L’Ascensione di Gesù

Posté par atempodiblog le 11 mai 2013

L’Ascensione di Gesù
Storia o fantasia? Episodio leggendario, dice qualche teologo “moderno”. Fatto storico, vero, realmente accaduto, insegna la Chiesa.
di Stefano Bivaschi – Il Timone
Tratto da: Il profeta del vento

L'Ascensione di Gesù dans Commenti al Vangelo ascensionesignoreges

Qualche teologo vuole demolire, dopo quella della Risurrezione, anche la storicità dell’Ascensione.
Cito, a campione di questa demolizione cui alludo, il libro Come leggere e capire la Bibbia (ed. Città Nuova) di Josef Imbach, uno dei portavoce di quella corrente di teologi che inquadra il racconto dell’Ascensione (e non solo quello) nell’ambito di un genere letterario leggendario.
Ma quali modelli o prototipi letterari – si chiede l’autore – può avere usato Luca per le sue descrizioni?” e risponde a se stesso affermando che l’evangelista ha usato un linguaggio attinto dalla letteratura antica, ed esattamente dalle storie di rapimenti estatici” di cui si parla per Alessandro Magno e per Augusto.
Scrive: Dalla storia del rapimento estatico di Romolo, fondatore di Roma, si può cogliere lo schema seguito in queste narrazioni”. E così, se Luca non avesse conosciuto queste leggende (ma le ha davvero conosciute?), non avrebbe raccontato l’Ascensione di Gesù come l’ha raccontata. L’evangelista, incalza lmbach, con le sue descrizioni abbastanza contraddittorie, non voleva tanto raccontare un avvenimento storico quanto comunicare un messaggio teologico”.
Premesso che quel messaggio è teologico nella misura in cui è anche storico, vediamo quali sarebbero queste contraddizioni” di cui parla Imbach.
Luca riporta il racconto dell’Ascensione nel suo Vangelo (24, 50-53) e all’inizio degli Atti degli Apostoli (1, 9-11 ).
Ma questo, per Imbach, non è ancora sufficiente ad affermarne la storicità: Se l’evento fosse accaduto veramente nel modo descritto, se ne dovrebbe trovare traccia nelle tradizioni trasmesse dagli altri evangelisti”, scrive; ma si dimentica il significativo passo di Marco riguardante l’ultimo atto del Risorto: Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio” (16,19-20) e quel passo di Giovanni nel quale Gesù risorto dice alla Maddalena: Non sono ancora salito al Padre: ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: lo salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (20,17).
Quindi una traccia” c’è, anche se Luca è più ricco di particolari: Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse alloro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in bianche vesti che si presentarono a loro e dissero: Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato tra di voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1, 9-11).
A parer mio non vi è alcuna enfasi in questo racconto, che mi sembra anzi assai realistico nella sua essenzialità, e nel suo quasi umoristico ricondurre con i piedi a terra quegli apostoli con il naso ancora per aria. Imbach parla inoltre di divergenze geografiche e cronologiche.
La presunta divergenza geografica”: nel vangelo Luca dice: verso Betania”, mentre negli Atti scrive: Allora tornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi”. Ma basta aprire una cartina geografica per accorgersi che il monte degli Ulivi è verso Betania”, cioè esattamente sulla strada che da Gerusalemme conduce a Betania.
Quanto alla presunta divergenza cronologica”, starebbe tutta qui: negli Atti, l’Ascensione avviene quaranta giorni dopo la Pasqua, mentre, per Imbach, il testo evangelico tende a collocare l’ evento nel giorno di Pasqua”.
Ora, quest’ultima affermazione si fonda su un grave errore interpretativo. Imbach pesca il complemento di tempo che si trova all’inizio del capitolo 24 di Luca (ove si parla della Risurrezione, nel giorno di Pasqua) e lo applica anche alla fine dello stesso capitolo, ove si parla dell’Ascensione. Così Resurrezione e Ascensione risultano allo stesso giorno. Ma si tratta di un applicazione arbitraria, errata.
lo preferisco schierarmi con il Magistero, con il Catechismo della Chiesa Cattolica per il quale l’Ascensione, come la Risurrezione, è un avvenimento ad un tempo storico e trascendente” (n. 660).
Non sarebbe ora che i teologi leggessero e spiegassero questo prezioso testo del Magistero ancora tutto da scoprire?

Inoltre

Come la Risurrezione, anche l’Ascensione è evento sia fisico che metafisico. Il Magistero della Chiesa, infatti, definisce l’avvenimento «ad un tempo storico e trascendente» (CCC 660). Storico (e non mitologico) ma anche trascendente, perché il cielo che accoglie il Risorto non è quello fisico, ma quello metafisico, il regno dei cieli da cui il Verbo era venuto ed a cui ritorna nella gloria. Ecco allora che il cielo fisico, o la nuvola, pur appartenendo alla reale esperienza degli apostoli, diventano simbolo di realtà più alte ed a loro ancora invisibili.
Il vero carattere dell’Ascensione è escatologico e le Scritture stesse la collegano alla promessa del dono dello Spirito, alla venuta del Regno, ed alla Parusia finale del ritorno di Gesù (cfr At 1,1-14). Dice il Catechismo: «Il Corpo di Cristo è stato glorificato fin dall’istante della sua Risurrezione, come provano le proprietà nuove e soprannaturali di cui ormai gode in permanenza. Ma durante i quaranta giorni nei quali egli mangia e beve familiarmente con i suoi discepoli e li istruisce sul Regno, la sua gloria resta ancora velata sotto i tratti di un’umanità ordinaria. L’ultima apparizione di Gesù termina con l’entrata irreversibile della sua umanità nella gloria divina simbolizzata dalla nube e dal cielo ove egli siede ormai alla destra di Dio» (CCC 659). Il Figlio, che con l’Incarnazione era sceso nella natura umana, ora, con l’Ascensione, la riconsegna al Padre redenta. «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo. Ora lascio il mondo e vado al Padre» (Gv 16,28).
La sua missione è compiuta e torna nella gloria vittorioso e carico di doni per noi. «Ora io vi dico la verità: è meglio per voi che io parta, perché se non parto il Paraclito non verrà a voi. Se invece me ne vado lo manderò a voi» (Gv 16,7).

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Gesù è la Misericordia incarnata

Posté par atempodiblog le 7 avril 2013

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Cari fratelli e sorelle! Buon giorno!

In questa domenica che conclude l’Ottava di Pasqua, rinnovo a tutti l’augurio pasquale con le parole stesse di Gesù Risorto: «Pace a voi!» (Gv 20,19.21.26). Non è un saluto, e nemmeno un semplice augurio: è un dono, anzi, il dono prezioso che Cristo offre ai suoi discepoli dopo essere passato attraverso la morte e gli inferi. Dona la pace, come aveva promesso: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). Questa pace è il frutto della vittoria dell’amore di Dio sul male, è il frutto del perdono. Ed è proprio così: la vera pace, quella profonda, viene dal fare esperienza della misericordia di Dio. Oggi è la Domenica della Divina Misericordia, per volontà del beato Giovanni Paolo II, che chiuse gli occhi a questo mondo proprio alla vigilia di questa ricorrenza.

Il Vangelo di Giovanni ci riferisce che Gesù apparve due volte agli Apostoli chiusi nel Cenacolo: la prima, la sera stessa della Risurrezione, e quella volta non c’era Tommaso, il quale disse: se io non vedo e non tocco, non credo. La seconda volta, otto giorni dopo, c’era anche Tommaso. E Gesù si
rivolse proprio a lui, lo invitò a guardare le ferite, a toccarle; e Tommaso esclamò: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28). Gesù allora disse: «Perché
mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» (v. 29). E chi erano questi che avevano creduto senza vedere? Altri discepoli, altri uomini e donne di Gerusalemme che, pur non avendo incontrato Gesù risorto, credettero sulla testimonianza degli Apostoli e delle donne.

Questa è una parola molto importante sulla fede, possiamo chiamarla la beatitudine della fede. Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto: questa è la beatitudine della fede!

