Il Papa: nessun peccato può cancellarci dal cuore di Dio, lasciamoci trasformare da Gesù

Posté par atempodiblog le 3 novembre 2013

“Non c’è peccato o crimine” che possa “cancellare dalla memoria e dal cuore di Dio uno solo dei suoi figli”.
E’ quanto affermato da Papa Francesco all’Angelus in Piazza San Pietro, gremita di fedeli come di consueto la domenica. Il Papa si è soffermato sull’incontro tra Gesù e il pubblicano Zaccheo narrato dal Vangelo per ribadire che Dio sempre aspetta di veder rinascere nel cuore dei peccatori “il desiderio del ritorno a casa”.

di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

Il Papa: nessun peccato può cancellarci dal cuore di Dio, lasciamoci trasformare da Gesù  dans Commenti al Vangelo j8fzUn incontro che cambia la vita per sempre. Papa Francesco si è soffermato all’Angelus sull’incontro tra il Signore e il pubblicano Zaccheo. Incontro che avviene a Gerico, mentre Gesù è in cammino verso Gerusalemme:

“Questa è l’ultima tappa di un viaggio che riassume in sé il senso di tutta la vita di Gesù, dedicata a cercare e salvare le pecore perdute della casa d’Israele. Ma quanto più il cammino si avvicina alla meta, tanto più attorno a Gesù si va stringendo un cerchio di ostilità”.

Eppure, ha proseguito, proprio a Gerico accade “uno degli eventi più gioiosi narrati da san Luca: la conversione di Zaccheo”. Quest’uomo, ha detto il Papa, “è una pecora perduta, è disprezzato e scomunicato, perché è un pubblicano”, “amico degli odiati occupanti romani, ladro e sfruttatore”. A Zaccheo viene dunque impedito di avvicinarsi a Gesù per la sua cattiva fama, ma lui non si dà per vinto e si arrampica su un albero per poterlo vedere passare. “Questo gesto esteriore, un po’ ridicolo – ha osservato – esprime però l’atto interiore dell’uomo che cerca di portarsi sopra la folla per avere un contatto con Gesù”. Zaccheo stesso, ha soggiunto, “non sa il senso profondo del suo gesto” e “nemmeno osa sperare che possa essere superata la distanza che lo separa dal Signore”. Si rassegna “a vederlo solo di passaggio”:

“Ma Gesù, quando arriva vicino a quell’albero, lo chiama per nome: ‘Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua’ (Lc 19,5). Quell’uomo piccolo di statura, respinto da tutti e distante da Gesù, è come perduto nell’anonimato; ma Gesù lo chiama, e quel nome, Zaccheo, nella lingua di quel tempo, ha un bel significato pieno di allusioni: ‘Zaccheo’ infatti vuol dire ‘Dio ricorda’. E’ bello: ‘Dio ricorda’”.

Gesù va, dunque, nella casa di Zaccheo, “suscitando le critiche di tutta la gente di Gerico” perché invece di visitare “le brave persone che ci sono in città, va a stare proprio” da un pubblicano. Ed il Papa ha chiosato: “anche in quel tempo si chiacchierava tanto”. A costoro, Gesù risponde che va da Zaccheo proprio “perché lui era perduto”. “Anch’egli è figlio di Abramo”, aggiunge, e da ora nella sua casa, nella sua vita, entra la gioia:

“Non c’è professione o condizione sociale, non c’è peccato o crimine di alcun genere che possa cancellare dalla memoria e dal cuore di Dio uno solo dei suoi figli. ‘Dio ricorda’, sempre, non dimentica nessuno di quelli che ha creato; Egli è Padre, sempre in attesa vigile e amorevole di veder rinascere nel cuore del figlio il desiderio del ritorno a casa. E quando riconosce quel desiderio, anche semplicemente accennato, e tante volte quasi incosciente, subito gli è accanto, e con il suo perdono gli rende più lieve il cammino della conversione e del ritorno”.

Guardiamo Zaccheo oggi sull’albero, ha esortato Papa Francesco: “è ridicolo”, ma il suo “è un gesto di salvezza”:

“Ed io dico a te: se tu hai un peso sulla tua coscienza, se tu hai vergogna di tante cose che hai commesso, fermati un po’, non spaventarti, pensa che Uno ti aspetta, perché mai ha smesso di ricordarti, di pensarti. E questo è il tuo Padre, è Dio, è Gesù che ti aspetta. Arrampicati, come aveva fatto Zaccheo; sali sull’albero della voglia di essere perdonato. Io ti assicuro che non sarai deluso. Gesù è misericordioso e mai si stanca di perdonare. Ricordartelo bene, eh! Così è Gesù”.

Anche oggi, ha detto ancora il Papa, lasciamoci come Zaccheo “chiamare per nome da Gesù”. Anche noi, ha riaffermato, “ascoltiamo la sua voce che ci dice: ‘Oggi devo fermarmi a casa tua’”, “nella tua vita” e “nel tuo cuore”.

“E accogliamolo con gioia: Lui può cambiarci, può trasformare il nostro cuore di pietra in cuore di carne, può liberarci dall’egoismo e fare della nostra vita un dono d’amore. Gesù può farlo. Lasciati guardare da Gesù”.

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Solo Dio è autentico dispensatore della giustizia

Posté par atempodiblog le 27 octobre 2013

Sui sentieri della Parola: Il fariseo e il pubblicano: la superbia e la verità
Solo Dio è autentico dispensatore della giustizia
di Mons. Marco Frisina – RomaSette

Solo Dio è autentico dispensatore della giustizia dans Commenti al Vangelo ut1r

In questi tempi si sente spesso parlare di giustizia: molti sono impegnati nel giustificare le proprie azioni, altri sono pronti ad accusare gli altri di vere o presunte colpe e chi lo fa si sente sempre con le “mani pulite” e pretende che gli venga riconosciuta l’innocenza. Ma la giustizia è altro e solo Dio ne è autentico dispensatore. Quando noi giudichiamo il prossimo lo facciamo per proclamare la nostra innocenza e ci poniamo al di sopra degli altri sostituendoci a Dio. Nella parabola del fariseo e del pubblicano Gesù ci presenta proprio questa situazione, un uomo “per bene” che giudica un povero peccatore. Sulla bilancia della sua personale giustizia egli pone da una parte se stesso e il suo non essere “come gli altri uomini”, dall’altra parte pone il pubblicano con la sua inettitudine e miseria. Ma la verità del pubblicano attira lo sguardo di Dio che esaudisce la richiesta di perdono e lo giustifica concedendogli la sua misericordia. Il fariseo è così superbo da credere di non dover chiedere il perdono e per questo non lo ottiene.

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Il Papa: una preghiera fatta col cuore apre la porta a Dio e produce miracoli

Posté par atempodiblog le 8 octobre 2013

Un cuore che sa pregare e sa perdonare. Da questo si riconosce un cristiano. Lo ha spiegato questa mattina Papa Francesco all’omelia della Messa presieduta in Casa Santa Marta. E proprio dal Vangelo dedicato alla Santa cui è intitolata la sua residenza, il Papa ha preso le mosse per ricordare che la “preghiera fa miracoli”, purché non sia frutto di un atto meccanico.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

Il Papa: una preghiera fatta col cuore apre la porta a Dio e produce miracoli dans Commenti al Vangelo ailf

Marta e il profeta Giona. Queste figure plastiche del Nuovo e dell’Antico Testamento, presentate dalla liturgia odierna, erano accomunate da una identica incapacità: non sapevano pregare. Papa Francesco ha sviluppato l’omelia su questo aspetto, partendo dalla famosa scena del Vangelo in cui Marta chiede quasi in tono di rimprovero a Gesù che la sorella l’aiuti a servire, invece di rimanere ferma ad ascoltarlo, mentre Gesù replica: “Maria ha scelto la parte migliore”. E questa “parte”, ribadisce Papa Francesco, è “quella della preghiera, quella della contemplazione di Gesù”:

“Agli occhi della sorella era perdere tempo, anche sembrava, forse, un po’ fantasiosa: guardare il Signore come se fosse una bambina meravigliata. Ma chi la vuole? Il Signore: ‘Questa è la parte migliore’, perché Maria ascoltava il Signore e pregava col suo cuore. E il Signore un po’ ci dice: ‘Il primo compito nella vita è questo: la preghiera’. Ma non la preghiera di parole, come i pappagalli; ma la preghiera, il cuore: guardare il Signore, ascoltare il Signore, chiedere al Signore. Noi sappiamo che la preghiera fa dei miracoli”.

