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Sbalorditiva coincidenza

Posté par atempodiblog le 4 novembre 2008

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Fonte: La Settimana Enigmistica

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Pazzo mondo

Posté par atempodiblog le 4 novembre 2008

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CANADA - Un regista canadese sarebbe arrivato a uccidere  con l’unico scopo di poter riprendere l’omicidio con la cinepresa ed avere così un di realismo nel film che andava girando.
E’ questa l’accusa che la polizia ha mosso nei confronti di Mark Twitchell, 29 anni, regista canadese amante del cinema horror ma nello stesso tempo convinto delle necessità estetiche di un realismo estremo. L’uomo è stato arrestato con l’accusa di omicidio di primo grado per la morte di Johnny Brian Altinger, un uomo di 38 anni che il regista neppure conosceva.
Secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori, il regista avrebbe fatto conoscenza via internet con la sua futura vittima, spacciandosi per una donna disposta ad avere con lui un appuntamento galante. L’uomo, dipendente di una azienda industriale, si sarebbe recato il 10 ottobre scorso all’appuntamento preso via internet.
Solo per scoprire, suo malgrado, che quel luogo era un garage e che la sedicente compagna virtuale non era una donna: era un uomo con il volto coperto da una maschera di quelle utilizzate dai portieri nell’hockey su ghiaccio. Lo sconosciuto lo ha aggredito e ucciso (la polizia non ha reso noto come), registrando segretamente l’intera scena.

OHIO - Duffy è andata « a fuoco ». La bionda chioma della 23ennecantante  gallese – famosa per il « tormentone » Mercy –  è andata in fiamme prima del concerto con i Coldplay, il 24 ottobre scorso, nell’Ohio, a causa di una candela accesa nel suo camerino.  

INGHILTERRA - Brutta avventura per un 35enne inglese, che a Dudley è rimasto incollato alla tazza di una toilette pubblica a causa di uno scherzo. Quando si è seduto sull’asse, non si è reso conto che qualcuno l’aveva cosparsa di colla ed è rimasto  »incollato » al wc. Per liberare l’uomo è stato necessario l’intervento dei pompieri e dei sanitari. Il tutto è avvenuto sotto gli occhi increduli dei passanti.

Fonte: Gazzetta di Parma

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E non è finita qui

Posté par atempodiblog le 2 novembre 2008

Il decreto Gelmini era solo un aperitivo. La vera rivoluzione della scuola cova in un progetto di legge firmato Valentina Aprea. Che non piacerà affatto ai paladini della mediocrità
Tratto da: Tempi.it

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Ce n’est qu’un debut. Cioè il bello deve ancora venire. Il contestatissimo decreto Gelmini, infatti, contiene solo alcune misure urgenti, necessarie per far fronte alle distorsioni più gravi del sistema d’istruzione. Ma la vera rivoluzione si aggira silenziosa nei meandri della Camera, sotto le spoglie della proposta di legge 953, recante “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti”, proposta dal presidente della commissione Cultura della Camera dei deputati, Valentina Aprea. Scuole trasformate in fondazioni, risorse distribuite secondo il principio “i soldi seguono gli studenti”, carriera per i docenti, albi regionali degli insegnanti e un contratto ad hoc per la categoria: quando la 953 sarà approvata, la scuola italiana non sarà più quella che abbiamo sempre conosciuto. Vediamo perché.
Autonomia degli istituti scolastici. È la madre di tutte le riforme. Basta col papocchio postsessantottino dei Consigli d’istituto, parlamentini scolastici che giocano alla finta democrazia mentre le decisioni che contano rimangono saldamente nelle mani di viale Trastevere: dando piena attuazione al titolo V della Costituzione (riscritto, per chi avesse la memoria corta, dal fu governo D’Alema), le scuole verranno affidate a veri e propri consigli di amministrazione, responsabili in tutto e per tutto della gestione degli istituti e dell’amministrazione dei fondi che lo Stato affiderà loro. Composizione dei Consigli? Una novità inaudita nel monolitismo dello Stato italiano: ciascun Consiglio, di «non più di undici membri», «delibera il regolamento relativo al proprio funzionamento, comprese le modalità di elezione, sostituzione e designazione dei suoi membri». Tradotto: non sarà il ministro a decidere se in tutte le scuole della Repubblica dovranno esserci due o tre insegnanti, due o tre genitori, due o tre bidelli, con le relative infinite di-scussioni che negli anni passati hanno bloccato ogni iniziativa analoga; ma ciascuna scuola valuterà la composizione del proprio Consiglio, che potrà comprendere anche «rappresentanti delle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi». Come a dire: siete maggiorenni, siete in grado di valutare da soli quale sia l’assetto più funzionale. E magari di cambiarlo, in tempi ragionevoli, senza attendere quelli biblici del Moloch di viale Trastevere. Accanto al Consiglio di amministrazione, il Collegio dei docenti, che si dota da sé di un regolamento che ne determini il funzionamento, e un «nucleo di valutazione dell’efficienza, dell’efficacia e della qualità complessive del servizio scolastico», composto da «docenti esperti» e anche da «membri esterni». Anche qui la composizione è lasciata alle singole scuole. Chissà se sapranno usare bene tutta questa libertà? E chissà se gli insegnanti troveranno il modo di lamentarsi anche di questa?

Le risorse seguono gli alunni. Tanto più decisiva la riforma degli organi di governo in quanto la legge prevede che le risorse necessarie al funzionamento delle scuole – tutte, da quelle per riparare il tetto a quelle per pagare i docenti – siano conferite tramite le Regioni a ciascun istituto, «sulla base del criterio principale della “quota capitaria”, individuata in base al numero effettivo degli alunni iscritti a ogni istituzione scolastica, tenendo conto del costo medio per alunno, calcolato in relazione al contesto territoriale, alla tipologia dell’istituto, alle caratteristiche qualitative delle proposte formative, all’esigenza di garantire stabilità nel tempo ai servizi di istruzione e di formazione offerti, nonché a criteri di equità e di eccellenza». I protagonisti, cioè, sono gli istituti, lo Stato fa un passo indietro: qui ci sono le risorse, nessuno ha ricette magiche, ciascuno provi la sua ipotesi, sarà la realtà delle cose (la soddisfazione di studenti e famiglie) a indicare quali sono le migliori, e a dirottare automaticamente con la propria scelta le risorse verso le soluzioni più efficaci.