In ogni tempo e in ogni luogo sono beati coloro che, attraverso la Parola di Dio, proclamata nella Chiesa e testimoniata dai cristiani, credono 0 che Gesù Cristo è l’amore di Dio incarnato, la Misericordia incarnata. E questo vale per ciascuno di noi!

Agli Apostoli Gesù donò, insieme con la sua pace, lo Spirito Santo, perché potessero diffondere nel mondo il perdono dei peccati, quel perdono che solo Dio può dare, e che è costato il Sangue del Figlio (cfr Gv 20,21-23). La Chiesa è mandata da Cristo risorto a trasmettere agli uomini la remissione dei peccati, e così far crescere il Regno dell’amore, seminare la pace nei cuori, perché si affermi anche nelle relazioni, nelle società, nelle istituzioni. E lo Spirito di Cristo Risorto scaccia la paura dal cuore degli Apostoli e li spinge ad uscire dal Cenacolo per portare il Vangelo.
Abbiamo anche noi più coraggio di testimoniare la fede nel Cristo Risorto! Non dobbiamo avere paura di essere cristiani e di vivere da cristiani! Noi

dobbiamo avere questo coraggio, di andare e annunciare Cristo Risorto, perché Lui è la nostra pace, Lui ha fatto la pace, con il suo amore, con il suo perdono, con il suo sangue, con la sua misericordia.

Cari amici, oggi pomeriggio celebrerò l’Eucaristia nella Basilica di San Giovanni in Laterano, che è la Cattedrale del Vescovo di Roma.
Preghiamo insieme la Vergine Maria, perché ci aiuti, Vescovo e Popolo, a camminare nella fede e nella carità, fiduciosi sempre nella misericordia
del Signore: Lui sempre ci aspetta, ci ama, ci ha perdonato con il suo sangue e ci perdona ogni volta che andiamo da Lui a chiedere il perdono. Abbiamo fiducia nella sua misericordia!


Dopo il Regina Coeli

Rivolgo un saluto cordiale ai pellegrini che hanno partecipato alla santa Messa presieduta dal Cardinale Vicario di Roma nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, centro di devozione alla Divina Misericordia. Cari fratelli e sorelle, siate messaggeri e testimoni della misericordia di Dio.

Sono lieto poi di salutare i numerosi membri di Movimenti e Associazioni presenti a questo nostro momento di preghiera, in particolare le comunità neocatecumenali di Roma, che iniziano oggi una speciale missione nelle piazze della Città. Invito tutti a portare la Buona Notizia, in ogni ambiente di vita, «con dolcezza e rispetto» (1 Pt 3,16)! Andate nelle piazze e annunciate Gesù Cristo, il Nostro Salvatore.

Saluto tutti i ragazzi e i giovani presenti, in particolare gli alunni del Collège Saint-Jean de Passy di Parigi e quelli della Scuola Giuseppe Mazzini di Marsala, come pure il gruppo di ministranti di Taranto.

Saluto il Coro della Basilica di Collemaggio dell’Aquila, i fedeli di Campoverde di Aprilia, Verolanuova e Valentano, e la comunità Scout Foulard Bianchi.

Il Signore vi benedica, e buon pranzo!

Papa Francesco - Regina Coeli
II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, 7  aprile 2013

Tratto da: Vatican.va

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L’importanza dei segni

Posté par atempodiblog le 6 avril 2013

“E’ importantissimo, signori, sottolineare il fatto empirico e sensibile dell’apparizione pasquale. Se non facciamo questo, noi cristiani corriamo il grande rischio di trasformare il cristianesimo in una gnosi”.
Paolo VI

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L’importanza dei segni
Tommaso viene rimproverato da Gesù perché avrebbe già dovuto credere per la testimonianza degli altri discepoli
di Padre Ignace de la Potterie

[...] Nell’ultimo episodio Gesù riappare ai discepoli una settimana dopo. Adesso c’è anche Tommaso, assente la prima volta. L’inizio è lo stesso, la vera novità è costituita dalla presenza di Tommaso, che riveste qui un duplice ruolo: essendo «uno dei Dodici» deve aver visto il Signore risorto; ma d’altra parte, lui è anche uno di quelli che non l’ha visto la prima volta e quindi rappresenta un pò tutti noi. Così il caso di Tommaso prefigura l’atteggiamento di tutti i credenti. Perciò vale per tutti l’invito: «Diventa un uomo di fede». Ma poi Gesù dice: «Perché mi hai visto, Tommaso, hai creduto», e l’evangelista utilizza due volte il perfetto. Ma viene rimproverato da Gesù perché avrebbe già dovuto credere per la testimonianza degli altri discepoli, i quali a loro volta avevano creduto a ciò che aveva detto loro la Maddalena.

Credere sui segni
Gesù dice allora all’apostolo: «Beati coloro che senza aver visto hanno creduto». Su questo versetto c’è molta confusione. Per Bultmann e per Marxsen sarebbe una critica radicale all’importanza dei segni e dell’apparizione pasquale del risorto. Una apologia della fede privata di ogni appoggio esteriore. Il fedele non deve vedere i segni come fatti storici ma come una rappresentazione simbolica che serve a far comprendere l’efficacia della croce. Allora la resurrezione non c’è! Ma un’altra lettura sbagliata è anche quella che traduce: «Beati coloro che senza aver visto crederanno». Non è corretto tradurre con un futuro. Ci sono due verbi all’aoristo, e in tutti gli altri casi di aoristo utilizzati da Giovanni questi hanno valore di anteriorità. Gesù si riferisce quindi al passato ed è questa la ripresa di quanto è accaduto all’inizio del capitolo, cioè il fatto che i discepoli hanno cominciato a credere già sui segni e poi anche sulla testimonianza degli altri senza avere visto il risorto. [...]

Per approfondire Freccia dans Viaggi & Vacanze Non è la richiesta di una fede cieca

Per approfondire Freccia dans Viaggi & Vacanze Guardare per credere

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La donna adultera nella visione di Marthe Robin

Posté par atempodiblog le 17 mars 2013

La donna adultera nella visione di Marthe Robin dans Commenti al Vangelo gesadulteraipocrisia

“Di fronte alle accuse degli scribi e dei farisei contro questa donna Gesù stava in silenzio.
Sembrava ignorarli e teneva lo sguardo fisso a terra. Non guardava neppure la donna, messa ben in vista per sua vergogna. Poi si è messo a scrivere per terra con il dito. Innervositi dal silenzio di Gesù e incuriositi nel vederlo tracciare segni, alcuni si sono fatti coraggio e si sono avvicinati a Lui. Che cosa stava scrivendo? Il primo dei farisei, arrivato vicino a lui, ha scoperto con stupore che Gesù conosceva i suoi peccati più segreti che erano scritti a grandi lettere per terra! Confuso e spaventato ha guardato Gesù che poteva con una sola parola distruggerlo davanti agli altri.

Ma al contrario, con grande bontà e umile maestà, il Salvatore ha cancellato con la mano il peccato dell’uomo. Finito! Sparito! L’uomo ha letto il perdono negli occhi di Gesù ed è ripartito in silenzio. Poi si è avvicinato un altro, che non poteva evidentemente conoscere i torti del primo. Gesù ha scritto allora il peccato del secondo che, dopo aver letto, se ne è andato anche lui sconvolto.

Tutti si sono avvicendati in questo modo presso Gesù. Così gli accusatori della donna confusi fino in fondo all’anima, ma rispettati nella loro intimità, hanno abbandonato la scena uno dopo l’altro. La maldicenza e le intenzioni perverse, sono state lasciate sul posto, insieme alle pietre destinate alla peccatrice”.