E la preghiera produce un miracolo anche nell’antica città di Ninive, alla quale il profeta Giona annuncia su incarico di Dio l’imminente distruzione e che invece si salva perché gli abitanti, credendo alla profezia, si convertono dal primo all’ultimo invocando il perdono divino con tutte le forze. Tuttavia, anche in questa storia di redenzione il Papa rileva un atteggiamento sbagliato, quello di Giona, più disposto a una giustizia senza misericordia in modo analogo a Marta, incline a un servizio che esclude l’interiorità:

“E Marta faceva questo: faceva cosa? Ma non pregava! Ci sono altri come questo testardo Giona, che sono i giustizieri. Lui andava, profetizzava, ma nel suo cuore diceva: ‘Ma se la meritano. Se la meritano. Se la sono cercata!’. Lui profetizzava, ma non pregava! Non chiedeva al Signore perdono per loro. Soltanto li bastonava. Sono i giustizieri, quelli che si credono giusti! E alla fine – continua il Libro di Giona – si vede che era un uomo egoista, perché quando il Signore ha salvato, per la preghiera del popolo, Ninive, lui si è arrabbiato col Signore: ‘Tu sempre sei così. Tu sempre perdoni!’.

Dunque, conclude Papa Francesco, la preghiera che è solo formula senza cuore, come pure il pessimismo o la voglia di una giustizia senza perdono, sono le tentazioni dalle quali un cristiano deve sempre guardarsi per arrivare a scegliere “la parte migliore”:

“Anche noi quando non preghiamo, quello che facciamo è chiudere la porta al Signore. E non pregare è questo: chiudere la porta al Signore, perché Lui non possa fare nulla. Invece, la preghiera, davanti a un problema, a una situazione difficile, a una calamità è aprire la porta al Signore perché venga. Perché Lui rifà le cose, Lui sa arrangiare le cose, risistemare le cose. Pregare è questo: aprire la porta al Signore, perché possa fare qualcosa. Ma se noi chiudiamo la porta, il Signore non può far nulla! Pensiamo a questa Maria che ha scelto la parte migliore e ci fa vedere la strada, come si apre la porta al Signore”.

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La misericordia è la vera forza

Posté par atempodiblog le 15 septembre 2013

La misericordia è la vera forza  dans Citazioni, frasi e pensieri 8yt7

La gioia di Dio è perdonare, la gioia di Dio è perdonare! E’ la gioia di un pastore che ritrova la sua pecorella; la gioia di una donna che ritrova la sua moneta; è la gioia di un padre che riaccoglie a casa il figlio che si era perduto, era come morto ed è tornato in vita, è tornato a casa. Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è “buonismo”! Al contrario, la misericordia è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal “cancro” che è il peccato, il male morale, il male spirituale. Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia. Solo l’amore può fare questo, e questa è la gioia di Dio!

Papa Francesco

Una città... da favola: Bergamo, gioiello dell'Alta Italia dans Viaggi & Vacanze sb0nxu

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Gesù preferisce il peccatore, sempre, per perdonarlo, per amarlo

Posté par atempodiblog le 25 août 2013

PAPA FRANCESCO

ANGELUS
Piazza San Pietro

Domenica, 25 agosto 2013

Video

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

il Vangelo di oggi ci invita a riflettere sul tema della salvezza. Gesù sta salendo dalla Galilea verso la città di Gerusalemme e lungo il cammino un tale – racconta l’evangelista Luca – gli si avvicina e gli chiede: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (13,23). Gesù non risponde direttamente alla domanda: non è importante sapere quanti si salvano, ma è importante piuttosto sapere qual è il cammino della salvezza. Ed ecco allora che alla domanda Gesù risponde dicendo: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» (v. 24). Che cosa vuol dire Gesù? Qual è la porta per la quale dobbiamo entrare? E perché Gesù parla di una porta stretta?

L’immagine della porta ritorna varie volte nel Vangelo e richiama quella della casa, del focolare domestico, dove troviamo sicurezza, amore, calore. Gesù ci dice che c’è una porta che ci fa entrare nella famiglia di Dio, nel calore della casa di Dio, della comunione con Lui. Questa porta è Gesù stesso (cfr Gv 10,9). Lui è la porta. Lui è il passaggio per la salvezza. Lui ci conduce al Padre. E la porta che è Gesù non è mai chiusa, questa porta non è mai chiusa, è aperta sempre e a tutti, senza distinzione, senza esclusioni, senza privilegi. Perché, sapete, Gesù non esclude nessuno. Qualcuno di voi forse potrà dirmi: “Ma, Padre, sicuramente io sono escluso, perché sono un gran peccatore: ho fatto cose brutte, ne ho fatte tante, nella vita”. No, non sei escluso. Precisamente per questo sei il preferito, perché Gesù preferisce il peccatore, sempre, per perdonarlo, per amarlo. Gesù ti sta aspettando per abbracciarti, per perdonarti. Non avere paura: Lui ti aspetta. Animati, fatti coraggio per entrare per la sua porta. Tutti sono invitati a varcare questa porta, a varcare la porta della fede, ad entrare nella sua vita, e a farlo entrare nella nostra vita, perché Lui la trasformi, la rinnovi, le doni gioia piena e duratura.

Al giorno d’oggi passiamo davanti a tante porte che invitano ad entrare promettendo una felicità che poi noi ci accorgiamo che dura un istante soltanto, che si esaurisce in se stessa e non ha futuro. Ma io vi domando: noi per quale porta vogliamo entrare? E chi vogliamo far entrare per la porta della nostra vita? Vorrei dire con forza: non abbiamo paura di varcare la porta della fede in Gesù, di lasciarlo entrare sempre di più nella nostra vita, di uscire dai nostri egoismi, dalle nostre chiusure, dalle nostre indifferenze verso gli altri. Perché Gesù illumina la nostra vita con una luce che non si spegne più. Non è un fuoco d’artificio, non è un flash! No, è una luce tranquilla che dura sempre e ci dà pace. Così è la luce che incontriamo se entriamo per la porta di Gesù.

Certo quella di Gesù è una porta stretta, non perché sia una sala di tortura. No, non per quello! Ma perché ci chiede di aprire il nostro cuore a Lui, di riconoscerci peccatori, bisognosi della sua salvezza, del suo perdono, del suo amore, di avere l’umiltà di accogliere la sua misericordia e farci rinnovare da Lui. Gesù nel Vangelo ci dice che l’essere cristiani non è avere un’«etichetta»! Io domando a voi: voi siete cristiani di etichetta o di verità? E ciascuno si risponda dentro! Non cristiani, mai cristiani di etichetta! Cristiani di verità, di cuore. Essere cristiani è vivere e testimoniare la fede nella preghiera, nelle opere di carità, nel promuovere la giustizia, nel compiere il bene. Per la porta stretta che è Cristo deve passare tutta la nostra vita.

Alla Vergine Maria, Porta del Cielo, chiediamo che ci aiuti a varcare la porta della fede, a lasciare che il suo Figlio trasformi la nostra esistenza come ha trasformato la sua per portare a tutti la gioia del Vangelo.

* * *

APPELLO

Con grande sofferenza e preoccupazione continuo a seguire la situazione in Siria. L’aumento della violenza in una guerra tra fratelli, con il moltiplicarsi di stragi e atti atroci, che tutti abbiamo potuto vedere anche nelle terribili immagini di questi giorni, mi spinge ancora una volta a levare alta la voce perché si fermi il rumore delle armi. Non è lo scontro che offre prospettive di speranza per risolvere i problemi, ma è la capacità di incontro e di dialogo.

