Papa: è bello sperare nella misericordia di Dio, la rigidità clericale fa male

Posté par atempodiblog le 15 décembre 2015

Papa: è bello sperare nella misericordia di Dio, la rigidità clericale fa male
La speranza nella misericordia di Dio apre gli orizzonti e ci rende liberi, mentre la rigidità clericale chiude i cuori e fa tanto male: così il Papa nella Messa del mattino presieduta a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

papa francesco

La prima Lettura del giorno, tratta dal Libro dei Numeri, parla di Balaam, un profeta ingaggiato da un re per maledire Israele. Balaam – osserva il Papa – “aveva i suoi difetti, ma persino i peccati. Perché tutti abbiamo peccati, tutti. Tutti siamo peccatori. Ma non spaventatevi – esorta il Pontefice – Dio è più grande dei nostri peccati”. “Nel suo cammino Balaam incontra l’angelo del Signore e cambia il cuore”. “Non cambia di partito” ma “cambia dall’errore alla verità e dice quello che vede”: il Popolo di Dio dimora nelle tende in mezzo al deserto e lui “oltre il deserto vede la fecondità, la bellezza, la vittoria”. Ha aperto il cuore, “si converte” e “vede lontano, vede la verità”, perché “con buona volontà sempre si vede la verità”. “E’ una verità che dà speranza”.

“La speranza – afferma Papa Francesco – è questa virtù cristiana che noi abbiamo come un gran dono del Signore e che ci fa vedere lontano, oltre i problemi, i dolori, le difficoltà, oltre i nostri peccati”. Ci fa “vedere la bellezza di Dio”:

“Quando io mi trovo con una persona che ha questa virtù della speranza ed è in un momento brutto della sua vita – sia una malattia sia una preoccupazione per un figlio o una figlia o qualcuno della famiglia sia qualsiasi cosa – ma ha questa virtù, in mezzo al dolore ha l’occhio penetrante, ha la libertà di vedere oltre, sempre oltre. E questa è la speranza. E questa è la profezia che oggi la Chiesa ci dona: ci vuole donne e uomini di speranza, anche in mezzo a dei problemi. La speranza apre orizzonti, la speranza è libera, non è schiava, sempre trova un posto per arrangiare una situazione”.

Nel Vangelo, ci sono i capi dei sacerdoti che chiedono a Gesù con quale autorità agisca: “Non hanno orizzonti” – dice il Papa – sono “uomini chiusi nei loro calcoli”, “schiavi delle proprie rigidità. E i calcoli umani “chiudono il cuore, chiudono la libertà”, mentre “la speranza ci fa leggeri”:

“Quanto bella è la libertà, la magnanimità, la speranza di un uomo e una donna di Chiesa. Invece, quanto brutta e quanto male fa la rigidità di una donna o di un uomo di Chiesa, la rigidità clericale, che non ha speranza. In quest’Anno della Misericordia, ci sono queste due strade: chi ha speranza nella misericordia di Dio e sa che Dio è Padre; Dio perdona sempre, ma tutto; oltre il deserto c’è l’abbraccio del Padre, il perdono. E, anche, ci sono quelli che si rifugiano nella propria schiavitù, nella propria rigidità, e non sanno nulla della misericordia di Dio. Questi erano dottori, avevano studiato, ma la loro scienza non li ha salvati”.

Il Papa conclude l’omelia raccontando un fatto accaduto nel 1992 a Buenos Aires, durante una Messa per i malati. Stava confessando ormai da molte ore, quando è arrivata una donna molto anziana, ottantenne, “con gli occhi che vedevano oltre, questi occhi pieni di speranza”:

“E io ho detto: ‘Nonna, lei viene a confessarsi?’. Perché io mi stavo alzando. ‘Sì’. ‘Ma lei non ha peccati’. E lei m’ha detto: ‘Padre, tutti ne abbiamo’. ‘Ma, forse il Signore non li perdona?’. ‘Dio perdona tutto!’, m’ha detto. Dio perdona tutto. ‘E come lo sa?’, ho chiesto. ‘Perché se Dio non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe’. Davanti a queste due persone -  il libero, la speranza, quello che ti porta la misericordia di Dio e il chiuso, il legalista, proprio l’egoista, lo schiavo delle proprie rigidità – ricordiamo questa lezione che questa anziana ottantenne – era portoghese – mi ha dato: Dio perdona tutto, soltanto aspetta che tu ti avvicini”.

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Francesco a Santa Marta: lasciamoci accarezzare dalla misericordia di Dio

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2015

Francesco a Santa Marta: lasciamoci accarezzare dalla misericordia di Dio
Dio è innamorato della nostra piccolezza, la sua misericordia non ha fine. E’ quanto affermato da Papa Francesco alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, alla quale hanno preso parte anche i cardinali del Consiglio dei Nove, che iniziano oggi la dodicesima riunione di lavoro con il Santo Padre. I lavori del Consiglio proseguiranno fino a sabato 12 dicembre. Nell’omelia, il Pontefice ha sottolineato che la misericordia è come una carezza, come l’abbraccio di un genitore che dà consolazione e sicurezza al proprio bambino.
di Alessandro Gisotti  – Radio Vaticana

papa misericordioso

“Il Signore è misericordioso e grande nell’amore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia mattutina muovendo dalla prima Lettura – tratta dal libro di Isaia – laddove in un monologo del Signore si comprende che Dio ha scelto il suo popolo “non perché fosse grande o potente”, ma “perché era il più piccolo di tutti, il più miserabile di tutti”.

Dio si innamora della nostra piccolezza
Dio, prosegue, “si è innamorato di questa miseria, si è innamorato proprio di questa piccolezza”. E in questo monologo di Dio col suo popolo, ribadisce, “si vede questo amore”, un “amore tenero, un amore come quello del papà o della mamma, quando” parla con il bambino che “la notte si sveglia spaventato da un sogno”. E lo rassicura: “Io ti tengo per la destra, stai tranquillo, non temere”:

“Tutti noi conosciamo le carezze dei papà e delle mamme, quando i bambini sono inquieti per lo spavento: ‘Non temere, io sono qui; Io sono innamorato della tua piccolezza; mi sono innamorato della tua piccolezza, del tuo niente’. Anche: ‘Non temere i tuoi peccati, Io ti voglio tanto bene; Io sono qui per perdonarti’. Questa è la misericordia di Dio”.

Il Signore prende su di sé le nostre debolezze
Francesco rammenta, quindi, un Santo che faceva molte penitenze, ma il Signore gli chiedeva sempre di più fino a quando gli disse che non aveva più niente da donargli e Dio gli rispose: “Dammi i tuoi peccati”:

“Il Signore ha voglia di prendere su di sé le nostre debolezze, i nostri peccati, le nostre stanchezze. Gesù quante volte faceva sentire questo e poi: ‘Venite a me, tutti voi che siete affaticati, stanchi e io vi darò ristoro. Io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra, non temere piccolino, non temere. Io ti darò forza. Dammi tutto ed Io ti perdonerò, ti darò pace”.

La misericordia di Dio ci faccia più misericordiosi con gli altri
Queste, riprende, “sono le carezze di Dio, queste sono le carezze del nostro Padre, quando si esprime con la sua misericordia”:

“Noi che siamo tanto nervosi, quando una cosa non va bene, strepitiamo, siamo impazienti… Invece Lui: ‘Ma, stai tranquillo, ne hai fatta una grossa, sì, ma stai tranquillo; non temere, Io ti perdono. Dammela’. Questo è quello che significa quando abbiamo ripetuto nel Salmo: ‘Il Signore è misericordioso e grande nell’amore’. Noi siamo piccoli. Lui ci ha dato tutto. Ci chiede soltanto le nostre miserie, le nostre piccolezze, i nostri peccati, per abbracciarci, per accarezzarci”.