Marthe Robin
Fonte: Cristo, Pietre Vive

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“Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”

Posté par atempodiblog le 16 mars 2013

“Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” dans Commenti al Vangelo benedettoxvimadonna

Il brano evangelico narra l’episodio della donna adultera in due suggestive scene: nella prima assistiamo a una disputa tra Gesù e gli scribi e i farisei riguardo a una donna sorpresa in flagrante adulterio e, secondo la prescrizione contenuta nel Libro del Levitico (cfr 20,10), condannata alla lapidazione. Nella seconda scena si snoda un breve e commovente dialogo tra Gesù e la peccatrice. Gli spietati accusatori della donna, citando la legge di Mosè provocano Gesù – lo chiamano maestro” (Didáskale) – chiedendogli se sia giusto lapidarla. Conoscono la sua misericordia e il suo amore per i peccatori e sono curiosi di vedere come se la caverà in un caso del genere, che secondo la legge mosaica non presentava dubbi. Ma Gesù si mette subito dalla parte della donna; in primo luogo scrivendo per terra parole misteriose, che l’evangelista non rivela, e poi pronunciando quella frase diventata famosa: Chi di voi è senza peccato (usa il termine anamártetos, che viene utilizzato nel Nuovo Testamento soltanto qui), scagli per primo la pietra contro di lei » (Gv 8,7). Nota sant’Agostino che il Signore, rispondendo, rispetta la legge e non abbandona la sua mansuetudine”. Ed aggiunge che con queste sue parole obbliga gli accusatori a entrare dentro se stessi e guardando se stessi a scoprirsi peccatori. Per cui, colpiti da queste parole come da una freccia grossa quanto una trave, uno dopo l’altro se ne andarono” (In Io. Ev. tract 33,5).

Uno dopo l’altro, dunque, gli accusatori che avevano voluto provocare Gesù, se ne vanno cominciando dai più anziani fino agli ultimi”. Quando tutti sono partiti il divino Maestro resta solo con la donna. Conciso ed efficace il commento di sant’Agostino: relicti sunt duo: misera et misericordia, restano solo loro due, la misera e la misericordia” (Ibid.). Fermiamoci, cari fratelli e sorelle, a contemplare questa scena dove si trovano a confronto la miseria dell’uomo e la misericordia divina, una donna accusata di un grande peccato e Colui, che pur essendo senza peccato, si è addossato i peccati del mondo intero. Egli, che era rimasto chinato a scrivere nella polvere, ora alza gli occhi ed incontra quelli della donna. Non chiede spiegazioni, non esige scuse. Non è ironico quando le domanda: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?” (8,10). Ed è sconvolgente nella sua replica: Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (8,11). Ancora sant’Agostino, nel suo commento, osserva: Il Signore condanna il peccato, non il peccatore. Infatti, se avesse tollerato il peccato avrebbe detto: Neppure io ti condanno, va’, vivi come vuoi… per quanto grandi siano i tuoi peccati, io ti libererò da ogni pena e da ogni sofferenza. Ma non disse così” (Io. Ev. tract. 33,6).

Cari amici, dalla parola di Dio che abbiamo ascoltato emergono indicazioni concrete per la nostra vita. Gesù non intavola con i suoi interlocutori una discussione teorica: non gli interessa vincere una disputa a proposito di un’interpretazione della legge mosaica, ma il suo obbiettivo è salvare un’anima e rivelare che la salvezza si trova solo nell’amore di Dio. Per questo è venuto sulla terra, per questo morirà in croce ed il Padre lo risusciterà il terzo giorno. E’ venuto Gesù per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l’inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore. Anche in questo episodio, dunque, comprendiamo che il vero nostro nemico è l’attaccamento al peccato, che può condurci al fallimento della nostra esistenza. Gesù congeda la donna adultera con questa consegna: Va e d’ora in poi non peccare più”. Le concede il perdono affinché d’ora in poi” non pecchi più.

Benedetto XVI

Per leggere il brano dell’opera di Maria Valtorta su questo Vangelo cliccare iconarrowti7 La donna adultera e l’ipocrisia dei suoi accusatori

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Rivolgere nuovamente lo sguardo al cielo

Posté par atempodiblog le 10 mars 2013

Dio è il Padre che aspetta i suoi figli dans Commenti ai Vangeli festivi

Sant’Ambrogio, commentando questa parabola del padre prodigo d’amore nei confronti del figlio prodigo di peccato, introduce la presenza della Trinità: “Alzati, vieni di corsa alla Chiesa: qui c’è il Padre, qui c’è il Figlio, qui c’è lo Spirito Santo. Egli ti corre incontro, perché ti ascolta mentre stai riflettendo tra te e te nel segreto del cuore. E quando ancora sei lontano, ti vede e si mette a correre. Egli vede nel tuo cuore, accorre perché nessuno ti trattenga, e per di più ti abbraccia… Egli si getta al collo, per sollevare chi giaceva a terra, e per far sì che chi già era oppresso dal peso dei peccati e chino verso le cose terrene, rivolgesse nuovamente lo sguardo al cielo, ove doveva cercare il proprio Creatore. Cristo ti si getta al collo, perché vuol toglierti dalla nuca il giogo della schiavitù e imporre sul tuo collo un dolce giogo” (In Lucam VII, 229-230). 

Tratto dall’Udienza Generale di Giovanni Paolo II del 30 agosto 2000

Inoltre, per approfondire la parabola dei due fratelli e del Padre misericordioso cliccare sui link sottostanti :

2e2mot5 dans Diego Manetti Il pericolo che corrono le persone pie

2e2mot5 dans Diego Manetti Dio è il Padre che aspetta i suoi figli

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La donna dell’Apocalisse e l’anticristo

Posté par atempodiblog le 20 janvier 2013

La donna dell’Apocalisse e l’anticristo
di Ignace de la Potterie – 30Giorni

La donna dell’Apocalisse e l’anticristo dans Anticristo La-bestia-che-sale-dal-mare-una-delle-scene-dell-Apocalisse-affrescata-da-Giusto-de-Menabuoi-nell
La bestia che sale dal mare, una delle scene dell’Apocalisse affrescata da Giusto de’ Menabuoi nell’abside del Battistero di Padova

