La conversione di Giuliano Ferrara

Posté par atempodiblog le 31 décembre 2007

Il digiuno di Ferrara
di Antonio Socci – Libero

La conversione di Giuliano Ferrara dans Antonio Socci giulianoferrara

La “conversione” di Giuliano Ferrara – che poi, almeno per ora, non risulta essersi convertito – sta suscitando più allarme di quella di Tony Blair o di quella – pur clamorosa – dell’erede di Bertrand Russel, Antony Flew o di quella – su cui i giornali benpensanti sorvolano – di Roberto Benigni. Perché Giuliano si sta divertendo, in questi giorni, a terremotare con baldanzosa pietà la morta gora dell’avvizzita cultura laica. Li strapazza sulla loro macroscopica e tragica contraddizione: l’aborto. Dove è affondato l’umanesimo. Una cultura nata sull’esaltazione dell’uomo e dei diritti umani, che ultimamente ha ottenuto la moratoria dell’Onu sulle esecuzioni capitali, come può cacciarsi – argomenta il Nostro – nell’abisso dell’aborto di massa, teorizzato e legalizzato, uno strazio di vite innocenti (un miliardo negli ultimi 30 anni) che non ha eguali nella storia? Come si può gridare che nessuno tocchi Caino, legalizzando invece l’eliminazione di tanti Abele? E come si può continuare a ignorare e tacere?

Il digiuno natalizio di Ferrara – che chiede provocatoriamente una moratoria sull’aborto – è un masso sulla palude dell’ipocrisia postkantiana. Mentre la regnante polizia del pensiero vieta perfino la parola aborto (si inventa l’eufemismo ivg, interruzione volontaria della gravidanza). E chi osa discuterne viene “linciato”. A meno che non sia uno come Giuliano Ferrara.
Il “caso Ferrara” è una delle più straordinarie vicende spirituali (quindi politiche e culturali) dell’ultimo mezzo secolo in Italia. Tutti – perfino i suoi nemici – s’inchinano alla guizzante intelligenza dell’uomo. Chi ha la fortuna frequentarlo conosce anche, di Giuliano, le immense doti umane. E’ come un cavaliere medievale. Un animo nobile, generoso e intimamente umile. Che uno così sia anche un grande intellettuale è quasi incredibile. Ma Ferrara, gigante in un teatro di nani, è un caso a sé per molti altri motivi. Solo lui potrebbe tranquillamente – da domattina – fare il direttore del Corriere della sera o tenere un popolare show televisivo o fare il ministro o scrivere un saggio filosofico. Lo puoi sorprendere a parlare in russo o tedesco come in inglese o francese con intellettuali di tutto il mondo, ma anche a strologare romanescamente con un oste di Trastevere.
Del resto fa un giornale d’élite che è letto e apprezzato contemporaneamente sia dal Papa che da Pannella. Pur avendo un fortissimo profilo anticonformista, Giuliano è stimato sia da Veltroni e D’Alema che da Berlusconi. Il suo salotto televisivo è ormai il club più esclusivo in cui qualunque vip della politica o del mondo intellettuale smania di essere invitato. Compreso Scalfari che di recente lì è apparso un po’ statico e che – anche nell’editoriale di ieri sulla Repubblica – sembra in forte apprensione per la “conversione” di Giuliano. Mentre il suo successore Ezio Mauro afferma che Il Foglio è l’unico giornale che fa veramente cultura (insieme, ovviamente, alla Repubblica, dice lui…).

Certo, Giuliano è anche una grande calamita di odio. Fu per anni “Giuliano l’Apostata” per la Sinistra che lo sputazzava come “traditore”. Oggi viene preso di mira da qualche comico schierato, ma viene anche criticato, con un saggio filosofico, dalla rivista dei lefebvriani, “Sì, sì, no, no” a base di citazioni del “suo” Leo Strauss. Però viene invitato dal cardinal Ruini a “insegnare” addirittura nella Basilica lateranense, la cattedrale del Papa, sul “Gesù di Nazaret” di Ratzinger e viene attaccato dai chierici senza truppe del cattoprogressismo nostrano che scrivono sui giornali non avendo il popolo nelle loro chiese. Infine viene difeso e abbracciato nientemeno da Benedetto XVI nel discorso ai cattolici italiani tenuto al convegno ecclesiale di Verona.
Io stesso ho avuto occasione di parlare a Ratzinger di lui (era l’ottobre 2004, sei mesi prima della sua elezione al pontificato) e ho visto la stima e l’affetto che nutre per Giulianone. Così come conosco l’ammirazione e la venerazione di Giuliano per questo mite teologo tedesco che è il nostro grande papa. Non mi pare ci sia un caso analogo a quello di Ferrara nella storia della cultura italiana, almeno dal 1945.

Giuliano è un generoso con una percezione leopardiana della fragilità della vita, uno che avverte l’infinita vanità del tutto e la noia delle banalità consuete, uno che non fa calcoli e che abbraccia impetuosamente la verità intuita e sperimentata. Se uno così un giorno, camminando sul Lungotevere Raffello Sanzio o sulla strada che va da Cafarnao a Betsaida, incontra Gesù di Nazaret, con i suoi amici, è molto probabile che resti incuriosito da quel giovane rabbi galileo. Ed è sicuro che si fermerà a parlare con lui. Nel Vangelo si riferiscono diversi incontri del genere. Gesù risponderebbe alle sue domande fissandolo negli occhi e nell’anima in quel suo modo unico che nessuno più riusciva e riesce a dimenticare (Pietro per tutta la vita porta impresso nel cuore lo sguardo indimenticabile e sconvolgente di Gesù che fece vacillare perfino il cinico Pilato).
C’è un momento in cui il fascino umano per Gesù di Nazaret diventa domanda: chi è mai uno così? Compie cose stupende, per negarlo bisognerebbe non credere ai propri occhi e alla propria testa. Ma essere accecati dal pregiudizio non è razionale. E se davvero Dio si fosse fatto uomo? Sembra pazzesco, ma il saggio Eraclito dall’antica Grecia invitava alla lealtà: “Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi”. E chi poteva aspettarsi questo: trovare Dio incarnato in un volto di uomo. Anzi, di più: essere da Lui trovati.
Del resto la nostra umanità ha fame di Lui. Dalla notte dei tempi lo ha atteso, bramato, cercato. Tutta l’umanità si dibatte nella fame, non solo fame di pane, ma di amore, di bellezza, di significato, di giustizia, di verità, di vita, di felicità. E Gesù nasce in quella Betlemme che significa “Casa del pane”. Gesù stesso infatti è il pane di cui tutti, lo si sappia o no, siamo smaniosamente affamati. Così la proposta di digiuno natalizio di Ferrara mi ricorda il Pane di Betlemme.