Da istituti a fondazioni. Recita il Pdl 953: «Ogni istituzione può – a beneficio di tutti quelli che in questi giorni sbraitano che “le università diventeranno fondazioni”, sottolineiamo la parola “può”: ha la possibilità, può decidere, in base a una valutazione delle circostanze che è lasciata a ciascuna realtà – costituirsi in fondazione, con la possibilità di avere partner che ne sostengano l’attività», partecipando anche ai suoi organi di governo. È quel che nei paesi che ci sorpassano nelle classifiche Ocse-Pisa avviene abitualmente, è quel che già oggi le scuole più attente al rapporto col territorio, cioè al futuro vero dei propri studenti, cercano di fare, aggirando i mille bastoni che la normativa attuale mette tra le ruote della collaborazione col mondo reale. I soliti okkupanti abbaieranno che così si svende la scuola ai privati. Studenti, famiglie e insegnanti attenti alla realtà dei fatti sanno bene che il rapporto col mondo imprenditoriale significa miglioramento della qualità dell’offerta formativa.
Docenti in carriera. Non c’è cosa più frustrante, oggi, per un’insegnante, di vedersi trattato allo stesso modo di tutti gli altri, qualunque sia il proprio impegno. Dovunque – negli altri settori e nelle scuole di altri paesi – chi lavora bene viene premiato. Solo nella scuola italiana questo non avviene. In omaggio a un dogma sovietico, gli insegnanti sono tutti uguali. Con la nuova legge la professione docente è articolata in tre livelli (docente iniziale, docente ordinario e docente esperto) a cui corrisponde un distinto riconoscimento giuridico ed economico della professionalità maturata. La formazione degli insegnanti avviene nei corsi di laurea magistrale e nei corsi accademici di secondo livello, con la previsione di un periodo di tirocinio e la creazione di un albo regionale da cui attingere. Sono previste valutazioni periodiche dei docenti, in base all’efficacia dell’azione didattica. Che non è certo facile da valutare, ma se altri paesi ci riescono, noi siamo forse più stupidi?

Un contratto ad hoc. Dulcis in fundo, viene istituita un’area contrattuale della professione docente. Vale a dire: il contratto degli insegnanti sarà scorporato da quello di segretari e bidelli, mestieri indispensabili ma di natura differente. E scompariranno le attuali rappresentanze sindacali d’istituto (le famigerate Rsu) in cui sono sovente appunto degnissimi bidelli a decidere come vanno ripartite anche fra gli insegnanti le (poche) risorse aggiuntive. Forse anche l’Italia diventerà un paese moderno.

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Sparatoria a Secondigliano

Posté par atempodiblog le 2 novembre 2008

SECONDIGLIANO, SPARI CONTRO 5 RAGAZZINI

Sparatoria a Secondigliano  dans Articoli di Giornali e News policeii4

Cinque ragazzi sono rimasti feriti la notte scorsa a Napoli, nel quartiere Secondigliano, in una sparatoria avvenuta per cause ancora non chiarite. Quattro dei cinque – di 12, 13, 14 e 16 anni – sono stati feriti agli arti inferiori. Un quinto ragazzo, anch’egli sedicenne, è stato invece raggiunto da un proiettile ad un braccio.

Solo il quattordicenne è stato medicato in ospedale e poi dimesso; gli altri sono tutti ricoverati con prognosi variabili fra i dieci giorni ed un mese. A sparare, secondo gli accertamenti della polizia, sono state quattro persone che viaggiavano su due ciclomotori e che avevano i volti coperti da caschi integrali da motociclista.

L’agguato – sono stati esplosi complessivamente circa 30 colpi di pistola – è avvenuto in via Abate Desiderio, davanti al circolo ricreativo Zanzi Club. Sui motivi indaga il commissariato di Secondigliano.

Tre dei cinque ragazzi feriti a Secondigliano, secondo quanto si apprende, sono nipoti del gestore del circolo ricreativo Zanzi Club di via Abate Desiderio di Secondigliano, un uomo con precedenti penali. Il circolo è stato sequestrato. I ragazzi sono tutti incensurati ma vengono definiti « figli d’arte » in quanto provenienti da famiglie già note alle forze dell’ordine.

I cinque non hanno riportato ferite gravi: hanno prognosi che vanno dai dieci giorni ad un mese. Secondo gli investigatori chi ha sparato non aveva intenzione di uccidere: si è trattato con molta probabilità di un « avvertimento ».

Fonte: ANSA.it

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Papà Ratzinger trovò moglie sul giornale

Posté par atempodiblog le 1 novembre 2008

«Modesto funzionario, scapolo, cattolico, 43 anni, con diritto alla pensione desidera convogliare a nozze con una ragazza cattolica che sappia cucinare e anche un po’ cucire, e che abbia qualche proprietà. Rif. 734». Dietro al numero di riferimento di queste poche righe pubblicate il 7 marzo 1920 tra gli annunci del settimanale cattolico Liebfrauenbote di Altötting, c’è Joseph Ratzinger senior, il papà di Benedetto XVI. Non avendo ottenuto alcuna risposta, quattro mesi più tardi, il quarantatreenne gendarme, che nel frattempo era salito di grado, aveva fatto pubblicare sullo stesso giornale un nuovo annuncio dello stesso contenuto, aggiungendo questa volta che la «proprietà» non era una condizione indispensabile.
Gli avrebbe risposto Maria Peintner, cuoca provetta, che Ratzinger avrebbe sposato nel novembre 1920. Il giornale Bild am Sonntag, che ha riprodotto l’annuncio, si è chiesto: «Ci sarebbe stato un papa tedesco se il gendarme Ratzinger 86 anni fa non avesse messo alcun annuncio matrimoniale sul giornale?», Citando subito dopo una frase famosa del teologo evangelico Albert Schweitzer: «Il caso è lo pseudonimo che il nostro Dio sceglie quando vuole restare in incognito». Il documento, scoperto dall’ex direttore del Liebfrauenbote, è stato già donato al Papa nel corso di un’udienza.
Di certo il matrimonio seguito a quell’annuncio, fu felice. E proprio al clima vissuto nella propria famiglia doveva pensare Benedetto XVI, quando ieri, nel Duomo di Monaco, ha detto ai papà e alle mamme dei piccoli che hanno fatto la prima comunione: «Cari genitori, vi prego, andate insieme con i vostri bambini in chiesa per partecipare alla celebrazione eucaristica della domenica! Non è tempo perso, è ciò che tiene la famiglia veramente unita, dandole il suo centro. E per favore, pregate anche a casa insieme: a tavola e prima di andare a dormire».
«Non saprei indicare – aveva scritto Ratzinger nella sua autobiografia – una prova della verità della fede più convincente della sincera e schietta umanità che la fede ha fatto maturare nei miei genitori».