Dal profondo del mio cuore, vorrei manifestare la mia vicinanza con la preghiera e la solidarietà a tutte le vittime di questo conflitto, a tutti coloro che soffrono, specialmente i bambini, e invitare a tenere sempre accesa la speranza di pace. Faccio appello alla Comunità Internazionale perché si mostri più sensibile verso questa tragica situazione e metta tutto il suo impegno per aiutare la amata Nazione siriana a trovare una soluzione ad una guerra che semina distruzione e morte. Tutti insieme, preghiamo, tutti insieme preghiamo la Madonna, Regina della Pace: Maria, Regina della Pace, prega per noi. Tutti: Maria, Regina della Pace, prega per noi.


Dopo l’Angelus

Saluto con affetto tutti i pellegrini presenti: le famiglie, i numerosi gruppi e l’Associazione Albergoni. In particolare saluto le Suore Maestre di Santa Dorotea, i giovani di Verona, Siracusa, Nave, Modica e Trento; i cresimandi delle Unità Pastorali di Angarano e Val Liona;  i seminaristi e i sacerdoti del Pontifical North American College; i lavoratori di Cuneo e i pellegrini di Verrua Po, San Zeno Naviglio, Urago d’Oglio, Varano Borghi e San Paolo del Brasile. Per molti questi giorni segnano la fine del periodo delle vacanze estive. Auguro per tutti un ritorno sereno e impegnato alla normale vita quotidiana guardando al futuro con speranza.

A tutti auguro buona domenica, una buona settimana! Buon pranzo e arrivederci!

Tratto da: Vatican.va

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Sforzatevi di entrare per la porta stretta

Posté par atempodiblog le 24 août 2013

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Il testo del vangelo di oggi costituisce un forte richiamo alla consapevolezza e alla responsabilità dell’essere cristiani.

Il brano è introdotto dalla domanda di un anonimo (“un tale”) che fa riferimento a una questione molto dibattuta nel giudaismo del tempo di Gesù: le condizioni della salvezza; anche in Luca 10,25 e 18,18 viene ripetuta la domanda: “che devo fare per ottenere la vita eterna?”

Ora, al tempo di Gesù i farisei sostenevano che gran parte degli ebrei – anzi per alcuni rabbini tutti quanti – si sarebbero salvati, in forza della loro appartenenza al popolo eletto; nei circoli apocalittici, invece, prevaleva l’opinione opposta: solo pochi eletti osservanti si sarebbero salvati.

La domanda fatta al Nazareno verte dunque su questo interrogativo. Ma, come spesso accade nei Vangeli, Egli non risponde direttamente, non soddisfa la curiosità dell’interlocutore, non prende posizione sulla dibattuta questione teologica: si salveranno tutti, o molti, o pochi?

Gesù non risponde alla domanda, per far capire che il vero nocciolo della questione non sta lì e che il problema su cui interrogarsi è un altro; non deve importare a noi se si salvano in tanti o pochi, perché questo rientra nel mistero di Dio. Quello di cui ci dobbiamo preoccupare è ben altro, e cioè che la salvezza non è un fatto tranquillo e scontato per nessuno: né per chi allora osservava la Legge (gli ebrei), né per chi oggi si attiene a comandamenti e precetti della Chiesa (i cristiani); la salvezza non è automaticamente conferita per il solo fatto di appartenere al popolo di Dio.

Così da una domanda sugli “altri” (sono pochi o tanti “quelli” che si salvano?), il Maestro fa passare l’interlocutore a una domanda che riguarda invece proprio lui, di conseguenza ogni uomo, e dunque anche ciascuno di noi! Il Signore pertanto si rivolge a tutti con un chiaro imperativo: “Sforzatevi voi di entrare….”. Quindi: preoccupatevi della vostra situazione, del vostro impegno attuale, vedete di essere voi vigilanti (richiamo contenuto anche nel vangelo della 19° domenica anno C).

“Sforzatevi di entrare per la porta stretta…” dice Gesù al v.24. Che cos’è questa porta stretta? L’immagine evoca certamente qualcosa di molto duro, difficile e impegnativo, mentre la porta larga fa venire in mente facilità e superficialità; ma soprattutto la via stretta è quella che, per chi si mette alla sequela di Gesù, passa attraverso il Getsemani e il Golgota: è la via dell’amore nella dedizione di sé e nella sofferenza. A questo deve essere preparato il discepolo di Cristo, a vivere la propria esistenza nell’amore, nel servizio e nel dono di sé; e, se gli verrà domandato, deve essere disposto (con l’aiuto della Grazia) persino a sacrificare la propria vita per amore.

Questo è ciò che è richiesto per far parte del Regno di Dio, che – come ben ha messo in luce il Concilio Vaticano II° – non coincide con la Chiesa visibile, cui appartiene ogni battezzato.

“..vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti ….verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio” (vv.28-29).

Da chi è costituita questa folla sterminata d’ogni dove, di cui parla Gesù? Proprio da tutti quegli uomini di buona volontà che, pur senza conoscere la Legge e il Vangelo, sono continuamente alla ricerca della verità e della giustizia, vivono secondo i dettami della propria coscienza, che Dio ha immesso in ogni sua creatura e che porta a cogliere, amare e rispettare quei valori universali che ritroviamo in ogni civiltà. Ecco, questi sono coloro che, magari senza neppure saperlo, si troveranno al banchetto del Regno (tipica metafora biblica per indicare la vita eterna con Dio).

E – sorpresa! – forse avranno meritato anche di più di quei cristiani, osservanti e praticanti, che però sono troppo sicuri di sé, convinti che la salvezza sia loro dovuta in quanto battezzati, e incapaci di mettere in pratica il comandamento di Gesù: “Amate come Io vi ho amato!” (cfr. Giov. 15,12); ecco perché Gesù conclude: “ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi”.

Tratto da: Qumran2

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I Vangeli sono dei reportages, anche se a qualcuno non va

Posté par atempodiblog le 23 août 2013

«Le Epistole, gli Atti degli Apostoli, tutto il resto del Nuovo Testamento non è che un grido: noi l’abbiamo veramente udito, noi l’abbiamo veramente visto! Se tutto non fosse che un simbolo, perché gli autori di queste pagine insisterebbero tanto, e così tante volte, sulla testimonianza?».
di Marie Christine Ceruti-Cendrier
Tratto da: Unione Cattolici Crisitiani Razionali

I Vangeli sono dei reportages, anche se a qualcuno non va dans Commenti al Vangelo ht06

Immaginate per un istante che vogliate distruggere il Cristianesimo. Come ve la cavereste? Il metodo più semplice, più rapido e più radicale sarebbe attaccare i Vangeli e, per meglio operare, pretendere che raccontino storie false mai accadute. Riflettete ancora sui metodi da usare per convincere la gente: basta affermare con sicurezza che sono stati scritti tardivamente da comunità (una comunità è più abile a modificare le cose nel gioco del passa parola) che non hanno mai né conosciuto nessuno dei testimoni, né vissuto nei luoghi degli avvenimenti. Bisognerà però poter spiegare da dove vengono queste leggende e avrete bisogno di trovare delle fonti: i miti pagani anteriori, i testi ebrei (anche posteriori ai Vangeli, tanto la gente non ne sa niente), potete anche immaginare l’esistenza di testi originari, o di tradizioni segrete conosciute e trasmesse da un’élite…

Purtroppo questo è realtà ed è cosi che vengono trattati i Vangeli, non solo da atei, anticlericali o laici di professione, ma anche nei seminari, nelle facoltà di teologia, nei circoli di pie persone che vogliono saperne di più sulla loro religione e persino nei catechismi per bambini. I danni sono enormi. E non c’è da stupirsi se, specialmente nei paesi più toccati, la pratica religiosa è spaventosamente calata, i preti abbandonano il sacerdozio e c’è anche da chiedersi se delinquenza, violenza, suicidi e depressioni in aumento non trovino là la loro spiegazione.

