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Verità e bugie sui contenuti del decreto

Posté par atempodiblog le 31 octobre 2008

Verità e bugie sui contenuti del decreto dans Articoli di Giornali e News gelminigt9

Il decreto Gelmini sulla scuola è legge. Il Senato ha approvato ieri con 162 voti favorevoli, 134 contrari e 3 astenuti il provvedimento che porta il nome del ministro dell’Istruzione. Il sì definitivo è arrivato al termine di una due giorni di fuoco nell’aula di palazzo Madama, con l’ostruzionismo dell’opposizione, e dopo settimane di proteste di piazza fra scontri e occupazioni. Ecco tutte le bugie sulla riforma.

VERO

Maestro unico Nelle scuole elementari torna il maestro unico.
Le classi funzioneranno per 24 ore alla settimana.
Le ore di straordinario all’insegnante nel 2009 verranno pagate con il fondo di istituto, che sarà poi reintegrato dal ministero dell’Istruzione.

Tempo pieno Con il maestro unico il tempo pieno aumenterà. Infatti passando da due insegnanti a uno si avranno più docenti a disposizione e si potranno aumentare del 50% le classi che possono usufruire del tempo pieno.

Voto in condotta Torna il voto in condotta: farà media con i voti conseguiti nelle diverse materie scolastiche, e se sarà inferiore al 6 determinerà la bocciatura dell’alunno.

Educazione civica L’apprendimento della Costituzione diventa uno dei cardini dell’educazione. Viene infatti reintrodotto lo studio dell’educazione civica, che diventa materia obbligatoria. Il nome della disciplina sarà « Cittadinanza e Costituzione ».

FALSO

Tagli agli stipendi Nessuna diminuzione sui salari dei docenti: grazie alla stretta sulle spese aumenteranno gli stipendi. Si tratta di 2 miliardi da dividere fra innovazione e gratifiche ai docenti. Dal 2012 il « premio » sarà destinato a 257 mila insegnanti.

Classi per stranieri La proposta della Lega, approvata dalla Camera, è solo una mozione al decreto che non ha effetto concreto ma solo una valenza politica. La mozione parla di un eventuale test di ingresso per verificare lo stato di conoscenza della lingua italiana.

Licenziamenti Tecnicamente non verrà licenziato nessuno. Nei tre anni (2009 – 2011) gli interventi ricadono solo sui posti a tempo determinato. Per gli insegnanti la riduzione riguarda 87.400 cattedre. Per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario 42.500 posti.

Meno docenti per i disabili Non viene attaccata la quota degli insegnanti di sostegno per gli alunni diversamente abili. Si tratta di circa 90mila docenti. Anzi, nelle ultime assunzioni la quota dei docenti di sostegno è stata tra le più ampie.

Scompare la lingua inglese Nelle scuole elementari rimane lo studio della lingua inglese. Dall’anno prossimo sarà affidato a un docente specializzato, che affiancherà il maestro unico, così come accadrà per l’insegnamento di religione, educazione fisica e informatica.

Fonte: Il Giornale

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Il Cardinale Sepe su Facebook

Posté par atempodiblog le 30 octobre 2008

Internet: Cardinale Sepe fa il pieno su Facebook
Arcivescovo di Napoli rivela, ‘ho 200 nuovi amici al giorno’


L’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, debutta sul social network Facebook e registra un grande successo. Il porporato ha rivelato di raccogliere ’200 amici al giorno’ ed ha spiegato il suo segreto: ‘Bisogna andare laddove c’e’ la gente e se la gente e’ su Facebook andiamo pure la’. Mi scrivono in tutte le lingue ma il napoletano e’ sempre la lingua piu’ usata e piu’ bella’.

Fonte: Ansa

Il Cardinale Sepe su Facebook dans Articoli di Giornali e News sepefr4 
Immagine tratta da: napoli.repubblica.it

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Non salvate questa scuola

Posté par atempodiblog le 29 octobre 2008

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NON SALVATE QUESTA SCUOLA
di Susanna Tamaro

