Il ritorno della Madre di Dio

Posté par atempodiblog le 15 octobre 2011

Il ritorno della Madre di Dio dans Antonio Socci mariasantissima

« La Vergine è tornata sempre nei periodi più travagliati in una grande funzione di conforto; nei momenti di assalto sferrato contro la Chiesa e la stessa fede, tra i pericoli più gravi ed incombenti (…) Alcuni di questi ritorni hanno avuto un’influenza su tutta la Chiesa e, in certo modo, su tutta la storia religiosa contemporanea: basta pronunciare i nomi di Lourdes e Fatima. Essi costituiscono una poderosa quanto sensibile interferenza dell’ordine divino nel piano umano (…) I ritorni della Vergine, vera storia postuma della madre del Signore, concertano in forma commovente la sua maternità sul Corpo mistico di Cristo. Essi rappresentano un impetuoso mezzo di risoluzione delle crisi anche più gravi ».

Card. Giuseppe Siri
Antonio Socci – I segreti di Karol Wojtyla

Publié dans Antonio Socci, Apparizioni mariane e santuari, Citazioni, frasi e pensieri | Pas de Commentaire »

Padre Pio a proposito di Don Dolindo Ruotolo…

Posté par atempodiblog le 12 octobre 2011

Padre Pio a proposito di Don Dolindo Ruotolo... dans Antonio Socci dondolindoruotolo

Si tramanda che il cappuccino del Gargano un giorno abbia detto ad alcuni pellegrini venuti da Napoli: « Perché venite qui, se avete don Dolindo Ruotolo a Napoli? Andate da lui, egli è un santo! ».

Antonio Socci – I segreti di Karol Wojtyla

Publié dans Antonio Socci, Don Dolindo Ruotolo, Padre Pio | Pas de Commentaire »

L’unica strada

Posté par atempodiblog le 25 septembre 2011

L'unica strada dans Antonio Socci gesdinazareth

Una notizia
“Se c’è un delitto che una religione può compiere è quello di dire: ‘io sono l’unica strada’”.
E’ una frase sorprendente di don Giussani che, subito dopo, ancor più sorprendentemente, aggiungeva: “E’ esattamente ciò che pretende il cristianesimo”.
Quale conclusione trarne? Che Giussani giudicava “delittuoso” il cristianesimo? Non siate frettolosi.
Da vero maestro di razionalità egli spalanca un orizzonte affascinante. Dice infatti: “Non è ingiusto sentirsi ripugnare di fronte a tale affermazione (che, cioè, una religione si ponga come ‘unica strada’, nda). Ingiusto sarebbe non domandarsi il motivo di tale pretesa”.
Così – spiega Massimo Camisasca nel volume “Don Giussani”, [...] – il sacerdote lombardo “ci invita a porre la domanda adeguata: non dobbiamo chiederci che cosa sia giusto o ingiusto, ma che cosa sia accaduto”.
Ovvero, è possibile che Dio si sia davvero incarnato e sia diventato una compagnia permanente per l’uomo?
Infatti, conclude Giussani, “se fosse accaduto, questa strada sarebbe l’unica… perché l’avrebbe tracciata Dio”.
Cosicché “tutto si riduce a rispondere alla domanda: chi è Gesù?”. E’ lui infatti l’unico che abbia avanzato tale inaudita pretesa nella storia. E, per il solo fatto che questa notizia si propaga da duemila anni e ci ha raggiunto, non c’è niente di più importante che verificarne la fondatezza.
Verifica che – ripeteva Giussani – è possibile fare solo mettendosi totalmente in gioco, con la propria stessa vita. “Vieni e vedi”. E’ l’avventura che un grande intellettuale, Agostino d’Ippona, ha vissuto e ha raccontato nelle “Confessioni”.

Sentieri interrotti?
Un acuto intellettuale laico di oggi, presentando nel 2001 proprio un libro di Giussani, fissava lo sguardo su Gesù, nell’episodio evangelico dell’adultera perdonata, e osservava: “Se Dio esiste, se esiste una rivelazione, è impossibile che non sia questa. Solo qui c’è questa commossa solidarietà con l’umano. Si può non credere, ma tutto questo è incomparabile”.
L’intellettuale che pronunciava queste parole, profonde e toccanti, era Ernesto Galli Della Loggia.

Antonio Socci

Publié dans Antonio Socci, Fede, morale e teologia, Riflessioni | Pas de Commentaire »

Uniti nella preghiera per Caterina

Posté par atempodiblog le 12 septembre 2011

Due anni fa, nel giorno del nome di Maria, Caterina Socci entrò in coma dopo un arresto cardiaco… anche se la situazione adesso è migliorata, continuiamo a pregare perché la Madonna la restituisca totalmente guarita all’affetto dei suoi cari.

Uniti nella preghiera per Caterina dans Antonio Socci caterinasocci

Antonio Socci*:

[...] Quanto è grande il dolore del mondo… Uno sconfinato e sconsolato panorama di sofferenze ci è apparso all’improvviso. Quanti afflitti da confortare, quante lacrime da asciugare…
Si può sostenere tutto questo solo fissando lo sguardo su Colui che davvero sostiene tutta l’afflizione umana sulle sue spalle, che la porta al Golgota e infine vince il Male e asciuga ogni lacrima…
Perché davvero Egli ha misericordia di tutti… di tutti…
Quanto amore avvolge l’umanità ferita, quanti santi sconosciuti a tutti. Quanti piccoli e semplici che fasciano ferite e sono l’abbraccio di Gesù e sono la carezza del Nazareno…
E’ specialmente Lei, la Madre di Dio, che, oggi come a Cana, vede il dramma di ciascuno prim’ancora che l’interessato se ne accorga… E’ Lei che previene e soccorre prima di tutti perché Lei è veramente Madre. Di ciascuno di noi! Sempre! Soprattutto nei momenti che sembrano più bui… Lei non ci abbandona mai!

