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Le storie che insegnano

Posté par atempodiblog le 6 octobre 2008

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Si è discusso moltissimo di grembiulini, e di maestro unico. Argomenti importanti, che però toccavano aspetti relativamente esterni al «core business» della scuola: gli allievi, e la loro capacità/disponibilità ad apprendere. Come si fa ad insegnare qualcosa a un bambino, e poi a un adolescente? A quali condizioni lo studente si rende disponibile ad apprendere, organizzare le idee, mettere a fuoco un linguaggio? La funzione, e la difficoltà della scuola, infatti, è proprio questa.
Ammesso che i maestri sappiano cosa devono insegnare, la parte più difficile è però far loro capire come farlo. Mentre moltissimi sembrano disposti a scendere in piazza in nome della lotta ai grembiuli, e, naturalmente, della pluralità dei maestri (che significa anche moltiplicazione dei posti), pochi sembrano interessati alle condizioni psicologiche che rendono possibile l’apprendimento.

Eppure il grande problema della scuola negli ultimi anni sembrava proprio quello. I ragazzi non erano affatto motivati a imparare, non ne avevano nessuna voglia. E infatti non imparavano nulla, o quasi, come puntualmente risultava dai test di ammissione alle università, o alle aziende.
Se si scambia Costantino per un tronista, non è solo perché si guarda troppa televisione. È anche (ad esempio) perché la Storia antica ti è stata presentata in modo noioso, e nessuno ti ha raccontato l’episodio del sogno fatto prima della battaglia, dove il futuro imperatore sogna la croce, e «sente»: «Con questo simbolo vincerai», affrettandosi quindi a farne la nuova insegna dell’esercito romano, e sbaragliando l’avversario.
L’episodio manca dai libri, in parte perché è leggendario, e si pretende che a scuola ci siano solo fatti (salvo poi diffondere miti già morti, ma «politicamente corretti»); in parte perché presenta una conversione, e ciò puzza di clericalismo; in parte perché l’Impero romano viene fatto in fretta e male, per timore di alimentare simpatie fasciste. Così nessuno sa chi è Costantino, che ricorderebbe se qualcuno gli avesse raccontato la cinematografica storia del sogno.
Questa è invece la prima condizione necessaria perché gli studenti imparino: la scuola deve interessarli. Per farlo sarebbe meglio, almeno fino agli ultimi anni del liceo, non impartire direttamente delle nozioni, ma raccontare delle storie. Ogni sapere, scienze comprese, è traducibile in storie: dei protagonisti, delle idee, dei processi della natura.
Le storie, però, occorre saperle narrare. Raccontare le storie è un’arte precisa e complessa: per questo chi la possedeva godeva di grande prestigio, nei villaggi e nelle comunità. Ogni comunità si costituisce attorno a delle storie che si raccontano e che ne costituiscono l’anima, come quelle narrate nel passato attorno al fuoco, nei paesi. Anche la comunità scolastica nasce non attorno a degli edifici (in Africa a volte non ci sono neppure), ma attorno a uno storyteller che narra delle storie, nel giusto modo, catturando l’attenzione di chi l’ascolta. Perché questo accada occorre che chi racconta sappia innanzitutto stupirsi, commuoversi, e rimanere affascinato, lui per primo, quando racconta una storia. Deve sempre essere come se fosse la prima volta che anch’egli l’ascolta.
Questa è del resto la prima qualità del maestro: la sua capacità di stupirsi, come Platone ci racconta che Socrate costantemente faceva con i suoi allievi. È questa anche la differenza dal falso maestro, che ha invece un tono sapiente, come se sapesse tutto, e nulla più lo stupisse. Così diventa noioso, e per gli allievi l’avventura dell’apprendere non comincia mai.

di Claudio Risé – Tratto da “Il Mattino di Napoli”

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Un processo di 5 minuti

Posté par atempodiblog le 23 septembre 2008

Liberi e felici i due fermati per il caos Roma-Napoli
Patteggiamento e pena sospesa. Il legale: « Ma che ha fatto? »

Treni distrutti e coltelli
un processo di 5 minuti

di CARLO BONINI – repubblica.it


ROMA - Danilo Durevole, ultras da San Giorgio a Cremano, cui lo hanno detto per telefono, pare non volesse crederci. Da non stare nella pelle. Alle 9 e mezza del mattino, nell’aula 7 della quarta sezione penale del tribunale ordinario di Roma, giudice monocratico Maria Bonaventura, lo Stato salda il primo « conto » (si fa per dire) con la domenica della vergogna. 31 agosto, Roma-Napoli. Ventiquattro ore di normale devastazione. E fanno 4 mesi e 10 giorni di reclusione, 800 euro di multa. Sospensione condizionale della pena. Danilo, libero già la mattina del 1 settembre, libero resterà.Per liquidare una storia che, non più tardi di dieci giorni fa, aveva messo a rumore Governo, opposizione, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, sono sufficienti quindici minuti di orologio. Danilo non c’è. Se ne è rimasto a Napoli, perché la prima regola, in ogni processo ultras, è « buttarsi contumace ». Far dimenticare la propria faccia a chi ti dovrà giudicare e confidare nel tempo che, nel calcio, è medicina miracolosa, capace di annebbiare la rabbia e la paura. Alessandro Cacciotti, l’avvocato che difende Durevole, confabula con il pubblico ministero. Chino sul codice, somma e sottrae con perizia contabile. Quando si raddrizza per interloquire, appare soddisfatto. « Patteggiamo », dice. Il giudice chiede: « In che misura? ». « Mesi 3 di reclusione, 600 euro di multa. Pena sospesa ». « Mi sembra un po’ pochino, avvocato, non crede? ». Cacciotti appare sconcertato: « Mi scusi, signor giudice, in fondo il mio cliente che ha fatto? ».

Già, in fondo, Danilo Durevole ha avuto soltanto la sfortuna di essere uno dei due soli tifosi napoletani arrestati quel giorno. Se ne stava tranquillo in curva nord con « una torcia esplosiva in mano ». Era arrivato da Napoli su un treno sequestrato in partenza e devastato lungo il tragitto (500 mila euro di danni). Dalla stazione Termini aveva raggiunto l’Olimpico su un convoglio speciale dell’Atac da cui, lungo un tragitto di poco più di 4 chilometri, erano state lanciate appena 41 bombe carta. Aveva soltanto menato mani e piedi con chi lo ha arrestato. Allarga le braccia Cacciotti, in un crescendo di enfatica incredulità.

