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Uccisa nel « paradiso » senza crocifissi…

Posté par atempodiblog le 11 juillet 2008

FEDERICA, CHE VIENE UCCISA NEL “PARADISO” SENZA CROCIFISSI…

Lloret de Mar come metafora del nostro tempo…

Uccisa nel

I socialisti di Zapatero hanno annunciato di voler togliere i crocifissi dagli spazi pubblici. Il caso ha voluto che la notizia uscisse in contemporanea con l’assassinio di Federica, proprio in Spagna, a Llorett de Mar, in un divertimentificio che è il nuovo santuario dello sballo giovanile. Dove la discoteca è – come ha spiegato Vittorino Andreoli – la cattedrale pagana di “un grande rito di trasformazione collettiva” che fa dimenticare la vita e la realtà. Gli ingredienti (anche chimici) di questa “nuova religione” sono noti, con il solito comandamento: “vietato vietare”. La felicità si trova davvero lì? E perché Federica ci ha trovato la morte, macellata come un agnello?

Nessuno ci riflette. Nell’euforica Spagna le autorità sembrano preoccupate soprattutto che il delitto non porti pubblicità negativa alla località turistica. E vai con la tequila bum bum, dimentichiamo la povera Federica e via i crocifissi. Anche noi da tempo li abbiamo tolti dai cuori, oltreché dalla vita pubblica. Anzi, l’immagine del crocifisso o quella della Madonna vengono periodicamente dileggiati da sedicenti artisti in nome della libertà d’espressione. Del resto il Papa stesso subisce questa sorte nelle manifestazioni di piazza della sedicente “Italia dei migliori”. E la fede cattolica viene azzannata, senza alcuna obiettività, in programmi televisivi che, se fossero realizzati contro qualsiasi altra religione, scatenerebbero subito l’accusa di intolleranza o razzismo. Contro Gesù Cristo invece sembra che tutto sia permesso.

Poi, quando ci visita il dolore o si consuma la tragedia o assistiamo all’orrore, gridiamo furenti – col dito accusatore – “dov’è Dio?”, “Perché non ha impedito tutto questo?”. Dopo l’ecatombe dell’ 11 settembre a New York si alzò questo stesso grido e una donna, in tutta semplicità, parlando in televisione rispose così: “per anni abbiamo detto a Dio di uscire dalle nostre scuole, di uscire dal nostro Governo, e di uscire dalle nostre vite. E da gentiluomo che è, credo che Lui sia quietamente uscito. Come possiamo aspettarci che Dio ci dia le Sue benedizioni, e la Sua protezione, se prima esigiamo che ci lasci soli?”.

Continuava ricordando quando si lanciò la crociata perché non si voleva “che si pregasse nelle scuole americane, e gli americani hanno detto OK. Poi qualcun altro ha detto che sarebbe meglio non leggere la Bibbia nelle scuole americane. Quella stessa Bibbia che dice: ‘Non uccidere, non rubare, ama il tuo prossimo come te stesso…’, e gli americani hanno detto OK. Poi, in molti paesi del mondo, qualcuno ha detto: ‘Lasciamo che le nostre figlie abortiscano, se lo vogliono, senza neanche avvisare i propri genitori’. Ed il mondo ha detto OK”.

Si girano film e show televisivi che sommergono le anime di fango. E si fa musica che celebra violenza, suicidio, droga o ammicca al satanismo. E tutti trovano questo normale e dicono che è solo un gioco, com’è normale che, secondo le statistiche, un bimbo italiano, prima di aver terminato le elementari, veda in media in tv 8 mila omicidi e 100 mila atti di violenza, ma per carità togliamo la preghiera dalla scuola ché sarebbe un atto di “violenza psicologica”.

”Ora” proseguiva quella donna americana “ci chiediamo perché i nostri figli non hanno coscienza, perché non sanno distinguere il bene dal male, e perché uccidono così facilmente estranei, compagni di scuola, e loro stessi. Probabilmente perché, com’è stato scritto, ‘l’uomo miete ciò che ha seminato’ (Galati 6:7). Uno studente ha ‘sinceramente’ chiesto: ‘Caro Dio, perché non hai salvato quella bambina che è stata uccisa in una scuola americana?’. Risposta: ‘Caro Studente, a Me non è permesso entrare nelle scuole americane. Sinceramente, Dio’ ”. Tutto questo non è solo americano. Dopo Auschwitz una folla di intellettuali accusò Dio: “Dov’eri? Come hai potuto permettere tutto questo?”. Nessuno ricordava quale fu la prima battaglia fatta dal nazismo appena arrivato al potere: la guerra dei crocifissi. Il nuovo regime pretese di spazzar via da tutte le scuole l’immagine di Gesù crocifisso. Fu uno scontro durissimo e la Chiesa fu praticamente lasciata sola a sostenerlo. Dov’erano gli intellettuali? Poi il nazismo, fra il 1939 e il 1940, spazzò via migliaia di “crocifissi viventi”, una eutanasia di massa per 70 mila disabili e malati mentali: ritennero le loro delle vite indegne di essere vissute e dettero loro “la morte pietosa”, ma anche in quel caso la Chiesa fu lasciata quasi sola perché nei cuori il crocifisso era stato spazzato via dalla pagana e feroce croce uncinata. E così alla fine Hitler scatenò la guerra e la Shoah. Dov’era Dio? Era stato cacciato da tempo. E stava agonizzando nei lager con Massimiliano Kolbe, Edith Stein o Dietrich Bonhoeffer, accanto a una moltitudine di croficissi.

Siamo la generazione che ha visto poi consolidarsi nel mondo il più immane tentativo di strappare Dio dai cuori, imponendo l’ateismo di Stato: l’impero comunista che si è risolto nel più colossale genocidio planetario di uomini e popoli. Tutto questo c’insegna qualcosa? No. Noi siamo la generazione che non impara dalle tragedie del suo tempo. E per questo forse sarà destinata a ripeterle. Non abbiamo forse consegnato la costruzione europea a una tecnocrazia laicista e dispotica che ha voluto strappare le radici cristiane dell’albero europeo? Ed eccoci all’inverno demografico, al declino e all’invasione islamica.

Un grande economista come Giulio Tremonti, nel suo celebre libro, ha affermato che il riscatto è possibile solo con una rinascita spirituale. Ma noi siamo “gli uomini impagliati” di Eliot, con la testa piena di vento e il cuore pieno di solitudine. Abbiamo sputato su Gesù Cristo e sulla Chiesa credendo che questo fosse “libertà”, poi ci troviamo soli o disperati e allora puntiamo il dito accusatore sulla presunta “indifferenza” di Dio. Di quel Dio che non cessa un solo giorno di darci il respiro e di farsi incontro a noi.

Siamo la generazione che non sa più dare senso alla vita, né speranza ai propri figli, che vede addensarsi all’orizzonte nubi cupe di crisi planetarie, di guerre, di carestie, ma non afferra la mano della “Regina della Pace”, presente fra noi per salvarci. Perché si ride del Mistero e del soprannaturale, mentre si va da maghi e astrologi, perché si crede ai giornali e a internet e non al Vangelo, perché si irride chi parla di Satana e dell’Inferno, ma si affollano come non mai sette sataniche o esoteriche, perché si venerano le maschere vuote dei palcoscenici e della tv e si disprezzano i santi, perché si crede che libertà sia poter fare qualunque cosa, anziché essere veramente amati.

