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Come le vetrate di una cattedrale

Posté par atempodiblog le 5 décembre 2021

Lo splendore interiore della Chiesa al centro della prima predica d’Avvento
Come le vetrate di una cattedrale
de L’Osservatore Romano

Come le vetrate di una cattedrale dans Articoli di Giornali e News Rosone-interno-Notre-Dame-de-Paris

«Quando venne la pienezza del tempo Dio mandò suo figlio». È tratto dalla Lettera ai Galati (4, 4) il tema generale delle meditazioni che il predicatore della Casa Pontificia, il cardinale cappuccino Raniero Cantalamessa, tiene oggi, 3 dicembre, e nei venerdì delle prossime due settimane di Avvento nell’Aula Paolo vi, per consentire il rispetto delle norme di distanziamento tra i partecipanti. Nel secondo venerdì, il 10 dicembre, e nel  terzo, il 17 dicembre, è prevista la presenza di Papa Francesco, in questi giorni a Cipro e in Grecia per il suo 35° viaggio internazionale.  Alle prediche sono invitati i cardinali, gli arcivescovi, i vescovi, i prelati della Famiglia pontificia, i dipendenti della Curia romana e del vicariato di Roma, i superiori generali o i procuratori degli ordini religiosi facenti parte della Cappella pontificia.

Mettere in luce «lo splendore interiore della Chiesa e della vita cristiana». È questo l’obiettivo delle riflessioni che il cardinale Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, propone quest’anno per il periodo di Avvento. A spiegarlo è stato lo stesso porporato, che stamane, venerdì 3 dicembre, ha tenuto la prima predica, nell’Aula Paolo VI . Il tema scelto per la meditazione è stato ispirato al brano paolino tratto dalla Lettera ai Galati (4, 4-7): «Dio mandò suo Figlio perché ricevessimo l’adozione a figli».

Il frate cappuccino ha posto all’attenzione degli ascoltatori un pericolo sempre presente, quello cioè di vivere come se la Chiesa fosse soltanto «scandali, controversie, scontro di personalità, pettegolezzi o al massimo qualche benemerenza nel campo sociale»: come se fosse, in sostanza, «cosa di uomini come tutto il resto nel corso della storia».

«Quello che mi propongo — ha invece sottolineato — è di mettere in luce lo splendore interiore della Chiesa e della vita cristiana». Una scelta che non nasce dalla volontà di «chiudere gli occhi sulla realtà dei fatti» o di «sottrarci alle nostre responsabilità», ma dal desiderio di affrontarle «nella prospettiva giusta» senza «lasciarci schiacciare da esse». Infatti, ha spiegato, non «possiamo chiedere ai giornalisti e ai media di tenere conto di come la Chiesa interpreta se stessa»; ma la cosa più grave sarebbe se anche gli «uomini di Chiesa e ministri del Vangelo» finissero per perdere di vista «il mistero» che la abita e si rassegnassero «a giocare sempre fuori casa, in trasferta e sulla difensiva».

Il predicatore ha invitato a guardare la Chiesa dal punto di vista più corretto, paragonandola alle «vetrate di una cattedrale». Se si guardano dall’esterno, non si vedono che pezzi di vetro scuro tenuti insieme da strisce di piombo altrettanto scure. «Ma se si entra dentro e si guardano quelle stesse vetrate contro luce — ha esclamato — che splendore di colori, di storie e di significati davanti ai nostri occhi!» Ecco allora la determinazione a guardare la Chiesa «da dentro, nel senso più forte della parola, alla luce del mistero di cui è portatrice».

Il cardinale ha poi fatto riferimento alla paternità di Dio, che «è al cuore stesso della predicazione di Gesù». Anche nell’Antico Testamento Dio «è visto come padre»; ma la novità è che ora non è più soltanto «padre del suo popolo Israele» ma «di ogni essere umano, giusto o peccatore che sia: in senso dunque individuale e personale». Egli si preoccupa di «ognuno come fosse l’unico; di ognuno conosce i bisogni, i pensieri e conta persino i capelli del capo».

Cantalamessa ha quindi messo in guardia dalla tentazione di seguire ancora l’errore della teologia liberale, del XIX e del XX secolo, soprattutto del suo più illustre rappresentate, Adolf von Harnack: errore consistito nel «fare di questa paternità l’essenza del Vangelo, prescindendo dalla divinità di Cristo e dal mistero pasquale». Un altro sbaglio, provocato dall’eresia di Marcione nel II secolo e «mai del tutto superato», è quello di vedere nel Dio dell’Antico Testamento un «Dio giusto, santo, potente e tonante, e nel Dio di Gesú Cristo, un Dio papà tenero, affabile e misericordioso».

La novità di Cristo non consiste in questo, ha rimarcato il porporato. Consiste piuttosto nel fatto che «Dio, rimanendo quello che era nell’Antico Testamento e cioè tre volte santo, giusto e onnipotente, viene ora dato a noi come papà!». È questa l’immagine «fissata da Gesù all’inizio del Padre Nostro e che contiene in nuce tutto il resto». Si prega, infatti, dicendo «Padre nostro che sei nei cieli», cioè che sei «altissimo, trascendente, che disti da noi quanto il cielo dalla terra»; ma si dice «Padre nostro», anzi nell’originale «Abba!», qualcosa di simile al nostro papà, padre mio.

È anche l’immagine di Dio che la Chiesa ha posto all’inizio del suo credo. «Credo in Dio, Padre onnipotente»: padre, ma «onnipotente; onnipotente, ma padre». È questo, del resto, ciò di cui «ogni figlio ha bisogno: di avere un padre che si china su di lui, che sia tenero, con cui può giocare, ma che sia, al tempo stesso, forte e sicuro per proteggerlo, infondergli coraggio e libertà».

Il cardinale ha anche attirato l’attenzione su un pericolo «mortale», cioè dare per «scontate le cose più sublimi della nostra fede, compresa quella di essere nientemeno che figli di Dio, del creatore dell’universo, dell’onnipotente, dell’eterno, del datore della vita». Occorre «passare dalla fede allo stupore», addirittura, «dalla fede all’incredulità». Una incredulità «tutta speciale: quella di chi crede, senza potersi capacitare di quello che crede», tanto gli sembra cosa enorme, «incredibile».

Essere figli di Dio comporta infatti «una conseguenza che si osa appena formulare, tanto essa è da capogiro». Grazie ad essa, «il divario ontologico che separa Dio dall’uomo è minore del divario ontologico che separa l’uomo dal resto del creato», perché «per grazia noi diventiamo “partecipi della natura divina” (2 Pt 1, 4)».

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Il Catechismo è via all’incontro con Gesù

Posté par atempodiblog le 29 novembre 2021

Il Catechismo è via all’incontro con Gesù
Riprendere il Catechismo e insegnarlo è urgente, perché molto spesso oggi la fede è ridotta a puro sentimento personale. Affermare “Io credo” significa aprire il proprio cuore sotto l’influsso della grazia al contenuto oggettivo che Dio rivela e al quale concediamo il nostro assenso. All’insegnamento viene opposta oggi l’esperienza, ma non si può fare esperienza di Dio se non attraverso l’insegnamento.
del Cardinale Robert Sarah
prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti

Fonte: La nuova Bussola Quotidiana

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In tanti miei interventi e nei miei libri ho continuamente detto che l’attuale crisi che investe la Chiesa e il mondo è radicalmente una crisi spirituale, ovvero una crisi della fede. Il mondo moderno ha rinnegato Cristo. Nella Chiesa viviamo il mistero del tradimento, il mistero di Giuda. Soprattutto noi cattolici abbiamo allontanato Dio dalla nostra vita. Abbiamo abbandonato la preghiera, la dottrina cattolica viene messa in dubbio. Il relativismo che impera nel mondo è entrato prepotentemente nella Chiesa.

La celebrazione domenicale del giorno dell’Eucarestia del Signore, un precetto morale che obbliga di rendere a Dio un culto esteriore, visibile, pubblico e regolare nel ricordo della Sua benevolenza universale verso gli uomini (Ccc 2176-2177) è molto trascurato o celebrato in modo teatrale e superficiale

La risposta a questa situazione non sta in un nostro progetto o in un nostro sforzo per purificare la Chiesa. La Chiesa si riforma incominciando a cambiare noi stessi. Gesù ha sete di unità. È nell’unione con Gesù Cristo che rinasce la fede e si fonda l’unità della Chiesa. E l’unità della Chiesa ha la propria sorgente nel cuore di Gesù Cristo. Dobbiamo restargli vicino, dobbiamo rimanere in Lui.

Come ho già avuto modo di scrivere in “Si fa sera e il giorno ormai volge al declino”, l’unità della Chiesa si fonda su quattro pilastri: la preghiera, la dottrina cattolica, l’amore verso Pietro e la carità reciproca. Senza la preghiera, senza l’unità con Dio, ogni tentativo di consolidamento della Chiesa e della fede risulterà vano. Ma siccome la Nuova Bussola Quotidiana lancia questa iniziativa di lezioni di catechismo, mi vorrei soffermare sul significato della dottrina cattolica.