[...] Erik Peterson (1890-1960) e Heinrich Schlier (1900-1978)[...] Per i due teologi tedeschi, entrambi convertiti dal protestantesimo, le visioni narrate nell’Apocalisse raffigurano la battaglia terribile e insieme reale in corso nella storia tra il Redentore e il suo nemico escatologico. I due esegeti considerano l’anticristo come un attore dell’Apocalisse, rappresentato nei simboli del drago e delle due bestie. Peterson, nel suo studio del 1938 sull’Apocalisse, parlando della bestia che viene dalla terra la identifica con «il falso profeta che si può anche chiamare il teologo dell’anticristo». Schlier più di vent’anni dopo scrive tutto un articolo sull’anticristo concentrandosi unicamente sul capitolo 13 dell’Apocalisse, nel quale egli scopre tutta la simbologia del culto imperiale. L’anticristo nella sua lettura si identifica con l’Impero romano e, più in generale, con le potenze mondane che perseguitano la Chiesa.
A una lettura esclusivamente politica dei segni dell’Apocalisse sono ricorsi in molti nel corso dei secoli, dentro e fuori la Chiesa. Tutti i persecutori e tutti i protagonisti tragici e negativi della storia, fino a Hitler e Stalin, sono stati identificati di volta in volta come personificazioni dell’anticristo. Lutero ha attribuito le caratteristiche dell’anticristo addirittura al papa di Roma.
Una tale inflazione di anticristi rischia di generare equivoci. Per questo sembra opportuno riscoprire cosa è veramente l’anticristo per Giovanni, il discepolo che ne ha parlato.
Innanzitutto c’è da notare che, anche se molti commenti mettono in relazione anticristo e Apocalisse, l’espressione “anticristo” non compare mai esplicitamente nel libro scritto da Giovanni a Patmos. Ci sono, è vero, le figure terribili delle due bestie e del drago. Ma anche qui, se da una parte la bestia che viene dal mare si identifica con Roma e i regni mondani, l’altra bestia, quella che viene dalla terra, rappresenta il potere religioso incarnato dalla casta sacerdotale giudaica (la prostituta), come ha messo bene in rilievo Eugenio Corsini nel suo volume Apocalisse prima e dopo (Sei, Torino 1980). La bestia religiosa è pericolosa in quanto strumento del maligno così come lo sono i grandi poteri mondani.
Se poi vogliamo sapere cosa sia per Giovanni l’anticristo, più che all’Apocalisse dobbiamo guardare alle sue prime due lettere. È qui che il termine anti-cristo, coniato da Giovanni, compare per la prima volta; esso significa: “Colui che è contro Cristo” ossia «colui che nega che Gesù è il Cristo» (1Gv 2, 22). Il brano fondamentale sta un po’ prima: «Figlioli, è l’ultima ora, e avete udito che un anticristo deve venire, ma ora molti anticristi sono apparsi; da ciò riconosciamo che è l’ultima ora. Di mezzo a noi sono usciti, ma non erano di noi; se fossero stati di noi, sarebbero rimasti con noi; ma doveva essere reso manifesto che loro, tutti quanti, non sono di noi» (1Gv 2, 18-19). Ecco, dunque, la prima caratteristica dell’avvento dell’anticristo: si tratta di un evento ecclesiale, prima che politico. L’anticristo come figura misteriosa, ancora non precisata, la cui venuta viene descritta anche da Paolo (2Ts 2, 7-8) come uno dei segni degli ultimi tempi, assume nelle lettere di Giovanni dei connotati storici precisi. Coincide con il manifestarsi della prima dolorosa frattura nel seno della comunità cristiana. Gli anticristi sono i primi eretici, come gli gnostici, coloro cioè che hanno rotto l’unità della comunità attorno a Cristo. Il loro è il delitto più grave, quello che Giovanni chiama «peccato d’iniquità»: essere contro Gesù Cristo. Non riconoscere Gesù venuto nella carne, e quindi, come spiega anche la seconda lettera, voler andare oltre: «Chi va oltre e non rimane nella dottrina di Cristo, non possiede Dio» (2Gv 9). Nella prima lettera, la figura dell’anticristo viene menzionata insieme agli altri due antagonisti dei cristiani: il maligno («Ve lo scrivo, giovani: avete vinto il maligno», 1Gv 2, 13) e il mondo («Non amate il mondo, né ciò che è nel mondo», 1Gv 2, 15). Tra questi tre soggetti c’è un legame stretto: le singole persone, definite anticristi, che rinnegando Gesù Cristo hanno provocato la divisione della comunità, rappresentano un potere collettivo, il mondo, che si è chiuso all’amore del Padre ma che è ispirato dal potere del maligno. In questo senso l’anticristo, in quanto ispirato dal maligno, cioè satana, svela la sua dimensione essenziale, escatologica, che ci riconduce all’Apocalisse. L’evento ecclesiale dello scisma per eresia viene svelato nella sua drammaticità di evento escatologico: dietro il delitto degli anticristi c’è l’azione del maligno nella sua lotta contro il regno messianico. Un’opposizione destinata alla sconfitta, perché il maligno sa che il Signore ha già vinto. Ma proprio l’approssimarsi del rivelarsi definitivo della vittoria rende il diavolo più rabbioso nella persecuzione dei discepoli di Gesù lungo la storia: «Esultate dunque, o cieli, e voi che abitate in essi. Ma guai a voi, terra e mare, perché il diavolo è precipitato sopra di voi pieno di grande furore, sapendo che gli resta poco tempo» (Ap12, 12).

La-donna-vestita-di-sole-e-il-drago-che-tenta-di-divorarne-il-bambino-una-delle-scene-dell-Apocalis dans Commenti al Vangelo
La donna vestita di sole e il drago che tenta di divorarne il bambino, una delle scene dell’Apocalisse affrescata da Giusto de’ Menabuoi nell’abside del Battistero di Padova [© Archivi Alinari, Firenze]

Tutta la seconda parte dell’Apocalisse (capitoli 12-22) è consacrata al destino di persecuzione della Chiesa nel corso del tempo fino alla vittoria finale nella nuova Gerusalemme che scende dal cielo. All’inizio di questa sezione la Chiesa perseguitata è descritta nel simbolo della lotta tra la donna e il drago. Proprio per la figura della donna, oltre alla interpretazione che già nei commenti dei Padri vedeva in essa un’immagine della Chiesa, è stata proposta a partire dal Medioevo una chiave di lettura mariana, che ha influenzato largamente la tradizione iconografica e liturgica. In effetti i primi cristiani e in particolare la comunità giovannea, considerato il rapporto filiale di Giovanni con Maria iniziato sul Calvario, non potevano non riferire l’immagine della donna dell’Apocalisse alla donna concreta di cui parla il Vangelo, la madre di Gesù che egli stesso chiama «donna» prima alle nozze di Cana (Gv 2, 4) e poi quando ella è sotto la croce, insieme a Giovanni («Donna, ecco tuo figlio [...]. Ecco tua madre», Gv 19, 26-27). Si possono fare varie considerazioni che confermano la legittimità della duplice lettura. La donna è vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi. Grida per le doglie del parto e il figlio maschio che partorisce viene insidiato come lei dal drago. Tutti simboli e immagini attribuibili sia a Maria che alla Chiesa. Ad esempio il parto doloroso, che non può essere un riferimento alla natività di Gesù da Maria (lì il parto fu verginale e senza dolore: l’enciclica di Pio XII Mediator Dei, riassumendo tutta la Tradizione, lo ha definito «felice parto»), simboleggia invece l’evento pasquale, con la nascita della Chiesa. Evento che accade proprio ai piedi della croce: Maria e Giovanni ai piedi del Redentore crocifisso sono la Chiesa nascente. Ed è lì che la madre di Gesù diventa madre di tutti i discepoli. Quei discepoli su cui, come dice ancora l’Apocalisse, si riverserà la collera del drago: «Allora, per placare la sua collera contro la donna, il drago se ne andò a guerreggiare con il resto dei suoi figli, cioè quelli che obbediscono agli ordini di Dio e custodiscono la testimonianza di Gesù» (Ap 12, 17).
Se è dunque lecita la lettura mariana della donna dell’Apocalisse, ci interessa qui cogliere proprio il senso della lotta tra la donna Maria e il drago. Ossia la contrapposizione tra Maria e quel simbolo del male escatologico che, come abbiamo visto, per Giovanni emerge storicamente nella fuoriuscita dalla Chiesa dei primi eretici. C’è una bellissima antifona, che s’incontrava nelle feste mariane del passato e che la riforma liturgica ha eliminato sia dal breviario che dal messale: «Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses tu sola interemisti in universo mundo» (Rallegrati, Vergine Maria, tu sola hai distrutto tutte le eresie nel mondo intero). Non è che Maria abbia fatto nella sua vita qualcosa contro le eresie. Ma certo il riconoscimento di Maria nei dogmi mariani è sintomo e baluardo della saldezza della fede. Anche il cardinale Ratzinger, nel suo libro-intervista con Vittorio Messori, sottolinea che «Maria trionfa su tutte le eresie»: se si accorda a Maria il posto che le conviene nella Tradizione e nel dogma, ci si trova già veramente al centro della cristologia della Chiesa. I primi dogmi, riguardanti la verginità perpetua e la maternità divina, ma anche gli ultimi (immacolata concezione e assunzione corporale nella gloria celeste), sono la base sicura per la fede cristiana nell’incarnazione del Figlio di Dio. Ma anche la fede nel Dio vivente, che può intervenire nel mondo e nella materia, così come la fede circa le realtà ultime (risurrezione nella carne, e quindi trasfigurazione dello stesso mondo materiale) è confessata implicitamente nel riconoscimento dei dogmi mariani. Anche per questo si spera che verrà realizzato il progetto di reintrodurre, magari nella festa dell’Assunzione corporea di Maria al cielo, il 15 agosto, la bella antifona accantonata dalla riforma liturgica.

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Al di là delle apparenze

Posté par atempodiblog le 11 novembre 2012

Al di là delle apparenze dans Citazioni, frasi e pensieri vedovaaltempio

“Gesù ci invita a posare, come Lui, uno sguardo buono e giusto sulle persone e sugli eventi. Spesso, ci  lasciamo  impressionare e condizionare dalle apparenze e dagli slogan che distorcono  le cose. Cerchiamo di vedere, al di là di ciò che sembra, la scintilla di bontà che è deposta e che potrà illuminare il nostro giudizio. Allora il nostro rapporto con Dio e con gli altri sarà più vero, e le nostre scelte saranno più libere. L’umiltà ci insegna che noi non valiamo se non quello che siamo davanti a Dio!  Su questo cammino che la Vergine Maria sia il nostro modello!”.