Questa stagione iniziò nel ’68, quando si cominciò a sparare sulla religione come “oppio dei popoli”, così oggi l’oppio (o la cocaina) è diventata la religione dei popoli, anche di notai, industriali e deputati. Nietsche tuonò contro il crocifisso perché – scrisse – abolì i sacrifici umani che erano il motore della storia pagana. E infatti oggi, cancellato il crocifisso dai cuori, sono tornati i sacrifici umani. Siamo la generazione che ha assistito tranquillamente in 30 anni allo sterminio – con leggi degli Stati – di un miliardo di piccole vite umane nascenti, il più immane sacrificio umano della storia. La generazione che torna a discettare di vite “indegne di essere vissute”, che pretende di trasformare i più piccoli esseri umani in cavie da laboratorio, che esige – specialmente “in nome della scienza” – che tutto sia permesso. In effetti “se Dio non c’è, tutto è permesso”. Ma con quali conseguenze?

L’abbiamo visto nel recente passato. E siccome non ne traiamo le conseguenze lo vediamo nel presente e ancor più lo vedremo nel futuro. Qualcuno ha osservato: “Strano come sia semplice per le persone cacciare Dio per poi meravigliarsi perché il mondo sta andando all’inferno”.

di Antonio Socci – “Libero”, 11 luglio 2008

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Spagna campione d’Europa

Posté par atempodiblog le 30 juin 2008

Torres piega la Germania  
Tratto da:
La Gazzetta dello Sport

A Vienna, la nazionale allenata da Aragones conquista il secondo Europeo della sua storia battendo 1-0 i tedeschi in finale. Decide un guizzo dell’attaccante del Liverpool al 33′ del primo tempo. Le furie rosse chiudono il torneo senza sconfitte e fanno festa dopo 44 anni

Spagna campione d'Europa dans Articoli di Giornali e News torresmn8
Fernando Torres esulta: è suo il gol che ha risolto la partita. Ansa

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La solita scusa della società

Posté par atempodiblog le 29 juin 2008

Nei primi anni Settanta fecero il giro delle redazioni di tutti i giornali (anche se avrebbero dovuto farlo dei manicomi: ma in quegli anni i manicomi li chiudevano) le motivazioni di una sentenza con la quale un giudice mandò assolto un giovane autore di una serie di rapine. «Il ragazzo – disse il presidente del tribunale – era sconvolto per le notizie che arrivavano dalla guerra del Vietnam. Egli non è dunque responsabile. Responsabile è la società».
L’episodio, che suscitò l’indignazione e l’ilarità di Indro Montanelli, torna alla mente ora che una preside di Treviso incolpa «la società» della bravata di una sua studentessa dodicenne. La ragazzina vendeva autoscatti osé per finanziarsi lo shopping. La preside, e via a ruota tutta una serie di «interpreti del disagio» in servizio effettivo e permanente, hanno accusato in serie prima la famiglia che non educa più, quindi il mondo della moda, poi quello dei telefonini, infine l’immancabile televisione.
Ora è senz’altro vero che la società di oggi ci offre molti spunti per autoassolverci ogni volta che facciamo qualche fesseria. Tuttavia nel terzo episodio del film Signore e signori di Pietro Germi – che è ambientato proprio a Treviso ma nel 1966, quando non c’erano i telefonini e in tv si vedeva a stento il canale nazionale – la contadinella Alda, una ragazzina di quindici anni, si concede in serie a tutti i vitelloni della città, gente dai quarant’anni in su, per comprarsi scarpe e vestiti. Verrebbe da dire insomma che le fragilità umane non sono poi tanto cambiate, e che la tecnica e la maggior disponibilità di mezzi hanno solo aumentato la quantità, e non la natura, dei misfatti.
Ma la banalità dell’analisi sui tempi che cambiano è comunque meno grave dell’eterno ritorno dell’impalpabile «società» quale unica presenza sul banco degli imputati. La preside ha accusato la famiglia e appunto la società di non educare più, ma scaricando la ragazzina da ogni responsabilità ha, lei per prima, esercitato malissimo il proprio ruolo di educatrice. A dodici anni si è certo poco responsabili. Ma se ci si mette in testa che non lo si è per nulla, e che c’è sempre qualche «società» su cui scaricare ogni errore, irresponsabili lo si diventa davvero, e del tutto.

di Michele Brambilla – Il Giornale

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Italia, che peccato!

Posté par atempodiblog le 23 juin 2008

Fuori ai rigori con la Spagna

Europeo: azzurri battuti 4-2 (0-0 al 120′). Dal dischetto errori di De Rossi e Di Natale

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La festa dei tifosi spagnoli. Reuters

VIENNA (Austria), 22 giugno 2008 – L’avventura è finita. La Spagna ci batte 4-2 ai rigori e ci caccia dagli Europei. La magia di Berlino svanisce in una notte torrida viennese. Dopo 120′ senza gol, sbagliano dal dischetto De Rossi e Di Natale, mentre Buffon illude parando il tiro di Guiza. La Nazionale volta pagina; i campioni del mondo escono di scena.

CONFERME – Donadoni schiera il modulo di Zurigo contro la Francia. Ma nel 4-3-1-2 le varianti sono a centrocampo, dove la Nazionale paga l’assenza di Pirlo e Gattuso. Il c.t. corregge con Aquilani dal primo minuto: il romanista a destra, De Rossi al centro e Ambrosini a sinistra. Poi dà ancora fiducia a Perrotta, trequartista alle spalle di Toni e Cassano. Conferma tutto anche Aragones: 4-4-2, con il solito centrocampo a quattro con Iniesta a destra e Senna appena dietro la linea.

SPAGNA LANCIATA – Gli azzurri partono alti e accennano al pressing che la Spagna limita subito. A ritmo lento, gli iberici ruminano gioco orizzontalmente, ma danno un’impronta più evidente alla partita. Al 9′ Silva si accentra e libera un sinistro deviato e poi bloccato da Buffon. Nulla di trascendentale, ma prova evidente che è la Spagna a tenere in mano le redini del gioco. Dell’Italia il più ispirato appare Cassano. Il blucerchiato nel breve non ha rivali, ma ha poco appoggio, finendo vittima del raddoppio.

SOFFRIAMO - Al 18′ si vede Torres; imbeccato da Iniesta penetra in area dalla sinistra, ma alza la mira. Sono segnali a cui l’Italia dovrebbe dare peso. Su quel corridoio gli spagnoli godono di libertà: Aquilani è troppo leggero e sente il peso della responsabilità. Al 19′ ecco l’Italia. Il cross di Ambrosini dalla sinistra viene girato debolmente di testa da Perrotta; nessun problema per Casillas. Al 23′ è ancora Ambrosini a spingere sull’acceleratore, ma sbaglia a scodellare subito per Toni, evidentemente attardato. Al gol si avvicina però la Spagna. Con Villa al 25′: punizione tesa in mezzo a una selva di gambe, parata a terra da Buffon.

CASSANO CI PROVA – L’Italia sembra uscire dalla gabbia, ma manca l’uomo d’ordine e Perrotta fatica nel suo compito. Va meglio la Spagna che con Silva al 32′ impegna ancora Buffon. Ma la cosa bella la fa Cassano al 36′ su tocco di Ambrosini; il cross del barese per Toni è perfetto, ma il bomber non salta: occasione gettata al vento. La replica fa paura: al 38′ Silva dal limite sfiora il palo alla destra di Buffon. La Spagna gioca meglio. Fatichiamo a centrocampo, dove De Rossi e Ambrosini sono costretti a lavorare per tre, limitando così le sortite sulle fasce di Zambrotta e Grosso.

MAGO CHIELLINI – Silva mette subito la firma all’inizio della ripresa, ma Chiellini gli dice di no con una chiusura da marpione. Il ragazzo della Juve fa gli straordinari e deve alzare la voce perché non filtriamo. Al 10′ Torres gabba Panucci e mette dentro: ci pensa ancora Chiellini a metterci una pezza. Sembriamo vicini alla capitolazione. Al 13′ Camoranesi entra per Perrotta. Ne avevamo bisogno come il pane, ed è proprio lui al 16′ a far gridare al gol, evitato da uno strepitoso Casillas con il piede sinistro. La Spagna, con Fabregas e Cazorla (fuori Xavi e Iniesta) fa più possesso palla, ma ci siamo anche noi.