La fonte della nostra unità ci precede e ci viene offerta: è la Rivelazione che abbiamo ricevuto che recita così: “I fratelli erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere”(Att.2,42). A questa dobbiamo essere fedeli e il popolo cristiano ha diritto a un insegnamento chiaro, fermo e sicuro. L’unità della fede implica l’unità del Magistero nel tempo e nello spazio. Quando ci viene trasmesso un insegnamento nuovo esso deve sempre venire coerentemente interpretato con quello che l’ha preceduto. La fede è sì un atto intimo, personale e interiore ma è al contempo un’adesione a un contenuto oggettivo che non abbiamo scelto noi. Con la fede noi compiamo un atto mediante il quale decidiamo di affidarci totalmente a Dio in piena libertà. Affermare “Io credo” significa aprire il proprio cuore sotto l’influsso della grazia al contenuto oggettivo che Dio rivela e al quale concediamo il nostro assenso. Allora la fede diventa pubblica testimonianza, perché il nostro atto di fede non può mai rimanere puramente privato. La fede può essere professata solo nella Chiesa, con la Chiesa, la quale ci trasmette la conoscenza integrale del Mistero, i contenuti da conoscere e da credere.

Purtroppo il relativismo dominante nel mondo è talmente penetrato nella Chiesa al punto che molto spesso la fede è ridotta a puro sentimento personale; ma così la si rende incomunicabile, la si separa dalla Chiesa e la si svuota di ogni contenuto. Per questo oggi riprendere il Catechismo, conoscerlo, insegnarlo, è urgente. L’insegnamento del catechismo non si riduce a una conoscenza intellettuale dei suoi contenuti. Favorisce un vero incontro ed una Santa intimità con Gesù che ci ha rivelato queste verità. Fintantoché non abbiamo incontrato fisicamente Gesù non siamo veramente cristiani. All’insegnamento viene opposta oggi l’esperienza, ma non si può fare esperienza di Dio se non attraverso l’insegnamento. Dice San Paolo ai Romani (10,14): «Come potranno credere senza averne sentito parlare?». Il venir meno della catechesi porta i cristiani ad alimentare una certa confusione attorno alla fede. Alcuni scelgono di credere a un articolo del Credo rifiutandone un altro. Si arriva persino a realizzare dei sondaggi circa l’adesione dei cattolici alla fede cristiana. La fede non è una bancarella del mercato dove si può scegliere la frutta e i legumi più convenienti. Ricevendo la fede riceviamo interamente Dio la Sua Parola, la Sua Dottrina, il Suo insegnamento.

Siamo chiamati ad amare il nostro catechismo. Se lo riceviamo non solo con le labbra ma anche con il cuore, allora attraverso le formule della fede potremo realmente entrare in comunione con Dio.

È ora di strappare i cristiani al dilagante relativismo che anestetizza i cuori e addormenta l’amore. Diceva Henri de Lubac: «Se oggi l’eretico non ci incute lo stesso timore che incuteva ai nostri antenati, è davvero perché abbiamo nel cuore più carità? O piuttosto ciò avviene perché molto spesso l’oggetto della disputa, e cioè l’esistenza stessa della nostra fede, non ci interessa più anche se non osiamo dircelo? (…) Allora, di conseguenza, l’eresia non ci turba più, o almeno non ci sconvolge più nella misura in cui ci sconvolgerebbe chi tentasse di strapparci via l’anima. (…) Ahimé! Non sempre è cresciuta la carità, o è diventata più illuminata: spesso è la fede che è diminuita, ed è diminuito il gusto per le cose eterne».

È ora che la fede diventi per i cristiani il tesoro più intimo e più prezioso. Pensiamo a tutti i martiri morti per la purezza della loro fede all’epoca della crisi ariana: per confessare che il Figlio non è solo simile al Padre, ma consostanziale con Lui, quanti vescovi, sacerdoti, monaci o semplici credenti hanno sofferto la tortura e la morte. È in gioco il nostro rapporto con Dio e non solo delle dispute teologiche. Sulla nostra apatia di fronte alle deviazioni dottrinali si misura la tiepidezza che si è insinuata tra noi.

Dobbiamo bruciare d’amore per la nostra fede, non la dobbiamo infangare e annacquare in compromessi mondani. Non dobbiamo mistificarla e corromperla, ne va della salvezza delle anime, le nostre e quelle dei nostri fratelli.

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Torna a San Pietro la Madonna di Rue du Bac

Posté par atempodiblog le 27 novembre 2021

Torna a San Pietro la Madonna di Rue du Bac
Dopo un anno di pellegrinaggio, la Vergine della Medaglia Miracolosa è stata accolta in Vaticano da Papa Francesco.
di Isabelle H. de Carvalho Isabelle H. de Carvalho  i.Media per Aleteia

Torna a San Pietro la Madonna di Rue du Bac dans Apparizioni mariane e santuari Madonna-della-medaglia-miracolosa-in-Vaticano

Erano quasi mille, i fedeli ricevuti poco prima dell’udienza generale del 24 novembre 2021 da papa Francesco nella basilica di San Pietro. Mille membri della “famiglia vincenziana” venuti in Vaticano da tutta Italia per concludere una peregrinazione durata un anno attraverso numerose comunità vincenziane del Paese per celebrare il 190º anniversario delle apparizioni della Santa Vergine a Caterina Labouré.

«In questi mesi di pandemia la vostra missione ha portato speranza, permettendo a numerose persone di fare esperienza della misericordia di Dio», ha dichiarato il Pontefice, che li ha ringraziati per la loro testimonianza, pregna a suo dire dello «stile della “Chiesa in uscita”», ossia di una Chiesa «che va verso tutti a cominciare dagli esclusi e dagli emarginati».

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Il grande pellegrinaggio era stato lanciato l’11 novembre 2020 nel corso di una cerimonia durante la quale papa Francesco aveva benedetto la statua e aveva posto una corona del rosario al collo del simulacro.

Siamo molto felici di essere stati ricevuti dal Papa una volta di più […] – ha dichiarato ad i.Media padre Valerio Di Trapani, superiore del Collegio Apostolico Leoniano e organizzatore del pellegrinaggio –, e che egli abbia risposto al desiderio di tutta la Famiglia vincenziana, di essere “Chiesa in uscita”, una Chiesa che va in mezzo alla gente in questo tempo di Covid-19.

Quando la Vergine Maria è apparsa a Caterina Labouré, nel 1830, le avrebbe detto:

Venga ai piedi di questo altare, qui: le grazie si spargeranno su tutte le persone che le chiederanno con fiducia e fervore.

I vincenziani hanno dunque desiderato anche’essi di portare le loro difficoltà ai piedi della Vergine, ha spiegato padre Erminio Antonello, Provinciale d’Italia dei missionari vincenziani. Solo che stavolta è in qualche modo la Vergine ad essere venuta tra loro, un segno forte in questo periodo «in cui tutti ci chiudiamo» su noi stessi a causa della pandemia. Così il religioso:

Abbiamo voluto mostrare che era possibile tornare nelle nostre comunità con una certa libertà perché la Vergine Maria ci proteggeva.

Alcuni dei pellegrini presenti all’udienza hanno raccontato l’arrivo della statua nelle loro comunità. Ivan, seminarista in un seminario diocesano gestito dai vincenziani nella città di Piacenza, a sud di Milano, ha spiegato che la statua era rimasta nel loro collegio per tre giorni all’inizio di ottobre 2021:

Fa una certa impressione pensare che quella effigie era lì, nel nostro seminario, e che adesso è qui nella basilica di San Pietro.

Madonna-della-medaglia-miracolosa dans Coronavirus

Padre Di Trapani ha sottolineato che la fine del pellegrinaggio era anche un punto di partenza per una nuova iniziativa dei vincenziani. Adesso cominceranno una missione di evengelizzazione e di animazione parrocchiale chiamata “Tre giorni con Maria”, durante la quale si concentreranno su tre aspetti della vita cristiana – essere chiamati, abitati e inviati.

La famiglia vincenziana raccoglie tutte le comunità e realtà cristiane legate a san Vincenzo de Paoli, e raccoglie circa 2 milioni di membri nel mondo.

