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Prete canta Mahmood a Messa/ Don Matteo, imitare il mondo non porta al Vangelo

Posté par atempodiblog le 24 février 2022

Prete canta Mahmood a Messa/ Don Matteo, imitare il mondo non porta al Vangelo
Don Matteo Selmo, sacerdote di Lonato del Garda, nel Bresciano, canta durante l’omelia le canzoni di Sanremo. Un errore culturale e dottrinale
di Monica Mondo  – Il Sussidiario

Prete canta Mahmood a Messa/ Don Matteo, imitare il mondo non porta al Vangelo dans Articoli di Giornali e News Sacerdote

Don Matteo, non quello della tv, ma un prete del bresciano, canta “Brividi” e “Apri tutte le porte”, due hit di Sanremo 2022, non all’oratorio, ma a Messa, durante le sue omelie. È scandaloso? Sì. È un problema? Sì. Bisogna finirla di vergognarsi a dire la verità, e quel che detta dentro la ragione. Bisogna finirla di non osare, per non passare per bacchettoni. Ogni cosa ha il suo tempo, la sua ora sotto il cielo. E ogni scelta di vita ha le sue regole, e obbedirvi dovrebbe essere una decisione per l’esistenza, non una gabbia. 

Nessuno ha obbligato, spero, don Matteo al sacerdozio. E immagino che qualcuno gli abbia spiegato il senso del sacro e il significato della liturgia. Vi sono disposizioni sulle omelie e sulle musiche durante le celebrazioni eucaristiche non stabilite a capocchia da qualche vegliardo in Vaticano, ma motivate, spiegate e siglate da più papi, compreso Francesco. E la Messa non è tempo e luogo per Mahamoud e Blanco, e neppure per Morandi, o De André. 

Ma non solo. Don Matteo faccia pace con la sua vocazione, e si renda conto che, piaccia o no, le esibizioni gender fluid e i testi che raccontano performances sessuali contrastano con gli insegnamenti della Chiesa. Per cui il sesso resta l’unione di due corpi e anime benedetto nel sacramento del matrimonio, tra un uomo e una donna. Se, come certi prelati d’Oltralpe, la pensa diversamente, forse può confrontarsi coi suoi superiori, o cambiare mestiere, o chiedere asilo in una delle tante chiese del Nord Europa, così aperte e moderne da veder svuotati i loro templi trasformati per soldi in shop e musei. 

Basta anche coi preti che per risultare simpatici scimmiottano gli influencer, si filmano e diffondono le loro fantasie in rete. Non portano i giovani a Cristo in questo modo, non prendiamoci in giro. Basta coi preti che credono di rincorrere la modernità con provocazioni puerili. Un giro nei monasteri o in tante adorazioni eucaristiche fa capire come proprio i giovani siano attirati e colpiti dal silenzio, da parole esigenti e che cercano e propongono la verità, dalla bellezza dell’inginocchiarsi davanti al Santissimo (ricordo a don Matteo che nella Messa il Santissimo è lì, per tutti). Per la discoteca ci sono altri momenti, e non sono per i sacerdoti. 

Ma basta anche con preti ambigui: “tu che mi mordi la pelle con i tuoi occhi da vipera” non è testo da mettere in bocca a un sacerdote. “Nudo con i brividi” non è esattamente pedagogico per indurre i ragazzi a capire il senso dell’amore. Non è la prevalenza del moralismo sulla morale. La morale non è un orpello, ma la forma di una verità riconosciuta, cui hai deciso di aderire, perché corrisponde al tuo bisogno.

Scriveva l’eterno G.K. Chesterton: “La verità è che il mondo moderno ha subito un tracollo mentale, molto più consistente del tracollo morale”. E ancora: “Coloro che rompono con le fondamenta della Chiesa ben presto rompono anche con le proprie fondamenta e quelli che cercano di reggersi a prescindere dalla sua autorità non riescono a reggersi affatto”.

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Il Papa annuncia il Giubileo 2025: segno di rinascita dopo le sofferenze della pandemia

Posté par atempodiblog le 13 février 2022

Il Papa annuncia il Giubileo 2025: segno di rinascita dopo le sofferenze della pandemia
Francesco scrive una lettera a monsignor Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, dicastero al quale è affidata l’organizzazione dell’Anno Santo: “Negli ultimi due anni abbiamo patito dubbi e paure per la pandemia, la scienza con tempestività ha trovato un primo rimedio. Abbiamo piena fiducia che l’epidemia possa essere superata e il mondo ritrovare i suoi ritmi di relazioni personali e di vita sociale”
di Salvatore Cernuzio – Vatican News

Il Papa annuncia il Giubileo 2025: segno di rinascita dopo le sofferenze della pandemia dans Articoli di Giornali e News Giubileo-2025

Un segno di quella “rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza”, dopo oltre due anni di pandemia, di dubbi, incertezze, di paura della morte, di parrocchie, scuole e uffici chiusi. Francesco guarda e invita a guardare con occhi di speranza al Giubileo che la Chiesa universale celebrerà nel 2025. “Pellegrini di speranza” è infatti il motto scelto per questo Anno Santo che vuole favorire “un clima di speranza e di fiducia” dopo la devastante pandemia, come sottolinea il Papa in un messaggio a monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, dicastero al quale è affidata l’organizzazione dell’evento.

Un evento e un dono
Nel documento, firmato a San Giovanni in Laterano l’11 febbraio, memoria della Beata Vergine di Lourdes, Francesco rammenta le radici di questo momento “di grande rilevanza spirituale, ecclesiale e sociale” – a partire dal primo Anno Santo indetto nel 1300 da Bonifacio VIII fino al Giubileo della Misericordia del 2016 – che nel corso dei secoli ha rappresentato un “dono di grazia” per tanti fedeli, con pellegrinaggi, indulgenze, testimonianze vive di fede.

Il Grande Giubileo dell’anno 2000 ha introdotto la Chiesa nel terzo millennio della sua storia. San Giovanni Paolo II lo aveva tanto atteso e desiderato, nella speranza che tutti i cristiani, superate le storiche divisioni, potessero celebrare insieme i duemila anni della nascita di Gesù Cristo il Salvatore dell’umanità.

Due anni di dolore
Ora che è vicino il traguardo dei primi 25 anni del secolo XXI, “siamo chiamati a mettere in atto una preparazione che permetta al popolo cristiano di vivere l’Anno Santo in tutta la sua pregnanza pastorale”, scrive il Pontefice. Lo sguardo si sposta sull’epoca odierna, gravemente ferita dalla pandemia di Covid. “Negli ultimi due anni – sottolinea Francesco – non c’è stato un Paese che non sia stato sconvolto dall’improvvisa epidemia che, oltre ad aver fatto toccare con mano il dramma della morte in solitudine, l’incertezza e la provvisorietà dell’esistenza, ha modificato il nostro modo di vivere”.

Come cristiani abbiamo patito insieme con tutti i fratelli e le sorelle le stesse sofferenze e limitazioni. Le nostre chiese sono rimaste chiuse, così come le scuole, le fabbriche, gli uffici, i negozi e i luoghi dedicati al tempo libero. Tutti abbiamo visto limitate alcune libertà e la pandemia, oltre al dolore, ha suscitato talvolta nel nostro animo il dubbio, la paura, lo smarrimento.

Il grazie alla scienza
La gratitudine del Papa va a uomini e donne di scienza che “con grande tempestività, hanno trovato un primo rimedio che progressivamente permette di ritornare alla vita quotidiana”.

Abbiamo piena fiducia che l’epidemia possa essere superata e il mondo ritrovare i suoi ritmi di relazioni personali e di vita sociale.

Un obiettivo, questo, dice il Papa, che “sarà più facilmente raggiungibile nella misura in cui si agirà con fattiva solidarietà, in modo che non vengano trascurate le popolazioni più indigenti, ma si possa condividere con tutti sia i ritrovati della scienza sia i medicinali necessari”.

Speranza e fiducia
L’invito è a “tenere accesa la fiaccola della speranza” e “fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante”.

Il prossimo Giubileo potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza.  

Tutto però sarà possibile “se saremo capaci di recuperare il senso di fraternità universale, se non chiuderemo gli occhi davanti al dramma della povertà dilagante che impedisce a milioni di uomini, donne, giovani e bambini di vivere in maniera degna di esseri umani”, afferma il Pontefice, rivolgendo un pensiero particolare ai tanti profughi costretti ad abbandonare le loro terre. “Le voci dei poveri siano ascoltate in questo tempo di preparazione al Giubileo”, raccomanda a monsignor Fisichella.