PIU’ SQUADRA – Camoranesi ha dato ordine ed equilibrio. Al 29′ Di Natale rileva Cassano, ma la Spagna torna a comandare. Al 35′ Buffon respinge con una violenta punizione di Senna. Al 36′ è invece il palo a salvarci, perché a Buffon sfugge la palla sul nuovo bolide del brasiliano. Noi ci proviamo ancora con Toni, ma a Luca mancano centimetri. E al 38′ l’impeto dell’inguardabile bomber toglie a Grosso la palla-gol per eccellenza sul cross di Di Natale. Esce Torres ed entra Guiza e gli ultimi minuti sono di furore. Ed è Zambrotta a salvare la patria al 93′ anticipando Villa.

BRIVIDI - Supplementari ed è subito thrilling, perché al 3′ Villa conclude a lato d’un soffio. Ma al 5′ per due volte ci avviciniamo al gol: prima Marchena anticipa Toni, poi Di Natale sfiora di testa. E ci mangiamo le mani, perché a conti fatti le occasioni più nitide sono le nostre. Lunghe e disfatte, le squadre si affidano a istinto e passione. Ma tocca anche a Del Piero, dentro per Aquilani al 108′. Loro ci provano di più; Buffon salva su Villa: soffriamo troppo e al 120′ Cazorla sciupa a lato il diagonale che consegna la sfida ai rigori. E questa volta la Spagna non fallisce.

di Gaetano de Stefano – gazzetta.it

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Pane e armi

Posté par atempodiblog le 22 juin 2008

EUROPA – Pane e armi

Roma (Agenzia Fides) – Il rapporto 2007 del SIPRI, l’accreditato istituto per il disarmo svedese, descriveva uno scenario inquietante relativamente alla dotazione di armi e alle cifre che vengono spese per armare gli eserciti ed alimentare le guerre che devastano il pianeta, producendo miseria, fame, macerie e disperazione. Dal 1997 al 2006 l’incremento delle spese per gli eserciti è stato pari al 37%. Nel solo 2006 la cifra spesa per gli armamenti è stata di 1.204 miliardi di dollari. La graduatoria è aperta dagli Stati Uniti, seguono Regno Unito, Francia, Cina, Giappone, Germania, Russia, Italia, India. Il 60% del mercato di esportazione delle armi è diviso equamente tra Stati Uniti e Russia, mentre l’Europa detiene il 20% del mercato complessivo. All’interno degli Stati europei, l’Italia, registrava il livello più elevato di esportazioni dal 1985. Livello ancora aumentato – in misura enorme – nel 2007, in base ai dati forniti dal Rapporto annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano, dove si legge che le esportazioni italiane di armi hanno sfiorato i 2,4 miliardi di euro, con un incremento del 9,4% rispetto all’anno precedente.
Il caso italiano è lo specchio di quel che accade nel mondo, rispetto alla corsa forsennata alla produzione e al commercio di armamenti. Secondo le stime internazionali, se fossero investiti 57 miliardi di dollari in interventi medici di base, si potrebbero salvare dalla morte certa otto milioni di vite l’anno; sempre secondo le stime, basterebbero 135 miliardi di dollari per raggiungere gli “obiettivi del Millennio”, decantati dall’ONU.
Uccidono le armi e uccide anche la mancanza di cibo. L’Organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di Alimentazione e Agricoltura, la benemerita FAO, invita, nel suo ultimo rapporto, i Paesi donatori e le istituzioni finanziarie internazionali, ad incrementare la propria assistenza ai paesi che soffrono la fame, per un ammontare compreso tra 1,2 ed 1,7 miliardi di dollari. Un’inezia, rispetto alle cifre che gli Stati spendono per armarsi.
Il prezzo dei cereali nelle nazioni povere del mondo, che già nel 2006-2007 era aumentato del 37%, aumenterà, si stima, nel 2007-2008, del 56%. Oggi, il grano viene pagato il doppio dell’anno scorso. L’aumento dei fertizzanti è del 25% (+200% in un quinquennio). L’esportazione del riso è stata del tutto o quasi sospesa in Vietnam, India, Egitto, Cina, Cambogia, Argentina. Le esportazioni di grano sono state ridotte da Argentina, Russia e Kazhakistan. Scontri e rivolte per il cibo si sono verificati nell’ultimo periodo in Egitto, Camerun, Costa d’Avorio, Senegal, Burkina Faso, Etiopia, Indonesia, Madagascar, Mauritania, Guinea, Mozambico, Filippine, Pakistan, Thailandia e Haiti. Per i paesi africani a basso reddito con deficit alimentare, si stima l’aumento del prezzo per tariffe e trasporto del petrolio del 74%, a causa dell’impennata dei prezzi dei cereali, delle tariffe dei trasporti e del petrolio. Mentre il Segretario Generale delle Nazioni Unite invoca un vertice sulla crisi alimentare e l’Ufficio Onu per il programma alimentare mondiale denuncia una grave situazione d’emergenza (!), i grandi gruppi finanziari internazionali rafforzano la parte attiva dei loro bilanci, speculando – come in molti denunciano – sulla situazione. Il caos è servito ed è globale.
E’ un caos prodotto da una politica internazionale che non si assume fino in fondo le sue responsabilità rispetto a quello che è o dovrebbe essere il suo compito primario. Alle masse dei desiderati della terra, a coloro che lottano per la sopravvivenza e che muoiono di fame, si offre uno scenario che non è governato dai processi democratici e dalle regole, ma affidato agli interessi del mercato e del business. Mentre prolifera il commercio delle armi, mentre si chiacchiera da decenni su come riformare il sistema internazionale, mentre in molti si arricchiscono, il piano dell’etica – l’unico che può salvaguardare il diritto ad una vita dignitosa di individui e popoli interi – viene del tutto abbandonato dalle classi dirigenti mondiali. Ci si potrebbe chiedere se loro leggono quel che accade nel mondo. La risposta è sì. Lo leggono e in alcuni casi lo strumentalizzano. E’ il senso dell’umano che scivola loro addosso, senza lasciare traccia. (S.G.)

Agenzia Fides 25/4/2008; righe 46, parole 668

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Un innocuo sapore di fragola

Posté par atempodiblog le 22 juin 2008

Un innocuo sapore di fragola

Il sesso chiedi e gusta spiegato ai ragazzini delle scuole medie.
Postato il Sabato, 21 giugno @ 06:48:40 CEST di David
Fonte:
http://www.fattisentire.net
Tratto da: Tempi.it

Un innocuo sapore di fragola
Il sesso chiedi e gusta spiegato ai ragazzini delle scuole medie.
di Rodolfo Casadei


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Strano posto, il territorio della provincia di Milano: se in una famiglia a una bambina capita di ritrovarsi sotto il banco a scuola un disegno pornografico con annessa legenda secondo la quale lei fa sesso a pagamento con suo fratello, quei genitori si vedranno portare via i figli perché non hanno esercitato a dovere la loro responsabilità di adulti. Se invece altri adulti insegnano a dei ragazzini di 13-14 anni come si pratica il sesso orale, spiegano che in caso di gravidanza possono ricorrere all’aborto senza parlare coi loro genitori o che l’età giusta per avere i primi rapporti sessuali è 15-16 anni, a questi adulti non succederà niente di male, anzi: lo Stato li pagherà per il loro lavoro, perché quello che stanno facendo si chiama, proprio così, « educazione sessuale ».