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Il Giappone cristiano tra santi, martiri e samurai

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2021

Il Giappone cristiano tra santi, martiri e samurai
Dall’arrivo di san Francesco Saverio ai martiri di Nagasaki, dai due secoli e mezzo di epopea dei cristiani nascosti fino ai giorni nostri con i missionari di padre Kolbe e la venerabile “Maria delle Formiche”. Gabriele Di Comite ripercorre la storia del Giappone cristiano nel saggio Santi, martiri e samurai.
di Fabio Piemonte – La nuova Bussola Quotidiana

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Il Giappone è una terra di santi, martiri e samurai. Il cristianesimo comincia ad affermarsi nell’isola soltanto dal 1549 con l’arrivo di san Francesco Saverio (†1552) e di altri missionari che, giunti contestualmente alle navi dei commercianti portoghesi, in pochi decenni e pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane, contribuiscono alla conversione alla fede cattolica di oltre 600.000 persone, tra le quali anche signori feudali, guerrieri e monaci buddisti. Seguono due secoli e mezzo di atroci persecuzioni che causano la morte di oltre 5.000 credenti, durante i quali si forma il popolo dei “cristiani nascosti”, custodi in clandestinità di una fede senza sacerdoti, né chiese, né sacramenti.

La storia del Giappone cristiano è raccontata in maniera avvincente e attraverso una narrazione particolarmente documentata da Gabriele Di Comite nel suo recente saggio Santi, martiri e samurai (La Fontana di Siloe 2021, pp. 308).

«Io mi sento animato da un tal sentimento nel cuore circa l’andata al Giappone, che non sarei per mutar pensiero, né pur quando di certo sapessi di dovermi trovar in pericoli assai maggiori […]. Tanta è la speranza che […] Iddio stesso m’ha posta in cuore di propagare la Religion Cristiana». Francesco Saverio scrive così a Ignazio di Loyola riguardo al suo zelo apostolico nel Paese del Sol Levante. Egli si muove in un contesto difficile sia per la lingua particolarmente ostica, sia per le lotte intestine tra i signori feudali (daimyō) dei diversi territori. Eppure riesce, attraverso la strada della bellezza, ossia donando un dipinto di una Madonna con il Bambino a uno di costoro, a ottenere l’autorizzazione per predicare il Vangelo a Kagoshima. Di lì, poi, la città di Yamaguchi diventerà la sede generalizia dei gesuiti. Questo non senza essere osteggiato dai bonzi buddhisti, la cui predicazione era tanto radicata sul territorio quanto lontana dalla dottrina cattolica sul piano teologico.

Alessandro Valignano, altro missionario gesuita, constata che per convertire i giapponesi bisogna conoscere e rispettare le loro usanze, adattarsi alle abitudini locali e parlare la loro lingua. Era opportuno insomma che anche i missionari mangiassero su tavoli bassi, seduti su stuoie di tatami e avessero nelle proprie case la sala per la cerimonia del tè. Allievo di Valignano, Matteo Ricci sposa il suo metodo d’inculturazione della fede.

Accanto ai gesuiti vi sono anche diversi samurai, guerrieri che arrivano a sostituirsi all’aristocrazia nel controllo delle province per la loro forza militare, tra i quali Takayama Ukon. Egli, rinunciando ai privilegi feudali, si adopera in prima persona per la costruzione di chiese, orfanatrofi, ospedali, cimiteri e la diffusione della fede, anche attraverso la trasformazione della stanza della cerimonia zen del tè in eremo cristiano, la fondazione di scuole teologiche e del seminario di Azuchi. «Io non cerco la mia salvezza con le armi ma con la pazienza e l’umiltà, in accordo con la dottrina di Gesù Cristo che io professo», scrive in un messaggio a chi gli veniva incontro in armi, prima di salpare esule nel 1614 per l’attività missionaria nelle Filippine, alla cui comunità dona una statua della Madonna del Rosario. Soprannominato “Giusto Takayama” e “samurai di Cristo”, è stato un vero martire della fede, riconosciuto come tale già da sant’Alfonso. È stato infatti poi beatificato nel 2017.

Verso la fine del Cinquecento giungono sull’isola anche missionari francescani, domenicani e agostiniani. Il diffondersi della fede cristiana preoccupa però i daimyō, per cui diverse ordinanze ne proibiscono il culto. Ne derivano punizioni esemplari per chi le infrange. Così san Paolo Miki e altri 25 fratelli nella fede, religiosi e laici, spagnoli, portoghesi e giapponesi sono crocifissi a Nagasaki.

Altri cristiani vengono indotti ad apostatare, costretti a calpestare immagini sacre (fumi-e), pena le torture più atroci, «infilzando aghi di metallo sotto le unghie» del reo o calandone il corpo in una fossa a testa in giù dove viene lasciato per giorni, fino alla crocifissione. «Con l’editto del 1641 inizia il periodo del Sakoku», ossia il Giappone diviene un Paese blindato per duecento anni e ai cristiani non resta che professare la propria fede in clandestinità. «Alla scoperta di un cristiano occulto, sarebbe stato punito tutto il villaggio». Di qui, a parte il tentativo isolato di riportare il Vangelo in Giappone del sacerdote siciliano Giovanni Battista Sidoti, per due secoli il Paese rimane senza l’ombra di un sacerdote. Relativamente a tale periodo di bando del cristianesimo, la documentazione storica racconta di 5000 martiri, anche se sono stati di fatto sicuramente molte migliaia di più.

Poi il Giappone conosce l’occidentalizzazione, implementa la rete ferroviaria e il progresso tecnologico, ma vive altresì l’orrore delle due bombe atomiche. Eppure ancora una volta non mancano mirabili testimonianze di fede. I cristiani escono gradualmente dalla clandestinità; soltanto nel 1947 la Costituzione del Paese esplicita la libertà religiosa. Tra le maggiori figure di rilievo del XX secolo basti ricordare il missionario polacco Fra Zeno della Milizia dell’Immacolata di san Massimiliano Kolbe che, insieme alla venerabile Satoko “Maria delle Formiche”, si prodiga per sottrarre gli orfani a un destino di povertà e miseria estrema tra cumuli d’immondizia.

Insomma, sebbene attualmente i cristiani in Giappone siano l’1% e i cattolici lo 0,5% (500.000, di cui solo a Nagasaki il 4,5%), il sangue dei martiri, tra i quali 42 santi e 396 beati, continua a essere seme di nuovi cristiani, «capace di rinnovare e far ardere continuamente lo zelo evangelizzatore» (Papa Francesco).

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Andrea Belotti sempre di più nella storia del Torino e della Serie A

Posté par atempodiblog le 30 octobre 2021

Andrea Belotti sempre di più nella storia del Torino e della Serie A: raggiunge un nuovo prestigiosissimo traguardo
di Gianluca Di Marzio – gianlucadimarzio.com

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Sempre più nella storia. Andrea Belotti, subentrato al 53’ del match ad Antonio Sanabria, ha segnato allo scadere la rete del definitivo 3-0 alla Sampdoria.

100 gol in Serie A
Alla 254esima presenza totale nel massimo campionato italiano, il Gallo raggiunge un traguardo non semplice da raggiungere, per nessuno: sono 100 i gol totali segnati in Serie A.

“Quando ho preso il palo prima della marcatura ho pensato che la sfortuna ci aveva messo lo zampino, ma per fortuna il gol è arrivato poco dopo”, ha detto Belotti alla fine della gara ai microfoni di Dazn, scherzando.

Divisore dans San Francesco di Sales

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Anche quest’anno estese a tutto novembre le indulgenze per i defunti

Posté par atempodiblog le 29 octobre 2021

Anche quest’anno estese a tutto novembre le indulgenze per i defunti
A causa del perdurare della pandemia e delle misure di contenimento, la Penitenzieria Apostolica viene incontro alle richieste avanzate da numerosi vescovi emanando un Decreto in cui si annuncia la proroga delle indulgenze plenarie in modo analogo al 2020
di Adriana Masotti – Vatican News

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Un Decreto della Penitenzieria Apostolica, pubblicato oggi, stabilisce la possibilità anche quest’anno di ottenere le Indulgenze plenarie per i defunti per tutto il mese di novembre. Nel testo si legge che la decisione è stata presa dopo aver ascoltato “le varie suppliche recentemente pervenute da diversi Sacri Pastori della Chiesa, a causa dello stato di perdurante pandemia”. La Penitenzieria Apostolica, dunque, “conferma ed estende per l’intero mese di novembre 2021 tutti i benefici spirituali già concessi il 22 ottobre 2020”, attraverso un analogo Decreto col quale, sempre a causa del Covid-19, le Indulgenze plenarie per i fedeli defunti venivano prorogate per tutto il mese di novembre 2020.

L’opportunità spirituale offerta dalla proroga
Il testo prosegue illustrando i benefici della proroga: “Dalla rinnovata generosità della Chiesa  si legge  i fedeli attingeranno certamente pii propositi e vigore spirituale per indirizzare la propria vita secondo la legge evangelica, in filiale comunione e devozione verso il Sommo Pontefice, visibile fondamento e Pastore della Chiesa Cattolica”.