Non trascurare la terra
Lungo questo cammino, inoltre, non bisogna trascurare la terra, aggiunge il Vescovo di Roma. Non dimenticare, cioè, “di contemplare la bellezza del creato e di prenderci cura della nostra casa comune”, come fanno già tanti giovani e giovanissimi che riconoscono “che la cura per il creato è espressione essenziale della fede in Dio e dell’obbedienza alla sua volontà”. Il Dicastero per la Nuova Evangelizzazione trovi allora “le forme adeguate” perché l’Anno Santo “possa essere preparato e celebrato con fede intensa, speranza viva e carità operosa” e perché possa essere “una tappa significativa per la pastorale delle Chiese particolari, latine ed orientali”, chiamate in questi anni “a intensificare l’impegno sinodale”.

Sarà importante aiutare a riscoprire le esigenze della chiamata universale alla partecipazione responsabile, nella valorizzazione dei carismi e dei ministeri che lo Spirito Santo non cessa mai di elargire per la costruzione dell’unica Chiesa

Il 2024, una “sinfonia di preghiera”
In attesa della Bolla di indizione, emanata a tempo debito, il Papa dice di “rallegrarsi” nel pensare che l’anno 2024, precedente all’evento giubilare, possa essere una grande “sinfonia di preghiera”, in cui “ringraziare Dio dei tanti doni del suo amore per noi e lodare la sua opera nella creazione, che impegna tutti al rispetto e all’azione concreta e responsabile per la sua salvaguardia”. Preghiera che si traduce anche “nella solidarietà e nella condivisione del pane quotidiano”, preghiera per fare del Padre nostro insegnatoci da Gesù un “programma di vita”.

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Benedetto XVI, l’essere cristiano mi dona l’amicizia con il giudice delle mia vita

Posté par atempodiblog le 8 février 2022

Benedetto XVI, l’essere cristiano mi dona l’amicizia con il giudice delle mia vita
La lettera del Papa emerito che accompagna la risposta tecnica al dossier sugli abusi nella diocesi di Monaco  Frisinga
di Angela Ambrogetti – ACI Stampa

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Una recente foto di Benedetto XVI e l’arcivescovo Gänswein al Mater Ecclesiae
Foto: Fondazione Ratzinger

“In tutti i miei incontri, soprattutto durante i tanti Viaggi apostolici, con le vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti, ho guardato negli occhi le conseguenze di una grandissima colpa e ho imparato a capire che noi stessi veniamo trascinati in questa grandissima colpa quando la trascuriamo o quando non l’affrontiamo con la necessaria decisione e responsabilità, come troppo spesso è accaduto e accade”.

La lettera che Benedetto XVI scrive a tutti a seguito della relazione sugli abusi del clero nella diocesi di Monaco e Frisinga, che lo chiama in causa, non è solo un chiarimento. Il Papa emerito mette a nudo la sua coscienza e insegna a preti e vescovi, a responsabili e singoli cristiani come tutti davanti a Dio siamo peccatori e che solo Lui può perdonare “se con sincerità mi lascio scrutare da Lui e sono realmente disposto al cambiamento di me stesso”. Del resto, scrive Benedetto “ l’essere cristiano mi dona la conoscenza, di più, l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte”.

Il testo si apre con la cronaca e alcuni dettagli pratici sulla comunicazione di una svista: “Nel lavoro gigantesco di quei giorni – l’elaborazione della presa di posizione – è avvenuta una svista riguardo alla mia partecipazione alla riunione dell’Ordinariato del 15 gennaio 1980. Questo errore, che purtroppo si è verificato, non è stato intenzionalmente voluto e spero sia scusabile. Ho già disposto che da parte dell’arcivescovo Gänswein lo si comunicasse nella dichiarazione alla stampa del 24 gennaio 2022. Esso nulla toglie alla cura e alla dedizione che per quegli amici sono state e sono un ovvio imperativo assoluto. Mi ha profondamente colpito che la svista sia stata utilizzata per dubitare della mia veridicità, e addirittura per presentarmi come bugiardo”.

Non ha paura di dire le cose come stanno, Benedetto, e aggiunge: “ Tanto più mi hanno commosso le svariate espressioni di fiducia, le cordiali testimonianze e le commoventi lettere d’incoraggiamento che mi sono giunte da tante persone. Sono particolarmente grato per la fiducia, l’appoggio e la preghiera che Papa Francesco mi ha espresso personalmente. Vorrei infine ringraziare la piccola famiglia nel Monastero “Mater Ecclesiae” la cui comunione di vita in ore liete e difficili mi dà quella solidità interiore che mi sostiene”.

Archiviata la cronaca degli ultimi eventi ecco la parte più intima e personale, quando all’inizio della celebrazione della Messa “Preghiamo il Dio vivente pubblicamente di perdonare la nostra colpa, la nostra grande e grandissima colpa. È chiaro che la parola “grandissima” non si riferisce allo stesso modo a ogni giorno, a ogni singolo giorno. Ma ogni giorno mi domanda se anche oggi io non debba parlare di grandissima colpa. E mi dice in modo consolante che per quanto grande possa essere oggi la mia colpa, il Signore mi perdona, se con sincerità mi lascio scrutare da Lui e sono realmente disposto al cambiamento di me stesso”.

La Misericordia Divina, che nasce dalla “profonda vergogna, il mio grande dolore e la mia sincera domanda di perdono”.

Benedetto scende ancora più nel profondo, non è questione di cronaca ma di teologia: “ Sempre più comprendo il ribrezzo e la paura che sperimentò Cristo sul Monte degli Ulivi quando vide tutto quanto di terribile avrebbe dovuto superare interiormente. Che in quel momento i discepoli dormissero rappresenta purtroppo la situazione che anche oggi si verifica di nuovo e per la quale anche io mi sento interpellato”.

La grandezza della richiesta del perdono perché tutti sbagliamo. “Ben presto  scrive Benedetto  mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato (Paraclito). In vista dell’ora del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell’essere cristiano”.

La lettera si conclude con una immagine potente dell’ Apocalisse: Giovanni “vede il Figlio dell’uomo in tutta la sua grandezza e cade ai suoi piedi come morto. Ma Egli, posando su di lui la destra, gli dice: “Non temere! Sono io…”.

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Festival di Sanremo/ Comunicato del Vescovo di Ventimiglia – San Remo

Posté par atempodiblog le 2 février 2022

Mons-Suetta

Una triste apertura del Festival della Canzone Italiana 2022 ha purtroppo confermato la brutta piega che, ormai da tempo, ha preso questo evento canoro e, in generale, il mondo dello spettacolo, servizio pubblico compreso.

La penosa esibizione del primo cantante ancora una volta ha deriso e profanato i segni sacri della fede cattolica evocando il gesto del Battesimo in un contesto insulso e dissacrante.

Il brano presentato, già nel titolo – Domenica – e nel contesto di un coro gospel, alludeva al giorno del Signore, celebrato dai cristiani come giorno della fede e della risurrezione, collocandolo in un ambiente di parole, di atteggiamento e di gesti, non soltanto offensivi per la religione, ma prima ancora per la dignità dell’uomo.

Non stupisce peraltro che la drammatica povertà artistica ricorra costantemente a mezzi di fortuna per far parlare del personaggio e della manifestazione nel suo complesso.

Indeciso se intervenire o meno, dapprima ho pensato che fosse conveniente non dare ulteriore evidenza a tanto indecoroso scempio, ma poi ho ritenuto che sia più necessario dare voce a tante persone credenti, umili e buone, offese nei valori più cari per protestare contro attacchi continui e ignobili alla fede; ho ritenuto doveroso denunciare ancora una volta come il servizio pubblico non possa e non debba permettere situazioni del genere, sperando ancora che, a livello istituzionale, qualcuno intervenga; ho ritenuto affermare con chiarezza che non ci si può dichiarare cattolici credenti e poi avvallare ed organizzare simili esibizioni; ho ritenuto infine che sia importante e urgente arginare la grave deriva educativa che minaccia soprattutto i più giovani con l’ostentazione di modelli inadeguati.

Sono consapevole che la mia contestazione troverà scarsa eco nel mondo mediatico dominato dal pensiero unico, ma sono ancora più certo che raggiungerà cuori puliti e coraggiosi, capaci di reagire nella quotidianità della vita ad aggressioni così dilaganti e velenose. Soprattutto sono convinto di dover compiere il mio dovere di pastore affinché il popolo cristiano, affidato anche alla mia cura, non patisca scandalo da un silenzio interpretato come indifferenza o, peggio ancora, acquiescenza.

Vero è, come dice il proverbio, che “raglio d’asino non sale al cielo”, ma stimo opportuno sollecitare le coscienze ad una seria riflessione e i credenti al dovere della riparazione nella preghiera, nella buona testimonianza della vita e nella coraggiosa denuncia.

Sanremo, 2 febbraio 2022.

