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La « dolce morte » per tutti

Posté par atempodiblog le 9 septembre 2008

Ecco l’ultima idea di Zapatero:
la « dolce morte » per tutti


Il governo intende concedere il diritto all’eutanasia anche a chi non è malato terminale. Il ministro spagnolo della Salute anticipa le linee guida di una normativa che entrerà in vigore entro la fine della legislatura…

Madrid – L’ultimo affondo del governo Zapatero ai valori della Chiesa cattolica si chiama eutanasia e arriva con parole che evocano un’epoca che credevamo superata. «Il proprietario del tuo corpo sei tu e sei tu che decidi. Questo è socialista!». Sembra uno slogan del Sessantotto e in un certo senso lo è. Perché il terreno di coltura che lo ha prodotto è proprio quello, quello dell’autodeterminazione che, rifiutando le regole, assurge paradossalmente a regola essa stessa. L’unica differenza è che non siamo nel Sessantotto, ma quarant’anni dopo, oggi, e che a parlare non è un figlio dei fiori ma Bernat Soria, il cinquantasettenne ministro della Salute spagnolo.
È su questa libertà di decidere del proprio corpo, oltre che della propria vita e della propria morte, che la Spagna guidata dal socialista José Luis Zapatero si avvia a varare una legge che preveda il suicidio assistito. Con un deciso colpo di acceleratore e in barba a tutte le resistenze della società civile, in particolare di quella cattolica, tanto da puntare a realizzare l’obiettivo entro la fine di questa legislatura, vale a dire entro il 2012, e attraverso una modifica del Codice Penale.
In una intervista rilasciata al quotidiano El Paìs, Soria spiega che l’intervento, legislativo e normativo allo stesso tempo, rientrerà nell’ambito di un più ampio progetto che riguarda le norme a garanzia di una “morte degna“.
«La battaglia contro la morte non si può vincere, ma quella contro il dolore sì», ha detto Soria spiegando che la legge attualmente in vigore, voluta dal Partito Popolare, dà la possibilità ai malati di morire senza soffrire, ma la sua applicazione, di fatto, la annulla. «Per questo – dice Soria – abbiamo elaborato una strategia nazionale per le cure palliative, che include la formazione professionale, facilitazioni per l’assistenza domiciliare, regolare le fasi terminali della malattia, la “morte degna” e il diritto di ogni malato di poter decidere di interrompere le terapie». Che, in altre parole, significa che il governo Zapatero intende concedere a tutti, anche a chi non è un malato terminale, di porre fine alla propria vita. Con il placet e l’aiuto dello Stato.
A poco servono le rassicurazioni circa la “collegialità” e la serietà con la quale sarà definito il progetto, aprendo prima di tutto una riflessione in seno al governo: «Il ministero della Salute e quello della Giustizia – ha detto Soria – si apprestano a consultarsi con esperti del settore» per creare una commissione che offra elementi in base ai quali «prendere una decisione politica».
Politica, appunto, perché al di là della presunta difesa del malato e del suo diritto ad autodeterminarsi, questo progetto del governo Zapatero altro non è che l’ennesima mossa volta a smantellare la rete sociale e di diritto costruita dai precedenti governi guidati dal Partito Popolare. In Spagna l’eutanasia non è consentita ma la legge permette ai malati di rifiutare di essere curati. Un’eventuale legislazione sul suicidio assistito potrebbe riguardare le persone gravemente malate ma non in immediato pericolo di vita. Un distinguo fondamentale, che apre scenari inquietanti di arbitrarietà e intorno al quale non c’è alcun dubbio che si scateneranno le polemiche e gli attacchi politici, in primis da parte della Chiesa cattolica, come già avvenuto per le leggi sul matrimonio gay con possibilità di adozione e il divorzio breve. Oltre che sull’apertura di Zapatero verso la fecondazione assistita ai single e la revisione della legge sull’aborto. Ma la reazione della Chiesa cattolica spagnola pare non preoccupare affatto il governo: «Come ministro e deputato socialista – ha detto Soria – l’unico mandato di cui devo rispondere è quello conferitomi dai cittadini. Non so quali strategie terranno la Conferenza Episcopale, il Partito Popolare e altri gruppi, e comunque non è rilevante».

di Barbara Benini
Il Giornale n. 36 del 2008-09-08

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Le corna, che colpo di geni

Posté par atempodiblog le 9 septembre 2008

La scienza ci ha finalmente assolti: quando le nostri mogli ci accuseranno di averle tradite non saremo più costretti a balbettare lascia che ti spieghi, non è come pensi tu. «L’infedeltà coniugale dipende da un gene, una specie di motorino che alcuni maschi hanno nel proprio Dna e altri no». La notizia è stata divulgata dall’autorevole rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (c’è sempre un’autorevole rivista, dietro ogni minchiata) che ha illustrato uno studio dell’Istituto Karolinska di Stoccolma. Il gene delle corna, spiegano gli scienziati svedesi, agisce sulla vasopressina, un ormone di cruciale importanza nel processo di attaccamento sentimentale e sessuale tra un uomo e una donna. Chi ha questo gene ha più probabilità di farsi un’amante. Spariscono le nostre colpe e si tranquillizzeranno anche le mogli: se ci vedranno distratti e orizzontalmente inoperosi, potremo rispondere non preoccuparti cara, è solo un po’ di vasopressina.
Non è la prima volta che la scienza ci spiega che l’amore è solo una faccenda chimica. Qualche tempo fa Time ha svelato perché ci innamoriamo di questa e non di quella: la risposta è Mhc, complesso maggiore di istocompatibilità. Uno pensa stasera sono riuscito a farla ridere, ecco perché c’è stata: invece no, lei era solo istocompatibile. Non c’è spazio per il romanticismo, per le affinità elettive, per la poesia: l’amore dipende da oppiacei naturali, l’attrazione fisica non dall’estetica ma dall’orologio biologico, il batticuore dall’olfatto, l’efficacia di un bacio dal ph della saliva, l’eccitazione dall’acidità delle urine. Insomma uno schifo, non si capisce perché uno dovrebbe restarci male quando finisce un amore.
La genetica però non spiega – e smitizza – soltanto i sentimenti e il sesso: spiega tutto. Non c’è giorno che i giornali non rilancino qualche fondamentale scoperta. Faccio un breve elenco delle ultime puntate: «Scoperto il gene del maratoneta»; «Scoperto il gene della magrezza»; «Scoperto il gene dell’obesità»; «Scoperto il gene che dimostra il nesso tra intelligenza e longevità»; «Scoperto il gene del prurito»; «Scoperto il gene dell’umorismo, gli inglesi ne sono particolarmente provvisti». Addirittura, leggo che uno psichiatra del Michigan ha scoperto il gene della prima sigaretta: sì, proprio quello che induce a fumare la «prima» sigaretta.
La riduzione di tutto a un affare di geni sembra svuotarci la vita di ogni passione: perché applaudire il tal comico se le sue battute zampillano direttamente dal Dna? Non ne ha alcun merito. E perché affannarmi a migliorare, se il mio destino è scritto?
Temo che non tanto fra gli studiosi, quando fra i divulgatori di queste ricerche ci sia una motivazione di fondo per nulla innocente. Si vuole fare passare l’idea che non siamo responsabili di nulla, e quindi non siamo neppure giudicabili né tantomeno punibili. L’Università del Western Ontario ha individuato il gene dell’egoismo. Quella di Harvard il gene che non ci fa trarre insegnamento dagli errori commessi. Mentre Nature, altra rivista-totem in questi campi, ha pubblicato uno studio dal quale risulterebbe che il nostro cervello diventa amorale per una pura combinazione di cause organiche. In pratica, chi ha una particolare situazione nell’area ventro-mediana della corteccia prefrontale prende senza turbamenti decisioni ritenute inaccettabili dalla morale comune: anche dirottare un aereo o mettere una bomba su un treno. La storia del terrorismo andrebbe riscritta.