Il cardinale Piacenza: una devozione molto sentita
Il presente Decreto, così come quello emesso l’anno scorso, in piena pandemia, vuol venire incontro alla necessità ancora viva di evitare assembramenti causa potenziale di diffusione del Covid-19 che, anche se in diversa misura, colpisce ancora la popolazione mondiale. In un’intervista a Vatican News, dello scorso 23 ottobre, il Penitenziere Maggiore cardinale Mauro Piacenza, spiegava che “la consuetudine codificata è quella dell’indulgenza plenaria in ogni giorno dell’ottavario dall’1 all’8 novembre per tutti quelli che visitano i cimiteri pregando per i defunti, e il 2 novembre, nello specifico, la visita ad una chiesa o ad un oratorio recitando il Pater e il Credo. Questo è lo standard”. Si tratta di una forma di devozione molto sentita, proseguiva il cardinale Piacenza, che si esprime nel partecipare alla Messa e nella visita ai cimiteri, per questo, perché le persone possano diluire le visite senza creare resse, “si è pensato di diluire nel tempo la possibilità di fruire delle indulgenze e così per tutto novembre si potrà acquisire ciò che era previsto per i primi 8 giorni di novembre”.

Ravvivare la fede nella vita eterna
Riguardo poi al legame tra la solennità di Tutti i Santi e la commemorazione dei defunti il Penitenziere Maggiore ricordava che: “Siamo chiamati in questi giorni a ravvivare la nostra certezza nella gloria e nella beatitudine eterna” e raccomandava: “chiediamo con umiltà e fiducia il perdono per quanti ci hanno lasciati, per le loro piccole o grandi mancanze, loro che comunque sono già salvati nell’amore di Dio, e rinnoviamo il nostro impegno di fede”.

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L’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi: ecco quando i cattolici in politica fanno danni

Posté par atempodiblog le 15 octobre 2021

Scuola di dottrina sociale
L’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi: ecco quando i cattolici in politica fanno danni
La fede cattolica è solo utile o anche indispensabile in politica? Qual è la differenza tra “cattolici politici” e “politici cattolici”? Su queste e altre distinzioni essenziali si è basata la Lezione tenuta ieri dall’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, per l’inaugurazione della Scuola di Dottrina sociale della Chiesa dedicata a «Ricominciare dalla politica, ricominciare dal basso» (iscrizioni ancora aperte), organizzata dalla Bussola insieme all’Osservatorio Van Thuan.
di Stefano Fontana – La nuova Bussola Quotidiana

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«I cattolici in politica hanno fatto molti danni. Lo dico senza sentimenti di giudizio sulle persone e anche senza sottovalutare l’impegno di tanti. Se andiamo a vedere le leggi approvate nel nostro Paese in questi ultimi cinque anni si rimane sbalorditi nel constatare che sono state tutte votate – a parte qualche esempio singolare – anche dai cosiddetti cattolici deputati». È questo uno dei passaggi più “caldi” della Lezione tenuta dall’arcivescovo Giampaolo Crepaldi ieri sera, giovedì 14 ottobre, all’inaugurazione della Scuola Nazionale di Dottrina sociale della Chiesa dedicata a «Ricominciare dalla politica, ricominciare dal basso». La Scuola, a cui ci si può ancora iscrivere (vedi QUI), farà proposte di contenuto e di metodo per ripartire dopo la morte dichiarata della politica cattolica a cui appunto la diagnosi del vescovo si riferisce.

Monsignor Crepaldi ha ripreso e sviluppato una distinzione storica, quella tra “politici cattolici” e “cattolici politici”. I primi stabiliscono un legame essenziale tra la loro fede e la politica, i secondi solo un legame accidentale. Ecco allora la conseguenza: «I cattolici politici non si riconoscono più dalle loro scelte, militano in tutti i partiti a riprova che il rapporto tra la politica e la loro fede religiosa è accidentale, nei consigli locali o in parlamento votano a completa loro discrezione ogni legge, anche quelle maggiormente lesive della dignità della persona umana e dell’etica naturale. Il processo di laicizzazione del loro operato è sempre più radicale e tra le due parole “cattolico” e “politico” si apre un divario sempre più accentuato, sicché viene perduta la coerenza tra fede e vita politica».

Certo, la triste situazione di oggi non dipende solo dai “politici”, ma anche dalla Chiesa che sembra non formare più alla vera politica secondo le indicazioni della Dottrina sociale della Chiesa. Interessante questo passaggio della Lezione di Crepaldi: «Nelle parrocchie e nelle diocesi si segue il doppio principio: tutti dentro e nello stesso tempo tutti fuori. Tutti dentro perché nella comunità cattolica sono ospitate tutte le posizioni politiche, ma anche tutti fuori perché la comunità non fornisce chiari criteri di valutazione e di giudizio e mette tutti sullo stesso piano, praticando una indifferenza alla politica. Le nostre comunità cattoliche oggi – ha concluso il vescovo – si mostrano molto “impolitiche” (non parlano mai di politica, la lasciano fuori della porta), ma anche questa è una maniera per fare politica perché diventa lecito militare dappertutto».

Secondo il vescovo, il problema di fondo è se la fede cattolica sia solo utile o anche indispensabile per una buona vita della comunità politica. Se è solo utile, allora il ruolo dei cattolici e della Chiesa sarà di esprimere nella pubblica piazza una delle tante opinioni. Ma per mons. Crepaldi «il cristianesimo non è da considerarsi solo una delle tante opinioni presenti nel pubblico dibattito e utili allo stesso, ma porta con sé una pretesa di verità di fondamentale importanza per la politica, una verità che non impedisce alla politica di essere autonomamente se stessa, ma la toglie dal pericolo di essere indipendente, ossia di pretendere una autonomia illegittima».

Questa idea, secondo cui il cristianesimo è indispensabile e non solo utile, oggi è combattuta fuori e dentro la Chiesa, da qui le difficoltà della politica cattolica oggi. Il politico cattolico si trova davanti ad un “sistema” che lo esclude ed egli deve ormai conquistarsi spazi di azione palmo a palmo. «Tra le istituzioni pubbliche, i luoghi della deliberazione legislativa, la scuola e la formazione, i grandi media, una società civile colonizzata ideologicamente… c’è ormai uno stretto legame di sistema sostanzialmente negativo per l’uomo e per il cattolico. Nasce l’dea che bisogna tirarsene fuori se si vuol fare qualcosa di significativo in coerenza con la propria fede».

L’abbraccio del mondo – e dello Stato – alla Chiesa rischia di essere soffocante. Questa constatazione è ormai di molti cattolici che cercano nuovi luoghi, nuovi linguaggi e nuove possibilità di fare politica “fuori sistema”. Crepaldi stesso fa degli esempi: «Molte scuole parentali cattoliche, gruppi di pressione e di azione in difesa della vita nascente, aggregazioni di famiglie per la formazione e il tempo libero dei figli, forme cooperative partecipate dal basso che si occupano non solo di carità e di assistenza ma anche di produzione e di economia, gruppi politici tesi a testimoniare sul territorio locale la fede cattolica in politica, liste civiche che si presentano alle elezioni comunali improntate a questi principi di una nuova coerenza».

Questa società civile cattolica, che aspira a diventare anche politica, suggerisce un interessante paragone: «C’è una significativa analogia – dice il vescovo di Trieste – con gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, quando i cattolici trovarono ostruite tutte le vie politiche istituzionali e la politica ufficiale esprimeva un laicismo esasperato contrario sia alla fede che alla ragione, sia ai diritti della Chiesa che ai diritti dell’uomo».

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PAPA LUCIANI BEATO/ L’umiltà di vivere ogni momento al cospetto del Mistero

Posté par atempodiblog le 14 octobre 2021

PAPA LUCIANI BEATO/ L’umiltà di vivere ogni momento al cospetto del Mistero
La beatificazione di Giovanni Paolo I, Albino Luciani, indica alla Chiesa una strada di umiltà, saggezza e prudenza nel vivere la vede
di Don Federico Pichetto – Il Sussidiario

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Quando la Chiesa riconosce le condizioni per proclamare uno dei suoi figli “beato”, essa non vuole soltanto offrire ai contemporanei un altro punto sicuro di venerazione, ma intende proporre il carattere del nuovo beato, la sua storia e la sua stessa sensibilità, quale strada sicura per giungere a Dio, per poterne fare esperienza. L’annuncio della prossima beatificazione di Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani (1912-1978) patriarca di Venezia, ha così il potere di comunicare a tutta la cristianità uno stile con cui oggi, in questo tempo così confuso e violento, vivere la fede.

Luciani trascorse tutta la sua vita nell’ombra, custodendo tanto silenzio e grande ironia. Dinnanzi alla tentazione di dire una parola su ogni grande questione del nostro tempo, Luciani ci riporta alla necessità di ascoltare e di sorridere, di cogliere la contraddizione che spesso connota i grandi protagonisti dei nostri giorni senza alcun bisogno di comunicare a chicchessia le nostre posizioni e di iscriverci ad uno dei partiti che animano la vita politica o ecclesiale dei nostri giorni.