Da venticinque anni vivo accanto al ministero della Pubblica Istruzione, in Viale Trastevere. Ogni autunno, al tempo della caduta delle foglie e della vendemmia, al tempo in cui le castagne cadono al suolo – quelle castagne che per decenni hanno popolato i sussidiari della scuola italiana – le grandi masse di studenti, come facessero parte del ciclico movimento della natura, cominciano ad agitarsi rumorosamente. L’autunno è ormai fisiologicamente la stagione degli scioperi e delle occupazioni. Cambiano i governi, cambiano i ministri, cambia vertiginosamente il mondo intorno, ma l’autunno resta il tempo della grande protesta. Quest’anno però l’usuale protesta ha assunto dimensioni abnormi e anche pericolose.
Mai infatti era successo che scendessero in piazza i bambini delle elementari – azione gravissima – e che anche settori vasti e lontani dal mondo della scuola si mobilitassero in modo così virulento, come se si trattasse di uno scontro in cui è in gioco la sopravvivenza della civiltà. Il clima non è molto diverso da quello che ci fu al tempo della legge sulla fecondazione assistita. O sei di qua o sei di là. E se sei di là, sei un oscurantista, nemico del progresso e dell’uomo, una persona disprezzabile, da demonizzare e quindi io non prenderò mai seriamente in considerazione le tue idee, le tue riflessioni. A chi giova un clima del genere? A chi fa gioco impedire un discorso serio e maturo sul bene comune? Quello che deprime, in questa situazione, è l’alto livello di infantilismo, di immaturità. Mentre da una parte si cerca di risolvere un problema estremamente grave come quello della scuola, dall’altra si soffia irragionevolmente sul fuoco, fomentando antagonismi che nulla hanno a che vedere con la meditata proposta del programma. Salva la scuola, gridano migliaia di cartelli dai muri delle nostre città. Ma salvare cosa, da chi? Salvare quale scuola? Quella che produce ragazzi incapaci di esprimersi correttamente, che inzeppano i curricula vitae, le tesi, gli stessi concorsi della magistratura di strafalcioni che fanno inorridire? Quella che ci spinge agli ultimi posti dei livelli europei? Quella che ha istituito il demenziale sistema dei crediti e dei debiti formativi, delle miriadi di lauree che, se non fossero reali, provocherebbero minuti di serena ilarità?
Ho frequentato le magistrali, arrivando anche a fare il concorso per insegnare perché ho sempre pensato che i primi anni di apprendimento fossero i più importanti e che dedicarsi a questo fosse una straordinaria avventura. Poi la vita mi ha portato in un’altra direzione, ma la passione non mi ha abbandonato. Scrivo libri per l’infanzia, inoltre ho quattro nipoti in età scolare e vivo con tre bambine che vanno alla scuola dell’obbligo. Per questo, posso dire che in Italia abbiamo ancora molte realtà straordinarie. Straordinarie per passione, per intelligenza, per creatività. E dove ci sono queste realtà, i bambini crescono appassionati, curiosi, aperti alla vita. Ma, accanto a queste che, ringraziando il cielo, non sono poche, si è insinuata, negli ultimi decenni, una volontà perversa dei legislatori che sembra avere l’unico scopo di complicare le cose semplici. La scuola elementare si chiama così, appunto, vorrei ricordarlo, perché deve insegnare gli «elementi base». Ad un certo punto però, agli illuminati riformatori, è parso che proprio questa scuola andasse modernizzata, «liceizzata», adeguata, cioè, alla complessità di informazione di questi tempi. La semplicità, l’essenzialità, la sobrietà andavano cancellate nel nome della modernità. Un bambino proiettato nel futuro, nei tempi meravigliosamente complessi che viviamo, non poteva avere quelle scarse nozioni ottocentesche che sono state la spina dorsale dell’educazione di intere generazioni. E così, ogni giorno, vedo uscire la piccola Martina piegata da uno zaino che contiene ben otto libri. Otto libri per la seconda elementare? E allora noi che abbiamo studiato sull’unico sussidiario, siamo tutti ignoranti? Tempo fa un padre, preoccupato, mi diceva: «Mia figlia sa tutto sulle piogge acide ma non ha la minima idea di cosa siano i decilitri e i millilitri».
Certo, ci sono bambini estremamente informati, ma informati vuole dire preparati? E soprattutto, in un mondo che già bombarda informazioni, i bambini hanno bisogno di altre informazioni? O hanno bisogno piuttosto del sapere? In Europa siamo agli ultimi posti come preparazione scientifica. Come è possibile, mi chiedo, dato che ormai, per insegnare matematica alle elementari, bisogna avere una laurea? Una persona più preparata, di solito dovrebbe creare bambini più preparati, mentre sono sempre più confusi. «Segnala le entità equipotenti», ho trovato scritto nel libro di una mia nipotina di prima elementare. Lei mi guardava con sguardo smarrito chiedendo aiuto e io ho risposto con uno sguardo altrettanto smarrito. A un’altra, già in seconda, ho chiesto: «Quanto fa 1+1?» e lei trionfante ha risposto: «11». Eppure io, in prima elementare, avevo imparato che una ciliegia più una ciliegia fa due ciliegie e non ho mai avuto dubbi su questo.
Perché tanta paura della semplicità, perché tanta paura della chiarezza? Forse perché si è perso di vista cosa vuol dire educare: dal latino ducere, vuol dire «condurre». Ma per condurre devo sapere qual è la direzione verso cui tendo. Se non so dove sto andando, se non so qual è la mia meta, come posso guidare le persone che mi sono affidate? Educare non vuol dire intrattenere, ma dare a un bambino i fondamenti etici sui quali potrà costruire la sua complessità di persona. Credo che una delle grandi emergenze di cui si parli poco, per non dire affatto, sia la precaria condizione del sistema nervoso dei bambini che vivono in questi tempi. Il loro cervello, spesso affidato a delle suadenti balie elettroniche, è sottoposto a una continua eccitazione di stimoli diversi. È proprio questa stimolazione forsennata, quest’abitudine a fare zapping che frantuma in loro qualsiasi possibilità di attenzione. E che cos’è l’uomo senza attenzione? Qualsiasi cosa io voglia fare – dal falegname all’astronauta, a scrivere una lettera d’amore – ho bisogno assoluto di attenzione e di concentrazione, devo saper collegare i gesti e sapere che, senza quel collegamento, non ottengo nulla.
Oltre alla semplicità, all’altare della modernità abbiamo anche sacrificato l’idea che esista una natura umana e che questa natura vada rispettata e aiutata nella sua crescita. Per questo penso che togliere il maestro unico sia stata una grandissima stupidaggine come quella, tra l’altro, di abolire le magistrali. Un essere umano, per crescere, ha bisogno di stabilità, di certezze, di silenzio, solo così può riuscire a formarsi un suo pensiero e non sarà un docile soldatino nelle mani dei grandi manipolatori. La natura umana si forma nello sforzo, nella fatica, nell’idea che lo sforzo e la fatica siano passaggi fondamentali per crescere e imparare. Se non mi sforzo, se non mi applico, se non passo attraverso le forche caudine della noia, non sarò mai capace di costruire niente. E contro chi va questa confusione di intenti, questa mancanza di preparazione, se non contro le persone che un giorno saranno adulte e che avranno carenze nell’esprimersi? Saranno loro a pagarne il prezzo, perché il bambino incerto nelle nozioni della scuola elementare, sarà ancora più incerto alle medie e, alle superiori, costruirà una casa fatta di carta, pronta a volar via al primo soffio di vento. Ma un giorno la scuola e l’università finiranno, ci sarà l’incontro con il mondo del lavoro e con quali mezzi potranno affrontare un momento così importante? Come faranno a inserirsi in una società che è stata mostrata loro unicamente come antagonista? Non si tratta, a mio avviso, di essere di destra o di sinistra – io, ad esempio, ero molto negativa sulla riforma Moratti – ma di avere il coraggio di osservare la realtà e di affrontarla con quel sentimento così desueto ormai ma così importante che si chiama buonsenso e, assieme a quell’altro sentimento altrettanto lontano dai nostri giorni, che si chiama buona volontà, cercare di lavorare insieme per costruire, per una volta, il bene comune delle generazioni future alle quali finora abbiamo offerto degli esempi davvero pessimi.

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Arrestata per avere ucciso il “marito virtuale”

Posté par atempodiblog le 29 octobre 2008

Arrestata per avere ucciso il “marito virtuale” di un mondo online

Arrestata per avere ucciso il “marito virtuale” dans Articoli di Giornali e News virtualhz7 
Foto: AsiaNews.it

In un mondo web, la donna si infuria perché il “marito” divorzia, senza nemmeno una spiegazione. Per vendetta, penetra nel computer dell’autore del “marito” e lo “uccide”. Ora rischia anche 5 anni di carcere per avere manomesso l’altrui computer.

