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Messina, dal dolore alla speranza

Posté par atempodiblog le 6 octobre 2009

Un’alluvione che ha travolto interi paesi. Ma anche la vita di tante persone. Un gruppo di amici di Messina ha scritto questo volantino, perché nella tragedia «nulla vada perso»

Messina, dal dolore alla speranza  dans Articoli di Giornali e News messina
Un edificio dopo l’alluvione.
Dolore e sconforto: questi sono i sentimenti comuni in questi giorni di fronte alla tragedia dell’alluvione che ha spazzato via case, macchine, la vita e la storia di tanti messinesi.
Un dolore forte che riapre la ferita, sempre viva ma troppo spesso anestetizzata, che ognuno di noi ha nel cuore: la domanda di significato, di senso di tutte le cose, della nostra vita.
Quando tutto sembra dover andare come deve andare, come noi pensiamo che debba andare e per cui spendiamo ogni giorno la nostra intelligenza e le nostre energie, accade sempre che la realtà si mostri improvvisamente e inesorabilmente per quello che è: altro da noi.
La realtà è evidentemente altro da noi, talmente tanto altro da noi che di fronte a queste tragedie riusciamo solo a censurarla, respingerla, mistificarla.
L’esperienza ridotta a questa reazione immediata porta all’uomo solo confusione, sconforto e ne impedisce lo sviluppo umano.
«Non voglio che si perdano questi giorni, dobbiamo accettarli per quello che sono: giorni pieni di una grazia sconosciuta» (Emmanuel Mounier, Lettere sul dolore, per sua figlia gravemente malata).
Non c’è vera esperienza che non implichi il Mistero e senza riconoscimento del Mistero non c’è esperienza, qualunque cosa si faccia o accada.
Senza il Mistero rintracciato dentro la realtà, questa potrebbe apparire insostenibile. Eppure ci sono uomini, i quali a partire dalla certezza di Colui che fa tutto, sono testimoni di una possibilità reale di speranza vissuta, dentro tutte le circostanze della vita, anche le più dolorose.
Ci sono questi testimoni: basta leggere il blog di Antonio Socci in questi giorni di grande dolore di fronte alla figlia a rischio di vita, per rintracciarne un esempio pubblico in questo momento.
Cosa permette di vivere così? Cos’è che rende possibile questo? Prendere sul serio questa domanda è l’unica possibilità per noi di passare dal dolore disperato alla certezza della speranza.

Associazione Culturale Don Giuseppe Riggi, 3 ottobre 2009
Fonte: TRACCE.it

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Radio Maria

Posté par atempodiblog le 5 octobre 2009

RADIO MARIA

“Credete a padre Livio, è la più libera che ci sia”

C’è chi arriva tardi in ufficio per ascoltare in auto le notizie lette dal direttore. E magari si converte. «È tutto merito della Vergine»
dal nostro inviato Vincenzo Sansonetti – OGGI

Radio Maria dans Articoli di Giornali e News Padre-Livio-Fanzaga

Sentite questa. Da non credere. C’è gente, fior di professionisti, ma anche impiegati, tecnici, operai, perfino studenti, chearriva tardi al lavoro, o alle lezioni in università, per sentire in auto la radio. Beh, e allora? Piacerà loro qualche bel programma musicale del mattino, direte. Nient’affatto. Ogni giorno, dalle 8 e 45, 8 e 50 fino alle 9 e 30 e oltre, un milione di radio ascoltatori si sintonizza sulle frequenze di Radio Maria. Per seguire la recita del rosario? No, per ascoltare in diretta la rassegna stampa più pazza e divertente che ci sia, tenuta da padre Livio Fanzaga, della congregazione degli Scolopi. Per tutti, solo padre Livio.

UN PIZZICO DI BUONUMORE

Padre Livio, perché questo tifo quasi da stadio?
«Faccio il commento alla stampa dal 1988 e non ci siamo ancora stancati, io di farlo e il pubblico di ascoltarlo. Leggo gli eventi della storia e della vita quotidiana alla luce della fede, con un pizzico di umorismo perché gli uomini, anche i più seri, sono un po’ bambinoni. Credo sia il commento alla stampa più libero che esista. Dico ciò che penso, senza dover rispondere a nessuno. È un previlegio più unico che raro».

Davvero c’è chi si converte sentendo i tuoi programmi?
«Sì, è vero. Molti si convertono. Succede. Ma non è merito mio o dei miei collaboratori. Il merito è tutto della Madonna».

L’autoritratto di padre Livio…
«Sono nato a Dalmine (provincia di Bergamo) nel 1940, e ordinato prete fra i Padri Scolopi nel 1966. Ho due lauree: teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e filosofia alla Cattolica di Milano. Per anni mi sono impegnato nella pastorale giovanile in una parrocchia di Milano. Poi, nel 1987, ho assunto la direzione dei programmi di Radio Maria, allora piccola emittente parrocchiale. Nel frattempo la radio è divenuta un network di dimensioni internazionali».

Cos’è Radio Maria?
«Pur essendo proprietà di una associazione civile (formata da cattolici), Radio Maria si propone come servizio a tutta la Chiesa e attinge i suoi conduttori (60 sacerdoti e altrettanti laici) e le centinaia di volontari che ne animano i programmi dalle più diverse realtà ecclesiali. Il legame con la Chiesa di tutte le Radio Maria del mondo è assicurato dai vari sacerdoti-diretttori che devono avere un mandato canonico da parte dell’autorità ecclesiastica competente. RadioMaria segue la dottrina della Chiesa, ma rischia in proprio sul piano economico e amministrativo. Siamo un fenomeno nuovo nel campo dei mass media cattolici, che ordinariamente sono proprietà della Chiesa, e rappresentiamo il network radiofonico più esteso nel mondo, guidato dall’Associazione World family of Radio Maria».

Qualche numero…
«Radio Maria copre tutto il territorio nazionale con 900 ripetitori, pari a quelli della Rai. L’ascolto medio giornaliero è di un milione e 800 mila. Non trasmettiamo pubblicità e viviamo con le offerte degli ascoltatori. Tutti i conduttori lavorano gratuitamente e abbiamo 70 studi mobili, condotti da volontari, che assicurano due collegamenti quotidiani di preghiera con le parrocchie di tutta Italia. A partire dal 1989 a oggi Radio Maria ha creato 60 emittenti, raggruppate in una associazione mondiale, che trasmettono in lingua locale in altrettante nazioni».