Per carità di patria non facciamo il nome delle scuole. Ma quello della zona sì: la zona 9 di Milano. Lì da alcuni anni nelle scuole medie inferiori viene portato, previa approvazione del singolo istituto su proposta di qualche commissione di docenti, un Progetto di educazione all’affettività dove ai ragazzini viene spiegato tutto ma proprio tutto, tranne l’affettività. Il progetto non è farina del sacco degli insegnanti (benché i lavori delle commissioni, 20 ore all’anno, siano retribuiti a 18-20 euro all’ora coi soldi del fondo di istituto), ma è calato dall’alto dall’Asl locale. Diciamo calato dall’alto perché è difficile definire diversamente un progetto che gli esperti dell’Asl presentano agli insegnanti della commissione che si è rivolta a loro nei seguenti termini: i contenuti sono quelli che vengono esposti e sono insindacabili, non si possono modificare o integrare, si può solo prendere o lasciare; durante le lezioni di dottoresse e psicologi loro, gli insegnanti, dovranno stare fuori dalla porta, affinché i ragazzi siano più liberi di esprimersi; da quest’anno il progetto, che è finanziato all’Asl dalla Regione (le scuole non devono pagare niente), va approvato e attuato non più su base annuale ma triennale: bisogna legarsi mani e piedi per tre anni a quello che l’Asl decide di fare.
Naturalmente le responsabili del progetto invitano anche i genitori dei ragazzi a un incontro di un’ora per presentare loro il lavoro che faranno coi figlioli. Ma pare che tacciano almeno un paio di circostanze: per esempio quella che gli insegnanti sono tassativamente esclusi dalla partecipazione alle lezioni; e per esempio quella che fra le informazioni trasmesse ai ragazzi c’è pure il fatto che possono rivolgersi ai servizi sanitari per interrompere un’eventuale gravidanza senza parlarne coi genitori. Un argomento fieramente dibattuto nei faccia a faccia con gli insegnanti, alcuni dei quali avrebbero obiettato che dire a un 13-14enne che ha facoltà di decidere di abortire senza nessun riferimento all’autorità dei genitori non è propriamente educativo. Significa investirlo di un senso di onnipotenza negativo per la sua crescita e per chi gli sta intorno. Ma quelli della Asl hanno replicato che la legge 194 prevede tale facoltà, che è loro compito informare in maniera completa ed esaustiva i ragazzi, in quanto non è automatico che alle medie superiori verranno correttamente informati, e perché il problema potrebbe presentarsi. La nuda informazione, senza interferenze da parte di giudizi di valore su cosa è giusto o sbagliato, bello o brutto. Tranne uno: che bisogna fare il possibile per evitare di contrarre malattie o gravidanze indesiderate.

Penna, quaderno e profilattico
Questa è la filosofia del Progetto educazione all’affettività. Gli insegnanti non sono ammessi ai corsi, ma i ragazzini parlano, e raccontano come si svolgono le lezioni. Lo spunto è dato dalle loro domande, raccolte per iscritto e in forma anonima in classe prima dell’incontro con la ginecologa. Costei parte dal singolo interrogativo per sviscerare l’intera materia. C’è sempre qualche curiosità circa il sesso orale, che dà la stura a spiegazioni dettagliate sui profilattici: «Per il sesso orale si usano preservativi al gusto di frutta», si sentono dire gli allibiti 13enni, «per il rapporto anale serve un preservativo più resistente, per i rapporti vaginali ne basta uno normale».
I profilattici fanno parte dei sussidi didattici, così come un pene e una vagina artificiali, che vengono fatti passare fra le mani di ragazzi e ragazze. A volte vengono invitati loro stessi ad applicare il coso di gomma sull’organo maschile, a volte fa tutto l’esperta della Asl. «A me non è piaciuto vedere la signora che continuava ad allungare il preservativo e poi ci ficcava le mani dentro», commenta un ragazzino.
Una delle ossessioni degli adolescenti maschi, si sa, è la misura del membro: nelle domande l’argomento torna spesso. «Cosa succede se il membro maschile è molto lungo?», diceva per esempio una domanda. Risposta: «Non succede nulla, la profondità della vagina è sette centimetri, più in là non si va. Anche Rocco Siffredi ha a disposizione solo quello spazio». L’aver evocato il Rocco nazionale ha indotto domande improvvisate sull’argomento: ma come fanno i pornoattori a fare quello che fanno? E per di più senza il profilattico che voi ci state caldamente consigliando? Risposta: «Quello che vedete al cinema è un montaggio di immagini. Nessun rapporto dura così a lungo come fanno vedere. E l’eiaculazione avviene sempre fuori dalla vagina». Un tempo c’era chi bigiava la scuola per frequentare cinema a luci rosse, adesso non c’è più bisogno: vai a lezione ed è quasi la stessa cosa.
Non tutti riferiscono le stesse cose. Secondo alcuni ragazzi il linguaggio è sempre scientifico e rigoroso, secondo altri «non abbiamo mai sentito dire tante parolacce da degli adulti come quel giorno». Le informazioni legali sul diritto all’interruzione di gravidanza non sono state sempre comunicate come era stato preannunciato agli insegnanti, ma solo dicendo che si può legalmente abortire nei primi tre mesi. Ma il paradigma generale è chiaro: dietro l’abito di una comunicazione puramente informativa su base scientifica e legale viene lasciata passare l’idea che in materia di sesso ognuno/a può fare quel che gli/le viene in mente senza porsi domande, se non circa le probabilità di beccarsi una malattia o una gravidanza non desiderata. Nessuno spiega ai ragazzi che quello che si vede nei film non è il modo giusto di vivere la sessualità. Nessuno gli racconta che il sesso è qualcosa di molto più affascinante e complicato di un meccanismo messo in moto da curiosità pruriginose. Sperma e gomma, gomma e sperma: nient’altro.

Rodolfo Casadei
www.tempi.it/blog/rodolfo

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Il rispetto umano

Posté par atempodiblog le 21 juin 2008

Il rispetto umano è una piaga della vita cristiana. Ed è una piaga di molti, di troppi cristiani.
Dove si vede Dio offeso, Gesù oltraggiato, la Madonna e i santi maltrattati, bisognerebbe vedere i cristiani coraggiosi e coerenti che fanno muro di difesa e di onore alla loro Fede.
Invece, quanto coniglismo e quanta viltà di animo! Addirittura, quanto sforzo di nascondersi fra gli stessi nemici della Fede, per paura di essere scoperti e segnati a dito!
È vero che oggi, in questo mondo corrotto, in questa società scandalosa e beffarda, dominata dall’ateismo più animalesco che si possa concepire, occorre davvero gran coraggio per essere coerenti.
Ma non è forse questo un motivo in più perché i cristiani, lungi dal nascondersi, si facciano avanti a testimoniare con energia la loro fede «che vince il mondo» (Gv 5,4)?
Coloro che si vergognano, che hanno paura di apparire come veri cristiani, hanno più le vesti da vili traditori che da discepoli di Cristo.
Contro costoro c’è la parola tagliente e terribile di Gesù: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole
davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,38).

«Pescatori e pescatrici»
Nella lotta contro il protestantesimo che rovinava la fede di tanti cristiani con le sue eresie dottrinali e morali, san Carlo Borromeo volle istituire grandi scuole di catechismo e di istruzione religiosa per il popolo. Ebbe bisogno di cristiani laici coraggiosi. Li trovò, uomini e donne. Li divise nei due gruppi dei «pescatori» e delle «pescatrici», e organizzò i giri apostolici per le case, per le strade, per i campi. Era uno spettacolo di vera fede vedere questi cristiani coraggiosi all’opera per testimoniare Gesù Cristo e annunciare il suo Vangelo puro, senza errori.
Ogni cristiano dovrebbe far suo, con fierezza, il grido di san Paolo: «Non mi vergogno del Vangelo» (Rm 1,16). Dovunque. In casa o fuori. Negli uffici o nelle scuole. Tra gli amici e tra i nemici. «I veri cristiani – diceva san Gregorio Magno – sanno morire, ma non transigere». E dovrebbe bastare il ricordo dei gloriosi martiri, sempre vivi nella Chiesa celeste e terrestre. La loro gloria conferma luminosamente la parola di Gesù: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc 8,35).