Egli non mostra la via dell’ignavia, quanto quella della prudenza, della saggezza, del sapiente distacco dalle diatribe della quotidianità. Ma Luciani significa pure devozione fervida a Maria, Nostra Signora di Fatima, figura con la quale il patriarca di Venezia era ben consapevole che si poteva e si doveva leggere la storia. I nostri non sono giorni abbandonati, ma tempo sacro pensato, voluto e benedetto da Dio.

Infine Giovanni Paolo I implica “humilitas”, la parola che egli stesso si fece apporre come stemma in quei trentatré giorni del 1978, humilitas di chi sa di non sapere tutto, ma di essere sempre e comunque al cospetto del Mistero. Prima dei grandi giorni del papa polacco, la Chiesa seppe vivere i piccoli giorni del papa della Speranza, dell’ironia, della mitezza. E forse sono proprio queste tre cose quelle che oggi ci servono per ripartire. Alla sequela di Cristo.

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Saranno beati due missionari che difesero gli indigeni in Argentina

Posté par atempodiblog le 13 octobre 2021

Saranno beati due missionari che difesero gli indigeni in Argentina
I nuovi decreti della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizzati dal Papa, riguardano quattro prossimi Beati, tra cui Giovanni Paolo I, e quattro nuovi Venerabili tra di loro la Serva di Dio Maddalena di Gesù, fondatrice delle Piccole Sorelle di Gesù, ispirata a Charles de Foucauld
di Benedetta Capelli – Vatican News

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Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i decreti che riguardano 4 beati e 4 venerabili. E’ stato riconosciuto il miracolo attribuito all’intercessione di Papa Luciani, Pontefice per 33 giorni, si tratta della guarigione di una bambina a Buenos Aires, in Argentina, avvenuta il 23 luglio 2011.

Uccisi mentre testimoniavamo il Vangelo
Missionari, evangelizzatori, pronti a servire Gesù in ogni luogo del mondo. E’ la storia di fede di due preti, vissuti nel 1600, Pietro Ortiz de Zárate, sacerdote diocesano, e Giovanni Antonio Solinas, sacerdote professo della Compagnia di Gesù, entrambi uccisi in odio alla fede il 27 ottobre 1683 a Valle del Zenta (Argentina). Erano in quella zona insieme a 18 laici, tra di loro anche alcuni indios convertiti, e vennero colpiti dagli aborigeni appartenenti alle tribù di Tobas e Mocovíes, avevano appena celebrato la Messa. Sui loro corpi segni di violenza e di tortura. Riguardo al martirio formale ex parte persecutoris, molte tribù erano in lotta tra loro e i missionari, che portavano il messaggio di pace del Vangelo, si trovarono al centro di tali contrasti. L’odium fidei fu la motivazione prevalente dell’agire dei carnefici.

Pietro Ortiz de Zárate era nato il 29 giugno 1626 a San Salvador de Jujuy (Argentina), in una famiglia di origine basca, a 17 anni si sposò con una donna benestante ed ebbe due figli. Dopo la morte della moglie, seguì la vocazione al sacerdozio, venne ordinato nel 1657. La sua vita fu segnata da un’intensa attività apostolica tra gli indigeni, dall’impegno nella preghiera, dall’attenzione al culto divino e alla musica sacra e per l’amministrazione dei sacramenti ai poveri e ai malati.

Giovanni Antonio Solinas era nato ad Oliena, in provincia di Nuoro e nel 1663 entrò nella Compagnia di Gesù. Dopo il noviziato trascorso a Cagliari, emise la professione religiosa il 16 giugno 1665. Nei primi mesi del 1672 manifestò ai superiori la vocazione missionaria, orientata verso gli aborigeni americani. Il suo primo campo di apostolato fu nella Reducción di Itapúa (Paraguay), dove si distinse per lo zelo apostolico e la carità verso i nativi. Nel 1683 venne destinato alla missione del Chaco, insieme al Servo di Dio Pietro Ortiz de Zárate con il quale condivise la morte.

Beata una Piccola Suora dell’Annunciazione
Era colombiana suor Maria Berenice Duque Hencker, nata il 14 agosto 1898 a Salamina. La sua vita religiosa iniziò nella Congregazione delle Suore Domenicane della Presentazione e poi con il permesso dell’arcivescovo di Medellín, il 14 maggio 1943, pose le basi della Congregazione delle Suore dell’Annunciazione, diventandone superiora. Al 2004 risale il miracolo attribuito alla sua intercessione e riguardante un giovane colombiano che in gravi condizioni di salute ricevette in ospedale una medaglia di Madre Maria Berenice e un’immaginetta con la preghiera.

Sui passi di Charles de Foucauld
Riconosciute le virtù eroiche di due suore e due sacerdoti: diventano quindi venerabili. La prima è la fondatrice delle della Fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù, Maddalena di Gesù, nata il 26 aprile 1898 a Parigi. La sua storia si intreccia con quella del Beato Charles de Foucauld, leggendo una sua biografia rimase colpita e iniziò un discernimento compromesso però dalla sua fragile salute. Su indicazione dei medici scelse di trasferirsi in un luogo più consono alle sue condizioni e scelse l’Algeria. Si distinse per l’assistenza ai poveri ma si fece strada in lei anche l’importanza della contemplazione per essere segno della tenerezza di Dio verso i poveri e gli esclusi. È nel 1947 che la Fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù viene approvata, suor Maddalena si impegna a diffondere le piccole comunità contemplative soprattutto in Medio Oriente, l’ecumenismo diventò una delle sue priorità. Ebbe un’amicizia profonda con i futuri papi Paolo VI e Giovanni Paolo II. L’espressione, cara al Beato de Foucauld – “Gesù è il Maestro dell’Impossibile” – ritornava spesso in lei soprattutto nei momenti più difficili.

L’abbandono a Gesù
Anche suor Elisabetta Martinez aveva una salute precaria ma venne incoraggiata da diversi Pontefici a continuare la sua opera caritativa, intrapresa con la fondazione della Congregazione delle Figlie di Santa Maria di Leuca. Nata il 25 marzo 1905 a Galatina, in provincia di Lecce, fondò numerose comunità in Italia, Svizzera, Belgio e Stati Uniti e, nel 1946, trasferì la sede della casa generalizia e del noviziato a Roma. La sua fede si nutriva dell’adorazione eucaristica, la speranza per lei era capacità di attendere, senza lamentarsi e senza abbattersi, confidando nei tempi del Signore per portare a termine i suoi progetti. Fu calunniata anche da alcune sue consorelle che lei perdonò accompagnandole con la preghiera.

Arrestato perché mise in salvo le Ostie consacrate
Diego Hernández González, era un sacerdote diocesano nato il 3 gennaio 1915 a Javalí Nuevo, in Spagna, vivendo nel periodo della guerra civile e in piena persecuzione religiosa. Venne arrestato da seminarista perché aveva messo in salvo le Ostie consacrate durante l’incendio doloso della chiesa parrocchiale, fu sottoposto ai lavori forzati presso un campo di lavoro a Orihuela e poi in Andalusia. Il 9 giugno 1940 venne ordinato sacerdote a Barcellona, diventò direttore della Casa sacerdotale di Alicante. La virtù della carità verso Dio plasmò tutta la sua vita in totale disponibilità verso gli altri, in particolare verso gli ammalati, i bambini e i giovani. Per questi creò anche un cinema nella parrocchia. Fondò una scuola per ragazze che avevano bisogno di imparare a leggere e a scrivere.

Un confessore misericordioso
Attratto dalla spiritualità francescana, Giuseppe Spoletini nato il 16 agosto 1870 a Civitella, oggi Bellegra, fu ordinato sacerdote il 22 settembre 1894 a Palestrina. Nei primi anni di ministero, si dedicò in modo instancabile al sacramento della Riconciliazione nella chiesa romana di San Francesco a Ripa dove tornò nel 1944. Uomo di pietà e di preghiera esortava a vivere una vita buona, operosa e piena di carità. Soprattutto nel confessionale mostrò misericordia nell’accogliere le persone in qualsiasi momento, anche quando era stanco e spossato. Durante la Seconda Guerra Mondiale si prodigò nel dare rifugio a ricercati dai nazisti e dai fascisti.

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Messaggio del Papa per i 90 anni della statua del Cristo Redentore

Posté par atempodiblog le 13 octobre 2021

Messaggio del Papa per i 90 anni della statua del Cristo Redentore
de L’Osservatore Romano

Messaggio del Papa per i 90 anni della statua del Cristo Redentore dans Articoli di Giornali e News Cristo-Redentore-Brasile

«Sua Santità condivide i sentimenti di gioia e si unisce al ringraziamento che il popolo di Rio de Janeiro innalza a Cristo Redentore, in occasione del 90° anniversario dell’inaugurazione della sua statua sulla sommità del Corcovado. Questa immagine, con le braccia aperte in un incessante appello alla riconciliazione, rappresenta l’invito alla fratellanza che Nostro Signore lancia alla città e a tutto il Paese per formare una comunità dove nessuno si senta solo, non voluto, rifiutato, ignorato o dimenticato e dove tutti s’impegnino a lottare per un mondo più giusto, più solidale e più felice». Inizia così il messaggio di Papa Francesco per la città di Rio de Janeiro, in Brasile, nel novantesimo anniversario dell’inaugurazione della statua di Cristo Redentore. L’auspicio è contenuto in un messaggio a firma del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato.