Siete identificati come la radio di Medjugorje. Laggiù sembra che ci sia qualche problema…
«Di recente Medjugorje è entrata nel mirino dei mass media per fatti già noti da tempo, come la riduzione allo stato laicale di Tomislav Vlasic (frate che è stato a Medjugorje dal 1982 al 1985, quando è stato allontanato) e il ritiro per un anno sabbatico di padre Jozo Zovko (parroco all’inizio delle apparizioni). Ma ciò che più stupisce è che i fedeli quest’estate sono notevolmente cresciuti. Il Festival deigiovani ha raggiunto il record di presenze, 50mila: i sacerdoti erano più di 600, contro i 500 dell’anno scorso. Nei giorni dell’Assunta i nostri pellegrini erano oltre il doppio del 2008».
robertazappa dans Padre Livio Fanzaga

LE CORNA DEL DIAVOLO

Ti accusano di vedere spuntare dappertutto le corna del diavolo. Non esageri?
«L’astuzia più grande del demonio è far credere che non esista. Così agisce indisturbato».

Prima Eluana, poi il caso Boffo. La Chiesa perde colpi?
«Nel rapporto Chiesa-politica occorre tener presente che la Chiesa è nel mondo, ma non del mondo. Perciò è ovvio che tenga un atteggiamento di critica costruttiva verso il potere politico. Che approvi o non approvi, è sempre una Chiesa amica, che vive in mezzo al popolo e lo aiuta nelle difficoltà della vita, spirituali e materiali. La Chiesa si aspetta che i cristiani laici siano più attivi nei partiti e nelle istituzioni, ma con una loro identità specifica, in modo tale da essere luce e sale, e dare alla politica un alto profilo morale».

Hai tanti collaboratori. Chi ti aiuta di più?
«Sono tutti bravi, disponibili. Ma Roberta Zappa – la sua voce è nota ai radioascoltatori – per me è preziosa. Lei è qui di Erba e lavora a Radio Maria dal 1988 come responsabile di redazione. Conduce Pomeriggio insieme, prepara il radiogiornale e cura la versione radiofonica di operedi letteratura spirituale».

di Vincenzo Sansonetti – OGGI
Fonte: Radio Maria

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Orrore a Kabul

Posté par atempodiblog le 18 septembre 2009

Orrore a Kabul dans Articoli di Giornali e News bandieraon

Sei militari italiani sono rimasti uccisi e altri tre feriti in un attentato kamikaze avvenuto stamane a Kabul. Morti anche 15 afghani, mentre i feriti civili sarebbero circa sessanta.
[...] Lo stato maggiore dell’Esercito italiano ha messo a disposizione dei familiari dei militari italiani impegnati in Afghanistan il numero verde 800228877. [...] Il Papa, informato dell’attentato, ha assicurato «la sua vicinanza nella preghiera per le vittime». Benedetto XVI ha anche manifestato «la sua vicinanza alle famiglie e a tutte le persone coinvolte».

Fonte: Il Sussidiario.net

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E’ morto Swayze

Posté par atempodiblog le 15 septembre 2009

E' morto Swayze dans Articoli di Giornali e News patricki

L’attore Patrick Swayze è morto all’età di 57 anni dopo una lunga lotta contro il cancro al pancreas.

Fonte: Il Giornale

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Quello strano caso

Posté par atempodiblog le 22 juillet 2009

Quello strano caso delle suore da F1: la polizia smentisce
Quello strano caso dans Articoli di Giornali e News strada
Dal sacerdote alla guida ubriaco perché avrebbe detto 4 messe alla novizia con foto in topless su Facebook una coppia di legali parla di casi che restano senza prove
di A. Guglielmino e N. Scavo – Avvenire.it

Un minuto e mezzo. Tanto è bastato a verificare, sabato pomeriggio scorso, che la no­tizia delle suore fermate e multate in autostrada mentre si precipitavano a 180 chilometri all’ora ad Aosta per sincerarsi dello stato di salute del Pa­pa era una notizia ancora senza ri­scontro. Perciò, dopo le telefonate ai comandi di Polizia stradale compe­tenti, che smentivano, ‘Avvenire’ non l’ha pubblicata. Puntualmente, ieri, dopo che la storia ha fatto il giro di quotidiani, tv e siti internet, è ar­rivata la smentita ufficiale della Poli­zia.

E la protesta delle suore salesia­ne, dall’Ispettoria di Torino: «Abbia­mo pensato a uno scherzo». Anche quella di M.C., sacerdote 41enne di Milano, originario di Bo­logna, fermato sull’autostrada Mila­no- Torino e risultato positivo all’al­col- test, è una notizia che il mese scorso ha avuto rilievo (il prete si sa­rebbe giustificato dicendo «Ho cele­brato quattro messe in un giorno»). Ma pure questa è risultata in seguito di difficile verifica, sia attraverso il controllo presso le forze dell’ordine, sia per voce della diocesi di Milano, che tramite l’Ufficio comunicazioni sociali fa sapere che «non esiste alcun prete con quelle iniziali, nato a Bolo­gna in quegli anni». 

Comun denominatore delle due vi­cende, battute da autorevoli agenzie di stampa e riprese dagli altri media, è la coppia di avvocati che si sarebbe occupata di entrambe, i legali Anna Orecchioni e Giacinto Canzona. Sen­tita da Avvenire in merito all’ultima vicenda l’avvocato Orecchioni asse­risce di «non avere in mano docu­menti o il verbale di accertamento della Polizia» e che il suo interessa­mento al caso, insieme al collega, sa­rebbe scaturito da una telefonata del­la suora. Non è la prima volta che i due legali romani comunicano agli organi di stampa notizie su religiosi, che dico­no di difendere. Il 15 luglio, sempre in agenzia di stampa, è balzata la vi­cenda di una novizia “punita” per la scelta di prendere i voti dall’ex fi­danzato, che ne avrebbe pubblicato su Facebook le foto in topless scatta­te prima della vocazione.

A tutela del­la suora sarebbe interventuta l’avvo­cato Orecchioni. Le foto però «sono già scomparse dalla rete, il fidanzato è stato ragionevole», come ha preci­sato ieri Orecchioni. Insomma, la cu­riosa vicenda si sarebbe esaurita qui. Non prima di aver guadagnato spa­zio sulle testate nazionali. Come altri fatti che hanno occupato prime pagine, e che hanno sempre come fonte gli stessi legali. Oltre alla vicenda della suora piemontese che va “a tavoletta” (18 luglio), e del pre­te milanese positivo al test alcolemi­co (27 giugno), c’è l’autista di autobus di Ravenna che si sarebbe visto riti­rare la patente e di conseguenza a­vrebbe perso il lavoro per essere ri­sultato positivo all’alcoltest dopo a­ver assunto farmaci antiasma (30 giu­gno).