Anche la politica sarebbe da leggere in tutt’altra prospettiva, secondo la nuova religione del Dna. «Politica, energia nucleare, diritti delle minoranze: le posizioni di ciascuno di noi sono scritte nel nostro Dna e ben radicate nel profondo del nostro cervello. E resistono a qualsiasi argomento della ragione», assicura il ricercatore John Alford della Rice University di Houston: «Provare a persuadere qualcuno a cambiare orientamento, pur facendo appello ad argomenti razionali: è un po’ come convincere chi ha gli occhi marroni ad averli azzurri». Siamo pezzi di materia senza alcuna libertà, insomma.
Eppure c’è qualcosa che non convince. Ad esempio. Gli studiosi dell’Université de Picardie Jules Vernes di Amiens hanno scagionato i guardoni: tutto dipende, dicono, dai neuroni a specchio. Applicando, cito testualmente, un «pletismografo penile che misurava la tumescenza del pene» di persone che stavano assistendo a un film porno, gli scienziati hanno scoperto che «l’aumentare del volume dell’organo maschile è correlato all’attivazione di un’area, la pars opercularis, in cui si manifesta proprio l’attività dei neuroni specchio». Tutto bene. Ma resta una domanda: qual è il neurone che, prima che mi applicassero il pletismografo, mi ha fatto entrare in un cinema porno?
Sicuramente la scienza un giorno ci darà una risposta anche a questo enigma. E magari pure un’altra risposta, decisiva: ci dirà se c’è anche un gene che fa dire a uno scienziato che tutto dipende dai geni. Così, tanto per sapere se anche loro non sono responsabili.

di Michele Brambilla – Il Giornale

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I frati malmenati e l’Unità

Posté par atempodiblog le 4 septembre 2008

Tratto da: antoniosocci.it

 I frati malmenati e l'Unità  dans Antonio Socci antoniosocci

Gentile Concita De Gregorio,

seguo con curiosità e interesse il nuovo corso dell’Unità, da lei diretta.
Per questo le vorrei segnalare un infortunio strano accaduto ieri.
Dunque ieri tutti i quotidiani in prima pagina davano la notizia della feroce aggressione a quattro frati, perpetrata da una banda criminale entrata dentro al convento di san Colombano Belmonte, in provincia di Torino. Gli anziani religiosi sono stati picchiati ferocemente e rapinati: uno è ridotto in fin di vita. E’ stata una violenza selvaggia.
Tutti i quotidiani, dicevo, richiamavano questa notizia in prima pagina: tutti eccetto l’Unità.
Certo, la fondamentale rubrica di Maria Novella Oppo che deve strillare ogni giorno contro Gasparri è molto più importante, ci sarà la fila all’edicola per leggerla, ma almeno un minuscolo richiamo a quei poveri, vecchi frati non si poteva fare?
Naturalmente se si fosse trattato solo di questo non l’avrei importunata con questa lettera. Ognuno propone la gerarchia delle notizie che ritiene giusta.
Così sono andato a cercare almeno l’informazione sul fattaccio nelle pagine interne, dove si trova anche un fondamentale articolo su Scalfaro.
Ma sfoglia e risfoglia non sono riuscito a trovare niente. Spero ancora che sia una mia svista, che un remoto trafiletto in fondo a qualche pagina riporti almeno la notizia e che io non me ne sia accorto (in questo caso chiederei subito scusa). Ma ad una nuova attenta rilettura ancora non vedo traccia della cosa.
Mi spiace per i suoi lettori, abituati a leggere editoriali che deprecano “la scomparsa dei fatti” e a indignarsene.
L’Unità del resto si proclama sempre così attenta ai deboli, ai poveri e agli indifesi: le assicuro che dei vecchi frati francescani come quelli massacrati di botte sono sicuramente fra i più deboli, poveri e indifesi (lo testimonia il fatto che i criminali sono riusciti a rubare loro solo qualche spicciolo).

Martedì scorso sempre la sua Unità lanciava in prima pagina, con tanto di foto, la notizia dell’ambulante bengalese di Termoli a cui i vigili urbani volevano sequestrare la merce.
Il titolo era un tantino pompato: “Razzismo a Termoli. L’Italia degli sceriffi: ambulante trascinato via, i cittadini protestano”.
Francamente non si capisce cosa c’entrava la pesante parola “razzismo”.
Peraltro era proprio il giorno in cui in India era stato assaltato un orfanotrofio cattolico ed erano stati bruciati vivi due missionari (i primi di un massacro che non si è fermato).
Ma a questo orrore l’Unità, in prima, dedicava solo un richiamino, senza foto, né titoli drammatici.
Faceva un certo effetto, su quella prima pagina, confrontare lo spazio e il tono della notizia sull’ambulante e i vigili di Termoli, con la notizia dei cristiani macellati in India.
Naturalmente so bene che fare quotidianamente un giornale non è semplice, che a volte si fanno scelte frettolose o anche errori.
E’ umano e tutti ne facciamo, io più di chiunque.
Non intendo proprio impancarmi a maestrino, non ne ho i titoli, né la volontà.
Ma – stimandola come una seria professionista – vorrei segnalare alla sua riflessione il modo in cui la Sinistra italiana e il suo giornale affrontano in genere i temi che riguardano i cristiani e la Chiesa.
A me sembra di vedere una certa ostilità. Immotivata e pregiudiziale. Sbaglierò, ma temo di cogliere nel segno.
E non solo la Sinistra, ma anche tutta l’opinione pubblica radicaleggiante.
Del resto siamo in una società dove, in Occidente, contro la Chiesa si può dire di tutto.
Mentre in tanti Paesi del mondo, dall’India, alla Cina, ai paesi musulmani, contro i cristiani si può fare di tutto.
Anche per questo notizie come quelle provenienti dall’India o dal convento di Torino, sono importanti.

Non penso affatto, ovviamente, che la mancata notizia del raid squadristico di Torino sia dovuta a un pregiudizio ideologico.
Ci mancherebbe. Sono certo che si sia trattato solo di una normale svista. Ma temo pure che se tale aggressione fosse stata a danno di altri, quella svista probabilmente non ci sarebbe stata.
Allora mi piacerebbe che l’episodio fosse l’occasione buona per riflettere (tutti noi) sulla condizioni dei cristiani.
In Occidente e nel resto del mondo. Che spesso sono davvero i più poveri dei poveri.