“Chiediamo al Signore – ha concluso Francesco – di risvegliare in ognuno di noi e in tutto il popolo la fede in questa paternità, in questa misericordia, nel suo cuore. E che questa fede nella sua paternità e la sua misericordia ci faccia un po’ più misericordiosi nel confronto degli altri”.

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Papa: pensiero unico vuol farci mettere all’asta identità cristiana

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2015

Papa: pensiero unico vuol farci mettere all’asta identità cristiana
Il pensiero unico, l’umanismo che prende il posto di Gesù, l’uomo vero, distrugge l’identità cristiana. Non mettiamo all’asta la nostra carta d’identità: è la forte esortazione lanciata da Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

papa francesco

La mondanità porta al pensiero unico e all’apostasia
La prima lettura del giorno, tratta dal primo Libro dei Maccabei, racconta di “una radice perversa” che sorse in quei giorni: il re ellenista Antioco Epìfane impone le usanze pagane in Israele, al “popolo eletto”, cioè alla “Chiesa di quel momento”. Papa Francesco commenta “l’immagine della radice che è sotto terra”. La “fenomenologia della radice” è questa: “Non si vede, sembra non fare male, ma poi cresce e mostra, fa vedere, la propria realtà”. “Era una radice ragionevole” che spingeva alcuni israeliti ad allearsi con le nazioni vicine per essere protetti: “Perché tante differenze? Perché da quando ci siamo separati da loro ci sono capitati molti mali. Andiamo da loro, siamo uguali”. Il Papa spiega questa lettura con tre parole: “Mondanità, apostasia, persecuzione”. La mondanità è fare ciò che fa il mondo. E’ dire: “Mettiamo all’asta la nostra carta d’identità; siamo uguali a tutti”. Così, molti israeliti “rinnegarono la fede e si allontanarono dalla Santa Alleanza”. E ciò “che sembrava tanto ragionevole – ‘siamo come tutti, siamo normali’ – diventò la distruzione”:

“Poi il re prescrisse in tutto il suo regno che tutti formassero un solo popolo – il pensiero unico; la mondanità – e ciascuno abbandonasse le proprie usanze. Tutti i popoli si adeguarono agli ordini del re; anche molti israeliti accettarono il suo culto: sacrificarono agli idoli e profanarono il sabato. L’apostasia. Cioè, la mondanità ti porta al pensiero unico e all’apostasia. Non sono permesse, non ci sono permesse le differenze: tutti uguali. E nella storia della Chiesa, nella storia abbiamo visto, penso ad un caso, che alle feste religiose è stato cambiato il nome – il Natale del Signore ha un altro nome – per cancellare l’identità”.

L’umanismo di oggi distrugge l’identità cristiana
In Israele vennero bruciati i libri della legge “e se qualcuno obbediva alla legge, la sentenza del re lo condannava a morte”. Ecco “la persecuzione”, iniziata da una “radice velenosa”. “Mi ha sempre colpito – afferma il Papa – che il Signore, nell’Ultima Cena, in quella lunga preghiera, pregasse per l’unità dei suoi e chiedesse al Padre che li liberasse da ogni spirito del mondo, da ogni mondanità, perché la mondanità distrugge l’identità; la mondanità porta al pensiero unico”:

“Incomincia da una radice, ma è piccola, e finisce nell’abominazione della desolazione, nella persecuzione. Questo è l’inganno della mondanità, e per questo Gesù chiedeva al Padre, in quella cena: ‘Padre, non ti chiedo che di toglierli dal mondo, ma custodiscili dal mondo’, da questa mentalità, da questo umanismo, che viene a prendere il posto dell’uomo vero, Gesù Cristo, che viene a toglierci l’identità cristiana e ci porta al pensiero unico: ‘Tutti fanno così, perché noi no?’. Questo, di questi tempi, ci deve far pensare: com’è la mia identità? E’ cristiana o mondana? O mi dico cristiano perché da bambino sono stato battezzato o sono nato in un Paese cristiano, dove tutti sono cristiani? La mondanità che entra lentamente, cresce, si giustifica e contagia: cresce come quella radice, si giustifica – ‘ma, facciamo come tutta la gente, non siamo tanto differenti’ -, cerca sempre una giustificazione,  e alla fine contagia, e tanti mali vengono da lì”.

Guardarsi dalle radici velenose che crescono e contagiano
“La liturgia, in questi ultimi giorni dell’anno liturgico” – conclude il Papa – ci esorta a stare attenti alle “radici velenose” che “portano lontano dal Signore”:

“E chiediamo al Signore per la Chiesa, perché il Signore la custodisca da ogni forma di mondanità. Che la Chiesa sempre abbia l’identità disposta da Gesù Cristo; che tutti noi abbiamo l’identità che abbiamo ricevuto nel battesimo, e che questa identità per voler essere come tutti, per motivi di ‘normalità’, non venga buttata fuori. Che il Signore ci dia la grazia di mantenere e custodire la nostra identità cristiana contro lo spirito di mondanità che sempre cresce, si giustifica e contagia”.

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Il Papa: il cristiano include, non chiude le porte, i farisei escludono

Posté par atempodiblog le 5 novembre 2015

Il Papa: il cristiano include, non chiude le porte, i farisei escludono
Il cristiano include, non chiude le porte a nessuno, anche se questo provoca resistenze. Chi esclude, perché si crede migliore, genera conflitti e divisioni e ne renderà conto un giorno davanti al tribunale di Dio. E’ quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

donare

L’atteggiamento di Gesù è includere
Nella Lettera ai Romani San Paolo esorta a non giudicare e a non disprezzare il fratello, perché questo – afferma il Papa – porta ad escluderlo dal “nostro gruppetto”, ad essere “selettivi e questo non è cristiano”. Cristo, infatti, “con il suo sacrificio sul Calvario” unisce e include “tutti gli uomini nella salvezza”. Nel Vangelo si avvicinano a Gesù i pubblicani e i peccatori, “cioè, gli esclusi, tutti quelli che erano fuori”, e “i farisei e gli scribi mormoravano”:

“L’atteggiamento degli Scribi, dei Farisei è lo stesso, escludono: ‘Noi siamo i perfetti, noi seguiamo la legge. Questi sono peccatori, sono pubblicani’. E l’atteggiamento di Gesù è includere. Ci sono due strade nella vita: la strada dell’esclusione delle persone dalla nostra comunità e la strada dell’inclusione. La prima può essere piccola ma è la radice di tutte le guerre: tutte le calamità, tutte le guerre, incominciano con un’esclusione. Si escludono dalla comunità internazionale ma anche dalle famiglie, fra amici, quante liti… E la strada che ci fa vedere Gesù e ci insegna Gesù è tutt’altra, è contraria all’altra: includere”.

C’è resistenza di fronte all’inclusione 
“Non è facile includere la gente – osserva Papa Francesco – perché c’è resistenza, c’è quell’atteggiamento selettivo”. Per questo Gesù racconta due parabole: quella della pecorella smarrita e della donna che perde una moneta. Sia il pastore che la donna fanno di tutto per ritrovare ciò che hanno perduto. E quando ci riescono sono pieni di gioia:

“Sono pieni di gioia perché hanno trovato quello che era perso e vanno dai vicini, dagli amici perché sono tanto felici: ‘Ho trovato, ho incluso’. Questo è l’includere di Dio, contro l’esclusione di quello che giudica, che caccia via la gente, le persone: ‘No, questo no, questo no, questo no…’, e si fa un piccolo circolo di amici che è il suo ambiente. E’ la dialettica fra esclusione e inclusione. Dio ci ha inclusi tutti nella salvezza, tutti! Questo è l’inizio. Noi con le nostre debolezze, con i nostri peccati, con le nostre invidie, gelosie, sempre abbiamo quest’atteggiamento di escludere che – come ho detto – può finire nelle guerre”.