O la sposa novella in luna di miele alle Mauritius che rientrando anzitempo in albergo avrebbe sco­perto il marito tradirla con un’altra donna, anche lei in viaggio di nozze (9 luglio). Spulciando un po’ a ritroso nell’ar­chivio delle agenzie di stampa, si re­periscono negli ultimi anni altri fatti curiosi (se non eclatanti) “resi noti” secondo la formula verbale usata dal­le testate, dall’avvocato Giacinto Can­zona. Peraltro protagonista lui stes­so di un fatto di cronaca che ebbe ri­balta nazionale: l’annullamento del­la sua laurea in giurisprudenza con­seguita nel ’96, da parte del Senato accademico della Sapienza di Roma, con la motivazione dei tempi brevi (tre anni) per ottenere il titolo. In se­guito Canzona conseguì una nuova laurea, ma il paradosso fu che nel pe­riodo intercorso fra il primo titolo di studio e l’annullamento dello stesso, lo studente aveva intrapreso la pro­fessione legale. Come nel caso della suora a 180 al­l’ora, molte notizie hanno come fon­te il comunicato scritto dal legale.

E sono riportate senza altri controlli, come purtoppo spesso accade nel si­stema dell’informazione. Forse che, almeno nell’ultimo caso, sia stata più lungimirante la reazione del lettore che commenta sul sito di un quoti­diano nazionale: «Una suora su una Fiesta a 180 all’ora? il poliziotto dev’essersi sbagliato. Era Batman».

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Aosta, il Papa in ospedale dopo caduta

Posté par atempodiblog le 17 juillet 2009

Aosta, il Papa in ospedale dopo caduta dans Articoli di Giornali e News santopadre

Tutto è andato bene nell’intervento che il Papa ha dovuto affrontare per la frattura al polso destro che si è provocato cadendo nella sua camera questa notte. In mattinata Benedetto XVI si è recato al pronto soccorso dell’ospedale di Aosta per accertamenti, era sceso dall’auto accompagnato dal suo segretario particolare ed è entrato camminando nella struttura ospedaliera. Immediate le precisazioni dal portavoce vaticano padre Lombardi: «Solo una scivolata, nulla di grave»

Tratto da: Avvenire.it

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Il senso della vacanza

Posté par atempodiblog le 9 juillet 2009

Il senso della vacanza dans Articoli di Giornali e News diddldw8

Perché in vacanza spesso non siamo contenti, o ci stanchiamo? A volte abbiamo scelto male, il tour operator, o la compagnia, non andavano bene. Di solito, però, il problema è un altro. Può anche darsi che il posto sia bello, la compagnia ottima, tutto insomma funzioni ma… non ci sentiamo a posto. E torniamo a casa più stanchi di quando siamo partiti. Come mai? Di solito, perché vogliamo «riempire» la vacanza di cose, eventi, persone. Mentre dovrebbe essere un’esperienza di vuoto.
La radice della parola vacanza è la stessa del latino vacuum, che significa, appunto, vuoto. Questo periodo può ristorarci proprio perché fa succedere un momento di svuotamento dagli impegni, incontri, pensieri, alla normale vita quotidiana, che invece è zeppa di tutte queste e altre cose.
La prima necessità della vacanza, per funzionare davvero, è dunque quella di cambiare la nostra vita di ogni giorno. Ciò viene sempre più spesso interpretato come un dover cambiare luogo, abitazione. Stiamo in città, e andiamo in un paese di mare, stiamo in Italia, e andiamo all’estero, convinti che questo cambiamento, di per sé, ci metta «in vacanza».

In realtà il luogo dove stiamo è un elemento importante, ma ancora superficiale. Decisivo è invece sostituire, alle abituali preoccupazioni, assilli, pensieri, un momento, appunto di vuoto. I padri della Chiesa lo chiamavano «deserto». Vedendolo come un luogo psicologico e mentale caratterizzato appunto da un’assenza di contenuti, e proprio per questo idoneo a farci trovare ciò che di solito non vediamo: chi siamo noi stessi, e (nella loro ricerca), persino Dio.
Questi contenuti importanti, che quando vengono trovati ci riempiono di felicità, ci appaiono però quando meno ce li aspettiamo: nel linguaggio della patristica appunto nel «deserto», non nel monastero o nella cattedrale, luoghi impegnativi, iperorganizzati, dove difficilmente può prodursi qualcosa di nuovo.
Le vacanze di oggi spesso non funzionano perché sono troppo affollate: non tanto di persone, ma di idee, cose da fare, impegni. L’industria delle vacanze, ma anche l’editoria, le comunicazioni che si occupano di questa parte della vita umana, sono sempre più impegnate nell’evitare a chi smette di lavorare ogni momento di noia. Questo, però, è un gravissimo errore. In realtà, quelle prime ore di noia, o almeno di straniamento, che seguono all’inizio della vacanza sono la migliore garanzia che quel periodo funzionerà, andrà bene.
La noia infatti, il senso di straniamento, intervengono appunto quando noi stiamo uscendo dai riti, dalle ansie, dai pensieri che affollano, riempiono incessantemente, la nostra vita quotidiana. Allo sparire di tutto ciò, che indica appunto una situazione diversa, più «vuota», nella quale potremo finalmente riposarci, e magari anche accorgerci di qualcosa di davvero nuovo, il nevrotico superimpegnato e abitudinario che è in noi viene preso da un leggero panico. Com’è possibile non far nulla, o quasi? Sarà poi giusto, morale?
A questi interrogativi preoccupati risponde subito l’industria turistica proponendoci incontri, dibattiti, escursioni, avventure, feste. A quel punto, la nostra vacanza è già fortemente in pericolo. Lo sperimentare tranquillamente il vuoto, l’otium dei latini, rischia di diventare impossibile perché siamo di nuovo impegnati fino al collo in mille «negotia», occupazioni e progetti. A quel punto, abbiamo prontamente evitato la noia, e quel senso di straniamento che accompagna ogni reale cambiamento di ambiente, ma abbiamo anche liquidato la nostra sospirata vacanza. Per continuare a stancarci, come sempre.

di Claudio Risé da “Il Mattino di Napoli”

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Tolleranza

Posté par atempodiblog le 3 juillet 2009

 Tolleranza dans Antonio Socci maestra

Sulla Repubblica (10/6), nella rubrica di Corrado Augias, è uscita la missiva di una lettrice che racconta un fatto emblematico. Un ragazzo di 13 anni va a scuola (frequenta le medie, in un normale istituto italiano) con una maglietta che la nonna gli ha portato in regalo dal Santuario di Fatima. Sulla T-shirt stava scritto appunto “Fatima”. Sotto erano riprodotti, in scala ridotta, la Madonna coi tre pastorelli.
“L’insegnante di Storia” si legge nella lettera “ha costretto il ragazzo a toglierla (…). Alcuni compagni hanno riferito che la prof aveva inveito contro lo studente chiamandolo ‘bigotto’ e aggiungendo che i ‘cristiani non sanno più pensare con la propria testa, ma ripetono come pappagalli ciò che sentono da quel tedesco vestito di bianco’ ”.
Accade dunque che il padre del ragazzo va dal preside e quando questi ha chiamato l’insegnante si è sentito spiegare che lei “voleva ‘dare una lezione di educazione civica’, che l’Italia è un paese laico, che ‘l’errore è stato fatto da chi fa doni diseducativi per un ragazzo’ ”. Mentre andava avanti tale discussione, riferisce la lettera, “è passato un ragazzo della stessa classe con una T-shirt dove campeggiava un bimbo che mostrava il pugno chiuso dal quale fuoriusciva un solo dito: il medio. Nel retro una scritta irriferibile”.

