Francesco: Gesù è misericordioso, chi non perdona non è cristiano

Posté par atempodiblog le 10 septembre 2015

Francesco: Gesù è misericordioso, chi non perdona non è cristiano
Pace e riconciliazione. Papa Francesco ha sviluppato l’omelia nella Messa mattutina a Casa Santa Marta partendo da questo binomio. Il Pontefice ha condannato quanti producono armi per uccidere nelle guerre, ma ha anche messo in guardia dai conflitti all’interno delle comunità cristiane. Dal Papa, inoltre, una nuova esortazione ai sacerdoti ad essere misericordiosi come lo è il Signore.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

papa misericordioso

Gesù è il principe della pace perché genera pace nei nostri cuori. Papa Francesco ha preso spunto dalle letture del giorno per soffermarsi sul binomio pace-riconciliazione. E subito si è chiesto se “noi ringraziamo tanto” per “questo dono della pace che abbiamo ricevuto in Gesù”. La pace, ha detto, “è stata fatta, ma non è stata accettata”.

Basta produrre armi, la guerra annienta
Anche oggi, tutti i giorni, “sui telegiornali, sui giornali – ha constatato con amarezza – vediamo che ci sono le guerre, le distruzioni, l’odio, l’inimicizia”.

“Anche ci sono uomini e donne che lavorano tanto – ma lavorano tanto! – per fabbricare armi per uccidere, armi che alla fine divengono bagnate nel sangue di tanti innocenti, di tanta gente. Ci sono le guerre! Ci sono le guerre e c’è quella cattiveria di preparare la guerra, di fare le armi contro l’altro, per uccidere! La pace salva, la pace ti fa vivere, ti fa crescere; la guerra ti annienta, ti porta giù”.

Chi non sa perdonare, non è cristiano
Tuttavia, ha soggiunto, la guerra non è solo questa, “è anche nelle nostre comunità cristiane, fra noi”. E questo, ha sottolineato, è il “consiglio” che oggi ci dà la liturgia: “Fate la pace fra voi”. Il perdono, ha aggiunto, è la “parola chiave”: “Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi”.

“Se tu non sai perdonare, tu non sei cristiano. Sarai un buon uomo, una buona donna… Perché non fai quello che ha fatto il Signore. Ma pure: se tu non perdoni, tu non puoi ricevere la pace del Signore, il perdono del Signore. E ogni giorno, quando preghiamo il Padre Nostro: ‘Perdonaci, come noi perdoniamo…’. E’ un ‘condizionale’. Cerchiamo di ‘convincere’ Dio di essere buono, come noi siamo buoni perdonando: al rovescio. Parole, no? Come si cantava quella bella canzone: ‘Parole, parole, parole’, no? Credo che Mina la cantasse… Parole! Perdonatevi! Come il Signore vi ha perdonato, così fate voi”.

La lingua distrugge, fa la guerra
C’è bisogno di “pazienza cristiana”, ha ripreso. “Quante donne eroiche ci sono nel nostro popolo – ha detto – che sopportano per il bene della famiglia, dei figli tante brutalità, tante ingiustizie: sopportano e vanno avanti con la famiglia”. Quanti uomini “eroici ci sono nel nostro popolo cristiano – ha proseguito – che sopportano di alzarsi presto al mattino e andare al lavoro – tante volte un lavoro ingiusto, mal pagato – per tornare in tarda serata, per mantenere la moglie e i figli. Questi sono i giusti”. Ma, ha ammonito, ci sono anche quelli che “fanno lavorare la lingua e fanno la guerra”, perché “la lingua distrugge, fa la guerra!”. C’è un’altra parola chiave, ha poi detto Francesco, “che viene detta da Gesù nel Vangelo”: “misericordia”. E’ importante “capire gli altri, non condannarli”.

Sacerdoti siano misericordiosi, non bastonino la gente in confessionale
“Il Signore, il Padre è tanto misericordioso – ha affermato – sempre ci perdona, sempre vuol fare la pace con noi”. Ma “se tu non sei misericordioso – ha avvertito il Papa – rischi che il Signore non sia misericordioso con te, perché noi saremo giudicati con la stessa misura con la quale noi giudichiamo gli altri”:

“Se tu sei prete e non te la senti di essere misericordioso, dì al tuo vescovo che ti dia un lavoro amministrativo, ma non scendere in confessionale, per favore! Un prete che non è misericordioso fa tanto male nel confessionale! Bastona la gente. ‘No, Padre, io sono misericordioso, ma sono un po’ nervoso…’. ‘E’ vero… Prima di andare in confessionale va dal medico che ti dia una pastiglia contro i nervi! Ma sii misericordioso!’. E anche fra noi misericordiosi. ‘Ma quello ha fatto questo… Io cosa ho fatto?’; ‘Quello è più peccatore di me!’: chi può dire questo, che l’altro sia più peccatore di me? Nessuno di noi può dire questo! Soltanto il Signore sa”.

Come insegna San Paolo, ha dunque evidenziato, bisogna rivestirsi di “sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità”. Questo, ha detto Francesco, “è lo stile cristiano”, “lo stile col quale Gesù ha fatto la pace e la riconciliazione”. “Non è la superbia, non è la condanna, non è sparlare degli altri”. Che il Signore, ha concluso, “ci dia a tutti noi la grazia di sopportarci a vicenda, di perdonare, di essere misericordiosi, come il Signore è misericordioso con noi”.

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Papa: “Per il Giubileo ogni parrocchia, monastero e santuario d’Europa accolga una famiglia di profughi”

Posté par atempodiblog le 6 septembre 2015

Papa: “Per il Giubileo ogni parrocchia, monastero e santuario d’Europa accolga una famiglia di profughi”
Il Santo Padre all’Angelus invita ogni parrocchia ad ospitare una famiglia di profughi. Inoltre ci dice che creiamo tante isole inaccessibili e inospitali: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa…
Francesco lancia l’appello informando che anche le due parrocchie in Vaticano accoglieranno rifugiati. Un invito alla pace per Colombia e Venezuela
di Salvatore Cernuzio – Zenit

papa francisco angelus

Continua a invocare Misericordia Papa Francesco, in vista del Giubileo straordinario ad essa dedicata, specie per le “decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita”. Nell’Angelus di oggi, in piazza San Pietro, questo non resta un sollecito a sé stante ma diventa un invito preciso e concreto che il Pontefice rivolge a parrocchie, comunità religiose, monasteri e santuari di tutta Europa.

Ognuno di essi, in preparazione all’Anno Santo, è chiamato ad accogliere una famiglia di immigrati, “incominciando dalla mia diocesi di Roma”, domanda il Santo Padre, informando che « anche le due parrocchie del Vaticano accoglieranno in questi giorni due famiglie di profughi”.  Questo gesto – sottolinea – esprime la “concretezza” del Vangelo di oggi, che “ci chiama ad essere ‘prossimi’ dei più piccoli e abbandonati” e « a dare loro una speranza concreta » che non sia soltanto dire: “Coraggio, pazienza!…”, ma una speranza che “è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura”.

Inoltre, “la Misericordia di Dio viene riconosciuta attraverso le nostre opere, come ci ha testimoniato la vita della beata Madre Teresa di Calcutta, di cui ieri abbiamo ricordato l’anniversario della morte”, evidenzia il Pontefice. E si rivolge in particolare ai suoi “fratelli” vescovi d’Europa, “veri pastori, perché nelle loro diocesi sostengano questo mio appello, ricordando che Misericordia è il secondo nome dell’Amore: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»”.

L’invito ad ‘aprirsi’ all’altro è stato il centro pure della catechesi del Santo Padre prima della preghiera mariana, orientata dal Vangelo della liturgia odierna che racconta la guarigione di un sordomuto da parte di Cristo. “Un evento prodigioso – osserva Francesco – che mostra come Gesù ristabilisca la piena comunicazione dell’uomo con Dio e con gli altri uomini”.

Il miracolo, inoltre, è ambientato nella zona della Decapoli, cioè in pieno territorio pagano; “pertanto – spiega il Papa – quel sordomuto che viene portato da Gesù diventa simbolo del non-credente che compie un cammino verso la fede. Infatti la sua sordità esprime l’incapacità di ascoltare e di comprendere non solo le parole degli uomini, ma anche la Parola di Dio. E san Paolo ci ricorda che «la fede nasce dall’ascolto della predicazione»”.

Da notare anche che Gesù porta l’uomo lontano dalla folla: Lui “non vuole dare pubblicità al gesto che sta per compiere”, evidenzia Francesco, ma nemmeno “che la sua parola sia coperta dal frastuono delle voci e delle chiacchiere dell’ambiente”. “La Parola di Dio che il Cristo ci trasmette ha bisogno di silenzio per essere accolta come Parola che risana, che riconcilia e ristabilisce la comunicazione”, dice.

Poi il Messia tocca le orecchie e la lingua del sordomuto: per “ripristinare”, cioè, la relazione con quell’uomo “bloccato nella comunicazione” cerca prima di “ristabilire il contatto”. Ma il miracolo “è un dono dall’alto”, evidenzia il Santo Padre, che Gesù implora dal Padre, per questo alza gli occhi al cielo e comanda: “Apriti!”. Allora “le orecchie del sordo si aprono, si scioglie il nodo della sua lingua e si mette a parlare correttamente”.