Se io escludo sarò un giorno davanti al tribunale di Dio
Gesù – afferma Papa Francesco – fa come il Padre che lo ha inviato per salvarci, “ci cerca per includerci”, “per essere una famiglia”:

“Pensiamo un po’ e almeno, almeno!, facciamo il nostro piccolo, non giudichiamo mai: ‘Ma questo fa così…’. Ma Dio sa: è la sua vita, ma non lo escludo dal mio cuore, dalla mia preghiera, dal mio saluto, dal mio sorriso, e se l’occasione viene gli dico una bella parola. Mai escludere, non abbiamo diritto! E come finisce Paolo la Lettura: ‘Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio. Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio’. Se io escludo sarò un giorno davanti al tribunale di Dio e dovrò rendere conto di me stesso. Chiediamo la grazia di essere uomini e donne che includono sempre, sempre!, nella misura della sana prudenza, ma sempre. Non chiudere le porte a nessuno, sempre col cuore aperto: ‘Mi piace, non mi piace’, ma il cuore è aperto. Che il Signore ci dia questa grazia”.

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Papa Francesco: calunnie, invidie e trappole vengono dal diavolo

Posté par atempodiblog le 9 octobre 2015

Papa Francesco: calunnie, invidie e trappole vengono dal diavolo
Interpretare male chi fa il bene, calunniare per invidia, tendere trappole per far cadere, tutto questo non viene da Dio ma dal diavolo. Il Papa commenta il Vangelo del giorno presiedendo la Messa del mattino a Casa Santa Marta ed esorta al discernimento e alla vigilanza.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

 papa francesco

Rigidità dottrinali
Nel Vangelo di questo venerdì, Gesù scaccia un demonio, fa il bene, sta tra la gente che lo ascolta e riconosce la sua autorità, ma c’è chi lo accusa, sottolinea il Papa:

“C’era un altro gruppo di persone che non gli voleva bene e cercava sempre di interpretare le parole di Gesù e anche gli atteggiamenti di Gesù, in modo diverso, contro Gesù. Alcuni per invidia, altri per rigidità dottrinali, altri perché avevano paura che venissero i romani e facessero strage; per tanti motivi cercavano di allontanare l’autorità di Gesù dal popolo e anche con la calunnia, come in questo caso. ‘Lui scaccia i demoni per mezzo di Belzebù. Lui è un indemoniato. Lui fa delle magie, è uno stregone’. E continuamente lo mettevano alla prova, gli mettevano davanti un tranello, per vedere se cadeva”.

Discernimento e vigilanza
Papa Francesco invita al discernimento e alla vigilanza. “Saper discernere le situazioni”: ciò che viene da Dio e ciò che viene dal maligno che “sempre cerca di ingannare”, “di farci scegliere una strada sbagliata”. “Il cristiano non può essere tranquillo che tutto va bene, deve discernere le cose e guardare bene da dove vengono, qual è la loro la radice”.

Il diavolo anestetizza la coscienza
E poi la vigilanza, perché in un cammino di fede “le tentazioni tornano sempre, il cattivo spirito non si stanca mai”. Se “è stato cacciato via” ha “pazienza, aspetta per tornare” e se lo si lascia entrare si cade in una situazione peggiore. Infatti, prima si sapeva che era “il demonio che tormentava”. Dopo, “il Maligno è nascosto, viene con i suoi amici molto educati, bussa alla porta, chiede permesso, entra e convive con quell’uomo, la sua vita quotidiana e, goccia a goccia, dà le istruzioni”. Con “questa modalità educata” il diavolo convince a “fare le cose con relativismo”, tranquillizzando la coscienza:

“Tranquillizzare la coscienza. Anestetizzare la coscienza. E questo è un male grande. Quando il cattivo spirito riesce ad anestetizzare la coscienza si può parlare di una sua vera vittoria, diventa il padrone di quella coscienza: ‘Ma, questo accade dappertutto! Sì, ma tutti, tutti abbiamo problemi, tutti siamo peccatori, tutti…’. E nel ‘tutti’ c’è il ‘nessuno’. ‘Tutti, ma io no’. E così si vive questa mondanità che è figlia del cattivo spirito”.

Fare sempre esame di coscienza
Il Papa ribadisce le due parole, vigilanza e discernimento:

“Vigilanza. La Chiesa ci consiglia sempre l’esercizio dell’esame di coscienza: cosa è successo oggi nel mio cuore, oggi, per questo? E’ venuto questo demonio educato con i suoi amici da me?  Discernimento. Da dove vengono i commenti, le parole, gli insegnamenti, chi dice questo? Discernere e vigilanza, per non lasciare entrare quello che inganna, che seduce, che affascina. Chiediamo al Signore questa grazia, la grazia del discernimento e la grazia della vigilanza”.

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Francesco: tutti si guardino dall’essere ipocriti, anche il Papa

Posté par atempodiblog le 11 septembre 2015

“Dov’è misericordia e discrezione,
ivi non è superfluità
né durezza di cuore”.

San Francesco d’Assisi

papa carezza

Francesco: tutti si guardino dall’essere ipocriti, anche il Papa
Per essere misericordiosi verso gli altri, dobbiamo avere il coraggio di accusare noi stessi. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che dobbiamo imparare a non giudicare gli altri, altrimenti diventiamo ipocriti. Un rischio, ha avvertito, da cui tutti si devono guardare “dal Papa in giù”.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

“Generosità del perdono, generosità della misericordia”. Papa Francesco ha sottolineato che, in questi giorni, la Liturgia ci ha fatto riflettere sullo stile cristiano rivestito di sentimenti di tenerezza, bontà, mansuetudine e ci esortava a sopportarci a vicenda.

Avere il coraggio di accusare se stessi
Il Signore, ha proseguito, ci parla della “ricompensa”: “non giudicate, non sarete giudicati. Non condannate e non sarete condannati”:

“Ma noi possiamo dire: ‘Ma, questo è bello, eh?’. E ognuno di voi può dire: ‘Ma Padre, è bello, ma come si fa, come si incomincia, questo? E qual è il primo passo per andare su questa strada?’. Il primo passo lo vediamo oggi, sia nella prima Lettura, sia nel Vangelo. Il primo passo è l’accusa di se stessi. Il coraggio di accusare se stessi, prima di accusare gli altri. E Paolo loda il Signore perché lo ha eletto e rende grazie perché ‘mi ha dato fiducia mettendo me al suo servizio, perché io ero’ ‘un bestemmiatore, un persecutore e un violento’. Ma è stata misericordia”.