Fonte: antoniosocci.it

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Michael Jackson è morto

Posté par atempodiblog le 26 juin 2009

Michael Jackson è morto dans Articoli di Giornali e News jacksontya

Michael Jackson « Il Re del Pop » si è spento dopo essere stato trasportato d’urgenza in ospedale a Los Angeles per problemi cardiaci. Un’ambulanza era stata chiamata alla sua abitazione di Los Angeles poco dopo le ore 12.00. Secondo alcuni testimoni, il personale paramedico ha dovuto effettuare un intervento d’emergenza per riattivare il battito cardiaco del cantante. Poi l’inutile corsa in ospedale.

Dopo aver iniziato la propria carriera a soli cinque anni nel gruppo di famiglia Jackson Five, iniziò la propria attività da solista nel 1971, con il singolo Got to be there. Nel 1979 esordì definitivamente da solista, e divenne l’artista pop di maggior successo di sempre; ciò fu dovuto principalmente a Thriller (1982), tuttora l’album più venduto nella storia della musica, co-prodotto da Quincy Jones e vincitore di 8 premi Grammy. Secondo il Guinness World Records, il cantautore ha venduto oltre 750 milioni di albums, ciò lo rende di fatto l’artista solista con il maggior successo di sempre.
Considerato il Re del Pop oltre che uno dei più importanti musicisti e intrattenitori nella storia dello spettacolo, in più di quarant’anni di carriera Michael Jackson ha ricevuto numerosi premi, tra cui quelli di miglior artista pop maschile del millennio ai World Music Awards del 2000 e di artista del secolo agli American Music Awards del 2002. È stato anche incluso due volte nella Rock and Roll Hall of Fame, nel 1997 come vocalist dei Jackson Five e nel 2001 per la sua carriera solista. Nel 2002 è anche entrato nella Songwriters Hall of Fame. Nel corso della sua carriera ha vinto 13 Grammy Awards.

Fonte: ilsussidiario.net

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Lettera ai cercatori di Dio

Posté par atempodiblog le 14 juin 2009

La « Lettera ai cercatori di Dio » è stata preparata per iniziativa della Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della Conferenza Episcopale Italiana, come sussidio offerto a chiunque voglia farne oggetto di lettura personale, oltre che come punto di partenza per dialoghi destinati al primo annuncio della fede in Gesù Cristo, all’interno di un itinerario che possa introdurre all’esperienza della vita cristiana nella Chiesa. Il Consiglio Episcopale Permanente ne ha approvato la pubblicazione nella sessione del 22-25 settembre 2008.

« Frutto di un lavoro collegiale che ha coinvolto vescovi, teologi, pastoralisti, catecheti ed esperti nella comunicazione, la Lettera si rivolge ai “cercatori di Dio”, a tutti coloro, cioè, che sono alla ricerca del volto del Dio vivente. Lo sono i credenti, che crescono nella conoscenza della fede proprio a partire da domande sempre nuove, e quanti – pur non credendo – avvertono la profondità degli interrogativi su Dio e sulle cose ultime » scrive nella presentazione S.E. Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto e Presidente della Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.

[...] « La Commissione Episcopale si augura che la Lettera possa raggiungere tanti e suscitare reazioni, risposte, nuove domande, che aiutino ciascuno a interrogarsi sul Dio di Gesù Cristo e a lasciarsi interrogare da Lui – aggiunge Monsignor Forte -. Affida perciò al Signore queste pagine e chi le leggerà, perché sia Lui a farne strumento della Sua grazia ». 

Lettera ai cercatori di Dio dans Articoli di Giornali e News iconarrowti7  Lettera ai cercatori di Dio 

Fonte: chiesacattolica.it

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Il Torino della memoria

Posté par atempodiblog le 4 mai 2009

Superga, 4 maggio 1949. L’inspiegabile sopravvivenza di una squadra morta troppe volte per morire davvero

 

Ross come ’l sangh/ fòrt come ’l Barbera/ veuj ricordete adess, me grand Turin. […] T’has vinciù ’l mond/ a vint ani ’t ses mòrt./ Me Turin grand/ me Turin fòrt. (Rosso come il sangue, forte come il Barbera, voglio ricordarti adesso, mio grande Torino. Hai vinto il mondo, a vent’anni sei morto. Mio Torino grande, mio Torino forte). Giovanni Arpino, “Me grand Turin”.
Il Torino della memoria dans Articoli di Giornali e News grandetorino
Sessant’anni sono troppi
per permettersi il lusso della nostalgia. Sessant’anni sono troppo pochi perché la storia possa relegarli a qualche pagina iniziale dei manuali del calcio o a un riquadro con la dicitura “accadde oggi”. Sessant’anni sono tutto, per il paese che li amava, per la città che non li ha dimenticati. Eppure sessant’anni sono niente per chi non li ha mai visti vivi.

 