Tokyo (AsiaNews/Agenzie) – Il marito virtuale di un sito online divorzia e la donna, infuriata, manomette il computer del creatore di questo marito e lo “elimina”. Per questo è stata arrestata e rischia sino a 5 anni di carcere. La donna, una giapponese, insegnante di piano di 43 anni, ha creato un proprio avatar (personaggio virtuale) sul sito online interattivo “Maple Story”, dove questi personaggi immaginari vivono e hanno persino una vera e propria vita sociale. Ma un giorno il marito virtuale “d’improvviso divorzia, senza una parola di spiegazione. Questo mi ha fatto infuriare”, dirà poi alla polizia.

Così a maggio usa le informazioni ricevute dall’autore dell’avatar suo marito, quando erano “felicemente sposati”, penetra nel suo computer e lo “uccide”. Quando l’uomo scopre che il suo avatar è morto, denuncia tutto alla polizia.

Ora la donna è stata arrestata a Miyazaki, per accesso illegale al computer dell’uomo e manipolazione dei suoi dati, ed è stata portata a Sapporo, lontana mille chilometri. Ha ammesso tutto e ha aggiunto di non avere mai pensato a una qualsiasi vendetta nella vita reale. Queli che ha commesso sono comunque reati gravi per la legge nipponica, che prevedono il carcere fino a 5 anni o una multa fino a 5mila dollari.

Questi mondi virtuali sono sempre più frequentati da persone che ci vivono vere vite parallele, nelle quali, ad esempio, vivono le avventure e ottengono il successo che non hanno nel mondo reale, oppure abbandonano le inibizioni per compiere attività che non farebbero nella realtà. Peraltro in questi mondi ci sono regole precise e rigide: chi non le rispetta può esserne “espulso” inibendogli ulteriori accessi.

Non mancano casi in cui queste vite immaginarie hanno avuto conseguenze nel mondo reale. A Tokyo un ragazzo di 16 anni è accusato di avere “rubato” i dati e la password di un altro giocatore online per sottrargli 360mila dollari di denaro “virtuale”.

Ad agosto una donna del Delaware (Usa) è stata accusata di avere tramato il rapimento di un ragazzo con cui si era “fidanzata” sul sito web “Second Life”.

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I voltagabbana del maestro unico

Posté par atempodiblog le 27 octobre 2008

I voltagabbana del maestro unico dans Articoli di Giornali e News manifestazionebf6

«Quando l’antica maestra intera si scisse nelle tre maestre per due classi, per ragioni sindacali contro il crollo demografico, si minò un pilastro della nostra convivenza».
Ecco, non riuscivo a trovare le parole per esprimere quel che penso sulla questione del maestro unico, sui danni prodotti dalla sua abolizione, e perfino sulle ragioni («sindacali», non pedagogiche) che portarono alle tre maestre invece che una, e grazie al Cielo ho trovato un altro che aveva già messo in fila le parole giuste prima di me. Così, con una bella citazione, me la sono cavata senza faticare troppo. E sapete di chi è la frase sopra riportata fra virgolette? Di Mariastella Gelmini? Del leghista Roberto Cota? O addirittura del premier? No: sono parole di Sofri. Adriano Sofri.
E sapete dove le ha scritte? Forse sul Foglio, che è un po’ berlusconiano? No: le ha scritte su Repubblica.
E sapete quando le ha scritte? Forse anni fa, in un altro tempo e con un’altra scuola? No: le ha scritte il 3 giugno 2008. Meno di cinque mesi fa.
Per completezza di informazione: l’articolo di Sofri era pubblicato in prima pagina e s’intitolava «Ecco perché ci servono più maestre da libro Cuore». Sempre per completezza, Sofri prendeva spunto da due fatti: un articolo di Zagrebelsky («La democrazia ha ancora bisogno di maestri») e l’appello di una quarta elementare di Roma al ministero affinché non cambiasse la maestra, in età di pensione.
Siccome quando si citano frasi altrui è sempre dietro l’angolo l’accusa di estrapolazioni selvagge, chiarisco che la frase citata all’inizio va inserita nel seguente contesto, che cito testualmente: «Zagrebelsky commemora i grandi maestri civili, soppiantati da televisione, pubblicità, moda: altrettante seduzioni facili, aliene dal suscitare i bravi discepoli senza i quali non compaiono i bravi maestri. Ma nel mondo che si perde la prima e decisiva formazione civile era l’opera delle maestre. Erano loro a insegnare a leggere e scrivere, a fare le operazioni, a dire le preghiere, a stare seduti e alzarsi in piedi. Il tramonto delle maestre può essere salutato come un capitolo dell’emancipazione femminile». E subito qui di seguito la frase citata all’inizio: «Ma quando l’antica maestra intera si scisse…».
Si potrebbe obiettare che Repubblica dispone di un ampio parco di grandi firme, e non è detto che quella di Sofri sia la posizione del giornale. Ok. Però, così, giusto per procedere sulla completezza d’informazione: pochi giorni prima, sempre sulla questione della quarta elementare romana che rischiava di cambiare maestra, Repubblica aveva affidato il commento a un altro suo esperto di scuola, Marco Lodoli. Il quale, dopo aver tratteggiato le qualità e l’importanza della vecchia maestra, scriveva: «Poi qualcuno ha deciso che la maestra doveva moltiplicarsi e da una è diventata tre, e tre maestre sono diventate un viavai di volti, abbondanza e confusione, e forse qualcosa si è guadagnato e di sicuro qualcosa si è perso». Notare il «forse» e il «di sicuro». Era il 27 maggio 2008, esattamente tre mesi e venti giorni prima che lo stesso Lodoli, sempre su Repubblica, così commentasse il progetto del governo di reintrodurre il maestro unico: «Le elementari, fiore all’occhiello del nostro sistema educativo, sono finite sotto l’accetta della ministra Gelmini, che per rispettare le esigenze di risparmio non ha immaginato nient’altro che la maestra unica: come dire suicidiamoci per consumare meno ossigeno». Era il 16 settembre 2008.