*Tratto da:  Antonio Socci – Caterina. Diario di un padre nella tempesta  Ed. Rizzoli

Publié dans Antonio Socci, Preghiere, Riflessioni | Pas de Commentaire »

Antonio Socci racconta la Guerra contro Gesù

Posté par atempodiblog le 9 septembre 2011

Al Meeting di Rimini il giornalista e scrittore presenta il suo ultimo libro
di Luca Marcolivio – Zenit.org
Tratto da: Canto Nuovo

Antonio Socci racconta la Guerra contro Gesù dans Antonio Socci antoniosocci

Un saggio dalla lunga gestazione che la scorsa primavera ha visto finalmente la luce e che venerdì scorso è stato presentato all’ultima edizione del Meeting di Rimini.

In “Guerra contro Gesù” (Rizzoli, 2011), Antonio Socci mette in luce tutte le più recenti conferme della storicità e divinità di Cristo e tutti i tentativi di rimozione delle stesse da parte dei nemici del cristianesimo e della Chiesa.

Presso il Caffè letterario Eni del Meeting, l’intervento di Socci è stato presentato dal giornalista Camillo Fornasieri e anticipato dal commento di Massimo Borghesi, professore ordinario di Filosofia morale all’Università di Perugia e docente in alcune università pontificie.

Come spiegato da Borghesi, in “Guerra contro Gesù” Socci prosegue il discorso iniziato con il precedente “Indagine su Gesù” (Rizzoli, 2008). Un lavoro importante che “nemmeno nelle facoltà teologiche viene più svolto, anzi, spesso sono proprio i teologi ad affilare le armi di tanti intellettuali ‘laici’ come Odifreddi, Flores d’Arcais o Augias”.

Da parte sua, Antonio Socci ha esordito citando una mostra visitata proprio al Meeting che porta sostegno alle sue tesi: l’esposizione “Con gli occhi degli apostoli”, che ha riprodotto luoghi come la casa di Pietro o la spiaggia di Tiberiade su cui avvenne l’Incontro.

“Sono tracce che parlano al cuore e parlano di Dio che ci è venuto a cercare ed è con noi”, ha commentato.

Lo scrittore toscano ha poi citato una serie di prove documentali archeologiche a sostegno della storicità di Cristo. Ad esempio, “nell’anno 35, quindi pochissimi anni dopo la Resurrezione, Tiberio propone al Senato di riconoscere Gesù, figlio del falegname di Nazareth, come Dio”.

Altro elemento storico significativo è rappresentato dall’epistolario in cui “Seneca rimane sconvolto dall’incontro con Paolo perché ha sognato tutta la vita un sistema per cui l’uomo sia uomo e in Paolo lo vede come vita”.

“Il Vangelo di Luca viene scritto poco dopo il 50 d.C. – ha proseguito Socci –, quando la maggior parte dei testimoni, persecutori compresi, era ancora in vita. Nessuno ha avuto il coraggio di smentire quanto riportato da Luca o dagli altri evangelisti, anzi, molti di quei fatti sono confermati anche dagli autori anticristiani”.

Lo scetticismo della letteratura laicista, in teoria, dovrebbe indagare fino in fondo, e secondo la propria logica confutare l’Avvenimento cristiano, invece l’operazione da costoro compiuta è quella della rimozione dei fatti.

Non è sbagliato chiedersi se il cristianesimo sia vero, tuttavia “ciò che rimprovero ai razionalisti non è che siano scettici, ma che lo siano troppo poco, cioè che non usino fino in fondo lo strumento della ragione”, ha aggiunto Socci.

Citando l’Enciclica Humani Generis di Pio XII, lo scrittore ha ricordato che “anche con la sola luce della ragione si può provare con certezza l’origine divina della religione cristiana”.

In un’ulteriore citazione, da Karl Adam, Socci ha sottolineato che “né i Giudei, né gli ellenisti avrebbero mai potuto coi propri mezzi arrivare a quella figura del Cristo. […] nessun cervello umano avrebbe mai potuto pensare una tal vita, nessuna ingegnosità avrebbe mai potuto comporla”.

Publié dans Antonio Socci, Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia | Pas de Commentaire »