C’è un certo stupore anche fra i cattolici per il “caso Ferrara”. Era così pure nei primi secoli cristiani quando a Roma dei famosi intellettuali, come Vittorino, annunciavano di aver chiesto il battesimo. Giuliano viene dall’aristocrazia intellettuale romana, quella borghesia laico-liberale e antifascista che poi ha dato al Pci togliattiano una straordinaria classe dirigente. Giuliano era il figlio più promettente di questa aristocrazia senatoria. I cattolici – abituati a decenni di complessi di inferiorità e subalternità – se lo ritrovano oggi come valoroso apologeta della Chiesa e il popolo semplice ne è grato a Dio e gli vuole bene, mentre qualche chierico si affanna a rincorrerlo per potersi addossare il merito di averlo convertito lui (vanitas vanitatum…).
Non sapendo cogliere lo spettacolo della Grazia che tocca e illumina un’anima. Anche per Agostino d’Ippona – intellettuale di rango a Roma e a Milano – fu un’attrazione fatale. Un giorno scrisse: “Tardi ti ho amato, o Bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco tu eri dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo ed io nella mia deformità mi gettavo sulle cose ben fatte che tu avevi creato. Tu eri con me ed io non ero con te. Quelle bellezze esteriori mi tenevano lontano da te e tuttavia se esse non fossero state in te non sarebbero affatto esistite. Tu mi hai chiamato e hai squarciato la mia sordità; tu hai brillato su di me e hai dissipato la mia cecità; tu hai emanato la tua fragranza e io ho sentito il tuo profumo e ora ti bramo; ho gustato e ora ho fame e sete; tu mi hai toccato e io bramo la tua pace”.

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L’omelia del Cardinale Ivan Dias nel 150° anniversario delle apparizioni a Lourdes

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2007

L’omelia del Cardinale Ivan Dias *
nel 150° anniversario delle apparizioni a Lourdes

L'omelia del Cardinale Ivan Dias nel 150° anniversario delle apparizioni a Lourdes dans Antonio Socci cardinal-ivan-dias-lourdes

Ci siamo riuniti ai piedi della Vergine Maria per inaugurare l’anno Giubilare in preparazione per il 150° compleanno delle sue apparizioni in questo luogo benedetto. Vi porto un saluto molto cordiale di Sua Santità il Papa Benedetto XVI che mi ha incaricato di esprimervi il suo amore e sollecitudine paterna, di assicurarvi delle sue preghiere e di darvi la sua benedizione apostolica. Come pellegrini riuniti nell’amore del Cristo, vogliamo ricordare con gratitudine ed affetto le apparizioni che hanno avuto luogo qui nel 1858. Cerchiamo insieme di sentire le palpitazioni del cuore materno della nostra cara Mamma celeste, di ricordare le sue parole e di ascoltare il messaggio che ci propone ancora oggi.
Conosciamo bene la storia di queste apparizioni. La Madonna è discesa dal Cielo come una madre preoccupata per i suoi figli che vivono nel peccato, lontani da Cristo. È apparsa alla Grotta di Massabielle, che all’epoca era una palude dove pascolavano i maiali, ed è precisamente là che ha voluto far sorgere un santuario, per indicare che la grazia e la misericordia di Dio superano la miserabile palude dei peccati umani. Nel luogo vicino alle apparizioni, la Vergine ha fatto sgorgare una sorgente di acqua abbondante e pura, che i pellegrini bevono e portano nel mondo intero manifestando il desiderio della nostra tenera Madre di far arrivare il suo amore e la salvezza di suo Figlio fino agli estremi confini della terra. Infine, da questa Grotta benedetta, la Vergine Maria ha lanciato una chiamata pressante a tutti per pregare e fare penitenza e così ottenere la conversione dei poveri peccatori.

Il messaggio della Vergine oggi

Ci si può chiedere: quale significato può avere il messaggio della Vergine di Lourdes per noi oggi? Io desidero collocare queste apparizioni nel più ampio contesto della lotta permanente e senza esclusione di colpi tra le forze del bene e le forze del male cominciata all’inizio della storia umana,
nel Giardino del Paradiso, e che proseguirà fino alla fine dei tempi. Le apparizioni di Lourdes sono, difatti, tra le prime della lunga catena di apparizioni della Madonna che hanno avuto inizio 28 anni prima, nel 1830, a Rue du Bac, a Parigi, dove è stata annunciata l’entrata decisiva della Vergine Maria nel cuore delle ostilità tra lei e il demonio, come è descritto nei libri della Genesi e dell’Apocalisse. La Medaglia, detta miracolosa, che la Vergine fece incidere in questa circostanza la rappresentava con le braccia aperte da dove uscivano dei raggi luminosi, significando le grazie che distribuiva al mondo intero. I suoi piedi si posavano sul globo terrestre e schiacciavano la testa del serpente, il diavolo, indicando la vittoria che la Vergine portava sul mentitore e sulle forze del male. Intorno all’immagine si leggeva l’invocazione:
«Oh Maria, concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a te». È da notare che questa grande verità della concezione immacolata di Maria sia stata affermata qui 24 anni prima che il Papa Pio IX l’abbia definita come dogma di fede (1854): quattro anni più tardi qui a Lourdes, Nostra Signora ha voluto lei stessa rivelare a Bernadette che era l’Immacolata Concezione.
Dopo le apparizioni di Lourdes, la Madonna non ha smesso di manifestare nel mondo intero le sue vive preoccupazioni materne per la sorte dell’umanità nelle sue diverse apparizioni. Dovunque ha chiesto preghiere e penitenza per la conversione dei peccatori, perché prevedeva la rovina spirituale di certi Paesi, le sofferenze che il Santo Padre avrebbe subìto, l’indebolimento generale della fede cristiana, le difficoltà della Chiesa, la venuta dell’Anticristo e i suoi tentativi per sostituire Dio nella vita degli uomini: tentativi che, malgrado i loro successi splendenti, sono destinati tuttavia all’insuccesso.
Qui a Lourdes, come in tutto il mondo, la Madonna sta tessendo una rete di suoi figli e figlie spirituali per lanciare una forte offensiva contro le forze del maligno e per preparare la vittoria finale del suo divino figlio Gesù Cristo.
La Vergine Maria ci chiama anche oggi ad entrare nella sua legione, per combattere contro le forze del male. Come segno della nostra partecipazione alla sua offensiva, Ella chiede fra l’altro la onversione del cuore, una grande devozione verso la santa Eucaristia, la recita quotidiana del santo Rosario, la preghiera costante e senza ipocrisie, l’accettazione delle sofferenze per la salvezza del mondo. Queste potrebbero sembrare delle piccole cose, ma sono potenti nelle mani di Dio al quale nulla è impossibile. Come il giovane Davide che, con una piccola pietra ed una fronda, ha abbattuto il gigante Golia venuto al suo incontro armato di una spada, di una lancia e di un giavellotto (cf. 1 Sam 17, 4-51), anche noi, coi piccoli grani della nostra corona, potremo affrontare eroicamente gli assalti del nostro avversario temibile e vincerlo.