« Una vicenda come al solito amplificata dai media. Il ragazzo è incensurato e in fondo risponde solo del possesso di un petardo e di resistenza alla polizia. Normale, quando si viene fermati in uno stadio ». Il giudice lo interrompe: « Il contesto in cui si sono svolti i fatti è particolare. Provi a riformulare la richiesta, avvocato ». Cacciotti riformula: « Potrei arrivare a mesi 4 e giorni 10″. Il giudice: « Quattro mesi e mezzo, direi ». Cacciotti: « No, giudice, 4 mesi e 10 giorni che per altro è perfettamente divisibile con le imputazioni. Guardi, facciamolo insieme. Pena base, mesi 9 di reclusione. Ridotta per le attenuanti generiche a mesi 6. Aumentata per il secondo capo di imputazione a mesi 6 e giorni 15 oltre a 1.200 euro di multa. In forza del rito, ridotta a mesi 4 e giorni 10 di reclusione più 800 euro di multa. E naturalmente sospensione condizionale della pena ». Il pm annuisce distratto. Cinque minuti di camera di consiglio. Quattro mesi e 10 giorni siano. Pena sospesa.
Toccherebbe ora al suo compare, Diego De Martino. L’altro sfortunato. Quando lo hanno arrestato all’Olimpico, le mani le aveva impegnate entrambe. Una bomba carta nella sinistra. Un coltello a serramanico nella destra. Anche lui, libero, ha pensato bene di non affacciarsi in aula. Anche lui è difeso da Cacciotti. Meglio, da Cacciotti e Lorenzo Contucci, l’avvocato degli ultras, il professionista che ha legato la sua immagine all’omicidio di Gabriele Sandri (è l’avvocato della famiglia). Rispetto a Durevole, De Martino naviga in acque più agitate. Non fosse altro, perché ha precedenti per rapina e un Daspo di 3 anni scaduto pochi giorni prima di Roma-Napoli.

Ma Contucci non si perde d’animo. Sussurra all’orecchio del collega la trovata. « Signor giudice – argomenta Cacciotti – per De Martino chiediamo il rito abbreviato (prevede una riduzione di un terzo della pena, ndr) ma, preliminarmente, chiediamo una perizia sul coltello che la polizia dice di avergli sequestrato per verificare se effettivamente siano presenti impronte digitali dell’imputato. Vede, signor giudice, De Martino non ha avuto difficoltà ad ammettere le sue responsabilità. Ma il coltello, proprio no. Lui dice di non averlo mai avuto. E’ una questione di giustizia ».

La perizia sul coltello equivale a sostenere che la polizia ha mentito nel suo rapporto di fermo. Il giudice la concede e rinvia il processo « agli esiti dell’esame peritale ». Sul fondo dell’aula, i due poliziotti del reparto celere che hanno arrestato De Martino hanno la faccia di pietra. Uno di loro, Gianluca Salvatori, incrocia l’avvocato Contucci. « Ma non vi vergognate? », dice.

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Intervista-verità a Ivano Fanini

Posté par atempodiblog le 23 septembre 2008

Pantani, la provetta scambiata e il dopato che vincerà il Mondiale di Varese

Intervista-verità a Ivano Fanini, presidente dell’Amore & Vita: “I big hanno lasciato la Vuelta una settimana prima per assumere epo in tranquillità” – “Riccò? Da squalifica a vita” – “Tutti i miei ragazzi morti miseramente”

di Paolo Ziliani – paoloziliani.it

Non usa giri di parole Ivano Fanini, 57 anni, presidente del team ciclistico «Amore & Vita-McDonald’s», parlando dell’aria pesantissima che si respira in gruppo a 5 giorni dalla gara clou dei professionisti ai Mondiali di Varese.

Fanini, che Mondiali saranno?

«Se alla Rai facessero le cose per bene, domenica, al momento della premiazione della prova iridata su strada dei professionisti, dovrebbero mandare una didascalia che dica: “Corridore Tizio, medaglia d’oro, dopato; corridore Caio, medaglia d’argento, dopato; corridore Sempronio, medaglia di bronzo, dopato”».

Le sue sono accuse molto gravi.

«Lo so, ma accadrà quello che avviene da anni nei Giri d’Italia, di Spagna e di Francia: vincerà un corridore che si dopa, altrimenti non ce la farebbe, e batterà un corridore che si dopa e un altro che si dopa. E se le “cure” saranno state fatte in modo “intelligente”, l’antidoping non diventerà un problema».

Si spieghi meglio.

«Ha visto cos’è successo nell’ultima settimana della Vuelta? Tutti i big che puntano a vincere il Mondiale e i loro gregari sono tornati a casa senza un motivo giustificato. Ho chiesto al mio direttore sportivo, Pierino Gavazzi, che è stato tre volte campione d’Italia e ha vinto una Sanremo, come mai succede questo: e mi ha risposto che i corridori tornano per fare quello che in gergo viene chiamato il “rifornimento”, cioè per assumere epo al riparo da occhi indiscreti. È quello che i corridori chiamano “la cura”. La fanno tutti, il big che deve vincere e il gregario che deve aiutare a vincere. Unica avvertenza: sospenderla qualche giorno prima della corsa per non lasciare tracce il giorno fatidico».

Qualcuno però ogni tanto viene beccato.

«Poca roba. Nella rete generalmente finiscono i giovani, come Riccò e Sella. Dopo i tanti casi di doping in cui era stato coinvolto da dilettante, Riccò avrebbe già meritato di essere squalificato a vita. In quanto a Sella, fino a un anno fa era un corridore normale. Di colpo, al Giro 2008, è diventato un fenomeno: e anche nel suo caso la spiegazione ha il nome della nuova epo, il Cera. Anche lui in un certo senso paga l’inesperienza. Errori così non li commette certo un Piepoli, la lunga ombra di Riccò. Che la sua squadra ha licenziato lo stesso perché nessuno ormai si fida più di uno come lui».

Riccò cacciato dal Tour ha fatto rivivere i fantasmi di Pantani, spedito a casa in maglia rosa a Madonna di Campiglio il 5 giugno del 1999.

«È vero. Ma nessuno sa che anche l’anno prima, al Giro del ’98, quello da lui vinto trionfalmente, Pantani avrebbe dovuto essere mandato a casa. Invece al posto suo fu cacciato Forconi, un gregario. Che il giorno dopo, visto che era un mio ex corridore, era stato con me 6 anni all’Amore & Vita, venne a trovarmi in ufficio e mi raccontò tutto. “Hanno fatto uno scambio di provette e hanno mandato a casa me, che alla Mercatone sono l’unico ad avere i valori bassi”, mi disse. Riccardo era un modesto gregario, uno da 20-30 milioni di lire l’anno. Beh, dopo quell’episodio, e quella squalifica, si è costruito una villa sulle colline di Empoli: e si è fatto una posizione. Oggi collabora con Beppe Martinelli, il direttore sportivo di allora, ed è il team manager della Vangi, un club di dilettanti assai quotato».