Stanno estromettendo Gesù dalle chiese

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2011

Stanno estromettendo Gesù dalle chiese dans Antonio Socci antoniosocci

Un giorno, conversando con amici, Ratzinger (ancora cardinale) se ne uscì con una battuta: “Per me una conferma della divinità della fede viene dal fatto che sopravvive a qualche milione di omelie ogni domenica”.
Se ne sentono infatti di tutti i colori. Non c’è solo il prete che – è notizia di ieri – in una basilica della Brianza diffonde una preghiera islamica in cui si inneggia ad Allah.
Ci sono quelli che consigliano la lettura di Mancuso o Augias… E si trovano “installazioni” di arte contemporanea nelle cattedrali che fanno accapponare la pelle.
D’altra parte pure i cardinali di Milano hanno dato sfogo alla “creatività”.
Leggo dal sito di Sandro Magister: “Nel 2005, l’11 maggio, per introdurre un ciclo dedicato al libro di Giobbe è stato chiamato a parlare in Duomo il professor Massimo Cacciari: oltre che sindaco di Venezia, filosofo ‘non credente’ come altri che in anni precedenti avevano preso parte a incontri promossi dal cardinale Martini col titolo, appunto, di ‘Cattedra dei non credenti’. Cacciari ha tessuto l’elogio del vivere senza fede e senza certezze”.
Insomma nelle chiese si può trovare di tutto. Tranne la centralità di Gesù Cristo.
Infatti – nella disattenzione generale – i vescovi italiani hanno estromesso dalle chiese (o almeno vistosamente allontanato dall’altare centrale e accantonato in qualche angolo) proprio Colui che ne sarebbe il legittimo “proprietario”, cioè il Figlio di Dio, presente nel Santissimo Sacramento.
Non sembri una banale battuta. Al Congresso eucaristico nazionale che si sta aprendo ad Ancona dovrebbero considerare gli effetti devastanti prodotti dall’incredibile documento della Commissione Episcopale per la liturgia del 1996 che è il vademecum in base al quale sono state progettate le nuove chiese italiane e i relativi tabernacoli, o sono state “ripensate” le chiese più antiche.
Non si capisce quale sia lo statuto teologico di cui gode una Commissione della Cei (a mio avviso nessuno). Ma la cosa singolare è questa: che nell’ambiente ecclesiastico – a partire da seminari e facoltà teologiche – trovi legioni di teologi pronti (senza alcuna ragione seria) a mettere in discussione i Vangeli (nella loro attendibilità storica) e le parole del Papa, ma se si tratta di testi partoriti dalle loro sapienti meningi, e firmati da qualche commissione episcopale, ti dicono che quelli devono essere considerati sacri e intoccabili.
Dunque in quel testo del 1996, fra le altre cose discutibili, si “consiglia vivamente” di collocare il tabernacolo non solo lontano dall’altare su cui si celebra, ma pure dalla cosiddetta area presbiterale. Relegandolo “in un luogo a parte”.
Le motivazioni – come sempre – sono apparentemente “devote”. Si dice infatti che il tabernacolo potrebbe distrarre dalla celebrazione eucaristica.
Motivazione ridicola e – nella sua enfasi sull’evento celebrativo a discapito della presenza nel tabernacolo – anche pericolosamente somigliante alle tesi di Lutero.
L’effetto inaudito di queste norme è il seguente: nelle chiese si assiste da qualche anno a un accantonamento progressivo del tabernacolo, cioè del luogo più importante della chiesa, quello in cui è presente il Signore.
Prima lo si è collocato in un posto defilato (una colonna o un altare laterale), quindi in una cappella, parzialmente visibile. Alla fine probabilmente sarà del tutto estromesso dalle chiese.
Come risulta essere nell’incredibile edificio di San Giovanni Rotondo in cui è stato portato il corpo di san Pio.
L’edificio, progettato da Renzo Piano, non ha inginocchiatoi e la figura centrale e incombente è l’enorme e spaventoso drago rosso dell’apocalisse rappresentato trionfante nell’immensa vetrata: ebbene il tabernacolo lì non c’è.
Non so a chi sia venuto in mente questo progressivo occultamento dei tabernacoli nelle chiese (che avrebbe fatto inorridire padre Pio). Esso non corrisponde affatto all’insegnamento del Concilio Vaticano II, visto che l’istruzione post-conciliare “Inter Oecumenici” del 1964 affermava che il luogo ordinario del tabernacolo deve essere l’altare maggiore.
E non piace nemmeno al Papa come si vede nell’Esortazione post sinodale “Sacramentum Caritatis” dove egli sottolinea il legame strettissimo che deve esserci fra celebrazione eucaristica e adorazione.
Sottolineatura emersa dall’XI Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2005 che ha richiesto la centralità ed eminenza del tabernacolo.
Basterà per tornare sulla retta via? Nient’affatto. Come dimostra il comportamento – a volte di aperta contestazione al Papa – tenuto da certi vescovi quando il suo famoso “Motu proprio” ha restaurato la libertà di celebrare anche con l’antico messale.
Purtroppo le idee sbagliate dei liturgisti “creativi” continueranno a prevalere sul papa, sul Concilio e sul Sinodo (forse faranno strada anche altre balordaggini come la “prima comunione” a 13 anni). Fa da corollario a questa estromissione di Gesù eucaristico dalle chiese, la stupefacente pratica del biglietto di ingresso istituito perfino per alcune Cattedrali. Degradate così a musei.

La protestantizzazione o la museizzazione delle chiese è un fenomeno dagli effetti spaventosi per la Chiesa Cattolica. Si dovrebbero prendere subito provvedimenti.

Per capire cosa era – e cosa dovrebbe essere – una chiesa cattolica voglio ricordare la storia di due persone significative.

La prima è Edith Stein, una donna straordinaria, filosofa agnostica, di famiglia ebrea, che divenne cattolica, si fece suora carmelitana ed è morta nel lager nazista di Auschwitz.
E’ stata proclamata santa da Giovanni Paolo II nel 1998 e nell’anno successivo compatrona d’Europa.
La Stein ha raccontato che un primo episodio che la portò verso la conversione accadde nel 1917 quando lei, giovinetta, vide una popolana, con la cesta della spesa, entrare nel Duomo di Francoforte e fermarsi per una preghiera:

“Ciò fu per me qualcosa di completamente nuovo. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti, che ho frequentato, i credenti si recano alle funzioni. Qui però entrò una persona nella chiesa deserta, come se si recasse ad un intimo colloquio. Non ho mai potuto dimenticare l’accaduto”.