Le auguro sinceramente buon lavoro,
Antonio Socci

Fonte: © Libero – 29 agosto 2008

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Gli alunni italiani finiscono nel ghetto

Posté par atempodiblog le 31 août 2008

Gli alunni italiani finiscono nel ghetto
di Enza Cusmai – Il Giornale

Gli alunni italiani finiscono nel ghetto dans Articoli di Giornali e News schooldiddlni8

All’asilo i bambini sono accomodanti, si fanno capire con i gesti, i disegni, il gioco. Ma a tutto c’è un limite. Serve anche dialogare con la parola. Italiana. E per raggiungere questo «arduo obiettivo» il direttore di una scuola materna in Emilia Romagna si è inventato una sorta di Minitalia. Per qualcuno un nuovo «ghetto». In pratica, per due ore al giorno, i bambini italiani – sette quest’anno su trentotto iscritti – si possono ritrovare, giocare e dialogare tra di loro. Avete capito bene. In un asilo italiano, i bambini italiani, in nettissima minoranza, sono costretti a ritagliarsi uno spazio per parlare e giocare utilizzando i vocaboli della nostra lingua.

Un impegno che la direzione dell’asilo di Villa Rotta, Luzzara, provincia di Reggio Emilia, si è preso con i genitori, preoccupati per la massiccia presenza di stranieri nelle classi della materna. La scelta sembra una soluzione eccezionale, invece, le maestre dell’asilo spiegano che quest’anno «il ghetto» è stato costituito per favorire l’afflusso di connazionali. Che fino ad ora scappavano a gambe levate da una scuola troppo connotata. «L’anno scorso c’erano solo due bambini italiani nella scuola – spiega Teresa, una delle tre maestre in trincea nella materna degli stranieri –. Solo due, vaganti in mezzo a una trentina tra pakistani, albanesi, tunisini, turchi, indiani, marocchini. Sei etnie, un microcosmo dei nostri tempi. Sei etnie a cui si aggiunge quella italica, pochissime mosche bianche. La mamma di Federico, quando ha saputo che suo figlio sarebbe stato solo insieme a un altro italiano era terrorizzata – aggiunge la maestra Teresa -. Aveva paura che il bambino disimparasse addirittura a parlare la nostra lingua». Ma Federico è un bambino sveglio e ce l’ha fatta a sopravvivere nella giungla delle sei lingue diverse. Magari diventerà poliglotta.

Le maestre si arrangiano come possono. «Sono importanti i gesti e i concetti spiegati attraverso i disegni». Sembra facile. In realtà è un impegno titanico. «Dobbiamo ripetere, ripetere e ripetere all’infinito le parole, solo così ci facciamo capire dai bambini stranieri» racconta Teresa. Che poi confessa: «Quando sono arrivata in questo asilo non mi aspettavo una situazione così estrema e per molto tempo avevo paura di non farcela». Ora invece Teresa scherza sui suoi timori. Si è specializzata nel linguaggio dei segni e non nasconde la sua soddisfazione per la grande novità dell’anno. «A settembre avremo ben sette bambini italiani su 38 iscritti». Un record. E un successo. Tanto che il dirigente ha garantito alle mamme romagnole un minimo di programma didattico tradizionale: i bambini italiani per due ore al giorno potranno confrontarsi e parlare tra di loro. In italiano.

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Girard: ma Dio non è violento

Posté par atempodiblog le 31 août 2008

«Il cristianesimo è l’unico vero antidoto alla crescita del fanatismo, anche religioso»: parla il grande filosofo francese

Girard: ma Dio non è violento
Girard: ma Dio non è violento dans Articoli di Giornali e News image3ds3

Il grande filosofo e antropologo francese René Girard, noto per la sua teoria del «capro espiatorio».

Dice l’antropologo: «I capri espiatori sono finiti: o scegliamo la non violenza oppure la guerra nucleare, il terrorismo, i disastri ambientali generati dall’uomo finiranno per distruggerci»

Tratto da: avvenire.it

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Concorso di bellezza per suore…

Posté par atempodiblog le 26 août 2008

Dal blog di Andrea Tornielli:

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Vi confesso che la notizia mi ha colpito. Mi chiedo a che punto possa arrivare, seppure in buona fede, la voglia di visibilità, il desiderio di apparire “moderni”, l’intenzione di far conoscere con questi mezzi la buona notizia cristiana. Leggo stamattina sul Corriere che un prete teologo, giornalista e professore di filosofia nelle scuole, padre Antonio Rungi, passionista di Mondragone (provincia di Caserta), ha organizzato il concorso “Sister Italia” e intende raccogliere tramite il suo sito web (sul quale però ancora non trovato traccia dell’iniziativa) le foto delle religiose più belle.  “Ma pensate davvero – ha dichiarato il religioso - che le suore siano tutte anziane, rattrappite e funeree? Oggi non è più così, grazie anche all’iniezione di gioventù e di vitalità portata nel nostro Paese dalle ragazze straniere: ci sono suore dall’Africa e dall’America Latina che sono davvero molto, molto carine. Le brasiliane soprattutto…”. E ha aggiunto: “Mi aspetto che siano almeno un migliaio le sorelle ad inviare le foto, e mi piacerebbe che la prossima edizione non fosse solo virtuale, magari potrebbe essere ospitata proprio durante Miss Italia. Con una passerella per le suore, certamente”. Non sono mai stato un fan di Miss Italia, specie da quando, nel nome del politicamente corretto, la trasmissione si è trasformata in un’interminabile sequenza di interviste con le aspiranti miss che ripetono di volere la pace nel mondo e di credere nei valori della famiglia. In ogni caso, la Tv e il costume hanno i loro riti e le loro liturgie, e Miss Italia è tra queste. Mi chiedo (e vi chiedo): c’era davvero bisogno di “importare” anche questa novità delle suore in passerella (per quanto solo virtuale) al fine di “aprirsi al mondo”?