Guardarsi dall’essere ipocriti, dal Papa in giù
San Paolo, ha soggiunto, “ci insegna ad accusare noi stessi. E il Signore, con quell’immagine della pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e della trave che è nel tuo, ci insegna lo stesso”. Bisogna prima togliere la trave dal proprio occhio, accusare se stessi. “Primo passo – ha ribadito Francesco – accusa te stesso” e non sentirsi “il giudice per togliere la pagliuzza dagli occhi degli altri”:

“E Gesù usa quella parola che soltanto usa con quelli che hanno doppia faccia, doppia anima: ‘Ipocrita!’. Ipocrita. L’uomo e la donna che non imparano ad accusare se stessi diventano ipocriti. Tutti, eh? Tutti. Incominciando dal Papa in giù: tutti. Se uno di noi non ha la capacità di accusare se stesso e poi dire, se è necessario, a chi si devono dire le cose degli altri, non è cristiano, non entra in questa opera tanto bella della riconciliazione, della pacificazione, della tenerezza, della bontà, del perdono, della magnanimità, della misericordia che ci ha portato Gesù Cristo”.

Fermiamoci in tempo quando ci viene di sparlare degli altri
Il primo passo, dunque, ha ribadito è questo: chiedere “la grazia al Signore di una conversione” e “quando mi viene in mente di pensare ai difetti degli altri, fermarsi”:

“Quando mi viene la voglia di dire agli altri i difetti degli altri, fermarsi. E io? E avere il coraggio che ha Paolo, qui: ‘Io ero un bestemmiatore, un persecutore, un violento’ … Ma quante cose possiamo dire di noi stessi? Risparmiamo i commenti sugli altri e facciamo commenti su noi stessi. E questo è il primo passo su questa strada della magnanimità. Perché quello che sa guardare soltanto le pagliuzze nell’occhio dell’altro, finisce nella meschinità: un’anima meschina, piena di piccolezze, piena di chiacchiere”.

Chiediamo al Signore la grazia, ha detto ancora il Papa, “di seguire il consiglio di Gesù: essere generosi nel perdono, essere generosi nella misericordia”. Per canonizzare “una persona – ha concluso – c’è tutto un processo, c’è bisogno del miracolo, e poi la Chiesa” la proclama santa. “Ma – ha annotato – se si trovasse una persona che mai, mai, mai avesse parlato male dell’altro”, la “si potrebbe canonizzare subito”.

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Francesco: Gesù è misericordioso, chi non perdona non è cristiano

Posté par atempodiblog le 10 septembre 2015

Francesco: Gesù è misericordioso, chi non perdona non è cristiano
Pace e riconciliazione. Papa Francesco ha sviluppato l’omelia nella Messa mattutina a Casa Santa Marta partendo da questo binomio. Il Pontefice ha condannato quanti producono armi per uccidere nelle guerre, ma ha anche messo in guardia dai conflitti all’interno delle comunità cristiane. Dal Papa, inoltre, una nuova esortazione ai sacerdoti ad essere misericordiosi come lo è il Signore.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

papa misericordioso

Gesù è il principe della pace perché genera pace nei nostri cuori. Papa Francesco ha preso spunto dalle letture del giorno per soffermarsi sul binomio pace-riconciliazione. E subito si è chiesto se “noi ringraziamo tanto” per “questo dono della pace che abbiamo ricevuto in Gesù”. La pace, ha detto, “è stata fatta, ma non è stata accettata”.

Basta produrre armi, la guerra annienta
Anche oggi, tutti i giorni, “sui telegiornali, sui giornali – ha constatato con amarezza – vediamo che ci sono le guerre, le distruzioni, l’odio, l’inimicizia”.

“Anche ci sono uomini e donne che lavorano tanto – ma lavorano tanto! – per fabbricare armi per uccidere, armi che alla fine divengono bagnate nel sangue di tanti innocenti, di tanta gente. Ci sono le guerre! Ci sono le guerre e c’è quella cattiveria di preparare la guerra, di fare le armi contro l’altro, per uccidere! La pace salva, la pace ti fa vivere, ti fa crescere; la guerra ti annienta, ti porta giù”.

Chi non sa perdonare, non è cristiano
Tuttavia, ha soggiunto, la guerra non è solo questa, “è anche nelle nostre comunità cristiane, fra noi”. E questo, ha sottolineato, è il “consiglio” che oggi ci dà la liturgia: “Fate la pace fra voi”. Il perdono, ha aggiunto, è la “parola chiave”: “Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi”.

“Se tu non sai perdonare, tu non sei cristiano. Sarai un buon uomo, una buona donna… Perché non fai quello che ha fatto il Signore. Ma pure: se tu non perdoni, tu non puoi ricevere la pace del Signore, il perdono del Signore. E ogni giorno, quando preghiamo il Padre Nostro: ‘Perdonaci, come noi perdoniamo…’. E’ un ‘condizionale’. Cerchiamo di ‘convincere’ Dio di essere buono, come noi siamo buoni perdonando: al rovescio. Parole, no? Come si cantava quella bella canzone: ‘Parole, parole, parole’, no? Credo che Mina la cantasse… Parole! Perdonatevi! Come il Signore vi ha perdonato, così fate voi”.

La lingua distrugge, fa la guerra
C’è bisogno di “pazienza cristiana”, ha ripreso. “Quante donne eroiche ci sono nel nostro popolo – ha detto – che sopportano per il bene della famiglia, dei figli tante brutalità, tante ingiustizie: sopportano e vanno avanti con la famiglia”. Quanti uomini “eroici ci sono nel nostro popolo cristiano – ha proseguito – che sopportano di alzarsi presto al mattino e andare al lavoro – tante volte un lavoro ingiusto, mal pagato – per tornare in tarda serata, per mantenere la moglie e i figli. Questi sono i giusti”. Ma, ha ammonito, ci sono anche quelli che “fanno lavorare la lingua e fanno la guerra”, perché “la lingua distrugge, fa la guerra!”. C’è un’altra parola chiave, ha poi detto Francesco, “che viene detta da Gesù nel Vangelo”: “misericordia”. E’ importante “capire gli altri, non condannarli”.

Sacerdoti siano misericordiosi, non bastonino la gente in confessionale
“Il Signore, il Padre è tanto misericordioso – ha affermato – sempre ci perdona, sempre vuol fare la pace con noi”. Ma “se tu non sei misericordioso – ha avvertito il Papa – rischi che il Signore non sia misericordioso con te, perché noi saremo giudicati con la stessa misura con la quale noi giudichiamo gli altri”:

“Se tu sei prete e non te la senti di essere misericordioso, dì al tuo vescovo che ti dia un lavoro amministrativo, ma non scendere in confessionale, per favore! Un prete che non è misericordioso fa tanto male nel confessionale! Bastona la gente. ‘No, Padre, io sono misericordioso, ma sono un po’ nervoso…’. ‘E’ vero… Prima di andare in confessionale va dal medico che ti dia una pastiglia contro i nervi! Ma sii misericordioso!’. E anche fra noi misericordiosi. ‘Ma quello ha fatto questo… Io cosa ho fatto?’; ‘Quello è più peccatore di me!’: chi può dire questo, che l’altro sia più peccatore di me? Nessuno di noi può dire questo! Soltanto il Signore sa”.

Come insegna San Paolo, ha dunque evidenziato, bisogna rivestirsi di “sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità”. Questo, ha detto Francesco, “è lo stile cristiano”, “lo stile col quale Gesù ha fatto la pace e la riconciliazione”. “Non è la superbia, non è la condanna, non è sparlare degli altri”. Che il Signore, ha concluso, “ci dia a tutti noi la grazia di sopportarci a vicenda, di perdonare, di essere misericordiosi, come il Signore è misericordioso con noi”.