Era urgente agire e questo mio libro* si è fissato lo scopo di smascherare tutti gli inganni e le menzogne usate per screditare i Vangeli. Oltre alle truffe segnalate qui sopra, occorreva denunciare i “generi letterari” che permettono di trasformare i fatti in miti, screditare la “formgeschichte” che fa degli Evangelisti dei campioni di Lego, smentire le pseudocontraddizioni dei Vangeli, procedere al salvataggio dei miracoli e delle profezie, denunciare giochi di parole tendenziosi, rispondere all’accusa dei Vangeli modificati, dimostrare che gli Evangelisti non erano né sprovveduti né bugiardi… e altre cose ancora. Bisognava naturalmente mettersi unicamente sul piano della razionalità, della logica, delle scoperte scientifiche – specialmente archeologiche e filologiche – poiché gli avversari ponevano le loro idee (per non dire fantasie) sul piano della onnipotente scienza.

Ho ricevuto con gratitudine molte lettere di ringraziamento dopo la pubblicazione francese di questo libro da parte di persone che si sentivano smarrite, umiliate o addirittura vacillanti nella fede. Ho cercato anche di renderlo di facile lettura, con qualche punta di umorismo. Mi dispiacerebbe urtare qualcuno poiché devo riconoscere che i propagatori di queste idee ne sono le prime vittime, ma ho ancora di più in abominio che altri soffrano ben più terribili tormenti nella perdita della fede.

E non posso più sopportare l’oltraggio fatto a Colui che ha detto: “Sono la Via, la Verità e la Vita”.

* I Vangeli sono dei reportages, anche se a qualcuno non va - Mimep-Docete 2009, con prefazione della storica dell’antichità Marta Sordi

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I Vangeli, un racconto di ciò che è avvenuto

Posté par atempodiblog le 21 août 2013

L'incredulità di Tommaso dans Commenti ai Vangeli festivi

“Apro i Vangeli e constato che in essi la fede è sempre una conseguenza. I Vangeli, che riassumono la Parola annunziata agli inizi, non sono una raccolta di proposizioni di fede, ma è un racconto di ciò che è avvenuto”.

Jean Guitton – Gesù. Ed. Elledicì

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Il cronista Giovanni

Posté par atempodiblog le 21 août 2013

Il cronista Giovanni
L’autore del quarto vangelo vide di prima persona quello che poi scrisse. Lo documenta un libro di un’archeologa ebrea francese.

Intervista di Antonio Socci a Jacqueline Genot-Bismuth per Il Sabato (1992)

Il cronista Giovanni dans Antonio Socci rwej

Ebrea-francese [...] agnostica, docente di giudaismo antico medievale alla Sorbona di Parigi, fondatrice del Centro di ricerca sulla cultura rabbinica. Jacqueline Genot-Bismuth ha pubblicato [...] un libro sulle più recenti scoperte archeologiche a Gerusalemme, dopo il volume «Un homme nommé Salut» (Oeil), dedicato alla figura di Gesù nel Vangelo di Giovanni. E all’impatto di Gesù con l’ebraismo del suo tempo. «Il Sabato» le ha chiesto la sua ricostruzione di quegli eventi.

Lei scrive che i farisei cominciano ad allarmarsi per Gesù con la resurrezione di Lazzaro. Perché?
Genot-Bismuth: Tutti credettero a quella resurrezione. Io non posso giudicare se essa vi fu o no, l’importante è rilevare che tutti ne furono colpiti. I farisei erano contrari al potere profetico. Di conseguenza produrre una resurrezione – essendo un potere profetico – voleva dire mettere in discussione tutto ciò contro cui si erano battuti. Significava dare scacco al giudaismo che seguiva la Torà esclusivamente scritta con l’interpretazione di cui essi erano i maestri. Dunque era il loro potere che era battuto in breccia da un giudaismo alternativo che arrischiava la forza in qualche modo rivoluzionaria della profezia.

Non era più ragionevole credere ai propri occhi?
Genot-Bismuth: Un difensore della Legge assoluta non poteva che opporsi al profetismo attivo: ora, la popolazione era effettivamente convinta che Gesù avesse resuscitato Lazzaro, e questo fatto provava la sua pretesa di essere profeta. Dunque ormai non era più che un nemico. È ovvio. Lui stesso doveva saperlo. Del resto dal Vangelo di Giovanni si evince chiaramente che Gesù era molto, molto politico. Quando si rende conto che provocava se ne va via da Gerusalemme perché capisce di essere in pericolo. Insomma fa scelte molto politiche e strategiche. Gesù non appare affatto come un ingenuo, un sognatore naïf, è realista, uno che sa calcolare i suoi rischi e verso la fine gioca il tutto per tutto.

Le ostilità fra farisei e sadducei, dentro il Sinedrio, erano molto forti. Ve ne furono anche nel processo a Gesù?
Genot-Bismuth: Non so dirlo perché non abbiamo il verbale del processo. Ma Paolo, per esempio, quando fu chiamato in giudizio dal Sinedrio riuscì scaltramente a mettere un gruppo contro l’altro facendola franca. Nel Vangelo di Giovanni si vede che nel Sinedrio ci sono farisei che stanno dalla parte di Gesù, come Nicodemo. D’altronde anche nella missione rogatoria del Sinedrio nei confronti di Giovanni Battista sul Giordano, si evidenziano i rappresentanti dei due partiti del Sinedrio. E ciascuno fa le sue domande.

Flusser ipotizza che la condanna di Gesù da parte di Caifa fosse contro la Legge, fuori dall’ebraismo.
Genot-Bismuth: E’ una convinzione ideologica. La Mishna dice che quando uno pseudoprofeta si presenta come tale e si è certi che è uno pseudoprofeta deve subire il giudizio del Sinedrio e la condanna a morte. Tutto questo nella Mishna è molto chiaro.

Cosa teme, Caifa, da Gesù?
Genot-Bismuth: È una ragion di stato, la sua. Caifa è un uomo di governo che ragiona in termini di strategia. Prende la parola nel Sinedrio e dice: voi state dibattendo se è colpevole o no. A me non interessa. Io so che è uno pericoloso. Attirerà su di noi la vendetta dei romani, tutti noi siamo in pericolo dal momento che, alla fine, solleverà la gente contro i romani e contro di noi e il nostro regime. Lo dice chiaramente. Il suo è un giudizio politico. Del resto la carica di sommo sacerdote è nell’orbita del temporale, non è la religione come noi oggi la immaginiamo. È il regime di autonomia della Giudea che è negoziato con i romani, un’autonomia morale, la pax romana. Il sommo sacerdote è soprattutto un etnarca. E dunque ragiona in questo orizzonte politico. Le regole del gioco d’altronde erano chiare per Gesù stesso.

Cosa intende dire?
Genot-Bismuth: Sapeva benissimo di apparire come un sovversivo, che poteva essere visto come un agitatore politico, come i tantissimi messia o pseudo-messia che l’avevano preceduto o che saranno condannati a morte in seguito. Non c’era niente di straordinario, da questo punto di vista, in questa storia. Egli sapeva bene ciò che lo aspettava.

È curioso che lei – scrivendo due libri sul Vangelo di Giovanni – non contesti mai la storicità di ciò che il Vangelo riferisce. Sa che da Renan in poi…
Genot-Bismuth: Di Renan si possono leggere pagine antisemite terrificanti, veri abomini. E’ chiarissimo. La ragione essenziale che muove Renan e la scuola che nasce da lui è precisamente l’odio antisemita. Dichiara di voler fare di Cristo un “ariano” e che il cristianesimo non deve assolutamente nulla a quel popolo degenerato che sono i semiti. Allora gli è necessario negare tutto ciò che è storico di Gesù e della nascita del cristianesimo. Sono le stesse manipolazioni della verità storica in cui si specializzeranno personaggi come Stalin e oggi Le Pen.

Lei ha pubblicato testi rabbinici straordinariamente convergenti con san Giovanni sul racconto del processo a Gesù. E sostiene che il Vangelo di Giovanni è scritto da un contemporaneo, testimone oculare di quegli avvenimenti.
Genot-Bismuth: Il Vangelo si conclude con questa formula: «Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera». Una indicazione scarna come una nota d’archivio del tempo e che, senza dubbio, merita ben più credito di quanto glien’è stato accordato.