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Valori e tendenze

Posté par atempodiblog le 22 août 2008

Casa di proprietà?
Il ceto medio frena

Sempre più spaventati da tasse e burocrazia

di Diego Motta - Avvenire

Valori e tendenze dans Articoli di Giornali e News diddl2kl9


I
valori di fondo restano gli stessi, ma cambiano abitudini e costumi . È il ritratto di un’Italia a due facce quel­lo che emerge dalla ricerca Gpf/ Ca­stelvecchi che verrà presentata lunedì prossimo all’appuntamento an­nuale di «Vedrò», in Trentino. Un Paese in cui la privacy non è più un’osses­sione, tanto meno un tabù, visto che all’età della riserva­tezza si va sosti­tuendo l’età del­l’accesso. Un Paese in cui anche il mito della proprietà, dalla casa all’auto, su­bisce i colpi di un lento ma progressi­vo sgretolamento, mentre vanno fa­cendosi strada atteggiamenti nuovi co­me la condivisione delle conoscenze (soprattutto su Internet) e la scelta di una maggior sobrietà nell’uso delle ri­sorse finanziarie. Resiste invece l’an­coraggio a valori come la responsabi­lità e l’impegno, verso gli altri e verso l’ambiente che ci circonda. A rispon­dere ai quesiti sottoposti sono state 501 persone intervistate, in una fascia del­la popolazione italiana compresa tra i 15 e i 54 anni, suddivisa per età, sesso e area geografica. Un panel che utiliz­za Internet ma non solo (l’indagine è stata realizzata via web dal 14 al 17 lu­glio scorso e dopo una fase esplorati­vo- qualitativa in cui sono stati svolti 20 colloqui personali) e che senza dubbio fotografa bene il ceto medio i­taliano di oggi e di domani: i cosiddetti trend setters, che fanno opinione e ten­denza pur rappresentando tutto l’arco della popolazione italiana.
L’affitto «paga» di più.
«Il reddito è senza dubbio un elemento-chiave nel­l’indirizzare certe dinamiche – spiega Alberto Castelvecchi, uno degli autori della ricerca –. Il ceto medio, in parti­colare tra i 30 e i 45 anni, o può conta­re su genitori che hanno messo da par­te le somme necessarie per acquistare un’abitazione e fa un investimento sulla casa di proprietà, oppure orien­ta i soldi a disposizione su costi mino­ri come l’affitto, magari da dividere con altri». Secondo il 63% degli intervista­ti condividere con altri beni quali la ca­sa e l’auto è «un’opportunità di raffor­zare i legami socia­li» , mentre il 37% pensa sia un segno di impoverimento. Quanto all’utilizzo esclusivo di beni da parte di una sola persona, per il 47% «è un vero spreco». Non è una contrad­dizione per un Pae­se in cui l’80% del­le famiglie possiede un’abitazione di proprietà e in cui, stando agli ultimi dati, la domanda di mutui è in crescita? «Avere un tetto e una casa proprie è un’esigenza che re­siste – risponde Castelvecchi – ma non si investe più sul mattone in senso stretto. Perché l’idea di vincolarsi a qualcosa che si porti dietro tasse, bu­rocrazia e costi va­ri spaventa sempre di più».
Qui in realtà l’opi­nione del pubblico degli intervistati è più sfumata: il 49% ritiene molto o ab­bastanza condivisi­bile l’affermazione secondo cui «la proprietà di casa, auto e moto sia un
peso per i doveri che implica». Il 54% è «abbastanza d’accordo» (e il 25 «mol­to d’accordo») con l’affermazione se­guente: «vivere per avere beni e ric­chezze non mi interessa, preferisco u­na vita ricca di esperienze».
È la metafora del telefonino: al valore dell’oggetto in sé e dello
status symbol che pure rappresenta, spiega Castel­vecchi, si sovrappone e spesso finisce per essere dominante « il valore im­materiale di ciò che contiene: l’agen­da dei numeri dei collaboratori, le co­noscenze immagazzinate e i contatti che ci siamo procurati».

Condivido ergo sum.
Nel mondo del­la conoscenza prevale l’esigenza del sapere, attraverso tutto e tutti, anche a costo di giocarsi i propri dati perso­nali. La tutela della privacy è conside­rata «una grande conquista per tutti» solo dal 43% degli intervistati, mentre il 57% pensa che in realtà oggi in que­sto modo «si proteggano soprattutto i furbi e i prepotenti». E l’allarme per le intercettazioni e la diffusione di dati personali? « Chi non ha nulla da na­scondere non deve temere nulla» ri­sponde il 63%, mentre solo il 37% au­spica «più controlli per ridurre la cir­colazione delle informazioni» . Sia chiaro: la legge 675 che ha istituito la firma per autorizzare il trattamento delle informazioni personali è una conquista per il 78% del campione, ma forse non è più il riconoscimento giu­ridico a preoccupare in questo mo­mento storico. Piuttosto, a infastidire è la mancanza di sensibilità da parte della comunità in cui viviamo: così il 56% degli inter­vistati vorrebbe che la distanza di sicu­rezza in banca o in posta sia maggior­mente rispettata («è una forma di edu­cazione» ) e quasi l’80% non sopporta di dover ascoltare le conversazioni che altri fanno in pub­blico.
«C’è un bisogno di privacy diversa, perché si cerca di più la relazione e si preferisce lo scambio di cultura e informazione rispetto al­l’isolamento» spiega Castelvecchi. Si torna per questa via al valore della con­divisione, anche negli spazi fisici: il 50% vorrebbe «un uso comune con al­tre famiglie di alcuni spazi nell’edificio in cui vivo», mentre il 51% desidera un mondo dove i beni personali siano condivisi perché così si «incoraggia il senso di responsabilità e il rispetto per gli altri».

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Bonus « secchioni »

Posté par atempodiblog le 19 août 2008

Scuola, arriva il bonus « secchioni »
Soldi ai più bravi, l’esempio di 2 licei
Fonte: tgcom.mediaset.it

Bonus
Due licei aprono le casse agli studenti più bravi. Apripista in questa iniziativa è stato il liceo classico Ennio Quirino Visconti, a Roma: un bonus da 90 euro da spendere in libreria verrà consegnato ai 50 più meritevoli che abbiano riportato almeno la media dell’otto. Al liceo scientifico Einstein di Milano premiano i « secchioni » con 200 euro spendibili per libri, dvd, biglietti per il teatro o il cinema, corsi di musica e attività sportive.

L’iniziativa dei due istituti è la prima nella storia della scuola italiana ed è stata ripresa sulle pagine del quotidiano La Stampa. Ma perché solo a 50 studenti e solo 90 euro? I presidi hanno attinto alle proprie risorse, che sono finanziate con estrema parsimonia dal ministero: circa 2 miliardi di euro per 10.600 scuole distribuite in 46mila sedi.

« Per la prima volta – spiega al giornale Rosario Salamone, preside del Visconti – grazie ai fondi resi disponibili dall’autonomia scolastica, con una delibera del consiglio di istituto, abbiamo deciso di premiare il merito, la dedizione, l’assoluta umiltà con la quale i ragazzi si sono dedicati allo studio nel corso dell’anno appena trascorso. Occorre sostenere questi ragazzi nel loro sforzo di andare controcorrente e dare loro un segnale forte del sostegno degli adulti e della scuola. Non bisogna infatti dimenticare che questi ragazzi saranno la futura classe dirigente del Paese ».

Al liceo Einstein di Milano il preside Maria Sebastiana Spoliti ha deliberato uno stanziamento extra per premiare con 200 euro i più meritevoli. Premiando gli allievi migliori, peraltro, i due licei ricalcano la linea meritocratica introdotta nella scuola italiana dal ministro del governo prodi, Beppe Fioroni, e confermata dall’attuale titolare dell’Istruzione, Mariastella Gelmini.