Tratto da: Il Giornale

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TV, CALABRO’: VOLGARE, RIPETITIVA E BECERA

Posté par atempodiblog le 1 novembre 2008

TV, CALABRO': VOLGARE, RIPETITIVA E BECERA dans Articoli di Giornali e News tvev4

TV, CALABRO’: VOLGARE, RIPETITIVA E BECERA
di Elisabetta Stefanelli – ANSA.it

La televisione italiana per « livelli di banalità e volgarita (come i tanti reality che affollano i palinsesti delle tv in prima serata)’ » è al disotto di altre televisioni europee e il divario rispetto alle emittenti Ue « é crescente ». E’ duro l’atto d’accusa del presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Corrado Calabrò, davanti alla Commissione infanzia, dove stamattina si trovava per parlare del rapporto tra ragazzi e media nell’ambito dell’indagine conoscitiva su questi temi. La nostra televisione, spiega ancora il presidente, dovrebbe assecondare « il ritrovato interesse dei giovani per il teatro, per i concerti (anche di musica classica) per le mostre, per i musei, per la partecipazione a qualche attività artistica ». Al contrario la tv, « le ignora, preferisce insistere sul ripetitivo, quando non sul becero ».

Così come per i videogiochi che « potrebbero essere utilizzati per diffondere e veicolare valori positivi ». Annuncia quindi che « l’Autorità ha in animo di avviare uno studio specifico che analizzi la programmazione televisiva in Italia (e l’uso dei media vecchi e nuovi), verifichi il suo grado di qualità e se essa possa produrre effetti sui cosiddetti ‘comportamenti sociali’. Penso – dice – al fenomeno del ‘bullismo’ o il consumo di alcool da parte dei minori. La televisione infatti propone modelli che possono indurre all’emulazione da parte dei giovani ».

Nel mirino tutte le tv su tutte le piattaforme, 24 ore su 24, con l’obiettivo finale « di redigere un Libro bianco sugli effetti della programmazione televisiva nei confronti dei bambini e sulla qualità della tv ». Non è nelle possibilità dell’Agcom cambiare il modo di fare televisione, spiega Calabrò, ma « fino a quando le trasmissioni sono dominate dall’assillo dei ricavi pubblicitari e questi sono connessi esclusivamente all’audience – aggiunge il presidente – i tentativi saranno inefficienti ». Il fatto è che così « si innesca una spirale perversa che diseduca il gusto dei telespettatori e degrada il livello delle trasmissioni ». Il problema è tanto più grave, fa capire il presidente Agcom, perché « sono i bambini quelli che subiscono, più di tutti, l’influenza della tv » e anche perché l’enorme ampliamento delle possibilità di circolazione dei contenuti « comporta l’enorme facilità per ragazzi e adolescenti minorenni di accedere anche a contenuti nocivi per il loro sviluppo psico-fisico e morale ». Così come motivo di turbativa « non di poco conto nella vita relazionale dei minori », è introdotta dall’uso massiccio dei cellulari, anche perché un’indagine recente sostiene che ben l’84% dei ragazzi tra gli 8 e i 15 anni ne possiede uno tutto suo e il primo telefonino arriva già all’età di 9-10 anni per la metà degli intervistati. Per quanto riguarda la tv comunque, grazie alla collaborazione, con il Comitato tv e minori – sottolinea Calabrò – « siamo intervenuti almeno per far diminuire un inutile tasso di violenza, calmierare il turpiloquio e la rissosità che connotano alcuni tipi di trasmissione, evitare, nella fascia della televisione per tutti, l’erotismo che sconfini nella pornografia, sia che si tratti di trasmissioni analogiche, digitali o satellitari in chiaro ». In più l’Autorità « ha dettato alcuni principi e criteri sulle corrette modalità di rappresentazione dei procedimenti giudiziari nelle trasmissioni radiotv », anche se – rileva Calabrò – « le resistenze degli operatori televisivi alla redazione di un codice di autoregolamentazione in questo caso sono forti ».

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Verità e bugie sui contenuti del decreto

Posté par atempodiblog le 31 octobre 2008

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Il decreto Gelmini sulla scuola è legge. Il Senato ha approvato ieri con 162 voti favorevoli, 134 contrari e 3 astenuti il provvedimento che porta il nome del ministro dell’Istruzione. Il sì definitivo è arrivato al termine di una due giorni di fuoco nell’aula di palazzo Madama, con l’ostruzionismo dell’opposizione, e dopo settimane di proteste di piazza fra scontri e occupazioni. Ecco tutte le bugie sulla riforma.

VERO

Maestro unico Nelle scuole elementari torna il maestro unico.
Le classi funzioneranno per 24 ore alla settimana.
Le ore di straordinario all’insegnante nel 2009 verranno pagate con il fondo di istituto, che sarà poi reintegrato dal ministero dell’Istruzione.

Tempo pieno Con il maestro unico il tempo pieno aumenterà. Infatti passando da due insegnanti a uno si avranno più docenti a disposizione e si potranno aumentare del 50% le classi che possono usufruire del tempo pieno.

Voto in condotta Torna il voto in condotta: farà media con i voti conseguiti nelle diverse materie scolastiche, e se sarà inferiore al 6 determinerà la bocciatura dell’alunno.

Educazione civica L’apprendimento della Costituzione diventa uno dei cardini dell’educazione. Viene infatti reintrodotto lo studio dell’educazione civica, che diventa materia obbligatoria. Il nome della disciplina sarà « Cittadinanza e Costituzione ».