Sotto la pioggia di un pomeriggio del 1949 la squadra più forte del mondo abbandonò la scena della sua storia ed entrò di schianto nella sua eternità. Erano le 17.03 del 4 maggio, quando la torre di controllo dell’aeroporto di Torino cominciò a sospettare che ci fosse qualcosa che non andava: il pilota dell’aereo che riportava a casa i giocatori del Torino non rispondeva più alla radio. Le nubi basse, inconsuete per la stagione, addormentavano la città da qualche ora, quando si udì l’esplosione. L’impatto avvenne alla base del muro posteriore della basilica di Superga, sulla collina da cui la Madonna guarda i torinesi. Il boato fu tremendo, le fiamme immediate. In un istante impercettibile ed eterno, il destino si portò via tutti i giocatori del Grande Torino. Loro, che non avrebbero dovuto andarsene via mai. Loro, che forse se ne andarono al momento giusto, giovani come gli eroi cari agli dei. Avevano appena messo al sicuro il loro quinto scudetto consecutivo, pareggiando 0-0 a Milano contro l’Inter, e il presidente Ferruccio Novo aveva permesso loro di andare a giocare una partita di beneficenza in Portogallo, per festeggiare l’addio al calcio di Ferreira, capitano del Benfica. Per un’ironia della sorte tutta granata, il Torino aveva perso 3-2 quell’ultima, insignificante partita. Dopo aver vinto tutto. “Arriviamo” avevano detto per telefono a mogli e fidanzate prima di partire. “Addio”, avrebbero risposto in lacrime loro il giorno dopo. La moglie di Gabetto, l’attaccante famoso per le sue rovesciate e la brillantina in testa, era stata la prima a saperlo. Dopo il botto a Superga aveva telefonato all’aeroporto. “Dove sono?”, aveva sussurrato all’apparecchio. “Sono morti tutti”, aveva risposto un filo di voce dall’altra parte. Con loro tutto l’equipaggio, alcuni dirigenti e tre giornalisti, Renato Casalbore, fondatore di Tuttosport, Renato Tosatti, e Luigi Cavallero.

L’abbraccio, commosso e piemontese nei modi, glielo diedero in seicentomila pochi giorni dopo, ai funerali di stato. A riconoscere i corpi, carbonizzati e sfigurati, era stato Vittorio Pozzo, allenatore della Nazionale italiana, ma eminenza grigia del presidente Novo nella costruzione di quella squadra che, insieme con Coppi e Bartali nel ciclismo, aveva ridato speranza a un paese intero dopo la devastazione della guerra, mondiale e civile. Perché così come le due ruote, il pallone giocato dalle maglie granata del Grande Torino, faceva sognare gli italiani. Tutti tifavano quei colori, comunque simpatizzavano per essi, tutti sapevano a memoria la filastrocca, Bacigalupo – Ballarin – Maroso – Grezar – Rigamonti – Castigliano – Menti – Loik – Gabetto – Mazzola – Ossola. Anche chi il calcio mai lo aveva seguito. Chi li ha visti dal vivo e oggi lo racconta dice di una squadra senza individualità spaventose, senza fenomeni, ma che era un blocco unico, insormontabile. Capace di non perdere una partita in casa per quattro anni di fila, capace di vincere uno scudetto con sedici punti di vantaggio sulla seconda segnando 125 gol, capace di vincere partite anche 10-0 (ad Alessandria, quando il granata Grezar segnò un gol stoppando di petto un rinvio del portiere avversario, Diamante, e ricalciando in porta al volo, da centrocampo), capace di essere “l’evento” da andare a vedere, l’esempio da imitare.

Chi muore giovane in modo tragico diventa Grande per forza, eppure loro erano Grandi già in vita, come se un Omero moderno ne avesse già tracciato il destino, drammatico e poetico insieme, prima che lo facessero le nubi basse su Torino quel 4 maggio del 1949. “Era un calcio diverso – racconta Franco Ossola – figlio dell’ala destra di quel Torino, nato pochi mesi dopo lo schianto, una vita passata a cercare e raccontare le gesta del padre mai incontrato e dei suoi compagni – ma ciò che faceva grandi quegli uomini era, oltre allo strapotere tecnico e fisico, la loro forza morale: in un momento di crisi di identità come quello del Dopoguerra fu un coagulo importantissimo per gli italiani. Rappresentavano una serie di valori che il popolo aveva come dimenticato, perso per strada: la dignità, l’onore, la fierezza. La gente si riconosceva nei suoi campioni, che erano persone normali: li incontravi per strada, al bar, alcuni di loro avevano dei negozi in centro dove lavoravano”.

Il racconto del Grande Torino non è però il rimpianto per un mondo che non c’è più, o il pugno chiuso contro il cielo plumbeo che ha portato via gli eroi, neppure una nostalgia pelosa per un passato che non può tornare. Non può essere così perché quel passato non se n’è mai andato. “Quando chiedo a chiunque che cosa facesse quel pomeriggio del 4 maggio – continua Ossola – non ce n’è uno che non lo ricordi nitidamente”. Oggi però, forse, una tragedia del genere non sarebbe sentita in quel modo, non ne nascerebbe una leggenda come per quella squadra. “Di sicuro no – dice Giampaolo Ormezzano, storico giornalista sportivo e tifoso del Torino – ci sarebbe subito qualcuno pronto a tirare fuori qualche gossip, qualche porcata fatta da questo o quel calciatore”. Forse è questo che dà “fastidio” del Grande Torino, continua: “Erano troppo puri – sorride – Tutto ciò che non c’era di ‘giusto’ è stato cancellato da quella morte epica, quasi omerica. Quella squadra è diventata un simbolo di perfezione. Invece erano persone come tutti, un undici che magari oggi non vincerebbe nemmeno lo scudetto”. Ma allora li vinceva. “Era una forza terrena, operaia, molto piemontese – prosegue Ormezzano – messi insieme in modo geniale dal presidente Ferruccio Novo”.

Nessuno come il Grande Torino, però, aveva il senso costante dell’utilità, il senso della squadra; e della rappresentanza: Coppi e Bartali erano l’Italia che vinceva il Tour, loro erano l’Italia. Anche nel vero senso della parola: arrivarono a indossare la maglia azzurra dieci giocatori su undici, una volta. Era contro l’Ungheria. Vittoria per 3-2. L’unico intruso, il portiere: Sentimenti IV, estremo difensore della Juventus. Bacigalupo, il portiere granata, era ancora troppo giovane ma, come si dice oggi, “già nel giro”. Cercando tra i resti dell’aereo, in mezzo alle lamiere fuse e alle scarpe sparse sulla collina, trovarono il portafogli di “Baciga”. Dentro, ben custodita, una foto col “nemico” bianconero. Non è un caso che l’unica maglia di club presente al museo del calcio di Coverciano, tra le decine di casacche azzurre, è quella granata con il 10 di Valentino Mazzola, il capitano. Lui, poi, era un discorso a parte. Quando decideva che non ce n’era più per nessuno, non ce n’era più per nessuno. Se il Toro era sotto, anche di due o tre gol, a un certo punto si tirava su le maniche. Dagli spalti, in mezzo alla folla, Bolmida suonava la carica con la sua tromba. In un quarto d’ora il risultato era ribaltato. Il 30 maggio del 1948, per esempio, la Lazio conduceva per 3-0. In pochi minuti fu 4-3. Il famoso quarto d’ora granata.