Si vergognano…
Che cosa dire, adesso, di molti cristiani che per rispetto umano mancano persino ai loro doveri fondamentali?
Si vergognano di farsi il segno di croce e di recitare qualche preghiera mattino e sera, o prima dei pasti.
Si vergognano di entrare in una chiesa a pregare, di avere la corona e di recitare il Rosario, di salutare un’immagine sacra nelle edicole.
Si vergognano di andare a Messa. Si vergognano di confessarsi. Si vergognano di ricevere la Santa Comunione.
Si vergognano di riprendere chi bestemmia o profana cose sacre. Addirittura, alcuni arrivano a vergognarsi di… non bestemmiare!
Si vergognano di difendere la loro fede dagli attacchi e dagli insulti dei nemici; e magari si vergognano di essere considerati ancora cristiani… Si vergognano di non leggere stampe per sporcaccioni, di non vedere cinema immondi, di non seguire le nuove mode invereconde.
Si vergognano di rimproverare chi dà scandalo, chi offende e dileggia la morale evangelica. Arrivano a vergognarsi di opporsi all’aborto, al divorzio, alla pillola contro la vita umana. Si vergognano, si vergognano… Pare che non sappiano fare altro!

Chi non si vergogna
Ancora giovanetto, san Bernardino da Siena fu invitato una volta da uno zio a casa sua. Andò, ma vi trovò anche altre persone che nella conversazione con facilità parlavano scorrettamente. Pronto e risoluto, san Bernardino disse allo zio: «O questi signori cambiano modo di parlare, o io me ne vado via!». Lo zio avvertì gli ospiti, e il linguaggio non fu più scorretto.
Ma dovunque si trovava, san Bernardino non solo non aveva neppure l’ombra del rispetto umano, ma era lui che incuteva rispetto a tutti. Anche i suoi compagni lo sapevano bene, e se talvolta si lasciavano andare a qualche discorso non corretto al solo veder arrivare san Bernardino, dicevano fra loro: «smettiamo, arriva Bernardino».
San Giuseppe Moscati, ugualmente, fu un cristiano pieno di luce ed esercitava un fascino indescrivibile con la testimonianza della sua fede viva. Chi voleva, poteva vederlo ogni mattina fermo e raccolto in chiesa per due ore di preghiera. Sulla cattedra, prima di iniziare l’insegnamento, esortava sempre gli studenti a innalzare la mente al «Signore Dio delle scienze» (1 Sam 2,3). Non appena suonava l’Angelus, interrompeva ogni discorso e anche la visita medica, invitando tutti i presenti a recitare con lui l’Angelus.
Quale forza e trasparenza di fede vissuta in lui! Altro che i meschini rispetti umani della nostra fede da vili complessati…

Non vergognarsi di Lei
«Fammi degno di lodarti, o Vergine Santa!».
Contro ogni rispetto umano, contro ogni paura o viltà, debbo e voglio lodare la Madonna, che è mia Madre.
Non solo non mi vergognerò di Lei, ma voglio difenderla e glorificarla, voglio amarla e farla amare, dovunque, con passione filiale sempre ardente.
Posso guardare a tutti i santi, paladini di amore vibrante verso la celeste Madre e Regina. Ma guardo in particolare a san Massimiliano M. Kolbe, a questo apostolo e vittima dell’Immacolata, il quale non solo non si vergognò mai dell’Immacolata, ma volle consumarsi totalmente per Lei, fino a essere considerato esaltato e folle, anzi, fino a chiamarsi da se stesso «folle dell’Immacolata».

di Stefano Maria Manelli FI – “Maggio, mese di Maria”

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Che bello, quest’anno ci sono tanti bocciati

Posté par atempodiblog le 16 juin 2008

Proviamo a rimettere in sesto la scuola incominciando dalla severità degli insegnanti in classe? Condizione necessaria, ma non sufficiente. Tuttavia una scelta di relazione – quella della severità – importante per stabilire il giusto equilibrio tra professori, studenti, famiglie.
Consideriamo due esempi estremi: il bullismo e la scelta di istituti all’estero per l’istruzione dei figli da parte di genitori facoltosi. Per un verso o per un altro i due casi sono impietose testimonianze della bancarotta della scuola pubblica, ed entrambi i casi hanno – tra le altre – radici comuni nell’assenza di severità nella classe.
Incominciamo dai bulletti. Genitori assenti: credono di conoscere come le proprie tasche i figli e invece non sanno nulla di loro. Da parte sua, l’insegnante dimostra di essere incapace di mantenere la disciplina, che tuttavia non può non avere il suo fondamento nell’educazione dei genitori. Risultato inevitabile: famiglie latitanti più insegnanti sprovveduti e abbandonati a se stessi uguale degrado educativo e formativo di cui il bullismo è solo la manifestazione più eclatante.
Secondo esempio. La disciplina in classe è una regola non solo di comportamento, ma di apprendimento che protegge i più deboli, sia dal punto di vista economico che caratteriale. Se l’insegnante tiene la disciplina è anche in grado di capire quanto abbiano studiato i suoi alunni, li può valutare in modo appropriato ed egli stesso è nelle condizioni di fare delle lezioni decenti.
La confusione in classe favorisce il mimetismo dei furbi perché non possono essere controllati, interrogati e valutati come si deve. Il ragazzo bravo e quello asino finiscono per confondersi: il primo non riesce ad esprimere le sue qualità, il secondo trova mille scappatoie per andare avanti pur essendo un emerito ignorante. Risultato: il genitore che ha vera attenzione per il proprio figlio generalmente lo toglie dalla scuola pubblica, sceglie quella privata dove c’è più ordine e disciplina, e soprattutto può protestare – poiché paga e profumatamente – se in classe c’è babilonia. Essendo poi gli insegnanti quelli che passa il convento, cioè il più delle volte purtroppo modesti, la famiglia benestante sceglie un istituto estero.
Così il ragazzo bravo e di normali condizioni economiche viene danneggiato due volte: la prima perché la scuola non gli insegna come dovrebbe, e comunque, nonostante la volontà del ragazzo, non gli vengono riconosciute le sue qualità. La seconda perché sul piano del mercato del lavoro le sue competenze risulteranno inferiori a quelle del giovane che ha studiato in istituti dove gli insegnanti potevano, attraverso la disciplina, fare bene il proprio lavoro.
Dunque, tutti d’accordo: difficile non convenire sul valore formativo ed educativo che ha alla base la disciplina. Certo, obiezioni arriveranno dai nostalgici dei metodi alla Montessori, ma sono obiezioni che, proprio oggi, vengono facilmente confutate.
Finora queste considerazioni hanno riguardato l’aspetto formale della necessità di disciplina a scuola. Ma c’è anche una disciplina sostanziale, non solo formale. E qui casca l’asino. Chi può farsi rispettare tenendo la disciplina? Risposta: chi ha autorevolezza. E come può il docente manifestare la propria autorevolezza? Risposta: attraverso il suo sapere e la sua capacità didattica.

Noi purtroppo abbiamo docenti che sono vere capre e altri, non molti, bravi. Se qualcuno ha un po’ di esperienza della scuola, sa che il docente bravo è in grado di tenere la disciplina perché gli viene riconosciuta dagli studenti l’autorevolezza del suo ruolo. Malauguratamente nella stessa scuola ci sono molte capre e pochi bravi docenti. E questo accade perché non si è in grado di selezionarli, perché gli stipendi troppo bassi ne fanno un mestiere dequalificato, perché gli studenti di talento non si iscrivono più alle facoltà di lettere da cui provengono i futuri insegnanti.
Quarant’anni di sindacalismo sfrenato che ha puntato alla massificazione dell’insegnante (stipendi bassi, lavoro possibilmente per tutti, meritocrazia zero) ci hanno consegnato questa scuola, che le famiglie attente all’educazione dei propri figli considerano un pericolo.

di Stefano Zecchi – Il Giornale

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Il vigliacco che c’è in noi

Posté par atempodiblog le 16 juin 2008

Com’è seducente quella frase stampata sui manifesti che ritraggono Giovanni Falcone: «Chi non ha paura muore una volta sola, chi ha paura muore tutti i giorni». L’abbiamo vista e rivista ieri alle manifestazioni per il sedicesimo anniversario di Capaci, c’erano i politici e le istituzioni tutte, c’era la gente comune e c’erano i ragazzi delle scuole. Per qualche minuto, guardando i tg, ci siamo sentiti un popolo fiero e coraggioso, unito nel dire mai più la mafia, mai più.