Lì infatti c’era Gesù eucaristico.

Un altro caso riguarda il famoso intellettuale francese André Frossard. Era il figlio del segretario del Partito comunista francese.
Era ateo, aveva vent’anni e quel giorno aveva un appuntamento con una ragazza. L’amico con cui stava camminando, essendo cattolico, gli chiese di aspettarlo qualche istante mentre entrava in una chiesa.
Dopo alcuni minuti Frossard decise di andare a chiamarlo perché aveva fretta di incontrare “la nuova fiamma”. Lo scrittore sottolinea che lui non aveva proprio nessuno dei tormenti religiosi che hanno tanti altri.
Per loro, giovani comunisti, la religione era un vecchio rottame della storia e Dio un problema “risolto in senso negativo da due o tre secoli”.
Eppure quando entrò in quella chiesa era in corso un’adorazione eucaristica e, racconta, “è allora che è accaduto l’imprevedibile”.
Dice:

“il ragazzo che ero allora non ha dimenticato lo stupore che si impadronì di lui quando, dal fondo di quella cappella, priva di particolare bellezza, vide sorgere all’improvviso davanti a sé un mondo, un altro mondo di splendore insopportabile, di densità pazzesca, la cui luce rivelava e nascondeva a un tempo la presenza di Dio, di quel Dio, di cui, un istante prima, avrebbe giurato che mai era esistito se non nell’immaginazione degli uomini; nello stesso tempo era sommerso da un’onda, da cui dilagavano insieme gioia e dolcezza, un flutto la cui potenza spezzava il cuore e di cui mai ha perso il ricordo”.

La sua vita ne fu capovolta. “Insisto. Fu un’esperienza oggettiva, fu quasi un esperimento di fisica”, ha scritto. Frossard è diventato il più celebre giornalista cattolico. In una chiesa di oggi non avrebbe incontrato il Verbo fatto carne, ma le chiacchiere di carta.

Antonio Socci - Libero

Publié dans Antonio Socci, Articoli di Giornali e News | 1 Commentaire »

Il primato della grazia e il rischio del fariseismo

Posté par atempodiblog le 3 septembre 2011

Il primato della grazia e il rischio del fariseismo dans Antonio Socci padrepio

Un giorno va a confessarsi da lui un figlio spirituale. Alla fine gli dice che c’è laggiù in fondo alla chiesa un’altro dei figli spirituali di Padre Pio che lo ha avvicinato, tutto angosciato, perché intercedesse per lui: l’aveva combinata molto grossa, sul piano morale, era distrutto dai sensi di colpa, voleva confessarsi, ma temeva che il padre gli facesse una scenata pubblica.
Padre Pio ascolta silenzioso e poi chiede a quel’“ambasciatore”: “Ma tu ti sei scandalizzato quando ti ha raccontato questo?”. E lui: “Beh, Padre, non le nascondo che la cosa mi ha molto sconcertato, essendo uno che sta sempre qua, che frequenta lei […]”. Al che Padre Pio dice: “Figlio mio, se Dio togliesse il suo dito dalla nostra testa, anche per un solo istante, credimi, io e te faremmo peggio di lui […] Vai, chiamalo, digli che venga subito […]”.
E a una sua figlia spirituale che lamentava le sue imperfezioni e la difficoltà a cambiare, suggeriva: “Tempo e pazienza. Pazienza con ciò che Dio ci manda; pazienza con noi stessi; pazienza con il prossimo. Pazienza è patire […]. Umiliati amorosamente davanti a Dio e agli uomini, perché Dio parla a chi tiene le orecchie basse. Ama il silenzio, perché il molto parlare non è esente da colpa. Ricordati che tutto ridonda in bene a coloro che amano sinceramente Iddio. Se Davide non avesse peccato, non avrebbe conquistato un’umiltà così profonda, né la Maddalena avrebbe tanto ardentemente amato Gesù”.

Antonio Socci – Il segreto di Padre Pio

Publié dans Antonio Socci, Padre Pio, Riflessioni | Pas de Commentaire »

« Io sono con te »

Posté par atempodiblog le 9 août 2011

[...] una delle espressioni più frequenti e più importanti che Dio ripete in tutta la Sacra Scrittura è esattamente questa [...]: Non temere! Io sono con te”.
Ci ho pensato ed è meraviglioso. In fondo tutta la storia della salvezza si riassume in queste poche, semplici parole: Non temere! Io sono con te”. Che si sono chiarite definitivamente duemila anni fa: Il Verbo si è fatto carne ed abita in mezzo a noi”;
Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi”.