Tutto ciò mostra che “Dio non è chiuso in sé stesso, ma si apre e si mette in comunicazione con l’umanità”: questo è l’insegnamento che traiamo da tale episodio evangelico, secondo il Papa. “Nella sua immensa misericordia – prosegue – supera l’abisso dell’infinita differenza tra Lui e noi, e ci viene incontro. Per realizzare questa comunicazione con l’uomo, Dio si fa uomo: non gli basta parlarci mediante la legge e i profeti, ma si rende presente nella persona del suo Figlio, la Parola fatta carne. Gesù è il ‘grande costruttore di ponti’, che costruisce in sé stesso il grande ponte della comunione piena con il Padre”.

Ma questo Vangelo parla anche di noi, spesso “ripiegati e chiusi in noi stessi” da creare « tante isole inaccessibili e inospitali”. “Persino i rapporti umani più elementari a volte creano delle realtà incapaci di apertura reciproca: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa… E quello non è di Dio, quello è nostro, è il nostro peccato », afferma il Pontefice.

Eppure, prosegue, “all’origine della nostra vita cristiana, nel Battesimo, ci sono proprio quel gesto e quella parola di Gesù: ‘Effatà! – Apriti!’. E il miracolo si è compiuto: siamo stati guariti dalla sordità dell’egoismo e dal mutismo della chiusura e del peccato, e siamo stati inseriti nella grande famiglia della Chiesa. E possiamo ascoltare Dio che ci parla e comunicare la sua Parola a quanti non l’hanno mai ascoltata, o a chi l’ha dimenticata e sepolta sotto le spine delle preoccupazioni e degli inganni del mondo”.

La preghiera è dunque per la Vergine Maria, “donna dell’ascolto e della testimonianza gioiosa”, perché possa « sostenerci nell’impegno di professare la nostra fede e di comunicare le meraviglie del Signore a quanti incontriamo sul nostro cammino ». In primo luogo, i migranti e tutti coloro che abbandonano le proprie case e famiglie per fuggire ad una morte certa, nonché cruenta.

Dopo l’Angelus, Papa Francesco pronuncia poi “una parola in spagnolo sulla situazione tra Venezuela e Colombia”: “In questi giorni – dice - i vescovi di Venezuela e Colombia si sono riuniti per esaminare insieme la dolorosa situazione che si è creata nella frontiera di entrambi i paesi. Vedo in questo incontro un chiaro segno di speranza. Invito a tutti in particolare all’amato popolo venezuelano e colombiano a pregare, perché con uno spirito di solidarietà e fraternità si possano superare le difficoltà attuali”.

Un pensiero va anche alla beatificazione avvenuta ieri a Gerona, in Spagna, delle tre religiose dell’Istituto delle Suore di San Giuseppe, Fidelia Oller, Giuseppa Monrabal e Faconda Margenat, uccise per la fedeltà a Cristo e alla Chiesa. “Malgrado le minacce e le intimidazioni, queste donne rimasero coraggiosamente al loro posto per assistere i malati, confidando in Dio – sottolinea il Papa - La loro eroica testimonianza, fino all’effusione del sangue, dia forza e speranza a quanti oggi sono perseguitati a motivo della fede cristiana. E noi sappiamo che sono tanti”.

Prima di congedarsi e augurare il consueto “Buona domenica e buon pranzo”, Bergoglio ricorda che due giorni fa sono stati inaugurati a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, gli undicesimi Giochi Africani, a cui partecipano migliaia di atleti da tutto il Continente. Esprime quindi l’auspicio “che questa grande festa dello sport contribuisca alla pace, alla fraternità e allo sviluppo di tutti i paesi dell’Africa”.

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Papa Francesco: nella Chiesa c’è una malattia, seminare divisione

Posté par atempodiblog le 4 septembre 2015

Papa Francesco: nella Chiesa c’è una malattia, seminare divisione
Nella Chiesa c’è una malattia: quella di seminare divisione e zizzania. I cristiani, invece, sono chiamati a pacificare e riconciliare, come ha fatto Gesù: è quanto ha detto il Papa nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

papa francesco

Semino pace o zizzania?
Nella Lettera ai Colossesi San Paolo mostra la carta d’identità di Gesù, che è il primogenito di Dio – ed è Dio stesso – e il Padre lo ha inviato per “riconciliare e pacificare”  l’umanità con Dio dopo il peccato. “La pace è opera di Gesù” – ha detto il Papa – di quel suo “abbassarsi per obbedire fino alla morte e morte di Croce”. “E quando noi parliamo di pace o di riconciliazione, piccole paci, piccole riconciliazioni, dobbiamo pensare alla grande pace e alla grande riconciliazione” che “ha fatto Gesù. Senza di Lui non è possibile la pace. Senza di Lui non è possibile la riconciliazione”.

“Il compito nostro” – ha sottolineato Papa Francesco – in mezzo alle “notizie di guerre, di odio, anche nelle famiglie” – è essere “uomini e donne di pace, uomini e donne di riconciliazione”:

“E ci farà bene domandarci: ‘Io semino pace? Per esempio, con la mia lingua, semino pace o semino zizzania?’. Quante volte abbiamo sentito dire di una persona: ‘Ma ha una lingua di serpente!’, perché sempre fa quello che ha fatto il serpente con Adamo ed Eva, ha distrutto la pace. E questo è un male, questa è una malattia nella nostra Chiesa: seminare la divisione, seminare l’odio, seminare non la pace.

Ma questa è una domanda che tutti i giorni fa bene che noi ce la facciamo: ‘Io oggi ho seminato pace o ho seminato zizzania?’

‘Ma, alle volte, si devono dire le cose perché quello e quella…’: con questo atteggiamento cosa semini tu?”.

Chi porta pace è santo, chi “chiacchiera” è come un terrorista
I cristiani, dunque, sono chiamati ad essere come Gesù, che “è venuto da noi per pacificare, per riconciliare”:

“Se una persona, durante la sua vita, non fa altra cosa che riconciliare e pacificare la si può canonizzare: quella persona è santa. Ma dobbiamo crescere in questo, dobbiamo convertirci: mai una parola che sia per dividere, mai, mai una parola che porti guerra, piccole guerre, mai le chiacchiere.

Io penso: cosa sono le chiacchiere? Eh, niente, dire una parolina contro un altro o dire una storia: ‘Questo ha fatto…’. No! Fare chiacchiere è terrorismo perché quello che chiacchiera è come un terrorista che butta la bomba e se ne va, distrugge: con la lingua distrugge, non fa la pace. Ma è furbo, eh? Non è un terrorista suicida, no, no, lui si custodisce bene”.

Mordersi la lingua
Papa Francesco ripete una piccola esortazione:

“Ogni volta che mi viene in bocca di dire una cosa che è seminare zizzania e divisione e sparlare di un altro… Mordersi la lingua! Io vi assicuro, eh? Che se voi fate questo esercizio di mordersi la lingua invece di seminare zizzania, i primi tempi si gonfierà così la lingua, ferita, perché il diavolo ci aiuta a questo perché è il suo lavoro, è il suo mestiere: dividere”.

Quindi, la preghiera finale: “Signore tu hai dato la tua vita, dammi la grazia di pacificare, di riconciliare. Tu hai versato il tuo sangue, ma che non mi importi che si gonfi un po’ la lingua se mi mordo prima di sparlare di altri”.

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Francesco: umiltà e stupore aprono il cuore all’incontro con Gesù

Posté par atempodiblog le 3 septembre 2015

Francesco: umiltà e stupore aprono il cuore all’incontro con Gesù
La capacità di riconoscerci peccatori ci apre allo stupore dell’incontro con Gesù: è quanto ha detto il Papa durante la Messa del mattino a Casa Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria di San Gregorio Magno, Papa e Dottore della Chiesa.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

papa francesco I

Ci sono due modi per incontrare Gesù
Commentando il Vangelo del giorno sulla pesca miracolosa, con Pietro che getta le reti fidandosi di Gesù anche dopo una notte trascorsa senza aver preso nulla, il Papa parla della fede come incontro con il Signore. Innanzitutto – ha affermato – “a me piace pensare che la maggior parte del suo tempo” Gesù “lo passava sulle strade, con la gente; poi in tarda serata se ne andava da solo a pregare”, ma “incontrava la gente, cercava la gente”. Da parte nostra, abbiamo due modi di incontrare il Signore. Il primo è quello di Pietro, degli apostoli, del popolo:

“Il Vangelo usa la stessa parola per questa gente, per il popolo, per gli apostoli, per Pietro, sono rimasti ‘stupiti’: ‘Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli’. Quando viene questo sentimento di stupore… E il popolo sentiva Gesù e sentiva questo stupore, e cosa diceva: ‘Ma questo parla con autorità. Mai un uomo ha parlato con questo’. Un altro gruppo che incontrava Gesù non lasciava che entrasse nel loro cuore lo stupore, sentiva Gesù, faceva i suoi calcoli, i dottori della legge: ‘Ma è intelligente, è un uomo che dice le cose vere, ma a noi non convengono queste cose, no, eh!’. Facevano i calcoli, prendevano distanza”.

Anche i demoni sanno che Gesù è il Figlio di Dio
Gli stessi demoni – osserva il Papa – confessavano, cioè proclamavano che Gesù era il “Figlio di Dio”, ma come i dottori della legge e i cattivi farisei “non avevano la capacità dello stupore, erano chiusi nella loro sufficienza, nella loro superbia. Pietro riconosce che Gesù è il Messia ma confessa anche di essere un peccatore:

“I demoni arrivano a dire la verità su di Lui, ma su di loro non dicono nulla. Non possono: la superbia è tanto grande che gli impedisce di dirlo. I dottori della legge dicono: ‘Ma questo è intelligente, è un rabbino capace, fa dei miracoli, eh!’. Ma non dicono: ‘Noi siamo superbi, noi siamo sufficienti, noi siamo peccatori’. L’incapacità di riconoscerci peccatori ci allontana dalla vera confessione di Gesù Cristo. E questa è la differenza”.