Nel testo il Papa «ricorda che, indipendentemente dal livello di istruzione o di ricchezza, tutte le persone possono contribuire alla costruzione della fratellanza umana: nessuno deve rimanere “a braccia conserte”, ma piuttosto aprire le braccia a tutti, come fa il Redentore. Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale un dialogo costruttivo, perché “tra l’indifferenza egoistica e la protesta violenta, c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo. Dialogo tra generazioni, dialogo tra le persone, perché tutti siamo persone” (Fratelli tutti, 199)».

A questo scopo il Papa «auspica che in questo giorno si rinnovi l’impegno ad accogliersi vicendevolmente, certo che è soprattutto Cristo ad accogliere tutti: Egli abita la città e invita ad avvicinarsi a Lui perché, standogli vicino, saremo vicini gli uni agli altri». Il messaggio si conclude con l’assicurazione della benedizione apostolica per quanti hanno celebrato la ricorrenza partecipando alla Messa del 12 ottobre .

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Carlo Acutis e Aparecida, più di una data liturgica in comune

Posté par atempodiblog le 12 octobre 2021

Carlo Acutis e Aparecida, più di una data liturgica in comune
Come Nostra Signora Aparecida, Carlo Acutis ha un forte legame con il Brasile, ed è curioso che non abbia mai visitato il Paese

di José Miguel Carrera – Aleteia

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Il giovane Carlo Acutis, beatificato nel 2020, viene celebrato dalla Chiesa il 12 ottobre, giorno della festa di Nostra Signora Aparecida. È stata in questa data, nel 2006, che l’adolescente è partito per la Casa del Padre ad appena 15 anni.
Non è solo la data liturgica che lui e la padrona del Brasile hanno in comune: entrambi hanno conquistato il cuore dei devoti brasiliani.

Pur senza aver mai visitato il Brasile, Acutis ha un fortissimo legame con il Paese. Uno dei miracoli riconosciuti dal Vaticano nel processo di beatificazione del giovane italiano è infatti avvenuto in Brasile.

Il miracolo di Carlo Acutis in Brasile
Il Vaticano ha riconosciuto il miracolo avvenuto per intercessione di Carlo Acutis in cui un bambino brasiliano dello Stato del Mato Grosso do Sul è guarito da una rara malattia nota come anomalia congenita del pancreas.

Il 12 ottobre 2010, in una cappella dedicata a Nostra Signora Aparecida, il piccolo ha ricevuto la benedizione sacerdotale con la reliquia di Carlo Acutis. Dopo la benedizione, la famiglia riferisce che è guarito. Non è stata sicuramente una mera coincidenza…

Devozione alla Madonna
Un altro forte legame tra Carlo Acutis e Aparecida: nella stanza di Carlo c’è un’immagine di Nostra Signora Aparecida, che la madre ha ricevuto da un sacerdote brasiliano. Il beato nutriva una forte devozione per Maria, e una volta ha affermato “La Vergine Maria è stata l’unica donna della mia vita”.

Oltre a questo, il giovane recitava il Rosario e riceveva l’Eucaristia tutti i giorni. È arrivato a dire: “Ricordate di recitare il Rosario tutti i giorni”, “Il Rosario è la scala più breve per arrivare al cielo”, “Dopo la Santa Eucaristia, il Santo Rosario è l’arma più potente per combattere il demonio”.

Non va dimenticato che vicino ai 15 anni (non si conosce l’età esatta) Maria di Nazaret ha accettato di essere la madre del Verbo di Dio incarnato. Anche il giovane Carlo Acutis a 15 anni è partito per le braccia di Gesù e Maria. Ora la Madonna, che Carlo ha tanto amato e ammirato, sta sicuramente aiutando il giovane per intercedere per il Brasile e per il mondo intero.

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12 ottobre/ Memoria liturgica del Beato Carlo Acutis, le celebrazioni ad Assisi

Posté par atempodiblog le 11 octobre 2021

Memoria liturgica del Beato Carlo Acutis, le celebrazioni ad Assisi
Martedì 12 ottobre ricorre la Memoria liturgica del Beato Carlo Acutis. Ecco il programma della festa del giovane ad Assisi
di Veronica Giacometti – ACI Stampa

12 ottobre/ Memoria liturgica del Beato Carlo Acutis, le celebrazioni ad Assisi dans Articoli di Giornali e News Beato-Carlo-Acutis

Martedì 12 ottobre ricorre la Memoria liturgica del Beato Carlo Acutis. Sono tante le iniziative e le celebrazioni che si terranno nella Chiesa di Santa Maria Maggiore-Santuario della Spogliazione ad Assisi, dove si trova la tomba del giovane beatificato un anno fa.

La diocesi di Assisi fa sapere che lunedì 11 ottobre mattina alle ore 11 ci sarà la santa messa, nel pomeriggio alle ore 17,30 il santo rosario e a seguire alle ore 18 la celebrazione eucaristica presieduta dal vicario generale don Jean Claude Kossi Anani Djidonou Hazoumé. In serata alle ore 20,30 si terrà la veglia di preghiera dei giovani della cattedrale di San Rufino.

Il 12 ottobre, giorno della Memoria liturgica di Carlo, alle ore 11 la santa messa sarà presieduta dal vicario provinciale della Provincia dei Frati minori, fra Marco Gaballo. Nel pomeriggio al santo rosario delle ore 17,30 seguirà (ore 18) la santa messa presieduta dal vescovo diocesano monsignor Domenico Sorrentino.

Tutti gli appuntamenti saranno trasmessi in diretta su Maria Vision (canale 602 Umbria), sulla pagina Facebook Diocesi Assisi-Nocera-Gualdo e sul sito della Diocesi www.diocesiassisi.it.

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Maria Lorenza Longo, nata nella seconda metà del ’400, oggi beata a Napoli

Posté par atempodiblog le 9 octobre 2021

Maria Lorenza Longo, nata nella seconda metà del ’400, oggi beata a Napoli
Si potrebbe dire che nella sua esistenza ha vissuto tutte le vocazioni, sempre seguendo il soffio dello Spirito Santo. Stamattina, nel Duomo di Napoli, la Messa di beatificazione di questa nobil donna che aveva fatto dell’affidarsi a Dio la sua vita. Nell’omelia, il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, di Maria Lorenza Longo ha messo in luce l’armonia tra contemplazione e azione a servizio degli ultimi
di Adriana Masotti – Vatican News

Maria Lorenza Longo, nata nella seconda metà del '400, oggi beata a Napoli dans Articoli di Giornali e News Nel-Duomo-di-Napoli-la-beatificazione-di-Maria-Lorenza-Longo

Di Maria Lorenza Longo non si sa con precisione l’anno di nascita, probabilmente il 1463. Di origine catalana, apparteneva ad una famiglia nobile di Lérida. Si sposò giovanissima, forse sedicenne, con Juan Llonc, reggente del Consiglio di Aragona. Una bevanda avvelenata le paralizzò le gambe ma, dopo essere rimasta vedova, durante un pellegrinaggio al santuario di Loreto ottenne la grazia della guarigione. Tornata a Napoli, decise di dedicarsi interamente alle opere di carità, fondando nel 1519 l’Ospedale dei cosiddetti “incurabili”, cioè gli ammalati di sifilide. Più tardi Maria Lorenza volle occuparsi anche delle prostitute, dando vita ad una comunità di “convertite” e aprendo un monastero. Insieme ad alcune donne che si erano unite a lei, decise di dare inizio ad una nuova istituzione claustrale di francescane a carattere contemplativo. Il 19 febbraio 1535 ottenne dal Papa Paolo III l’autorizzazione a costruire per loro un monastero “sotto la regola di Santa Chiara”. Anche la data della sua morte è incerta, ma pare sia avvenuta nell’ottobre del 1539.

Semeraro: una donna “portatrice di Cristo”
La parola del Signore va letta, ascoltata, lodata, ma poi va anche osservata. E’ quanto sottolinea il cardinale Marcello Semeraro nell’omelia alla Messa di beatificazione di Maria Lorenza Longo che, dice il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, la “forza generativa della Parola ascoltata e vissuta” l’ha vissuta in sé. Nel Duomo di Napoli sono presenti le Clarisse Cappuccine del monastero detto “delle Trentatré”, Ordine da lei fondato, e consorelle di altre comunità. Il porporato la definisce “una donna per tutte le vocazioni“:

Ella, infatti, fu sposa, madre, laica consacrata dedita alla carità, monaca contemplativa e in tutti questi “stati” della sua vita fu sempre in ascolto della voce di Dio, che la chiamava ad essere “portatrice di Cristo”.