Abbiamo parlato di Riccò, Sella, Piepoli, ma fra i corridori squalificati in casi diversi ci sono stati anche Basso, Di Luca, Petacchi…

«È una situazione senza ritorno. Un anno fa, al Giro, dopo il tappone dello Zoncolan vennero sottoposti a un controllo a sorpresa Di Luca, Riccò, Simoni e Mazzoleni: i 4 italiani meglio piazzati in classifica. Ebbene, tutti e 4 fecero la pipì degli angeli: in pratica mostrarono il profilo ormonale di un bambino di 7 anni. Una cosa da ridere. Nonostante questo, credo che Di Luca continui a intrattenere rapporti col medico super-squalificato Santuccione; e il massaggiatore di Riccò è sempre Pregnolato, che seguiva Pantani e fu incastrato nella retata dei Nas a Sanremo, nel Giro del 2001, con un sacco di robaccia in valigia, quindi venne squalificato. Per non parlare di Basso, che è stato coinvolto nell’Operación Puerto, ha raccontato un sacco di balle e adesso è pronto al rientro, bello come il sole».

Che cosa si dovrebbe fare?

«Squalificare a vita l’atleta trovato positivo. Ed estendere automaticamente la squalifica al team manager, o direttore sportivo, perché alle verginelle tradite dal loro pupillo non crede più nessuno. Due anni fa, dopo i pasticci combinati dai suoi corridori, la Milram ha licenziato in tronco il d.s. Stanga – che sapeva tutto – e ha fatto bene. E mi chiedo: che cosa ci sta a fare ancora nel ciclismo uno come Bjarne Rijs? Uno che ha imbrogliato tutta la vita, che ha vinto un Tour da dopato e che dopo gli scempi commessi da d.s. è ancora lì, sull’ammiraglia, e ha appena vinto il Tour de France con Sastre, che sul podio a Parigi ha avuto l’impudenza di ringraziare Manolo Saiz, ossia il principale artefice del doping nel ciclismo assieme ai medici Ferrari e Santuccione».

Lei è il presidente dell’Amore & Vita-McDonald’s e da molti anni si sta battendo a spada tratta contro il doping. Perché lo fa?

«Fino al ’98 sono stato un dirigente come un altro, ho fatto come tutti. Le mie squadre hanno vinto una quindicina di tappe, tra Giro e Vuelta, con corridori che si dopavano. Poi ho cominciato a vedere ragazzi che stavano male, ho cominciato a contare i morti, e mi sono ribellato. Vuole sapere quanti miei ex ragazzi sono morti negli ultimi anni? Sei. E ben tre nelle ultime tre stagioni: Galletti, Cox e Fois. Galletti l’avevo ingaggiato a 30 anni a patto che non toccasse più il doping e si era rilanciato al punto da diventare un fido gregario di Cipollini. È morto in gara due anni fa. Cox, sudafricano, aveva talento e a 23 anni era passato alla Barloworld: a 28 anni è morto nel suo Paese, abbandonato da tutti, dopo un’inutile operazione in Francia per problemi vascolari dovuti all’assunzione di sostanze proibite. Fois è stato l’ultimo, circa 6 mesi fa: è morto con la maglia dell’Amore & Vita nell’armadio. Come ho fatto spesso con tanti corridori in difficoltà, l’avevo ingaggiato per ridargli una ragione di vita, per toglierlo dalla strada. Si stava riprendendo. Non ce l’ho fatta».

Ma i telecronisti e gli inviati, quando Riccò vince «alla Pantani», si perdono in peana.

«Sanno tutto ma tacciono. E quando succede il fattaccio fingono di stracciarsi le vesti. La parola d’ordine è “business & spettacolo”: il resto non conta. E la salute dei corridori meno che mai. Un dramma, perché molti di questi ragazzi, quando subiscono lunghe squalifiche o smettono di correre, passano dal doping alla cocaina o ad altre tossicodipendenze. Com’è successo a Pantani, a Jiménez e a Fois: che purtroppo oggi non ci sono più».

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Baby calciatori, silenzio stampa sui risultati

Posté par atempodiblog le 20 septembre 2008

Baby calciatori, silenzio stampa sui risultati:
vedere la classifica è stress

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Spero che Il papà di Giovanna, il nuovo bellissimo film di Pupi Avati, arrivi presto sugli schermi della Gran Bretagna e spero che lo vadano a vedere tutti i dirigenti del football inglese che ieri hanno abolito risultati e classifiche dei campionati dei bambini di 7 e 8 anni (in alcune zone, anche di quelli di 9, 10 e 11 anni). Il film potrebbe essere un provvidenziale antidoto alla sciagurata illusione di preservare i piccoli dal trauma della sconfitta, dall’onta dell’ultimo posto, perfino dall’istinto della competizione.
Perché questo è il movente ultimo dei dirigenti del calcio inglese: proteggere i bambini, evitare che fra loro qualcuno emerga come più bravo e quindi qualcun altro, inevitabilmente, come meno bravo; soprattutto, poi, evitare la gogna mediatica della classifica appesa all’ingresso degli spogliatoi o magari – orrore – pubblicata sul settimanale locale. Resta il gioco, restano i gol, restano i più forti e i più scarsi, perché la realtà non la si può eliminare. La si può però nascondere. Non basta più ovattarla con De Coubertain, addolcirla con un complimento, ripararla con un giocattolo. No: la realtà, quando è sgradevole, bisogna occultarla, negarla.
La partita senza risultato e il campionato senza classifica sono l’ultimo anello di una catena che parte da lontano, dal vietato sgridare del dottor Spock all’abolizione dei cartelloni murali con i voti di scuola a fine anno. Così come il bocciato non deve essere traumatizzato dal vedere il proprio nome in quella che ormai viene considerata una lista di proscrizione, il baby inglese non deve provare l’umiliazione neppure di un secondo posto.
Va detto che tra le motivazioni addotte dalla federazione calcistica inglese ce n’è una non peregrina, che si rifà all’ormai straripante e prepotente presenza dei genitori alle partite di calcio dei bambini. Chiunque abbia figli che giocano sa di che cosa parlo. Fino a una ventina di anni fa ai campionati di pulcini, primi calci e giovanissimi il genitore era una presenza rara e persino preziosa: serviva a dare una mano, anzi un volante e quattro ruote, ad allenatori e accompagnatori indaffarati a organizzare le trasferte. Sugli spalti non si sentiva gridare un «bravo», né un batter di mani. Oggi papà, mamme, zie e nonni si costituiscono in tifo organizzato: cominciano incitando; poi passano all’insulto all’arbitro; quindi a quel pirla dell’allenatore che non capisce che mio figlio non può giocare sulla fascia; infine la rissa con i genitori dell’altra squadra: sta’ zitto, che c. vuoi, ti faccio un c. così, ci vediamo fuori.
Ma non è con l’abolizione del risultato e della classifica che si risolve il problema. Intanto perché i genitori-ultras ai bordi del campo se ne fregheranno del mancato verbale: continueranno a seguire la partita e a contare i gol. E poi non è anestetizzando i bambini che si placano i furori e le frustrazioni degli adulti. Si puniscano loro, piuttosto: si impedisca ai genitori scalmanati di seguire i figlioli al campo.
I bambini poi, anche quando perdono, soffrono molto meno di quanto soffriamo noi per loro. Prima ancora di rientrare negli spogliatoi, per il bimbo la sconfitta è digerita, il gol in fuorigioco dimenticato, il fallo accettato come facente parte della realtà di una partita.