✠ Antonio Suetta
Vescovo di Ventimiglia – San Remo

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Il capo dei vescovi tedeschi dà la caccia a Benedetto XVI: “Chieda scusa”

Posté par atempodiblog le 2 février 2022

Il capo dei vescovi tedeschi dà la caccia a Benedetto XVI: “Chieda scusa”
L’accusa di mons. Bätzing, numero uno della Conferenza episcopale di Germania, al Papa emerito: “Dica di aver commesso degli errori”
di Matteo Matzuzzi – Il Foglio
Tratto da: Radio Maria

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Ma quali bugie, la vicenda del prete pedofilo “coperto” nel 1980 è a pagina 1.051 della biografia di Ratzinger scritta da Peter Seewald

“Benedetto XVI deve pronunciarsi, non tener conto di quello che dicono i suoi consulenti. Deve dire la semplice frase ‘ho delle colpe, ho fatto degli errori, prego che chi è rimasto coinvolto di perdonarmi’”, ha detto nel corso di una trasmissione televisiva il presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons Georg Bätzing. Sicuro di sé e della verità, il presule – che negli ultimi anni si è fatto notare per le interviste in cui reclamava il via libera alle diaconesse, urgenza suprema della Chiesa – ha confermato in poche battute lo spirito che anima la caccia a Joseph Ratzinger, accusato da un rapporto commissionato dall’arcidiocesi di Monaco e Frisinga di aver coperto ben quattro chierici pedofili tra il 1977 e il 1982 (Mons. Bätzing si complimenta invece con il cardinale Reinhard Marx, che la diocesi di Monaco la guida oggi e non quattro decenni fa, ed è finito pure lui nel doloroso rapporto). Il punto dolens, che tanto ha agitato la stampa internazionale, è la vicenda di padre Peter Hullermann (abusatore seriale), spostato da Essen a Monaco nel 1980 per essere affidato a buoni psichiatri. Nella memoria difensiva consegnata allo studio legale che ha lavorato al dossier, Benedetto XVI negava di aver partecipato alla riunione in cui si discusse la vicenda, salvo poi – quando l’accusa giacobina d’aver scandalosamente mentito e per di più su un tema delicato come quello della pedofilia aveva valicato le Alpi – correggersi e ammettere che effettivamente aveva partecipato (quarantadue anni fa) a quell’incontro. Scuse su cui in Germania hanno sorvolato, a cominciare proprio da mons. Bätzing, che con tutta evidenza non ha letto la biografia del Papa emerito scritta da Peter Seewald. Perché lì è tutto documentato. Lo ha fatto notare, con tanto di foto postate online, il vescovo di Passau, mons. Stefan Oster, che fin dall’inizio si era mostrato assai dubbioso sulle accuse rivolte a Ratzinger.

A pagina 1.051 dell’edizione italiana di Una vita (Garzanti), si legge infatti che “in veste di vescovo, durante una riunione del Consiglio dell’ordinariato nel 1980 aveva soltanto acconsentito ad accogliere il sacerdote in questione a Monaco affinché potesse sottoporsi a sedute di psicoterapia, ma il vicario generale Gerhard Gruber aveva autorizzato il sacerdote a prestare servizio in una parrocchia, contrariamente alla decisione di Ratzinger”. Insomma, Benedetto XVI non ha mai nascosto tale riunione, al punto da confermare i fatti nella sua biografia, scritta dal fidato Seewald. Non proprio lo stile di un McCarrick, tanto per fare il nome di un porporato che solo fino a pochi anni fa entrava in Vaticano alla stregua d’un faraone servito e riverito.

Le parole del capo dei vescovi tedeschi sono gravi, non trattandosi in questo caso di articoli apparsi sui giornali bensì di un vescovo con incarichi di massima responsabilità in una Conferenza episcopale. Un’uscita improvvida tale da ritenere necessario un intervento delle alte gerarchie vaticane e non solo un editoriale di Vatican News.

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L’Olocausto: Pio XII sapeva e salvò migliaia di ebrei. Nuove prove storiche

Posté par atempodiblog le 2 février 2022

L’Olocausto: Pio XII sapeva e salvò migliaia di ebrei. Nuove prove storiche
Papa Pacelli salvò personalmente almeno 15 mila persone di religione giudaica e seppe dettagliatamente quanto stava accadendo nel cuore dell’Europa. Lo afferma lo storico tedesco Michael Feldkamp con le prove raccolte negli archivi vaticani: “Possiamo ora correggere molte vaghe supposizioni o addirittura accuse” nei confronti del Pontefice e del suo presunto “silenzio”
di Mario Galgano – Vatican News

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Il capo archivista del Bundestag, lo storico tedesco Michael Feldkamp, si occupa da parecchi anni della ricerca su Papa Pio XII. Feldkamp che ha firmato pubblicazioni su diversi argomenti tra cui la nunziatura di Colonia e la diplomazia papale, così come articoli sul rapporto tra la Chiesa cattolica e il nazionalsocialismo, ha dedicato la sua opera del Duemila a “Pio XII e la Germania”. In questo suo lavoro lo storico mirava a portare il complesso stato della ricerca sul Pontefice al tempo dell’Olocausto ad un pubblico più ampio ed era anche intesa come una risposta al libro di John Cornwell Pio XII – “The Pope Who Remained Silent”.
I silenzi complici di Pio XII: è anche a questo che rispondono le novità emerse dai documenti cui Feldkamp si è dedicato negli archivi vaticani nei quali collabora con l’archivista Johannes Ickx. Papa Pio XII (al soglio pontificio dal 1939 al ’58) salvò personalmente almeno 15 mila ebrei e seppe da subito dell’Olocausto. Secondo Feldkamp, Papa Pacelli inviò un rapporto sugli stermini nazisti agli americani poco dopo la Conferenza di Wannsee, ma gli americani non gli credettero, da qui tanti aspetti sconosciuti al grande pubblico:

Dottor Feldkamp, lei è stato nei giorni scorsi negli archivi vaticani e ha visto alcuni documenti finora sconosciuti su Pacelli/Pio XII. Cosa pensa che ci sia di nuovo nella ricerca su di lui che il grande pubblico non conosce ancora?
Innanzitutto c’è da sottolineare che noi in Germania non siamo gli unici a fare ricerche su Pio XII. Non ci sono solo storici in questo campo, ma anche giornalisti – di cui abbiamo bisogno anche come moltiplicatori. Ciò che è nuovo ora, anche se noi lo abbiamo sempre saputo, è che Pio XII sapeva dell’Olocausto da subito. Per quanto riguarda lo sterminio sistematico degli ebrei europei, Papa Pacelli inviò un messaggio al presidente americano Roosevelt nel marzo 1942 – due mesi dopo la conferenza di Wannsee. In esso lo avvertiva che qualcosa stava accadendo in Europa nelle zone di guerra. Questi messaggi non erano considerati credibili dagli americani. Oggi sappiamo (…) che Pio XII si occupava della persecuzione degli ebrei quasi quotidianamente. Gli erano stati presentati tutti i rapporti e aveva creato un proprio ufficio all’interno della Seconda Sezione della Segreteria di Stato, dove il personale doveva occuparsi esclusivamente di tali questioni. C’era monsignor Domenico Tardini – che poi divenne un importante cardinale al Concilio Vaticano II – e c’era monsignor Dell’Acqua, anche lui più tardi cardinale. È anche considerato uno dei principali autori della Costituzione del Concilio Vaticano II sulla riconciliazione con gli ebrei la Nostra Aetate. Durante la Seconda Guerra mondiale, questi responsabili erano in strettissimo contatto con Pio XII: gli riferivano quotidianamente delle persecuzioni e delle deportazioni di massa, così come dei destini individuali di quanti si rivolgevano a loro. E la cosa straordinaria ora è che possiamo stimare che Pio XII salvò personalmente circa 15 mila ebrei attraverso i suoi sforzi personali: aprendo i monasteri e i chiostri in modo che le persone potessero essere nascoste lì. Questo fa un grande effetto! I reperti d’archivio che ho trovato ora in Vaticano mi mostrano con quanta precisione Pacelli fosse informato.

Lei ha detto che ciò che Papa Pacelli riferì sul destino degli ebrei non era considerato credibile, per così dire, dagli americani. Come reagirono la Santa Sede ma anche Papa Pio XII?
Si tratta di corrispondenza diplomatica, vengono confermate solo lettere che hanno ricevuto. È interessante, tuttavia, che il presidente degli Stati Uniti o i suoi collaboratori del Dipartimento di Stato abbiano ripetutamente contattato Pio XII per informazioni su casi individuali… Il sostegno di Papa Pacelli agli ebrei arriva al punto che la Guardia Palatina papale – una specie di guardia del corpo del Papa come l’odierna Guardia Svizzera – è stata coinvolta in risse con le Waffen-SS, con i soldati della Wehrmacht, per nascondere gli ebrei nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore. Ora si può vedere e provare tutto questo. Sono grato che abbiamo aperto questi archivi in Vaticano. In questo modo, possiamo ora correggere molte di queste vaghe supposizioni o addirittura accuse. Soprattutto, c’è l’accusa che Pio XII non fece nulla e rimase in silenzio. Il problema del silenzio è ancora lì, naturalmente. Ma ora può essere considerato ragionevole, considerando che lui ha portato persone a nascondersi in operazioni segrete. Allora non poteva attirare su di sé ulteriore attenzione pubblica organizzando proteste o scrivendo note di protesta, ma per distogliere l’attenzione conduceva trattative con l’ambasciata tedesca e con le forze di polizia italiane, persino con Mussolini e con il ministro degli Esteri italiano. Ha sempre cercato di ottenere il più possibile attraverso i negoziati.