Facile dire che Gesù è il Signore, difficile riconoscersi peccatori
E’ la differenza che c’è tra l’umiltà del pubblicano che si riconosce peccatore e la superbia del fariseo che parla bene di se stesso:

“Questa capacità di dire che siamo peccatori ci apre allo stupore dell’incontro di Gesù Cristo, il vero incontro. Anche nelle nostre parrocchie, nelle nostre società, anche tra le persone consacrate: quante persone sono capaci di dire che Gesù è il Signore? Tante! Ma che difficile è dire sinceramente: ‘Sono un peccatore, sono una peccatrice’. E’ più facile dirlo degli altri, eh? Quando si chiacchiera, eh? ‘Questo, quello, questo sì…’. Tutti siamo dottori in questo, vero? Per arrivare a un vero incontro con Gesù è necessaria la doppia confessione: ‘Tu sei il Figlio di Dio e io sono un peccatore’, ma non in teoria: per questo, per questo, per questo e per questo…”.

La grazia di incontrare Gesù e lasciarsi incontrare da Lui
Pietro – sottolinea il Papa – poi dimentica lo stupore dell’incontro e rinnega il Signore: ma poiché “è umile, si lascia incontrare dal Signore e quando i loro sguardi si incontrano, lui piange, torna alla confessione: ‘Sono peccatore’”. E il Papa conclude: “Il Signore ci dia la grazia di incontrarlo ma anche di lasciarci incontrare da Lui. Ci dia la grazia, tanto bella, di questo stupore dell’incontro. E ci dia la grazia di avere la doppia confessione nella nostra vita: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo, credo. E io sono un peccatore, credo’”.

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Entrare nelle relazioni

Posté par atempodiblog le 30 août 2015

fabio rosini

Questa domenica è veramente molto importante uscire da questo mondo di scrupoli, di cura della propria individuale giustizia, per entrare nelle relazioni. Quando, nelle relazioni, vogliamo osservare le regolette normalmente vogliamo ferire chi abbiamo intorno, quando vogliamo amare chi abbiamo intorno dimentichiamo le regolette, andiamo al cuore, ci occupiamo delle persone e guardiamo alle loro reali necessità.

di don Fabio Rosini – Commento ai Vangeli festivi (XXII domenica del tempo ordinario, anno B)

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Il Papa ai sacerdoti: “Il cuore di Cristo è la tenerezza di Dio”

Posté par atempodiblog le 13 juin 2015

Il Papa ai sacerdoti: “Il cuore di Cristo è la tenerezza di Dio” dans Articoli di Giornali e News 16o4cp

La tenerezza di Dio. Questo il tema centrale dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato a braccio, in spagnolo, nella Messa celebrata nella Basilica di San Giovanni in Laterano in occasione del ritiro mondiale dei sacerdoti.

Dio ci ha amati, salvati dalla “schiavitù del peccato e dell’autodistruzione da ogni schiavitù che abbiamo in noi”. Ci ha insegnato “a camminare, è bello ascoltare che Dio si abbassa e ci insegna a camminare: la tenerezza di Dio è l’avermi insegnato a camminare nello spirito”. “Dio – ha aggiunto Francesco – attira con lacci d’amore non con leggi punitive, l’amore lega nella libertà perché rispondiamo con amore”.

“Sulla costa della Libia – ha ancora aggiunto Papa Bergoglio – quei 23 martiri copti erano sicuri che Dio non li avrebbe abbandonati e si sono lasciati sgozzare pronunciando il nome di Gesù, di fronte agli assassini sapevano che Dio non li abbandonava. Dio è l’unico capace di calore e tenerezza, non si adira per i nostri peccati. La sua una dichiarazione di amore di un padre ai suoi figli, a ognuno di noi”.

Noi spesso “abbiamo paura della tenerezza di Dio. Noi non lasciamo che lui si sperimenti in noi, per questo spesso restiamo duri, severi, castigatori. Siamo pastori senza tenerezza”. “Cosa ci dice Gesù – ha domandato il Papa – quando parla del pastore che aveva 99 pecore? Ha lasciato le 99 e ha cercato l’ultima, rimasta intrappolata. Non l’ha sgridata, l’ha presa sulle spalle e l’ha portata via, curandola. Fate lo stesso con i vostri fedeli? O ci siamo abituati a essere una chiesa con una sola pecora nel gregge e lasciamo le altre 99 perdersi sulla montagna? La tua tenerezza ti commuove o sei pastore di una sola pecora intristita? Cerchi te stesso e ti sei dimenticato della tenerezza?”.

La risposta arriva – ha concluso il Papa – dal “cuore di Cristo” che “è la tenerezza di Dio. Oggi chiedo a voi in questo ritiro di essere pastori con la tenerezza di Dio, lasciate in sagrestia il vostro pensiero negativo, siate pastori teneri anche con quelli che vi danno problemi. Questa è una grazia divina. Noi crediamo non in un Dio etereo ma di carne che ha un cuore e ci dice: se seite stanchi venite da me, ma trattate i miei piccoli con tenerezza cosi come vi tratto. Questo ci chiede il cuore di Cristo”.

di Marco Mancini – ACI Stampa

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Il Papa a Ostia: visita alla parrocchia Regina Pacis

Posté par atempodiblog le 4 mai 2015

“Fede non è ipocrisia”. Così il Papa alla Regina Pacis di Ostia
Il Papa a Ostia: visita alla parrocchia “Regina Pacis”. Testo integrale dell’omelia

di Radio Vaticana

Il Papa a Ostia: visita alla parrocchia Regina Pacis dans Commenti al Vangelo 1z6dvlf

Una parola che Gesù ripete spesso, soprattutto durante l’Ultima Cena, è: “Rimanete in me”. Non staccatevi da me, rimanete in me. E proprio la vita cristiana è questo rimanere in Gesù. Questa è la vita cristiana: rimanere in Gesù. E Gesù, per spiegarci bene cosa vuol dire con questo, usa questa bella figura della vite: “Io sono la vite vera, voi i tralci”. E ogni tralcio che non è unito alla vite finisce per morire, non dà frutto; e poi è buttato fuori, per fare il fuoco. Servono tanto per questo, per fare il fuoco – sono molto, molto utili – ma non per dare frutto. Invece i tralci che sono uniti alla vite, ricevono dalla vite il succo di vita e così si sviluppano, crescono e danno i frutti. Semplice, semplice l’immagine. Ma rimanere in Gesù significa essere unito a Lui per ricevere la vita da Lui, l’amore da Lui, lo Spirito Santo da Lui.

E’ vero, tutti noi siamo peccatori, ma se noi rimaniamo in Gesù, come i tralci con la vite, il Signore viene, ci pota un po’, perché noi possiamo dare più frutto. Lui sempre ha cura di noi. Ma se noi ci stacchiamo da lì, non rimaniamo nel Signore: siamo cristiani a parole soltanto, ma non di vita; siamo cristiani, ma morti, perché non diamo frutto, come i tralci staccati dalla vite. Rimanere in Gesù vuol dire avere la voglia di ricevere la vita da Lui, anche il perdono, anche la potatura, ma riceverla da Lui. Rimanere in Gesù significa: cercare Gesù; pregare; la preghiera. Rimanere in Gesù significa accostarsi ai sacramenti: l’Eucaristia; la riconciliazione. Rimanere in Gesù – e questo è il più difficile di tutti – significa fare quello che ha fatto Gesù, avere lo stesso atteggiamento di Gesù.

Ma quando noi spelliamo gli altri per esempio, o quando noi chiacchieriamo, non rimaniamo in Gesù: Gesù mai lo ha fatto questo. Quando noi siamo bugiardi, non rimaniamo in Gesù: mai lo ha fatto. Quando noi truffiamo gli altri con questi affari sporchi che sono alla mano di tutti, siamo tralci morti, non rimaniamo in Gesù. Rimanere in Gesù è fare lo stesso che faceva Lui: fare il bene, aiutare gli altri, pregare il Padre, curare gli ammalati, aiutare i poveri, avere la gioia dello Spirito Santo.

Una bella domanda per noi cristiani è questa: “Io rimango in Gesù o sono lontano da Gesù? Sono unito alla vite che mi dà vita o sono un tralcio morto, che è incapace di dare frutto, dare testimonianza?”

E, anche, ci sono altri tralci, di cui Gesù non parla qui, ma ne parla da un’altra parte: quelli che si fanno vedere come discepoli di Gesù, ma fanno il contrario di un discepolo di Gesù, e sono i tralci ipocriti. Forse vanno tutte le domeniche a Messa, forse fanno faccia di immaginetta, tutte pie, eh, ma poi vivono come se fossero pagani. E a questi Gesù, nel Vangelo, li chiama ipocriti.

Gesù è buono, ci invita a rimanere in Lui. Lui ci dà la forza e se noi scivoliamo in peccati – ma tutti siamo peccatori – Lui ci perdona, perché Lui è misericordioso. Ma quello che Lui vuole sono queste due cose: che noi rimaniamo in Lui e che noi non siamo ipocriti. E con questo una vita cristiana va avanti.