Nel Vangelo di Giovanni, Gesù dichiara di essere il Figlio di Dio, uno con il Padre.
Genot-Bismuth: Sì, dunque di essere come Dio. Ma usa volutamente un’espressione ambigua, infatti ogni uomo poteva dirsi figlio di Dio. Di per sé era un’espressione accettata. Allora cosa intende Gesù quando si definisce Figlio di Dio? Egli afferma evidentemente la sua divinità («chi vede me, vede il Padre»). Ma gioca sull’ambiguità, è qualcosa di straordinario, usa, manipola il linguaggio in tutti i suoi sensi come un profeta. Di fatto Gesù alla fine si è sostituito a Dio e questo è il punto di non ritorno rispetto all’ebraismo: da qui comincia l’eresia o – secondo il punto di vista che si adotta – completamente un’altra cosa.

I più sostengono ancora oggi che il Vangelo di Giovanni è stato scritto molto tardi.
Genot-Bismuth: Io dico che è stato scritto da chi è stato testimone. Che egli prendesse abitualmente delle note durante gli avvenimenti mi pare evidente per la civiltà in cui era stato educato. Poi può darsi che, sulla base dei ricordi scritti, abbia composto il suo Vangelo in tarda età. Secondo me Giovanni ha dubitato per tutto il tempo, ha cominciato a credere veramente al momento in cui ha scoperto la tomba vuota.

Molti vedono nel suo Vangelo un’impronta ellenistica, soprattutto nel Prologo.
Genot-Bismuth: Solo perché usa il termine Logos. Ma allora anche Ben Sira (l’Ecclesiastico) è ellenistico. No, in realtà Logos è solo la traduzione dell’ebraico «davar» (atto/parola) ed è l’antichissima interpretazione della Genesi. Giovanni appare in una linea di interpretazione molto chiara, che lega la Genesi, l’interpretazione della Genesi fatta dal libro dei Proverbi e infine l’Ecclesiastico che due secoli dopo continua, riprende e amplifica i Proverbi. E poi, due secoli dopo, c’è Giovanni.

Il Prologo è la spiegazione del primo versetto della Genesi?
Genot-Bismuth: Il Targum Neophyti, in aramaico palestinese, traduce così Genesi 1,1: «Fin dall’origine il Verbo (davar) di YHWH creò con saggezza il cielo e…». Giovanni è legato a questa antica traduzione e apre così il suo Vangelo: «E il Verbo (davar) è stato un uomo di carne ed ha posto la sua tenda fra noi…». Propriamente l’incarnazione del davar, del Logos.

Nel libro «Un homme nommé Salut», lei pubblica documenti ebraici del I secolo, dove si parla di libri cristiani che possono far pensare ai Vangeli.
Genot-Bismuth: È un passo dello Sabat 116, vv (tratto dal Talmud completo). Ed è molto chiaro. Non solo parla di «awan-gelayon» e fa dei giochi di parole polemici su «evangelio», ma riporta addirittura una citazione esplicita di Matteo.

Cosa?
Genot-Bismuth: È riportato il dialogo fra un patriarca e un cristiano. E il cristiano ad un certo punto afferma: «È scritto nel Vangelo che “non sono venuto per abolire, ma per compiere”». Testuale. Se non si vuol accettare neanche questo è finita. Allora tutto è falso, nel mondo.

Molti sostengono che non è possibile che i Vangeli siano stati scritti prima del 70.
Genot-Bismuth: È un pregiudizio. Secondo me è più che plausibile. È stupido, per degli studiosi, l’espressione “non è possibile”. E poi come volete, in una civiltà che è l’inventrice della scrittura, che riferisce tutto al testo sacro, scritto, come potete immaginare che quel genere di fatti non sia stato messo per scritto molto presto? Ricordate che per esempio i sadducei non riconoscevano per niente l’oralità, volevano che tutto fosse scritto. Dunque se i cristiani volevano veramente far conoscere il loro annuncio occorreva da subito mettere per scritto.

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E Marco scrisse subito

Posté par atempodiblog le 20 août 2013

Da un autore pagano del primo secolo la conferma che il vangelo di Marco fu scritto pochi anni dopo la morte di Gesù. Come attesta la tradizione cristiana primitiva.
Un punto a favore della credibilità storica del Vangelo.
di Marta Sordi – Il Timone

E Marco scrisse subito dans Commenti al Vangelo E-Marco-scrisse-subito

L’ identificazione, da parte di J. O’Callaghan nel 1972, ribadita poi da C. P. Thiede agli inizi degli anni ’90, di un frammento papiraceo in lingua greca (7Q5), trovato nella grotta 7 di Qumran, con Marco 6,52-53, ha riaperto, come è noto, nonostante le molte contestazioni, il problema della datazione dei Vangeli e di quello di Marco in particolare.
La scrittura del frammento, studiata prima dell’identificazione con il Vangelo, aveva imposto una datazione non posteriore al 50 d.C.; la grotta, inoltre,risultava chiusa dopo il 68; l’identificazione del frammento con un passo di Marco scompaginava così, se convalidata, tutte le ipotesi, date per certe dagli esegeti, della composizione tarda del Vangelo e confermava invece pienamente i dati conservati dalla tradizione cristiana primitiva: Papia di Gerapoli, vissuto tra la fine del I secolo e la prima metà del II (apud Euseb. H. E. II, 15 e III, 39,15) e Clemente di Alessandria (apud Euseb. H. E. II, 15 e VI, 14,6) affermavano infatti che Marco aveva scritto il suo Vangelo, su richiesta dei Romani, che avevano ascoltato la predicazione di Pietro, all’inizio del regno di Claudio (nel 42, secondo la traduzione di Gerolamo del Chronicon di Eusebio).
Una citazione dello stesso passo di Clemente (p. 9 Staehlin) spiegava che i Romani, da cui era partita la richiesta erano Cesariani e cavalieri, ut possent quae dicebantur memoriae commendare. Si trattava di persone della classe dirigente romana, abituate alla comunicazione scritta e la richiesta da loro rivolta a Marco è perfettamente comprensibile; specialmente se si tiene conto del fatto che, nel 42/43, mentre Claudio era assente per la spedizione in Britannia, il governo di Roma era tenuto da L. Vitellio, che nel 36/37, come legato di Siria, aveva avuto occasione di occuparsi dei cristiani a Gerusalemme. Il desiderio di avere ulteriori informazioni sulla nuova “setta” giudaica poteva rientrare nelle normali preoccupazioni per l’ordine pubblico del governo di Roma. Ciò che fu allora appurato dovette tranquillizzare i Romani che, da quel momento e fino al 62, in Giudea come nelle province, cercarono di impedire azioni persecutorie derivate da accuse giudaiche contro i Cristiani. La data del 42/43 è  innanzitutto, secondo Papia e Clemente, la data dell’arrivo di Pietro a Roma: una conferma dell’importanza di questa data per la Chiesa di Roma è che al 42/43 risale, secondo Tacito (Ann. XIII, ro 32), la conversione di Pomponia Grecina, la moglie di Aula Plauzio, il legato le che precedette in Britannia Claudio, ad re una superstizio externa che è certamente il cristianesimo. Ma ciò che ci interessa ora è la stesura del Vangelo di le Marco: si è detto che 7Q5 non fa che a, confermare, con l’autorità di un documento contemporaneo, ciò che sapevamo già da autorevoli fonti del II secolo, che solo l’ipercritica, da tempo el superata negli studi di storia antica, ma ancora presente negli studi delle origini cristiane, ha troppo a lungo e ingiustamente sottovalutato. Paradossalmente, anche se 7Q5 non fosse un frammento di Marco, le testimonianze di Papia e di Clemente dovrebbero indurci ad ammettere come probabile la venuta di Pietro a Roma nel 42 e la stesura in quell’occasione del Vangelo di Marco.
Ma un’ulteriore e importante conferma ci viene ora da un autore pagano, quel Petronio autore del Satyricon, che scrive nel 64/65 e mostra di conoscere il testo marciano, come ha dimostrato, con ottimi argomenti, I. Ramelli in un articolo pubblicato su Aevum nel 1996. Contatti fra i Vangeli e passi del Satyricon erano stati già notati in passato, per la crocifissione, la risurrezione, l’eucaristia, ma erano stati spiegati come pure coincidenze o con interpretazioni antropologiche. Il passo studiato dalla Ramelli (Sat. 77,7-78,4) riguarda l’unzione durante la cena di Betania (Me 14,3-9), un episodio, cioè, la cui importanza non è così grande da poterne spiegare la conoscenza da parte dei pagani in base a semplici voci, come quelle che circolavano in quell’epoca a Roma sui flagitia attribuiti dal volgo ai Cristiani nel 64, come dice Tacito (Ann. XV, 44x) parlando dell’incendio. Qui i contatti sono tali che già il Preuschen, agli inizi del XX secolo, aveva pensato a una dipendenza reciproca, attribuendo però a Marco l’imitazione di Petronio: l’evidente assurdità dell’ipotesi (dato il carattere di sprezzante parodia del passo di Petronio) ne aveva determinato il rifiuto.
Il giudizio è necessariamente diverso se il Vangelo di Marco era già noto nel 64/65 e se ammettiamo che è petronio a parodiare Marco e non Marco a imitare Petronio: c’è l’ampolla di nardo, che solo Marco conosce fra gli evangelisti (i sinottici parlano di un vaso di unguento non specificato, Giovanni parla di una libbra di nardo); c’è la prefigurazione da parte di Trimalcione di un’ unzione funebre, in un contesto che parla continuamente – ma senza giustificazione apparente, visto che Trimalcione dichiara che vivrà ancora 30 anni di morte; c’è, poco prima (ib. 74, 1/3),dalla consuetudine pagana) come profeta di sventura e come index, accusatore. Se Petronio conosce il testo di Marco e intende parodiarlo (e la cosa non ci sorprende alla corte di Nerone, dove, come risulta da Paolo [FiI4,22] il cristianesimo era ben noto), anche gli altri accenni di Petronio che sembrano implicare la conoscenza del cristianesimo diventano importanti: penso in particolare al cap. 141, in cui Eumolpo chiede nel suo testamento che i suoi eredi mangino il suo corpo, e alla novella della matrona di Efeso (cap. III), con il trafugamento del corpo di un crocifisso e la sua « rianimazione » al terzo giorno: un motivo anticristiano reso attuale dal cosiddetto editto di Nazareth, se, come sembra probabile, l’editto è di Nerone e rivela l’ accettazione, da parte del governo romano, delle accuse giudaiche ai discepoli di Cristo di aver trafugato il corpo del loro Signore, come attesta Matteo (28,15).
La parodia di Petronio è dunque la miglior conferma delle notizie della tradizione cristiana del II secolo sull’antichità del Vangelo di Marco.