Come Bernadette e con lei

La lotta tra Dio ed il suo nemico è sempre rabbiosa, e lo è ancora più oggi che al tempo di Bernadette, 150 anni fa. Il mondo si trova terribilmente irretito nella spirale di un relativismo che vuole creare una società senza Dio; di un relativismo che erode i valori permanenti e immutabili del Vangelo; e di
una indifferenza religiosa che resta imperturbabile di fronte al bene superiore delle cose che riguardano Dio e la Chiesa. Questa battaglia fa innumerevoli vittime nelle nostre famiglie e tra i nostri giovani.
Alcuni mesi prima dell’elezione di Papa Giovanni Paolo II, 9 novembre 1976, il Cardinale Karol Wojtyla diceva: «Noi siamo oggi di fronte al più grande combattimento che l’umanità abbia mai avuto. Penso che la comunità cristiana non l’abbia ancora compreso del tutto. Noi siamo oggi di fronte alla lotta finale tra la Chiesa e l’anti-chiesa, tra il Vangelo e l’anti-vangelo». Una cosa è tuttavia certa: la vittoria finale appartiene a Dio. E Maria combatterà alla testa dell’armata dei suoi figli contro le forze nemiche di Satana, schiacciando il capo del serpente.

Alla Grotta di Massabielle la Vergine Maria ci ha insegnato che la vera felicità si troverà unicamente al cielo. «Non vi prometto di rendervi felice in questo mondo, ma nell’altro», ha detto a Bernadette. E la vita di Bernadette ce l’ha illustrato molto chiaramente: lei che aveva avuto il privilegio singolare di vedere la Madonna, è stata segnata profondamente dalla croce di Gesù, fu consumata interamente dalla tubercolosi, ed è morta giovane, all’età di 35 anni.
In questo Anno Giubilare, ringraziamo il Signore per tutte le molte grazie corporali e spirituali che ha voluto concedere a tante centinaia di migliaia di pellegrini in questo luogo santo, e per l’intercessione di Santa Bernadette, preghiamo la Madonna perché ci fortificarci nel combattimento spirituale di ogni giorno affinché possiamo vivere in pienezza la nostra fede cristiana mettendo in pratica le virtù che distinguevano la Vergine Maria, il fiat, il magnificat e lo stabat: questo vuol dire una fede intrepida (fiat), una gioia senza misura (magnificat) ed una fedeltà senza compromessi (stabat).
Oh Maria, Nostro Signora di Lourdes, sei benedetta tra tutte le donne, e Gesù il frutto delle tue viscere è benedetto. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi, poveri peccatori, adesso ed all’ora della nostra morte. Amen.

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* Legato pontificio a Lourdes e prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Una sintesi dell’omelia è riportata dall’edizione italiana de L’Osservatore Romano del 10-11 dicembre 2007.

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Tratto da Holy Queen

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Il segreto di Padre Pio

Posté par atempodiblog le 27 novembre 2007

In occasione dell’uscita del suo libro « Il segreto di padre Pio », Antonio Socci, lunedì 26 novembre, è stato ospite alla trasmissione Otto e Mezzo su La7. Buona visione su:

http://comment.la7.it/ottoemezzo/pvideo-stream?id=14500 *

* Il link al video di La7 è cambiato, questo è il nuovo.

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A PROPOSITO DI FAME… tre fronti

Posté par atempodiblog le 27 novembre 2007

La Medaglia miracolosa, padre Pio e la Colletta del Banco alimentare…

A PROPOSITO DI FAME… tre fronti  dans Antonio Socci antoniosocci

FAME DI MISERICORDIA
Il 27 novembre è la festa della Medaglia Miracolosa. La Madonna, apparendo a Rue du Bac, si mostrò con dei bellissimi anelli alle mani. Alcuni splendenti, altri no. E spiegò che quelli che non risplendevano simboleggiavano le grazie che lei era pronta a dare e che non le venivano chieste… Ricordo che martedì 27 novembre, all’ora dell’apparizione, si può recitare la Supplica per le nostre personali necessità e per le intenzioni del Papa… Il testo e tutte le informazioni sono riportate in questo sito (andate nell’Archivio delle Newsletter, alla pagina 3, alla news intitolata: “Ecco l’oceano di grazie pronte per noi, ma che noi non chiediamo”).

FAME DI VERITA’
Presentando in giro e in televisione il mio libro “Il segreto di padre Pio” mi sono reso conto che le recenti polemiche giornalistiche contro padre Pio hanno lasciato una ferita drammatica e profonda nel popolo buono e semplice che ama il santo di Pietrelcina, che è un popolo assai vasto. D’altra parte è in corso a vasto raggio una battaglia per sradicare dal cuore della nostra gente la fede cristiana. Penso che dobbiamo farci in quattro per impedirlo. Chiederei a ciascuno, nel suo piccolo, di fare il possibile. Pregando, ma anche sapendo dare ragione della nostra fede e della nostra speranza. E anche difendendo i nostri santi (quindi anche informandosi e facendo diventare cultura la fede cristiana)

FAME DI PANE
Da “Libero” 24 novembre 2007

Se oggi si presentassero 100 mila persone (ma davvero centomila, contate!) alla selezione per il Grande Fratello o a fare qualche “girotondo” (centomila persone non organizzate da partiti o sindacati), su giornali e tv avremmo un diluvio di dichiarazioni, di riflessioni, editoriali, servizi giornalistici. Gli esperti decreterebbero l’emergere di un mondo sommerso o il riemergere della “società civile”.