L’iniziativa divide però l’opinione pubblica. Se per il preside del Visconti è giusto valorizzare chi si sacrifica sui libri e « dopo la maturità consiglio loro un bel viaggio culturale », una mamma milanese ha storto il naso. « Quei 200 euro preferisco darli io a mia figlia – ha detto il genitore -, la scuola pensi a spendere i soldi per migliorare l’insegnamento visto che l’anno scorso all’Einstein era un andare e venire di supplenti ».

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Il gusto per le ‘cattive’ notizie

Posté par atempodiblog le 9 août 2008

Fa più rumore l’albero che cade che la foresta che cresce

Il gusto per le ‘cattive’ notizie dans Articoli di Giornali e News tvmondowt4

I mass media preferiscono sempre mostrare l’albero che cade piuttosto che la foresta che cresce… Alla lunga questo ha finito col produrre l’impressione che tutto stia andando peggio e che l’impegno personale e collettivo, anche se giusto, non dia frutti e sia “ormai” divenuto inutile.

Tratto da: BuoneNotizie.it

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Pechino, missili contro le nuvole

Posté par atempodiblog le 7 août 2008

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Contro le nuvole che minacciano di scaricare una pioggia intensa proprio durante la cerimonia inaugurale dei Giochi i cinesi sanno come regolarsi per evitare un tale sgarbo del cielo. Domani, venerdì, giorno della grande apertura olimpica a Pechino, bombarderanno le nuvole.

L’apposito ufficio cinese “per le modificazioni del tempo”, unico nel mondo, ha predisposto un lancio di missili e granate contro le nuvole guastafeste. In netto anticipo sulla cerimonia inaugurale, gli ordigni contenenti ioduro di argento centreranno le nuvole liberandone anzitempo l’acqua maleducata.

di Mimmo Carratelli per napoli.com

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Striscioni anti-Napoli tifoso risarcito dall’Inter

Posté par atempodiblog le 6 août 2008

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L’Inter è stata condannata a pagare 1.500 euro a un tifoso del Napoli come risarcimento del «danno esistenziale» subito per gli striscioni esposti a San Siro contro i napoletani durante il match del 6 ottobre dello scorso anno. Lo ha stabilito una sentenza del giudice di pace della prima sezione di Napoli, Antonio Marzano. Il tifoso azzurro – G.D.B., difeso dall’avvocato Raffaele Di Monda – si era rivolto al giudice raccontando di aver lasciato lo stadio di San Siro «indignato e profondamente colpito da striscioni denigratori, esposti nel secondo anello della curva nord, occupata dagli ultrà interisti, nei confronti dei napoletani». Sugli alcuni di questi striscioni, si legge nell’esposto presentato al giudice di pace, gli ultrà nerazzurri avevano tra l’altro scritto «Napoli fogna d’Italia», «Ciao colerosi», «Partenopei tubercolosi», «Infami». Senza dire poi dei numerosi e continui cori razzisti e offensivi urlati all’indirizzo dei napoletani. Il giudice di pace, ha commentato l’avvocato Di Monda, ha riconosciuto nella fattispecie un «danno esistenziale», condannando quindi la società nerazzurra per «responsabilità oggettiva». L’azione legale è stata vinta in primo grado nonostante l’opposizione degli avvocati dell’Inter, i quali ne chiedevano la cancellazione per incompetenza territoriale.

Fonte: Il Mattino

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L’ecologismo integrista

Posté par atempodiblog le 30 juillet 2008

Sporcano l’universo. Smettete di far figli

L'ecologismo integrista dans Articoli di Giornali e News didldv1

L’ultima dalla Gran Bretagna: fate meno bambini, perché inquinano…

L’ultima dalla Gran Bretagna: fate meno bambini, perché inquinano. Il British Medical Journal pubblica l’appello del professor John Guillebaud, professore emerito di Pianificazione familiare all’University College di Londra, che esorta i suoi connazionali di andarci piano, con la riproduzione:
«Un bambino che nasce nel Regno Unito produrrà gas serra in misura 160 volte maggiore a un bambino etiope», denuncia il docente emerito, e spiega che se si vuole lasciare un pianeta abitabile ai nipoti «è opportuno non avere più di due figli». In realtà, quest’ansia pare inattuale, visto che a oggi il tasso di fecondità delle inglesi è di 1, 8 figli per donna, dunque di un figlio a coppia, al massimo due, più o meno come nel resto d’Occidente.
Ma questo non soddisfa i professori dell’«Optimum population trust», dediti ad alacri brain storm (tempeste di cervelli) sulla potenzialità inquinante di quell’invadente animale chiamato uomo. Basta fare due conti: quanto latte in polvere, quanti omogeneizzati e relativi vasetti, quanto detersivo fa consumare ogni nuovo arrivato, mentre ci distrae con quel suo candido sorriso? E i pannolini, vogliamo parlare dei pannolini, sintetici e orribilmente antiecologici? Ogni neonato ne consuma almeno cinque al giorno, per due anni fanno 3650 pannolini da riciclare – senza contare che qualcuno tarda anche di più, a imparare a non farsela addosso. E poi, crescendo, tricicli, biciclette, computer, moto. Plastica, chip, carta, ed energia, e carburante: è una massa opprimente, a pensarci, ciò che consumerà ogni nuovo venuto – con quella sua aria falsamente innocente.
E dunque, dicono dalle aule austere dell’University College, piantatela di fare tanti bambini. Bucano l’ozono, rodono le foreste amazzoniche, surriscaldano il pianeta, squagliano i ghiacci del Polo. Occorre essere responsabili, e pianificare il figlio unico come modello corretto di Famiglia Ecologicamente Sostenibile.
Un’amenità, quella del British Medical Journal, da stampa di mezza estate, quando si tirano fuori dai cassetti i resti che finora non si è osato pubblicare? No, all’«Optimum population trust» fanno sul serio.
L’appello possiede una sua logica, anche se declinata all’estremo: quella di un ecologismo integralista, che individua nell’uomo il distruttore del pianeta, e si affanna a contrastarlo in difesa di un ideale di natura incontaminata, senza strade né case né fabbriche. Un pianeta di foreste vergini, e pinguini e gnu felicemente prolificanti: dove tutte le creature si riproducono liete, tranne l’homo sapiens. L’uomo, che produce gas, e scava discariche, e inquina i cieli – l’uomo, che sporca.
È un idolo la natura per questo ambientalismo, un Eden da restaurare, ma espellendo Adamo. Che è un animale, sì, ma fastidiosamente, ostinatamente diverso: animale che immagina e crea, sempre teso ad andare oltre ciò che ha ereditato dai padri. Come da un altro stampo ricavato. Certo, l’uomo, anche, distrugge. E tuttavia, dalle palafitte al Partenone, alla scoperta del Dna, non tutto il fare dell’uomo può essere ridotto a un parassitario depredare. Ma, l’idolatria di certo ambientalismo sta proprio in questa divinizzazione di una natura intangibile, in antitesi all’operare umano, quasi che del Creato fossimo gli intrusi.
Forse, se gli accorati appelli dei Guillebaud britannici e nostrani venissero integralmente raccolti, secoli dopo l’implosione demografica e il crollo dell’economia sui ruderi delle autostrade tornerebbero a verdeggiare le foreste, e i fiumi scorrerebbero trasparenti come al principio. Un pianeta di nuovo vergine e selvaggio. Peccato che a guardarlo, e a raccontarlo, e a domandarsi chi ha creato tutto questo, non ci sarebbe più nessuno.