Eppure è nel malinteso tentativo di tutelarlo da un trauma che la federazione inglese – e chissà quanti altri tra poco – vogliono privarlo dell’aspetto più sano del gioco. La competizione non è – non deve essere, almeno – occasione per prevaricare e per irridere. Ma per sperimentare se stessi sì; per provare fatica, per capire che ogni traguardo va meritato, per fare esperienza della gioia di una vittoria e della delusione di una sconfitta. Perché di questo i bambini dovranno poi vivere: fatica, merito, gioia, delusioni, vittorie e sconfitte.
Come Il papà di Giovanna trucca i risultati degli esami di maturità per procurare un fidanzato alla figlia bruttina, i dirigenti del football inglese truccano anzi addirittura annullano le classifiche per evitare uno scacco ai bambini meno bravi. Come Il papà di Giovanna, vogliono tenere i bimbi sotto una campana di vetro, nell’illusione di preservarli dalle prime avvisaglie dell’asprezza della vita. Ma come Il papà di Giovanna produrranno disastri. I bambini sono abbastanza intelligenti per capire, e una sconfitta tenuta nascosta fa più male di una sconfitta accettata.
Questo dovremmo capire noi che siamo un po’ tutti papà di Giovanna: dovremmo capire che i nostri figli sono più forti di quanto noi immaginiamo.

di Michele Brambilla – Il Giornale

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Perché i cristiani contano meno degli orsi?

Posté par atempodiblog le 13 septembre 2008

Perché i cristiani contano meno degli orsi?
Il Cardinale Caffarra denuncia il silenzio dei media sulle persecuzioni in India

BOLOGNA, giovedì, 11 settembre 2008 (ZENIT.org).- Il 9 settembre scorso, in occasione della giornata di preghiera e di digiuno per i cristiani perseguitati nello Stato indiano dell’Orissa, il Cardinale Carlo Caffarra ha denunciato il “silenzio assordante dei media”, più preoccupati degli orsi che dei cristiani, ed ha spiegato “la grandezza del martire che smaschera la povera nudità del relativismo”.

Di fronte alla comunità di fedeli riunita nella Cattedrale di Bologna, l’Arcivescovo di questa città ha rivolto il proprio pensiero ai fratelli e alle sorelle indiani, perseguitati e martirizzati ed ha ribadito l’accorato appello del Santo Padre, sostenendo di volere con il “digiuno e la preghiera condividere la stessa passione di chi è perseguitato per il nome del Signore”.

Solidale e vicino alle sofferenze e ai disagi dei cristiani indiani, il porporato ha denunciato “l’assordante silenzio’ che i mezzi della comunicazione (esclusi quelli cattolici) [...] stanno mantenendo su queste gravi violazioni a fondamentali diritti della persona: il diritto alla vita, e il diritto alla libertà religiosa”.

“Questo ‘assordante silenzio’ ci dona materia di profonde riflessioni”, ha commentato il Cardinale Caffarra, che si è poi chiesto: “perché ci si mostra più preoccupati della sorte degli orsi polari che di uomini e donne colpevoli solo di aver scelto la fede cristiana?”.

L’Arcivescovo di Bologna ha cercato di spiegare questo comportamento precisando che “il martirio disturba gravemente chi ritiene che alla fine tutto è negoziabile; chi nega che esista qualcosa di indisponibile e che non può essere mercanteggiato”.

“Il martire – ha aggiunto – esalta la dignità della persona in modo che non può che essere censurato da chi pensa che alla fine l’uomo è solo un frammento corruttibile di un tutto impersonale. La grandezza del martire smaschera la povera nudità del relativismo”.

Il porporato ha quindi ricordato le vicende e l’insegnamento di Gesù, che è morto in Croce per salvarci ed ha spiegato che “i nostri fratelli e sorelle stanno percorrendo la via del Signore”.

“Essi sono il chicco di grano che caduto nella terra indiana, porterà molto frutto – ha proseguito –. Hanno ritenuto che è meglio, se così vuole Dio, soffrire operando il bene piuttosto che facendo il male”.

“I fratelli e sorelle perseguitati – ha concluso – ci stanno dando il più grande insegnamento sull’uomo, sulla sua dignità, sulla sua altissima vocazione”, per questo “non ci turbi più nulla, ma adorando solo Cristo nel nostro cuore, siamo pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in noi”.

Fonte: ZENIT.org

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Ai tg piacciono più gli dei cristiani

Posté par atempodiblog le 13 septembre 2008

AI TG PIACCIONO PIU’ GLI ORSI DEI CRISTIANI
Scritto da: Riccardo Cascioli il 10-9-2008

A quanti, seguendo i TG serali, si sono preoccupati nei giorni scorsi per la sorte di nove orsi polari farà sicuramente bene sapere che si trattava della ormai solita bufala ecologista. L’ha smascherata il sito SVIPOP con una ricostruzione puntuale dei fatti: si è partiti da un casuale – e unico – avvistamento a metà agosto da parte di un aereo governativo americano che era in zona per tutt’altro, per costruirci poi un romanzo che è andato arricchendosi via via di dettagli e ipotesi fantasiose senza alcun riscontro reale. Per quanto ne sappiamo, dunque, quegli orsi probabilmente stavano tranquillamente nuotando per fatti loro come è normale che facciano.

La cosa che però qui ci interessa maggiormente è il fatto che le redazioni RAI e Mediaset avevano tutta la possibilità di verificare la fondatezza o meno della notizia, ma hanno preferito spararla così, evidentemente hanno ritenuto che queste notizie aumentano  gli ascolti. Senonché proprio negli stessi giorni – come abbiamo ricordato in una precedente notizia – nello stato indiano dell’Orissa si è registrata un’ondata di violenze contro i cristiani che ha provocato dai 50 ai 100 morti (a seconda delle fonti) e decine di migliaia di sfollati. E di questo TG1 e TG5  hanno preferito non dare conto. Peraltro la situazione nell’Orissa e in altri stati indiani è da anni critica per i cristiani, non si tratta perciò di un episodio isolato, e meriterebbe perciò qualche approfondimento.

Dunque di fronte a due notizie – una drammaticamente vera, che coinvolge decine di migliaia di esseri umani, e una già “fortemente sospetta” e poi rivelatasi clamorosamente falsa, con nove orsi protagonisti – i due più importanti TG della sera hanno scelto di dare ampio risalto soltanto alla seconda (il fenomeno è vero anche per i maggiori quotidiani, ma la tv ha chiaramente un impatto ben diverso). La cosa dimostra che nelle notizie c’è una vera e propria gerarchia, condivisa sia dalle direzioni dei principali TG sia dal pubblico che li segue: la sorte degli animali è più importante della sorte degli esseri umani (anche la notizia degli orsi fosse stata vera, nove plantigradi contano più di decine di migliaia di uomini indiani); tra gli esseri umani poi, i cristiani sono in fondo alla graduatoria: pochi giorni prima la denuncia delle violenze sulla popolazione tibetana ha avuto ben altro risalto, mentre dei cristiani cinesi che soffrono uguale persecuzione nessuno ne parla e a loro nessuno dedica medaglie olimpiche.