Ricorda
La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massima che i quattro vangeli, di cui afferma senza alcuna esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza ».
(Concilio Vaticano Il, Costituzione Dei Verbum sulla divina Rivelazione, 19).

Divisore dans San Francesco di Sales

Inoltre Freccia dans Viaggi & Vacanze Vangeli: al centro la storia

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La storicità dei Vangeli

Posté par atempodiblog le 20 août 2013

La storicità dei Vangeli dans Antonio Socci hsk2

Voglio prendere spunto da un paio di notizie arrivate da Israele. Le ha riportate il Jerusalem Post il 21 e il 23 dicembre (2004) e si possono trovare sintetizzate in questa pagina web: http://www.israele.net/sections.php?section_cat=13
La prima riguarda la scoperta a Gerusalemme di una parte della celebre piscina di Siloe, quella menzionata nel Vangelo di Giovanni nella quale Gesù guarì un uomo cieco dalla nascita. Ed ecco la seconda notizia: la Israel Antiquities Authority ha recentemente scoperto i resti del villaggio di Cana dove Gesù compì il suo primo miracolo cambiando l’acqua in vino durante una festa di matrimonio. In alcuni edifici sono stati trovati utensili e i resti di un mikve, un bagno rituale ebraico.

Non è qui il caso di approfondire i particolari che pure sono affascinanti. Tuttavia queste due piccole notizie – che documentano tangibilmente come siano fedeli ai fatti i resoconti del Vangelo – ci mettono ancora una volta, appassionatamente, sulle tracce di quell’Uomo di Nazaret che giganteggia nelle pagine del Vangelo. Riportano alla luce le pietre su cui lui ha camminato, i luoghi che hanno sentito risuonare la sua voce, la terra con cui ha guarito un povero cieco. Tutto esattamente come riferiscono i resoconti evangelici. E’ bene ricordare la colossale importanza che le scoperte archeologiche moderne hanno assunto dopo due secoli di tentata demolizione della credibilità storica dei fatti riportati nei Vangeli. Scoperte clamorose. A cominciare dal più antico frammento del Vangelo, il famoso 7Q5, che riporta un versetto di Marco che fu composto prima del 50 d.C. Ma anche tutti gli altri ritrovamenti archeologici.
Il padre Ignace De La Potterie sj, uno dei grandi esperti di Giovanni, faceva un lucido esempio a questo proposito:
“Fin dalla metà del secolo scorso, la Scuola di Tubinga (David Fr., Strass, Walter Bauer, Ferdinand Ch. Baur) aveva imposto l’idea che nessuno dei redattori dei Vangeli fosse un testimone oculare, tanto meno un apostolo. Quello di Giovanni veniva attribuito a un qualche filosofo ellenizzante dell’Asia Minore o dell’Egitto. Nel 1930 il modernista italiano Adolfo Omodeo, in La mistica giovannea, l’unica opera italiana citata da Rudolf Bultmann, sosteneva ancora che Giovanni era stato scritto da uno gnostico in Egitto, intorno al 120. In questa temperie mentale la precisione delle descrizioni topografiche palestinesi risultava difficile da spiegare, se non addirittura scomoda. E allora si tendeva a interpretarla in modo mitico, fittizio. Esempio: nel capitolo quinto, la guarigione del paralitico avviene nei pressi di una piscina miracolosa che Giovanni chiama Betesda, ‘che ha cinque portici’ (quinque porticus habens). Ricordo di aver studiato, da giovane, su un libro di cento anni fa in cui questo passo veniva interpretato come una simbologia pitagorica…. Dall’inizio del Novecento i numerosi scavi compiuti in Palestina hanno dato conferme archeologiche ai luoghi descritti da Giovanni. La fontana con cinque portici, che doveva essere un simbolo pitagorico, è stata trovata presso il Tempio di Gerusalemme” (Storia e mistero, Sei 1997, pp. 10-11).

Evidentemente è facile intuire che delle descrizioni così precise di Gerusalemme potevano essere fatte solo da un ebreo che viveva in quella città prima della sua distruzione da parte dei Romani, nel 70 d.C. Dunque anche le pietre confermano (gridano!) ciò che Giovanni scrive a chiare lettere, cioè di essere un testimone oculare dei fatti: “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo visto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della Vita… lo annunziamo anche a voi” (1Giov 1,1). E Pietro conferma che essi, gli apostoli, non sono “andati dietro a favole artificiosamente inventate”, ma “siamo stati testimoni oculari della sua grandezza” (2Pt 1,16). Quando – alcuni anni fa – riportai alla luce la clamorosa scoperta di padre José O’Callaghan sul 7Q5 – la reazione di molti esegeti fu velenosa (soprattutto di quelli ecclesiastici, perché i papirologi laici accettarono tranquillamente e laicamente la scoperta). Uno di questi biblisti (rimasto famoso per un incredibile svarione scientifico) sibilò su un giornale: “Continua, in modo spesso scomposto e frenetico, l’interesse per il Gesù della storia”. Gli rispose per le rime il grande De La Potterie (vedi AAVV, Vangelo e storicità, p. 165). Io da parte mia devo confessare e lo dichiaro qui apertamente che quell’interesse “scomposto e frenetico per il Gesù della storia” è tutt’altro che sparito. Non si è mai attenuato, ma casomai si è ingigantito con gli anni. Quell’Uomo di nome Gesù, vero uomo e vero Dio, nostro Salvatore, nostro buon Pastore (che porta sulle sue spalle ognuno di noi), è la nostra passione. La sua storia, i suoi gesti, la sua presenza, il suo volto sono l’unica perla preziosa che vale la pena cercare nella vita. Null’altro. Come diceva Charles Moeller, che don Giussani ci ha fatto conoscere: “io credo che non potrei più vivere se non Lo sentissi più parlare”.

di Antonio Socci

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Il buon Samaritano

Posté par atempodiblog le 14 juillet 2013

PAPA FRANCESCO

ANGELUS
Castel Gandolfo
Domenica
, 14 luglio 2013

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Il buon Samaritano dans Commenti al Vangelo 5zilft

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno!