E cosa ci dà il Signore se rimaniamo in Lui? Lo abbiamo sentito: “Se rimanete in me, e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto”. Ma, una forza nella preghiera “Chiedete quello che volete”, cioè la preghiera potente che Gesù fa quello che chiediamo. Ma se la nostra preghiera è debole – come “Eh sì è in Gesù, ma non è in Gesù…” – la preghiera non dà i suoi frutti, perché il tralcio non è unito alla vite. Ma se il tralcio è unito alla vite, cioè “se voi rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete, vi sarà fatto”. E questa è la preghiera onnipotente. Da dove viene questa onnipotenza della preghiera? Dal rimanere in Gesù; dall’essere unito a Gesù, come il tralcio alla vite. Che il Signore ci dia questa grazia.

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Gesù buon Pastore si relaziona a noi con generosità

Posté par atempodiblog le 26 avril 2015

Gesù buon Pastore si relaziona a noi con generosità
di Don Fabio Rosini (direttore del Servizio per le Vocazioni della Diocesi di Roma)

Gesù buon Pastore si relaziona a noi con generosità dans Commenti al Vangelo 2vaav5z

Gesù buon Pastore si relaziona a noi con generosità
[…] Gesù è il buon Pastore, vuol dire che esistono i cattivi pastori… infatti questo testo fa il confronto con il mercenario, c’è il buon Pastore e il mercenario. Qual è la differenza? Il buon Pastore dà la vita per le pecore, il mercenario non darà la vita per le pecore perché è mercenario; quando arriverà il lupo abbandona le pecore e fugge perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. [...] Il buon Pastore sta davanti alle pecore come il Padre è stato davanti a Lui. […]

Noi non conosciamo le persone, noi le usiamo. Non abbiamo una relazione di protezione davanti alle persone, se non perché ci conviene. […]

Il comando ricevuto dal Padre è quello di essere secondo la Sua propria natura: essere dono. Gesù è dono. Cristo è frutto della generosità del Padre, quindi con questa generosità si relaziona a noi. E’ il buon Pastore, non è il mercenario.

Dio non misura i millimetri e gli errori e non ci vuole traumatizzati
Quante volte noi stiamo davanti a Dio come se fosse un mercenario, stiamo di fronte a Dio come se stesse lì a misurarci i millimetri, gli errori, le povertà, le cose che diamo… con una paura di lui che in fondo resta latente, ma è la nostra mentalità da orfani che resta lì invadente e ossessiva, che ci costringe a stare davanti a lui tremebondi e sfiduciati, con una paura della Sua volontà che non si giustifica se uno guarda la Croce di Cristo. Ma come si può avere paura di Uno che è morto per  amore nostro? Ma come si può avere paura di Dio? Eppure questa paura è in noi. Perché questa paura è in noi? Perché proiettiamo l’ambiente da cui veniamo. L’ambiente da cui veniamo è un ambiente di “do ut des”, di scambi.

Noi siamo questi traumatizzati dall’assenza della gratuità. Il bagno di gratuità che è la relazione con Dio, questo essere accolti veramente, non perché siamo “così o cosà”, ma perché ci siamo punto e basta. Come una madre che ama il suo bimbo perché è il suo bimbo, non perché è bello o brutto ma perché è il suo bimbo. Sentirci suoi, il Pastore dà la vita per le pecore perché le pecore gli appartengono. Ecco: sentirsi sua proprietà, cose sue. “Io sono una cosa Sua”, ogni persona è un possesso felice di Dio. Veramente questo Vangelo viene perché facciamo una Pasqua dal freddo della nostra solitudine alla dolcezza della Sua Misericordia.

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Papa Francesco: chi non sa dialogare vuol far tacere

Posté par atempodiblog le 16 avril 2015

Papa Francesco: chi non sa dialogare vuol far tacere
Chi non sa dialogare non obbedisce a Dio e vuole far tacere quanti predicano la novità di Dio: è quanto ha affermato il Papa nella Messa del mattino celebrata nella Cappella di Casa Santa Marta.

di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

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Obbedire a Dio è il coraggio di cambiare strada
La liturgia del giorno ci parla dell’obbedienza. L’obbedienza – osserva il Papa – “tante volte ci porta per una strada che non è quella che io penso che deve essere, ce n’è un’altra”. Obbedire è “avere il coraggio di cambiare strada, quando il Signore ci chiede questo”. “Chi obbedisce ha la vita eterna”, mentre per “chi non obbedisce, l’ira di Dio rimane su di lui”.

Così nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, i sacerdoti e i capi ordinano ai discepoli di Gesù di non predicare più il Vangelo al popolo: si infuriano, sono “pieni di gelosia” perché alla loro presenza avvengono miracoli, il popolo li segue “e il numero dei credenti cresceva”. Li mettono in carcere, ma di notte, l’Angelo di Dio li libera e tornano ad annunciare il Vangelo. Fermati e interrogati di nuovo, Pietro risponde alle minacce del sommo sacerdote: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”. I sacerdoti non capivano:

“Ma questi erano dottori, avevano studiato la storia del popolo, avevano studiato le profezie, avevano studiato la legge, conoscevano così tutta la teologia del popolo di Israele, la rivelazione di Dio, sapevano tutto, erano dottori, e sono stati incapaci di riconoscere la salvezza di Dio. Ma come mai questa durezza di cuore? Perché non è durezza di testa, non è una semplice testardaggine. E’ qui la durezza… E si può domandare: come è il percorso di questa testardaggine, ma totale, di testa e di cuore?”.

Chi non sa dialogare non obbedisce a Dio
“La storia di questa testardaggine, l’itinerario – sottolinea il Papa – è quello di chiudersi in se stessi, è quello di non dialogare, è la mancanza di dialogo”:

“Questi non sapevano dialogare, non sapevano dialogare con Dio, perché non sapevano pregare e sentire la voce del Signore, e non sapevano dialogare con gli altri. ‘Ma perché interpreti questo così?’. Soltanto interpretavano come era la legge per farla più precisa, ma erano chiusi ai segni di Dio nella storia, erano chiusi al suo popolo, al loro popolo. Erano chiusi, chiusi. E la mancanza di dialogo, questa chiusura del cuore, li ha portati a non obbedire a Dio. Questo è il dramma di questi dottori di Israele, di questi teologi del popolo di Dio: non sapevano ascoltare, non sapevano dialogare. Il dialogo si fa con Dio e con i fratelli”.

Chi non dialoga vuol far tacere quelli che predicano la novità di Dio
E il segno che rivela che una persona “non sa dialogare”, “non è aperta alla voce del Signore, ai segni che il Signore fa nel popolo” – afferma il Papa – è la “furia e la voglia di far tacere tutti quelli che predicano in questo caso la novità di Dio, cioè Gesù è risorto. Non hanno ragione, ma arrivano a questo. E’ un itinerario doloroso. Questi sono gli stessi che hanno pagato i custodi del sepolcro per dire che i discepoli avevano rubato il corpo di Gesù. Fanno di tutto per non aprirsi alla voce di Dio”:

“E in questa Messa preghiamo per i maestri, per i dottori, per quelli che insegnano al popolo di Dio, perché non si chiudano, perché dialoghino e così si salvino dall’ira di Dio che, se non cambiano atteggiamento, rimarrà su di loro”.

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I segni della fede

Posté par atempodiblog le 12 avril 2015

I segni della fede
Tratto da: Le vie del cuore. Vangelo per la vita quotidiana, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

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La fede è un dono di grazia

Vi è un dolce rimprovero di Gesù all’apostolo Tommaso, il quale non aveva creduto alla testimonianza degli altri apostoli che affermavano di aver visto il Signore risorto. Ma insieme all’affettuoso richiamo dobbiamo cogliere anche un altro aspetto molto importante della pedagogia divina nei confronti della nostra fragilità, che spesso ci fa vacillare lungo in cammino di fede. Gesù viene incontro al desiderio di Tommaso di avere un segno che lo aiuti nell’atto di fede. Gli fa mettere il dito nel posto dei chiodi e la mano nella ferita del costato, come Tommaso stesso aveva chiesto come condizione per poter credere.

Dio sa che la fede pura, che non ha bisogno di appoggiarsi ai segni, è un punto di arrivo e non di partenza. Infatti quando il cammino spirituale diventa un’autentica esperienza di Dio non si ha più bisogno di segni perché Dio è una presenza più vera e più sicura di qualsiasi cosa materiale che possiamo vedere o toccare. Ma all’inizio, quando la fede bambina fa i primi passi, deve aggrapparsi ai segni per procedere senza inciampare.

La fede è senza dubbio un dono di Dio, ma anche i segni che l’accompagnano lo sono. Non si deve disprezzarli, perché nei momenti di oscurità perfino i santi ne hanno avuto bisogno. Non si deve neppure fare di essi una condizione per credere. Infatti il segno senza la corrispondenza alla grazia non approda a nulla. Non è forse vero che, davanti ai segni più grandi, i cuori induriti non si smuovono? Non fece forse Gesù dei miracoli, come mai prima era accaduto, a conferma della sua autorità divina? Eppure ci furono di quelli che l’accusarono di compiere prodigi con l’aiuto del maligno.

Il segno è un sostegno alla fede se con esso si accoglie la grazia. In questa luce, caro amico, soffermiamoci a meditare quali sostegni mirabili Dio ci ha dato per accompagnarci nel cammino di fede.  [...]

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“E’ importantissimo, signori, sottolineare il fatto empirico e sensibile dell’apparizione pasquale. Se non facciamo questo, noi cristiani corriamo il grande rischio di trasformare il cristianesimo in una gnosi”.

Paolo VI

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L’incredulo Tommaso che ha bisogno di vedere e toccare per poter credere, mette la sua mano nel fianco aperto del Signore e, nel toccare, conosce l’intoccabile e lo tocca realmente, guarda all’invisibile e lo vede veramente: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28) [...] Noi siamo tutti come Tommaso, l’incredulo, ma noi tutti, come lui, possiamo toccare lo scoperto cuore di Gesù; ed in esso toccare, guardare il Logos stesso, così, mano e cuore rivolti a questo cuore, giungere alla confessione: “Mio Signore e mio Dio”.