image11ha6 dans Marina Corradi di Marina Corradi – Avvenire

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L’abbronzatura, il lifting e la « Bella ragazza » di Nazareth…

Posté par atempodiblog le 22 juillet 2008

Guardatevi attorno: tutto è un grido verso quel 15 agosto…

L’abbronzatura, il lifting e la

Sembra ieri che abbiamo vinto il campionato del mondo di calcio e già le belle bandiere tricolori messe a sventolare sulle finestre, sulle terrazze, nei bar o nei bagni al mare si sono scolorite. Erano così scintillanti. Ora sono inguardabili. Ne vedi alcune sfilacciate e strappate dal vento, altre consunte dal sole, altre ancora sporcate dalla pioggia. E’ incredibile come facciano presto, le bandiere, a sciuparsi. Tutte le bandiere. Non fai in tempo a crepare per loro che sono già diventate un cencio indecente. Da vessilli garruli e trionfanti in poco tempo diventano stracci tristi e smorti. E’ la parabola inevitabile delle cose. E anche dei sogni.

Eppure c’è una speranza. Splenderà proprio a Ferragosto e molti non se ne accorgeranno. E’ vero che le bandiere si consumano, i vestiti si sgualciscono, il giornale di ieri è già ingiallito e illeggibile, i campi di grano appena ieri pieni di spighe dorate, sembrano già steppe autunnali. I boschi cominciano a ingiallire e anche i fiori appassiscono. “Se son rose sfioriranno” dice una fulminante battuta di Montanelli. Una polvere impalpabile si posa incessantemente su tutte le cose. Guardi casa tua, ti sembra solida e robusta e invece ha bisogno di continua manutenzione, perché tutto invecchia e si guasta, si corrompe. Tutto tende al disordine, tutto decade e s’incasina, dice un fondamentale principio della fisica. Tutto si consuma.

Di solito evitiamo distrattamente di pensarci. Ma la prima cosa a decadere, consumarsi, guastarsi è il nostro stesso corpo. Osservare gli esseri umani sulla spiaggia, in questi giorni d’estate, è impressionante. Il vigore e la formosa armonia dei corpi giovani, orgogliosamente esibiti, fanno pensare alla scultura gotica, quella che rende leggero il marmo delle cattedrali e dà quasi la sensazione che lo proietti nel cielo vincendo la forza di gravità. Ma nel giro di qualche anno la forza di gravità si prenderà la sua rivincita: tutto cala, cade, si affloscia, si sforma, si usura. La terra chiama la terra verso di sé. Polvere sei e polvere tornerai. E allora cominciano i poderosi e continui lavori di manutenzione: tingere quei capelli imbiancati, tirar su quei glutei cadenti, stirare quelle rughe, consumare quel grasso in eccesso, cancellare quelle borse sotto gli occhi. Lavori interminabili, continui, costosi, instancabili come per tirar su ogni giorno un muro che la notte crolla. E poi la visita dall’oculista perché non si legge più bene senza occhiali e i capelli che cadono. E quei doloretti alle spalle.Si tenta di fermare in ogni modo (vanamente) l’invecchiamento. Si vorrebbe fermare l’attimo come il Faust di Goethe, ma svaniscono perfino gli imperi millenari, figuriamoci i singoli. “Tutto al mondo passa e quasi orma non lascia”, avverte Leopardi. Gli attimi della vita quotidiana sembrano non passare mai, ma sono gli anni che corrono imperterriti. Implacabili. In un batter d’occhio. E un sottile strato di polvere copre tutte le cose. Quella noia impalpabile che alla fine ammoscia perfino gli amori più ardenti e gli ideali più infiammati. E’ il peso della natura decaduta. La forza di gravità.

D’altra parte perfino i giovani investono giornate e sforzi sovrumani nell’immane quanto vana opera di manutenzione: a “scolpirsi” in palestra, a profumarsi e abbronzarsi. Poveretti, è come costruire i castelli sulla sabbia, come scrivere un nome amato sul bagnasciuga, questo illusorio fuggire dall’offesa del tempo. In fin dei conti è della carnalità del nostro essere che abbiamo terrore. Tutto ci ricorda il suo continuo corrompersi. Sudare è segno del degrado biologico a cui siamo sottoposti, l’odore stesso del corpo deve essere bandito, la nostra società è asettica: è proibito sudare, i corpi devono emanare solo profumo, nulla che sia segno di putrefazione.

L’epoca apparentemente più “materialista” ed edonista, la nostra, in realtà ha orrore della carne. Siamo tutti gnostici senza saperlo. Lo dimostrano l’enorme crescita delle nostre spese per cosmetici e l’orrore che abbiamo per il corpo malato, per la carne sofferente. Lo sconvolgente crocifisso di Grunewald, il più drammatico di tutta la storia dell’arte, fu concepito dal pittore tedesco del Quattrocento per i malati di lebbra e di Fuoco di S. Antonio che affollavano quella cappella disperatamente per pregare, ritrovando sulle carne devastata del Dio-Uomo, le proprie stesse piaghe, il proprio strazio.

Alla fine gli unici trionfalmente “materialisti” restano i cristiani. “E’ una Carne che salva la carne”, diceva un padre della Chiesa come s. Ambrogio. Nei “Fratelli Karamazov” – ottima lettura per l’estate – Dostoevskij racconta la storia di un parricidio che è più di un parricidio. Il vecchio Fedor Pavlovic Karamazov, padre dei tre fratelli, esprime infatti al massimo la terrestre carnalità che ci fa orrore: viene descritto volgare e violento, meschino e cinico, un “misero buffone”. E’ fisicamente calvo, nasone, bocca larga, doppio mento. Provoca ripulsa fisica nei tre figli. Ma mentre Ivan e Dimitrij lo disprezzano apertamente, Alioscia si fa monaco e pensa di evitare l’odio della carne scegliendo lo spirito e scegliendo un “padre spirituale” come il santo starets Zosima. Però il monaco gli dà la lezione più importante morendo: il suo corpo infatti comincia subito a emanare cattivo odore. Alesa prima ne è scioccato, sconvolto, poi comprende che anche quel santo è fatto di carne come suo padre: esce dalla stanza, scoppia in un pianto dirotto e gettandosi a terra abbraccia tutto il creato. Comprende che la fede in Cristo non è una fuga nello spirituale, ma è la certezza sull’unico Dio che ha preso la carne umana e il suo dolore vincendo la forza di gravità della natura decaduta, che ha manifestato con i miracoli il suo dominio sul creato, sulla malattia e perfino sulla putrefazione della carne con la resurrezione.