FALSO

Tagli agli stipendi Nessuna diminuzione sui salari dei docenti: grazie alla stretta sulle spese aumenteranno gli stipendi. Si tratta di 2 miliardi da dividere fra innovazione e gratifiche ai docenti. Dal 2012 il « premio » sarà destinato a 257 mila insegnanti.

Classi per stranieri La proposta della Lega, approvata dalla Camera, è solo una mozione al decreto che non ha effetto concreto ma solo una valenza politica. La mozione parla di un eventuale test di ingresso per verificare lo stato di conoscenza della lingua italiana.

Licenziamenti Tecnicamente non verrà licenziato nessuno. Nei tre anni (2009 – 2011) gli interventi ricadono solo sui posti a tempo determinato. Per gli insegnanti la riduzione riguarda 87.400 cattedre. Per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario 42.500 posti.

Meno docenti per i disabili Non viene attaccata la quota degli insegnanti di sostegno per gli alunni diversamente abili. Si tratta di circa 90mila docenti. Anzi, nelle ultime assunzioni la quota dei docenti di sostegno è stata tra le più ampie.

Scompare la lingua inglese Nelle scuole elementari rimane lo studio della lingua inglese. Dall’anno prossimo sarà affidato a un docente specializzato, che affiancherà il maestro unico, così come accadrà per l’insegnamento di religione, educazione fisica e informatica.

Fonte: Il Giornale

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Il Cardinale Sepe su Facebook

Posté par atempodiblog le 30 octobre 2008

Internet: Cardinale Sepe fa il pieno su Facebook
Arcivescovo di Napoli rivela, ‘ho 200 nuovi amici al giorno’


L’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, debutta sul social network Facebook e registra un grande successo. Il porporato ha rivelato di raccogliere ’200 amici al giorno’ ed ha spiegato il suo segreto: ‘Bisogna andare laddove c’e’ la gente e se la gente e’ su Facebook andiamo pure la’. Mi scrivono in tutte le lingue ma il napoletano e’ sempre la lingua piu’ usata e piu’ bella’.

Fonte: Ansa

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Immagine tratta da: napoli.repubblica.it

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Non salvate questa scuola

Posté par atempodiblog le 29 octobre 2008

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NON SALVATE QUESTA SCUOLA
di Susanna Tamaro