Ma soprattutto dobbiamo notare che ormai anche nei TG dilaga la fiction, che ha preso il posto della realtà. Così una mega-bufala come quella degli orsi toglie lo spazio ad eventi reali come la persecuzione in India, non ultimo perché fa più spettacolo. Dobbiamo perciò abituarci a guardare ai canali informativi principali come a un’ulteriore forma di spettacolo, che non solo non ci informa veramente ma ci “distrae” dalla realtà.

Anche questo è un effetto della secolarizzazione, della perdita dell’identità cattolica. Il cristianesimo è l’unica religione che guarda alla realtà in modo positivo, perché la realtà è segno di Cristo. La realtà va dunque affrontata e vissuta per quello che è. Ma quando si perde questo significato la realtà diventa inconoscibile, fa paura. Allora ci si crea una realtà a propria immagine o ad uso e consumo del potere dominante. E’ bene prenderne chiaramente coscienza per non lasciarci ridurre in schiavitù, e tornare protagonisti nel mondo. 

Fonte: Il Timone

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La « dolce morte » per tutti

Posté par atempodiblog le 9 septembre 2008

Ecco l’ultima idea di Zapatero:
la « dolce morte » per tutti


Il governo intende concedere il diritto all’eutanasia anche a chi non è malato terminale. Il ministro spagnolo della Salute anticipa le linee guida di una normativa che entrerà in vigore entro la fine della legislatura…

Madrid – L’ultimo affondo del governo Zapatero ai valori della Chiesa cattolica si chiama eutanasia e arriva con parole che evocano un’epoca che credevamo superata. «Il proprietario del tuo corpo sei tu e sei tu che decidi. Questo è socialista!». Sembra uno slogan del Sessantotto e in un certo senso lo è. Perché il terreno di coltura che lo ha prodotto è proprio quello, quello dell’autodeterminazione che, rifiutando le regole, assurge paradossalmente a regola essa stessa. L’unica differenza è che non siamo nel Sessantotto, ma quarant’anni dopo, oggi, e che a parlare non è un figlio dei fiori ma Bernat Soria, il cinquantasettenne ministro della Salute spagnolo.
È su questa libertà di decidere del proprio corpo, oltre che della propria vita e della propria morte, che la Spagna guidata dal socialista José Luis Zapatero si avvia a varare una legge che preveda il suicidio assistito. Con un deciso colpo di acceleratore e in barba a tutte le resistenze della società civile, in particolare di quella cattolica, tanto da puntare a realizzare l’obiettivo entro la fine di questa legislatura, vale a dire entro il 2012, e attraverso una modifica del Codice Penale.
In una intervista rilasciata al quotidiano El Paìs, Soria spiega che l’intervento, legislativo e normativo allo stesso tempo, rientrerà nell’ambito di un più ampio progetto che riguarda le norme a garanzia di una “morte degna“.
«La battaglia contro la morte non si può vincere, ma quella contro il dolore sì», ha detto Soria spiegando che la legge attualmente in vigore, voluta dal Partito Popolare, dà la possibilità ai malati di morire senza soffrire, ma la sua applicazione, di fatto, la annulla. «Per questo – dice Soria – abbiamo elaborato una strategia nazionale per le cure palliative, che include la formazione professionale, facilitazioni per l’assistenza domiciliare, regolare le fasi terminali della malattia, la “morte degna” e il diritto di ogni malato di poter decidere di interrompere le terapie». Che, in altre parole, significa che il governo Zapatero intende concedere a tutti, anche a chi non è un malato terminale, di porre fine alla propria vita. Con il placet e l’aiuto dello Stato.
A poco servono le rassicurazioni circa la “collegialità” e la serietà con la quale sarà definito il progetto, aprendo prima di tutto una riflessione in seno al governo: «Il ministero della Salute e quello della Giustizia – ha detto Soria – si apprestano a consultarsi con esperti del settore» per creare una commissione che offra elementi in base ai quali «prendere una decisione politica».
Politica, appunto, perché al di là della presunta difesa del malato e del suo diritto ad autodeterminarsi, questo progetto del governo Zapatero altro non è che l’ennesima mossa volta a smantellare la rete sociale e di diritto costruita dai precedenti governi guidati dal Partito Popolare. In Spagna l’eutanasia non è consentita ma la legge permette ai malati di rifiutare di essere curati. Un’eventuale legislazione sul suicidio assistito potrebbe riguardare le persone gravemente malate ma non in immediato pericolo di vita. Un distinguo fondamentale, che apre scenari inquietanti di arbitrarietà e intorno al quale non c’è alcun dubbio che si scateneranno le polemiche e gli attacchi politici, in primis da parte della Chiesa cattolica, come già avvenuto per le leggi sul matrimonio gay con possibilità di adozione e il divorzio breve. Oltre che sull’apertura di Zapatero verso la fecondazione assistita ai single e la revisione della legge sull’aborto. Ma la reazione della Chiesa cattolica spagnola pare non preoccupare affatto il governo: «Come ministro e deputato socialista – ha detto Soria – l’unico mandato di cui devo rispondere è quello conferitomi dai cittadini. Non so quali strategie terranno la Conferenza Episcopale, il Partito Popolare e altri gruppi, e comunque non è rilevante».