Oggi il nostro appuntamento domenicale dell’Angelus lo viviamo qui a Castel Gandolfo. Saluto gli abitanti di questa bella cittadina! Voglio ringraziarvi soprattutto per le vostre preghiere, e lo stesso faccio con tutti voi pellegrini che siete venuti qui numerosi.

Il Vangelo di oggi – siamo al capitolo 10 di Luca – è la famosa parabola del buon samaritano. Chi era quest’uomo? Era uno qualunque, che scendeva da Gerusalemme verso Gerico sulla strada che attraversa il deserto della Giudea. Da poco, su quella strada, un uomo era stato assalito dai briganti, derubato, percosso e abbandonato mezzo morto. Prima del samaritano passano un sacerdote e un levita, cioè due persone addette al culto nel Tempio del Signore. Vedono quel poveretto, ma passano oltre senza fermarsi. Invece il samaritano, quando vide quell’uomo, «ne ebbe compassione» (Lc 10,33) dice il Vangelo. Si avvicinò, gli fasciò le ferite, versandovi sopra un po’ di olio e di vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e pagò l’alloggio per lui… Insomma, si prese cura di lui: è l’esempio dell’amore per il prossimo. Ma perché Gesù sceglie un samaritano come protagonista della parabola? Perché i samaritani erano disprezzati dai Giudei, a causa di diverse tradizioni religiose; eppure Gesù fa vedere che il cuore di quel samaritano è buono e generoso e che – a differenza del sacerdote e del levita – lui mette in pratica la volontà di Dio, che vuole la misericordia più che i sacrifici (cfr Mc 12,33). Dio sempre vuole la misericordia e non la condanna verso tutti. Vuole la misericordia del cuore, perché Lui è misericordioso e sa capire bene le nostre miserie, le nostre difficoltà e anche i nostri peccati. Dà a tutti noi questo cuore misericordioso! Il Samaritano fa proprio questo: imita proprio la misericordia di Dio, la misericordia verso chi ha bisogno.

Un uomo che ha vissuto pienamente questo Vangelo del buon samaritano è il Santo che ricordiamo oggi: san Camillo de Lellis, fondatore dei Ministri degli Infermi, patrono dei malati e degli operatori sanitari. San Camillo morì il 14 luglio 1614: proprio oggi si apre il suo quarto centenario, che culminerà tra un anno. Saluto con grande affetto tutti i figli e le figlie spirituali di san Camillo, che vivono il suo carisma di carità a contatto quotidiano con i malati. Siate come lui buoni samaritani! E anche ai medici, agli infermieri e a coloro che lavorano negli ospedali e nelle case di cura, auguro di essere animati dallo stesso spirito. Affidiamo questa intenzione all’intercessione di Maria Santissima.

E un’altra intenzione vorrei affidare alla Madonna, insieme a tutti voi. E’ ormai vicina la Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro. Si vede che ci sono tanti giovani di età, ma tutti siete giovani nel cuore! Io partirò tra otto giorni, ma molti giovani partiranno per il Brasile anche prima. Preghiamo allora per questo grande pellegrinaggio che comincia, perché Nostra Signora de Aparecida, patrona del Brasile, guidi i passi dei partecipanti, e apra i loro cuori ad accogliere la missione che Cristo darà loro.

Tratto da: Vatican.va

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A chi posso farmi prossimo, ora e qui?

Posté par atempodiblog le 14 juillet 2013

A chi posso farmi prossimo, ora e qui?
Il Buon Samaritano
di Padre Raniero Cantalamessa

padre raniero cantalamessa

Ci siamo proposti, dicevo, di commentare alcuni vangeli domenicali ispirandoci al libro di papa Benedetto XVI su Gesù di Nazaret. Alla parabola del buon Samaritano sono dedicate diverse pagine del libro. La parabola non si comprende se non si tiene conto della domanda alla quale con essa Gesù intendeva rispondere: “Chi è il mio prossimo?”.

A questa domanda di un dottore della legge, Gesù risponde raccontando una parabola. Nella musica e nella letteratura mondiale, ci sono degli “attacchi” divenuti celebri. Quattro note, disposte in una certa sequenza, e ogni intenditore esclama subito, per esempio: “Quinta sinfonia di Beethoven: il destino che bussa alla porta!”. Molte parabole di Gesù condividono questa caratteristica. “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…”, e tutti capiscono immediatamente: parabola del buon Samaritano!

Nell’ambiente giudaico del tempo si discuteva su chi doveva essere considerato, per un israelita, il proprio prossimo. Si arrivava in genere a comprendere, nella categoria di prossimo, tutti i connazionali e i proseliti, cioè i gentili che avevano aderito al giudaismo. Con la scelta dei personaggi (un Samaritano che soccorre un giudeo!) Gesù viene a dire che la categoria di prossimo è universale, non particolare. Ha per orizzonte l’uomo, non la cerchia familiare, etnica, o religiosa. Prossimo è anche il nemico! Si sa infatti che i giudei infatti “non mantenevano buone relazioni con i samaritani!” (cfr. Gv 4, 9).

La parabola insegna che l’amore del prossimo deve essere non solo universale, ma anche concreto e fattivo. Come si comporta il samaritano della parabola? Se il Samaritano si fosse accontentato di accostarsi e di dire a quel disgraziato che giaceva nel suo sangue: “Poveretto, quanto mi dispiace! Come è successo? Fatti coraggio!”, o parole simili, e poi se ne fosse andato, non sarebbe stato tutto ciò un’ironia e un insulto? Lui fece dell’altro: “Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno”.

La cosa però veramente nuova, nella parabola del buon samaritano, non è che in essa Gesù esige un amore universale e concreto. La vera novità, fa notare il papa nel suo libro, è altrove. Terminato di narrare la parabola Gesù domanda al dottore della legge che lo aveva interrogato: “Chi di questi tre [il levita, il sacerdote, il samaritano] ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”.

Gesù opera un capovolgimento inatteso rispetto al concetto tradizionale di prossimo. Prossimo è il Samaritano, non il ferito, come ci saremmo aspettati. Questo significa che non bisogna attendere passivamente che il prossimo spunti sulla propria strada, magari con tanto di segnalazione luminosa e a sirene spiegate. Tocca a noi essere pronti ad accorgerci che c’è, a scoprirlo. Prossimo è quello che ognuno di noi è chiamato a diventare! Il problema del dottore della Legge appare rovesciato; da problema astratto e accademico, si fa problema concreto e operativo. La domanda da porsi non è: “Chi è il mio prossimo?”, ma: “A chi posso farmi prossimo, ora e qui?”

Nel suo libro, il papa fa un’applicazione attuale della parabola del buon samaritano. Vede l’intero continente africano simboleggiato dallo sventurato che è stato spogliato, ferito e lasciato mezzo morto ai margini della strada e vede in noi, membri dei paesi ricchi dell’emisfero nord, i due personaggi che passano e tirano diritto, se non addirittura i briganti che lo hanno ridotto così.

Io vorrei accennare a un’altra possibile attualizzazione della parabola. Sono convinto che se Gesù vivesse oggi in Israele e un dottore della Legge gli chiedesse di nuovo: “Chi è il mio prossimo?” cambierebbe leggermente la parabola e al posto di un samaritano metterebbe un palestinese! Se poi a interrogarlo fosse un palestinese, al posto del samaritano troveremmo un ebreo!