Ci dev’essere però qualcosa che non funziona se solo un giorno prima abbiamo letto che a Napoli Roberto Saviano, l’autore di Gomorra, non riesce a trovare casa perché tutti hanno paura ad affittargliene una. Ci deve essere qualcosa che non funziona se le scuole vanno in piazza a difendere la legalità, come hanno fatto ieri, e poi scopriamo che i ragazzi di terza media della scuola Salvo D’Acquisto di Napoli scrivono nei temi «c’è gente che odia la camorra, io invece no, anzi a volte penso che senza la camorra non potremmo stare, perché ci protegge tutti».

Ci sono due Italie, quella che abbassa il capo e «l’Italia che non ha paura » cantata da De Gregori? Forse sì, anzi sicuramente sì. Ma forse c’è anche una realtà più inquietante, e cioè che l’Italia dei probi e quella dei corrotti sono solo due esigue minoranze, e in mezzo ci siamo noi, maggioranza che dice una cosa e ne fa un’altra, ci siamo noi che sappiamo bene quanto siano infernali la mafia e la camorra ma quando ci dicono che il signore della porta accanto può significare un’autobomba parcheggiata davanti al portone speriamo che se ne vada fuori dai piedi, e magari glielo diciamo pure, di andarsene.

Stiamo in mezzo senza accorgerci che stare in mezzo vuol dire scivolare da una parte, quella sbagliata. È la stessa Italia che per schierarsi aspetta di vedere come va a finire, e nel frattempo cerca di limitare i danni. Il 22 gennaio del 1943 Leo Longanesi annotava questo dialogo: «Credete che a Roma verranno a bombardarci?» «A Roma no, a Roma c’è il papa e poi Roma è troppo bella…» «Credo anch’io. Meglio che bombardino Milano…».

L’unità d’Italia – commentava Longanesi – poggia su questi ideali. Ricordare tutto questo nel giorno in cui andiamo in piazza per ricordare Falcone non è disfattismo, tutt’altro. È il metterci in guardia da un rischio: quello di ripetere un errore che abbiamo già commesso tante volte, fingendo di credere di essere stati tutti uniti e intrepidi nel combattere il fascismo e i nazisti, il terrorismo e la corruzione. Le manifestazioni pubbliche sono necessarie, ma non devono impedirci di riconoscere che il vigliacchetto che non affitta una casa a Saviano può nascondersi dentro ciascuno di noi.

di Michele Brambilla – Il Giornale

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YouTube o non conti un tube

Posté par atempodiblog le 15 juin 2008

 YouTube o non conti un tube dans Articoli di Giornali e News youtubehs0
Immagine: televisionando.it

Due ragazzini milanesi hanno preso a fucilate un tram per mettere la scena su YouTube. Prima di uscire di casa col giubbotto antiproiettile e salire sui mezzi pubblici strisciando come marines, può esserci utile un breve viaggio dentro la zucca dei giovani pistoleri. Al pari dei fratelli maggiori, anch’essi sognano di emergere dalla massa informe. Ma invece di puntare sulla televisione, che resta una cuccagna per pochi Amici, preferiscono utilizzare il web. Quello sterminato pagliaio, ricolmo d’aghi di ogni risma e colore, dove è molto facile entrare ma complicatissimo farsi notare.

Su YouTube planano migliaia di immagini all’ora: chiunque possieda un telefonino e un computer ha accesso al regno della Visibilità. Ma un conto è spedire il proprio filmato, un altro convincere gli altri a guardarlo. Servono imprese impossibili: scalare l’Everest in mutande o recitare a memoria la Divina Commedia su una gamba sola. E poiché le imprese impossibili richiedono tempo, preparazione e fatica, quasi tutti sterzano sulla scorciatoia della volgarità e della violenza.

Affacciarsi al davanzale di casa per sparare proiettili di gomma su un tram ferendo lievemente un pensionato è una di quelle bravate che costano poco sforzo e attraggono ancora molta attenzione. Purtroppo anche quella di chi adesso andrà su YouTube a sbirciare il filmato. Vi scongiuro: non fatelo. In questa repubblica fondata sull’audience, l’unico sistema per scoraggiare gli esibizionisti consiste nel cedere alla tentazione di ignorarli.

di Massimo Gramellini

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Un’Unione senza Dio

Posté par atempodiblog le 15 juin 2008

Intervista a Marcello Pera

« Visto? Non sta in piedi un’Unione senza Dio »

Siamo di fronte al suicidio di una Costituzione troppo lontana dai popoli e dalle società europee…


E’ la vendetta cristiana, la storica risposta dei credenti all’Europa senza Dio». Il no irlandese al trattato di Lisbona è «l’inevitabile reazione alla cancellazione delle radici cristiane dalla Costituzione e alle eurodirettive, prive di legittimazione democratica, che stravolgono le legislazioni nazionali sui temi bioetici», attacca il senatore «teocon» del Pdl, Marcello Pera.
«Questa Ue è morta perché stata abbandonata dai popoli e ora solo Benedetto XVI può dare un’identità al vecchio continente – sostiene l’ex presidente del Senato e coautore del libro papale “Senza radici: Europa, relativismo, cristianesimo, islam” – Il cattolicissimo popolo d’Irlanda ha avvertito l’estraneità di un’Europa burocratica e astratta che nega duemila anni di cristianesimo»

Perché la cattolica Irlanda affossa l’Ue?
«Siamo di fronte al suicidio di una Costituzione troppo lontana dai popoli e dalle società europee. Sta crollando un’architettura barocca con espressioni bizantine indecifrabili per gli stessi parlamentari e ignote ai cittadini. E’ l’ineluttabile implosione di un mostro gigantesco e privo di significato che impone restrizioni, rispetto di patti, vincoli, parametri astrusi ma poi lascia soli i governi sulla sicurezza e l’integrazione. I cattolici irlandesi si sono ribellati ad un’Europa che nella Costituzione mette al bando Dio per orientare verso l’anarchia del relativismo le legislazione nazionali sui temi eticamente sensibili (adozioni ai gay, eutanasia, aborto, “provetta selvaggia”)».

Una rivolta cristiana ai “senza Dio” di Bruxelles e Strasburgo?
«La legislazione bioetica in paesi cattolici come l’Irlanda e l’Italia viene importata dall’Europa e sfugge al controllo democratico. Delle corti europee che decidono della nostra vita nessuno sa nulla, non hanno rapporto con la popolazione. Sono organismi di giustizia che legiferano in modo troppo autonomo sulla base di testi ignoti e le loro decisioni piombano sulle nostre teste. Ormai sono il cavallo di Troia per introdurre all’interno degli Stati la gran parte della legislazione bioetica. Dell’Europarlamento nessuno conosce la funzione. E’ eletto ma non è terreno di scontro politico, non è niente. l’intera Ue è una costruzione complicata, remota, ostile che incombe sulla gente scegliendo tutto sulla vita umana dal concepimento alla fine naturale. E poi non riesce a proteggermi dal vicino di casa».