Come vede la storiografia di oggi e la sua rivalutazione dei dossier di Pio XII? I risultati sono presentati correttamente o teme che ci siano alcune riserve?
La rivalutazione di oggi può aiutare a chiarirlo. Ma ho anche paura che certi ambienti cercheranno ancora di ritrarlo negativamente. Credo che questo accadrà. Ma è certamente difficile accusare o voler accusare qualcuno di questo in dettaglio. Vedo anche nella mia ricerca e nelle pubblicazioni in Germania quanto sia difficile trasmettere questi nuovi risultati come credibili. Quindi, ci sono ancora persone che dicono che non possono immaginare che per 70 anni abbiamo creduto il falso e ora si suppone che sia diverso. Questo scetticismo lo incontro spesso, sia all’interno che all’esterno della Chiesa. Quello a cui dobbiamo prestare attenzione, e che io ho sempre fatto, è di tenere presente che i risultati e i dossier sono tutti scritti in francese e soprattutto in italiano. E che la maggior parte dei miei colleghi, che sono storici e che sanno anche molto sulla seconda guerra mondiale, spesso non capiscono l’italiano. Ciò significa che ora dipendono dai colleghi che traducono, o dipendono da ciò che io poi presento e traduco. Naturalmente, cerco di tradurre in modo molto preciso e poi riporto le citazioni italiane in modo che la gente possa capire meglio, se necessario. Penso che si possa fare molto in questo campo… Abbiamo già avuto storie in cui le persone hanno semplicemente tradotto in modo errato o sono passate da una traduzione all’altra in modo altrettanto errato.

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Bassetti (Cei): «Anche in Italia un’indagine sugli abusi nella Chiesa. Nelle Diocesi centri di ascolto»

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2022

Bassetti (Cei): «Anche in Italia un’indagine sugli abusi nella Chiesa. Nelle Diocesi centri di ascolto»
Il cardinale Gualtiero Bassetti, 79 anni, presidente della Conferenza episcopale italiana: serve un cambiamento autentico, ma no al giustizialismo
di Gian Guido Vecchi – Corriere della Sera

Bassetti (Cei): «Anche in Italia un’indagine sugli abusi nella Chiesa. Nelle Diocesi centri di ascolto» dans Articoli di Giornali e News CARD-BASSETTI-GUALTIERO

«Per la tutela dei minori, è iniziato da diverso tempo un cammino progressivo e inarrestabile in cui le Chiese che sono in Italia sono impegnate con forza e convinzione». Il cardinale Gualtiero Bassetti, 79 anni, presidente della Cei, misura con attenzione le parole. È la prima volta che interviene in risposta alle domande nate, anche nel nostro Paese, dopo la pubblicazione dei rapporti sugli abusi sessuali su minori in vari Paesi europei.

Eminenza, da ultimo la diocesi di Monaco ha presentato un rapporto indipendente che era stato commissionato dallo stesso arcivescovo, il cardinale Marx. Ci sono stati altri report in Germania, in Francia e altrove, sempre commissionati dalla Chiesa. Come mai in Italia non è stato fatto? Ne avete parlato, è prevedibile ci sia un’inchiesta indipendente anche in Italia?
«Già da qualche tempo stiamo riflettendo sull’avvio di una ricognizione approfondita e seria della situazione italiana. Nell’esaminare le possibilità e le modalità di esecuzione dell’indagine, non possiamo non tener conto della differenza strutturale, culturale ed ecclesiale del nostro Paese rispetto ad altri, a partire dal numero molto elevato di diocesi. Per questo, oltre ai dati numerici che sono fondamentali per guardare la realtà con obiettività, pensiamo sia importante impostare un’indagine anche qualitativa che aiuti a determinare, ancora di più e meglio, l’attività di prevenzione e di formazione dei nostri preti e dei laici. Intanto, vogliamo raccogliere le informazioni che arrivano dai nostri Servizi diocesani per la tutela dei minori, per avere un riscontro dell’attività di questa rete del tutto nuova in Italia. Questo tipo di approccio metodologico “dal basso” ci consentirà di avere un quadro che non fa leva su proiezioni o statistiche, ma sul vissuto delle Chiese locali. Il nostro intento, nel segno della presa di coscienza e della trasparenza, è infatti quello di arrivare ai numeri reali».

Qualche mese fa aveva detto che «è pericoloso affrontare la piaga della pedofilia in base a proiezioni statistiche». Che cosa intendeva? C’è qualcosa che non la convince nei report come quelli presentati in Francia e Germania?
«Ribadisco: noi vorremmo arrivare a fornire dati ed elementi effettivi e, soprattutto, far emergere la consapevolezza di un cambiamento autentico che ci renda credibili nella nostra vicinanza rispettosa alle vittime, nella loro accoglienza. L’obiettivo è non ripetere errori e omissioni del passato e rendere giustizia agli abusati. Ma giustizia non è giustizialismo, e non si renderebbe un buon servizio né alla comunità ferita né alla Chiesa se si operasse in maniera sbrigativa, tanto per dare dei numeri. La Chiesa che è in Italia sta lavorando da anni sulla prevenzione e sull’ascolto. L’impegno c’è, e il futuro si costruisce fondando buone pratiche nel presente: i nostri Centri di ascolto, ormai piuttosto diffusi, sono disponibili ad accogliere chi sente il bisogno di trovare un luogo in cui raccontare la sua sofferenza e a ricevere segnalazioni. Non sarà facile né rapido cambiare mentalità e modo di operare in questo ambito, ma è la sfida principale in questo momento storico: c’è di mezzo la fiducia delle famiglie e l’integrità dei ragazzi».

Che idea si è fatto della situazione in Italia? In Germania Marx ha parlato di una «catastrofe». Da noi sarebbe diverso o è inevitabile che le proporzioni si ripetano?
«Non è una questione di proporzioni, perché stiamo parlando della vita di una persona che si porterà sempre dentro le ferite per gli abusi subiti. Dobbiamo tener conto degli abusi avvenuti e agire di conseguenza, con fermezza, nel presente e per il futuro perché non si ripetano più. Quello che è sicuramente cambiato in questi anni è che si va imponendo la coscienza della gravità del reato oltre che del peccato: da un lato i vescovi e gli ordinari religiosi fanno molte più indagini e processi canonici, dall’altro, chi subisce un abuso trova una comunità più preparata ad ascoltarlo e a sostenerlo».

Come procedono i Centri per la tutela dei minori aperti nelle diocesi?
«È iniziato da diverso tempo un cammino progressivo e inarrestabile in cui le Chiese che sono in Italia sono impegnate con forza e convinzione. Tutte le diocesi italiane hanno costituito il proprio Servizio diocesano per la tutela dei minori, con un referente dedicato: sono 56 donne e 47 uomini, in prevalenza professionisti preparati in campo giuridico, psicologico, medico-psichiatrico, assistenziale, educativo, e 124 presbiteri o religiosi. Il referente diocesano è affiancato da un’équipe di esperti che progettano iniziative di sensibilizzazione e prevenzione, anche in collaborazione con le associazioni e le istituzioni del territorio. Accanto alla rete dei Servizi diocesani e interdiocesani, coordinati per ogni Regione ecclesiastica da un coordinatore regionale e un vescovo delegato, stanno sorgendo i Centri di ascolto, diocesani e interdiocesani, che sono presenti in circa il 40 per cento delle Diocesi, in attesa, nel minor tempo possibile, di essere istituiti in ogni comunità diocesana».

E come funzionano?
«Ricordiamo che i Centri di ascolto non sono sportelli, perché non si tratta di uffici burocratici, ma di strutture predisposte che si avvalgono di volontari formati all’ascolto e all’accoglienza di persone che portano con sé le ferite di traumi psicologici e non solo. Sono laici, sacerdoti, religiosi e religiose; uomini e donne che sanno andare incontro al dolore delle vittime e dei sopravvissuti accogliendoli con competenza e delicatezza. I responsabili degli sportelli di prima accoglienza, inoltre, non sono sostitutivi né dell’azione della magistratura né dell’eventuale accompagnamento psicologico. Abbiamo tante belle figure, molti professionisti, che stanno rendendo un grande servizio per la sicurezza dei minori e che ci fanno ben sperare per il futuro».