Il loro stadio, poi. Al Filadelfia, così si chiamava, la recinzione era a un metro dal terreno di gioco, e quel grido “Toro! Toro!” risuonava nelle orecchie per novanta minuti. La fossa dei leoni, la chiamavano. In quel campo, quando poi negli anni ci si spostò a giocare al Comunale, il Torino ha cresciuto generazioni di ragazzi, uomini e calciatori. Facendo loro respirare quell’aria, facendo toccare quegli spogliatoi. “Al Filadelfia c’erano muri che sembravano persone, e persone che erano come muri”, dirà anni dopo Walter Novellino, cresciuto nel vivaio e andato a far fortuna altrove. Alberto Manassero, che di Torino scrive su Tuttosport da dieci anni, conosce tanti giocatori passati dal “Fila”, e dice che “per molti di loro è bastato crescere lì per innamorarsi di quella maglia”. Magari non hanno mai giocato in prima squadra, come Giancarlo Camolese, l’attuale allenatore del Torino che ha giocato solo in Coppa Italia, o sono andati a vincere tutto con altri colori (è il caso, tra i tanti, di Diego Fuser), ma il granata ce l’hanno dentro, addosso. Poi, da un giorno all’altro, il Filadelfia non c’è stato più. In una città dove le Belle arti non fanno toccare nemmeno i marciapiedi, si è misteriosamente trovato il permesso per abbattere quel testimone imponente e silenzioso della gloria del Grande Torino. “Per ricostruirlo subito”, promisero allora politici e dirigenti. Son passati dodici anni, e se non fosse per l’amore dei tifosi, anche le poche pietre rimaste in piedi sarebbero soffocate dalle erbacce. E mentre in pochi giorni si trovano i soldi per rifare lo stadio alla Juventus, l’amministrazione (del tifoso Sergio Chiamparino) continua a trovare ostacoli burocratici per impedire che si ricostruisca almeno un campo d’allenamento. Ci sono luoghi, nella storia delle persone, senza i quali uno non è più lo stesso. Se distruggi la memoria di un uomo, hai distrutto l’uomo. Per il Torino il Filadelfia è la stessa cosa. In troppi hanno capito che su quel tasto ci si fa pubblicità gratis e si vincono elezioni. Come un mantra, ciclicamente esce fuori qualcuno con un progetto pronto, una cordata già all’opera, un sogno da realizzare. Sistematicamente non succede nulla.

Ma il tifoso del Toro è morto troppe volte per morire davvero, è diventato troppo cinico per esserlo sul serio. Ha imparato che il calcio è una cosa seria, perché c’entra con la vita, dato che c’entra con la morte; e come ogni 4 maggio, anche quest’anno un popolo intero sarà lì, su quel campo, e a Superga, a ricordare perché quando si parla della prima squadra di Torino non si parla solo di calcio. C’è una storia, un’appartenenza strana dietro, inspiegabile a chi non si inerpica su per la collina del disastro e non va a visitare quella lapide, i nomi incisi sopra che nessun brutto tempo cancellerà. Quei nomi sono incisi sulle ossa di ogni torinista, e di ogni torinese che quel pomeriggio di sessant’anni fa c’era. Quando si parla del Grande Torino non c’è sfottò che tenga. E’ poesia, quella, epica, trionfo e tragedia. Mica solo calcio. Ogni tifoso del Torino ha visto giocare il Grande Torino. Anche se non era ancora nato. Sembra insensato, ma è così. Non è un rimpianto, il commemorare gli eroi di Superga, perché non puoi rimpiangere ciò che non hai visto. E’ l’orgogliosa coscienza di appartenere a una storia che nessuna Champions League potrà eguagliare, mai. Sessant’anni sono troppi per vivere solo di un’idea.

Sessant’anni sono troppo pochi perché tutti i disastri (societari e non) che da quel 4 maggio hanno attraversato la storia del Torino potessero uccidere quel popolo. Forse il Toro non c’è più. Forse il fallimento di tre ani fa e quello che ne è venuto dopo hanno come narcotizzato una storia unica nel mondo (nessuna squadra di calcio ha così tanti libri, film e documentari dedicati), certo il “calcio moderno”, in cui il tifoso granata si trova a proprio agio come un pallone sgonfio in cima a un albero, vorrebbe normalizzare la leggenda. Eppure ogni 4 maggio sono migliaia le persone che salgono su alla basilica, che prendono messa insieme ai giocatori e ai vecchi campioni, che portano un fiore o una preghiera agli Invincibili. Arrivati sul piazzale di Superga, quello che guarda Torino, è normale fare il giro, andare a vedere dove tutto è incominciato. Se uno chiude gli occhi, sente l’acqua sui vestiti, la nebbia nei polmoni; poi, alle spalle, il rombo imponente e fatale. Di colpo è schianto, crollo, fuoco, motori. Poi silenzio. Solo pioggia a rimbalzare sul metallo piegato. La domenica successiva, in campo scesero i ragazzi delle giovanili, i volti rigati di lacrime. Dagli spalti, la tromba di Bolmida e quel coro: “Toro! Toro!”, che continua ancora oggi. Non sono scomparsi, i Campioni. Sono andati a vincere tutto da un’altra parte. Per sempre.

di Piero Vietti – IL FOGLIO.it

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I nuovi cattolici

Posté par atempodiblog le 16 avril 2009

Storie di una generazione che “tradisce” l’educazione sessantottina all’ateismo e all’indifferenza per abbracciare la Chiesa
di Lorenzo Fazzini – Tempi