E’ colpa della «cacciata» di Dio dalla Costituzione?
«Sì. Il giorno infausto in cui ha deciso programmaticamente di eliminare Dio, l’Europa si è condannata all’inesistenza, cioè ad essere priva di un popolo, di una storia, di un’identità europei. Senza Dio l’Europa non si unifica. Lo hanno ben capito gli irlandesi, tradizionalmente attenti alle leggi e gelosi della loro insularità. Oggi sprofonda un’Europa atea, nemica che esibisce il volto minaccioso di veti inconcepibili, impone medicine amare, pretende di azzerare i valori non negoziabili. Adesso l’ipocrisia è finita: l’Ue ha fallito. Anche in Italia serve il coraggio di dire “no,basta” e ricominciare da un’altra parte».

Da dove?
«Dai temi etici posti da Benedetto XVI, l’unico grande leader di statura e livello europei. Solo Papa Ratzinger può unificare l’Europa.
In assenza di un’adeguata classe politica, Benedetto XVI è diventato il vero punto di riferimento dei popoli e l’autentico artefice dell’identità europea. in Irlanda e altrove la gente segue lui. Da Benedetto XVI i cittadini europei traggono identità, dai politici il nulla. Per questo seguono il Papa e affossano l’Ue.
L’Unione ce l’ha con la Chiesa (e con coloro che su questioni come l’omofobia e il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto ne condividono la posizione) perchè è la punta avanzata del laicismo europeo. E’ sull’odio contro la Chiesa e l’apostasia del cristianesimo che oggi si basa l’Europa».

di Giacomo Galeazzi
La Stampa 14 giugno 2008

Tratta da fattisentire.net

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Il bambino nato tre volte

Posté par atempodiblog le 13 juin 2008

Il miracolo del piccolo Finley, il bambino nato tre volte
La madre prendeva la pillola. Quando ha scoperto di essere incinta ha provato ad abortire: però il bimbo è sopravvissuto
di Luca Doninelli, da “il Giornale” del 9 giugno 2008

Il bambino nato tre volte dans Aborto vitar

La prima cosa che il mondo ha saputo, a proposito di Finley Crampton, è che ha le orecchie a sventola. Le ha prese da papà. Dalla mamma ha preso invece il colore chiaro degli occhi.

Finley non si trova qui da ieri. Ha già sei mesi, sta piuttosto bene ed è cittadino inglese. E, se il buongiorno si vede dal mattino, possiamo stare certi che di lui sentiremo parlare ancora.

Finley infatti è vivo perché né la pillola anticoncezionale né un aborto terapeutico sono riusciti a sradicarlo dal grembo nel quale aveva cominciato a esistere, 19 settimane prima di apparire davanti agli occhi stupefatti dei medici di un ospedale del Nottinghamshire, gli stessi che 11 settimane prima avevano cercato di toglierlo di mezzo.

Quella di Jodie, la mamma, è una storia dolorosa. Jodie è portatrice di una malattia genetica che le è costata la perdita del primo figlio, a solo venti minuti dalla nascita, e la grave menomazione del secondo, di un anno maggiore di Finley. Per questo aveva deciso di non avere più figli, cominciando ad assumere sistematicamente la pillola. Accortasi, con stupore, di essere nuovamente incinta, era tornata in ospedale per abortire, ci ha provato e il risultato di tutta questa vicenda è che Finley è qui. Non si tratta, come si vede, di una storia di accanimento terapeutico, ma solo di una storia dolorosa con un inaspettato lieto fine, e questo non è perciò un articolo antiabortista, nel senso che la vita va ben oltre l’antiabortismo. La vita, che tendiamo a dare per scontata, e che richiede viceversa la nostra massima attenzione.

Quello che Finley ha da insegnarci, è per tutti. Ci insegna che la vita non è un «principio», un’idea, un’astrazione, ma un fatto, una cosa. Ricordate – dice Finley – che la vita è questa cosa che i medici del Nottinghamshire si son trovati davanti, restando con un palmo di naso dopo aver fatto il possibile per eliminarla. Certo, l’aborto può essere stato eseguito male, e il dosaggio delle pillole mal calibrato. Posso spingermi a pensare che la regolarità di Jodie nell’assunzione della pillola non sia stata esemplare, e che Jodie, nel fondo del cuore, desiderasse ardentemente altri figli dopo i primi due.

Nulla toglie però che si debba fare chapeau davanti alla vita, che diventa non solo trifoglio o mosca o gallina, ma uomo: alla sua tenacia, alla sua dura volontà, alla sua irriducibilità. La vita non coincide con i nostri programmi, è quello che è. Dirle di sì è l’accettazione di quello che tutta la cultura in cui siamo immersi ci insegna a odiare, perché la cultura in cui siamo immersi ci dice che la vita ha un senso solo se è come noi vogliamo.

E in questo, scusatemi se insisto, fa poca differenza l’ideologia di riferimento. Un cattolico sa bene,se non ha perso il cervello, com’è facile anche per lui accontentarsi della sua vita cattolica «bell’e fatta», come diceva Péguy. E la cultura dominante non si esprime tanto nell’abortismo (che è solo una conseguenza), quanto piuttosto in questa mediocrità, che spesso rimane anche quando ci si trasforma in fanatici e urlanti difensori dei più sacri principi.

La vita è il contrario di questo. Soprattutto in quello che è, come si diceva, il suo esito più inimmaginabile e in qualche modo più inaccettabile: l’uomo (un bel gattino è molto più accettabile).

Scrisse Hannah Arendt: «Gli uomini, nella misura in cui sono qualcosa in più che un fascio di reazioni animali e un adempimento di funzioni, sono del tutto superflui per il regime. Questo infatti non mira a un governo dispotico sugli uomini, bensì appunto a un sistema che li renda superflui».

Perciò che Dio benedica te e le tue orecchie a sventola, Finley, e con te questa cosa imperfetta, sporca, piena di guai, ma tenace e invincibile, che è la vita. Il solo augurio umano che possiamo fare a noi stessi è di riuscire ad affrontare fatiche e dolori nello stesso modo in cui tu hai affrontato i tuoi.

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La leggenda rosa delle droghe «buone»

Posté par atempodiblog le 11 juin 2008

Lezioni per battere il tabù dello spinello
di Claudio Risé

L’Italia, con Malta, è ormai l’ultimo paese europeo in quanto lotta alla droga. Non siamo riusciti a diminuire i consumi, e neppure a rallentare i ritmi di incremento