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L’intervista. Binetti: «Cure palliative, mai eutanasia. La legge? Va modificata»

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2022

L’intervista. Binetti: «Cure palliative, mai eutanasia. La legge? Va modificata»
La senatrice Udc: la legge in discussione alla Camera è ambigua e solleva grandi perplessità sia nel mondo medico che in ambito politico, c’è molta demagogia nel mito dell’autodeterminazione assoluta
di Francesco Ognibene – Avvenire

L'intervista. Binetti: «Cure palliative, mai eutanasia. La legge? Va modificata» dans Articoli di Giornali e News Cure-palliative-Avvenire

No, non ce ne siamo dimenticati. Mentre l’attenzione generale si è concentrata altrove, sappiamo che c’è un nodo bello aggrovigliato da sciogliere: su eutanasia, referendum sull’omicidio del consenziente e legge sul suicidio assistito si decide un capitolo essenziale del nostro futuro. Lunedì 31 gennaio al Senato (ore 15.30, diretta streaming sulla web tv e il canale YouTube del Senato) un convegno mette ordine nelle carte sul tavolo (il programma in fondo all’intervista). A volerlo Paola Binetti, senatrice centrista, motore di iniziative politiche sui temi dell’umano.

L’elezione del Capo dello Stato ha congelato l’iter della legge sui casi in cui depenalizzare la “morte assistita. Come giudica il testo che la Camera potrebbe presto riprendere a discutere?
La legge è stata sollecitata dalla Corte Costituzionale con la famosa sentenza 242 del 2019 che, in un certo senso, ha depenalizzato l’aiuto al suicidio, ma nello stesso tempo ha fortemente sottolineato la necessità di garantire ai pazienti tutte le cure palliative necessarie. La legge in discussione alla Camera conserva e amplifica molti spazi di ambiguità e solleva grandi perplessità sia nel mondo medico che in ambito politico. In mancanza di importanti fattori che ne modifichino l’impianto attuale non sarà possibile votarla, e personalmente mi riservo di intervenire in Senato in tal senso. Nella speranza che a nessuno venga in mente di far arrivare un testo blindato, o addirittura di mettere la fiducia…

È meglio legiferare per evitare che a “dettar legge” siano poi i tribunali, oppure è bene che comunque non si apra mai a forme di “morte a richiesta”?
Sono contraria a legiferare su quella che lei definisce “morte a richiesta” e che io chiamo più semplicemente eutanasia. Penso che si possa e si debba legiferare per venire incontro alle esigenze dei malati in tutto l’arco della loro vita, fino all’ultimo istante. Dodici anni fa lo abbiamo fatto con la legge sulle cure palliative, di cui sono stata presentatrice e relatrice. Una legge che anche in Europa è considerata tra le migliori per facilitare la presa in carico del paziente e dei suoi familiari, soprattutto quando vivere sembra davvero difficile. La legge deve indicare una traiettoria positiva, che amplifichi la possibilità che i pazienti abbiano una vita migliore, ascoltandoli e dialogando con loro e la loro famiglia. Non si tratta di por fine alla loro vita ma di aiutarli a scoprire che la vita può sempre avere senso, soprattutto quando si capisce che non è l’autonomia in senso assoluto che ci rende liberi ma l’accettazione della nostra reciproca interdipendenza: abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri e su questo si fondano sia la solidarietà che la fraternità cui il Papa si riferisce con frequenza.

Lei è medico e credente. Che criteri assume come riferimenti?
Ho intrapreso gli studi di medicina per aiutare le persone ad affrontare, nelle migliori condizioni, tutte le eventuali malattie che la vita ci riserva. Mai ho pensato di diventare medico per mettere fine alla vita delle persone. Ippocrate, fin dal terzo secolo avanti Cristo, aveva chiesto a tutti i medici di giurare in tal senso, e siamo in tempi pre-cristiani. Per difendere la vita umana ci basta la legge naturale, la coscienza che c’è in ognuno di noi, che ci aiuta a capire come la nostra stessa umanità è fatta prima di tutto di solidarietà e relazione d’aiuto.

Che clima respira tra i suoi colleghi dei diversi partiti su questi temi?
Dipende molto da come si pone la domanda. Non c’è dubbio che la gente voglia sottrarsi al dolore, alla sofferenza che appare senza fine. Il dolore spaventa tutti noi. Per questo la legge sulle cure palliative prevedeva un esplicito riferimento alla creazione di una rete per la lotta contro il dolore, con investimenti specifici nella ricerca e un alleggerimento della normativa sulla somministrazione di farmaci più complessi, come certi oppiacei. Sotto questo profilo quella legge è rimasta a lungo inapplicata, sono pochi i centri che si occupano in modo adeguato di terapia contro il dolore. C’è poi l’altro aspetto importante su cui ha fatto leva tutta la propaganda per il referendum pro-eutanasia, quello che pretende abolire l’articolo del Codice penale in cui si parla di omicidio del consenziente: è il tema dell’autodeterminazione, della libertà individuale, quello per cui ognuno di noi vuole essere il primo e unico responsabile di tutte le decisioni da assumere. Il tema è posto sovente in modo molto ambiguo, dal momento che molto spesso assumiamo decisioni attraverso il confronto, accettando il parere di chi sembra saperne di più, l’appoggio di chi si offre di condividere con noi situazioni difficili da affrontare da soli. C’è molta demagogia nel mito dell’autodeterminazione assoluta: siamo tutti interdipendenti, e questo è il baluardo più efficace alla solitudine e alla sensazione di abbandono che potrebbe condurci perfino alla disperazione.

Una legge potrebbe fermare le derive eutanasiche nel nostro Paese?
Sì se fosse una legge che garantisce una presa in carico completa, a livello personale e familiare. Una legge che consente l’accesso a una terapia efficace contro il dolore, con misure per interventi sociali, anche sul piano economico, con servizi adeguati, che non fanno sentire soli, con un supporto vero ai caregiver che non solleciti sensi di colpa in chi si sente di peso per gli altri… Molto si può fare se si assume un’ottica positiva e propositiva, davanti alla quale il favorire la morte appare crudele e drammaticamente banale.

Il 15 febbraio la Consulta si pronuncerà sull’ammissibilità del referendum radicale sull’omicidio del consenziente. Cosa si attende?
Mi auguro che la Corte Costituzionale abbia il coraggio di non ammetterlo, o per lo meno di non ammettere il quesito così come è formulato. Rendere tanto facile dare la morte a persone fragili, malati cronici, soli, a volte anche con scarsa capacità di rendersi conto della irreversibilità della morte, aprirebbe la porta a mille abusi, come confermano i Paesi in cui leggi così sono attive da tempo. In caso di ammissibilità, mi auguro che sia il Paese a bocciarlo. È vero ha raccolto circa un milione di firme, ma gli italiani sono 60 milioni.

Le tante firme raccolte dai radicali cosa ci dicono?
Il quesito fa perno su due leve: la paura del dolore e il bisogno di sentirsi liberi, sempre e a ogni costo. Non sono state colte fino in fondo le conseguenze di una legge di questo tipo e tutti gli abusi che ne discenderanno, come mostra ciò che accade in Olanda, Belgio e altrove.

Cosa può fare la politica per diffondere le cure palliative?
Creare hospice adeguati, specie al Sud, e potenziare le cure palliative a domicilio. Occorre ricerca, aumentare il personale, creare master in cure palliative e potenziare le scuole di specializzazione, perché gli iscritti sono insufficienti a far fronte alle necessità dei pazienti e delle loro famiglie. Occorre investire anche in quelle cure non farmacologiche che includono il supporto psicologico, la musicoterapia, l’art-terapia, e perfino la pet-terapia…

Domenica 6 febbraio è la Giornata per la Vita: che messaggio offre in questo momento?
Il convegno che abbiamo promosso per lunedì 31 gennaio ha come titolo «Custodire ogni vita», lo stesso messaggio lanciato dal Papa e ripreso dalla Cei, che abbiamo voluto fare nostro mettendo in gioco non solo il nostro impegno politico ma la nostra umanità, con la profonda consapevolezza che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Giovani e anziani, sani e malati, nessuno deve sentirsi solo, perché sa che c’è chi si è impegnato a custodire la sua vita. Ogni vita è preziosa e va custodita, con amore e quella competenza che serve a rimuovere ostacoli, a garantire attraverso lo studio e l’esperienza l’aiuto necessario a ognuno, nei tempi e nei modi in cui si rende necessario.

Il convegno al Senato sulla Giornata per la Vita

L’appuntamento è alle 15.30 di lunedì 31 gennaio a Roma, ma il convegno «Custodire ogni vita» si può seguire anche in diretta streaming sui canali web tv e YouTube del Senato. Alla vigilia della 44esima Giornata per la vita, e sul tema Cei per l’appuntamento del 6 febbraio, il confronto organizzato dalla senatrice Udc Paola Binetti è articolato su due sessioni, moderate dal direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio. Dopo i saluti di monsignor Luigi Mistò e Stefano De Lillo, su «Cure palliative tra assistenza, ricerca e formazione» interverranno Maria Grazia De Marinis, ordinario di Scienze infermieristiche all’Università Campus Biomedico, il presidente della Fondazione Antea Giuseppe Casale e don Carlo Abbate, direttore dell’Ufficio per la Pastorale della Salute della diocesi di Roma. Di «Reali alternative alla richiesta di assistenza a morire» parleranno il presidente dell’Osservatorio «Vera Lex?» Domenico Menorello, la giurista della Sapienza Giovanna Razzano e Assuntina Morresi, presidente del Comitato per il no al referendum sull’omicidio del consenziente.