di Barbara Benini
Il Giornale n. 36 del 2008-09-08

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Le corna, che colpo di geni

Posté par atempodiblog le 9 septembre 2008

La scienza ci ha finalmente assolti: quando le nostri mogli ci accuseranno di averle tradite non saremo più costretti a balbettare lascia che ti spieghi, non è come pensi tu. «L’infedeltà coniugale dipende da un gene, una specie di motorino che alcuni maschi hanno nel proprio Dna e altri no». La notizia è stata divulgata dall’autorevole rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (c’è sempre un’autorevole rivista, dietro ogni minchiata) che ha illustrato uno studio dell’Istituto Karolinska di Stoccolma. Il gene delle corna, spiegano gli scienziati svedesi, agisce sulla vasopressina, un ormone di cruciale importanza nel processo di attaccamento sentimentale e sessuale tra un uomo e una donna. Chi ha questo gene ha più probabilità di farsi un’amante. Spariscono le nostre colpe e si tranquillizzeranno anche le mogli: se ci vedranno distratti e orizzontalmente inoperosi, potremo rispondere non preoccuparti cara, è solo un po’ di vasopressina.
Non è la prima volta che la scienza ci spiega che l’amore è solo una faccenda chimica. Qualche tempo fa Time ha svelato perché ci innamoriamo di questa e non di quella: la risposta è Mhc, complesso maggiore di istocompatibilità. Uno pensa stasera sono riuscito a farla ridere, ecco perché c’è stata: invece no, lei era solo istocompatibile. Non c’è spazio per il romanticismo, per le affinità elettive, per la poesia: l’amore dipende da oppiacei naturali, l’attrazione fisica non dall’estetica ma dall’orologio biologico, il batticuore dall’olfatto, l’efficacia di un bacio dal ph della saliva, l’eccitazione dall’acidità delle urine. Insomma uno schifo, non si capisce perché uno dovrebbe restarci male quando finisce un amore.
La genetica però non spiega – e smitizza – soltanto i sentimenti e il sesso: spiega tutto. Non c’è giorno che i giornali non rilancino qualche fondamentale scoperta. Faccio un breve elenco delle ultime puntate: «Scoperto il gene del maratoneta»; «Scoperto il gene della magrezza»; «Scoperto il gene dell’obesità»; «Scoperto il gene che dimostra il nesso tra intelligenza e longevità»; «Scoperto il gene del prurito»; «Scoperto il gene dell’umorismo, gli inglesi ne sono particolarmente provvisti». Addirittura, leggo che uno psichiatra del Michigan ha scoperto il gene della prima sigaretta: sì, proprio quello che induce a fumare la «prima» sigaretta.
La riduzione di tutto a un affare di geni sembra svuotarci la vita di ogni passione: perché applaudire il tal comico se le sue battute zampillano direttamente dal Dna? Non ne ha alcun merito. E perché affannarmi a migliorare, se il mio destino è scritto?
Temo che non tanto fra gli studiosi, quando fra i divulgatori di queste ricerche ci sia una motivazione di fondo per nulla innocente. Si vuole fare passare l’idea che non siamo responsabili di nulla, e quindi non siamo neppure giudicabili né tantomeno punibili. L’Università del Western Ontario ha individuato il gene dell’egoismo. Quella di Harvard il gene che non ci fa trarre insegnamento dagli errori commessi. Mentre Nature, altra rivista-totem in questi campi, ha pubblicato uno studio dal quale risulterebbe che il nostro cervello diventa amorale per una pura combinazione di cause organiche. In pratica, chi ha una particolare situazione nell’area ventro-mediana della corteccia prefrontale prende senza turbamenti decisioni ritenute inaccettabili dalla morale comune: anche dirottare un aereo o mettere una bomba su un treno. La storia del terrorismo andrebbe riscritta.

Anche la politica sarebbe da leggere in tutt’altra prospettiva, secondo la nuova religione del Dna. «Politica, energia nucleare, diritti delle minoranze: le posizioni di ciascuno di noi sono scritte nel nostro Dna e ben radicate nel profondo del nostro cervello. E resistono a qualsiasi argomento della ragione», assicura il ricercatore John Alford della Rice University di Houston: «Provare a persuadere qualcuno a cambiare orientamento, pur facendo appello ad argomenti razionali: è un po’ come convincere chi ha gli occhi marroni ad averli azzurri». Siamo pezzi di materia senza alcuna libertà, insomma.
Eppure c’è qualcosa che non convince. Ad esempio. Gli studiosi dell’Université de Picardie Jules Vernes di Amiens hanno scagionato i guardoni: tutto dipende, dicono, dai neuroni a specchio. Applicando, cito testualmente, un «pletismografo penile che misurava la tumescenza del pene» di persone che stavano assistendo a un film porno, gli scienziati hanno scoperto che «l’aumentare del volume dell’organo maschile è correlato all’attivazione di un’area, la pars opercularis, in cui si manifesta proprio l’attività dei neuroni specchio». Tutto bene. Ma resta una domanda: qual è il neurone che, prima che mi applicassero il pletismografo, mi ha fatto entrare in un cinema porno?
Sicuramente la scienza un giorno ci darà una risposta anche a questo enigma. E magari pure un’altra risposta, decisiva: ci dirà se c’è anche un gene che fa dire a uno scienziato che tutto dipende dai geni. Così, tanto per sapere se anche loro non sono responsabili.

di Michele Brambilla – Il Giornale

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I frati malmenati e l’Unità

Posté par atempodiblog le 4 septembre 2008

Tratto da: antoniosocci.it

 I frati malmenati e l'Unità  dans Antonio Socci antoniosocci

Gentile Concita De Gregorio,

seguo con curiosità e interesse il nuovo corso dell’Unità, da lei diretta.
Per questo le vorrei segnalare un infortunio strano accaduto ieri.
Dunque ieri tutti i quotidiani in prima pagina davano la notizia della feroce aggressione a quattro frati, perpetrata da una banda criminale entrata dentro al convento di san Colombano Belmonte, in provincia di Torino. Gli anziani religiosi sono stati picchiati ferocemente e rapinati: uno è ridotto in fin di vita. E’ stata una violenza selvaggia.
Tutti i quotidiani, dicevo, richiamavano questa notizia in prima pagina: tutti eccetto l’Unità.
Certo, la fondamentale rubrica di Maria Novella Oppo che deve strillare ogni giorno contro Gasparri è molto più importante, ci sarà la fila all’edicola per leggerla, ma almeno un minuscolo richiamo a quei poveri, vecchi frati non si poteva fare?
Naturalmente se si fosse trattato solo di questo non l’avrei importunata con questa lettera. Ognuno propone la gerarchia delle notizie che ritiene giusta.
Così sono andato a cercare almeno l’informazione sul fattaccio nelle pagine interne, dove si trova anche un fondamentale articolo su Scalfaro.
Ma sfoglia e risfoglia non sono riuscito a trovare niente. Spero ancora che sia una mia svista, che un remoto trafiletto in fondo a qualche pagina riporti almeno la notizia e che io non me ne sia accorto (in questo caso chiederei subito scusa). Ma ad una nuova attenta rilettura ancora non vedo traccia della cosa.
Mi spiace per i suoi lettori, abituati a leggere editoriali che deprecano “la scomparsa dei fatti” e a indignarsene.
L’Unità del resto si proclama sempre così attenta ai deboli, ai poveri e agli indifesi: le assicuro che dei vecchi frati francescani come quelli massacrati di botte sono sicuramente fra i più deboli, poveri e indifesi (lo testimonia il fatto che i criminali sono riusciti a rubare loro solo qualche spicciolo).