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«Fino a 20 anni non mi sono mai fatto nessuna domanda su Dio: i miei genitori, gente del Sessantotto, non mi avevano battezzato: loro non hanno mai praticato, sono credenti in maniera formale. Non mi hanno fatto battezzare perché, mi dicevano, “non vogliamo importi niente”. Per me Dio non esisteva, la Chiesa si basava su cose non tangibili. Poi ho iniziato ad avvertire un desiderio di qualcosa che mi riempisse la vita. Alcuni incontri mi hanno cambiato: ad esempio quello con il parroco della chiesa di San Lazzaro che ha iniziato a parlarmi del Vangelo. L’annuncio di Cristo mi ha messo in crisi, in particolare quella frase: “Io sarò sempre con voi”, cioè la vicinanza di Dio a chi è lontano». Daniele, 25 anni, studente di Fisica a Padova, è un neofita, battezzato nella veglia di Pasqua del 2007.
«Durante l’adolescenza gli amici mi prendevano in giro perché ero una “comunista”, non battezzata. I miei, battezzati, avevano lasciato libere me e mia sorella e anche i nostri due fratelli più piccoli, anche se ci hanno sempre educati alla generosità. La Bibbia non sapevo cosa fosse, per me Pasqua era semplicemente la festa in cui si aprono le uova di cioccolato. Però, crescendo, sentivo un’inquietudine. Poi una compagna di università mi ha invitato ad un ritiro tenuto da francescani. Lì un frate mi ha parlato di Dio Padre e del suo amore per me. E ho iniziato a pregare. Allora ho capito cos’era quell’inquietudine che mi portava a tenere un diario di cose mie e raccontare tutto a un “Tu”». Elisa ha 26 anni, abita a Verona, è medico specializzanda in ginecologia. Due anni fa è stata battezzata nella chiesa di San Bernardino nel capoluogo scaligero. Sua sorella Chiara, 24 anni, educatrice, ha seguito il suo esempio un anno dopo. «Anche se all’inizio la scelta di Elisa mi faceva rabbia», racconta Chiara, diventata cristiana durante la veglia pasquale dell’anno scorso.
Analoga l’educazione all’insegna della “libertà di scelta” ricevuta da Eva, 27 anni, figlia di genitori cristiani poi allontanatisi dalla fede. «Quando sono nata – racconta – hanno preferito non battezzarmi per lasciare a me la scelta una volta raggiunta la maturità». La laurea in storia dell’arte alla Cattolica di Milano e poi la decisione che meditava da tempo: quella di intraprendere il percorso per il battesimo. «Pur non essendo battezzata, sono sempre stata credente, quindi sentivo che mi mancava qualcosa che lo ufficializzasse». L’ufficializzazione è arrivata durante la scorsa veglia di Pasqua, quando Eva ha ricevuto Battesimo, Eucaristia e Cresima dalle mani del cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi.
Daniele, Elisa, Chiara, Eva. Non sono solo mosche bianche in un’Italia che assiste a un ritorno nella Chiesa dei “nipoti del Sessantotto”. I figli di quei genitori degli anni Settanta che hanno fatto della libertà un totem intoccabile oggi domandano di diventare cattolici. I dati confermano che sono in aumento i nostri connazionali che, non avendo ricevuto da neonati il Battesimo (una pratica andata in crisi nel post Concilio) ora domandano l’ammissione alla Chiesa. «Molti catecumeni hanno come retroterra di esperienza il ’68» conferma don Andrea Lonardo, responsabile dell’ufficio catechistico del vicariato di Roma, che coordina il cammino dei nuovi cattolici nella Capitale. «Ho incontrato figli di molti anticlericali, anche di intellettuali. Arrivano al Battesimo in modi diversi: alcuni da movimenti come Comunione e Liberazione o i Neocatecumenali, la maggior parte da percorsi autonomi. Ogni anno a Roma abbiamo una media di 110 battesimi di adulti all’anno, metà stranieri metà italiani: ci sono giovani universitari o persone sui 40-50 anni». «Il fenomeno dei catecumeni italiani non è nuovo» spiega don Gianandrea Di Donna, che guida il settore catecumenato della diocesi di Padova. «I numeri sono aumentati, non sono altissimi ma ci sono». Guardiamo all’esempio della città veneta: nel settembre 2008 hanno iniziato l’iter verso il Battesimo 33 adulti, di cui 10 italiani; nel 2007 erano 24, con 4 “indigeni”. Nel 2006, 23 aspiranti battezzandi di cui 6 italiani. Attualmente, a Padova sono in cammino verso il Battesimo 80 uomini e donne, di cui 15 italiani. Il trend è positivo anche a Milano. «Da poche decine di catecumeni siamo passati a centinaia» sottolinea don Paolo Sartor, referente dell’arcidiocesi di Milano per i “nuovi cattolici”. Quest’anno saranno 153 i catecumeni che verranno battezzati dal cardinal Tettamanzi a Pasqua. «Il numero degli adulti che si battezzano è in lieve crescita anche da noi. O come diceva il cardinal Martini: “Sono molti, anche a Milano, coloro che passano il largo confine tra l’ombra e la luce”».

Un percorso lungo che non si fa da soli
La conferma arriva dalla Conferenza episcopale italiana, come certifica don Guido Benzi, direttore dell’ufficio catechistico della Cei, che ogni anno raccoglie cifre e numeri delle 223 diocesi italiane in tema di battesimi di adulti. «Siamo passati dai 1044 battesimi del 2005 ai 1302 battesimi del 2007. Di questi ultimi 535 sono uomini e 773 donne» annota. Di questi, 543 catecumeni sono italiani e 727 immigrati. Quindi non sono solo gli stranieri che si stabiliscono in Italia a chiedere di entrare nella Chiesa, in parte perché scoprono la fede cristiana ab origine, in parte perché trovano nella comunità cattolica un ulteriore elemento di integrazione sociale. Esiste, ed è ampio, anche l’incremento dei catecumeni italiani. Ribadisce don Lonardo di Roma: «Da un paio di anni a questa parte le cifre dei catecumeni italiani sta aumentando anche nella Capitale». Il responsabile della Cei traccia poi una sorta di profilo del “nuovo cattolico italiano”: «Emerge l’identikit di persone prevalentemente tra i trenta e i cinquant’anni rappresentative di tutti i ceti sociali. Nel 2007 la regione con il maggior numero di battesimi è stata la Lombardia, seguita a ruota da Toscana, Lazio, Emilia-Romagna e Sicilia».
Ma come si diventa cattolici da adulti nell’Italia del 2009? «Il cammino del catecumenato non è un percorso facilissimo – annota don Benzi. Dopo un periodo di preparazione la persona viene affidata ad un “accompagnatore” che la aiuta nella conoscenza della fede cristiana, nella lettura della Parola di Dio, nella preghiera e nella conoscenza della vita della Chiesa. Questo periodo può durare anche due anni. C’è poi un cammino specifico, normalmente nell’ultimo anno, ritmato anche da alcuni “passaggi” che sono fissati nel rito dell’iniziazione cristiana degli adulti. Di norma il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia dell’adulto vengono celebrate dal vescovo in cattedrale nella notte di Pasqua».
I modi di arrivare al fonte battesimale sono diversi, ma «un dato costante è l’incontro con altri battezzati (colleghi di lavoro, amici operatori in associazioni di volontariato, vicini di casa) che testimoniano la fede», annota don Benzi della Cei. «Interessante è come la persona del parroco non sia marginale al cammino che conduce alla decisione di diventare cristiani. Insomma si ha l’impressione di un lavorio silenzioso e tenace dello Spirito che conduce le persone attraverso gli ordinari fatti e luoghi della vita alla scoperta della fede e del volto di Gesù». «Un’esperienza particolare, l’incontro con un sacerdote, un periodo di sofferenza: in mezzo a tali vicende queste persone iniziano a porsi il problema di Dio e del senso della vita» spiega don Di Donna di Padova. «E incontrano la risposta nella persona di Cristo. Non ho mai trovato motivazioni banali nei catecumeni adulti, ma il senso di qualcosa che manca, che non si trova nell’ordinario». Sottolinea don Benzi: «È come se questo tessuto delicato ma resistente di relazioni positive ed autentiche, di aiuti, testimonianze e incontri non possa essere registrato nei paludati salotti di certa cultura».
«Il profeta Geremia scrive: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre”. Ecco, è stata questa la sensazione che ho provato con Dio», spiega Daniele Dequal, padovano, battezzato a 23 anni dopo l’incontro decisivo con la comunità Nuovi Orizzonti fondata a Roma da Chiara Amirante. «Le mie resistenze sono state travolte da questo Amore, come se io fossi stato cercato da Dio e il contrario». Dopo un cammino di catecumenato durato 18 mesi Daniele ha ricevuto il battesimo nel 2007.