Non è che vogliamo sottolineare, a proposito di maestrine dalla penna rossa, incoerenze e giravolte (nel caso di Sofri, tra l’altro, non risulta che abbia cambiato idea). Vogliamo solo esprimere lo stupore per l’attuale levata di scudi della sinistra contro il ritorno del maestro unico. Sono giorni che sentiamo demonizzare questa figura da pedagogisti che mai avevamo udito, prima, esprimersi in tal modo. Politici, giornalisti e genitori anti-Gelmini s’accodano. L’altra sera ad AnnoZero hanno parlato di «rischio di pensiero unico». Fosse un vecchio cavallo di battaglia della sinistra, capiremmo. Ma mai c’è stata, nella cultura della sinistra, l’esaltazione dei tre maestri, anzi. La loro introduzione fu motivata solo dalla volontà di salvare posti di lavoro, ma mai nessuno ne aveva esaltato l’efficacia. Al contrario, sono tantissime le testimonianze di una sinistra perplessa. Ortensio Zecchino, ministro dell’Università con D’Alema e Amato, al momento della riforma votò contro dicendo: «Non resta che prendere atto dell’esistenza di uno schieramento che ha inteso privilegiare il momento sindacale… svalutando il momento formativo e culturale». Ed Edgar Morin, consulente del ministro Fioroni proprio per la riforma della scuola, ha fatto dell’unitarietà dell’apprendimento il suo credo: «Il nostro sistema d’insegnamento – ha detto – separa le discipline e spezzetta la realtà, rendendo di fatto impossibile la comprensione del mondo».
Chissà come mai, insomma, tanti repentini cambiamenti. Personalmente ho un ricordo fantastico e commovente, della mia maestra unica. Solo che fatico anche qui a trovare le parole. Le prendo in prestito: «La figura della maestra campeggia nella nostra memoria come un totem sacro, è l’asse attorno al quale ha girato la nostra infanzia, fu la solenne e dolce depositaria di ogni sapere, quella che ci ha insegnato gli affluenti del Po e le divisioni a tre cifre, le Guerre Puniche e le poesie di Pascoli, ci ha aiutato a crescere nella pace di un tempo immobile e fecondo. (…) L’infanzia ha bisogno di certezze (…) se l’amata maestra dopo quattro anni scompare, allora tutto può svanire». Chi ha scritto queste belle parole? Ma sempre Marco Lodoli, sempre su Repubblica. Sembra ieri, invece erano ben cinque mesi fa.

di Michele Brambilla – Il Giornale

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Pubblicità choc sugli autobus

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

Londra, pubblicità choc sugli autobus:
« Dio non esiste, godetevi la vita »

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In genere pubblicizzano film in uscita o l’ultimo profumo di Armani, ma ora sugli autobus di Londra campeggieranno poster con la scritta: «Dio probabilmente non esiste, quindi smettila di preoccuparti e goditi la vita». La campagna, naturalmente ad opera di associazioni atee, ha ricevuto offerte record per un totale di 113mila dollari, superando di ben sette volte gli obiettivi prefissati.

Fonte: La Stampa

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L’abuso dei bambini nelle manifestazioni contro l’autorità

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

L’abuso dei bambini nelle manifestazioni contro l’autorità dans Articoli di Giornali e News sciopero

Di fronte a fatti di sangue, a malversazioni di vario tipo, all’indisciplina automobilistica, o alla sporcizia urbana, o ferroviaria, tutti protestano contro lo smarrimento del senso di autorità, dell’ordine, del rispetto degli altri. Pochi, però, riflettono su come autorità, rispetto e ordine si formino. Così quando le maestre, o i genitori, mettono al collo dei bambini cartelli contro il ministro dell’istruzione, e li schierano davanti ai fotografi, pochi sembrano stupirsi.
Eppure pochi gesti minano la possibilità delle nuove generazioni di sviluppare rispetto per gli altri, e senso dell’ordine e dell’autorità, come l’utilizzo mediatico e politico dei bambini contro i rappresentanti del potere. Tanto più se l’autorità contestata è il ministro cui la legge affida l’istruzione e formazione dei giovani.
Cominciamo dallo sviluppo del rispetto, che in questo caso è, innanzitutto, quello verso i giovani e dei bambini. È rispettoso verso di loro schierarli in piazza con i cartelli appesi al collo e offrirli alle golose riprese di fotografi e cameramen? La loro privacy non vale nulla, al contrario di quelle dei figli minorenni dei vip, il cui volto viene accuratamente schermato? E perché l’immagine dei figli dei genitori narcisi, o degli allievi delle maestre spregiudicatamente decise a utilizzarli nelle loro rivendicazioni sindacali, non è protetta da nessuno? Cosa ne pensa il garante della privacy?
Molti analisti sanno bene che una foto, o una ripresa televisiva, venduta da un genitore vanitoso, o bisognoso, è poi all’origine di disturbi dolorosi, e cure difficili e complesse. Queste manifestazioni dunque sono innanzitutto lesive del più elementare rispetto umano verso i bambini che dicono di difendere. Per farlo davvero, dovrebbero rinunciare a utilizzare i loro volti, i loro occhi, le loro espressioni, ora usate come manifesti.
Quei bambini sono persone, prima che strumenti di battaglia politica.
Ma i loro insegnanti, o genitori in marcia, sembrano non saperlo. Non protestino se più tardi i ragazzi dimostreranno ai grandi la stessa mancanza di rispetto oggi usata verso di loro. Queste manifestazioni, inoltre, lanciate oggi contro Mariastella Gelmini come ieri contro Letizia Moratti, pongono le basi di un grave conflitto tra la personalità in formazione del bambino e il principio d’autorità. Quando gli insegnanti coinvolgono gli alunni nelle loro dimostrazioni di protesta, trasmettono loro, infatti, un’informazione esplicita: l’autorità non ha valore (è «ignorante», dannosa, «Gelmini mangia i bambini» – è scritto sui cartelli), va combattuta. Si tratta, però, di un messaggio «schizogeno», che tende a dividere la personalità, visto che gli stessi insegnanti rappresentano l’autorità verso i bambini.
L’ordine normativo viene così scisso in due (governo da una parte e insegnanti dall’altra), dunque indebolito, a favore di chi dispone fisicamente dei bambini (gli insegnanti) e a danno del ministro da cui il potere degli insegnanti dipende.
Al bambino viene poi fatto credere di detenere informazioni, capacità di giudizio e un potere, che non possiede: si tratta di un messaggio narcisistico, molto dannoso per la personalità. Le opinioni dei bambini non possono in realtà influire su decisioni governative, né valutarne la portata: rendere gli alunni consapevoli dei loro limiti sarebbe più educativo.
Portare i piccoli in piazza costituisce invece, tecnicamente, un abuso fisico e psichico nei loro confronti, realizzato attraverso la manipolazione delle loro opinioni e delle loro immagini, utilizzate nell’interesse personale degli adulti.

di Claudio Risé – Tratto da “Il Mattino di Napoli »

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Avete voglia di uscire dagli slogan?