Ma non accadrà così per più di 100 mila persone che oggi – anziché mettersi in fila per apparire in tv o scendere in piazza per manifestare – si mobiliteranno per il “Banco alimentare”. E’ gente comune, giovani studenti, padri e madri, nonni e nipoti. Andrò anch’io – e porterò mio figlio – fra quelle 100 mila persone che non gridano, non si esibiscono e non fanno chiacchiere, ma volontariamente e silenziosamente regaleranno questo sabato agli affamati. Li troverete davanti a 6.800 supermercati d’Italia per la Giornata del Banco Alimentare.

Attenzione: parlo degli affamati che sono fra noi, che non sono pochi. Questa “giornata” in cui andando al supermercato facciamo la spesa anche per qualche indigente sta entrando nelle nostre migliori abitudini. Ed è molto bello, viene fuori il cuore grande della nostra gente. Anno scorso gli italiani hanno donato cibo per un valore superiore a 26 milioni di euro. E con le 8.422 tonnellate di alimenti raccolti sono stati aiutate 1 milione e 385 mila persone che fanno fatica a mettere insieme il pranzo e la cena.

Non c’è da stupirsi purtroppo di questi numeri. I dati Istat parlano di un 13 per cento della popolazione italiana che vive in povertà. Uno scandalo. Certo poi dovremmo distinguere fra povertà relativa e povertà assoluta, ma lasciamo la materia agli esperti: quando scopriamo che la metà delle famiglie italiane (ripeto: la metà) vive con meno di 1.800 euro al mese ci vuole poco a capire che – se ci sono 2-3 figli e si vive in una grande città – alla fine del mese non si arriva.

Alle mense della Caritas e delle altre opere di solidarietà (sono 8.100 quelle convenzionate con il Banco alimentare) da anni riferiscono che a presentarsi lì sono sempre più spesso italiani normali: non solo, dunque, mendicanti, extracomunitari o marginali, ma anche pensionati, famiglie monoreddito, cittadini comuni che pagano salatamente, sulla loro pelle, soprattutto il “geniale” avvento dell’euro nelle modalità disastrose volute dalla tecnocrazia europea (il cui “campione”, da Bruxelles, abbiamo portato a Palazzo Chigi).

Naturalmente non è solo colpa dell’euro. Né è solo un fenomeno italiano. Povertà e marginalità persistono pure nei Paesi più avanzati. Si calcola che siano circa 9 milioni e 300 mila le persone che soffrono la fame nei Paesi industrializzati. Tanti. Eppure pochissimi a confronto della cifra planetaria degli affamati: 854 milioni di esseri umani. Che nell’anno 2007, sul pianeta Terra che produce abbastanza per tutti, un essere umano su otto muoia di fame, è uno scandalo che dovrebbe toglierci il sonno e far nascere mille iniziative di aiuto.

Invece produce conferenze, simposi e discorsi. Come la 34° Sessione della Conferenza generale delle Nazioni Unite per l’alimentazione (Fao) che si tiene proprio in questi giorni. Che ancora una volta si troverà a constatare la propria impotenza. Denuncerà l’insensibilità degli Stati che venti anni fa firmarono l’impegno a sradicare la fame, i quali però obiettano che l’immenso fiume dei nostri aiuti – consegnato ai governi – finisce spesso ad ingrassare despoti anziché aiutare lo sviluppo. Contrariamente alle teorie neomalthusiane la fame non dipende affatto dalla crescita della popolazione mondiale (ormai sotto controllo, diversamente da quanto si ostina a credere Giovanni Sartori). Sul pianeta abbiamo cibo sufficiente per tutti. Basti dire che dal 1960 al 1997 la produzione mondiale di cibo è tanto aumentata che, pur essendo quasi raddoppiata la popolazione, ogni essere umano oggi ha a disposizione il 24 per cento di cibo in più di quanto aveva nel 1960 (con una diminuzione del 40 per cento dei prezzi dei prodotti agricoli).

Il problema è che la produzione di cibo aumenta nei Paesi evoluti e non in quelli sottosviluppati. E non per colpa dei Paesi occidentali, che poi sono i soli che aiutano i popoli disperati (i regimi comunisti hanno sempre esportato solo fame, dittature e guerre, mai cibo). Secondo un economista se il sistema occidentale dovesse collassare, l’intero continente africano scomparirebbe per fame visto che ben il 30 per cento del cibo che lì si consuma è importato.

L’Occidente ha le sue colpe, ma il sistema occidentale produce cibo in abbondanza. Solo certi noglobal credono che la ricchezza sia una quantità data che bisogna solo spartirsi equamente, come un frutto che cresce spontaneamente sulle piante. La ricchezza è invece un insieme di beni che prima bisogna produrre. Ma perché ciò avvenga ci vogliono tre premesse che padre Piero Gheddo, il simbolo dei missionari italiani, ha così sintetizzato: l’istruzione, la democrazia e la tecnologia. L’esempio che padre Gheddo indica è l’India che un tempo era il Paese simbolo della fame (nella carestia del 1966 morirono 6-7 milioni di persone) e oggi è addirittura un Paese esportatore di riso e grano.

Invece l’Africa sprofonda. Lì gli aiuti senza sviluppo sono un fallimento. Però la rete missionaria di solidarietà della Chiesa, che ha progetti mirati e dà la certezza della destinazione, rappresenta un aiuto allo sviluppo davvero efficace. Anche perché le missioni e le opere cattoliche portano istruzione e modernizzazione (seminando il germe dei diritti della persona, da cui nasce anche la democrazia), ingredienti insostituibili dello sviluppo.

Pure il Banco alimentare, che si rivolge all’Italia, è efficace proprio perché è fondato su una ramificata presenza di opere sociali. Ciò che gli economisti chiamano “sussidiarietà”: la società sa fare, anche nella solidarietà, meglio dello Stato. Bisognerebbe che lo Stato lo riconoscesse (come in teoria fa il Trattato di Maastricht), in tutti i campi (anche educativo) e facesse derivare da questo un’adeguata politica fiscale. Ma il governo attuale, per dire, fa il contrario: spenna sempre più accanitamente i contribuenti e sperpera il patrimonio senza neanche saper garantire solidarietà e sicurezza sociale (ce n’ è sempre meno). Poi magari critica pure la Chiesa per le sue “ingerenze”, senza accorgersi che è grazie all’ “ingerenza” della Chiesa che tanti bisogni e sofferenze vengono alleviate.