Ma è troppo comodo limitare il discorso all’Africa o al Medio Oriente. Se fosse uno di noi a porre a Gesù la domanda: “Chi è il mio prossimo?”, cosa risponderebbe? Ci ricorderebbe certamente che il nostro prossimo non è solo il connazionale, ma anche l’extracomunitario, non solo il cristiano, ma anche il musulmano, non solo il cattolico, ma anche il protestante. Ma aggiungerebbe subito che non è questa la cosa più importante; la cosa più importante non è sapere chi è il mio prossimo, ma vedere a chi posso io farmi prossimo, ora e qui; per chi posso essere io il buon samaritano.

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Ferma decisione di fare la volontà di Dio

Posté par atempodiblog le 30 juin 2013

Il Papa: Gesù ci vuole liberi, ascoltiamo la coscienza in unione con il Padre come ha fatto Benedetto XVI
Tratto da: Radio Vaticana 

Ferma decisione di fare la volontà di Dio dans Commenti al Vangelo stq3Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Il Vangelo di questa domenica (Lc 9,51-62) mostra un passaggio molto importante nella vita di Cristo: il momento in cui – come scrive san Luca – «Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (9,51). Gerusalemme è la meta finale, dove Gesù, nella sua ultima Pasqua, deve morire e risorgere, e così portare a compimento la sua missione di salvezza. Da quel momento, dopo quella “ferma decisione”, Gesù punta dritto al traguardo, e anche alle persone che incontra e che gli chiedono di seguirlo, dice chiaramente quali sono le condizioni: non avere una dimora stabile; sapersi distaccare dagli affetti umani, non cedere alla nostalgia del passato. Ma Gesù dice anche ai suoi discepoli, incaricati di precederlo sulla via verso Gerusalemme per annunciare il suo passaggio, di non imporre nulla: se non troveranno disponibilità ad accoglierlo, si proceda oltre, si vada avanti. Ma Gesù non impone mai: Gesù è umile. Gesù invita. Se tu vuoi, vieni. E l’umiltà di Gesù è così: Lui ci invita sempre, non impone.

Tutto questo ci fa pensare. Ci dice, ad esempio, l’importanza che, anche per Gesù, ha avuto la coscienza: l’ascoltare nel suo cuore la voce del Padre e seguirla. Gesù, nella sua esistenza terrena, non era, per così dire, “telecomandato”: era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto uomo, e a un certo punto ha preso la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l’ultima volta; una decisione presa nella sua coscienza, ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui! Ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo della sua volontà. E per questo la decisione era ferma, perché presa insieme con il Padre. E nel Padre Gesù trovava la forza e la luce per il suo cammino. E Gesù era libero: in quella decisione era libero! Gesù, a noi cristiani, ci vuole liberi, come Lui. Con quella libertà che viene dal dialogo con il Padre, da questo dialogo con Dio. Non vuole, Gesù, né cristiani egoisti che seguono il proprio Io e non parlano con Dio, né cristiani deboli, cristiani che non hanno volontà, cristiani telecomandati, incapaci di creatività, che cercano sempre di collegarsi alla volontà di un altro, e non sono liberi. Gesù ci vuole liberi e questa libertà, dove si fa? Si fa nel dialogo con Dio nella propria coscienza. Se un cristiano non sa parlare con Dio, non sa sentire Dio nella propria coscienza, non è libero: non è libero.

Per questo, dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza. Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che mi conviene, o che mi piace… Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio; è il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele.

Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio, meraviglioso: il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio, quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro padre ci fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire.

La Madonna, con grande semplicità, ascoltava e meditava nell’intimo di se stessa la Parola di Dio e ciò che accadeva a Gesù. Seguì il suo Figlio con intima convinzione, con ferma speranza. Ci aiuti Maria a diventare sempre più uomini e donne di coscienza, liberi nella coscienza, perché nella coscienza si da il dialogo con Dio; uomini e donne capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione.

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Gesù: “Non temete. Venite. Con fiducia”

Posté par atempodiblog le 15 juin 2013

Gesù: “Non temete. Venite. Con fiducia” dans Commenti al Vangelo q1mz 

Gesù a Maria Valtorta: «Dillo a te stessa, o Maria, mia piccola “voce” , dillo alle anime. Va’, dillo alle anime che non osano venire a Me perché si sentono colpevoli. Molto, molto, molto è perdonato a chi molto ama. A chi molto mi ama. Voi non sapete, povere anime, come vi ama il Salvatore! Non temete di Me. Venite. Con fiducia. Con coraggio. Io vi apro il Cuore e le braccia. Ricordatelo sempre: “Io non faccio differenza fra colui che mi ama con la sua purezza integra e colui che mi ama nella sincera contrizione d’un cuore rinato alla Grazia”. Sono il Salvatore. Ricordatevelo sempre. Va’ in pace. Ti benedico». 

[22 gennaio 1944]
[...]  Parlavo a molti quel giorno, ma in verità parlavo per lei sola. Non vedevo che lei, che s’era accostata portata da un empito d’anima che si rivoltava alla carne che la teneva soggetta. Non vedevo che lei col suo povero volto in tempesta, col suo sforzato sorriso che nascondeva, sotto una veste di sicurezza e gioia mendace che era un sfida al mondo e a se stessa, tanto interno pianto. Non vedevo che lei, ben più avvolta nei rovi della pecorella smarrita della parabola, lei che affogava nel disgusto della sua vita, venuto a galla come quelle ondate profonde che portano seco l’acqua del fondo. 

Non ho detto grandi parole, né ho toccato un argomento indicato per lei, peccatrice ben nota, per non mortificarla e per non costringerla a fuggire, a vergognarsi o a venire. L’ho lasciata in pace. Ho lasciato che la mia parola e il mio sguardo scendessero in lei e vi fermentassero per fare di quell’impulso di un momento il suo glorioso futuro di santa. Ho parlato con una delle più dolci parabole: un raggio di luce e di bontà effuso proprio per lei. 

E quella sera, mentre ponevo piede nella casa del ricco superbo, nel quale la mia parola non poteva fermentare in futura gloria perché uccisa dalla superbia farisaica, già sapevo che ella sarebbe venuta, dopo aver tanto pianto nella sua stanza di vizio e, alla luce di quel pianto, già deciso il suo futuro. Gli uomini, arsi di lussuria, nel vederla entrare hanno trasalito nella carne e insinuato col pensiero. Tutti l’hanno desiderata, meno i due « puri » del convito: Io e Giovanni. Tutti hanno creduto che ella venisse per uno di quei facili capricci che, vera possessione demoniaca, la gettavano in improvvise avventure. Ma Satana era ormai vinto. E tutti hanno, con invidia, pensato, vedendo che ad essi non si volgeva, che venisse per Me. 

L’uomo sporca sempre anche le cose più pure, quando è solo uomo di carne e sangue. Solo i puri vedono giusto, perché il peccato non è in loro a fare turbamento al pensiero. Ma che l’uomo non comprenda, non deve sgomentare, Maria. Dio comprende. E basta per il Cielo. La gloria che viene dagli uomini non aumenta di un grammo la gloria che è sorte degli eletti in Paradiso. Ricordalo sempre. 

La povera Maria di Magdala è sempre stata mal giudicata nei suoi atti buoni. Non lo era stata nelle sue azioni malvagie perché esse erano bocconi di lussuria offerti all’insaziabile fame dei libidinosi. Criticata e mal giudicata a Cafarnao, in casa del fariseo, criticata e rimproverata a Betania, in casa sua. Ma Giovanni, che dice una grande parola, dà la chiave di quest’ultima critica: « Giuda… perché era ladro ». Io dico: « Il fariseo e i suoi amici perché erano lussuriosi ». Ecco, vedi? L’avidità del senso, l’avidità del denaro alzano la voce a critica dell’atto buono. I buoni non criticano. Mai. Comprendono. Ma, ripeto, non importa della critica del mondo. Importa del giudizio di Dio. 

Tratto da: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.

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