Joseph Ratzinger – Guardare al crocifisso

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“Chi crede ai miracoli lo fa perché ha delle prove a loro favore. Chi li nega lo fa perché ha una teoria contraria ad essi”.

Gilbert Keith Chesterton

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L’importanza dei segni
Tommaso viene rimproverato da Gesù perché avrebbe già dovuto credere per la testimonianza degli altri discepoli
di Padre Ignace de la Potterie

[...] Nell’ultimo episodio Gesù riappare ai discepoli una settimana dopo. Adesso c’è anche Tommaso, assente la prima volta. L’inizio è lo stesso, la vera novità è costituita dalla presenza di Tommaso, che riveste qui un duplice ruolo: essendo «uno dei Dodici» deve aver visto il Signore risorto; ma d’altra parte, lui è anche uno di quelli che non l’ha visto la prima volta e quindi rappresenta un pò tutti noi. Così il caso di Tommaso prefigura l’atteggiamento di tutti i credenti. Perciò vale per tutti l’invito: «Diventa un uomo di fede». Ma poi Gesù dice: «Perché mi hai visto, Tommaso, hai creduto», e l’evangelista utilizza due volte il perfetto. Ma viene rimproverato da Gesù perché avrebbe già dovuto credere per la testimonianza degli altri discepoli, i quali a loro volta avevano creduto a ciò che aveva detto loro la Maddalena.

Credere sui segni
Gesù dice allora all’apostolo: «Beati coloro che senza aver visto hanno creduto». Su questo versetto c’è molta confusione. Per Bultmann e per Marxsen sarebbe una critica radicale all’importanza dei segni e dell’apparizione pasquale del risorto. Una apologia della fede privata di ogni appoggio esteriore. Il fedele non deve vedere i segni come fatti storici ma come una rappresentazione simbolica che serve a far comprendere l’efficacia della croce. Allora la resurrezione non c’è! Ma un’altra lettura sbagliata è anche quella che traduce: «Beati coloro che senza aver visto crederanno». Non è corretto tradurre con un futuro. Ci sono due verbi all’aoristo, e in tutti gli altri casi di aoristo utilizzati da Giovanni questi hanno valore di anteriorità. Gesù si riferisce quindi al passato ed è questa la ripresa di quanto è accaduto all’inizio del capitolo, cioè il fatto che i discepoli hanno cominciato a credere già sui segni e poi anche sulla testimonianza degli altri senza avere visto il risorto. [...]

Per approfondire 2e2mot5 dans Diego Manetti Non è la richiesta di una fede cieca

Per approfondire 2e2mot5 dans Diego Manetti Guardare per credere

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Santa Teresina e la Vergine del sorriso

Spesso si dice che santa Teresa del Bambin Gesù non ebbe mai segni, nulla di straordinario, nella sua vita… in realtà non è vero. Dio da a ogni anima dei segni… chi fa un sogno, chi vede gli occhi di un immagine muoversi e così via… i segni sono importanti, come afferma anche padre De la Potterie.

Teresa di Lisieux, gravemente ammalata, tanto da far temere per la sua vita, fu miracolosamente guarita il 13 maggio 1883, domenica di Pentecoste, dall’intervento della Santissima Vergine.

Teresina vide la statua viva e maternamente sorridente, nello splendore della sua eterna giovinezza. Anche su questa vita eccezionale la Santa Vergine ha posto il sigillo di santità. D’altra parte come avrebbe potuto essere la santa dell’infanzia spirituale senza avere la Madonna come Maestra? E non è forse la Madonna colei che ci dona il Bambino Gesù?

Sunto di una riflessione di padre Livio Fanzaga

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L’Immagine, la festa, la coroncina, l’ora santa: le forme del culto alla Divina Misericordia

Posté par atempodiblog le 9 avril 2015

Suor Faustina Kowalska Apostola della Divina Misericordia
L’Immagine, la festa, la coroncina, l’ora santa: le forme del culto alla Divina Misericordia
Mons. Józef Bart – La Santa Sede

L'immagine di Gesù Misericordioso dans Misericordia Gesu_Misericordioso

La prima forma del culto della Divina Misericordia si esprime nella venerazione dell’Immagine di Gesù Misericordioso. Gesù chiede la venerazione pubblica di questa Immagine nelle Chiese di tutto il mondo. Questa venerazione deve essere solenne nel giorno della Misericordia e cioè nella prima Domenica dopo Pasqua. Il ruolo dell’Immagine è duplice:

1) Essa serve sia a Gesù sia agli uomini. Per Gesù l’Immagine è uno strumento attraverso il quale distribuisce la sua Grazia. Agli uomini l’Immagine serve come un recipiente con il quale attingono la Grazia dalla fonte della Misericordia (Quaderni di Suor Faustina, Parte I, n. 138).

2) L’Immagine è un segno che ricorda agli uomini la richiesta di compiere atti di misericordia o attraverso l’azione, o attraverso la parola, o attraverso la preghiera (Quaderni… , II, 162). Non dimentichiamo che la venerazione dell’Immagine senza la fiducia nella Divina Misericordia e la pratica di questa virtù non è adorazione della Divina Misericordia. Se veneriamo l’Immagine pieni di fiducia otteniamo da Gesù che la Sua Misericordia non soltanto ci salverà dalla perdizione eterna ma, come ha promesso Gesù, si occuperà dei nostri problemi puramente terreni, come se fossero i suoi. In breve, la promessa legata all’autentica venerazione dell’Immagine riguarda il progresso sulla strada della santità, la buona morte e la salvezza eterna.

La festa della Divina Misericordia

La seconda forma del culto della Divina Misericordia riguarda la festa della Divina Misericordia. Essa occupa nel Diario di Suor Faustina un posto centrale. Infatti Gesù già nella prima rivelazione ha fatto conoscere a Faustina la sua volontà di istituire questa festa e di celebrarla la prima Domenica dopo Pasqua. La scelta di questa Domenica indica chiaramente che nei piani di Dio esiste uno stretto legame tra il mistero pasquale della Redenzione e questa festa dedicata a far capire l’aspetto della Misericordia compreso nel mistero della nostra Redenzione. Gesù richiede che questa festa sia preceduta dalla Novena che consiste nella recita della Coroncina alla Misericordia. Il Signore acclude a questa Novena la promessa: “Durante questa novena elargirò alle anime grazie di ogni genere”(Quaderni…, II, 197). Gesù chiede che durante la Festa della Misericordia venga solennemente benedetta I’Immagine che rappresenta la stessa Divina Misericordia e chiede la venerazione pubblica di tale Immagine in quel giorno.

Oltre a questo, il Signore vuole che i sacerdoti in quel giorno parlino nell’omelia della Divina Misericordia e dimostrino alle anime l’inconcepibile Misericordia di Gesù nella sua Passione e in tutta l’opera della Redenzione. La Festa della Divina Misericordia, secondo l’intenzione di Gesù, deve essere il giorno di riparazione e di rifugio per tutte le anime e specialmente per quelle dei poveri peccatori.

In questo giorno, infatti, l’immensa generosità di Gesù si spande completamente sulle anime infondendo grazie di ogni genere e grado, senza alcun limite, anche le più impensabili. Ne è la prova la grazia particolarissima che Gesù ha legato alla festa della Misericordia. Essa consiste nella totale remissione dei peccati che non sono stati ancora rimessi e di tutte le pene derivanti da questi peccati. La grandezza di questa grazia è in grado di ravvivare in noi la fiducia illimitata che Gesù desidera offrirci in questa giornata della Misericordia. La peculiarità della festa della Divina Misericordia che la distingue da tutte le altre feste e da tutte le altre forme di culto sta:

1) Nell’universalità dell’offerta di Dio a tutti gli uomini, anche a quelli che fino a questo momento non hanno mai praticato il culto alla Divina  Misericordia e cioè anche i peccatori che si sono convertiti. Essi sono chiamati a partecipare a tutte le grazie che Gesù ha promesso di elargire il  giorno della Festa.

2) La perfezione e la straordinarietà della festa della Misericordia si rivela nel fatto che durante questa giornata vengono offerti agli uomini tutti i  generi di grazie, sia spirituali che corporali, sia per i singoli, per le  comunità e per l’umanità intera.

3) Infine tutti i gradi della grazia sono in questo giorno alla portata di tutti, “In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le  grazie divine” ( Quaderni…, II, 138). Proprio  tale generosità di Gesù estesa contemporaneamente a tutte le anime è il motivo che permette di supplicare la Divina Misericordia con una grande ed illimitata fiducia per tutti i doni della Grazia che il Signore vuole distribuire durante questa festa. Infatti è proprio questa fiducia che apre a noi i tesori della misericordia. Ora è chiara la portata universale del desiderio di Gesù di celebrare questa festa quale rifugio di tutte le anime.