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Papa: “Per il Giubileo ogni parrocchia, monastero e santuario d’Europa accolga una famiglia di profughi”

Posté par atempodiblog le 6 septembre 2015

Papa: “Per il Giubileo ogni parrocchia, monastero e santuario d’Europa accolga una famiglia di profughi”
Il Santo Padre all’Angelus invita ogni parrocchia ad ospitare una famiglia di profughi. Inoltre ci dice che creiamo tante isole inaccessibili e inospitali: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa…
Francesco lancia l’appello informando che anche le due parrocchie in Vaticano accoglieranno rifugiati. Un invito alla pace per Colombia e Venezuela
di Salvatore Cernuzio – Zenit

papa francisco angelus

Continua a invocare Misericordia Papa Francesco, in vista del Giubileo straordinario ad essa dedicata, specie per le “decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita”. Nell’Angelus di oggi, in piazza San Pietro, questo non resta un sollecito a sé stante ma diventa un invito preciso e concreto che il Pontefice rivolge a parrocchie, comunità religiose, monasteri e santuari di tutta Europa.

Ognuno di essi, in preparazione all’Anno Santo, è chiamato ad accogliere una famiglia di immigrati, “incominciando dalla mia diocesi di Roma”, domanda il Santo Padre, informando che « anche le due parrocchie del Vaticano accoglieranno in questi giorni due famiglie di profughi”.  Questo gesto – sottolinea – esprime la “concretezza” del Vangelo di oggi, che “ci chiama ad essere ‘prossimi’ dei più piccoli e abbandonati” e « a dare loro una speranza concreta » che non sia soltanto dire: “Coraggio, pazienza!…”, ma una speranza che “è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura”.

Inoltre, “la Misericordia di Dio viene riconosciuta attraverso le nostre opere, come ci ha testimoniato la vita della beata Madre Teresa di Calcutta, di cui ieri abbiamo ricordato l’anniversario della morte”, evidenzia il Pontefice. E si rivolge in particolare ai suoi “fratelli” vescovi d’Europa, “veri pastori, perché nelle loro diocesi sostengano questo mio appello, ricordando che Misericordia è il secondo nome dell’Amore: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»”.

L’invito ad ‘aprirsi’ all’altro è stato il centro pure della catechesi del Santo Padre prima della preghiera mariana, orientata dal Vangelo della liturgia odierna che racconta la guarigione di un sordomuto da parte di Cristo. “Un evento prodigioso – osserva Francesco – che mostra come Gesù ristabilisca la piena comunicazione dell’uomo con Dio e con gli altri uomini”.

Il miracolo, inoltre, è ambientato nella zona della Decapoli, cioè in pieno territorio pagano; “pertanto – spiega il Papa – quel sordomuto che viene portato da Gesù diventa simbolo del non-credente che compie un cammino verso la fede. Infatti la sua sordità esprime l’incapacità di ascoltare e di comprendere non solo le parole degli uomini, ma anche la Parola di Dio. E san Paolo ci ricorda che «la fede nasce dall’ascolto della predicazione»”.

Da notare anche che Gesù porta l’uomo lontano dalla folla: Lui “non vuole dare pubblicità al gesto che sta per compiere”, evidenzia Francesco, ma nemmeno “che la sua parola sia coperta dal frastuono delle voci e delle chiacchiere dell’ambiente”. “La Parola di Dio che il Cristo ci trasmette ha bisogno di silenzio per essere accolta come Parola che risana, che riconcilia e ristabilisce la comunicazione”, dice.

Poi il Messia tocca le orecchie e la lingua del sordomuto: per “ripristinare”, cioè, la relazione con quell’uomo “bloccato nella comunicazione” cerca prima di “ristabilire il contatto”. Ma il miracolo “è un dono dall’alto”, evidenzia il Santo Padre, che Gesù implora dal Padre, per questo alza gli occhi al cielo e comanda: “Apriti!”. Allora “le orecchie del sordo si aprono, si scioglie il nodo della sua lingua e si mette a parlare correttamente”.

Tutto ciò mostra che “Dio non è chiuso in sé stesso, ma si apre e si mette in comunicazione con l’umanità”: questo è l’insegnamento che traiamo da tale episodio evangelico, secondo il Papa. “Nella sua immensa misericordia – prosegue – supera l’abisso dell’infinita differenza tra Lui e noi, e ci viene incontro. Per realizzare questa comunicazione con l’uomo, Dio si fa uomo: non gli basta parlarci mediante la legge e i profeti, ma si rende presente nella persona del suo Figlio, la Parola fatta carne. Gesù è il ‘grande costruttore di ponti’, che costruisce in sé stesso il grande ponte della comunione piena con il Padre”.

Ma questo Vangelo parla anche di noi, spesso “ripiegati e chiusi in noi stessi” da creare « tante isole inaccessibili e inospitali”. “Persino i rapporti umani più elementari a volte creano delle realtà incapaci di apertura reciproca: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa… E quello non è di Dio, quello è nostro, è il nostro peccato », afferma il Pontefice.

Eppure, prosegue, “all’origine della nostra vita cristiana, nel Battesimo, ci sono proprio quel gesto e quella parola di Gesù: ‘Effatà! – Apriti!’. E il miracolo si è compiuto: siamo stati guariti dalla sordità dell’egoismo e dal mutismo della chiusura e del peccato, e siamo stati inseriti nella grande famiglia della Chiesa. E possiamo ascoltare Dio che ci parla e comunicare la sua Parola a quanti non l’hanno mai ascoltata, o a chi l’ha dimenticata e sepolta sotto le spine delle preoccupazioni e degli inganni del mondo”.

La preghiera è dunque per la Vergine Maria, “donna dell’ascolto e della testimonianza gioiosa”, perché possa « sostenerci nell’impegno di professare la nostra fede e di comunicare le meraviglie del Signore a quanti incontriamo sul nostro cammino ». In primo luogo, i migranti e tutti coloro che abbandonano le proprie case e famiglie per fuggire ad una morte certa, nonché cruenta.

Dopo l’Angelus, Papa Francesco pronuncia poi “una parola in spagnolo sulla situazione tra Venezuela e Colombia”: “In questi giorni – dice - i vescovi di Venezuela e Colombia si sono riuniti per esaminare insieme la dolorosa situazione che si è creata nella frontiera di entrambi i paesi. Vedo in questo incontro un chiaro segno di speranza. Invito a tutti in particolare all’amato popolo venezuelano e colombiano a pregare, perché con uno spirito di solidarietà e fraternità si possano superare le difficoltà attuali”.

Un pensiero va anche alla beatificazione avvenuta ieri a Gerona, in Spagna, delle tre religiose dell’Istituto delle Suore di San Giuseppe, Fidelia Oller, Giuseppa Monrabal e Faconda Margenat, uccise per la fedeltà a Cristo e alla Chiesa. “Malgrado le minacce e le intimidazioni, queste donne rimasero coraggiosamente al loro posto per assistere i malati, confidando in Dio – sottolinea il Papa - La loro eroica testimonianza, fino all’effusione del sangue, dia forza e speranza a quanti oggi sono perseguitati a motivo della fede cristiana. E noi sappiamo che sono tanti”.

Prima di congedarsi e augurare il consueto “Buona domenica e buon pranzo”, Bergoglio ricorda che due giorni fa sono stati inaugurati a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, gli undicesimi Giochi Africani, a cui partecipano migliaia di atleti da tutto il Continente. Esprime quindi l’auspicio “che questa grande festa dello sport contribuisca alla pace, alla fraternità e allo sviluppo di tutti i paesi dell’Africa”.