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

LETTERA APERTA AGLI STUDENTI
di Mario Giordano – Direttore de ‘Il Giornale’

Cari studenti, avete voglia di uscire dagli slogan? Lo so che in queste ore di inebriante ribellione vi sentite incaricati di una missione altissima. Guardavo per le vie e dentro le Tv i vostri volti sorpresi dal primo rossore pubblico, le mani abituate a chat e messenger che si levano timide a mostrare i tazebao, quelle mise un po’ smandrappate che si tirano dietro inconsapevoli strascichi di Sessantotto. E pensavo che quando dite di volere una scuola migliore, be’, avete proprio ragione. Ma come si fa ad avere una scuola migliore? Provate a tirare fuori dagli armadi delle aule gli slogan che vi hanno preceduto: «Ucci Ucci sento odore di Falcucci», «Con simpatia la Moratti a Nassirya», «Ministro Fioroni, servo dei padroni». A Berlinguer furono mostrate le chiappe, De Mauro fu sbertucciato come Pinocchio. Ora tocca alla Gelmini, che «divora i bambini». Le rime sono persino facili, avanti con la fantasia.

Vi siete mai chiesti, però, perché ogni riforma della scuola, proposta da qualsiasi ministro, di qualsiasi partito, è sempre fallita? Cui prodest? E che ci fanno dietro le vostre spalle professori e sindacalisti? E i no global? Che c’entrano? È davvero necessario occupare le scuole? E occupare le stazioni? Chi è che vi spinge a iniziative contro la legge? Che interesse ha? Che ci fanno i politici (persino l’assessore all’Istruzione di Napoli) fra i vostri banchi? Chi è che pensa di sfruttare il vostro primo rossore per colorare piazze altrimenti vuote? Vi hanno raccontato un sacco di balle sulla riforma Gelmini. L’hanno fatto in classe. L’hanno fatto in modo strumentale. Vogliamo discuterne? Noi siamo qui. A disposizione.

Oggi non invochiamo la Polizia: anzi, pensiamo che l’intervento delle forze dell’ordine per garantire lo svolgimento delle lezioni sarebbe una sconfitta per tutti. Pensateci. E, se potete, provate a uscire dal solito cliché delle barricate. Provate ad andare oltre gli slogan. Provate a discutere nel merito come si fa ad avere una scuola migliore. Questo sì che sarebbe, per una volta, davvero rivoluzionario.

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Chi soffia sul fuoco

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

CHI SOFFIA SUL FUOCO
di Michele Brambilla – Il Giornale

A un certo punto dell’ottavo capitolo dei suoi Promessi Sposi, quello dedicato alla «notte degli imbrogli» (Renzo e Lucia entrano con un sotterfugio e due testimoni in casa di don Abbondio per cercare di estorcergli un matrimonio-lampo), il Manzoni così commenta: «In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a’ fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo… voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo».
Il lettore ci perdonerà se l’abbiamo presa alla lontana, ma la morale manzoniana ci pare calzi a pennello con quanto abbiamo visto e sentito ieri, quando da più parti s’è dato a Berlusconi dell’incendiario e del fomentatore di incidenti.
Intendiamoci bene: nessuno di noi si azzarda a paragonare il premier a Renzo, e i suoi critici (politici o giornalisti che siano) a don Rodrigo: il senso del ridicolo grazie al cielo non l’abbiamo ancora perso. Però è vero che il mondo continua ad andare come nel secolo decimo settimo, nel senso che se si giudica un fatto analizzando solo una sua parte – soprattutto se la parte è quella finale – si rischia sempre di confondere i ruoli dei protagonisti.
Berlusconi è stato fatto passare per responsabile morale di possibili incidenti nelle scuole e nelle università per aver fatto intendere che, in certi casi, avrebbe fatto ricorso «alle forze dell’ordine». Noi, come abbiamo già scritto chiaramente ieri, siamo contrari all’utilizzo di polizia e carabinieri: e quindi ci rallegriamo che il premier abbia poi precisato che a quell’ipotesi non pensa affatto. Ma non è questo il punto. Il punto è che, per quella frase, Berlusconi è passato come dicevamo per l’incendiario della situazione. «Soffia sul fuoco», ha detto Veltroni. «Getta una miccia accesa sulla benzina», ha aggiunto la Finocchiaro. «Se ci fosse un calcolo, le frasi di Berlusconi sembrerebbero pensate apposta per incendiare le università», ha scritto il direttore di Repubblica Ezio Mauro.
Non crediamo occorra essere berlusconiani – o berluscones, come dicono – per rilevare un dato di fatto elementare: e cioè che non si soffia sul fuoco se qualcun altro prima non ha acceso un fuoco; e non si getta una miccia accesa sulla benzina se qualcun altro prima non ha cosparso il campo di benzina. La tensione nelle scuole c’è già, e rischia di salire perché da settimane si sta facendo una campagna che non vogliamo chiamare «terroristica» come ha fatto la Gelmini, ma «allarmistica» senz’altro sì; una campagna zeppa di bufale sesquipedali, tipo l’abolizione del tempo pieno e dell’inglese alle elementari. Sono stati altri, a far salire la temperatura: altri come l’ex ministro Mussi che ha parlato di «strage di ricercatori universitari»; altri come il manifesto che ha titolato sul «razzismo in cattedra»; altri come chi ha fatto credere ai bambini che la riforma faccia dei morti (che cosa significa altrimenti, per un bambino, il demenziale lutto al braccio di alcune maestre?). E come chi – peggio ancora – i bambini li ha usati nei cortei: gesto infame, perché i bambini in un corteo-contro-qualcuno non vanno portati mai, chiunque sia e qualunque cosa abbia fatto quel qualcuno.
L’editoriale su Repubblica di Ezio Mauro si intitolava «Se il dissenso è un reato». C’era scritto che «qualcuno dovrebbe spiegare al Premier che la pubblica discussione e il dissenso sono invece elementi propri di una società democratica». Mauro è un grande giornalista e un uomo intelligente: ma come fa a non capire la differenza tra «la pubblica discussione» e gli incidenti di Milano dell’altro giorno; tra «il dissenso» e l’impedire fisicamente di far lezione a chi vuol far lezione. Come fa a non capire le stesse cose un Veltroni. Come fa a non capirle una Finocchiaro.
Noi la Celere non la manderemmo neanche contro chi fa i picchetti e neanche contro chi occupa. Non stiamo neppure dicendo che il decreto sulla scuola non sia criticabile. Però, che almeno siano ben delineati i ruoli in questa notte degli imbrogli, e che sia ben chiaro chi sta soffiando – da settimane – sul fuoco.