Dall’Angelus del Santo Padre Benedetto XVI (saluto ai pellegrini di lingua francese, traduzione a cura di atempodiblog)

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Le due facce dell’invidia e l’ipocrisia

Posté par atempodiblog le 21 juillet 2012

Le due facce dell’invidia e l’ipocrisia

I farisei però, usciti, tennero consiglio contro di lui
per toglierlo di mezzo. [...]
Dal Vangelo secondo Matteo 12,14-21 di oggi (sabato)

Le due facce dell’invidia e l’ipocrisia dans Commenti al Vangelo rm19g9

Gesù operava il bene e i farisei cercavano di eliminarlo. Il Vangelo ci rivela che la causa di ciò era l’invidia.

L’invidia è ciò che ha provocato il più grande peccato che sia stato mai commesso nella storia umana: l’uccisione di Gesù Cristo.  L’uccisione di Gesù è avvenuta per invidia, ce lo dice il Vangelo. Pilato sapeva che glielo avevano consegnato per invidia. Gesù parla e la gente lo sta ad ascoltare, attira le folle, ha un grande seguito, fa  miracoli, è santo, è sapiente per questo scribi e farisei morivano dì invidia. L’invidia è omicida. Questo tipo d’invidia è l’invidia della grazia altrui.

L’invidia ha due facce: il dispiacersi per il bene degli altri; il godere per il male degli altri. “Ben gli sta! Dio è giusto!” , dicono, “sapevo io!”, “finalmente è caduto, era ora che cadesse!”.  E’ talmente turpe questo sentimento che, come notano anche psicologi, moralisti, ecc., che uno lo dissimula, lo copre, finge di essere amico ma in realtà ha invidia.

L’invidia è dunque collegata all’ipocrisia. Oltre ad essere parente all’ipocrisia, l’invidia è imparentata, diciamo così, al v comandamento (non uccidere): l’invidia è assassina. Quando uno può, facendola franca, cerca di eliminare la persona di cui ha invidia. In che modo si cerca di eliminare le persone la cui grandezza da fastidio? Prima di tutto con la lingua: diffamazione, calunnia, veleni… in modo tale da sminuire quello che la persona è. Si può arrivare anche al vero e proprio omicidio.

L’invidia colpisce alla radice la carità. Fintanto però che uno è invidioso perché ha la panda e un altro la maserati passi! Dove l’invidia uccide davvero l’anima è quando si è invidiosi della grazia altrui. “Quello è più santo di me!”. “Quello ha dei doni che io non ho!”. Allora scoppia l’invidia spirituale che uccide la carità. Essa diventa un peccato contro lo Spirito Santo perché Egli è colui che ha fatto quei doni alla persona.

Una volta parlando con un sacerdote delle apparizioni di Medjugorje si è arrabbiato, ha battuto forte un pugno sul tavolo ed ha esclamato “E perché non è apparsa a me?”. Non credevo a quello che sentivo… D’altra parte una malattia del genere ce l’aveva la maestra delle novizie di Bernadette Soubirous, la quale diceva “Non capisco per quale motivo la Madonna dovrebbe apparire a una contadinella ignorante quando ci sono tante religiose virtuose”, alludendo a se stessa naturalmente… poi divenne madre generale.

Riassunto di una catechesi di Padre Livio Fanzaga

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La correzione non sia un atto di accusa

Posté par atempodiblog le 14 juillet 2012

La correzione non sia un atto di accusa dans Commenti al Vangelo Cantalamessa

Nel Vangelo [...] leggiamo: «In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato un fratello». Gesù parla di ogni colpa; non restringe il campo alla colpa commessa nei nostri confronti. In quest’ultimo caso infatti è praticamente impossibile distinguere se a muoverci è lo zelo per la verità, o se non è invece il nostro amor proprio ferito. In ogni caso, sarebbe più autodifesa che correzione fraterna. Quando la mancanza è nei nostri confronti, il primo dovere non è la correzione ma il perdono.

Perché Gesù dice: «ammoniscilo fra te e lui solo»? Anzitutto per rispetto al buon nome del fratello, alla sua dignità. La cosa peggiore sarebbe voler correggere un marito in presenza della moglie, o una moglie in presenza del marito, un padre davanti ai suoi figli, un maestro davanti agli scolari, o un superiore davanti ai sudditi. Cioè, alla presenza delle persone al cui rispetto e alla cui stima uno tiene di più. La cosa si trasforma immediatamente in un processo pubblico. Sarà ben difficile che la persona accetti di buon grado la correzione. Ne va della sua dignità.

Dice «fra te e lui solo» anche per dare la possibilità alla persona di potersi difendere e spiegare il proprio operato in tutta libertà. Molte volte infatti quello che a un osservatore esterno sembra una colpa, nelle intenzioni di chi l’ha commessa non lo è. Una franca spiegazione dissipa tanti malintesi. Ma questo non è più possibile quando la cosa è portata a conoscenza di molti.
Quando, per qualsiasi motivo, non è possibile correggere fraternamente, da solo a solo, la persona che ha sbagliato, c’è una cosa che bisogna assolutamente evitare di fare al suo posto, ed è di divulgare, senza necessità, la colpa del fratello, sparlare di lui o addirittura calunniarlo, dando per provato quello che non lo è, o esagerando la colpa. «on sparlate gli uni degli altri», dice la Scrittura (Gc 4,11). Il pettegolezzo non è cosa meno brutta e riprovevole solo perché adesso gli si è cambiato il nome e oggi lo si chiama «gossip».

Una volta una donna andò a confessarsi da san Filippo Neri, accusandosi di aver sparlato di alcune persone. Il santo l’assolse, ma le diede una strana penitenza. Le disse di andare a casa, di prendere una gallina e di tornare da lui, spiumandola ben bene lungo la strada. Quando fu di nuovo davanti a lui, le disse: «Adesso torna a casa e raccogli una ad una le piume che hai lasciato cadere venendo qui ». La donna gli fece osservare che era impossibile: il vento le aveva certamente disperse dappertutto nel frattempo. Ma qui l’aspettava san Filippo. «Vedi – le disse – come è impossibile raccogliere le piume, una volta sparse al vento, così è impossibile ritirare mormorazioni e calunnie una volta che sono uscite dalla bocca ».

Tornando al tema della correzione, dobbiamo dire che non sempre dipende da noi il buon esito nel fare una correzione (nonostante le nostre migliori disposizioni, l’altro può non accettarla, irrigidirsi); in compenso dipende sempre ed esclusivamente da noi il buon esito nel… ricevere una correzione. Infatti la persona che «ha commesso una colpa» potrei benissimo essere io e il «correttore» essere l’altro: il marito, la moglie, l’amico, il confratello o il padre superiore.

Insomma, non esiste solo la correzione attiva, ma anche quella passiva; non solo il dovere di correggere, ma anche il dovere di lasciarsi correggere. Ed è qui anzi che si vede se uno è maturo abbastanza per correggere gli altri. Chi vuole correggere qualcuno deve anche essere pronto a farsi, a sua volta, correggere. Quando vedete una persona ricevere un’osservazione e la sentite rispondere con semplicità: «Hai ragione, grazie per avermelo fatto notare!», levatevi tanto di cappello: siete davanti a un vero uomo o a una vera donna.

L’insegnamento di Cristo sulla correzione fraterna dovrebbe sempre essere letto unitamente a ciò che egli dice in un’altra occasione: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo?  (Lc 6, 41 s.).

Quello che Gesù ci ha insegnato circa la correzione può essere molto utile anche nell’educazione dei figli. La correzione è uno dei doveri fondamentali del genitore. «Qual è il figlio che non è corretto dal padre?», dice la Scrittura (Eb 12,7); e ancora: «Raddrizza la pianticella finché è tenera, se non vuoi che cresca irrimediabilmente storta». La rinuncia totale a ogni forma di correzione è uno dei peggiori servizi che si possano rendere ai figli e purtroppo oggi è frequentissima.