L’Italia, con Malta, è ormai l’ultimo paese europeo in quanto lotta alla droga. Non siamo riusciti a diminuire i consumi, e neppure a rallentare i ritmi di incremento.
I rapporti dell’Onu, e dell’Osservatorio europeo sulle droghe, hanno ripetutamente deplorato i nostri risultati. Di fronte allo sterile agitarsi dei nostri politici, che unici al mondo ancora dibattono se la cannabis faccia o no male, qualche preside ha lanciato un’idea: diamo la parola in classe ai drogati cronici.
È successo a Treviso, dopo la scoperta di collette in classe per i fondi per l’acquisto di spinelli. Undici ragazzi dai 16 ai 19 anni sono stati denunciati per detenzione e spaccio di droga, trenta sono stati segnalati in prefettura come assuntori abituali, due portati direttamente in comunità.
L’operazione «Zero in condotta» ha coinvolto liceo classico, scientifico, magistrali, scuola di recupero, e università. Era nata dopo qualche controllo prima delle gite scolastiche, in cui gli agenti avevano trovato di tutto, ma soprattutto hashish. «Fumiamo tutti», hanno dichiarato tranquillamente ragazzi e ragazze. I giovani raccontano che i professori non hanno mai parlato in classe dei danni della droga. Ha detto uno dei rappresentanti degli studenti: «La droga è uno dei tabù che ci sono a scuola, come la politica. I professori e i presidi ci dicono: ”non fatelo, sennò viene il cane antidroga”, mai: non fatelo perché vi fa male».
Eppure le grandi organizzazioni internazionali, a cominciare dall’Organizzazione mondiale della sanità, gli Istituti nazionali per la salute, come l’Istituto superiore di sanità in Italia o quelli di Francia, Inghilterra, Spagna, Olanda (paesi quanto mai liberali), hanno da tempo documentato i danni fisici e psichici della cannabis, che, soprattutto quando assunta già prima dei 15 anni, aumenta enormemente i rischi di psicosi o schizofrenia.
Psichiatria e neuroscienze di tutto il mondo hanno accuratamente documentato tutto, da tempo. Allora perché i «prof», come li chiamano tra l’affettuoso e il derisorio gli allievi, non ne parlano? Molti perché non hanno mai letto niente di serio e aggiornato in materia; molti perché, come appunto denunciano i ragazzi, considerano «il fumo» un tabù: sociale, politico, di costume. Parlarne male è considerato «politicamente scorretto», antiquato, bigotto; tutte cose temute dai «prof» che cercano soprattutto l’alleanza e la complicità coi ragazzi. Soprattutto, però, li obbligherebbe a informarsi prima, uscendo dai sentieri battuti dei luoghi comuni. Allora ecco la proposta del preside Otello Cegolon, dirigente dell’Istituto magistrale Duca degli Abruzzi di Treviso. «I giovani non conoscono la portata reale del danno. Portiamo allora nelle classi i drogati cronici, che facciano vedere ai ragazzi cosa producono le sostanze che prendono con tanta leggerezza».
Il preside pensa ai drogati di roba pesante, che, certo, forniscono testimonianze sconvolgenti. Ma, come hanno spiegato i maggiori psichiatri italiani, a cominciare da Giovanni Battista Cassano, fin dal 2001, i normali reparti di psichiatria si sono ormai riempiti, da anni, anche di consumatori di cannabis e amfetamine che, oltre a fornire oltre l’80% dei futuri acquirenti di cocaina ed eroina, trasformano gli adolescenti, in Italia come altrove (ma peggio che altrove, perché non hanno informazioni sui rischi) in pazienti psichiatrici.
Mettiamo dunque questi nuovi folli in cattedra a raccontare la loro esperienza. Rimedieranno al vuoto informativo dei professori troppo conformisti nei confronti della leggenda rosa delle droghe «buone».

Il Mattino di Napoli 2 giugno 2008

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La prima chiesa cristiana

Posté par atempodiblog le 10 juin 2008

Scoperta la prima chiesa cristiana
di Andrea Tornielli – Il Giornale

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L’annuncio, piuttosto roboante, è apparso ieri sul quotidiano Jordan Times: a Rihab, in Giordania, in un piccolo villaggio a quaranta chilometri dalla capitale Amman, sarebbe stata trovata la «prima chiesa al mondo». La chiesa più antica tra quelle conosciute, l’archetipo del luogo di culto cristiano. Se fosse vero, si tratterebbe di una scoperta davvero sensazionale.

A rivelare il presunto ritrovamento è stato Abdul Qader Hussan, capo del Rihab Centre of Archeological Studies, che da diversi anni dirige le ricerche nel villaggio di Rihab. Nel corso degli scavi sotto la chiesa di San Giorgio, infatti, è stata ritrovata una grotta che lo studioso giordano si è affrettato a identificare non soltanto come una chiesa, ma addirittura come «la prima chiesa al mondo», datata, a suo dire «fra il 33 e il 70 dopo Cristo». Datazione precoce, se non precocissima, dato che attorno al 33 dopo Cristo è fissata la passione, morte e resurrezione di Gesù e i pochi discepoli che allora lo seguivano non hanno certo per prima cosa realizzato «chiese».
Lo studioso giordano, comunque, non sembra essere sfiorato dal dubbio. Crediamo che questo luogo – ha spiegato Hussan al Jordan Times – abbia protetto il primi cristiani, i settanta discepoli di Gesù Cristo, che hanno lasciato Gerusalemme al momento della persecuzione e si sono rifugiati nel nord della Giordania». Un riferimento ai «Settanta discepoli amati da Dio» si trova in un mosaico della chiesa superiore, che l’archeologo ritiene sia stata costruita nel 230 dopo Cristo.

Abdul Qader Hussan ha aggiunto che gli scavi hanno portato alla luce «porcellane e oggetti di terracotta datati fra il III e il VII secolo». Scendendo di qualche gradino sotto la chiesa di San Giorgio, ha raccontato, «ci si trova davanti a un’area circolare, che crediamo sia un’abside, e diverse sedute di pietra per gli ecclesiastici». Nella sala sotterranea si è trovato un muro che separava la zona dove i primi cristiani vivevano dalla zona dell’altare dedicata al culto. È stato ritrovato anche un tunnel che si ritiene abbia permesso ai cristiani che sarebbero stati qui nascosti di «approvvigionarsi d’acqua».
Secondo l’archimandrita Nektarius, vicario vescovile dell’arcidiocesi greco-ortodossa, la scoperta «rappresenta un’importante pietra miliare per i cristiani di tutto il mondo. L’altra grotta simile si trova a Thessalonica, in Grecia».

Il ministero del Turismo della Giordania, com’era prevedibile, ha già annunciato di voler valorizzare al massimo la scoperta archeologica, promuovendola come attrazione turistica. In Giordania si trovano numerosissimi siti archeologici cristiani di eccezionale valore. Con tutta probabilità è qui – e non nella parte israeliana – che si trova il vero luogo del battesimo di Gesù descritto nel vangelo, identificato con Betania oltre il fiume Giordano. Nel villaggio di Rihab sono state scoperte negli ultimi decenni numerose chiese antiche.

 

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Bentornati vecchi esami

Posté par atempodiblog le 8 juin 2008

Finalmente una buona notizia: a scuola tornano gli esami di riparazione. Erano stati soppressi una quindicina di anni fa da un ministro di centrodestra, Francesco D’Onofrio, che forse non si era reso conto di aver fatto una cosa molto sessantottina, una cosa che seguiva l’onda del sei politico e degli esami di gruppo. D’Onofrio aveva introdotto il sistema dei «debiti scolastici», nel senso che un’insufficienza cambiava nome e diventava appunto un debito, e fin qui non ci sarebbe niente di male: il fatto è che questi debiti lo studente finiva per non saldarli mai, se li trascinava fino alla maturità, e se proprio ne aveva molti veniva ammesso agli esami con un punteggio un po’ più basso, ma comunque ammesso.
Il sistema, oltre che diseducativo, era anche ingiusto, uno schiaffo alla meritocrazia perché poteva succedere (anzi, succedeva regolarmente) che alla fine uno studente pluri-indebitato ottenesse, grazie a una buona prova d’esame, una votazione migliore rispetto a chi aveva studiato più di lui per cinque anni e magari si era impappinato davanti alla commissione.
Per il momento scatta l’obbligo di saldare i debiti entro il 31 agosto; dall’anno prossimo, riavremo i vecchi esami. Non c’è bisogno di molte parole per spiegare perché siamo favorevoli alla restaurazione, cominciata da Fioroni e ora completata da Mariastella Gelmini. L’abolizione degli esami faceva parte di quella nefasta cultura secondo la quale bisogna far crescere i nostri eredi col sedere nel burro: la cultura del dottor Spock, del «tu» alla maestra, dei voti sostituiti da sigle incomprensibili o da commenti soft per non traumatizzare il pargolo con un quattro. Ora torna lo spettro di un’estate passata sui libri anziché in spiaggia, ed è perlomeno un primo assaggio di un paio di regole di vita che i nostri ragazzi dovranno ahiloro sperimentare chissà quante volte: 1) ciascuno è responsabile delle proprie azioni; 2) ai propri errori si deve riparare.
Saremo anche dei vecchi tromboni, ma preferiamo essere cresciuti sapendo che gli esami non finiscono mai, piuttosto che illudendoci che i debiti si possano non pagare mai.

di Michele Brambilla – Il Giornale

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