La Coroncina alla Divina Misericordia

Il terzo modo di adorare la Divina Misericordia si esprime, secondo l’intenzione di Gesù, per mezzo della preghiera della Coroncina alla Divina Misericordia. Attraverso questa preghiera noi offriamo al Padre Eterno tutta la Persona di Gesù, cioè la Sua divinità e tutta la Sua umanità che comprende corpo, sangue e anima. Offrendo al Padre Eterno il Figlio amatissimo, ci richiamiamo all’amore del Padre per il Figlio che soffre per noi. La preghiera della Coroncina si può recitare in comune o individualmente. Le parole pronunciate da Gesù a Suor Faustina, dimostrano che il bene della comunità e di tutta l’umanità si trova al primo posto: “Con la recita della Coroncina avvicini a Me il genere umano” (Quaderni…, II, 281) Alla recita della Coroncina Gesù ha legato la promessa generale: “Per la recita di questa Coroncina Mi piace concedere tutto ciò che Mi chiederanno” (Quaderni…, V, 124 -125). Nello scopo per il quale viene recitata la Coroncina Gesù ha posto la condizione dell’efficacia di questa preghiera: “Con la Coroncina otterrai tutto, se quello che chiedi è conforme alla Mia Misericordia”  (Quaderni…, VI, 93). In altre parole, il bene che chiediamo deve essere assolutamente conforme alla volontà di Dio. Gesù ha promesso chiaramente di concedere grazie eccezionalmente grandi a quelli che reciteranno la Coroncina. Si tratta delle tre grandi promesse:

1) Chiunque reciterà la Coroncina alla Divina Misericordia otterrà tanta misericordia nell’ora della morte – cioè la grazia della conversione e la  morte in stato di grazia – anche se si trattasse del peccatore più incallito (Quaderni…, II, 122).

2) Gesù ha promesso la grazia della conversione e della remissione dei peccati  agli agonizzanti in conseguenza della recita della Coroncina da parte degli stessi agonizzanti o degli altri (Quaderni…, II, 204 – 205).

3) Tutte le anime che adoreranno la Mia Misericordia e reciteranno la Coroncina nell’ora della morte non avranno paura. La Mia Misericordia li proteggerà in  quell’ultima lotta (Quaderni…, V, 124). Poiché queste tre promesse sono molto grandi e riguardano il momento decisivo del nostro destino, Gesù rivolge proprio ai sacerdoti un appello affinché consiglino ai peccatori la recita della Coroncina alla Divina Misericordia  come ultima zattera di salvezza (Quaderni…, 11, 129).

L’Ora della Misericordia

La quarta forma del Culto della Divina Misericordia è la preghiera delle ore tre del pomeriggio, in altre parole l’Ora della Misericordia. In quest’ora Gesù ci chiede di meditare sulla Sua Passione percorrendo magari la Via Crucis o, in mancanza di tempo, di raccoglierci per un breve momento in preghiera recitando per esempio la breve orazione: “Oh Sangue ed Acqua che scaturisti dal Cuore di Gesù come sorgente di Misericordia per noi, confido in Te” (Quaderni…, 1, 99). In quell’ora Gesù suggeriva a Faustina di chiedere Misericordia per tutto il mondo e per tutti i peccatori. Sappiamo che le tre pomeridiane sono l’ora della morte di Gesù e quindi l’ora della grande Misericordia per tutto il mondo. In quell’ora Gesù promette: “Non rifiuterò nulla a chi Mi prega per la Mia Passione” (Quaderni…, IV, 59). Gesù ha posto tre condizioni perché questa preghiera sia esaudita: – deve essere rivolta a Lui; – deve aver luogo alle tre del pomeriggio; – deve basarsi sul valore e sui meriti della Sua Passione. Certamente, oltre a ciò, come per tutte le promesse legate alle altre forme della devozione, la preghiera deve essere fiduciosa e costante e chi prega deve praticare la Misericordia. L’ora della Misericordia è destinata ad essere praticata da tutti gli uomini.

Diffusione del culto

Il quinto modo per adorare la Divina Misericordia consiste nel diffondere le varie forme di questo Culto. Dobbiamo essere consapevoli che invitare gli altri al culto della Misericordia è oggettivamente servizio maggiore di quello che si pratica da soli. Gesù ha legato a questa forma del culto alla Divina Misericordia due promesse: La prima è la protezione materna: “Le anime che diffondono il Culto della Mia Misericordia le proteggo per tutta la vita come una tenera madre protegge il suo bambino” (Q III, 20 – 21); La seconda promessa riguarda l’ora della morte: “Verso le anime che esalteranno e faranno conoscere ad altri la Mia Misericordia nell’ora della morte mi comporterò secondo la Mia Misericordia infinita” (Q III, 161);

Infine, ai sacerdoti che parleranno della Misericordia di Dio Gesù ha promesso che i peccatori induriti si inteneriranno alle loro parole. Questo vuol dire che le omelie incentrate sulla Divina Misericordia hanno un’efficacia straordinaria per la conversione dei peccatori.

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Indulgenze ad atti di culto compiuti in onore della Divina Misericordia

Posté par atempodiblog le 9 avril 2015

PENITENZIERIA APOSTOLICA
DECRETO
Si annettono Indulgenze ad atti di culto compiuti in onore della Divina Misericordia
La Santa Sede

Indulgenze ad atti di culto compiuti in onore della Divina Misericordia dans Commenti al Vangelo 311uqg2

“La tua misericordia, o Dio, non conosce limiti e infinito è il tesoro della tua bontà…” (Orazione dopo l’Inno “Te Deum”) e “O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono…” (Orazione della Domenica XXVI del Tempo Ordinario), umilmente e fedelmente canta la Santa Madre Chiesa. Infatti l’immensa condiscendenza di Dio, sia verso il genere umano nel suo insieme sia verso ogni singolo uomo, splende in modo speciale quando dallo stesso Dio onnipotente sono rimessi peccati e difetti morali e i colpevoli sono paternamente riammessi alla sua amicizia, che meritatamente avevano perduta.

I fedeli con intimo affetto dell’animo sono da ciò attratti a commemorare i misteri del perdono divino ed a celebrarli piamente, e comprendono chiaramente la somma convenienza, anzi la doverosità che il Popolo di Dio lodi con particolari formule di preghiera la Divina Misericordia e, al tempo stesso, adempiute con animo grato le opere richieste e soddisfatte le dovute condizioni, ottenga vantaggi spirituali derivanti dal Tesoro della Chiesa. “Il mistero pasquale è il vertice di questa rivelazione ed attuazione della misericordia, che è capace di giustificare l’uomo, di ristabilire la giustizia nel senso di quell’ordine  salvifico  che  Dio dal  principio  aveva voluto nell’uomo e mediante l’uomo, nel mondo” (Lett. enc. Dives in Misericordia, 7).

Invero la Misericordia Divina sa perdonare anche i peccati più gravi, ma nel farlo muove i fedeli a concepire un dolore soprannaturale, non meramente psicologico, dei propri peccati, così che, sempre con l’aiuto della grazia divina, formulino un fermo proposito di non peccare più. Tali disposizioni dell’animo conseguono effettivamente il perdono dei peccati mortali quando il fedele riceve fruttuosamente il sacramento della Penitenza o si pente dei medesimi mediante un atto di perfetta carità e di perfetto dolore, col proposito di accostarsi quanto prima allo stesso sacramento della Penitenza:  infatti Nostro Signore Gesù Cristo nella parabola del figliuol prodigo ci insegna che il peccatore deve confessare la sua miseria a Dio dicendo:  “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio” (Lc 15, 18-19), avvertendo che questo è opera di Dio:  “era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15; 32).

Perciò con provvida sensibilità pastorale il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, per imprimere profondamente nell’animo dei fedeli questi precetti ed insegnamenti della fede cristiana, mosso dalla dolce considerazione del Padre delle Misericordie, ha voluto che la seconda Domenica di Pasqua fosse dedicata a ricordare con speciale devozione questi doni della grazia, attribuendo a tale Domenica la denominazione di “Domenica della Divina Misericordia” (Congr. per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Decr. Misericors et miserator, 5 Maggio 2000).

Il Vangelo della seconda Domenica di Pasqua narra le cose mirabili compiute da Cristo Signore il giorno stesso della Risurrezione nella prima apparizione pubblica:
«La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse:  “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo:  “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse:  “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”» (Gv 20, 19-23).

Per far sì che i fedeli vivano con intensa pietà questa celebrazione, lo stesso Sommo Pontefice ha stabilito che la predetta Domenica sia arricchita dell’Indulgenza Plenaria, come più sotto sarà indicato, affinché i fedeli possano ricevere più largamente il dono della consolazione dello Spirito Santo e così alimentare una crescente carità verso Dio e verso il prossimo, e, ottenuto essi stessi il perdono di Dio, siano a loro volta indotti a perdonare prontamente i fratelli.

Così i fedeli osserveranno più perfettamente lo spirito del Vangelo, accogliendo in sé il rinnovamento illustrato e introdotto dal Concilio Ecumenico Vaticano II:
«I cristiani, ricordando le parole del Signore:  “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35), niente possono desiderare più ardentemente che servire con sempre maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo… Il Padre vuole che noi riconosciamo ed efficacemente amiamo in tutti gli uomini Cristo fratello, tanto con la parola che con l’azione» (Cost. past. Gaudium et spes, 93).

Il Sommo Pontefice pertanto, animato da ardente desiderio di favorire al massimo nel popolo cristiano questi sensi di pietà verso la Divina Misericordia, a motivo dei ricchissimi frutti spirituali che da ciò si possono sperare, nell’Udienza concessa il giorno 13 giugno 2002 ai sottoscritti Responsabili della Penitenzieria Apostolica, Si è degnato di largire Indulgenze nei termini che seguono: 

Si concede l’Indulgenza plenaria alle consuete condizioni (Confessione sacramentale, Comunione eucaristica e preghiera secondo l’intenzione del Sommo Pontefice) al fedele che nella Domenica seconda di Pasqua, ovvero della “Divina Misericordia”, in qualunque chiesa o oratorio, con l’animo totalmente distaccato dall’affetto verso qualunque peccato, anche veniale, partecipi a pratiche di pietà svolte in onore della Divina Misericordia, o almeno reciti, alla presenza del SS.mo Sacramento dell’Eucaristia, pubblicamente esposto o custodito nel tabernacolo, il Padre Nostro e il  Credo, con l’aggiunta di una pia invocazione al Signore Gesù Misericordioso (p. e. “Gesù Misericordioso, confido in Te”).