La stessa Giornata del Banco alimentare è sostenuta perlopiù dal volontariato cattolico. Ed è nata dal cuore e dalla mente di un grande maestro di cristianesimo come don Luigi Giussani, quando, nel 1989, incontrò il fondatore della Star, Danilo Fossati e si sentì spiegare da lui quanti alimenti andavano sprecati fra rese e sovraproduzione. A chi ha avuto la fortuna di conoscere don Gius – nato e cresciuto nella Brianza povera, umile e cristiana d’inizio secolo – sembra di vedere la sua reazione immediata, con quel suo impeto di carità e quella costruttività tutta lombarda.

Questa carità cristiana sa che c’è pure un’altra fame, ancor più insaziabile e che ci riguarda tutti. La fame di senso della vita, di bellezza e di amore. Infatti la “Giornata” di quest’anno propone un pensiero bellissimo preso da un capolavoro del cinema russo e cristiano, quell’ “Andrej Rublev” che Tarkowskij dedicò al grande pittore di icone trecentesco. Dice così: “Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco, non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano – ed è come se ti fossi accostato ad un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice”.

Antonio Socci

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Se non fosse venuto

Posté par atempodiblog le 18 novembre 2007

Se non fosse venuto
di Antonio Socci

Se non fosse venuto dans Antonio Socci Natale

E se Gesù non fosse nato? Non ci sarebbero – per esempio – né università, né ospedali. E nemmeno la musica.
E’ facile provare storicamente che queste istituzioni, nate nel medioevo cristiano (come le Cattedrali e l’arte occidentale), sarebbero state del tutto inconcepibili senza la storia cristiana.
Se Gesù non fosse venuto fra noi non ci sarebbe neanche lo Stato laico, perché – come ha dimostrato Joseph Ratzinger in un memorabile discorso alla Sorbona – è Lui che ha desacralizzato il potere il quale da sempre ha usato le religioni per assolutizzare se stesso.
Dopo Gesù, Cesare non si può più sovrapporre a
Dio, non può avere più un potere assoluto sulle persone e le cose. Inizia la storia della libertà umana.

Se Gesù non fosse nato le donne non avrebbero alcun diritto, sarebbero considerate ancora “cose” su cui gli uomini hanno potere di vita e di morte, com’era perfino nella Roma imperiale.
Se Gesù non fosse nato vecchi e malati continuerebbero ad essere abbandonati.
Se Gesù non fosse nato non esisterebbero i “diritti dell’uomo”.
Né la democrazia (ripeto: la democrazia e la libertà sarebbero stati inconcepibili).
Se Gesù non fosse venuto avremmo ancora un sistema economico fondato strutturalmente sulla schiavitù e quindi arretrato (oltreché disumano e bestiale), sempre al limite della sussistenza.

Invece Gesù è venuto e il continente che l’ha accolto, il continente cristiano per eccellenza, l’Europa, di colpo ha fatto un balzo inaudito nella storia umana, lasciando indietro tutto il resto del mondo, perfino civiltà molto più antiche, come quella cinese.Gesù è venuto e l’essere umano è fiorito: la sua intelligenza, la sua genialità, la sua umanità, la sua creatività, la sua razionalità (soprattutto!).

Chi – abbeverato alle fonti avvelenate dell’ideologia dominante – nutre qualche dubbio in proposito può trovare intere biblioteche che lo dimostrano, ma, per tagliar corto, in queste giorni di vacanze può cavarsela leggendosi un libro.
L’autore non è un apologeta cattolico, ma un sociologo americano di una università yankee: Rodney Stark.
Il suo libro è stato tradotto da Lindau col titolo: “La vittoria della Ragione”. Sottotitolo: “Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza”
.
Il suo excursus lungo i secoli è documentatissimo e chiaro. Spiega che quando gli europei per primi cominciarono a esplorare il mondo, ciò che li stupì fu “la scoperta del loro grado di superiorità tecnologica rispetto alle altre società”.
Stark – per farsi capire – scende nei particolari: “Perché per secoli gli europei rimasero gli unici a possedere occhiali da vista, camini, orologi affidabili, cavalleria pesante o un sistema di notazione musicale?”
.
Il perché – come spiega Stark – risale a quella razionalità e a quel genio della realtà fioriti col cristianesimo.
Gli esempi sembrano minimi (gli occhiali, i camini), ma si tratta
di oggetti di uso quotidiano che hanno rivoluzionato la vita e la qualità della vita.

Inoltre vanno compresi all’interno delle conquiste più grandi. Stark dimostra che è dal cristianesimo, dalla conoscenza di un Dio che ha razionalmente ordinato il cosmo, che deriva la “straordinaria fede nella ragione” che connota l’Occidente cristiano.
“Sin dagli albori i padri della Chiesa insegnarono che la ragione era il dono più grande che Dio aveva offerto agli uomini. Il cristianesimo fu la sola religione ad accogliere l’utilizzo della ragione e della logica come guida principale verso la verità religiosa”.
Da qui, da questa “vittoria della ragione”, da questa certezza che il mondo non è una divinità, né un capriccio inconoscibile degli dèi, ma è creato secondo un Logos razionale e può essere compreso e dominato dall’uomo, derivano la scienza, la tecnologia e – per esempio – come conseguenza ultima di tipo sociale, il « capitalismo », cioè quel sistema di produzione regolato che ha portato a una prosperità mai conosciuta prima nella storia umana.

Naturalmente andiamo per grandi lineee.
Potremmo dettagliare tutte le cose che stanno dentro queste svolte storiche: la legittimazione teologica e morale della proprietà privata e del profitto, la limitazione dell’arbitrio dello Stato, il diritto della persona a non essere schiavizzato (che ha provocato una quantità di scoperte e conquiste tecnologiche).
La teoria della democrazia e dei diritti dell’uomo fiorì nei grandi monasteri che hanno civilizzato l’Europa barbarica, poi nelle università medievali e nella teologia successiva.
Ed è stata recepita nelle istituzioni.

E’ tutto un sistema di pensiero e di valori che ha letteralmente dato forma al nostro vivere quotidiano e che deriva da ciò che il cristianesimo ha portato nella storia umana.
Il progresso stesso è un concetto nato dai padri della Chiesa e che
non è concepibile se non nella concezione cristiana della storia.
Stark dettaglia fino a particolari a cui noi normalmente neanche facciamo caso. Accendere la luce, avere acqua e riscaldamento in casa, muoversi a velocità inaudita sul pianeta coprendo distanze immense, comunicare da un capo all’altro del mondo, disporre di cibo oltre ogni immaginazione,
dominare lo spazio, debellare tante malattie allungando la vita umana di decenni..
Tutto questo – letteralmente – non sarebbe stato neanche immaginabile se quel giorno di duemila anni fa, a Betlemme di Giudea, non fosse nato Gesù.