Da venticinque anni vivo accanto al ministero della Pubblica Istruzione, in Viale Trastevere. Ogni autunno, al tempo della caduta delle foglie e della vendemmia, al tempo in cui le castagne cadono al suolo – quelle castagne che per decenni hanno popolato i sussidiari della scuola italiana – le grandi masse di studenti, come facessero parte del ciclico movimento della natura, cominciano ad agitarsi rumorosamente. L’autunno è ormai fisiologicamente la stagione degli scioperi e delle occupazioni. Cambiano i governi, cambiano i ministri, cambia vertiginosamente il mondo intorno, ma l’autunno resta il tempo della grande protesta. Quest’anno però l’usuale protesta ha assunto dimensioni abnormi e anche pericolose.
Mai infatti era successo che scendessero in piazza i bambini delle elementari – azione gravissima – e che anche settori vasti e lontani dal mondo della scuola si mobilitassero in modo così virulento, come se si trattasse di uno scontro in cui è in gioco la sopravvivenza della civiltà. Il clima non è molto diverso da quello che ci fu al tempo della legge sulla fecondazione assistita. O sei di qua o sei di là. E se sei di là, sei un oscurantista, nemico del progresso e dell’uomo, una persona disprezzabile, da demonizzare e quindi io non prenderò mai seriamente in considerazione le tue idee, le tue riflessioni. A chi giova un clima del genere? A chi fa gioco impedire un discorso serio e maturo sul bene comune? Quello che deprime, in questa situazione, è l’alto livello di infantilismo, di immaturità. Mentre da una parte si cerca di risolvere un problema estremamente grave come quello della scuola, dall’altra si soffia irragionevolmente sul fuoco, fomentando antagonismi che nulla hanno a che vedere con la meditata proposta del programma. Salva la scuola, gridano migliaia di cartelli dai muri delle nostre città. Ma salvare cosa, da chi? Salvare quale scuola? Quella che produce ragazzi incapaci di esprimersi correttamente, che inzeppano i curricula vitae, le tesi, gli stessi concorsi della magistratura di strafalcioni che fanno inorridire? Quella che ci spinge agli ultimi posti dei livelli europei? Quella che ha istituito il demenziale sistema dei crediti e dei debiti formativi, delle miriadi di lauree che, se non fossero reali, provocherebbero minuti di serena ilarità?
Ho frequentato le magistrali, arrivando anche a fare il concorso per insegnare perché ho sempre pensato che i primi anni di apprendimento fossero i più importanti e che dedicarsi a questo fosse una straordinaria avventura. Poi la vita mi ha portato in un’altra direzione, ma la passione non mi ha abbandonato. Scrivo libri per l’infanzia, inoltre ho quattro nipoti in età scolare e vivo con tre bambine che vanno alla scuola dell’obbligo. Per questo, posso dire che in Italia abbiamo ancora molte realtà straordinarie. Straordinarie per passione, per intelligenza, per creatività. E dove ci sono queste realtà, i bambini crescono appassionati, curiosi, aperti alla vita. Ma, accanto a queste che, ringraziando il cielo, non sono poche, si è insinuata, negli ultimi decenni, una volontà perversa dei legislatori che sembra avere l’unico scopo di complicare le cose semplici. La scuola elementare si chiama così, appunto, vorrei ricordarlo, perché deve insegnare gli «elementi base». Ad un certo punto però, agli illuminati riformatori, è parso che proprio questa scuola andasse modernizzata, «liceizzata», adeguata, cioè, alla complessità di informazione di questi tempi. La semplicità, l’essenzialità, la sobrietà andavano cancellate nel nome della modernità. Un bambino proiettato nel futuro, nei tempi meravigliosamente complessi che viviamo, non poteva avere quelle scarse nozioni ottocentesche che sono state la spina dorsale dell’educazione di intere generazioni. E così, ogni giorno, vedo uscire la piccola Martina piegata da uno zaino che contiene ben otto libri. Otto libri per la seconda elementare? E allora noi che abbiamo studiato sull’unico sussidiario, siamo tutti ignoranti? Tempo fa un padre, preoccupato, mi diceva: «Mia figlia sa tutto sulle piogge acide ma non ha la minima idea di cosa siano i decilitri e i millilitri».
Certo, ci sono bambini estremamente informati, ma informati vuole dire preparati? E soprattutto, in un mondo che già bombarda informazioni, i bambini hanno bisogno di altre informazioni? O hanno bisogno piuttosto del sapere? In Europa siamo agli ultimi posti come preparazione scientifica. Come è possibile, mi chiedo, dato che ormai, per insegnare matematica alle elementari, bisogna avere una laurea? Una persona più preparata, di solito dovrebbe creare bambini più preparati, mentre sono sempre più confusi. «Segnala le entità equipotenti», ho trovato scritto nel libro di una mia nipotina di prima elementare. Lei mi guardava con sguardo smarrito chiedendo aiuto e io ho risposto con uno sguardo altrettanto smarrito. A un’altra, già in seconda, ho chiesto: «Quanto fa 1+1?» e lei trionfante ha risposto: «11». Eppure io, in prima elementare, avevo imparato che una ciliegia più una ciliegia fa due ciliegie e non ho mai avuto dubbi su questo.
Perché tanta paura della semplicità, perché tanta paura della chiarezza? Forse perché si è perso di vista cosa vuol dire educare: dal latino ducere, vuol dire «condurre». Ma per condurre devo sapere qual è la direzione verso cui tendo. Se non so dove sto andando, se non so qual è la mia meta, come posso guidare le persone che mi sono affidate? Educare non vuol dire intrattenere, ma dare a un bambino i fondamenti etici sui quali potrà costruire la sua complessità di persona. Credo che una delle grandi emergenze di cui si parli poco, per non dire affatto, sia la precaria condizione del sistema nervoso dei bambini che vivono in questi tempi. Il loro cervello, spesso affidato a delle suadenti balie elettroniche, è sottoposto a una continua eccitazione di stimoli diversi. È proprio questa stimolazione forsennata, quest’abitudine a fare zapping che frantuma in loro qualsiasi possibilità di attenzione. E che cos’è l’uomo senza attenzione? Qualsiasi cosa io voglia fare – dal falegname all’astronauta, a scrivere una lettera d’amore – ho bisogno assoluto di attenzione e di concentrazione, devo saper collegare i gesti e sapere che, senza quel collegamento, non ottengo nulla.
Oltre alla semplicità, all’altare della modernità abbiamo anche sacrificato l’idea che esista una natura umana e che questa natura vada rispettata e aiutata nella sua crescita. Per questo penso che togliere il maestro unico sia stata una grandissima stupidaggine come quella, tra l’altro, di abolire le magistrali. Un essere umano, per crescere, ha bisogno di stabilità, di certezze, di silenzio, solo così può riuscire a formarsi un suo pensiero e non sarà un docile soldatino nelle mani dei grandi manipolatori. La natura umana si forma nello sforzo, nella fatica, nell’idea che lo sforzo e la fatica siano passaggi fondamentali per crescere e imparare. Se non mi sforzo, se non mi applico, se non passo attraverso le forche caudine della noia, non sarò mai capace di costruire niente. E contro chi va questa confusione di intenti, questa mancanza di preparazione, se non contro le persone che un giorno saranno adulte e che avranno carenze nell’esprimersi? Saranno loro a pagarne il prezzo, perché il bambino incerto nelle nozioni della scuola elementare, sarà ancora più incerto alle medie e, alle superiori, costruirà una casa fatta di carta, pronta a volar via al primo soffio di vento. Ma un giorno la scuola e l’università finiranno, ci sarà l’incontro con il mondo del lavoro e con quali mezzi potranno affrontare un momento così importante? Come faranno a inserirsi in una società che è stata mostrata loro unicamente come antagonista? Non si tratta, a mio avviso, di essere di destra o di sinistra – io, ad esempio, ero molto negativa sulla riforma Moratti – ma di avere il coraggio di osservare la realtà e di affrontarla con quel sentimento così desueto ormai ma così importante che si chiama buonsenso e, assieme a quell’altro sentimento altrettanto lontano dai nostri giorni, che si chiama buona volontà, cercare di lavorare insieme per costruire, per una volta, il bene comune delle generazioni future alle quali finora abbiamo offerto degli esempi davvero pessimi.

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Arrestata per avere ucciso il “marito virtuale”

Posté par atempodiblog le 29 octobre 2008

Arrestata per avere ucciso il “marito virtuale” di un mondo online

Arrestata per avere ucciso il “marito virtuale” dans Articoli di Giornali e News virtualhz7 
Foto: AsiaNews.it

In un mondo web, la donna si infuria perché il “marito” divorzia, senza nemmeno una spiegazione. Per vendetta, penetra nel computer dell’autore del “marito” e lo “uccide”. Ora rischia anche 5 anni di carcere per avere manomesso l’altrui computer.

Tokyo (AsiaNews/Agenzie) – Il marito virtuale di un sito online divorzia e la donna, infuriata, manomette il computer del creatore di questo marito e lo “elimina”. Per questo è stata arrestata e rischia sino a 5 anni di carcere. La donna, una giapponese, insegnante di piano di 43 anni, ha creato un proprio avatar (personaggio virtuale) sul sito online interattivo “Maple Story”, dove questi personaggi immaginari vivono e hanno persino una vera e propria vita sociale. Ma un giorno il marito virtuale “d’improvviso divorzia, senza una parola di spiegazione. Questo mi ha fatto infuriare”, dirà poi alla polizia.

Così a maggio usa le informazioni ricevute dall’autore dell’avatar suo marito, quando erano “felicemente sposati”, penetra nel suo computer e lo “uccide”. Quando l’uomo scopre che il suo avatar è morto, denuncia tutto alla polizia.

Ora la donna è stata arrestata a Miyazaki, per accesso illegale al computer dell’uomo e manipolazione dei suoi dati, ed è stata portata a Sapporo, lontana mille chilometri. Ha ammesso tutto e ha aggiunto di non avere mai pensato a una qualsiasi vendetta nella vita reale. Queli che ha commesso sono comunque reati gravi per la legge nipponica, che prevedono il carcere fino a 5 anni o una multa fino a 5mila dollari.