Si concede l’Indulgenza parziale al fedele che, almeno con cuore contrito, elevi al Signore Gesù Misericordioso una delle pie invocazioni legittimamente approvate.

Inoltre i naviganti, che compiono il loro dovere nell’immensa distesa del mare; gli innumerevoli fratelli, che i disastri della guerra, le vicende politiche, l’inclemenza dei luoghi ed altre cause del genere, hanno allontanato dal suolo patrio; gli infermi e coloro che li assistono e tutti coloro che per giusta causa non possono abbandonare la casa o svolgono un’attività non differibile a vantaggio della comunità, potranno conseguire l’Indulgenza plenaria nella Domenica della Divina Misericordia, se con totale detestazione di qualunque peccato, come è stato detto sopra, e con l’intenzione di osservare, non appena sarà possibile, le tre consuete condizioni, reciteranno, di fronte ad una pia immagine di Nostro Signore Gesù Misericordioso, il Padre Nostro e il Credo, aggiungendo una pia invocazione al Signore Gesù Misericordioso (p.e. “Gesù Misericordioso, confido in Te”).

Se neanche questo si potesse fare, in quel medesimo giorno potranno ottenere l’Indulgenza plenaria quanti si uniranno con l’intenzione dell’animo a coloro che praticano nel modo ordinario l’opera prescritta per l’Indulgenza e offriranno a Dio Misericordioso una preghiera e insieme le sofferenze delle loro infermità e gli incomodi della propria vita, avendo anch’essi il proposito di adempiere non appena possibile le tre condizioni prescritte per l’acquisto dell’Indulgenza plenaria.

I sacerdoti, che svolgono il ministero pastorale, soprattutto i parroci, informino nel modo più conveniente i loro fedeli di questa salutare disposizione della Chiesa, si prestino con animo pronto e generoso ad ascoltare le loro confessioni, e nella Domenica della Divina Misericordia, dopo la celebrazione della Santa Messa o dei Vespri, o durante un pio esercizio in onore della Divina Misericordia, guidino, con la dignità propria del rito, la recita delle preghiere qui sopra indicate; infine, essendo “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5, 7), nell’impartire la catechesi spingano soavemente i fedeli a praticare con ogni possibile frequenza opere di carità o di misericordia, seguendo l’esempio e il mandato di Cristo Gesù, come è indicato nella seconda concessione generale dell’“Enchiridion Indulgentiarum”.

Il presente Decreto ha vigore perpetuo. Nonostante qualunque contraria disposizione.

Roma, dalla sede della Penitenzieria Apostolica, il 29 giugno 2002, nella solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo 2002.

LUIGI DE MAGISTRIS Arcivescovo tit. di Nova Pro-Penitenziere Maggiore

GIANFRANCO GIROTTI, O.F.M. Conv. Reggente

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Il Papa: dove non c’è misericordia non c’è giustizia

Posté par atempodiblog le 23 mars 2015

Il Papa: dove non c’è misericordia non c’è giustizia
Dove non c’è misericordia non c’è giustizia e tante volte oggi il popolo di Dio soffre un giudizio senza misericordia: così, in sintesi, Papa Francesco durante la Messa del mattino a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

Il Papa: dove non c'è misericordia non c'è giustizia dans Commenti al Vangelo 2eahqj7

I rigidi hanno una doppia vita
Commentando le letture del giorno e riferendosi anche ad un altro passo evangelico, Papa Francesco parla di tre donne e tre giudici: una donna innocente, Susanna, una peccatrice, l’adultera, e una povera vedova bisognosa: “Tutte e tre – spiega – secondo alcuni padri della Chiesa, sono figure allegoriche della Chiesa: la Chiesa Santa, la Chiesa peccatrice e la Chiesa bisognosa”. “I tre giudici sono cattivi” e “corrotti”, osserva il Papa: c’è innanzitutto il giudizio degli scribi e dei farisei che portano l’adultera a Gesù. “Avevano dentro il cuore la corruzione della rigidità”. Si sentivano puri perché osservavano “la lettera della legge”. “La legge dice questo e si deve fare questo”:

“Ma non erano santi questi, erano corrotti, corrotti perché una rigidità del genere soltanto può andare avanti in una doppia vita e questi che condannavano queste donne poi andavano a cercarle da dietro, di nascosto, per divertirsi un po’. I rigidi sono – uso l’aggettivo che dava Gesù loro – ipocriti: hanno doppia vita. Quelli che giudicano, pensiamo nella Chiesa – tutte e tre le donne sono figure allegoriche della Chiesa – quelli che giudicano con rigidità la Chiesa hanno doppia vita. Con la rigidità neppure si può respirare”.

Il popolo di Dio tante volte non trova misericordia
Poi ci sono i due giudici anziani che ricattano una donna, Susanna, perché si conceda, ma lei resiste: “Erano giudici viziosi – sottolinea il Papa – avevano la corruzione del vizio, in questo caso la lussuria. E si dice che quando c’è questo vizio della lussuria con gli anni diventa più feroce, più cattivo”. Infine, c’è il giudice interpellato dalla povera vedova. Questo giudice “non temeva Dio e non si curava di nessuno: non gli importava niente, soltanto gli importava di se stesso”: Era “un affarista, un giudice che col suo mestiere di giudicare faceva gli affari”. Era “un corrotto di denaro, di prestigio”. Questi giudici – rileva il Papa – l’affarista, i viziosi e i rigidi, “non conoscevano una parola, non conoscevano cosa fosse misericordia”:

“La corruzione li portava lontano dal capire la misericordia, l’essere misericordiosi. E la Bibbia ci dice che nella misericordia è proprio il giusto giudizio. E le tre donne – la santa, la peccatrice e la bisognosa, figure allegoriche della Chiesa – soffrono di questa mancanza di misericordia. Anche oggi, il popolo di Dio, quando trova questi giudici, soffre un giudizio senza misericordia, sia nel civile, sia sull’ecclesiastico. E dove non c’è misericordia non c’è giustizia. Quando il popolo di Dio si avvicina volontariamente per chiedere perdono, per essere giudicato, quante volte, quante volte, trova qualcuno di questi”.

Una delle parole più belle del Vangelo: “Neanche io ti condanno”
Trova i viziosi che “sono capaci di tentare di sfruttarli”, e questo “è uno dei peccati più gravi”; trova “gli affaristi” che “non danno ossigeno a quell’anima, non danno speranza”; e trova “i rigidi che puniscono nei penitenti quello che nascondono nella loro anima”. “Questo – dice il Papa – si chiama mancanza di misericordia”. Quindi, conclude:

“Vorrei soltanto dire una delle parole più belle del Vangelo che a me commuove tanto: ‘Nessuno ti ha condannata?’ – ‘No, nessuno, Signore’ – ‘Neanch’io ti condanno’. Neanche io ti condanno: una delle parole più belle perché è piena di misericordia”.

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Omelia del Santo Padre a Piazza del Plebiscito (Napoli)

Posté par atempodiblog le 22 mars 2015

Omelia del Santo Padre a Piazza del Plebiscito (Napoli) dans Commenti al Vangelo 25i87xu

Il passo del Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta una scena ambientata nel tempio di Gerusalemme, al culmine della festa ebraica delle capanne, dopo che Gesù ha proclamato una grande profezia rivelandosi come sorgente dell’“acqua viva”, cioè lo Spirito Santo (cfr Gv 7,37-39). Allora la gente, molto impressionata, si mette a discutere su di Lui. Anche oggi la gente discute su di Lui. Alcuni sono entusiasti e dicono che «è davvero il profeta» (v. 40). Qualcuno addirittura afferma: «Costui è il Cristo!» (v. 41). Ma altri si oppongono perché – dicono – il Messia non viene dalla Galilea, ma dalla stirpe di Davide, da Betlemme; e così, senza saperlo, confermano proprio l’identità di Gesù.

I capi dei sacerdoti avevano mandato delle guardie per arrestarlo, come si fa nelle dittature, ma queste ritornano a mani vuote e dicono: «Mai un uomo ha parlato così!» (v. 45). Ecco la voce della verità, che risuona in quegli uomini semplici.

La parola del Signore, ieri come oggi, provoca sempre una divisione: la parola di Dio divide, sempre! Provoca una divisione tra chi la accoglie e chi la rifiuta. A volte un contrasto interiore si accende anche nel nostro cuore; questo accade quando avvertiamo il fascino, la bellezza e la verità delle parole di Gesù, ma nello stesso tempo le respingiamo perché ci mettono in discussione, ci mettono in difficoltà e ci costa troppo osservarle.

Oggi sono venuto a Napoli per proclamare insieme a voi: Gesù è il Signore! Ma non voglio dirlo solo io: voglio sentirlo da voi, da tutti, adesso, tutti insieme “Gesù è il Signore!”, un’altra volta “Gesù è il Signore!” Nessuno parla come Lui! Lui solo ha parole di misericordia che possono guarire le ferite del nostro cuore. Lui solo ha parole di vita eterna (cfr Gv 6,68).