Non è un caso se le conquiste dell’Occidente cristiano hanno civilizzato e umanizzato tutto il mondo.
Ma l’origine sta in quella strepitosa liberazione dell’umano e delle sue immense energie e potenzialità che è iniziata quando è venuto Gesù.
Per questo – e non a caso – la storia si divide: prima di Cristo e dopo di Lui.
Per questo anche un laico – se minimamente colto e avvertito – celebra il Natale come l’alba della prosperità e della libertà.
Sia chiaro: non che l’occidente cristiano sia di colpo diventato immune dal male.
Tutt’altro. Il rischio di ripiombare nelle tenebre della disumanità è stato sempre presente ed è continuo.
Ma anche il male dell’uomo, nel corso dei secoli, ha trovato finalmente la forza inesausta di Cristo nella Chiesa che l’ha contrastato, l’ha perdonato e redento, dilagando nella storia dei popoli cristiani.

Un grande poeta, Thomas. S. Eliot, ha colto questa drammatica lotta (di ogni giorno) dei popoli cristiani per vincere nel corso dei secoli la barbarie e la bestialità con questi versi:
“Attraverso la Passione e il Sacrificio, salvati a dispetto del loro essere negativo; /Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima;/ Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce./ Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un’altra via”.

Infatti, nonostante la liberazione storica che ha prodotto, Gesù non è nato innanzitutto per civilizzare il mondo, ma per santificare gli uomini, per renderli, da bestiali, divini.
Diceva S. Agostino: “Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre se lui non fosse nato nel tempo. Mai saresti stato libero dalla carne del peccato, se lui non avesse assunto una carne simile a quella del peccato. Ti saresti trovato sempre in uno stato di miseria, se Lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere, se Lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno, se Lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto, se lui non fosse arrivato”.

Se non fosse nato Gesù, saremmo tutti dei disperati.
Ma Lui è venuto
fra noi.

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Nuove rivelazioni su Padre Pio? No, sono le solite panzane

Posté par atempodiblog le 25 octobre 2007

Nuove rivelazioni su Padre Pio? No, sono le solite panzane dans Antonio Socci antoniosocci