Questi mondi virtuali sono sempre più frequentati da persone che ci vivono vere vite parallele, nelle quali, ad esempio, vivono le avventure e ottengono il successo che non hanno nel mondo reale, oppure abbandonano le inibizioni per compiere attività che non farebbero nella realtà. Peraltro in questi mondi ci sono regole precise e rigide: chi non le rispetta può esserne “espulso” inibendogli ulteriori accessi.

Non mancano casi in cui queste vite immaginarie hanno avuto conseguenze nel mondo reale. A Tokyo un ragazzo di 16 anni è accusato di avere “rubato” i dati e la password di un altro giocatore online per sottrargli 360mila dollari di denaro “virtuale”.

Ad agosto una donna del Delaware (Usa) è stata accusata di avere tramato il rapimento di un ragazzo con cui si era “fidanzata” sul sito web “Second Life”.

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I voltagabbana del maestro unico

Posté par atempodiblog le 27 octobre 2008

I voltagabbana del maestro unico dans Articoli di Giornali e News manifestazionebf6

«Quando l’antica maestra intera si scisse nelle tre maestre per due classi, per ragioni sindacali contro il crollo demografico, si minò un pilastro della nostra convivenza».
Ecco, non riuscivo a trovare le parole per esprimere quel che penso sulla questione del maestro unico, sui danni prodotti dalla sua abolizione, e perfino sulle ragioni («sindacali», non pedagogiche) che portarono alle tre maestre invece che una, e grazie al Cielo ho trovato un altro che aveva già messo in fila le parole giuste prima di me. Così, con una bella citazione, me la sono cavata senza faticare troppo. E sapete di chi è la frase sopra riportata fra virgolette? Di Mariastella Gelmini? Del leghista Roberto Cota? O addirittura del premier? No: sono parole di Sofri. Adriano Sofri.
E sapete dove le ha scritte? Forse sul Foglio, che è un po’ berlusconiano? No: le ha scritte su Repubblica.
E sapete quando le ha scritte? Forse anni fa, in un altro tempo e con un’altra scuola? No: le ha scritte il 3 giugno 2008. Meno di cinque mesi fa.
Per completezza di informazione: l’articolo di Sofri era pubblicato in prima pagina e s’intitolava «Ecco perché ci servono più maestre da libro Cuore». Sempre per completezza, Sofri prendeva spunto da due fatti: un articolo di Zagrebelsky («La democrazia ha ancora bisogno di maestri») e l’appello di una quarta elementare di Roma al ministero affinché non cambiasse la maestra, in età di pensione.
Siccome quando si citano frasi altrui è sempre dietro l’angolo l’accusa di estrapolazioni selvagge, chiarisco che la frase citata all’inizio va inserita nel seguente contesto, che cito testualmente: «Zagrebelsky commemora i grandi maestri civili, soppiantati da televisione, pubblicità, moda: altrettante seduzioni facili, aliene dal suscitare i bravi discepoli senza i quali non compaiono i bravi maestri. Ma nel mondo che si perde la prima e decisiva formazione civile era l’opera delle maestre. Erano loro a insegnare a leggere e scrivere, a fare le operazioni, a dire le preghiere, a stare seduti e alzarsi in piedi. Il tramonto delle maestre può essere salutato come un capitolo dell’emancipazione femminile». E subito qui di seguito la frase citata all’inizio: «Ma quando l’antica maestra intera si scisse…».
Si potrebbe obiettare che Repubblica dispone di un ampio parco di grandi firme, e non è detto che quella di Sofri sia la posizione del giornale. Ok. Però, così, giusto per procedere sulla completezza d’informazione: pochi giorni prima, sempre sulla questione della quarta elementare romana che rischiava di cambiare maestra, Repubblica aveva affidato il commento a un altro suo esperto di scuola, Marco Lodoli. Il quale, dopo aver tratteggiato le qualità e l’importanza della vecchia maestra, scriveva: «Poi qualcuno ha deciso che la maestra doveva moltiplicarsi e da una è diventata tre, e tre maestre sono diventate un viavai di volti, abbondanza e confusione, e forse qualcosa si è guadagnato e di sicuro qualcosa si è perso». Notare il «forse» e il «di sicuro». Era il 27 maggio 2008, esattamente tre mesi e venti giorni prima che lo stesso Lodoli, sempre su Repubblica, così commentasse il progetto del governo di reintrodurre il maestro unico: «Le elementari, fiore all’occhiello del nostro sistema educativo, sono finite sotto l’accetta della ministra Gelmini, che per rispettare le esigenze di risparmio non ha immaginato nient’altro che la maestra unica: come dire suicidiamoci per consumare meno ossigeno». Era il 16 settembre 2008.

Non è che vogliamo sottolineare, a proposito di maestrine dalla penna rossa, incoerenze e giravolte (nel caso di Sofri, tra l’altro, non risulta che abbia cambiato idea). Vogliamo solo esprimere lo stupore per l’attuale levata di scudi della sinistra contro il ritorno del maestro unico. Sono giorni che sentiamo demonizzare questa figura da pedagogisti che mai avevamo udito, prima, esprimersi in tal modo. Politici, giornalisti e genitori anti-Gelmini s’accodano. L’altra sera ad AnnoZero hanno parlato di «rischio di pensiero unico». Fosse un vecchio cavallo di battaglia della sinistra, capiremmo. Ma mai c’è stata, nella cultura della sinistra, l’esaltazione dei tre maestri, anzi. La loro introduzione fu motivata solo dalla volontà di salvare posti di lavoro, ma mai nessuno ne aveva esaltato l’efficacia. Al contrario, sono tantissime le testimonianze di una sinistra perplessa. Ortensio Zecchino, ministro dell’Università con D’Alema e Amato, al momento della riforma votò contro dicendo: «Non resta che prendere atto dell’esistenza di uno schieramento che ha inteso privilegiare il momento sindacale… svalutando il momento formativo e culturale». Ed Edgar Morin, consulente del ministro Fioroni proprio per la riforma della scuola, ha fatto dell’unitarietà dell’apprendimento il suo credo: «Il nostro sistema d’insegnamento – ha detto – separa le discipline e spezzetta la realtà, rendendo di fatto impossibile la comprensione del mondo».
Chissà come mai, insomma, tanti repentini cambiamenti. Personalmente ho un ricordo fantastico e commovente, della mia maestra unica. Solo che fatico anche qui a trovare le parole. Le prendo in prestito: «La figura della maestra campeggia nella nostra memoria come un totem sacro, è l’asse attorno al quale ha girato la nostra infanzia, fu la solenne e dolce depositaria di ogni sapere, quella che ci ha insegnato gli affluenti del Po e le divisioni a tre cifre, le Guerre Puniche e le poesie di Pascoli, ci ha aiutato a crescere nella pace di un tempo immobile e fecondo. (…) L’infanzia ha bisogno di certezze (…) se l’amata maestra dopo quattro anni scompare, allora tutto può svanire». Chi ha scritto queste belle parole? Ma sempre Marco Lodoli, sempre su Repubblica. Sembra ieri, invece erano ben cinque mesi fa.