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Padre Andriy Zelinskyy: “Porto la luce di Cristo nella guerra delle trincee ucraine”

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2022

Padre Andriy Zelinskyy: “Porto la luce di Cristo nella guerra delle trincee ucraine”
Mentre il mondo guarda col fiato sospeso l’escalation di tensione nel Paese dell’Europa orientale, padre Andriy Zelinskyy, cappellano militare della Chiesa greco-cattolica, racconta la sua azione pastorale tra i soldati che temono l’allargamento del conflitto: “Anche nella guerra, la Parola di Dio può accendere speranza”. Il grazie a Papa Francesco per la Giornata di preghiera per la pace che si è celebrata ieri: “Proviamo profonda gratitudine. Ora non ci sentiamo più soli”
di Federico Piana – Vatican News

Padre Andriy Zelinskyy: “Porto la luce di Cristo nella guerra delle trincee ucraine” dans Articoli di Giornali e News Padre-Andriy-Zelinskyy

La croce di legno sopra il giubbotto antiproiettile, il fango delle trincee sotto gli scarponi, il Vangelo in una tasca della tuta mimetica. Non è facile essere cappellano militare in Ucraina quando spirano violenti venti di guerra. “La nostra missione è quella di stare accanto ai soldati e portare a loro un pezzo di Cielo in modo che non sia pregiudicata la loro capacità di scegliere il bene, di cercare la verità, di proteggere la giustizia e perfino di contemplare la bellezza”, sussurra padre Andriy Zelinskyy.

Dolore per gli sviluppi internazionali
Lui, sacerdote gesuita della Chiesa greco-cattolica ucraina, prova profondo dolore per la tempesta che si agita nei cuori di quei ragazzi che imbracciano un fucile, spaventati da un’escalation della tensione al confine orientale del Paese. Da quando, nel 2014, sono iniziati i primi scontri armati, ha cercato di portare conforto e amore nelle zone più colpite, come quella di Pisky, di Scerokino, di Avdiyivka e di Vodiane. “In otto anni, abbiamo perso 14.000 persone. Questa può essere davvero definita una guerra ibrida, una guerra che, di fatto, già è in corso ma che in molti hanno voluto ignorare” spiega padre Zelinskyy.

Ascolto nelle trincee
C’è un osservatorio privilegiato dal quale padre Zelinskyy riesce a comprendere meglio il vero valore della vita umana: le trincee. Quei fossati, scavati dai soldati ucraini per resistere agli attacchi dei nemici,  si rivelano postazioni preziose per sondare le profondità del cuore umano. “Nel tempo – racconta il cappellano militare  proprio qui ho capito che non ci sono risposte facili da dare a chi ha perso un fratello, un amico, un compagno, in un conflitto che il mondo non riesce a vedere. Bisogna saper ascoltare e cercare di far incontrare il Signore della pace attraverso la preghiera comune”.

Aiuti anche alle famiglie
Il timore per un allargamento del conflitto ha spinto la Chiesa greco-cattolica ucraina ad intensificare gli aiuti anche nei confronti delle famiglie dei militari fornendo assistenza materiale e spirituale: ad esempio, le madri che hanno perduto un figlio condividono il loro dolore attraverso momenti di orazione mentre i bambini che hanno perso i loro padri in battaglia vengono integrati in momenti di svago e ricreativi. “La fede  dice padre Zelinskyy  aiuta a trovare la strada nelle tenebre della violenza. Anche nella guerra, la Parola di Dio può accendere una luce di speranza”.

Grati per l’intervento del Papa
Dalle famiglie dei militari e dagli stessi soldati giunge un grazie a Papa Francesco per i suoi forti appelli alla pacificazione, tra questi quello pronunciato nel post Angelus di domenica scorsa durante il quale il Pontefice aveva annunciato anche una giornata di preghiera per la pace, in programma per ieri, mercoledì 26 gennaio. Se ne fa portavoce proprio il cappellano militare: “Proviamo profonda gratitudine per tutto quello che il Papa sta facendo per l’Ucraina. Ci siamo accorti che non siamo soli e questo ci provoca un’emozione ricca e profonda. Tutti dobbiamo pregare insieme con il Santo Padre per la pace non solo per il nostro Paese ma per il mondo intero e per ogni cuore umano”.

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Giorno della Memoria: mai più crimini così grandi per l’umanità

Posté par atempodiblog le 27 janvier 2022

Giorno della Memoria: mai più crimini così grandi per l’umanità
Fonte:  CEI – Conferenza Episcopale Italiana

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In apertura della Conferenza stampa di presentazione del Comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente, Mons. Stefano Russo, Segretario Generale della CEI, ha dato lettura di una Dichiarazione firmata con il Cardinale Presidente in occasione del Giorno della Memoria. Di seguito il testo.

Il 27 gennaio, data in cui, nel 1945, fu liberato il campo di Auschwitz, è per noi il Giorno della memoria, il giorno in cui ricordiamo la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché tutte le vittime di un progetto di sterminio.

Questo giorno non vuole essere una semplice ricorrenza che si ripete di anno in anno, ma è anche e soprattutto un impegno per il futuro. Perché ciò che è avvenuto, non avvenga mai più.

La memoria, infatti, è profondamente legata con il presente e con il futuro. Per questo è importante legarla con il racconto, soprattutto per i più giovani: ignorare una tragedia così grande per l’umanità porta all’indifferenza e al proliferare di quella cultura dello scarto, più volte denunciata da Papa Francesco.

L’appello della Chiesa che è in Italia è che il Giorno della memoria sia monito per una cultura di pace, di rispetto e di fratellanza.

Purtroppo, nonostante un passato così drammatico, ancora oggi facciamo esperienza quotidiana di minacce e manifestazioni di violenza. Guerre, genocidi, persecuzioni, fanatismi vari continuano a verificarsi, anche se la storia insegna che la violenza non porta mai alla pace. Oggi ribadiamo: mai più crimini così grandi per l’umanità!

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Sant’Ireneo proclamato dal Papa Dottore della Chiesa

Posté par atempodiblog le 22 janvier 2022

Sant’Ireneo proclamato dal Papa Dottore della Chiesa
La decisione contenuta nel Decreto odierno a firma di Francesco. L’apostolo dei popoli celtici e germanici e difensore della Dottrina riceve il titolo di “Doctor unitatis”. Nel suo nome e nella sua vita impresso l’anelito alla pace e al dialogo
di Vatican News

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“La dottrina di così grande Maestro possa incoraggiare sempre più il cammino di tutti i discepoli del Signore verso la piena comunione”. Questo l’auspicio con il quale il Papa sigla il Decreto datato 21 gennaio che dichiara Sant’Ireneo di Lione Dottore della Chiesa, con il titolo di Doctor unitatis.

Ponte spirituale e ispiratore di pace
Nelle motivazioni che precedono la proclamazione Francesco rimarca due aspetti della vita e dell’opera del santo che, “venuto dall’Oriente” ha “esercitato il suo ministero episcopale in Occidente”:

Egli è stato un ponte spirituale e teologico tra cristiani orientali e occidentali. Il suo nome, Ireneo, esprime quella pace che viene dal Signore e che riconcilia, reintegrando nell’unità.

Ricordiamo che, appena ieri, era stato compiuto l’ultimo passo verso questo pieno riconoscimento al vescovo di Lione del II secolo, con l’ accoglienza da parte del Papa del parere affermativo della Congregazione delle Cause dei Santi. Francesco ne aveva inoltre già parlato il 7 ottobre dell’anno scorso incontrando il Gruppo Misto di Lavoro ortodosso-cattolico Sant’Ireneo, e rimarcando, come fatto anche oggi, il ruolo di “grande ponte spirituale e teologico tra cristiani orientali e occidentali” e la missione di pace impressa già nella radice greca del suo nome - Ειρηναίος (Eirenaios) che significa “pacificatore”. La pace del Signore, aveva detto il Papa in quell’occasione, “non è una pace ‘negoziabile’, frutto di accordi per tutelare interessi, ma una pace che riconcilia, che reintegra nell’unità. Questa è la pace di Gesù”.