Antonio Socci

Publié dans Antonio Socci, Citazioni, frasi e pensieri, Fede, morale e teologia | Pas de Commentaire »

Non siamo degli abbandonati nel mondo

Posté par atempodiblog le 28 juillet 2011

Non siamo degli abbandonati nel mondo dans Antonio Socci dondolindoruotolo

[…] C’è però un episodio del Vangelo – uno solo (Mt 15,21 – 28) – in cui Gesù sembra rispondere addirittura con durezza a una dolorosa implorazione dell’uomo. Una durezza che in Gesù è del tutto insolita. Come si spiega? Che cosa nasconde? E come finisce quell’episodio? E’ una pagina che in genere viene fraintesa. Invece è estremamente significativa. Sentiamo:

Partito di là, Gesù si diresse verso le perti di Tiro e Sidòne.
Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio».
Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i discepoli gli si accostarono implorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro».
Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele».
Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!».
Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini».
«È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Come si giustifica questo atteggiamento di Gesù, inizialmente così duro? Lo spiega padre Dolindo Ruotolo nel suo volume di commento ai Vangeli. Egli mostra che l’episodio accade dopo uno scontro con scribi e farisei, in cui gli apostoli rischiavano di essere irretiti dai ragionamenti di costoro. Gesù allora parte e va in una regione abitata da pagani. Andò da quelle parti, scrive don Dolindo, “per indicare quello che sarebbe avvenuto in futuro e, conoscendo tutto, vi andò per mostrare con un esempio pratico agli apostoli, disorientati dalla propaganda farisaica, che cosa significasse avere fede. E’ evidente dal contesto” spiega don Dolindo “che Egli stesso attrasse a sé la povera Cananea, che andò a supplicarlo per la figlia indemoniata, anzi può dirsi che sia andato esclusivamente per lei in quelle contrade, non avendovi operato altro”.
La povera donna aveva sentito parlare dei grandi prodigi di quell’uomo ed era andata ad implorarlo per la figlia. Umilmente si gettò ai suoi piedi, lo invocò come “Figlio di David”. Com’è possibile che Gesù, il cui cuore sempre si strugge di compassione, mostri in questo caso, tanta gelida indifferenza?
La donna continuò a implorare fino a far impietosire gli apostoli che, amareggiati, intervennero presso Gesù perché la esaudisse. Ma Gesù rispose loro che era stato inviato solo alle pecore perdute della casa di Israele.
“Con queste parole” spiega Dolindo Ruotolo “non intese dire di non voler esaudire la preghiera di quella donna, ma volle mostrare agli apostoli, in una durezza che li addolorava, quanto era contraria alla carità la durezza di chi s’irrigidiva in una legge esteriore senza tener conto del suo spirito. Dal suo cuore però partivano raggi di carità invisibili che colpirono la donna, la fecero più ardita”.
Deliberatamente “volle far sentire agli apostoli, in un contrasto con una madre supplicante, quanto fosse ingiusto il disprezzo” che scribi e farisei avevano dei pagani. “Essi vedendo quel disprezzo in confronto con Lui, carità per essenza, ne distinguevano di più l’orrore… La lezione era tutta rivolta agli apostoli titubanti: essi dovevano riconoscere che non avevano quella fede profonda che sa resistere alle prove; dovettero capire quanto superiore agli scribi e ai farisei era quell’umile donna, che aveva nel cuore un tesoro di fede nel Messia…”. Il Vangelo ci informa poi che dopo questo episodio, tornato in Galilea, Gesù compì molti miracoli, guarendo ciechi, storpi, muti, consolando i loro cuori e rafforzando così la fede degli apostoli.
A questo punto padre Dolindo ricava da quell’evento un insegnamento per noi. Una stupenda intuizione che ho sentito proprio adatta a me:
“Quante volte, pregando, ci sembra che Gesù Cristo, la Madonna e i santi non ci ascoltino, e l’anima si disorienta a volte fino a sentirsi venir meno la fede! Quante volte, in questi momenti di tenebre, satana ci suggerisce che è vano pregare e ci getta in una cupa disperazione che è forse il tormento maggiore della vita! Eppure in quei momenti di oscurità , proprio allora, dobbiamo intensificare la preghiera, perché la fede esca ingigantita dalla prova ed ottenga grazie maggiori di quelle che ha richieste. Si può dire con assoluta certezza che nessuna preghiera è vana, e che quando non ci vediamo esauditi ci si prepara una consolazione più grande, temporale ed eterna. Non siamo degli abbandonati nel mondo, non siamo dei reietti, siamo figli del Padre celeste, ed Egli ci riserba il suo pane, cioè la ricchezza delle sue misericordie”.

di Antonio Socci – Caterina. Diario di un padre nella tempesta  Ed. Rizzoli

Publié dans Antonio Socci, Commenti al Vangelo, Don Dolindo Ruotolo, Fede, morale e teologia, Libri, Misericordia | Pas de Commentaire »

La Madonna ama farsi pregare

Posté par atempodiblog le 26 juillet 2011

La Madonna ama farsi pregare dans Antonio Socci santabernadette

Diceva santa Bernardette, nella sua semplicità: “la Madonna ama farsi pregare”. Perché la Madonna ama farsi pregare? La ragione è profonda: penso che sia perché pregare, aprendo il cuore a Lei, serve a noi, perché così può cambiarci e stringerci a sé, ottenerci grandi grazie e soprattutto convertirci. Farci ritrovare noi stessi.

Perché infine impariamo ad affidarci totalmente a Lei, con fiducia totale, senza riserve, sospetti o timori. Perché ci accorgiamo di avere una Madre, immensamente buona. Che al Figlio può chiedere tutto, quindi che può tutto. E che è la mediatrice di tutte le grazie.