Se Gesù tornasse e fosse visto anche oggi mentre cammina sulle acque, certi giornali l’indomani titolerebbero: « Clamoroso. Gesù di Nazareth non sa nemmeno nuotare ». Come certi dotti che, avendo Gesù guarito un paralitico, lo accusarono di aver compiuto il miracolo di sabato, giorno festivo.
Finisce nel ridicolo il pregiudizio che nega l’evidenza. Un tempo lo usavano contro Gesù, poi contro i santi, come padre Pio.
Ho appena consegnato alla Rizzoli (e sarà in libreria il 14 novembre prossimo) il mio libro su questo grande santo e su alcune cose sconvolgenti che ha compiuto e – avendo consultato decine di volumi, compresi quelli della causa di beatificazione – ho fatto una indigestione di fango. E’ impressionante la varietà di accuse, insinuazioni e calunnie che per mezzo secolo gli sono state rovesciate addosso. Spesso da parte ecclesiastica.
Le « virtù eroiche » che la Chiesa ha infine riconosciuto a padre Pio, dichiarandolo – per volontà di Giovanni Paolo II – « beato » nel 1999 e « santo » nel 2002, si riferiscono anche all’umiltà evangelica con cui ha sopportato in silenzio tanto fango: « beati sarete voi » avvertì Gesù stesso « quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia » (Mt 5, 11).
D’altra parte alla fine i crocifissi vincono sempre. E’ una storia vecchia.
Una cosa (soprannaturale) è la Chiesa, altro sono gli uomini di Chiesa. Gli uomini di Chiesa bruciarono Giovanna d’Arco e la Chiesa l’ha fatta santa. Gli uomini di Chiesa hanno perseguitato Giuseppe da Copertino, Giuseppe Calasanzio e don Bosco; la Chiesa li ha fatti santi. Così con padre Pio. Padre Gerardo di Flumeri, vicepostulatore della causa, ha scritto: « A causa delle stigmate, padre Pio fu sospettato di essere un imbroglione, un mistificatore, un nevrotico, un ossesso. E questi sospetti provenivano non soltanto da miscredenti, dagli atei, ma addirittura da alcuni suoi confratelli, da qualche superiore e anche dalle autorità ecclesiastiche.
Padre Pio subì condanne dal Sant’Uffizio e restrizioni alla sua libertà di apostolato ».
Alla fine la verità ha trionfato. Ma, com’è noto, le antiche accuse messe in giro riemergono periodicamente dagli archivi. C’è per esempio quella, fra le più note e meschine, secondo cui il padre stesso si sarebbe procurato le stimmate con degli acidi. L’insinuazione nacque dal fatto che padre Pio – era cosa nota e ovvia – dopo la stimmatizzazione del 20 settembre 1918 usava la tintura di iodio e poi l’acido fenico sperando di tamponare il sangue che fluiva in quantità dalle ferite e per pulire le piaghe aperte.
Certi ecclesiastici in malafede ci costruirono sopra la loro accusa. Sono gli stessi che lo accusarono di profumarsi perché dalla sua persona crocifissa emanava a volte uno straordinario aroma di fiori. Anche questa insinuazione era infondata infatti questo fenomeno soprannaturale si verificava soprattutto quando il padre era lontano (faceva sentire il suo profumo ai suoi figli spirituali nei momenti di bisogno) e anche dopo la sua morte e lo attestano centinaia di testimonianze (l’ « osmogenesia » ha riguardato anche altri santi).
Ieri, sul Corriere della sera, Sergio Luzzatto ha pubblicato un biglietto con cui padre Pio chiedeva a una sua figlia spirituale di comprargli in farmacia « 200-300 grammi di acido fenico puro per sterilizzare ». E un’altra sostanza analoga. Oltretutto perché in piena epidemia di spagnola in convento si usavano per sterilizzare le siringhe per fare le iniezioni ai frati ammalati (era proprio il giovane padre Pio a farle, come infermiere d’emergenza).
E dov’è la notizia? La cosa in sé è del tutto risibile. La notizia però non sta nel fatto, quanto nell’insinuazione con cui in quell’estate 1919 fu fatta arrivare in Vaticano. Ed è quel sospetto che ieri ha fatto fare il titolo al « Corriere »: « Padre Pio, ecco il giallo delle stigmate ». Sottotitolo: « Nel 1919 fece acquistare dell’acido fenico, una sostanza adatta per procurarsi piaghe alle mani ».
Primo. In questo biglietto di Padre Pio non c’è davvero nessuna aura di segretezza cospirativa che possa alimentare i sospetti, ma al contrario un tono di serena normalità quotidiana (« Carissima Maria, Gesù ti conforti sempre e ti benedica!
Vengo a chiederti un favore. Ho bisogno di aver da 200 a 300 grammi di acido fenico puro per sterilizzare. Ti prego di spedirmela la domenica e farmela mandare dalle sorelle Fiorentino. Perdona il disturbo »). Mandare un tale biglietto in giro è semmai prova di purità e di una coscienza solare.
Secondo. A quella data (estate 1919) padre Pio portava già le stigmate da un anno e dunque sarebbe comico affermare che nell’estate 1919 egli si procurò dell’acido per prodursi delle ferite nel settembre 1918. Terzo: le ferite che portava non erano « macchie o impronte, ma vere piaghe perforanti le mani e i piedi » e quella del costato « un vero squarcio che dà continuamente sangue » (cose incompatibili con bruciature da acido). Quarto. Il padre portò le stimmate per 50 anni e non poté certo procurarsi – con la segretezza del cospiratore – per mezzo secolo dosi industriali e quotidiane di acido (oltretutto per interi periodi fu segregato e sempre controllatissimo).
Ma soprattutto su quelle stimmate ci sono i referti medici di fior di studiosi, dal professor Romanelli al professor Festa, che a quel tempo le analizzarono, ripetendo le visite a distanza di anni e arrivando sempre alla conclusione che non potevano essere state prodotte né dall’artificio umano, né da uno stato psicopatologico, ma avevano un’origine non naturale. Romanelli argomenta, come scrive Fernando da Riese, che non può essere stato l’acido a provocare le ferite perché esso « non permetterebbe ai tessuti causticati di dare sangue e sangue rutilante », soprattutto di venerdì, come invece ha continuato ad accadere per decenni. Il dottor Festa ha confermato con altri studi. Inoltre l’acido avrebbe dato origine a ferite diverse da quelle dai contorni netti. Questi medici negarono anche l’origine nervosa perché mai nella letteratura scientifica si era verificata e perché se anche fosse « una volta prodotte (tali ferite) dovrebbero seguire il decorso di qualunque altra lesione, cioè guarire o suppurare ».
E invece per mezzo secolo le stimmate di padre Pio sono state un miracolo permanente: né rimarginavano, né suppuravano, dando sempre sangue fresco.
Il professor Bignami, che essendo di idee positiviste neanche ammetteva l’ipotesi soprannaturale, finì per fornire la migliore conferma: fece isolare e sigillare per giorni le piaghe con la certezza che sarebbero infine guarite o migliorate e invece si verificò l’esatto contrario.
Le stimmate, che padre Pio peraltro portò con immenso imbarazzo (sentendosene indegno), sparirono solo quando il santo lo chiese come grazia al Cielo e cioè alla vigilia della sua morte nel 1968: si chiusero improvvisamente (come erano venute) e senza lasciare traccia. Con quelle sofferenze padre Pio « pagò » milioni, letteralmente milioni, di grazie ottenute per chiunque soffrisse (si studino i dossier medici) e milioni di conversioni: comunisti, massoni, protestanti, agnostici (perfino qualche ecclesiastico) che trovavano la fede dopo essere andati a San Giovanni Rotondo magari con ostilità o pregiudizio.
Si convertivano non perché padre Pio facesse discorsi o teorie colte. No.
Solo per la sua santità, cioè per la potenza di Dio. Perché lui si prendeva letteralmente su di sé le loro sofferenze, senza averli mai visti il padre mostrava di conoscere il loro passato, leggeva nella loro anima, otteneva la guarigione di malati inguaribili, si manifestava a distanza col suo profumo e la bilocazione, prediceva eventi che sarebbero accaduti e compiva altre opere sconvolgenti. Il mistero di padre Pio è ancora da capire.

di Antonio Socci – Libero

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La morte non è uno show

Posté par atempodiblog le 10 septembre 2007

La morte non è uno show
Se lo ricordi pure la Chiesa
di Antonio Socci – Libero

La morte non è uno show dans Antonio Socci antoniosocci

Da giorni i quotidiani e le tv sono pieni di articoli e servizi sulla morte di Luciano Pavarotti e su quella di Gigi Sabani. Tutti a discettare di tutto, ma nessuno parla del « fatto »: la morte, questa ‘usanza’ come diceva ironicamente Borges « che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare ». Se ne evita pure il pensiero. Perché guardare in faccia la morte impone di interrogarsi sul senso della vita e sul destino, cioè su Dio.
Mentre tutto il nostro mondo è stato costruito sulla dimenticanza e sulla distrazione. È stato congegnato precisamente per censurare e dimenticare quella domanda e Dio; cioè, alla fine, per dimenticare noi stessi: «Tutto cospira a tacere di noi/ un po’ come si tace un’onta/ forse un po’ come si tace una speranza ineffabile» (Rilke). Viviamo tutti come se non dovessimo mai morire, come se la spiacevole incombenza riguardasse solo gli altri. Come se non sapessimo che da un momento all’altro noi, proprio noi, potremmo essere chiamati a render conto della nostra esistenza davanti al trono dell’Altissimo che ce l’ha donata, che è l’unico Padrone e Signore della vita. Lo storico francese Pierre Chaunu tempo fa scrisse: «Ci è capitata una curiosa avventura: avevamo dimenticato che si deve morire. È ciò che gli storici concluderanno dopo aver esaminato l’insieme delle fonti scritte della nostra epoca. Un’indagine sui circa centomila libri di saggistica usciti negli ultimi vent’anni mostrerà che solo duecento (una percentuale, dunque, dello 0,2 per cento) affrontavano il problema della morte. Libri di medicina compresi».