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“Ha coperto quattro pedofili”. L’ultimo vile attacco a Ratzinger

Posté par atempodiblog le 22 janvier 2022

“Ha coperto quattro pedofili”. L’ultimo vile attacco a Ratzinger
Nuovo rapporto sugli abusi del clero nella Chiesa di Monaco. Secondo i legali incaricati dalla diocesi l’allora arcivescovo avrebbe sottovalutato quattro casi. Le prove? Boh.
Il paradosso è che oggi a essere messo sul banco degli imputati è proprio Ratzinger, il Papa che per primo è intervenuto sul problema, e non solo con lettere e discorsi pubblici (che pure non sono mancati nel corso del pontificato). Benedetto XVI ha inasprito tutte le norme canoniche in tema di pedofilia, raddoppiando la prescrizione (da dieci anni a venti) e consentendo così di punire casi vecchi di decenni, anche quando per le leggi civili non erano più giudicabili. E’ il Papa che ha ridotto allo stato laicale i colpevoli in presenza di prove evidenti
di Matteo Matzuzzi – Il Foglio
Tratto da: Radio Maria

“Ha coperto quattro pedofili”. L’ultimo vile attacco a Ratzinger dans Articoli di Giornali e News Papa-emerito-Benedetto-XVI

Annunciato come la grandine in pieno agosto, è stato presentato il rapporto indipendente sugli abusi del clero nella Chiesa di Monaco di Baviera. A stilare il documento, lo studio legale Westpfahl Spilker Wastl, incaricato dalla diocesi stessa. I dati: in un periodo lunghissimo, dal 1945 al 2019, sarebbero stati accertati 497 abusi. Il metodo seguito è sempre lo stesso: colloqui e interviste. 235 gli abusatori, tra preti, diaconi e responsabili pastorali a vario titolo legati a parrocchie, oratori e strutture affini. Delle due ore di conferenza stampa, i media globali si sono naturalmente soffermati sulle responsabilità dell’allora arcivescovo Joseph Ratzinger (in diocesi dal 1977 al 1982): secondo i legali, il Papa oggi emerito avrebbe sottovalutato “quattro casi”, lasciando i responsabili degli abusi al loro posto.

Ratzinger si è difeso  con un’articolata memoria di 87 pagine in cui respinge ogni addebito, ma sembra – il dubbio è lecito visto che del rapporto si conoscono solo estratti sapientemente scelti – che nulla di quanto scritto da Benedetto XVI sia stato tenuto in considerazione. “Lui sostiene che non era a conoscenza di certi fatti, noi crediamo che non sia così”, hanno sentenziato gli estensori del dossier, chiudendo la discussione. Dall’eremo nei Giardini vaticani, dove il quasi 95enne Pontefice emerito si è ritirato dal 2013, si fa sapere che il rapporto non è stato ancora letto (consta di oltre mille pagine, dopotutto) e che  quel che si può fare, per il momento, è ribadire la vicinanza alla vittime, come più volte Benedetto XVI ha fatto quando governava la Chiesa.

All’evento non era presente l’attuale arcivescovo, il cardinale Reinhard Marx – che ha espresso “vergogna” –, reo secondo l’accusa d’aver coperto due pedofili. Marx, però, fa meno notizia del vecchio Pontefice, anche se lo scorso giugno Francesco aveva respinto le sue dimissioni dalla guida diocesana presentate proprio per le defaillance mostrate nel contrastare la piaga della pedofilia. Marx, pochi mesi fa, aveva parlato di “catastrofe” e di “scacco sistemico” di una Chiesa giunta “a un punto morto”. L’arcidiocesi bavarese commenterà il rapporto solo tra sette giorni, dopo averlo studiato con la dovuta attenzione.

Il paradosso è che oggi a essere messo sul banco degli  imputati è proprio Ratzinger, il Papa che per primo è intervenuto sul problema, e non solo con lettere e discorsi pubblici (che pure non sono mancati nel corso del pontificato). Benedetto XVI ha inasprito tutte le norme canoniche in tema di pedofilia, raddoppiando la prescrizione (da dieci anni a venti) e consentendo così di punire casi vecchi di decenni, anche quando per le leggi civili non erano  più giudicabili. E’ il Papa che ha ridotto allo stato laicale i colpevoli in presenza di prove evidenti. Senza dimenticare che uno dei suoi primi atti appena eletto fu di punire Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, finito da tempo nel mirino della congregazione per la Dottrina della fede da lui guidata ma fin lì immune da provvedimenti vaticani. Atti concreti e probabilmente più efficaci degli show a favore di telecamere con vescovi e laici in cui si chiede coralmente “perdono” tra volute d’incenso e silenzi contriti.

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Don Fabio Rosini: Natale è il giorno in cui ci sentiamo “preziosi”

Posté par atempodiblog le 24 décembre 2021

Don Fabio Rosini: Natale è il giorno in cui ci sentiamo “preziosi”
In quel giorno ognuno di noi riscopre di “contare” qualcosa: perché è stato preso in considerazione da Dio
di Gelsomino Del Guercio – Aleteia

Don Fabio Rosini: Natale è il giorno in cui ci sentiamo “preziosi” dans Articoli di Giornali e News don-fabio-rosini

Natale è il giorno in cui dobbiamo sentirci preziosi più degli altri giorni, perché “contiamo” di più: Don Fabio Rosini spiega il significato di questa sua affermazione in un commento natalizio al Vangelo.

Il noto biblista ci porta nello spirito del Natale insegnandoci che il versetto più importante del Vangelo da conoscere è certamente: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. «Il Verbo – dice Don Fabio Rosini – allora non è qualcosa da capire, visto che diventa carne! E non è qualcosa di distante da noi, ma viene a vivere in mezzo a noi».

Dio “è una persona”
Allora Don Fabio ci chiede di focalizzarci su tre cose. In primo luogo, è una persona, non una specie di idea. Poi, in secondo luogo, non è solo presso Dio ma è anche carne umana come la nostra. In terzo luogo, non dimora in qualche luogo lontano dall’umanità, ma in mezzo a noi. Tutto ciò indica che abbiamo la possibilità di incontrare questa persona concreta e contemplare la sua gloria».

La Gloria non è spettacolarità
San Giovanni dice: “E noi abbiamo contemplato la sua gloria”. A cosa si riferisce? «“Gloria” – afferma il biblista, molto amato dai giovani – non indica una qualche spettacolarità: in ebraico la parola significa il peso o il valore reale di qualcosa. Infatti si dice cosa hanno contemplato: “Gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità”.

“Capisco la mia stessa carne”
Il Natale, secondo Don Fabio Rosini, annuncia che «Dio è a portata di mano e si è fatto carne, certo, ma c’è ancora di più: se capisco la carne di Cristo, capisco la mia stessa carne. Se vedo la Sua gloria, allora comincio a rendermi conto della rilevanza della mia vita. Se apprezzo la misura in cui Dio si è umiliato per me, quel che fa per unirsi con me, allora comincio a comprendere chi sono. Quando lo vedo, conosco la mia dignità».

“Chi sono io da essere preso così tanto a cuore?”
L’incarnazione, prosegue il popolare sacerdote, «non parla unicamente della generosità di Dio, ma manifesta la preziosità della nostra esistenza. Perché se colui che ha creato le galassie e il cosmo si è fatto carne per incontrarci, posso chiedermi: ma chi sono io da esser preso così tanto a cuore?».

Accogliere la vita da figli di Dio
Don Fabio, pertanto, in vista del Natale ci esorta a sentirci più sereni: «Rallegriamoci, quindi, che Dio si è fatto carne, ma questo vuol dire anche che è importante avere un corpo, essere vivi! E che ne possiamo fare di questa carne? Cosa è apparso nella Sua carne per illuminare la nostra? In essa Lui ha mostrato la gloria di Figlio del Padre. La carne umana ha questa potenzialità: accogliere questa vita da figli di Dio».

“Questo è ciò che è venuto a portare il Signore”
Il biblista – che sui canali “social” è seguito da migliaia di giovani utenti – sostiene che «Noi siamo figli di tanto altro, della nostra cultura, delle nostre storie e tante volte quel che abita in noi è generato solo dalle nostre paure più profonde… Ecco la Gloria che appare in questo giorno di Natale: vivere nella nostra fragile carne ma radicati in Dio, sorgendo dal suo amore di Padre. Questo è ciò che è venuto a portare il Signore Gesù. Questo è il nostro battesimo, in cui la Sua esistenza ci viene donata. È bello vivere guardando a noi stessi, al prossimo e al mondo partendo dalla certezza di essere amati, di essere preziosi come figli agli occhi del loro Padre. È un’esistenza nobile, limpida, pacificata» (cercoiltuovolto.it).