Martedì scorso sempre la sua Unità lanciava in prima pagina, con tanto di foto, la notizia dell’ambulante bengalese di Termoli a cui i vigili urbani volevano sequestrare la merce.
Il titolo era un tantino pompato: “Razzismo a Termoli. L’Italia degli sceriffi: ambulante trascinato via, i cittadini protestano”.
Francamente non si capisce cosa c’entrava la pesante parola “razzismo”.
Peraltro era proprio il giorno in cui in India era stato assaltato un orfanotrofio cattolico ed erano stati bruciati vivi due missionari (i primi di un massacro che non si è fermato).
Ma a questo orrore l’Unità, in prima, dedicava solo un richiamino, senza foto, né titoli drammatici.
Faceva un certo effetto, su quella prima pagina, confrontare lo spazio e il tono della notizia sull’ambulante e i vigili di Termoli, con la notizia dei cristiani macellati in India.
Naturalmente so bene che fare quotidianamente un giornale non è semplice, che a volte si fanno scelte frettolose o anche errori.
E’ umano e tutti ne facciamo, io più di chiunque.
Non intendo proprio impancarmi a maestrino, non ne ho i titoli, né la volontà.
Ma – stimandola come una seria professionista – vorrei segnalare alla sua riflessione il modo in cui la Sinistra italiana e il suo giornale affrontano in genere i temi che riguardano i cristiani e la Chiesa.
A me sembra di vedere una certa ostilità. Immotivata e pregiudiziale. Sbaglierò, ma temo di cogliere nel segno.
E non solo la Sinistra, ma anche tutta l’opinione pubblica radicaleggiante.
Del resto siamo in una società dove, in Occidente, contro la Chiesa si può dire di tutto.
Mentre in tanti Paesi del mondo, dall’India, alla Cina, ai paesi musulmani, contro i cristiani si può fare di tutto.
Anche per questo notizie come quelle provenienti dall’India o dal convento di Torino, sono importanti.

Non penso affatto, ovviamente, che la mancata notizia del raid squadristico di Torino sia dovuta a un pregiudizio ideologico.
Ci mancherebbe. Sono certo che si sia trattato solo di una normale svista. Ma temo pure che se tale aggressione fosse stata a danno di altri, quella svista probabilmente non ci sarebbe stata.
Allora mi piacerebbe che l’episodio fosse l’occasione buona per riflettere (tutti noi) sulla condizioni dei cristiani.
In Occidente e nel resto del mondo. Che spesso sono davvero i più poveri dei poveri.

Le auguro sinceramente buon lavoro,
Antonio Socci

Fonte: © Libero – 29 agosto 2008

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Girard: ma Dio non è violento

Posté par atempodiblog le 31 août 2008

«Il cristianesimo è l’unico vero antidoto alla crescita del fanatismo, anche religioso»: parla il grande filosofo francese

Girard: ma Dio non è violento
Girard: ma Dio non è violento dans Articoli di Giornali e News image3ds3

Il grande filosofo e antropologo francese René Girard, noto per la sua teoria del «capro espiatorio».

Dice l’antropologo: «I capri espiatori sono finiti: o scegliamo la non violenza oppure la guerra nucleare, il terrorismo, i disastri ambientali generati dall’uomo finiranno per distruggerci»

Tratto da: avvenire.it

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Concorso di bellezza per suore…

Posté par atempodiblog le 26 août 2008

Dal blog di Andrea Tornielli:

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Vi confesso che la notizia mi ha colpito. Mi chiedo a che punto possa arrivare, seppure in buona fede, la voglia di visibilità, il desiderio di apparire “moderni”, l’intenzione di far conoscere con questi mezzi la buona notizia cristiana. Leggo stamattina sul Corriere che un prete teologo, giornalista e professore di filosofia nelle scuole, padre Antonio Rungi, passionista di Mondragone (provincia di Caserta), ha organizzato il concorso “Sister Italia” e intende raccogliere tramite il suo sito web (sul quale però ancora non trovato traccia dell’iniziativa) le foto delle religiose più belle.  “Ma pensate davvero – ha dichiarato il religioso - che le suore siano tutte anziane, rattrappite e funeree? Oggi non è più così, grazie anche all’iniezione di gioventù e di vitalità portata nel nostro Paese dalle ragazze straniere: ci sono suore dall’Africa e dall’America Latina che sono davvero molto, molto carine. Le brasiliane soprattutto…”. E ha aggiunto: “Mi aspetto che siano almeno un migliaio le sorelle ad inviare le foto, e mi piacerebbe che la prossima edizione non fosse solo virtuale, magari potrebbe essere ospitata proprio durante Miss Italia. Con una passerella per le suore, certamente”. Non sono mai stato un fan di Miss Italia, specie da quando, nel nome del politicamente corretto, la trasmissione si è trasformata in un’interminabile sequenza di interviste con le aspiranti miss che ripetono di volere la pace nel mondo e di credere nei valori della famiglia. In ogni caso, la Tv e il costume hanno i loro riti e le loro liturgie, e Miss Italia è tra queste. Mi chiedo (e vi chiedo): c’era davvero bisogno di “importare” anche questa novità delle suore in passerella (per quanto solo virtuale) al fine di “aprirsi al mondo”?

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Valori e tendenze

Posté par atempodiblog le 22 août 2008

Casa di proprietà?
Il ceto medio frena

Sempre più spaventati da tasse e burocrazia

di Diego Motta - Avvenire

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I
valori di fondo restano gli stessi, ma cambiano abitudini e costumi . È il ritratto di un’Italia a due facce quel­lo che emerge dalla ricerca Gpf/ Ca­stelvecchi che verrà presentata lunedì prossimo all’appuntamento an­nuale di «Vedrò», in Trentino. Un Paese in cui la privacy non è più un’osses­sione, tanto meno un tabù, visto che all’età della riserva­tezza si va sosti­tuendo l’età del­l’accesso. Un Paese in cui anche il mito della proprietà, dalla casa all’auto, su­bisce i colpi di un lento ma progressi­vo sgretolamento, mentre vanno fa­cendosi strada atteggiamenti nuovi co­me la condivisione delle conoscenze (soprattutto su Internet) e la scelta di una maggior sobrietà nell’uso delle ri­sorse finanziarie. Resiste invece l’an­coraggio a valori come la responsabi­lità e l’impegno, verso gli altri e verso l’ambiente che ci circonda. A rispon­dere ai quesiti sottoposti sono state 501 persone intervistate, in una fascia del­la popolazione italiana compresa tra i 15 e i 54 anni, suddivisa per età, sesso e area geografica. Un panel che utiliz­za Internet ma non solo (l’indagine è stata realizzata via web dal 14 al 17 lu­glio scorso e dopo una fase esplorati­vo- qualitativa in cui sono stati svolti 20 colloqui personali) e che senza dubbio fotografa bene il ceto medio i­taliano di oggi e di domani: i cosiddetti trend setters, che fanno opinione e ten­denza pur rappresentando tutto l’arco della popolazione italiana.
L’affitto «paga» di più.
«Il reddito è senza dubbio un elemento-chiave nel­l’indirizzare certe dinamiche – spiega Alberto Castelvecchi, uno degli autori della ricerca –. Il ceto medio, in parti­colare tra i 30 e i 45 anni, o può conta­re su genitori che hanno messo da par­te le somme necessarie per acquistare un’abitazione e fa un investimento sulla casa di proprietà, oppure orien­ta i soldi a disposizione su costi mino­ri come l’affitto, magari da dividere con altri». Secondo il 63% degli intervista­ti condividere con altri beni quali la ca­sa e l’auto è «un’opportunità di raffor­zare i legami socia­li» , mentre il 37% pensa sia un segno di impoverimento. Quanto all’utilizzo esclusivo di beni da parte di una sola persona, per il 47% «è un vero spreco». Non è una contrad­dizione per un Pae­se in cui l’80% del­le famiglie possiede un’abitazione di proprietà e in cui, stando agli ultimi dati, la domanda di mutui è in crescita? «Avere un tetto e una casa proprie è un’esigenza che re­siste – risponde Castelvecchi – ma non si investe più sul mattone in senso stretto. Perché l’idea di vincolarsi a qualcosa che si porti dietro tasse, bu­rocrazia e costi va­ri spaventa sempre di più».
Qui in realtà l’opi­nione del pubblico degli intervistati è più sfumata: il 49% ritiene molto o ab­bastanza condivisi­bile l’affermazione secondo cui «la proprietà di casa, auto e moto sia un
peso per i doveri che implica». Il 54% è «abbastanza d’accordo» (e il 25 «mol­to d’accordo») con l’affermazione se­guente: «vivere per avere beni e ric­chezze non mi interessa, preferisco u­na vita ricca di esperienze».
È la metafora del telefonino: al valore dell’oggetto in sé e dello
status symbol che pure rappresenta, spiega Castel­vecchi, si sovrappone e spesso finisce per essere dominante « il valore im­materiale di ciò che contiene: l’agen­da dei numeri dei collaboratori, le co­noscenze immagazzinate e i contatti che ci siamo procurati».