Alioscia comprende che il destino dell’uomo non è la decomposizione buia e disperata del corpo e non è neanche solo la “salvezza dell’anima”, ma è la resurrezione della carne, la glorificazione di tutto il nostro essere e la “divinizzazione”. E capisce che questa forza è entrata nella storia e questa nuova storia è già cominciata. Con la prima creatura che vive già questa glorificazione della carne, questa eterna giovinezza, questa bellezza che non si corrompe e non passa: Maria.

Nel paesetto dove mi trovo, sulla costa toscana vicino a Bolgheri, la chiesina è in mezzo alla pineta, vicino al mare. La parrocchia celebra la sua festa il 15 agosto: l’Assunta, cioè l’Assunzione di Maria in cielo in corpo e anima. Così a ferragosto si porta in processione per le vie, normalmente popolate di gente in costume, alle prese con le guerre dei corpi, la raffigurazione della “Bella Ragazza” di Nazareth, del suo corpo che è già in Cielo, glorificato, del suo volto eternamente giovane, bellissimo. Come il suo cuore. I cristiani sono considerati strani soggetti. Ma in realtà danno corpo alla segreta speranza di tutti.

di Antonio Socci – © “Libero” 25 luglio 2006

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Lezioni di “pietas”?

Posté par atempodiblog le 20 juillet 2008

“CASO ELUANA”: SE I COMUNISTI ACCUSANO LE SUORE DI CRUDELTA’ PERCHE’ LA AMANO……

Comunisti che danno lezioni di “pietas” ? Da che pulpito! Ormai siamo nel mondo alla rovescia: il mondo dell’ideologia dove il Bene è Male e il Male è Bene. E’ la prova che, come disse un giorno Adenauer, “anche in politica soltanto Cristo ci può salvare”.

Lezioni di “pietas”? dans Antonio Socci antoniosocci

A proposito di Eluana Englaro, ieri La Stampa, in prima pagina, pubblicava l’articolo di Marina Garaventa che vive “più o meno nella stessa situazione in cui era Piergiorgio Welby”. A un certo punto la signora Garaventa si rivolge polemicamente a chi difende il diritto alla vita di Eluana e scrive: “propongo a questi signori di prendersi un anno sabbatico e offrirlo a Eluana: passare con lei giorni e notti, lavarla, curarle le piaghe, nutrirla, farla evacuare, urinare, girarla nel letto, accarezzarla, parlarle nell’attesa di una risposta che non verrà mai”.
E’ una provocazione salutare (NOTA 1). Ma forse la signora Garaventa non lo sa: ci sono suore, donne cristiane, che per Eluana stanno già facendo tutto questo da 14 anni, in silenzio e con gioia, e chiedono solo di poter continuare ad amarla. Suor Rosangela – leggo in una cronaca del Corriere – la conosce così bene da “intuire all’istante se ha mal di pancia o mal d’orecchio”. Eluana ogni mattina viene “alzata da letto, lavata, messa in poltrona. Quotidianamente la portiamo in palestra dove c’è un fisioterapista che le pratica la riabilitazione passiva”. Poi c’è la musica, le passeggiate in giardino e “qualche volta, soprattutto se le parla suor Rosangela, muove gli occhi”.

Proprio queste suore, queste fantastiche e umili donne del Cielo, senza fare alcuna polemica, senza lanciare “guerre ideologiche”, con dolcezza hanno detto: “vorremmo tanto dire al signor Englaro, se davvero la considera morta, di lasciarla qui da noi. Eluana è parte anche della nostra famiglia”. Le suore per tutti questi anni si sono prese cura di lei “come di una figlia”. Esprimono il “massimo rispetto” per “la sofferenza dei genitori di Eluana”, ma “con discrezione” chiedono loro di poter continuare ad accudirla e amarla. “Liberazione”, giornale di Rc, parla di Eluana come di “un corpo”. Invece la suora dice: “Per noi è semplicemente una persona e viene trattata come tale… E’ una ragazza bellissima”. L’editoriale di “Liberazione”, firmato da Angela Azzaro, ha dell’incredibile. Esordisce accusando la Chiesa di essere venuta meno al sentimento della pietas, “quel sentimento che ci rende partecipi del dolore e delle sofferenze altrui, che non ci fa girare le spalle, ma ci aiuta a uscire dall’egoismo, dal nostro bieco interesse”.

Con questa surreale premessa la Azzaro sentenzia: “Il massimo gesto di crudeltà lo hanno compiuto le suore Misericordine presso cui Eluana si trova. Conoscono il padre. Dicono di rispettarlo. Ma gli hanno chiesto di lasciare lì il corpo della figlia. Come se niente fosse. Come se in tutti questi anni la sua vita non fosse stata appesa a un filo, il filo che tiene in vita un corpo non più senziente e che a lui ha impedito di pensare ad altro, di elaborare il lutto, di ripensare forse più serenamente agli occhi di Eluana quando capivano”.

Viene da chiedersi se il direttore di Liberazione, Piero Sansonetti, non pensa di dover chiedere scusa per questo editoriale intitolato “Il sadismo alla scuola di Benedetto” ? E cosa ne pensano i Bertinotti e i Vendola? Le povere suore bersagliate dall’articolista non hanno sequestrato Eluana: fu portata lì dal padre e dalla madre nel 1994 perché era nata lì. Le suore rimasero perplesse, non sapevano se erano in grado di assisterla. Poi si resero conto che aveva bisogno solo di essere alimentata e amata, accudita come una bimba, e la presero nella loro famiglia, con tenerezza e dedizione.

Queste donne umili, che per 14 anni, in silenzio, l’hanno amata, lavata, alimentata, aiutata, meritano di prendersi lo schiaffo di “Liberazione” che parla di “crudeltà”? Le suore non impongono nulla, non sono loro a disporre della sorte di Eluana, né possono o vogliono trattenerla: hanno semplicemente dichiarato che sarebbero liete di continuare a prendersi cura di lei. Con discrezione e semplicità, rispettando tutti. Queste povere donne non hanno potere di decisione, hanno solo il loro amore da offrire. Ebbene secondo il “giornale comunista” (così si definisce), questo è “il massimo gesto di crudeltà”.

Sarebbe questa la cultura laica? Sulla Stampa si sfidano i “pro life” a prendersi cura di Eluana. Appurato poi che le suore lo fanno, da “Liberazione” si bersagliano con l’accusa di crudeltà. Mi pare evidente che il pregiudizio e l’ideologia accecano, cambiano il Bene in Male e il Male in Bene.

Certo, per chi si dice comunista l’amore cristiano (che è “amore del prossimo” e perfino “amore dei nemici”) è roba pericolosa. Casomai la storia comunista ha trafficato con la categoria e la pratica dell’ “odio di classe”. Loro credevano di poter sistemare il mondo e eliminare l’ingiustizia così, con l’ “odio”, l’antagonismo, la lotta, la rivoluzione. Il marxismo pretendeva di essere una “scienza”, non aveva bisogno di amare nessuno, neanche il proletariato: le stesse leggi ferree dell’economia avrebbero necessariamente portato al comunismo, il “paradiso in terra”. Così hanno costruito i loro inferni (dove sono stati macellati milioni di cristiani).