Publié dans Alessandro Manzoni, Articoli di Giornali e News, Michele Brambilla | Pas de Commentaire »

Sciopero del 30 ottobre

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

Sciopero del 30 ottobre: ragioni per non aderire, ragioni per costruire
da ilsussidiario.net

Pubblichiamo un documento congiunto, sottoscritto dalle associazioni Diesse, Foe, DiSAL, Associazione Culturale “Il rischio educativo”. Si tratta di persone e realtà direttamente e quotidianamente impegnate nel mondo della scuola e dell’educazione. E non sono d’accordo con lo sciopero. Strano a dirsi, leggendo i giornali; perché quando sentiamo dire che “i docenti scendono in piazza” forse siamo un po’ tentati, e un po’ spinti, a pensare che “tutti i docenti” lo stiano facendo. Invece no: ci sono docenti, presidi, studenti (si veda l’articolo di una ragazza di Crema che pubblichiamo in allegato) che non sono d’accordo, che non pensano che ci sia qualcuno che sta uccidendo la scuola. Che anzi pensano che la scuola la uccida chi vuole lasciare tutto com’è, chi vuol continuare a coltivare la propria rendita di posizione o il proprio potere, messo a rischio da un reale cambiamento dello status quo.

[...]

  1. Il sistema scolastico italiano ha, da tempo, urgente bisogno di essere riformato: siamo ai primi posti, tra i Paesi dell’Ocse, come spesa per l’istruzione ma ciò non incide sulla qualità. Il numero di ore di lezione degli alunni  supera del 20% la media dei paesi Ocse, ma ai primi posti per la qualità dell’apprendimento vi sono Paesi dove si sta a scuola molto meno. Per questo chiediamo anche all’attuale Governo, come sempre abbiamo fatto, di abbandonare una politica centralistica, perseguita con l’accanimento delle normative, che pretendono di determinare ogni singolo aspetto della vita scolastica.
  2. Per rispondere alla emergenza educativa è indispensabile tenere conto della domanda di istruzione e di educazione che proviene dai giovani di oggi, e completare il percorso verso un assetto pienamente libero e pluralistico. Per questo è prioritario dare attuazione all’autonomia costituzionale prevista per le scuole, assicurando alle stesse veri organi di governo e risorse dirette. Gli altri cambiamenti verranno come diretta conseguenza: drastica riduzione di norme; livelli essenziali di apprendimento; carriere per i professionisti della scuola con effettivo riconoscimento del merito e delle prestazioni; dirigenza scolastica messa in grado di rispondere dei risultati; moderno sistema di valutazione che aiuti le scuole a migliorare.
  3. Una prospettiva di così ampio respiro necessita di tempi lunghi e non può essere assicurata da una singola fase di revisione degli ordinamenti o della normativa in uso. Occorre piuttosto un impegno costante per il bene comune da parte di tutte le forze sociali e politiche autenticamente riformiste. Per questo è necessario che anche i sindacati, anziché condurre battaglie di retroguardia dannose per tutti, tornino ad impegnarsi per il bene comune. Gli slogan lanciati in questi giorni e irresponsabilmente depositati sulle bocche degli studenti spinti in piazza a manifestare contro chi oggi è chiamato a governare, appaiono invece strumentali e ridicoli, tanto più perché gridati in difesa di una scuola italiana di cui tutti, in questi anni, si sono lamentati. 
  4. Le misure prese dall’attuale Governo in realtà, non si scostano, nei principi ed in molte proposte, da quelle suggerite dal Quaderno Bianco dei ministri Padoa-Schioppa e Fioroni, nella prospettiva del vincolo di pareggio entro il 2011 richiesto all’Italia dall’Unione europea. La razionalizzazione di spesa all’interno di un sistema tanto elefantiaco quanto improduttivo è urgente e indispensabile. I provvedimenti approvati a favore di interventi per l’edilizia scolastica e la messa in sicurezza degli istituti ne costituiscono un primo significativo segnale.
  5. Non aderiamo allo sciopero del 30 ottobre perché non ne condividiamo le motivazioni. Non possiamo accettare le posizioni corporative di un certo sindacalismo che, guidato in particolare dalla CGIL, continua ad opporsi, per ragioni di mero potere, a qualsiasi serio tentativo di cambiamento del sistema di istruzione nazionale. L’istruzione è un bene di tutti: per questo è indispensabile che ogni seria riforma si costruisca attraverso il dialogo con le componenti reali della scuola che si esprimono anche nelle loro forme associative.

Associazione Culturale “Il Rischio Educativo”

DIESSE (Didattica e Innovazione Scolastica)

DiSAL (Dirigenti Scuole Autonome e Libere)

FOE (Federazione Opere Educative)

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Un esempio di protesta mediatica

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

Un esempio di protesta mediatica  dans Articoli di Giornali e News manifestinobp5

Scienze politiche: 9mila iscritti, 30 occupanti, 20 giornalisti: un esempio di protesta mediatica

«Scienze Politiche: 9mila iscritti, 30 che occupano e 20 giornalisti». Così recitava un cartello appeso ieri da alcuni studenti milanesi di Scienze Politiche nel cortile di via Conservatorio – puntualmente strappato dai “rivoltosi”. La scena che si presentava agli occhi di chi giungeva nella sede distaccata della Statale di Milano era proprio questa: un manipolo di ragazzi accerchiato da inviati e cameraman. I titoli dei principali quotidiani nazionali, così come la loro versione online del pomeriggio precedente, annunciavano l’occupazione della facoltà di Scienze Politiche e l’interruzione delle lezioni. Eppure allo sprovveduto visitatore pareva che lo scoop fosse che i giornalisti non c’avessero azzeccato per niente. Le lezioni si sono svolte regolarmente. Nessuna è stata interrotta. Intorno alla trentina di persone, che nella mattinata di ieri bivaccava in mezzo al cortile di via Conservatorio, la vita procedeva tranquillamente. C’erano quasi più telecamere e fotografi che manifestanti. Del resto si era annunciata l’irruzione degli occupanti al Consiglio di facoltà delle ore 14.30. La sceneggiata è avvenuta. Il loro comunicato – tempestivamente riportato dal Corriere online – è stato letto. Subito dopo il Cdf è proseguito. Lì la maggioranza delle rappresentanze studentesche ha preso posizione contro i tentativi di blocco della didattica. In effetti un episodio di questo genere è accaduto nel tardo pomeriggio di mercoledì 22 ottobre, quando un corteo di esterni ha decretato arbitrariamente la sospensione della lezione del professor Giorgio Barba Navaretti in aula 10. Che la gran parte dei manifestanti fosse estranea alla facoltà appariva chiaro dal fatto che nessuno sapeva dove dirigersi per cercare le aule. «È un’azione violenta» ha urlato Barba Navaretti ai manifestanti. A esprimergli pubblicamente solidarietà in Consiglio di facoltà ci ha pensato il professor Graglia, quello che è finito su tutti i giornali per aver improvvisato una lezione in piazza Duomo contro i tagli previsti dalla finanziaria.