Condivido ergo sum.
Nel mondo del­la conoscenza prevale l’esigenza del sapere, attraverso tutto e tutti, anche a costo di giocarsi i propri dati perso­nali. La tutela della privacy è conside­rata «una grande conquista per tutti» solo dal 43% degli intervistati, mentre il 57% pensa che in realtà oggi in que­sto modo «si proteggano soprattutto i furbi e i prepotenti». E l’allarme per le intercettazioni e la diffusione di dati personali? « Chi non ha nulla da na­scondere non deve temere nulla» ri­sponde il 63%, mentre solo il 37% au­spica «più controlli per ridurre la cir­colazione delle informazioni» . Sia chiaro: la legge 675 che ha istituito la firma per autorizzare il trattamento delle informazioni personali è una conquista per il 78% del campione, ma forse non è più il riconoscimento giu­ridico a preoccupare in questo mo­mento storico. Piuttosto, a infastidire è la mancanza di sensibilità da parte della comunità in cui viviamo: così il 56% degli inter­vistati vorrebbe che la distanza di sicu­rezza in banca o in posta sia maggior­mente rispettata («è una forma di edu­cazione» ) e quasi l’80% non sopporta di dover ascoltare le conversazioni che altri fanno in pub­blico.
«C’è un bisogno di privacy diversa, perché si cerca di più la relazione e si preferisce lo scambio di cultura e informazione rispetto al­l’isolamento» spiega Castelvecchi. Si torna per questa via al valore della con­divisione, anche negli spazi fisici: il 50% vorrebbe «un uso comune con al­tre famiglie di alcuni spazi nell’edificio in cui vivo», mentre il 51% desidera un mondo dove i beni personali siano condivisi perché così si «incoraggia il senso di responsabilità e il rispetto per gli altri».

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Bonus « secchioni »

Posté par atempodiblog le 19 août 2008

Scuola, arriva il bonus « secchioni »
Soldi ai più bravi, l’esempio di 2 licei
Fonte: tgcom.mediaset.it

Bonus
Due licei aprono le casse agli studenti più bravi. Apripista in questa iniziativa è stato il liceo classico Ennio Quirino Visconti, a Roma: un bonus da 90 euro da spendere in libreria verrà consegnato ai 50 più meritevoli che abbiano riportato almeno la media dell’otto. Al liceo scientifico Einstein di Milano premiano i « secchioni » con 200 euro spendibili per libri, dvd, biglietti per il teatro o il cinema, corsi di musica e attività sportive.

L’iniziativa dei due istituti è la prima nella storia della scuola italiana ed è stata ripresa sulle pagine del quotidiano La Stampa. Ma perché solo a 50 studenti e solo 90 euro? I presidi hanno attinto alle proprie risorse, che sono finanziate con estrema parsimonia dal ministero: circa 2 miliardi di euro per 10.600 scuole distribuite in 46mila sedi.

« Per la prima volta – spiega al giornale Rosario Salamone, preside del Visconti – grazie ai fondi resi disponibili dall’autonomia scolastica, con una delibera del consiglio di istituto, abbiamo deciso di premiare il merito, la dedizione, l’assoluta umiltà con la quale i ragazzi si sono dedicati allo studio nel corso dell’anno appena trascorso. Occorre sostenere questi ragazzi nel loro sforzo di andare controcorrente e dare loro un segnale forte del sostegno degli adulti e della scuola. Non bisogna infatti dimenticare che questi ragazzi saranno la futura classe dirigente del Paese ».

Al liceo Einstein di Milano il preside Maria Sebastiana Spoliti ha deliberato uno stanziamento extra per premiare con 200 euro i più meritevoli. Premiando gli allievi migliori, peraltro, i due licei ricalcano la linea meritocratica introdotta nella scuola italiana dal ministro del governo prodi, Beppe Fioroni, e confermata dall’attuale titolare dell’Istruzione, Mariastella Gelmini.

L’iniziativa divide però l’opinione pubblica. Se per il preside del Visconti è giusto valorizzare chi si sacrifica sui libri e « dopo la maturità consiglio loro un bel viaggio culturale », una mamma milanese ha storto il naso. « Quei 200 euro preferisco darli io a mia figlia – ha detto il genitore -, la scuola pensi a spendere i soldi per migliorare l’insegnamento visto che l’anno scorso all’Einstein era un andare e venire di supplenti ».

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Il gusto per le ‘cattive’ notizie

Posté par atempodiblog le 9 août 2008

Fa più rumore l’albero che cade che la foresta che cresce

Il gusto per le ‘cattive’ notizie dans Articoli di Giornali e News tvmondowt4

I mass media preferiscono sempre mostrare l’albero che cade piuttosto che la foresta che cresce… Alla lunga questo ha finito col produrre l’impressione che tutto stia andando peggio e che l’impegno personale e collettivo, anche se giusto, non dia frutti e sia “ormai” divenuto inutile.

Tratto da: BuoneNotizie.it

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Pechino, missili contro le nuvole

Posté par atempodiblog le 7 août 2008

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Contro le nuvole che minacciano di scaricare una pioggia intensa proprio durante la cerimonia inaugurale dei Giochi i cinesi sanno come regolarsi per evitare un tale sgarbo del cielo. Domani, venerdì, giorno della grande apertura olimpica a Pechino, bombarderanno le nuvole.

L’apposito ufficio cinese “per le modificazioni del tempo”, unico nel mondo, ha predisposto un lancio di missili e granate contro le nuvole guastafeste. In netto anticipo sulla cerimonia inaugurale, gli ordigni contenenti ioduro di argento centreranno le nuvole liberandone anzitempo l’acqua maleducata.

di Mimmo Carratelli per napoli.com

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