La parola di Cristo è potente: non ha la potenza del mondo, ma quella di Dio, che è forte nell’umiltà, anche nella debolezza. La sua potenza è quella dell’amore: questa è la potenza della parola di Dio! Un amore che non conosce confini, un amore che ci fa amare gli altri prima di noi stessi. La parola di Gesù, il santo Vangelo, insegna che i veri beati sono i poveri in spirito, i non violenti, i miti, gli operatori di pace e di giustizia. Questa è la forza che cambia il mondo! Questa è la parola che dà forza ed è capace di cambiare il mondo. Non c’è un’altra strada per cambiare il mondo.

La parola di Cristo vuole raggiungere tutti, in particolare quanti vivono nelle periferie dell’esistenza, perché trovino in Lui il centro della loro vita e la sorgente della speranza. E noi, che abbiamo avuto la grazia di ricevere questa Parola di Vita – è una grazia ricevere la parola di Dio! – siamo chiamati ad andare, a uscire dai nostri recinti e, con ardore di cuore, portare a tutti la misericordia, la tenerezza, l’amicizia di Dio: questo è un lavoro che tocca a tutti, ma in modo speciale a voi sacerdoti. Portare misericordia, portare perdono, portare pace, portare gioia nei Sacramenti e nell’ascolto. Che il popolo di Dio possa trovare in voi uomini misericordiosi come Gesù. Nello stesso tempo ogni parrocchia e ogni realtà ecclesiale diventi santuario per chi cerca Dio e casa accogliente per i poveri, gli anziani e quanti si trovano nel bisogno. Andare e accogliere: così pulsa il cuore della madre Chiesa, e di tutti i suoi figli. Vai, accogli! Vai, cerca! Vai, porta amore, misericordia, tenerezza.

Quando i cuori si aprono al Vangelo, il mondo comincia a cambiare e l’umanità risorge! Se accogliamo e viviamo ogni giorno la Parola di Gesù, risorgiamo con Lui.

La Quaresima che stiamo vivendo fa risuonare nella Chiesa questo messaggio, mentre camminiamo verso la Pasqua: in tutto il popolo di Dio si riaccende la speranza di risorgere con Cristo, nostro Salvatore. Che non giunga invano la grazia di questa Pasqua, per il popolo di Dio di questa città! Che la grazia della Risurrezione sia accolta da ognuno di voi, perché Napoli sia piena della speranza di Cristo Signore! La speranza: “Largo alla speranza”, dice il motto di questa mia Visita. Lo dico a tutti, in modo particolare ai giovani: apritevi alla potenza di Gesù Risorto, e porterete frutti di vita nuova in questa città: frutti di condivisione, di riconciliazione, di servizio, di fraternità. Lasciatevi avvolgere, abbracciare dalla sua misericordia, dalla misericordia di Gesù, di quella misericordia che soltanto Gesù ci porta.

Cari napoletani, largo alla speranza e non lasciatevi rubare la speranza! Non cedete alle lusinghe di facili guadagni o di redditi disonesti: questo è pane per oggi e fame per domani. Non ti può portare niente! Reagite con fermezza alle organizzazioni che sfruttano e corrompono i giovani, i poveri e i deboli, con il cinico commercio della droga e altri crimini. Non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate che la vostra gioventù sia sfruttata da questa gente! La corruzione e la delinquenza non sfigurino il volto di questa bella città! E di più: non sfigurino la gioia del vostro cuore napoletano! Ai criminali e a tutti i loro complici oggi io umilmente, come fratello, ripeto: convertitevi all’amore e alla giustizia! Lasciatevi trovare dalla misericordia di Dio! Siate consapevoli che Gesù vi sta cercando per abbracciarvi, per baciarvi, per amarvi di più. Con la grazia di Dio, che perdona tutto e perdona sempre, è possibile ritornare a una vita onesta. Ve lo chiedono anche le lacrime delle madri di Napoli, mescolate con quelle di Maria, la Madre celeste invocata a Piedigrotta e in tante chiese di Napoli. Queste lacrime sciolgano la durezza dei cuori e riconducano tutti sulla via del bene.

Oggi incomincia la primavera e la primavera porta speranza: tempo di speranza. E l’oggi di Napoli è tempo di riscatto per Napoli: questo è il mio augurio e la mia preghiera per una città che ha in sé tante potenzialità spirituali, culturali e umane, e soprattutto tanta capacità di amare. Le autorità, le istituzioni, le varie realtà sociali e i cittadini, tutti insieme e concordi, possono costruire un futuro migliore. E il futuro di Napoli non è ripiegarsi rassegnata su sé stessa: questo non è il vostro futuro! Ma il futuro di Napoli è aprirsi con fiducia al mondo, dare largo alla speranza. Questa città può trovare nella misericordia di Gesù, che fa nuove tutte le cose, la forza per andare avanti con speranza, la forza per tante esistenze, tante famiglie e comunità. Sperare è già resistere al male. Sperare è guardare il mondo con lo sguardo e con il cuore di Dio. Sperare è scommettere sulla misericordia di Dio che è Padre e perdona sempre e perdona tutto.

Dio, fonte della nostra gioia e ragione della nostra speranza, vive nelle nostre città. Dio vive a Napoli! La sua grazia e la sua benedizione sostengano il vostro cammino nella fede, nella carità e nella speranza, i vostri propositi di bene e i vostri progetti di riscatto morale e sociale. Abbiamo tutti insieme proclamato Gesù come il Signore: diciamolo ancora alla fine: “Gesù è il Signore!”, tutti tre volte: “Gesù è il Signore!”. E ca ‘a Maronna v’accumpagne!

Tratto da: La Santa Sede

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Papa Francesco annuncia un Giubileo straordinario: Anno Santo della Misericordia

Posté par atempodiblog le 14 mars 2015

Un Giubileo straordinario, un Anno Santo della Misericordia: è l’annuncio che Papa Francesco ha fatto ieri pomeriggio, nella Basilica Vaticana, durante l’omelia della celebrazione penitenziale con la quale il Papa ha aperto l’iniziativa “24 ore per il Signore”. Un annuncio accolto dall’applauso dei presenti. Durante l’omelia Francesco ha sottolineato la ricchezza della misericordia di Dio evidenziando “con quanto amore ci guarda Gesù, con quanto amore guarisce il nostro cuore peccatore”.
di Adriana Masotti – Radio Vaticana

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“Ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: “Siate misericordiosi come il Padre. (…) Questo Anno Santo inizierà nella prossima solennità dell’Immacolata Concezione e si concluderà il 20 novembre del 2016, Domenica di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo e volto vivo della misericordia del Padre”.

E’ l’annuncio con cui Papa Francesco conclude la sua omelia per la liturgia penitenziale celebrata questo pomeriggio nella Basilica Vaticana, un Giubileo straordinario che Francesco vede come una opportunità attraverso cui “la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia”.

“Affido l’organizzazione di questo Giubileo al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, perché possa animarlo come una nuova tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare ad ogni persona il Vangelo della misericordia, ha continuato, sono convinto che tutta la Chiesa, che ha tanto bisogno di ricevere misericordia, perchè siamo peccatori, potrà trovare in questo Giubileo la gioia per riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ogni donna del nostro tempo”.

E al tema della misericordia Papa Francesco ha dedicato dedica l’intera omelia: come ricorda l’apostolo Paolo, dice, riferendosi alla prima lettura, “Dio non cessa mai di mostrare la ricchezza della sua misericordia nel corso dei secoli”. Il Vangelo, continua, “ci apre un cammino di speranza e di conforto”. E del brano che racconta l’episodio della peccatrice che lava i piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli, li bacia e li unge d’olio profumato, mentre Simone, il padrone di casa che ha invitato il Maestro alla sua tavola la giudica quale peccatrice, Francesco sottolinea due parole che ritornano con insistenza: amore e giudizio.

 “C’è l’amore della donna peccatrice che si umilia davanti al Signore; ma prima ancora c’è l’amore misericordioso di Gesù per lei, che la spinge ad avvicinarsi. (…) “Ogni gesto di questa donna parla di amore ed esprime il suo desiderio di avere una certezza incrollabile nella sua vita: quella di essere stata perdonata. E questa certezza è bellissima. E Gesù le dà questa certezza: accogliendola le dimostra l’amore di Dio per lei, proprio per lei! Dio le perdona molto, tutto, perché «ha molto amato».  “Questa donna ha veramente incontrato il Signore. (…) Per lei non ci sarà nessun giudizio se non quello che viene da Dio, e questo è il giudizio della misericordia. Il protagonista di questo incontro è certamente l’amore, la misericordia,  che va oltre la giustizia”.

 Simone il fariseo, al contrario, afferma il Papa, “non riesce a trovare la strada dell’amore”(…) “Nei suoi pensieri invoca solo la giustizia e facendo così sbaglia. Il suo giudizio sulla donna lo allontana dalla verità e non gli permette neppure di comprendere chi è il suo ospite. Si è fermato alla superficie, non è stato capace di guardare al cuore”.

 “Il richiamo di Gesù spinge ognuno di noi a non fermarsi mai alla superficie delle cose, soprattutto quando siamo dinanzi a una persona. Siamo chiamati a guardare oltre, a puntare sul cuore per vedere di quanta generosità ognuno è capace. Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio; tutti conoscono la strada per accedervi e la Chiesa è la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta. Le sue porte permangono spalancate, conclude il Papa, perché quanti sono toccati dalla grazia possano trovare la certezza del perdono”.

Un’accoglienza che trova la sua immagine simbolica proprio nel rito iniziale del Giubileo straordinario appena annunciato: l’apertura della Porta santa della Basilica di San Pietro, l’8 dicembre prossimo.

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