La récréation (come la definì De Gaulle) di questi improbabili barricaderos continua, ormai, da una settimana. Più sui media che nella realtà. Da questo punto di vista Scienze Politiche non è stata da meno. Anche all’Accademia di Brera è toccata la stessa sorte. All’assemblea di martedì 21 ottobre, indetta dai collettivi accademici, i partecipanti – su circa 4mila iscritti – non superavano la sessantina di persone. Il Sit-in avvenuto negli uffici del direttore e la seguente occupazione non sono durati più di mezz’ora. Terminate le foto di rito per i quotidiani del giorno dopo, i dimostranti sono stati accompagnati all’uscita. La vita in questi giorni prosegue regolarmente. Nonostante il sito di Repubblica. Non stupirebbe se nei prossimi giorni i navigatori della rete potessero anche votare chi mandare a casa tra gli occupanti. Proprio come in un vero reality show.

di Matteo Forte – ilsussidiario.net

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A chi conviene mantenere un sistema fallimentare?

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

A chi conviene mantenere un sistema fallimentare?  dans Articoli di Giornali e News manifestazionehx1

Chi protesta dovrebbe chiarire una cosa: a chi conviene mantenere un sistema fallimentare?


Esiste una qualche connessione tra la crisi finanziaria che sta tenendo il mondo intero con il fiato sospeso e lo stato di agitazione verso cui si sta avviando l’Università italiana, a seguito dei tagli decisi dal Governo? Un ragionevole collegamento non può certo essere rintracciato sul piano delle relazioni di causa-effetto: nessuno può essere così scellerato da sostenere che la crisi dei mercati finanziari mondiali sia la causa diretta dei tagli al sistema universitario decisi da Tremonti.

Tuttavia, una relazione può essere forse individuata nei presupposti politici, sociali e culturali da cui entrambe le crisi derivano. Proviamo allora a fare l’esercizio.

La presidenza Bush, soprattutto la seconda, ha cercato fortuna in politica interna attraverso lo slogan “una casa per ogni americano”, illudendosi che il mercato immobiliare e finanziario fossero in grado di garantire, autoregolandosi nella crescita, l’ascensore sociale per uno strato consistente della popolazione. Nella realtà la politica ha soffiato su un mercato speculativo in cui broker immobiliari hanno potuto sottoscrivere mutui senza garanzie e gli operatori finanziari hanno potuto costruire prodotti sofisticati per trasferire rischi elevati con rendite attese da capogiro.

Nel nostro piccolo, sono ormai vent’anni che la politica italiana, di destra e di sinistra, promette una laurea a tutti i giovani italiani, prima inaugurando università di quartiere, poi inventando il cosiddetto “3+2”, al dichiarato scopo di aumentare la produttività del sistema universitario a costo zero per lo Stato. Similmente alla crisi finanziaria americana, anche in questo caso abbiamo assistito ad un fenomeno che potremmo dire speculativo: le università hanno trovato spazio per gemmarsi, per creare sedi decentrate, per moltiplicare i corsi di laurea (attualmente circa 5300!), grazie ad un mercato della formazione universitaria drogato da tasse ai minimi.

Se in America hanno fatto leva sull’ideologia liberista che invoca la capacità di autoregolazione del mercato, nelle Università italiane ci si è nascosti dietro un uso troppo spesso equivoco del concetto di autonomia. Là hanno fatto lievitare i debiti, qui le cattedre. E si badi bene che l’argomento dell’allineamento a standard europei nel rapporto studenti/docenti non regge, visto che il sistema universitario italiano è largamente sotto-finanziato rispetto agli stessi standard. Infatti, tutto il budget delle università italiane è ben presto finito in stipendi (da fame).

Anche i cittadini, certo, hanno fatto la loro parte: negli Stati Uniti indebitandosi al di là di ogni ragionevole capacità di reddito, qui in Italia continuando a mandare i figli in università sovraffollate con una didattica sempre più scadente, avendo come unica certezza il valore legale di un pezzo di carta.

Bene (si fa per dire). Se ritenete che il parallelo possa reggere, proviamo adesso a leggere i fatti delle ultime settimane nella stessa chiave.

Prima osservazione: gli universitari che manifestano in questi giorni, studenti e docenti, sono paragonabili a cittadini americani che protestassero perché gli viene impedito di sottoscrivere mutui che non sono in grado di ripagare, o operatori di borsa che si mobilitassero contro il blocco della collocazione sul mercato di prodotti finanziari “spazzatura”.

Seconda e ultima osservazione: i Governi di tutto il mondo, quello italiano incluso ed in prima fila, si sono mobilitati con programmi straordinari per salvare alcune delle maggiori banche da una più che probabile bancarotta, riconoscendo il valore strategico che il settore del credito riveste per l’economia di ogni paese.

Volete dire che l’Università italiana non ha la stessa rilevanza strategica per il futuro del nostro Paese e che molte delle sue istituzioni non meritano quindi di essere salvate?

Se per entrambe le crisi è evidente che la riforma necessaria non è innanzitutto quella delle regole, ma della cultura in cui sono nate, ciò che non è ancora chiaro nella seconda è chi avrà il coraggio di decidere cosa salvare.

di Paolo Trucco – ilsussidiario.net

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« Lezione nei luoghi di Gomorra »

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2008

« Lezione nei luoghi di Gomorra »
L’iniziativa degli studenti della Seconda Università


Foto: Riccardo Siano

Previste anche manifestazioni degli studenti del Convitto

Lezioni bloccate, traffico fermo, centinaia di studenti universitari in corteo per le strade di Napoli: è il bilancio nel pomeriggio di mobilitazione degli atenei contro la riforma Gelmini nella città partenopea.