Antonio Socci

Publié dans Antonio Socci, Citazioni, frasi e pensieri, Santa Bernadette Soubirous | Pas de Commentaire »

Rapporto sul «caso O’Callaghan»

Posté par atempodiblog le 4 juillet 2011

La controversa storia della scoperta dello studioso gesuita. L’entusiasmo di Paolo VI e il misterioso, ventennale silenzio.
di Antonio Socci

Tratto da: 30Giorni, giugno 1991, p. 12-13
Fonte: Storia Libera

Rapporto sul «caso O'Callaghan» dans Antonio Socci antoniosocci

Fra i manoscritti in ebraico e aramaico che dal 1947 furono ritrovati in alcune grotte tra le rocce ad ovest del Mar Morto, vicino al Kirbet Qumran, si scoprirono pure – nella grotta settima – dei frammenti in greco, 19 in tutto. A differenza degli altri manoscritti, non erano in pergamena o pelle, ma su papiro e, caso unico, in lingua greca. Due di essi furono identificati: appartenevano a libri dell’Antico Testamento, Esodo 28,4-7 e Baruc 6,43-44. Per gli altri non si trovò l’originaria collocazione.

Dopo alcuni anni, nel 1971, un papirologo spagnolo, il gesuita José O’Callaghan, docente al Pontificio istituto biblico di Roma, riprese a lavorare su quei frammenti rimasti orfani, soprattutto il n. 5, perché stava redigendo un catalogo dei manoscritti dell’Antico Testamento. La fatica fu vana. Neanche la chiara sequenza di lettere – «nnes» – alla quarta riga, che sembrava rimandare alla parola «egennesen» (generare) e quindi alle sezioni genealogiche della Bibbia, fu di aiuto. Peraltro un autorevole papirologo britannico, Cecil H. Roberts, in base ai criteri scientifici di datazione della scrittura (com’è noto assai attendibili), aveva datato quel frammento non oltre il 50 d.C. Padre O’Callaghan doveva dunque escludere a priori che potesse trattarsi di un frammento dei Vangeli sinottici, ufficialmente datati, anche nella Chiesa cattolica, fra 70 e 100 d.C.

Stava per abbandonare l’impresa quando si affacciò alla sua mente l’ipotesi che la combinazione – «nnes» – potesse invece far parte di «Gennesaret», nome di una città della Palestina. Ma nell’Antico Testamento non trovò nessun passo che coincidesse con questo gruppo testuale. Il frammento, chiamato 7Q5, comprendeva infatti venti lettere disposte su cinque righe.

Alla fine, solo per curiosità, fece un sondaggio sul Nuovo Testamento. Si può immaginare il suo stupore quando scoprì che un passo del Vangelo di Marco coincideva perfettamente. E che 7Q5 conteneva perfino altre coincidenze particolari, come lo spazio bianco fra due lettere dov’era la cesura del discorso (la «paragraphos») e il «Kai» iniziale (la « E ») tipico della paratassi di Marco.

Padre Carlo Maria Martini, a quel tempo rettore del Biblico e oggi cardinale arcivescovo di Milano, accompagnando la pubblicazione della scoperta di O’Callaghan con un suo prudentissimo articolo su «La Civiltà Cattolica» nel ’72, spiegava: « Pur se al profano potrebbe sembrare il contrario, è assai improbabile una coincidenza casuale di alcune lettere, disposte su diverse righe, con un testo letterario già noto ».
Eppure lo stesso Martini sottopose la scoperta di O’Callaghan al vaglio di tutti gli esperti del Biblico prima e poi anche a quello del professor Sergio Daris, papirologo dell’Università di Trieste. Alla fine fu concessa l’autorizzazione per la pubblicazione, ma dietro un eloquente punto interrogativo. « Ricordo che Paolo VI venne a sapere della scoperta » racconta padre Michele Piccirillo, archeologo in Terrasanta « e avrebbe voluto dar lui stesso l’annuncio ufficiale al mondo, ma ne fu dissuaso ».

La prudenza fu motivata con la necessità di non compromettere la Chiesa su una scoperta che doveva ancora reggere al vaglio della comunità scientifica internazionale.

I diretti interessati, padre Benoit e padre Ballet, che avevano curato il ritrovamento, reagirono con virulenza contro la scoperta di O’Callaghan, come pure Kurt Aland, l’autorevole direttore dell’Istituto per la ricerca sul testo del Nuovo Testamento di Münster e coeditore del mitico Nestle-Aland e del «Greek New Testament». Accettare quella scoperta significherebbe distruggere tutta la costruzione «professorale» ufficiale. Tutto il castello esegetico moderno crollerebbe rovinosamente, i Vangeli sarebbero restituiti ad una piena storicità e le loro cronache sarebbero testimonianze dirette di uomini che avevano visto, sentito, e toccato con mano.

Insomma, nel piccolo frammento di papiro 7Q5 sarebbe contenuta una eccezionale conferma documentaria di ciò che la Chiesa ha insegnato ininterrottamente per diciannove secoli. Due professori presbiteriani, D. Estrada e W. White Jr, nel libro «The First New Testament», spiegano che in questa diatriba si contrappongono « punti di vista liberali sul Nuovo Testamento contro una scoperta capace di distruggere i fondamenti delle tesi liberali e teologiche già accettate; il lavoro dell’ultimo arrivato sui rotoli del Mar Morto (O’Callaghan) contro gli sforzi di alcuni scienziati largamente stimati e responsabili istituzionali del lavoro ».
« Confesso che io stesso sarei stato prudentissimo ad accettare subito i risultati di 7Q5″, ammette lealmente padre O’Callaghan, che certo non manca di scrupolo scientifico e di prudenza, « ma credo anche che se si fosse trattato di un frammento di letteratura greca o dell’Antico Testamento non sarebbero insorti tanti problemi immotivati. Ho fatto tante altre identificazioni analoghe, da Senofonte a Teocrito, a Eusebio di Cesarea e tutto è stato pacificamente accettato. Ne ho pubblicate altre a Bruxelles, altre ancora in Spagna e sono stato molto lodato ». O’Callaghan, decano della Facoltà biblica, dove insegna da 24 anni, ha un curriculum di oltre 200 titoli. Ma su 7Q5 è scesa una censura che non ha permesso alla notizia di essere ufficializzata né di trapelare granché fuori della cerchia degli addetti ai lavori (nonostante l’attenzione dedicata da tempo alla vicenda dal periodico «Si si no no»).