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Il Papa: san Giuseppe insegna il silenzio, lo spazio in cui lo Spirito parla e consola

Posté par atempodiblog le 16 décembre 2021

Il Papa: san Giuseppe insegna il silenzio, lo spazio in cui lo Spirito parla e consola
Nella quarta catechesi dedicata alla figura del padre terreno di Gesù, Francesco invita a imparare da lui la dimensione dell’interiorità che permette alla voce di Dio dentro di noi di esprimersi: ci aiuta a guarire il nostro parlare ed evitare “adulazione, bugia e calunnia”
di Alessandro Di Bussolo – Vatican News

Il Papa: san Giuseppe insegna il silenzio, lo spazio in cui lo Spirito parla e consola dans Articoli di Giornali e News san-Giuseppe

Impariamo da Giuseppe, che nei Vangeli non parla mai, ma fa, a coltivare il silenzio, per lasciare spazio alla Parola di Dio e permettere allo Spirito Santo di rigenerarci e di guarire la nostra lingua, perché non ferisca più i fratelli. Impariamo da lui ad unire al silenzio l’azione. E’ l’invito rivolto a tutti da Papa Francesco nella catechesi dell’udienza generale di oggi, la quarta dedicata alla figura del padre terreno di Gesù. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

Il suo silenzio lascia spazio a Gesù, Parola fatta carne
In un Aula Paolo VI vestita a festa in questo cammino verso il Natale, accanto al presepe allestito dai giovani di Gallio, il Papa parla di san Giuseppe come “uomo del silenzio”, dopo aver illustrato l’ambiente in cui è vissuto, il suo ruolo nella storia della salvezza e il suo essere giusto e sposo di Maria. E’ importante, aggiunge a braccio, “pensare al silenzio in quest’epoca” nella quale sembra non abbia valore. E ricorda che “i Vangeli non ci riportano nessuna parola di Giuseppe di Nazaret”, non perché fosse taciturno, ma per “lasciare spazio alla presenza della Parola fatta carne, a Gesù”, come sottolinea anche sant’Agostino. Possiamo dire, aggiunge ancora Francesco uscendo dal discorso preparato, “che il ‘pappagallismo’, parlare come pappagalli, continuamente, diminuisce un po’”.

Recuperiamo la dimensione contemplativa della vita
Ma, prosegue Francesco “il silenzio di Giuseppe non è mutismo; è un silenzio pieno di ascolto, un silenzio operoso, un silenzio che fa emergere la sua grande interiorità”. E Gesù, nella casa del falegname di Nazaret, è cresciuto a questa “scuola”, cercando sempre “spazi di silenzio nelle sue giornate”, invitando i suoi discepoli a fare la stessa esperienza.

“Come sarebbe bello se ognuno di noi, sull’esempio di San Giuseppe, riuscisse a recuperare questa dimensione contemplativa della vita spalancata proprio dal silenzio”.

Ma tutti noi sappiamo per esperienza che non è facile: il silenzio un po’ ci spaventa, perché ci chiede di entrare dentro noi stessi e di incontrare la parte più vera di noi.

Senza questo allenamento, il nostro parlare si ammala
Impariamo da San Giuseppe, è l’invito del Pontefice, “a coltivare spazi di silenzio, in cui possa emergere un’altra Parola, cioè Gesù: quella dello Spirito Santo che abita in noi e che porta Gesù”.

Non è facile riconoscere questa Voce, che molto spesso è confusa insieme alle mille voci di preoccupazioni, tentazioni, desideri, speranze che ci abitano; ma senza questo allenamento che viene proprio dalla pratica del silenzio, può ammalarsi anche il nostro parlare. Esso, invece di far splendere la verità, può diventare un’arma pericolosa. Infatti le nostre parole possono diventare adulazione, vanagloria, bugia, maldicenza, calunnia.

Gesù: chi calunnia il prossimo è omicida
Se il Libro del Siracide ricorda che “ne uccide più la lingua che la spada”,  Gesù lo ha detto chiaramente, sottolinea Papa Francesco: “chi parla male del fratello e della sorella, chi calunnia il prossimo, è omicida”. E l’apostolo Giacomo, nella sua Lettera, sviluppa il tema del potere, positivo e negativo, della parola: “Dalla medesima bocca – scrive -escono benedizioni e maledizioni”.

“Questo è il motivo per cui dobbiamo imparare da Giuseppe a coltivare il silenzio: quello spazio di interiorità nelle nostre giornate in cui diamo la possibilità allo Spirito di rigenerarci, di consolarci, di correggerci”.

Non dico di cadere in un mutismo, no. Silenzio. Ma tante volte, ognuno di noi guardi dentro, tante volte stiamo facendo un lavoro e quando finiamo subito cerchiamo il telefonino per fare un’altra… sempre stiamo così. E questo non aiuta, questo ci fa scivolare nella superficialità.

Giuseppe ha unito al silenzio l’azione
La profondità del cuore “cresce col silenzio, silenzio che non è mutismo – completa il discorso a braccio il Papa – ma che lasci spazio alla saggezza, alla riflessione e allo Spirito Santo. Noi abbiamo paura dei momenti di silenzio, non abbiamo paura! Ci farà tanto bene”. E il beneficio del cuore che ne avremo, spiega, “guarirà anche la nostra lingua, le nostre parole e soprattutto le nostre scelte”. Infatti, conclude Francesco, Giuseppe ha unito al silenzio l’azione, “non ha parlato, ma ha fatto”, mettendo in pratica l’ammonimento di Gesù ai discepoli: “Non chi dice Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. Il suo consiglio finale è “parlare giusto, mordersi un po’ la lingua che fa bene qualche volta, invece di dire stupidaggini”.

La preghiera: insegnaci a riscoprire le parole che edificano
In conclusione il Pontefice regala, come nelle precedenti catechesi sul patrono della Chiesa universale, una preghiera.

“San Giuseppe, uomo del silenzio, tu che nel Vangelo non hai pronunciato nessuna parola, insegnaci a digiunare dalle parole vane, a riscoprire il valore delle parole che edificano, incoraggiano, consolano, sostengono. Fatti vicino a coloro che soffrono a causa delle parole che feriscono, come le calunnie e le maldicenze, e aiutaci a unire sempre alle parole i fatti. Amen”.

La preghiera per le vittime dell’esplosione ad Haiti
Al termine dell’udienza, Papa Francesco ricorda la tragedia avvenuta ieri ad Haiti, causata dallo scoppio di un’autocisterna che trasportava carburante a Cap-Haitien. Circa 70 le vittime, tra cui numerosi bambini, e decine i feriti. “Povero Haiti – commenta – una dietro l’altra, è un popolo in sofferenza… Preghiamo per Haiti: è gente buona, gente brava, gente religiosa ma sta soffrendo tanto”. Francesco si dice “vicino agli abitanti di quella città e ai familiari delle vittime come pure ai feriti”, e invita i fedeli a unirsi “nella preghiera per questi nostri fratelli e sorelle così duramente provati”.

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Il monaco cieco e paralizzato che inventò il Salve Regina

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2021

Il monaco cieco e paralizzato che inventò il Salve Regina
Fonte: ChurchPOP
Tratto da: Radio Maria FB

Il monaco cieco e paralizzato che inventò il Salve Regina dans Articoli di Giornali e News monaco

Dio di solito usa strumenti fragili per ottenere un bene superiore. Questo fu il caso del Beato Ermanno von Reichenau.

Hermann nacque affetto dalla palatoschisi, paralisi cerebrale e spina bifida. La sua infanzia è stata estremamente difficile, ma i suoi genitori hanno sempre voluto il meglio per lui. All’età di sette anni, lo collocarono in un monastero benedettino, dove sarebbe stato educato e cresciuto.

Hermann poi crebbe nel monastero e rapidamente scoprì che sebbene il suo corpo fosse paralizzato, la sua mente funzionava molto meglio. Divenne uno studioso di astronomia, teologia, matematica, storia e poesia. Era anche un maestro di lingue e parlava arabo, greco e latino.

Ma era ancor più notevole nella sua disposizione gentile e nella sua vita interiore devota. Aveva una grande gioia e, nonostante i suoi difetti fisici, sorrideva sempre.

Più tardi divenne cieco. Questo è stato il momento in cui iniziò a comporre. La sua mente e il suo cuore ardevano dell’amore di Dio, che lo ha ispirato a creare alcuni tra i più noti inni e preghiere di tutti i tempi.

In particolare, Hermann ha composto la sempre popolare Salve Regina e l’Alma Redemptoris Mater (Amorevole Madre del Redentore). Entrambe le troviamo nella Liturgia delle Ore della Chiesa. Il Salve Regina, in particolare, è una delle più note preghiere mariane della Chiesa cattolica.

Qui la trovate in latino:

Salve, Regina, mater misericordiae!
Vita, dulcedo et spes nostra, salve!
Ad te clamamus, exsules filii Evae.
Ad te suspiramus, gementes et flentes
in hac lacrimarum valle.
Eia, ergo, advocata nostra,
illos tuos misericordes oculos
ad nos converte.
Et Iesum, benedictum fructum ventris tui,
nobis post hoc exsilium ostende.
O clemens! O pia! O dulcis Virgo Maria.
Ora pro nobis, Sancta Dei Genetrix,
ut digni efficiamur promissionibus Christi.
Amen.

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