di Michele Brambilla – Il Giornale

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Pubblicità choc sugli autobus

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

Londra, pubblicità choc sugli autobus:
« Dio non esiste, godetevi la vita »

Pubblicità choc sugli autobus dans Articoli di Giornali e News buslondonim5

In genere pubblicizzano film in uscita o l’ultimo profumo di Armani, ma ora sugli autobus di Londra campeggieranno poster con la scritta: «Dio probabilmente non esiste, quindi smettila di preoccuparti e goditi la vita». La campagna, naturalmente ad opera di associazioni atee, ha ricevuto offerte record per un totale di 113mila dollari, superando di ben sette volte gli obiettivi prefissati.

Fonte: La Stampa

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L’abuso dei bambini nelle manifestazioni contro l’autorità

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

L’abuso dei bambini nelle manifestazioni contro l’autorità dans Articoli di Giornali e News sciopero

Di fronte a fatti di sangue, a malversazioni di vario tipo, all’indisciplina automobilistica, o alla sporcizia urbana, o ferroviaria, tutti protestano contro lo smarrimento del senso di autorità, dell’ordine, del rispetto degli altri. Pochi, però, riflettono su come autorità, rispetto e ordine si formino. Così quando le maestre, o i genitori, mettono al collo dei bambini cartelli contro il ministro dell’istruzione, e li schierano davanti ai fotografi, pochi sembrano stupirsi.
Eppure pochi gesti minano la possibilità delle nuove generazioni di sviluppare rispetto per gli altri, e senso dell’ordine e dell’autorità, come l’utilizzo mediatico e politico dei bambini contro i rappresentanti del potere. Tanto più se l’autorità contestata è il ministro cui la legge affida l’istruzione e formazione dei giovani.
Cominciamo dallo sviluppo del rispetto, che in questo caso è, innanzitutto, quello verso i giovani e dei bambini. È rispettoso verso di loro schierarli in piazza con i cartelli appesi al collo e offrirli alle golose riprese di fotografi e cameramen? La loro privacy non vale nulla, al contrario di quelle dei figli minorenni dei vip, il cui volto viene accuratamente schermato? E perché l’immagine dei figli dei genitori narcisi, o degli allievi delle maestre spregiudicatamente decise a utilizzarli nelle loro rivendicazioni sindacali, non è protetta da nessuno? Cosa ne pensa il garante della privacy?
Molti analisti sanno bene che una foto, o una ripresa televisiva, venduta da un genitore vanitoso, o bisognoso, è poi all’origine di disturbi dolorosi, e cure difficili e complesse. Queste manifestazioni dunque sono innanzitutto lesive del più elementare rispetto umano verso i bambini che dicono di difendere. Per farlo davvero, dovrebbero rinunciare a utilizzare i loro volti, i loro occhi, le loro espressioni, ora usate come manifesti.
Quei bambini sono persone, prima che strumenti di battaglia politica.
Ma i loro insegnanti, o genitori in marcia, sembrano non saperlo. Non protestino se più tardi i ragazzi dimostreranno ai grandi la stessa mancanza di rispetto oggi usata verso di loro. Queste manifestazioni, inoltre, lanciate oggi contro Mariastella Gelmini come ieri contro Letizia Moratti, pongono le basi di un grave conflitto tra la personalità in formazione del bambino e il principio d’autorità. Quando gli insegnanti coinvolgono gli alunni nelle loro dimostrazioni di protesta, trasmettono loro, infatti, un’informazione esplicita: l’autorità non ha valore (è «ignorante», dannosa, «Gelmini mangia i bambini» – è scritto sui cartelli), va combattuta. Si tratta, però, di un messaggio «schizogeno», che tende a dividere la personalità, visto che gli stessi insegnanti rappresentano l’autorità verso i bambini.
L’ordine normativo viene così scisso in due (governo da una parte e insegnanti dall’altra), dunque indebolito, a favore di chi dispone fisicamente dei bambini (gli insegnanti) e a danno del ministro da cui il potere degli insegnanti dipende.
Al bambino viene poi fatto credere di detenere informazioni, capacità di giudizio e un potere, che non possiede: si tratta di un messaggio narcisistico, molto dannoso per la personalità. Le opinioni dei bambini non possono in realtà influire su decisioni governative, né valutarne la portata: rendere gli alunni consapevoli dei loro limiti sarebbe più educativo.
Portare i piccoli in piazza costituisce invece, tecnicamente, un abuso fisico e psichico nei loro confronti, realizzato attraverso la manipolazione delle loro opinioni e delle loro immagini, utilizzate nell’interesse personale degli adulti.

di Claudio Risé – Tratto da “Il Mattino di Napoli »

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Avete voglia di uscire dagli slogan?