Un nemico da evitare
Tuttavia la morte, che se ne frega dei libri di saggistica, testardamente continua a farci visita con una certa frequenza. Quando irrompe fastidiosamente nelle nostre giornate parrebbe inevitabile parlarne, ma abbiamo studiato una serie di procedure e riti per evitare di guardarla in faccia. In genere si dribbla l’inquietante domanda, straparlando del deceduto. Se si tratta di un personaggio famoso è tutto sopra le righe, tracima in chiacchiericcio, in retorica o in pettegolezzo. Nessuno prega. E nessuno accenna una riflessione. Eppure è chiaro che cosa fragile ed effimera sia la vita: sic transit gloria mundi … Anche per Pavarotti è stato così. Celebrazioni, fiumi di inchiostro, ore di televisione, dichiarazioni, discussioni, canonizzazioni. Ci si è messo pure il vescovo di Modena, che ha trasformato l’antica Cattedrale in camera ardente, come si fa per i papi o per i santi. E Romano Prodi è andato a fare l’orazione funebre. Tutti parlano. Nessuno sui giornali accenna una riflessione sul mistero della vita. Nessuno fa silenzio. Nessuno prega. Padre Remo Sartori, che ha dato l’estrema unzione a Pavarotti, ha raccontato ieri che negli ultimi mesi il maestro lo cercò: «Mi contattò a Pasqua. Sapeva di essere malato, e sentiva la necessità di un conforto spirituale». Così si è avvicinato di più a Dio: «In lui c’era una fede di fondo sulla quale non nutriva dubbi». Quando sorella morte si fa annunciare dalla malattia e dalla sofferenza all’inizio ci sentiamo ingiustamente bersagliati dalla sorte, ma alla fine per tanti si rivela una grazia, un tempo di misericordia. Don Giussani diceva: «Dio chiede una più particolare partecipazione alla Croce per la redenzione del male del mondo. Dio desidera la purificazione dei nostri peccati. E il digiuno e la disciplina che non pratichiamo volontariamente, il Signore misericordioso ce li fa vivere attraverso questi dolori e queste privazioni. Ma lo scopo più grande di tali avvenimenti è di richiamarci, soprattutto nei momenti di lotta vertiginosa, che Lui solo è il Vero, Lui solo è la speranza». A me è capitato, solo pochi mesi fa, di vivere la malattia e la morte di mio padre pregando proprio con la voce di Pavarotti (che è stato un dono di Dio per tutti). Mio padre era in ospedale, ormai in rianimazione. Stava morendo. E per qualche giorno, andando a trovarlo, ascoltavo in auto una struggente canzone di Eric Clapton che questo artista cantò proprio con Pavarotti al « Pavarotti and friends for war child ». Era una preghiera alla Madonna. Accenno (traducendole) le parole di « Holy Mother », ma l’emozione dei suoni di Clapton e della voce di Pavarotti è indescrivibile. Le prime strofe cantate dalla voce malinconica di Clapton dicevano: «Madre Santa, dove sei?/ Stanotte sono a pezzi./ Ho visto le stelle cadere dal cielo./ Madre Santa, non posso trattenermi dal piangere/ Oh, stavolta ho bisogno del tuo aiuto./ Fai che finisca questa notte di solitudine./ Dimmi per favore per quale via andare/ per ritrovare me stesso di nuovo./ Madre Santa, ascolta la mia preghiera./ In qualche modo so che ci sei sempre./ Manda un po’ di pace al mio cuore/ toglimi questa angoscia». Poi Clapton ripeteva «I can’t wait», non posso più aspettare a lungo, non farti attendere ancora. Qui entrava la voce travolgente di Pavarotti: «Madre Santa ascolta il mio pianto/ io ho imprecato il tuo nome migliaia di volte/ ho sentito la rabbia attraversarmi l’anima/ ma ora ho bisogno della tua mano da poter afferrare./ Oh sento che la fine sta arrivando/ le mie gambe non correranno più a lungo./ Tu sai che in questa notte io preferirei essere tra le tue braccia». E il finale, dolcissimo: «Quando le mie mani non suoneranno più/ la mia voce ci sarà ancora, ma io svanirò./ Madre Santa, allora io sarò/ disteso, in salvo tra le tue braccia». Alla fine questo solo conta: di poter essere perdonati e abbracciati. Per questo la cosa più importante, secondo me, è morire in pace con Dio. Il resto è nulla. Siamo tutti ombre che passano in pochi istanti sul teatro del mondo. Come l’erba dei campi è la nostra vita: in un giorno dissecca. L’unica chiave per entrare nella vita vera, quella che dura per sempre, è affidarsi alla misericordia di Dio. E la Chiesa è la grande fontana della Misericordia. Tutti lo avvertiamo, per questo tanti (anche personalità note come laiche) alla fine si riavvicinano ai sacramenti.

Misericordia per tutti
La cosa più confortante per tutti noi è ascoltare quello che un giorno Gesù disse alla mistica polacca santa Faustina Kowalska (recentemente canonizzata). La citazione è lunga (mi scuserete), ma vale la pena: «Desidero che i miei Sacerdoti annunzino questa mia grande misericordia per le anime peccatrici. Il peccatore non tema di avvicinarsi a Me. Anche se l’anima fosse come un cadavere in piena putrefazione, se umanamente non ci fosse più rimedio, non è così davanti a Dio. Le fiamme della misericordia mi consumano, desidero effonderla sulle anime degli uomini. Io sono tutto amore e misericordia. Un’anima che ha fiducia in Me è felice, perché Io stesso mi prendo cura di lei. Nessun peccatore, fosse pure un abisso di abiezione, mai esaurirà la mia misericordia, poiché più vi si attinge più aumenta. Figlia mia, non cessare di annunziare la mia misericordia, facendo questo darai refrigerio al mio Cuore consumato da fiamme di compassione per i peccatori. Quanto dolorosamente mi ferisce la mancanza di fiducia nella mia bontà! Per punire ho tutta l’eternità, adesso invece prolungo il tempo della misericordia per loro. Anche se i suoi peccati fossero neri come la notte, rivolgendosi alla mia misericordia, il peccatore mi glorifica e onora la mia Passione. Nell’ora della sua morte Io lo difenderò come la stessa mia gloria. Quando un’anima esalta la mia bontà, Satana trema davanti ad essa e fugge fin nel profondo dell’inferno. Il mio cuore soffre perché anche le anime consacrate ignorano la mia Misericordia e mi trattano con diffidenza. Quanto mi feriscono! Se non credete alle Mie parole, credete almeno alle Mie piaghe!».

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