una fede pura è quella che prescinde dal “vedere”, ossia dall’appoggio e dallo stimolo dei segni sensibili. E’ vero, come spiega la nota, che nel tempo attuale “la visione non può essere pretesa”. Niente nell’esperienza cristiana può mai essere oggetto di “pretesa”. Ma mettere in alternativa il vedere e l’ascoltare e sostenere che “la normalità della fede poggia sull’ascolto, e non sul vedere” ossia che basta ascoltare il “racconto” del cristianesimo per diventare cristiani, sembra essere in contraddizione con tutto ciò che insegnano le Scritture e la Tradizione della Chiesa. Le apparizioni a Maria di Magdala, ai discepoli e a Tommaso sono l’immagine normativa di un’esperienza che ogni credente è chiamato a fare nella Chiesa; come l’apostolo Giovanni, anche per noi il “vedere” può essere una via d’accesso al “credere”. Proprio per questo continuiamo a leggere i racconti del Vangelo: per rifare l’esperienza di coloro che dal “vedere” sono passati al “credere” (si pensi alla contemplazione delle scene evangeliche e all’applicazione dei sensi a esse, secondo una lunga tradizione spirituale). Il Vangelo di Marco si conclude testimoniando che la predicazione degli apostoli non era solo un semplice racconto, ma era accompagnata da miracoli, affinché potessero confermare le loro parole con questi segni: “Allora essi partirono e annunciarono il vangelo dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la parola con i segni che la accompagnavano” (Mc 16,20). Molti Padri della Chiesa, dall’occidentale Agostino fino all’orientale Atanasio, hanno insistito su questa permanenza dei segni visibili esteriori che accompagnano la predicazione e che non sono un di meno, una concessione alla debolezza umana, ma sono connessi con la realtà stessa dell’incarnazione. Se Dio si è fatto uomo, risorto col suo vero corpo, rimane uomo per sempre e continua ad agire. Ora non vediamo il corpo glorioso del Risorto, ma possiamo vedere le opere e i segni che compie: “In manibus nostris codices, in oculis facta”, dice Agostino: “nelle nostre mani i codici dei Vangeli, nei nostri occhi i fatti”. Mentre leggiamo i Vangeli, vediamo di nuovo i fatti che accadono. E Atanasio scrive nell’Incarnazione del Verbo: “Come, essendo invisibile, si conosce in base alle opere della creazione, così, una volta divenuto uomo, anche se non si vede nel corpo, dalle opere si può riconoscere che chi compie queste opere non è un uomo ma il Verbo di Dio. Se una volta morti non si è più capaci di far nulla ma la gratitudine per il defunto giunge fino alla tomba e poi cessa – solo i vivi, infatti, agiscono e operano nei confronti degli altri uomini – veda chi vuole e giudichi confessando la verità in base a ciò che si vede”. Tutta la Tradizione conserva con fermezza il dato che la fede non si basa solo sull’ascolto, ma anche sull’esperienza di prove esteriori, come ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica al paragrafo 156, citando le definizioni dogmatiche del Concilio ecumenico Vaticano I: «“Nondimeno, perché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua rivelazione”. Così i miracoli di Cristo e dei santi, le profezie, la diffusione e la santità della Chiesa, la sua fecondità e la sua stabilità “sono segni certissimi della divina rivelazione, adatti a ogni intelligenza”, sono “motivi di credibilità” i quali mostrano che l’assenso della fede non è “affatto un cieco moto dello spirito”».
In particolare, sono i santi che attualizzano per i loro contemporanei i racconti del Vangelo.
Quando san Francesco parlava, per chi era lì presente era chiarissimo che i Vangeli non erano un racconto del passato, solo da leggere e ascoltare: in quel momento era evidente che in quell’uomo era presente e agiva Gesù stesso.
Non per niente anche Giovanni Paolo II ha proposto in chiave positiva proprio la figura dell’apostolo Tommaso, quando, in un suo discorso ai giovani di Roma, il 24 marzo del ’94, li ha invitati a prendere sul serio, rispettare e accogliere questa sete di prove esteriori, visibili, così viva tra i loro coetanei: «Noi li conosciamo [questi giovani empirici], sono tanti, e sono molto preziosi, perché questo voler toccare, voler vedere, tutto questo dice la serietà con cui si tratta la realtà, la conoscenza della realtà. E questi sono pronti, se un giorno Gesù viene e si presenta loro, se mostra le sue ferite, le sue mani, il suo costato, allora sono pronti a dire: Mio Signore e mio Dio!».

Fonte: liturgiadomenicale.blogspot.com – Pubblicato da Don Antonello Iapicca

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