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

LETTERA APERTA AGLI STUDENTI
di Mario Giordano – Direttore de ‘Il Giornale’

Cari studenti, avete voglia di uscire dagli slogan? Lo so che in queste ore di inebriante ribellione vi sentite incaricati di una missione altissima. Guardavo per le vie e dentro le Tv i vostri volti sorpresi dal primo rossore pubblico, le mani abituate a chat e messenger che si levano timide a mostrare i tazebao, quelle mise un po’ smandrappate che si tirano dietro inconsapevoli strascichi di Sessantotto. E pensavo che quando dite di volere una scuola migliore, be’, avete proprio ragione. Ma come si fa ad avere una scuola migliore? Provate a tirare fuori dagli armadi delle aule gli slogan che vi hanno preceduto: «Ucci Ucci sento odore di Falcucci», «Con simpatia la Moratti a Nassirya», «Ministro Fioroni, servo dei padroni». A Berlinguer furono mostrate le chiappe, De Mauro fu sbertucciato come Pinocchio. Ora tocca alla Gelmini, che «divora i bambini». Le rime sono persino facili, avanti con la fantasia.

Vi siete mai chiesti, però, perché ogni riforma della scuola, proposta da qualsiasi ministro, di qualsiasi partito, è sempre fallita? Cui prodest? E che ci fanno dietro le vostre spalle professori e sindacalisti? E i no global? Che c’entrano? È davvero necessario occupare le scuole? E occupare le stazioni? Chi è che vi spinge a iniziative contro la legge? Che interesse ha? Che ci fanno i politici (persino l’assessore all’Istruzione di Napoli) fra i vostri banchi? Chi è che pensa di sfruttare il vostro primo rossore per colorare piazze altrimenti vuote? Vi hanno raccontato un sacco di balle sulla riforma Gelmini. L’hanno fatto in classe. L’hanno fatto in modo strumentale. Vogliamo discuterne? Noi siamo qui. A disposizione.

Oggi non invochiamo la Polizia: anzi, pensiamo che l’intervento delle forze dell’ordine per garantire lo svolgimento delle lezioni sarebbe una sconfitta per tutti. Pensateci. E, se potete, provate a uscire dal solito cliché delle barricate. Provate ad andare oltre gli slogan. Provate a discutere nel merito come si fa ad avere una scuola migliore. Questo sì che sarebbe, per una volta, davvero rivoluzionario.

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Chi soffia sul fuoco

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2008

CHI SOFFIA SUL FUOCO
di Michele Brambilla – Il Giornale

A un certo punto dell’ottavo capitolo dei suoi Promessi Sposi, quello dedicato alla «notte degli imbrogli» (Renzo e Lucia entrano con un sotterfugio e due testimoni in casa di don Abbondio per cercare di estorcergli un matrimonio-lampo), il Manzoni così commenta: «In mezzo a questo serra serra, non possiam lasciar di fermarci un momento a fare una riflessione. Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a’ fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo… voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo».
Il lettore ci perdonerà se l’abbiamo presa alla lontana, ma la morale manzoniana ci pare calzi a pennello con quanto abbiamo visto e sentito ieri, quando da più parti s’è dato a Berlusconi dell’incendiario e del fomentatore di incidenti.
Intendiamoci bene: nessuno di noi si azzarda a paragonare il premier a Renzo, e i suoi critici (politici o giornalisti che siano) a don Rodrigo: il senso del ridicolo grazie al cielo non l’abbiamo ancora perso. Però è vero che il mondo continua ad andare come nel secolo decimo settimo, nel senso che se si giudica un fatto analizzando solo una sua parte – soprattutto se la parte è quella finale – si rischia sempre di confondere i ruoli dei protagonisti.
Berlusconi è stato fatto passare per responsabile morale di possibili incidenti nelle scuole e nelle università per aver fatto intendere che, in certi casi, avrebbe fatto ricorso «alle forze dell’ordine». Noi, come abbiamo già scritto chiaramente ieri, siamo contrari all’utilizzo di polizia e carabinieri: e quindi ci rallegriamo che il premier abbia poi precisato che a quell’ipotesi non pensa affatto. Ma non è questo il punto. Il punto è che, per quella frase, Berlusconi è passato come dicevamo per l’incendiario della situazione. «Soffia sul fuoco», ha detto Veltroni. «Getta una miccia accesa sulla benzina», ha aggiunto la Finocchiaro. «Se ci fosse un calcolo, le frasi di Berlusconi sembrerebbero pensate apposta per incendiare le università», ha scritto il direttore di Repubblica Ezio Mauro.
Non crediamo occorra essere berlusconiani – o berluscones, come dicono – per rilevare un dato di fatto elementare: e cioè che non si soffia sul fuoco se qualcun altro prima non ha acceso un fuoco; e non si getta una miccia accesa sulla benzina se qualcun altro prima non ha cosparso il campo di benzina. La tensione nelle scuole c’è già, e rischia di salire perché da settimane si sta facendo una campagna che non vogliamo chiamare «terroristica» come ha fatto la Gelmini, ma «allarmistica» senz’altro sì; una campagna zeppa di bufale sesquipedali, tipo l’abolizione del tempo pieno e dell’inglese alle elementari. Sono stati altri, a far salire la temperatura: altri come l’ex ministro Mussi che ha parlato di «strage di ricercatori universitari»; altri come il manifesto che ha titolato sul «razzismo in cattedra»; altri come chi ha fatto credere ai bambini che la riforma faccia dei morti (che cosa significa altrimenti, per un bambino, il demenziale lutto al braccio di alcune maestre?). E come chi – peggio ancora – i bambini li ha usati nei cortei: gesto infame, perché i bambini in un corteo-contro-qualcuno non vanno portati mai, chiunque sia e qualunque cosa abbia fatto quel qualcuno.
L’editoriale su Repubblica di Ezio Mauro si intitolava «Se il dissenso è un reato». C’era scritto che «qualcuno dovrebbe spiegare al Premier che la pubblica discussione e il dissenso sono invece elementi propri di una società democratica». Mauro è un grande giornalista e un uomo intelligente: ma come fa a non capire la differenza tra «la pubblica discussione» e gli incidenti di Milano dell’altro giorno; tra «il dissenso» e l’impedire fisicamente di far lezione a chi vuol far lezione. Come fa a non capire le stesse cose un Veltroni. Come fa a non capirle una Finocchiaro.
Noi la Celere non la manderemmo neanche contro chi fa i picchetti e neanche contro chi occupa. Non stiamo neppure dicendo che il decreto sulla scuola non sia criticabile. Però, che almeno siano ben delineati i ruoli in questa notte degli imbrogli, e che sia ben chiaro chi sta soffiando – da settimane – sul fuoco.

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