Solo bisogna evitare che la correzione stessa si trasformi in un atto di accusa o in una critica. Nel correggere bisogna piuttosto circoscrivere la riprovazione all’errore commesso, non generalizzarla, riprovando in blocco tutta la persona e la sua condotta. Anzi, approfittare della correzione per mettere prima in luce tutto il bene che si riconosce nel ragazzo e come ci si aspetta da lui molto. In modo che la correzione appaia più un incoraggiamento che una squalifica. Era questo il metodo usato da S. Giovanni Bosco con i ragazzi.

Non è facile, nei singoli casi, capire se è meglio correggere o lasciar correre, parlare o tacere. Per questo è importante tener conto della regola d’oro, valida per tutti i casi, che l’Apostolo dà nella seconda lettura: »Non abbiate nessun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole… L’amore non fa nessun male al prossimo». Agostino ha sintetizzato tutto ciò nella massima «Ama e fa’ ciò che vuoi ». Bisogna assicurarsi anzitutto che ci sia nel cuore una fondamentale disposizione di accoglienza verso la persona. Dopo, qualsiasi cosa si deciderà di fare, sia correggere che tacere, sarà bene, perché l’amore «non fa mai male a nessuno».

di Padre Raniero Cantalamessa

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Dio è il Padre che aspetta i suoi figli

Posté par atempodiblog le 10 juillet 2012

Dio è il Padre che aspetta i suoi figli
di Don Bruno Ferrero sdb
Tratto da: Don Bosco Torino

Dio è il Padre che aspetta i suoi figli dans Commenti al Vangelo

Una catechista aveva raccontato ai suoi ragazzi del catechismo la parabola del figliol prodigo, ma si era accorta che dopo un po’ molti si erano distratti. Allora aveva chiesto che gliene scrivessero il riassunto.

Uno di loro scrisse così: « Un uomo aveva due figli, quello più giovane però non ci stava volentieri a casa, e un giorno se ne andò via lontano, portandosi con sé tutti i soldi. Ma ad un certo punto questi soldi finirono e allora il ragazzo decise di tornare a casa perché non aveva neanche da mangiare. Quando stava per arrivare, suo padre lo vide e tutto contento prese un bel bastone e gli corse incontro. Per strada incontrò l’altro figlio, quello buono, che gli chiese dove stava andando così di corsa e con quell’arnese: « È tornato quel disgraziato di tuo fratello; dopo quel che ha fatto si merita un bel po’ di botte! ». « Vuoi che ti aiuti anch’io, papà? ». « Certo », rispose il padre.
E così, in due, lo riempirono di bastonate. Alla fine il padre chiamò un servo e gli disse di uccidere il vitello più grasso e di fare una grande festa, perché s’era finalmente tolto la voglia di suonargliele a quel figlio che gliel’aveva combinata proprio grossa! ».

Il bambino ha dimenticato la conclusione di Gesù e prosegue il racconto con la logica di quello che sente e vede ogni giorno. Perché capire la logica del cuore di Dio è difficile per tutti.
Quando le cose sono difficili da spiegare, Gesù racconta.
Per spiegare il cuore di Dio racconta la parabola che abbiamo ascoltato e che conosciamo così bene: la parabola del padre e dei due figli. Come di solito accade, il problema sono i figli!
Il figlio più giovane parte. Va a stare per conto suo. Se ne va di casa. Ma vuole la sua parte di eredità, che è come dire al padre: « Tu per me sei già morto! »

Il figlio più giovane è un gradasso fanfarone, ma in quanti modi più o meno sottili si preferisce starsene lontani da casa… Quanti « andar via di casa » spirituali!
Andarsene da casa significa ignorare la verità che Dio mi ha « formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra e tessuto nel seno di mia madre ».
Andarsene da casa è lasciare il centro del mio essere dove si può udire la voce che dice: « Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto ».
In qualche modo si diventa sordi alla voce che ci chiama « figlio prediletto ».

Qui la domanda in questione è la seguente: dovendo scegliere tra Dio e questo mondo, chi scelgo?
Quanti sono i figli di Dio che scelgono la via del mondo, lontano da quella casa in cui magari soo cresciuti?
Sotto tutto questo c’è la grande ribellione, il « no » radicale all’amore del Padre, la maledizione non detta: « Ti vorrei morto! » Caro Dio, vorrei tanto che tu non esistessi.

André Comte-Sponville scrive: « Non ho solo ricevuto un’educazione cristiana; ho creduto in Dio, di una fede ardente anche se attraversata dal dubbio, fino a più o meno diciott’anni. Poi l’ho perduta, ed è stato come una liberazione: tutto è divenuto più semplice, più leggero, più aperto, più forte! Come essere uscito dall’infanzia, dai suoi sogni e dalle sue paure, dai suoi sudori freddi e dai suoi languori, come se finalmente facessi il mio ingresso nel mondo reale, quello degli adulti, dell’azione, della verità senza perdono né Provvidenza. E che libertà! Che responsabilità! Che gioia! Sì, ho la sensazione di vivere meglio – più lucidamente, più liberamente, più intensamente – da quando sono ateo ».
Il « no » del figlio prodigo riflette la ribellione originale.

Il figlio maggiore, da buon primogenito, è migliore?
In realtà è più « partito » dell’altro…
Esteriormente fa tutte le cose che si suppone faccia un bravo figlio, ma, interiormente, si è allontanato da suo padre. Fa il proprio dovere, lavora sodo ogni giorno e adempie tutti i suoi obblighi, ma è diventato sempre più infelice e meno libero.
Perduto nel risentimento.
Lo stare con il Padre è come un peso che grava sulle spalle: « Ecco io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito ad un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici »
E’ diventato un estraneo in casa sua! Non c’è più autentica comunione.
In questo lamento, l’obbedienza e l’amore sono diventati un peso e il servizio è una schiavitù.
Molti figli e figlie maggiori si sono perduti rimanendo sempre a casa. Questo smarrimento è caratterizzato dalla facilità a giudicare e condannare, dalla rabbia e dal risentimento, dall’amarezza e
dalla gelosia: è dannoso e devastante per il cuore dell’uomo.
Il peccato del figlio minore è facile da capire
Lo smarrimento del figlio maggiore, invece, è molto più difficile da identificare. Dopo tutto fa le cose per bene.
C’è tanto risentimento tra i giusti e i retti. C’è tanta facilità a giudicare, condannare. Esistono tanti pregiudizi tra i « santi ». Senza gioia.
La domanda in questione è « Perché io non sono felice nella casa del Signore? »

Il figlio minore ritorna. Gli amici lo avevano tenuto in considerazione soltanto finché era stato utile ai loro interessi.
Una voce che piange dentro… A casa! Rivendicare la condizione di figlio.
Mentre cammina verso la meta, continua a nutrire dubbi: sarò veramente bene accolto una volta arrivato? La fede nel perdono totale e assoluto non arriva subito.
E’ come dire: « Beh, non ce l’ho fatta da solo devo riconoscere che Dio è l’unica risorsa che mi è rimasta. Andrò chiederò perdono nella speranza di ricevere una punizione minore »
Si accontenta di soluzioni parziali, come quella di diventare un garzone. Come garzone posso ancora mantenere le distanze, ribellarmi, rifiutare, scioperare, scappare via o lamentarmi della paga.

Ma Gesù dice espressamente che la via verso Dio è identica a quella verso una nuova infanzia. « Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli » e a Nicodemo: « Bisogna rinascere! »
Diventare un bambino significa vivere una seconda innocenza: non l’innocenza del neonato, ma l’innocenza a cui si arriva attraverso scelte consapevoli.
Come possono essere descritti coloro che sono giunti a questa seconda infanzia, a questa seconda innocenza? Gesù lo dice molto chiaramente: sulla montagna, raduna i discepoli intorno a sé e dice: beati i poveri. beati i miti, beati gli afflitti, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati i misericordiosi, beati i puri di cuore, beati gli operatori di pace, beati i perseguitati per causa della giustizia. Le Beatitudini sono la meta del cristiano.