In ascolto della voce dello Spirito
Costante il suo impegno per comprendere in che modo avrebbe potuto realizzare il progetto di Dio nella propria vita. Maria Lorenza Longo “fu sposa fedele e madre premurosa”, prosegue il cardinale Semeraro, che racconta di quando, partito il marito per Napoli, quale membro del Consiglio Collaterale del Viceregno al seguito di re Ferdinando il Cattolico, Maria Lorenza lo seguì pur nelle sue condizioni fisiche difficili, per sostenerlo nell’adempimento dei suoi compiti. Rimasta vedova, fidandosi di Dio anche in quella circostanza, si mise “al servizio della carità”. Fondò “l’Ospedale degli Incurabili” non solo per assistere “gli ultimi fra gli ultimi” ma anche per accompagnare le persone emarginate all’incontro con Cristo.

La fondazione delle Clarisse Cappuccine
Il prefetto descrive poi un’altra tappa fondamentale nell’esistenza di Maria Lorenza Longo:

Compì, poi, la scelta della vita contemplativa per sé e altre sorelle: “le Trentatré”, che si fecero seguaci del Poverello di Assisi e di Chiara, la sua “pianticella”. La fecondità di questa scelta è constatabile ancora oggi: le Clarisse Cappuccine oggi sono più di 2.000 in oltre 150 monasteri.

L’ultima impresa da lei compiuta fu il forte sostegno offerto per la fondazione del “Monastero delle Convertite” avviando così “il risanamento di una grande piaga sociale”.

L’umiltà e la fede unita alle opere
Della nuova beata, il cardinale Semeraro sottolinea “l’armonica composizione nella sua vita di contemplazione e di azione”, “l’intima corrispondenza tra fede e vita” e l’umiltà che l’ha condotta a “lasciare sempre a Dio l’ultima parola”. E conclude:

La nostra Beata, con le sue scelte di vita, ha imitato sia Marta, sia Maria e al termine della vita, sul letto di morte disse: “Sorelle a voi pare che io abbia fatto gran cose di buone opere; ma io in niente di me stessa confido, ma tutta nel Signore”. Mostrando, poi, la punta del dito mignolo, disse: “Tantillo di fé mi ha salvata”!

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Questa può essere l’ultima generazione di persone con la sindrome di Down

Posté par atempodiblog le 7 octobre 2021

Questa può essere l’ultima generazione di persone con la sindrome di Down
E non è una buona notizia. Discriminati e abortiti, i bambini affetti da Trisomia 21 sono sempre di meno. La medicina dà loro una vita “normale”, la società preferisce scartarli
di Piero Vietti  Tempi

Questa può essere l’ultima generazione di persone con la sindrome di Down dans Aborto Il-talento-non-fa-differenz
Una delle foto esposte nell’esposizione “Il talento non fa differenze. Mostra fotografica su bambini di talento ed ex bambini divenuti artisti”, nel 2011 a Siena (foto Ansa)

Quando Arthur è nato, e i suoi genitori hanno scoperto che soffriva della sindrome di Down, sua mamma Rebecca ha pensato «che non sarei mai più andata in vacanza e che non avrei mai più avuto una vita. Ma Arthur è fantastico, divertente, brillante ed è una gioia assoluta».

I test nipt spingono ad abortire
Rebecca è Rebecca Hulbert, attrice inglese che in un’intervista al quotidiano britannico Telegraph ha raccontato la storia di suo figlio: «Non sapevo che avesse la sindrome di Down finché non è nato. Mi spaventa pensare a cosa avrei fatto se l’avessi scoperto quando ero incinta. Non avevo mai incontrato nessuno con quella condizione, avevo solo immagini stereotipate di cosa fosse». Da luglio di quest’anno tutte le donne incinte inglesi posso effettuare gratuitamente i test non invasivi nipt (già introdotti nel sistema sanitario qualche anno fa), che da una semplice analisi del sangue riesce a individuare se il feto ha quella copia in più del cromosoma 21 che causa la sindrome di Down.

Ora c’è un dato che rende questo servizio pagato dello stato una notizia preoccupante, e che fa dire a Rebecca Hulbert di «avere la nausea vedendo che stiamo percorrendo la strada dell’eliminazione delle persone»: nei paesi in cui questo tipo di screening viene offerto, quasi tutte le donne abortiscono il nascituro che risulta affetto da trisomia 21. Spaventati dalle disabilità che il figlio avrà in vita, sempre più genitori preferiscono togliersi una fatica che temono di non potere affrontare. Il risultato è che «la popolazione globale con sindrome di Down sta precipitando», scrive il Telegraph, ed è destinata a scomparire.

Le nascite «immorali»
I numeri ci dicono che questa è probabilmente l’ultima generazione di persone con la sindrome di Down. Vittoria per la scienza e la salute dell’umanità? Non esattamente. C’è innanzitutto un piano umano di cui tenere conto, a prescindere dall’accettazione morale dell’aborto in quanto tale. «Invece di sostenere i nostri simili con la sindrome di Down e i loro genitori, incondizionatamente, invitiamo questi ultimi a porre fine alle loro vite», dice al Telegraph la dottoressa Helen Watts dell’Anscombe Bioethics Centre. «L’assenza dalla nostra comunità di persone con sindrome di Down lascia chi di loro riesce a nascere con la sensazione di non essere graditi e accolti dalla società».

Eppure illustri studiosi hanno spiegato che è giusto così: il biologo e scienziato di Oxford Richard Dawkins, che anni fa disse che «un feto è meno umano di un maiale adulto», ha ribadito che la possibilità tecnica di effettuare lo screening prenatale ha di fatto reso «immorale» mettere al mondo un bambino con quella sindrome. Il filosofo e professore di Bioteica a Princeton Peter Singer ha detto che in fin dei conti la perdita di bimbi con sindrome di Down è un danno «riequilibrato dalla nascita di altri bambini» che quegli stessi genitori che hanno deciso di abortire avranno, quindi accettabile. Il dramma è che il pensiero di Dawkins e Singer non è così lontano da quello di tanti.

I passi avanti della medicina
Bisognerebbe mettersi d’accordo sul significato del termine “accettabile”: la legge che ha depenalizzato l’aborto in Inghilterra nel 1967 permette di abortire legalmente fino all’ultimo giorno di gravidanza un figlio con gravi disabilità (per qualcuno l’aborto è più aborto che per gli altri, scrivevamo). A poco servono le proteste di attivisti e associazioni che difendono i diritti di queste persone, le quali ricordano come ormai molti dei tratti legati alla disabilità di chi è affetto da questa sindrome possono essere curati, e che essendo immuni a diversi tipi di cancro il loro patrimonio genetico può offrire informazioni importanti alla ricerca: in Danimarca ormai il 95 per cento degli screening positivi portano a un aborto, in Islanda il 100 per cento dal 2017, e in tutta Europa in pochi anni è nato il 54 per cento in meno di bambini down.

Spiega ancora il Telegraph che adesso la battaglia è impostata sul creare consapevolezza nei genitori che «grazie alla medicina moderna, i loro figli possono frequentare le scuole tradizionali, vivere in modo indipendente e godere di un’aspettativa di vita simile al resto di noi. Cinquant’anni fa la sindrome di Down era considerata una grave disabilità. La maggior parte dei bambini colpiti è stata sottratta ai genitori, non istruita e cresciuta in istituti, dove è morta prima dell’età adulta. Ora la maggior parte delle complicazioni associate alla sindrome, comprese le difficoltà di apprendimento, possono essere trattate in tutto o in parte».

I down possono essere discriminati
Tempi vi ha raccontato della ventiseienne Heidi Crowter, ragazza con la sindrome di Down che ha provato a cambiare la legge sul’aborto tardivo in Inghilterra, e della sua campagna Don’t Screen Us Out respinta lo scorso 23 settembre dall’alta corte (per Heidi la legge è «offensiva e non rispetta la mia vita», ma oggi sono altre offese che vengono tutelate). Crowter sosteneva che ai genitori di bambini con diagnosi di disabilità non vengono fornite le informazioni e l’aiuto di cui hanno bisogno per scegliere di accettare e crescere il loro bambino disabile.

Il fatto è che, con buona pace delle teorie di Dawkins e Singer, le persone con sindrome di Down non sono mai state bene come adesso, la scienza e lo studio della malattia permettono una vita “normale” e felice e in moltissimi casi. Il Telegraph ha intervistato anche Máire Lea-Wilson, di cui Tempi aveva scritto qui, mamma trentatreenne di Aidan che dopo avere effettuato lo screening ha subito pressioni dai medici fino all’ultimo gioro di gravidanza perché abortisse. Da bambina però Máire aveva una compagna di scuola affetta dalla sindrome di Down, e la ricorda felice e non problematica. Tanto è bastato per scegliere di non uccidere suo figlio.