La fidanzata che voleva sposarsi in Chiesa
Fabio Barbieri, della parrocchia di san Lorenzo in Monluè, a Milano, battezzando a Pasqua, è arrivato al cristianesimo per la sua fidanzata, che ha sempre voluto sposarsi in Chiesa. «E la cosa bella – racconta – è che adesso, se anche per caso dovessi rompere con questa ragazza, vorrei comunque ricevere il Battesimo e diventare cristiano». Per Federico, 35 anni, responsabile commerciale di un supermercato tra Venezia e Padova, la scelta di Cristo è arrivata tramite un’esperienza di sofferenza: «Anch’io sono un “nipote” del Sessantotto, i miei mi hanno lasciato “libero” senza farmi battezzare. Però sono cresciuto credendo che la vita continua dopo la morte e che abbiamo un’anima. È stato dopo un periodo di problemi di salute che mi sono riavvicinato alla Chiesa. Ho incontrato un prete che mi ha raccontato di un Dio che è amore, non mi ha fatto una morale, ma mi ha spiegato che Dio vuole il nostro bene e che la nostra vita sia realizzata. Da lì ho pensato che potevo rivolgermi a Dio come a una persona. Durante un ricovero in ospedale sono entrato nella cappella: ho trovato il vangelo in cui Gesù dopo Pasqua arriva nel Cenacolo e dice agli apostoli: “Pace a voi”. Ho capito che il Signore entra nella nostra vita nonostante le nostre porte chiuse». Così è cominciato l’iter che ha portato Federico al Battesimo la scorsa Pasqua.
In un tempo secondo cui la religione «avvelena ogni cosa», per dirla con Christopher Hitchens, le difficoltà, le derisioni, gli sbarramenti anti-cristiani della cultura di oggi colpiscono anche i neo-cattolici. «I catecumeni sanno che riceveranno un solo applauso, quello nella notte di Pasqua al loro battesimo», chiosa don Sartor di Milano. «Ho ricevuto più critiche che sostegno nella mia scelta, anche in famiglia, soprattutto in merito alle posizioni della gerarchia cattolica – afferma Daniele di Padova. Ma raramente si parla di cosa è veramente il cristianesimo. Per questo motivo queste critiche non mi fanno granché problema». E Fabio di Milano conclude: «In casa mia c’è sempre stato un certo astio per la Chiesa. Mio nonno era partigiano e dice che durante la guerra ha visto più preti-spie di quelli che erano dalla sua parte. Ma la mia risposta alle loro critiche è questa: se tu domani muori e non ci sei più, Uno solo è tornato indietro a dirci cosa c’è oltre la morte».

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Onna resta in piedi una casa “protetta” dalla Madonna

Posté par atempodiblog le 8 avril 2009

Onna resta in piedi una casa “protetta” dalla Madonna dans Articoli di Giornali e News madonnar

Onna resta in piedi una casa “protetta” dalla Madonna

A Onna, nel paese praticamente raso al suolo dal terremoto di ieri notte, c’è una casa rimasta in piedi che nel cortile ha una statua della Madonna di Lourdes. A segnalare il fatto è la presidente regionale dell’Unitalsi, Maria Lilia Ranalletta, che da ieri si trova sul luogo del disastro con i volontari a soccorrere la popolazione.

«Tutto il paese è completamente distrutto – dice la donna – l’unica casa assolutamente intatta è un’abitazione dove nel cortile c’è una piccola statua della Madonna di Lourdes, di circa 30 centimetri che è rivolta verso la casa. Non faccio nessun commento: l’unica cosa che posso dire e che nella mia esperienza sia nell’Unitalsi che nella vita questo non rappresenta un fatto eccezionale. Tante volte ho visto case di questo tipo e io insieme a tanti volontari abbiamo la certezza della protezione speciale della Madonna. È un fatto che non mi meraviglia».

Fonte: Il Sussidiario.net

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Sisma in Abruzzo

Posté par atempodiblog le 7 avril 2009

Oltre 170 morti, dramma per 70mila sfollati

Proseguono le scosse di assestamento dopo il terremoto di ieri. Almeno 10mila edifici lesionati. Interi paesi distrutti. Sono 250 i dispersi, più di 1.500 i feriti. Sessanta le persone estratte vive dalle macerie. Corsa contro il tempo per i soccorsi. Caos all’ospedale dell’Aquila: inagibile al 90%, senza acqua potabile, feriti sul piazzale. Maroni: « Tutti avranno un tetto ». Bertolaso: « E’ la peggiore tragedia dall’inizio del millennio ».

Fonte: Il Giornale

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Benedetto XVI, “preghiere per vittime, in particolare per bambini”

Posté par atempodiblog le 6 avril 2009

Benedetto XVI, “preghiere per vittime, in particolare per bambini”

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SIR 06-04-2009. – “Viva partecipazione al dolore delle care popolazioni” colpite dal terremoto in Abruzzo e “fervide preghiere per le vittime, in particolare per i bambini”. È quanto esprime Benedetto XVI in un telegramma di cordoglio per le vittime del terremoto che ha colpito alle prime ore di questa mattina la città de L’ Aquila e l’Abruzzo.

Il messaggio è stato inviato dal Papa all’arcivescovo de L’Aquila, mons. Giuseppe Molinari, tramite il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. “La drammatica notizia del violento terremoto che ha scosso il territorio di codesta arcidiocesi – si legge nel messaggio – ha riempito di costernazione l’animo del Sommo Pontefice il quale incarica vostra Eccellenza di trasmettere l’espressione della sua viva partecipazione al dolore delle care popolazioni colpite dal tragico evento.

Nell’assicurare fervide preghiere per le vittime, in particolare per i bambini, Sua Santità invoca dal Signore conforto per i loro familiari e, mentre rivolge un’affettuosa parola di incoraggiamento ai superstiti e a quanti in vario modo si prodigano nelle operazioni di soccorso, invia a tutti la speciale benedizione apostolica”.

Tratto da: Luci sull’Est

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