E il figlio maggiore? Entrerà? E’ disposto ad ammettere di non essere migliore del fratello? E’ molto più difficile per il figlio maggiore tornare a casa, capire.
Anche se il Padre va incontro al figlio maggiore proprio come ha fatto con il figlio più giovane:

« Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo »

E’ una dichiarazione di amore incondizionato.
Proprio quello che Dio afferma in Isaia: « Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani ».
Sono le parole di Gesù che riflettono l’amore materno di Dio: « Gerusalemme, Gerusalemme . . . quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli sotto le ali, e voi non avete voluto! »

La domanda non è « come posso conoscere Dio? », ma « come posso farmi conoscere da Dio? ».
E, infine, la domanda non è « come posso amare Dio? » Ma « come posso lasciarmi amare da Dio? »
In tutte e tre le parabole che Gesù racconta per rispondere alla domanda del perché egli mangi con i peccatori pone l’accento sull’iniziativa di Dio.
Dio è il pastore che va alla ricerca della pecorella smarrita.
Dio è la donna che accende la lucerna, spazza la casa cerca ovunque la dramma perduta finché non la ritrova.
Dio è il padre che veglia e aspetta i suoi figli,
Può suonare strano, ma Dio vuole trovare me, se non di più, perlomeno quanto io voglio trovare lui.
Si, Dio ha bisogno di me quanto io ho bisogno di lui.
Un invito alla gioia: vuole che tutti vi partecipino. E’ l’ultima cena. E’ il Paradiso.

Non perdiamo troppo tempo a identificarci con l’uno o con l’altro dei figli: andiamo, facciamo il viaggio!
Diciamo: « Sono qui! Sono tornato! »
Noi vogliamo toccare Dio. Ma Dio ci tocca a sua volta?
Dio fa di più: ci accoglie in un abbraccio eterno!
Tutti sappiamo che cosa significa essere abbracciati e abbracciare.

« Una bambina consegnò alla maestra un foglietto su cui aveva scritto la sua personale « ricetta della vita ». Diceva:
« Ci vogliono quattro abbracci al giorno per sopravvivere;
ci vogliono otto abbracci al giorno per tirare avanti;
ci vogliono dodici abbracci al giorno per crescere ».

Conosciamo tutti quell’abbraccio speciale che dice: « Non è niente! E’ tutto passato! Coraggio… »
Così è l’abbraccio di Dio che possiamo provare concretamente nel Sacramento della Riconciliazione.

Ancora un passo dobbiamo fare: prendere sul serio le parole di Gesù riportate in Luca 6, 36: « Siate anche voi (misericordiosi) pieni di bontà, così come Dio, vostro Padre, è (misericordioso) pieno di bontà ».
Dobbiamo diventare il Padre. Se Dio perdona i peccatori, anche coloro che hanno fede in Dio dovrebbero fare lo stesso.
Diventare come il Padre celeste non è solo un aspetto importante dell’insegnamento di Gesù, ma è il cuore stesso del suo messaggio. Possiamo essere come lui, amare come lui, essere buoni come lui, prenderci cura degli altri come lui. Gesù è categorico su questo punto quando dichiara: « Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso ».
Soltanto i cristiani possiedono la logica del perdono.

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L’incredulità di Tommaso

Posté par atempodiblog le 14 avril 2012

L’incredulo Tommaso che ha bisogno di vedere e toccare per poter credere, mette la sua mano nel fianco aperto del Signore e, nel toccare, conosce l’intoccabile e lo tocca realmente, guarda all’invisibile e lo vede veramente: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28) [...] Noi siamo tutti come Tommaso, l’incredulo, ma noi tutti, come lui, possiamo toccare lo scoperto cuore di Gesù; ed in esso toccare, guardare il Logos stesso, così, mano e cuore rivolti a questo cuore, giungere alla confessione: “Mio Signore e mio Dio”.

Joseph Ratzinger – Guardare al crocifisso

L'incredulità di Tommaso dans Commenti al Vangelo L-incredulit-di-Tommaso

“Tu hai creduto perché hai visto” – dice Gesù a Tommaso – “beati coloro che senza aver visto [ossia che senza aver visto me, direttamente] hanno creduto”. E l’allusione non è ai fedeli che vengono dopo, che dovrebbero “credere senza vedere”, ma agli apostoli e ai discepoli che per primi hanno riconosciuto che Gesù era risorto, pur nell’esiguità dei segni visibili che lo testimoniavano. In particolare il riferimento indica proprio Giovanni, che con Pietro era corso al sepolcro per primo dopo che le donne avevano raccontato l’incontro con gli angeli e il loro annuncio che Gesù Cristo era risorto. Giovanni, entrato dopo Pietro, aveva visto degli indizi, aveva visto la tomba vuota, e le bende rimaste vuote del corpo di Gesù senza essere sciolte, e pur nell’esiguità di tali indizi aveva cominciato a credere. La frase di Gesù “beati quelli che pur senza aver visto [me] hanno creduto” rinvia proprio al “vidit et credidit” riferito a Giovanni al momento del suo ingresso nel sepolcro vuoto. Riproponendo l’esempio di Giovanni a Tommaso, Gesù vuole indicare che è ragionevole credere alla testimonianza di coloro che hanno visto dei segni, degli indizi della sua presenza viva. Non è la richiesta di una fede cieca, è la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili. L’imprecisione introdotta dai traduttori riguardo al tempo dei verbi usati da Gesù è servita a cambiare il senso delle sue parole e a riferirle non più a Giovanni e agli altri discepoli, ma ai credenti futuri. E’ passata così inconsapevolmente l’interpretazione del teologo esegeta protestante Rudolf Bultmann,che traduceva i due verbi del passo al presente (“Beati coloro che non vedono e credono”) per presentarla “come una critica radicale dei segni e delle apparizioni pasquali e come un’apologia della fede privata di ogni appoggio esteriore” (Donatien Mollat). Mentre è esattamente il contrario. “Ciò che viene rimproverato a Tommaso non è di aver visto Gesù. Il rimprovero cade sul fatto che all’inizio Tommaso si è chiuso e non ha dato credito alla testimonianza di coloro che gli dicevano di aver visto il Signore vivo. Sarebbe stato meglio per lui dare un credito iniziale ai suoi amici, nell’attesa di rifare di persona l’esperienza che loro avevano fatto. Invece Tommaso ha quasi preteso di dettare lui le condizioni della fede”.
Per approfondire Freccia dans Viaggi & Vacanze Non è la richiesta di una fede cieca


“I discepoli sono pieni di gioia «alla vista del Signore». Diranno a Tommaso: «Abbiamo visto il Signore». Lo avevano riconosciuto prima che aprisse bocca, perché avevano accettato la testimonianza della Maddalena. E’ molto importante saper accettare una cosa su testimonianza. Ciò che Tommaso non fa. Lui diffida della testimonianza dei suoi amici. Gesù voleva educare il loro sguardo così: la prima tappa è il vedere fisico, i segni, quindi il vedere su testimonianza, infine vedere e contemplare con lo sguardo trasformato dallo Spirito che permette di cogliere il senso delle cose, tutta la profondità della realtà”.
Per approfondire Freccia dans Viaggi & Vacanze Guardare per credere

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Papa: La violenza, strumento dell’anticristo, disumanizza l’umanità. Gesù inaugura il nuovo culto dell’amore

Posté par atempodiblog le 11 mars 2012

Papa: La violenza, strumento dell’anticristo, disumanizza l’umanità. Gesù inaugura il nuovo culto dell’amore
All’Angelus Benedetto XVI spiega che Gesù non è un politico rivoluzionario. Il suo zelo non è simile a quello degli zeloti, ma è quello « dell’amore che paga di persona ». Con la Pasqua Gesù inaugura un nuovo culto, quello dell’amore, e un nuovo tempio che è Lui stesso. Appello per la popolazione del Madagascar, colpita da cicloni e tempeste tropicali, che hanno fatto centinaia di vittime e oltre 300mila senzatetto.
Fonte: AsiaNews

Papa: La violenza, strumento dell'anticristo, disumanizza l'umanità. Gesù inaugura il nuovo culto dell'amore dans Anticristo

« La violenza è contraria al Regno di Dio, è uno strumento dell’anticristo. La violenza non serve mai all’umanità, ma la disumanizza »; « è impossibile interpretare Gesù come un violento »: è quanto Benedetto XVI ha affermato oggi nel sua riflessione prima dell’Angelus con i pellegrini in piazza san Pietro, commentando il vangelo della terza domenica di Quaresima, che propone l’episodio della cacciata dei mercanti dal tempio di Gerusalemme (Giov. 2, 13-25).