Oggi i contenuti delle diverse ideologie sembrano accantonati, ma restano certi furori, certi metodi e pregiudizi. Certe astrazioni. Ieri per esempio a pagina 10 dell’Unità, dove si esponevano le discutibili dichiarazioni della “Consulta di bioetica”, si diceva che definire con espressioni come “omicidio di stato” il lasciar morire Eluana significa pronunciare “parole al di là della decenza o della semplice ‘educazione’ ”.

Voltando pagina sempre l’Unità definiva però “assassinio di Stato” l’eventuale condanna a morte ed esecuzione di Tareq Aziz per le imputazioni relative agli anni in cui era dirigente del regime di Saddam Hussein. L’Unità intervista Marco Pannella che si batte perché “nessuno tocchi Caino” e – denunciando lui stesso le responsabilità di Aziz – definisce appunto “assassinio di stato” e “delitto” la sua eventuale esecuzione.

Premesso che siamo tutti contro la pena di morte e che nessuno deve toccare Caino, chiediamo a Pannella e all’Unità: invece Abele sì? Pannella parla di questa sua “battaglia di civiltà”, definisce un “misfatto” l’eventuale esecuzione capitale di Aziz, seppure colpevole, perché la vita umana non è a disposizione degli stati, ma poi, leggo in una agenzia, definisce la sentenza che autorizza la sospensione dell’alimentazione per Eluana come “affermazione della civiltà giuridica, umana e civile”. Stiamo parlando della eventuale morte di una ragazza per fame e per sete. E’ pur vero che non è autosufficiente e non pare cosciente, ma è viva.

Io non posso credere che Pannella e l’Italia, i quali rivendicano la moratoria dell’Onu sulle esecuzioni capitali come una conquista di civiltà, possano poi accettare una simile morte per Eluana. E’ pur vero che in quest’epoca di sbandamento si definisce conquista di civiltà anche l’aborto, ovvero la soppressione – tramite legge di stato – di migliaia e migliaia di piccole vite innocenti. Ma perché la vita di Caino va sempre e comunque protetta, qualunque cosa abbia fatto, e quella di Abele no?

La presenza silenziosa di quelle suore ci fa sapere che da 2000 anni, da quando è venuto Gesù, qualunque essere umano è amato. Un giornalista disse una volta a Madre Teresa di Calcutta che lui non avrebbe fatto ciò che faceva lei per tutto l’oro del mondo e lei rispose: “neanche io”. Ma per Gesù sì. Al di là della sentenza su Eluana, com’è possibile non provare rispetto e ammirazione per queste suore? Non è stupendo che esistano persone così? Sono appassionate a ogni essere umano com’era Gesù che ascoltava tutti, accoglieva tutti e “guariva tutti”. Sono capaci di questo amore per la vita umana perché amano, testimoniano e donano ciò che vale più della vita: Gesù stesso, la Grazia. Cioè la vita eterna, l’unica vera speranza che rende vittoriosi sul dolore e su “sorella morte”.

di Antonio Socci

(1) Verrebbe da proporre però, analogamente, che quanti ritengono giusto lasciar morire Eluana secondo la sentenza che consente di fermare l’alimentazione e l’idratazione, le stessero accanto minuto dopo minuto per tutto il tempo in cui avrà fame e sete, fino alla morte.

Da “Libero” 19 luglio 2008

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Nostro figlio vuol vivere

Posté par atempodiblog le 11 juillet 2008

Cieco, muto e infermo: nostro figlio vuol vivere
 

Un bambino cieco, muto e infermo, testimone e maestro di vita
Da una lettera a Il Giornale

Alberto Gentili e Gabriella Mambelli

Siamo i genitori di Andrea (e di altri 3 ragazzi) e, colpiti da quanto deciso ultimamente sulla vita di Eluana, vorremo fornire attraverso Il Giornale un contributo in merito alla comprensione della realtà.
Andrea, il nostro primogenito, ha quasi 16 anni, è handicappato grave con disabilità al 100%, non parla, non vede, non si muove volontariamente… insomma, come recita un suo certificato medico «necessita e necessiterà di assistenza continua per tutti gli atti quotidiani della vita».
Da qualche anno, grazie all’inserimento in un progetto sperimentale, ha iniziato a «dialogare» faticosamente con il mondo esterno con la tecnica della comunicazione facilitata.
Il brano che le inviamo è parte della trascrizione di un dialogo tra Andrea ed uno dei suoi dottori. «Grigio periodo di dolore è il mio. Fermamente ho chiesto a Dio di aiutarmi e di benedirmi. Ho personalmente già più volte offerto le mie sofferenze per altri e questa volta una parte devolvo a te, dottore. (…) ho tanta voglia di fare esperienze belle interiori e di amicizia ma sono dentro una condizione tale di dolore e fisica che non mi permette di fare tutto ciò che vorrei. Questo sono io: dolore e gioia allo stesso tempo. Grato sono alla vita e voglio che si sappia. Grato sono a te per le cure ed a tutti coloro che si preoccupano per me, per il mio presente e per il mio futuro. Sono dell’idea che bisogna dare più spazio a ciò che aiuta interiormente e spiritualmente. Lotta, sì, ma con meta il cielo e la nostra grande anima da coltivare. (…) Ci tengo a dire che non disdegno le cure e ciò che porta un benessere fisico e questo va tutelato, ma bene interiore porta anche benessere fisico quindi è primariamente da considerare. Grazie, ti voglio dire che sono felice di oggi e ti dono il mio grazie di cuore».
Non vogliamo giudicare assolutamente il padre di Eluana. Capiamo bene il suo dolore e, come lui subiamo la stessa lacerazione interiore quando guardiamo, ahimè troppo spesso, un figlio che soffre steso in un letto e gli siamo vicini. Non accettiamo e ci fa rabbrividire il triste moralismo infantile ed inconsapevole di tanti che giudicano la vita degna solo se di «qualità». Anche noi, presi, impregnati, dalla «mentalità dominante», riusciamo solo per brevi istanti ad intuire che le parole di nostro figlio «questo sono io: gioia e dolore allo stesso tempo» sono vere non solo per lui ma anche per noi. Esse rappresentano la realtà della condizione umana. Realtà dura, spigolosa, inaccettabile non solo per chi ha una coscienza di sé inconsapevolmente nichilista e gaudente, ma pur sempre strada per la felicità e non per una inutile spensieratezza. Sempre riprendendo le parole di Andrea: «Lotta, sì, ma con meta il cielo e la nostra grande anima da coltivare».
La battaglia è qui. È possibile essere felici come Andrea dice di essere quando tutto intorno dice che non serve cercare la felicità ma solo il divertimento e l’assenza di problemi? Rimuovere il dolore dalla vita è eliminare la Croce, sola realtà capace di trasfigurarlo in gioia. Come sempre è la Croce il vero scandalo. E quale metodo più efficace per rimuovere la Croce che eliminare chi ad essa è più vicino?

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