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Papa Francesco: nella Chiesa c’è una malattia, seminare divisione

Posté par atempodiblog le 4 septembre 2015

Papa Francesco: nella Chiesa c’è una malattia, seminare divisione
Nella Chiesa c’è una malattia: quella di seminare divisione e zizzania. I cristiani, invece, sono chiamati a pacificare e riconciliare, come ha fatto Gesù: è quanto ha detto il Papa nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

papa francesco

Semino pace o zizzania?
Nella Lettera ai Colossesi San Paolo mostra la carta d’identità di Gesù, che è il primogenito di Dio – ed è Dio stesso – e il Padre lo ha inviato per “riconciliare e pacificare”  l’umanità con Dio dopo il peccato. “La pace è opera di Gesù” – ha detto il Papa – di quel suo “abbassarsi per obbedire fino alla morte e morte di Croce”. “E quando noi parliamo di pace o di riconciliazione, piccole paci, piccole riconciliazioni, dobbiamo pensare alla grande pace e alla grande riconciliazione” che “ha fatto Gesù. Senza di Lui non è possibile la pace. Senza di Lui non è possibile la riconciliazione”.

“Il compito nostro” – ha sottolineato Papa Francesco – in mezzo alle “notizie di guerre, di odio, anche nelle famiglie” – è essere “uomini e donne di pace, uomini e donne di riconciliazione”:

“E ci farà bene domandarci: ‘Io semino pace? Per esempio, con la mia lingua, semino pace o semino zizzania?’. Quante volte abbiamo sentito dire di una persona: ‘Ma ha una lingua di serpente!’, perché sempre fa quello che ha fatto il serpente con Adamo ed Eva, ha distrutto la pace. E questo è un male, questa è una malattia nella nostra Chiesa: seminare la divisione, seminare l’odio, seminare non la pace.

Ma questa è una domanda che tutti i giorni fa bene che noi ce la facciamo: ‘Io oggi ho seminato pace o ho seminato zizzania?’

‘Ma, alle volte, si devono dire le cose perché quello e quella…’: con questo atteggiamento cosa semini tu?”.

Chi porta pace è santo, chi “chiacchiera” è come un terrorista
I cristiani, dunque, sono chiamati ad essere come Gesù, che “è venuto da noi per pacificare, per riconciliare”:

“Se una persona, durante la sua vita, non fa altra cosa che riconciliare e pacificare la si può canonizzare: quella persona è santa. Ma dobbiamo crescere in questo, dobbiamo convertirci: mai una parola che sia per dividere, mai, mai una parola che porti guerra, piccole guerre, mai le chiacchiere.

Io penso: cosa sono le chiacchiere? Eh, niente, dire una parolina contro un altro o dire una storia: ‘Questo ha fatto…’. No! Fare chiacchiere è terrorismo perché quello che chiacchiera è come un terrorista che butta la bomba e se ne va, distrugge: con la lingua distrugge, non fa la pace. Ma è furbo, eh? Non è un terrorista suicida, no, no, lui si custodisce bene”.

Mordersi la lingua
Papa Francesco ripete una piccola esortazione:

“Ogni volta che mi viene in bocca di dire una cosa che è seminare zizzania e divisione e sparlare di un altro… Mordersi la lingua! Io vi assicuro, eh? Che se voi fate questo esercizio di mordersi la lingua invece di seminare zizzania, i primi tempi si gonfierà così la lingua, ferita, perché il diavolo ci aiuta a questo perché è il suo lavoro, è il suo mestiere: dividere”.

Quindi, la preghiera finale: “Signore tu hai dato la tua vita, dammi la grazia di pacificare, di riconciliare. Tu hai versato il tuo sangue, ma che non mi importi che si gonfi un po’ la lingua se mi mordo prima di sparlare di altri”.

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Francesco: umiltà e stupore aprono il cuore all’incontro con Gesù

Posté par atempodiblog le 3 septembre 2015

Francesco: umiltà e stupore aprono il cuore all’incontro con Gesù
La capacità di riconoscerci peccatori ci apre allo stupore dell’incontro con Gesù: è quanto ha detto il Papa durante la Messa del mattino a Casa Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria di San Gregorio Magno, Papa e Dottore della Chiesa.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

papa francesco I

Ci sono due modi per incontrare Gesù
Commentando il Vangelo del giorno sulla pesca miracolosa, con Pietro che getta le reti fidandosi di Gesù anche dopo una notte trascorsa senza aver preso nulla, il Papa parla della fede come incontro con il Signore. Innanzitutto – ha affermato – “a me piace pensare che la maggior parte del suo tempo” Gesù “lo passava sulle strade, con la gente; poi in tarda serata se ne andava da solo a pregare”, ma “incontrava la gente, cercava la gente”. Da parte nostra, abbiamo due modi di incontrare il Signore. Il primo è quello di Pietro, degli apostoli, del popolo:

“Il Vangelo usa la stessa parola per questa gente, per il popolo, per gli apostoli, per Pietro, sono rimasti ‘stupiti’: ‘Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli’. Quando viene questo sentimento di stupore… E il popolo sentiva Gesù e sentiva questo stupore, e cosa diceva: ‘Ma questo parla con autorità. Mai un uomo ha parlato con questo’. Un altro gruppo che incontrava Gesù non lasciava che entrasse nel loro cuore lo stupore, sentiva Gesù, faceva i suoi calcoli, i dottori della legge: ‘Ma è intelligente, è un uomo che dice le cose vere, ma a noi non convengono queste cose, no, eh!’. Facevano i calcoli, prendevano distanza”.

Anche i demoni sanno che Gesù è il Figlio di Dio
Gli stessi demoni – osserva il Papa – confessavano, cioè proclamavano che Gesù era il “Figlio di Dio”, ma come i dottori della legge e i cattivi farisei “non avevano la capacità dello stupore, erano chiusi nella loro sufficienza, nella loro superbia. Pietro riconosce che Gesù è il Messia ma confessa anche di essere un peccatore:

“I demoni arrivano a dire la verità su di Lui, ma su di loro non dicono nulla. Non possono: la superbia è tanto grande che gli impedisce di dirlo. I dottori della legge dicono: ‘Ma questo è intelligente, è un rabbino capace, fa dei miracoli, eh!’. Ma non dicono: ‘Noi siamo superbi, noi siamo sufficienti, noi siamo peccatori’. L’incapacità di riconoscerci peccatori ci allontana dalla vera confessione di Gesù Cristo. E questa è la differenza”.

Facile dire che Gesù è il Signore, difficile riconoscersi peccatori
E’ la differenza che c’è tra l’umiltà del pubblicano che si riconosce peccatore e la superbia del fariseo che parla bene di se stesso:

“Questa capacità di dire che siamo peccatori ci apre allo stupore dell’incontro di Gesù Cristo, il vero incontro. Anche nelle nostre parrocchie, nelle nostre società, anche tra le persone consacrate: quante persone sono capaci di dire che Gesù è il Signore? Tante! Ma che difficile è dire sinceramente: ‘Sono un peccatore, sono una peccatrice’. E’ più facile dirlo degli altri, eh? Quando si chiacchiera, eh? ‘Questo, quello, questo sì…’. Tutti siamo dottori in questo, vero? Per arrivare a un vero incontro con Gesù è necessaria la doppia confessione: ‘Tu sei il Figlio di Dio e io sono un peccatore’, ma non in teoria: per questo, per questo, per questo e per questo…”.

La grazia di incontrare Gesù e lasciarsi incontrare da Lui
Pietro – sottolinea il Papa – poi dimentica lo stupore dell’incontro e rinnega il Signore: ma poiché “è umile, si lascia incontrare dal Signore e quando i loro sguardi si incontrano, lui piange, torna alla confessione: ‘Sono peccatore’”. E il Papa conclude: “Il Signore ci dia la grazia di incontrarlo ma anche di lasciarci incontrare da Lui. Ci dia la grazia, tanto bella, di questo stupore dell’incontro. E ci dia la grazia di avere la doppia confessione nella nostra vita: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo, credo. E io sono un peccatore, credo’”.