In passato, diversi teologi hanno dedotto da questo fatto l’urgenza per i cristiani di impegnarsi in azioni rivoluzionarie violente.

« La cacciata dei venditori dal tempio – ha spiegato il papa –  è stata anche interpretata in senso politico rivoluzionario, collocando Gesù nella linea del movimento degli zeloti. Questi erano, appunto, « zelanti » per la legge di Dio e pronti ad usare la violenza per farla rispettare. Ai tempi di Gesù attendevano un Messia che liberasse Israele dal dominio dei Romani. Ma Gesù deluse questa attesa, tanto che alcuni discepoli lo abbandonarono e Giuda Iscariota addirittura lo tradì. In realtà, è impossibile interpretare Gesù come un violento: la violenza è contraria al Regno di Dio, è uno strumento dell’anticristo. La violenza non serve mai all’umanità, ma la disumanizza ».

« Ascoltiamo allora – ha aggiunto –  le parole che Gesù disse compiendo quel gesto: ‘Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!’. E i discepoli allora si ricordarono che sta scritto in un Salmo: ‘Mi divora lo zelo per la tua casa’ (69,10). Questo salmo è un’invocazione di aiuto in una situazione di estremo pericolo a causa dell’odio dei nemici: la situazione che Gesù vivrà nella sua passione. Lo zelo per il Padre e per la sua casa lo porterà fino alla croce: il suo è lo zelo dell’amore che paga di persona, non quello che vorrebbe servire Dio mediante la violenza. Infatti il ‘segno’ che Gesù darà come prova della sua autorità sarà proprio la sua morte e risurrezione. ‘Distruggete questo tempio – disse – e in tre giorni lo farò risorgere’. E san Giovanni annota: « ‘Egli parlava del tempio del suo corpo’ (Gv 2,20-21). Con la Pasqua di Gesù inizia un nuovo culto, il culto dell’amore, e un nuovo tempio che è Lui stesso, Cristo risorto, mediante il quale ogni credente può adorare Dio Padre ‘in spirito e verità’ (Gv 4,23). Cari amici, lo Spirito Santo ha iniziato a costruire questo nuovo tempio nel grembo della Vergine Maria. Per sua intercessione, preghiamo perché ogni cristiano diventi pietra viva di questo edificio spirituale ».

Dopo la preghiera mariana, Benedetto XVI ha lanciato un appello per la popolazione del Madagascar, colpita nelle ultime settimane dal ciclone Giovanna (13 febbraio)  e dalla tempesta tropicale Irina (26 febbraio – 2 marzo) che ha fatto centinaia di vittime e ha distrutto le case di oltre 30mila persone. « Il mio pensiero – ha detto il papa – va anzitutto alle care popolazioni del Madagascar, che recentemente sono state colpite da violente calamità naturali, con gravi danni alle persone, alle strutture e alle coltivazioni. Mentre assicuro la mia preghiera per le vittime e per le famiglie maggiormente provate, auspico e incoraggio il generoso soccorso della comunità internazionale ».

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I mercanti nel tempio

Posté par atempodiblog le 11 mars 2012

I mercanti nel tempio dans Commenti al Vangelo

Durante l’ingresso a Gerusalemme, la gente rende omaggio a Gesù come figlio di Davide con le parole del Salmo 118 [117] dei pellegrini: « Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli! » (Mt 21, 9). Poi Egli arriva al tempio. Ma là dove doveva esservi lo spazio dell’incontro tra Dio e l’uomo, Egli trova commercianti di bestiame e cambiavalute che occupano con i loro affari il luogo di preghiera. Certo, il bestiame lì in vendita era destinato ai sacrifici da immolare nel tempio. E poiché nel tempio non si potevano usare le monete su cui erano rappresentati gli imperatori romani che stavano in contrasto col Dio vero, bisognava cambiarle in monete che non portassero immagini idolatriche. Ma tutto ciò poteva essere svolto altrove: lo spazio dove ora ciò avveniva doveva essere, secondo la sua destinazione, l’atrio dei pagani. Il Dio d’Israele, infatti, era appunto l’unico Dio di tutti i popoli. E anche se i pagani non entravano, per così dire, nell’interno della Rivelazione, potevano tuttavia, nell’atrio della fede, associarsi alla preghiera all’unico Dio. Il Dio d’Israele, il Dio di tutti gli uomini, era in attesa sempre anche della loro preghiera, della loro ricerca, della loro invocazione. Ora, invece, vi dominavano gli affari – affari legalizzati dall’autorità competente che, a sua volta, era partecipe del guadagno dei mercanti. I mercanti agivano in modo corretto secondo l’ordinamento vigente, ma l’ordinamento stesso era corrotto. « L’avidità è idolatria », dice la Lettera ai Colossesi (cfr 3, 5). È questa l’idolatria che Gesù incontra e di fronte alla quale cita Isaia: « La mia casa sarà chiamata casa di preghiera » (Mt 21, 13; cfr Is 56, 7) e Geremia: « Ma voi ne fate una spelonca di ladri » (Mt 21, 13; cfr Ger 7, 11). Contro l’ordine interpretato male Gesù, con il suo gesto profetico, difende l’ordine vero che si trova nella Legge e nei Profeti.

Tutto ciò deve oggi far pensare anche noi come cristiani: è la nostra fede abbastanza pura ed aperta, così che a partire da essa anche i « pagani », le persone che oggi sono in ricerca e hanno le loro domande, possano intuire la luce dell’unico Dio, associarsi negli atri della fede alla nostra preghiera e con il loro domandare diventare forse adoratori pure loro? La consapevolezza che l’avidità è idolatria raggiunge anche il nostro cuore e la nostra prassi di vita? Non lasciamo forse in vari modi entrare gli idoli anche nel mondo della nostra fede? Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario?

Benedetto XVI

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Il pericolo che corrono le persone pie

Posté par atempodiblog le 10 mars 2012

La parabola dei due fratelli (il figlio prodigo e il figlio rimasto a casa) e del padre buono (Lc 15,11-31)

Il pericolo che corrono le persone pie dans Commenti al Vangelo

In Gesù il discorso sul fratello maggiore, appunto, non ha semplicemente di mira Israele (anche i peccatori che si recavano da Lui erano ebrei), ma il pericolo specifico dei pii, di coloro che con Dio sono in regola, “en règle”, come si esprime Grelot (p. 229) mettendo in risalto la breve frase: “Non ho mai trasgredito un tuo comando”. Per loro, Dio è soprattutto Legge; si vedono in rapporto giuridico con Dio e sotto questo aspetto sono alla pari con Lui. Ma Dio è più grande: devono convertirsi dal Dio Legge al Dio più grande, al Dio dell’amore. Allora non abbandoneranno la loro obbedienza, ma essa verrà da fonti più profonde e perciò sarà più grande, più sincera e pura, ma soprattutto anche più umile.
Aggiungiamo, come ulteriore punto di vista, una cosa già accennata prima: nell’amarezza interiore per l’obbedienza prestata, che denuncia i limiti di tale obbedienza: dentro di sé, in fondo, avrebbero gradito anch’essi di andarsene verso la grande libertà. C’è un’invidia nascosta per quello che l’altro ha potuto permettersi. Non hanno percorso il cammino che ha purificato il fratello più giovane e gli ha fatto conoscere che cosa significa la libertà. Che cosa significa essere figlio.
Gestiscono la loro libertà, in definitiva, come una schiavitù e non sono maturi fino al vero essere di figli.
Anche loro hanno ancora bisogno di un cammino; possono trovarlo se semplicemente danno ragione a Dio, accettando la sua festa come fosse anche la loro.
In questo modo, con la parabola il Padre attraverso Cristo parla a noi che siamo rimasti a casa, perché anche noi ci convertiamo per davvero e gioiamo della nostra fede.

Tratto da: Gesù di Nazaret, Ed. Rizzoli – Benedetto XVI

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