Eppure quel frammento è stato sottoposto a tante prove del computer. La più recente a Oxford: è stato messo a raffronto con tutto l’insieme della letteratura greco-cristiana, ma l’unico responso possibile che il computer continua a dare per quel gruppo testuale è Marco 6,52-53.

Dopo tanti anni, a rompere questa sospetta cappa di silenzio è stato uno studioso luterano, Carsten Peter Thiede, che in un suo approfondito studio, «Il più antico manoscritto dei vangeli?», pubblicato dall’Istituto biblico di Roma, arriva a una argomentata e certa conclusione: « in base alle regole del lavoro paleografico e di critica testuale, è certo che 7Q5 è Mc 6,52-53, il più antico frammento conservato di un testo del Nuovo Testamento, scritto attorno al 50, e sicuramente prima del 68. E che il passo come tale non provenga da una raccolta formatasi prima di Marco, ma presupponga un Vangelo già completamente terminato, era già stato affermato, giustamente, dallo stesso Kurt Aland ».

Le crepe scientifiche sull’edificio «professorale» dell’esegesi storica si stanno allargando. Ma i dogmi dell’esegesi razionalista, che si mostrano sempre più irrazionali, sembrano avere dalla loro talora l’ufficialità ecclesiastica.

Publié dans Antonio Socci, Articoli di Giornali e News | Pas de Commentaire »

Guardare per credere

Posté par atempodiblog le 2 juillet 2011

Guardare per credere
di Antonio Socci – Il Sabato

Il capitolo XX del Vangelo di Giovanni
Si chiama «pedagogia del vedere». E’ quella a cui Gesù ricorre nel capitolo 20 di Giovanni. Che leggiamo in traduzione sbagliata. Padre Ignace de la Potterie, gesuita e famoso biblista, lancia la polemica
Intervista di Antonio Socci a Padre Ignace de la Potterie

Guardare per credere dans Antonio Socci Giovanni-e-Pietro-al-Sepolcro-vuoto

Gesù Cristo è veramente risorto dai morti? E’ davvero apparso ai suoi nella sua carne gloriosa, facendo mettere a Tommaso le mani dentro le sue ferite? Sono domande esplose in questo periodo non in accademie teologiche, ma -e forse non era mai accaduto- sui giornali, come uno scottante problema d’attualità.

E’ colpa -secondo Monsignore Gianfranco Ravasi intervistato dal “Corriere della sera” – di «una pattuglia di giornalisti»: noi. Al teologo di “Famiglia cristiana” non va giù che le ricerche archeologiche confermino clamorosamente la storicità dei Vangeli. Egli denuncia il fatto che «continua in modo scomposto e frenetico l’interesse per il Gesù della storia». Un altro illustre teologo, dalle colonne di “Avvenire” polemizza così: «Si sente in giro una declamazione della “carne” di Cristo, associata a retorica “antintellettualistica” che nulla ha a che vedere con la salvezza cristiana integrale».

Per aver sottolineato la storicità e la fisicità della resurrezione e delle apparizioni di Gesù, due importanti teologi tedeschi, Walter Kasper e Karl Lehmann, ci hanno accusato di “grossolanità”. Seguono Karl Rahner per cui le apparizioni pasquali non vanno viste «come esperienza quasi grossolanamente sensibile». Campione di questo “centrismo” teologico è anche Raymond Brown, fra i più noti biblisti cattolici americani, ed editore del “Grande commentario biblico”, che ha appena ripubblicato da Queriniana “La concezione verginale e la risurrezione corporea di Gesù”.

La domanda è: la resurrezione di Gesù Cristo è o non è un fatto, «l’avvenimento unico e strepitoso che fa da perno a tutta la storia umana» (Paolo VI)? E le apparizioni sono fatti storici di cui esistono testimoni oculari o no? Padre Ignace de la Potterie, consultore dell’ex Sant’Uffizio e conosciuto come esperto del Vangelo di Giovanni, ha accettato di rispondere a queste domande. La conversazione comincia con una rivelazione curiosa. Nella Bibbia oggi in circolazione -sia quella della Cei tipica per la liturgia, sia quella di Gerusalemme- alla fine dell’episodio di san Tommaso si leggono queste parole di Gesù: «Perché mi hai veduto hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno» (Gv 20,29). Padre Ignace de la Potterie parla di una traduzione sbagliata. Torneremo più avanti su questo fatto. «Nel Vangelo di san Giovanni» premette il gesuita dell’Istituto biblico «il “vedere” ha un’importanza fondamentale. E specialmente tutto il capitolo 20, quello delle apparizioni del Risorto, l’evangelista insiste sul “vedere” come primo passo indispensabile per arrivare a credere. In poche righe troviamo 13 volte questo verbo. All’inizio c’è un vedere sensibile che poi conduce alla contemplazione, nella profondità del visibile, si tocca il Mistero. C’è dunque uno sviluppo del “vedere”, è Gesù stesso che insegna ai suoi a guardare, è il suo metodo pedagogico».