Più ricerca, meno aborti
Ma se in Inghilterra (e in generale in Europa) la situazione è questa, in America le cose vanno un po’ meglio: grazie alle limitazioni dei finanziamenti alla disponibilità di test e a un’opposizione combattiva all’aborto le nascite di bambini con sindrome di Down sono diminuite solo di un terzo. Frank Stephens, attivista della Global Down Syndrome Foundation, dice da anni che i fondi federali dovrebbero essere utilizzati per migliorare la vita delle persone colpite, piuttosto che eliminare i bambini con quella condizione.

«Siamo il canarino nella miniera di carbone eugenetica», aveva detto al Congresso nel 2017, «stiamo aiutando a sconfiggere il cancro e l’Alzheimer, e rendiamo il mondo un posto più felice». Le argomentazioni pro life contro l’aborto non reggono più a livello di dibattito pubblico, lo sappiamo, ecco perché Stephens ha ribaltato il tavolo buttandola sulla ricerca: le informazioni contenute nel patrimonio genetico delle persone con sindrome di Down sono utili alla ricerca scientifica per curare le malattie che affliggono tutti, loro compresi. Non trattandole da cavie, ma da «individui che hanno diritto alla salute e alla felicità», dice al Telegraph Brian Skotko, genetista della Harvard Medical School.

Fallito l’assalto al comma della legge che in Inghilterra permette l’aborto tardivo nel caso di malformazioni, il fronte si sta riorganizzando con una proposta di legge per «definire una strategia nazionale per identificare e soddisfare i bisogni di tutti gli adulti e i bambini che vivono con quella condizione». «Mi sento molto triste e preoccupata», ha detto Rebecca Hulbert al Telegraph, «stiamo cercando di creare una razza superiore di bambini tutti uguali tra loro e capaci di andare a Oxford, o vogliamo anche persone che sappiano capire come ti senti e ti abbraccino? Abbiamo bisogno di più Arthur, Aidan e Heidi in questo mondo».

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Il dolore del Papa per il Rapporto sugli abusi nella Chiesa di Francia

Posté par atempodiblog le 6 octobre 2021

Il dolore del Papa per il Rapporto sugli abusi nella Chiesa di Francia
Dispiacere per le ferite subite, ma anche gratitudine per il coraggio della denuncia. E’ quanto esprime Francesco alla luce dei dati raccolti in due anni e mezzo di indagine e presentati oggi a Parigi, dalla Commissione indipendente sugli abusi sessuali su minori nella Chiesa francese: 216.000 vittime di preti e religiosi cattolici dal 1950. Alla conferenza stampa anche il nunzio apostolico, monsignor Celestino Migliore
di Cyprien Viet e Gabriella Ceraso – Vatican News

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Le vittime e la Chiesa di Francia sono oggi nel cuore del Papa, colmo di dispiacere per una “terribile realtà”. Al termine della presentazione a Parigi del Rapporto, frutto di oltre due anni di lavoro, il direttore della Sala Stampa vaticana Matteo Bruni comunica che Francesco, che proprio nei giorni scorsi ha incontrato i vescovi d’Oltralpe in visita ad limina, ne è stato informato.

“Il suo pensiero va anzitutto alle vittime, con grande dispiacere, per le loro ferite, e gratitudine, per il loro coraggio nel denunciare, e alla Chiesa di Francia, perché, nella consapevolezza di questa terribile realtà , unita alla sofferenza del Signore per i suoi figli più vulnerabili, possa intraprendere una via di redenzione”.

Ancora le vittime sono al centro della preghiera del Papa. Francesco – fa sapere Matteo Bruni – nella preghiera affida al Signore il “popolo di Dio in Francia” particolarmente le vittime, “perché doni loro conforto e consolazione e con la giustizia possa giungere il miracolo della guarigione”.

Le parole e la preghiera arrivano dunque al termine di una mattinata delicata e difficile. Come preannunciato alla stampa, il Rapporto nella sua integrità  è ampio e dettagliato. E’ stato un lavoro faticoso e intenso quello dei 21 membri della Commissione indipendente incaricata dai vescovi e dai religiosi di Francia. Aprendo la conferenza stampa il presidente, Jean-Marc Sauvé, ha citato la lettera di una vittima, per dire proprio che quanto emerso in circa due anni e mezzo può essere talvolta “destabilizzante e scoraggiante” ma dà la speranza “di un nuovo inizio”, di “un altro rapporto” con questa storia di dolore. Un “clima umano” ha sottolineato un membro della Commissione, ha caratterizzato l’ascolto delle vittime – aspetto centrale nella stesura del Rapporto -  ricordando in particolare le “lacrime di un settantenne” e la “rabbia di una donna”. Ascolto dunque prima che indagine di esperti.

A nome degli abusati ha parlato François Devaux, vittima di padre Preynat nella diocesi di Lione e co-fondatore dell’associazione La Parole Libérée. Un discorso il suo, pieno di sofferenza e di rabbia, ma anche di gratitudine per il lavoro della Commissione definito un “sacrificio per il bene comune”. “È dall’inferno che voi, membri della Commissione, siete tornati” – ha detto – chiedendo alla Chiesa profonde riforme, esprimendo il suo senso di tradimento per i silenzi e le “disfunzioni sistemiche” che ha affrontato nella sua lotta dolorosa.

I numeri raccapriccianti
Il Rapporto basato su testimonianze, ricerche e dati d’archivio è molto dettagliato – come ha spiegato il presidente Sauvè – ma non ha la pretesa di essere esaustivo. Come già preannunciato alla stampa nei giorni scorsi, la Commissione ha stimato in 2.900 a 3.200, i preti e i religiosi coinvolti in crimini di pedofilia in Francia tra il 1950 e il 2020. Ma la valutazione è parziale. Un sondaggio nazionale conta che un totale di 216.000 persone in Francia oggi (con un margine di errore di 50.000) sono state abusate da preti e religiosi cattolici. Se si includono le aggressioni commesse da laici (soprattutto nelle scuole), questa stima sale a 330.000 persone.

Jean-Marc Sauvé ha spiegato che nell’insieme della società francese, cinque milioni e mezzo di persone (il 14,5% delle donne e il 6,4% degli uomini) hanno subito una violenza sessuale prima dei 18 anni. Le famiglie e gli amici sono ancora i principali contesti, ma la prevalenza di aggressioni nella Chiesa cattolica rimane alta, anche in tempi recenti, e l’80% di questi abusi riguarda i ragazzi.

L’appello per “un’azione vigorosa”
Denunciando la mentalità corporativista della Chiesa cattolica, che ha cercato a lungo di coprire questi casi (in particolare facendo del silenzio delle vittime una condizione per il risarcimento), Jean-Marc Sauvé ha chiesto dunque “un’azione vigorosa”, compreso il riconoscimento degli atti passati, e misure preventive nella formazione e nel discernimento vocazionale. Nel rapporto anche 45 raccomandazioni specifiche, tra cui un rafforzamento dei meccanismi di controllo interno, una migliore definizione del ruolo del vescovo per evitare che sia giudice e parte in causa, e un migliore coinvolgimento dei laici nel governo della Chiesa.

Invocando un “lavoro di verità, perdono e riconciliazione”, il presidente Sauvé ha sottolineato anche che la Chiesa cattolica è “una componente essenziale della società” e che deve lavorare per “ristabilire un’alleanza che è stata danneggiata”. “La nostra speranza non può essere e non sarà distrutta. La Chiesa può e deve fare tutto per ripristinare ciò che è stato danneggiato e ricostruire ciò che è stato rotto”, ha concluso, mettendo in evidenza il coraggio delle vittime.

La reazione della Chiesa
Dolore e vegogna nella reazione della Chiesa: in conferenza stampa erano presenti i vescovi e i religiosi che hanno commissionato il Rapporto. Nel suo discorso, monsignor Éric de Moulins-Beaufort, arcivescovo di Reims e Presidente della Conferenza Episcopale( CEF), ha riconosciuto la portata “spaventosa” della violenza nella Chiesa. La voce delle vittime “ci sconvolge, ci travolge”, ha riconosciuto, lodando in particolare la franchezza e le “parole vere” di François Devaux. Il presidente della CEF ha promesso che i vescovi si prenderanno il tempo necessario per studiare il rapporto e trarne le conseguenze, in particolare durante la loro assemblea plenaria di novembre.

Da parte sua, la presidente della Conferenza delle religiose di Francia( CORREF), suor Véronique Margron, ha espresso il suo “infinito dolore” e la sua “vergogna assoluta” di fronte ai “crimini contro l’umanità del soggetto intimo, credente e amoroso”. Le 45 raccomandazioni sono un “segno di esigente fiducia nella Chiesa”, che dovrà lavorare con le altre istituzioni.

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