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Entrare nelle relazioni

Posté par atempodiblog le 30 août 2015

fabio rosini

Questa domenica è veramente molto importante uscire da questo mondo di scrupoli, di cura della propria individuale giustizia, per entrare nelle relazioni. Quando, nelle relazioni, vogliamo osservare le regolette normalmente vogliamo ferire chi abbiamo intorno, quando vogliamo amare chi abbiamo intorno dimentichiamo le regolette, andiamo al cuore, ci occupiamo delle persone e guardiamo alle loro reali necessità.

di don Fabio Rosini – Commento ai Vangeli festivi (XXII domenica del tempo ordinario, anno B)

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Il Papa ai sacerdoti: “Il cuore di Cristo è la tenerezza di Dio”

Posté par atempodiblog le 13 juin 2015

Il Papa ai sacerdoti: “Il cuore di Cristo è la tenerezza di Dio” dans Articoli di Giornali e News 16o4cp

La tenerezza di Dio. Questo il tema centrale dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato a braccio, in spagnolo, nella Messa celebrata nella Basilica di San Giovanni in Laterano in occasione del ritiro mondiale dei sacerdoti.

Dio ci ha amati, salvati dalla “schiavitù del peccato e dell’autodistruzione da ogni schiavitù che abbiamo in noi”. Ci ha insegnato “a camminare, è bello ascoltare che Dio si abbassa e ci insegna a camminare: la tenerezza di Dio è l’avermi insegnato a camminare nello spirito”. “Dio – ha aggiunto Francesco – attira con lacci d’amore non con leggi punitive, l’amore lega nella libertà perché rispondiamo con amore”.

“Sulla costa della Libia – ha ancora aggiunto Papa Bergoglio – quei 23 martiri copti erano sicuri che Dio non li avrebbe abbandonati e si sono lasciati sgozzare pronunciando il nome di Gesù, di fronte agli assassini sapevano che Dio non li abbandonava. Dio è l’unico capace di calore e tenerezza, non si adira per i nostri peccati. La sua una dichiarazione di amore di un padre ai suoi figli, a ognuno di noi”.

Noi spesso “abbiamo paura della tenerezza di Dio. Noi non lasciamo che lui si sperimenti in noi, per questo spesso restiamo duri, severi, castigatori. Siamo pastori senza tenerezza”. “Cosa ci dice Gesù – ha domandato il Papa – quando parla del pastore che aveva 99 pecore? Ha lasciato le 99 e ha cercato l’ultima, rimasta intrappolata. Non l’ha sgridata, l’ha presa sulle spalle e l’ha portata via, curandola. Fate lo stesso con i vostri fedeli? O ci siamo abituati a essere una chiesa con una sola pecora nel gregge e lasciamo le altre 99 perdersi sulla montagna? La tua tenerezza ti commuove o sei pastore di una sola pecora intristita? Cerchi te stesso e ti sei dimenticato della tenerezza?”.

La risposta arriva – ha concluso il Papa – dal “cuore di Cristo” che “è la tenerezza di Dio. Oggi chiedo a voi in questo ritiro di essere pastori con la tenerezza di Dio, lasciate in sagrestia il vostro pensiero negativo, siate pastori teneri anche con quelli che vi danno problemi. Questa è una grazia divina. Noi crediamo non in un Dio etereo ma di carne che ha un cuore e ci dice: se seite stanchi venite da me, ma trattate i miei piccoli con tenerezza cosi come vi tratto. Questo ci chiede il cuore di Cristo”.

di Marco Mancini – ACI Stampa

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Il Papa a Ostia: visita alla parrocchia Regina Pacis

Posté par atempodiblog le 4 mai 2015

“Fede non è ipocrisia”. Così il Papa alla Regina Pacis di Ostia
Il Papa a Ostia: visita alla parrocchia “Regina Pacis”. Testo integrale dell’omelia

di Radio Vaticana

Il Papa a Ostia: visita alla parrocchia Regina Pacis dans Commenti al Vangelo 1z6dvlf

Una parola che Gesù ripete spesso, soprattutto durante l’Ultima Cena, è: “Rimanete in me”. Non staccatevi da me, rimanete in me. E proprio la vita cristiana è questo rimanere in Gesù. Questa è la vita cristiana: rimanere in Gesù. E Gesù, per spiegarci bene cosa vuol dire con questo, usa questa bella figura della vite: “Io sono la vite vera, voi i tralci”. E ogni tralcio che non è unito alla vite finisce per morire, non dà frutto; e poi è buttato fuori, per fare il fuoco. Servono tanto per questo, per fare il fuoco – sono molto, molto utili – ma non per dare frutto. Invece i tralci che sono uniti alla vite, ricevono dalla vite il succo di vita e così si sviluppano, crescono e danno i frutti. Semplice, semplice l’immagine. Ma rimanere in Gesù significa essere unito a Lui per ricevere la vita da Lui, l’amore da Lui, lo Spirito Santo da Lui.

E’ vero, tutti noi siamo peccatori, ma se noi rimaniamo in Gesù, come i tralci con la vite, il Signore viene, ci pota un po’, perché noi possiamo dare più frutto. Lui sempre ha cura di noi. Ma se noi ci stacchiamo da lì, non rimaniamo nel Signore: siamo cristiani a parole soltanto, ma non di vita; siamo cristiani, ma morti, perché non diamo frutto, come i tralci staccati dalla vite. Rimanere in Gesù vuol dire avere la voglia di ricevere la vita da Lui, anche il perdono, anche la potatura, ma riceverla da Lui. Rimanere in Gesù significa: cercare Gesù; pregare; la preghiera. Rimanere in Gesù significa accostarsi ai sacramenti: l’Eucaristia; la riconciliazione. Rimanere in Gesù – e questo è il più difficile di tutti – significa fare quello che ha fatto Gesù, avere lo stesso atteggiamento di Gesù.

Ma quando noi spelliamo gli altri per esempio, o quando noi chiacchieriamo, non rimaniamo in Gesù: Gesù mai lo ha fatto questo. Quando noi siamo bugiardi, non rimaniamo in Gesù: mai lo ha fatto. Quando noi truffiamo gli altri con questi affari sporchi che sono alla mano di tutti, siamo tralci morti, non rimaniamo in Gesù. Rimanere in Gesù è fare lo stesso che faceva Lui: fare il bene, aiutare gli altri, pregare il Padre, curare gli ammalati, aiutare i poveri, avere la gioia dello Spirito Santo.

Una bella domanda per noi cristiani è questa: “Io rimango in Gesù o sono lontano da Gesù? Sono unito alla vite che mi dà vita o sono un tralcio morto, che è incapace di dare frutto, dare testimonianza?”

E, anche, ci sono altri tralci, di cui Gesù non parla qui, ma ne parla da un’altra parte: quelli che si fanno vedere come discepoli di Gesù, ma fanno il contrario di un discepolo di Gesù, e sono i tralci ipocriti. Forse vanno tutte le domeniche a Messa, forse fanno faccia di immaginetta, tutte pie, eh, ma poi vivono come se fossero pagani. E a questi Gesù, nel Vangelo, li chiama ipocriti.

Gesù è buono, ci invita a rimanere in Lui. Lui ci dà la forza e se noi scivoliamo in peccati – ma tutti siamo peccatori – Lui ci perdona, perché Lui è misericordioso. Ma quello che Lui vuole sono queste due cose: che noi rimaniamo in Lui e che noi non siamo ipocriti. E con questo una vita cristiana va avanti.