Cortei. Manifestazioni spontanee di studenti contro la riforma Gelmini si sono susseguite in mattinata a Napoli. La prima attuata da circa 400 ragazzi di quattro istituti superiori della zona occidentale della città, che in corteo hanno attraversato viale Kennedy, la sede dei binari del metro all’altezza della stazione di Campi Flegrei (provocando uno stop alla circolazione dei treni per un breve lasso di tempo), manifestando infine sotto la sede della Rai in viale Marconi. Assemblea e presidio spontaneo a piazza del Gesù, davanti allo storico liceo classico « Genovesi », occupato due giorni fa, con un via vai di centinaia di studenti universitari e delle superiori.

Seconda Università: lezioni nei luoghi di Gomorra. Lezioni all’aperto in luoghi « simbolo » della provincia di Caserta, identificati come regno del clan dei Casalesi, come Casal di Principe e Castel Volturno, spazi di discussione permanenti nelle Facoltà, una manifestazione contemporanea a quella nazionale del 14 novembre con un’assemblea generale. Queste le principali iniziative prese oggi nel polo scientifico in via Vivaldi a Caserta della Seconda Università di Napoli, dove oltre 600 persone (presidi, docenti, ricercatori e studenti) hanno animato per oltre tre ore il dibattito.

L’Orientale. Una manifestazione è partita da palazzo Giusso, sede storica dell’Università L’Orientale occupata da ieri. Oltre trecento studenti si sono riuniti in assemblea nel primo pomeriggio e di lì si sono mossi per bloccare le lezioni negli altri palazzi dell’Università.

Prima tappa palazzo del Mediterraneo in via Marina dove i manifestanti hanno bloccato i corsi della scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario. Il corteo si è poi snodato per le strade del centro paralizzando il traffico al suo passaggio: corso Umberto, via Sant’Anna dei Lombardi e in ultimo via Forno Vecchio.

Qui nella sede di Architettura si è svolta un’ulteriore assemblea: fra le proposte emerse durante la riunione pomeridiana ci sono le lezioni all’aperto. Domattina il liceo Fonseca dovrebbe fare da apripista con delle lezioni tenute in piazza, fanno sapere i rappresentanti degli studenti.

Cinquanta scuole mobilitate. Secondo l’Uds, a Napoli sono più di 50 le scuole che si sono mobilitate: « Questa mattina 4000 studenti degli Istituti Villari, Fermi, Galiani e le altre scuole della zona hanno sfilato in corteo sotto l’Assessorato Regionale all’Istruzione. Tra le altre scuole, sono in autogestione il Cuoco, il Caruso, il Torricelli ed il Liceo Artistico, mentre sono occupati il Vittorini, il Margherita di Savoia, il Fantini, il Giordano Bruno di Arzano ed il Pitagora di Pozzuoli. Molte altre scuole sono in assemblea permanente (Don Milani, Ottavo Magistrale) ».

Ci sarà anche il convitto. Domani gli studenti dei licei scientifico e classico europeo del Convitto Vittorio Emanuele II di Napoli protesteranno in Piazza Dante contro il decreto Gelmini. La decisione è stata presa dall’assemblea d’istituto che l’ha votata all’unanimità. « Protestiamo – spiega Lorenzo Nitti, rappresentante d’istituto – perchè vogliamo difendere quel modello di scuola garantito dall’articolo 34 della Costituzione ‘libera e aperta a tutti’; non sarà e non vuol essere una manifestazione politica ma di informazione dell’opinione pubblica anche per difendere il Convitto Nazionale che offre istruzione ed ospitalità di qualità e che sarebbe penalizzato nella diminuzione del numero di educatori. Chiederemo al Consiglio dei docenti – aggiunge Nitti – di fare lezione in Piazza Dante ».

Fonte: napoli.repubblica.it

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Alla fine il 6 ce l’ha fatta ad uscire.

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2008

Alla fine il 6 ce l'ha fatta ad uscire. dans Articoli di Giornali e News enalottocb1

Il premio più alto di sempre per i giochi in Italia, oltre 100 milioni di euro sono stati vinti stasera a Catania con un 6 che mancava dai premi del Superenalotto da 6 mesi e 77 concorsi. Una cifra astronomica, pari a quasi 200 miliardi delle vecchie lire.

Fonte: Ansa

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Febbre da gioco

Posté par atempodiblog le 21 octobre 2008

Febbre da gioco dans Articoli di Giornali e News deaoy8

Il Codacons ha presentato questa mattina un esposto alla Procura della Repubblica di Roma, al Ministero dell’Economia, ai Monopoli di Stato e alla Sisal in merito al gioco del Superenalotto per chiedere di sequestrare il montepremi o di spalmare il jackpot. « Il record raggiunto dal montepremi del Superenalotto sta provocando una pericolosissima ‘febbre da gioco’ in tutta Italia – spiega il presidente Codacons, Carlo Rienzi – con numerosi casi di cittadini che giocano tutti i propri risparmi, che si indebitano con gli usurai, che perdono proprieta’ immobiliari e che mandano in fallimento i bilanci familiari, nel tentativo di accaparrarsi il jackpot. Per questo abbiamo chiesto alla Procura di Roma di valutare se vi siano gli estremi per un intervento da parte della magistratura, disponendo se necessario anche il sequestro del montepremi a tutela degli interessi della collettivita’ ». « La febbre da Superenalotto – prosegue Rienzi – e’ determinata sicuramente dal forte impoverimento che hanno subito i cittadini dall’entrata in vigore dell’euro in poi. Sentendosi tutti piu’ poveri, e dovendo far i conti con prezzi e tariffe in costante aumento, si tenta il colpo di fortuna per risolvere una situazione economica sempre piu’ drastica. Troppi pero’ i casi in cui questo tentativo di riscatto diventa patologia e fa perdere totalmente ai giocatori il contatto con la realta’, determinando situazioni altamente pericolose ». Per tali motivi il Codacons ha chiesto un intervento a tutela dei giocatori e di tutti i cittadini, spalmando gia’ dalla prossima estrazione l’intero montepremi previsto per il 6 tra chi realizzera’ il 5+1 e il 5, cosi’ da porre fine alla ‘febbre da Superenalotto’.

Fonte: agi.it

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