E cosa ci dà il Signore se rimaniamo in Lui? Lo abbiamo sentito: “Se rimanete in me, e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto”. Ma, una forza nella preghiera “Chiedete quello che volete”, cioè la preghiera potente che Gesù fa quello che chiediamo. Ma se la nostra preghiera è debole – come “Eh sì è in Gesù, ma non è in Gesù…” – la preghiera non dà i suoi frutti, perché il tralcio non è unito alla vite. Ma se il tralcio è unito alla vite, cioè “se voi rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete, vi sarà fatto”. E questa è la preghiera onnipotente. Da dove viene questa onnipotenza della preghiera? Dal rimanere in Gesù; dall’essere unito a Gesù, come il tralcio alla vite. Che il Signore ci dia questa grazia.

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Gesù buon Pastore si relaziona a noi con generosità

Posté par atempodiblog le 26 avril 2015

Gesù buon Pastore si relaziona a noi con generosità
di Don Fabio Rosini (direttore del Servizio per le Vocazioni della Diocesi di Roma)

Gesù buon Pastore si relaziona a noi con generosità dans Commenti al Vangelo 2vaav5z

Gesù buon Pastore si relaziona a noi con generosità
[…] Gesù è il buon Pastore, vuol dire che esistono i cattivi pastori… infatti questo testo fa il confronto con il mercenario, c’è il buon Pastore e il mercenario. Qual è la differenza? Il buon Pastore dà la vita per le pecore, il mercenario non darà la vita per le pecore perché è mercenario; quando arriverà il lupo abbandona le pecore e fugge perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. [...] Il buon Pastore sta davanti alle pecore come il Padre è stato davanti a Lui. […]

Noi non conosciamo le persone, noi le usiamo. Non abbiamo una relazione di protezione davanti alle persone, se non perché ci conviene. […]

Il comando ricevuto dal Padre è quello di essere secondo la Sua propria natura: essere dono. Gesù è dono. Cristo è frutto della generosità del Padre, quindi con questa generosità si relaziona a noi. E’ il buon Pastore, non è il mercenario.

Dio non misura i millimetri e gli errori e non ci vuole traumatizzati
Quante volte noi stiamo davanti a Dio come se fosse un mercenario, stiamo di fronte a Dio come se stesse lì a misurarci i millimetri, gli errori, le povertà, le cose che diamo… con una paura di lui che in fondo resta latente, ma è la nostra mentalità da orfani che resta lì invadente e ossessiva, che ci costringe a stare davanti a lui tremebondi e sfiduciati, con una paura della Sua volontà che non si giustifica se uno guarda la Croce di Cristo. Ma come si può avere paura di Uno che è morto per  amore nostro? Ma come si può avere paura di Dio? Eppure questa paura è in noi. Perché questa paura è in noi? Perché proiettiamo l’ambiente da cui veniamo. L’ambiente da cui veniamo è un ambiente di “do ut des”, di scambi.

Noi siamo questi traumatizzati dall’assenza della gratuità. Il bagno di gratuità che è la relazione con Dio, questo essere accolti veramente, non perché siamo “così o cosà”, ma perché ci siamo punto e basta. Come una madre che ama il suo bimbo perché è il suo bimbo, non perché è bello o brutto ma perché è il suo bimbo. Sentirci suoi, il Pastore dà la vita per le pecore perché le pecore gli appartengono. Ecco: sentirsi sua proprietà, cose sue. “Io sono una cosa Sua”, ogni persona è un possesso felice di Dio. Veramente questo Vangelo viene perché facciamo una Pasqua dal freddo della nostra solitudine alla dolcezza della Sua Misericordia.

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Papa Francesco: chi non sa dialogare vuol far tacere

Posté par atempodiblog le 16 avril 2015

Papa Francesco: chi non sa dialogare vuol far tacere
Chi non sa dialogare non obbedisce a Dio e vuole far tacere quanti predicano la novità di Dio: è quanto ha affermato il Papa nella Messa del mattino celebrata nella Cappella di Casa Santa Marta.

di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

Papa Francesco: chi non sa dialogare vuol far tacere dans Commenti al Vangelo 2q06pvq

Obbedire a Dio è il coraggio di cambiare strada
La liturgia del giorno ci parla dell’obbedienza. L’obbedienza – osserva il Papa – “tante volte ci porta per una strada che non è quella che io penso che deve essere, ce n’è un’altra”. Obbedire è “avere il coraggio di cambiare strada, quando il Signore ci chiede questo”. “Chi obbedisce ha la vita eterna”, mentre per “chi non obbedisce, l’ira di Dio rimane su di lui”.

Così nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, i sacerdoti e i capi ordinano ai discepoli di Gesù di non predicare più il Vangelo al popolo: si infuriano, sono “pieni di gelosia” perché alla loro presenza avvengono miracoli, il popolo li segue “e il numero dei credenti cresceva”. Li mettono in carcere, ma di notte, l’Angelo di Dio li libera e tornano ad annunciare il Vangelo. Fermati e interrogati di nuovo, Pietro risponde alle minacce del sommo sacerdote: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”. I sacerdoti non capivano:

“Ma questi erano dottori, avevano studiato la storia del popolo, avevano studiato le profezie, avevano studiato la legge, conoscevano così tutta la teologia del popolo di Israele, la rivelazione di Dio, sapevano tutto, erano dottori, e sono stati incapaci di riconoscere la salvezza di Dio. Ma come mai questa durezza di cuore? Perché non è durezza di testa, non è una semplice testardaggine. E’ qui la durezza… E si può domandare: come è il percorso di questa testardaggine, ma totale, di testa e di cuore?”.

Chi non sa dialogare non obbedisce a Dio
“La storia di questa testardaggine, l’itinerario – sottolinea il Papa – è quello di chiudersi in se stessi, è quello di non dialogare, è la mancanza di dialogo”:

“Questi non sapevano dialogare, non sapevano dialogare con Dio, perché non sapevano pregare e sentire la voce del Signore, e non sapevano dialogare con gli altri. ‘Ma perché interpreti questo così?’. Soltanto interpretavano come era la legge per farla più precisa, ma erano chiusi ai segni di Dio nella storia, erano chiusi al suo popolo, al loro popolo. Erano chiusi, chiusi. E la mancanza di dialogo, questa chiusura del cuore, li ha portati a non obbedire a Dio. Questo è il dramma di questi dottori di Israele, di questi teologi del popolo di Dio: non sapevano ascoltare, non sapevano dialogare. Il dialogo si fa con Dio e con i fratelli”.

Chi non dialoga vuol far tacere quelli che predicano la novità di Dio
E il segno che rivela che una persona “non sa dialogare”, “non è aperta alla voce del Signore, ai segni che il Signore fa nel popolo” – afferma il Papa – è la “furia e la voglia di far tacere tutti quelli che predicano in questo caso la novità di Dio, cioè Gesù è risorto. Non hanno ragione, ma arrivano a questo. E’ un itinerario doloroso. Questi sono gli stessi che hanno pagato i custodi del sepolcro per dire che i discepoli avevano rubato il corpo di Gesù. Fanno di tutto per non aprirsi alla voce di Dio”:

“E in questa Messa preghiamo per i maestri, per i dottori, per quelli che insegnano al popolo di Dio, perché non si chiudano, perché dialoghino e così si salvino dall’ira di Dio che, se non cambiano atteggiamento, rimarrà su di loro”.

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