Ravasi, nell’intervista al “Corriere”, attacca così: «trascurando il dato trascendente per quello storico si compie un’operazione monofisita, si riduce Gesù a una sola natura, quella umana. Una ricerca solo storica, dunque, è illegittima dal punto di vista teologico».
Ignace De la Potterie: Ma con quale diritto si pretende di imputare a questi credenti quel “solo” di sapore eretico (fa pensare al «sola fide» di Lutero), accusandoli addirittura di monofisismo: ma chi ha mai detto “solo” Gesù della storia? Non “solo”, ma “anche”. Il problema è che sembra che si voglia oggi eliminare la storia. Questo sì è monofisismo!

Sant’Agostino commenta l’episodio di san Tommaso scrivendo: «Toccò l’umanità, riconobbe la divinità: toccò la carne, fissò l’occhio sul Verbo, poiché il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi».
Ignace De la Potterie: Certo. Vedere l’uomo gli fu necessario per riconoscere Dio. Nell’ultima Cena Gesù dice: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (14,9). E’ il versetto centrale del quarto Vangelo. Vedere fisicamente Gesù non bastava, ovviamente, anche i suoi nemici lo vedevano eppure lo ritenevano semplicemente un uomo di Nazareth, anzi un impostore. Ma vedere e udire fisicamente Gesù, un uomo con un volto, una carne, era indispensabile, per pervenire progressivamente a contemplare in lui, con l’occhio della fede, il Figlio di Dio, cioè a scoprire in lui il Verbo fatto carne. E’ Gesù, con le parole, i gesti, i miracoli, con tutta la sua presenza, che introduce al Mistero e conduce dal “vedere” un uomo di carne al riconoscere, in quella carne, il Verbo di Dio. Il “vedere” fisico, per tutto il Vangelo, è la via d’accesso al Mistero. Questa pedagogia del vedere diventa esplicita -è Gesù stesso che la spiega- nel capitolo 20. E pochi finora sembrano averlo capito.

Dunque cosa è possibile scoprire…
Ignace De la Potterie: Il punto di partenza è ciò che si vede con questi nostri occhi di carne: si comincia dai segni, come il sepolcro vuoto o il giardiniere, un uomo reale in cui s’imbatte Maria Maddalena, che poi riconosce in lui Gesù… E’ una progressione. Anche del verbo vedere: prima il verbo greco “bleso”, che vuol dire scorgere, notare qualcosa. Poi “theorein” che troviamo per la Maddalena e vuol dire guardare attentamente, osservare. Poi il verbo “horan”, al perfetto greco che esprime la forma perfetta del verbo vedere e che io tradurrei qui «ora vedo perfettamente, contemplo il senso profondo di ciò che vedo». Dunque dall’accorgersi di qualcosa alla contemplazione del Mistero di Dio nella realtà visibile, questa è la dinamica della prima fede cristiana, secondo i Vangeli.

E’ una “storia” raccontata attraverso gli occhi degli apostoli.
Ignace De la Potterie: Certo. L’evangelista però cerca di descrivere, nei primi testimoni della resurrezione, l’approfondimento progressivo del loro sguardo su Gesù. Il semplice “blepein” (accorgersi) dell’inizio, diventa uno sguardo attento, scrutatore (theorein), ma la pienezza della fede pasquale è espressa solo dal verbo al perfetto (heôraka ton Kyrion). «Ho visto il Signore» come annuncia la Maddalena ai discepoli.

L’evangelista ha curato tutti i particolari di questo capitolo?
Ignace De la Potterie: Il capitolo è costruito in maniera concentrica. Primo episodio: i due apostoli, Pietro e Giovanni, al sepolcro (vv. 1-10). Secondo: l’apparizione alla Maddalena (vv. 11-18). Terzo: l’apparizione ai discepoli senza Tommaso (vv. 19-25). Infine, quarto: l’apparizione in presenza di Tommaso (vv. 26-29). Il primo episodio è parallelo al quarto e il secondo al terzo. Questa struttura sottolinea che la fede in Cristo risorto si basa sulla testimonianza «di quelli che “hanno visto” il sepolcro vuoto e il Signore vivo». Sono parole di padre Mollat. Non si parla più spesso in questo modo oggi.

Si fanno oggi molti distinguo sulla fisicità del Risorto al punto da teorizzare che «se il corpo di Gesù si corruppe nella tomba e pertanto la sua vittoria sulla morte non implicò una risurrezione corporea» (Crown) cambia solo il significato teologico. Eppure prendendo alla lettera san Giovanni, Gesù torna fra i suoi con la sua carne, le sue ferite che Tommaso può toccare.
Ignace De la Potterie: Infatti la resurrezione della carne, non è un mito, non è un «theolegumenon», cioè un puro significato teologico (cfr. “30Giorni” agosto-settembre 1992, pag. 71). E’ innanzitutto un «fatto», come disse Paolo VI al Congresso sulla Resurrezione nel 1970. Però il Signore glorioso, anche nel suo corpo, non è più limitato dal tempo e dallo spazio. Dopo che è salito al Padre non ha più i limiti dell’uomo di prima pur essendo la stessa persona: è il Signore risorto. Così, nonostante le porte chiuse, entra e si mette in mezzo a loro. Gesù aveva promesso molte volte «io torno in mezzo a voi». Ecco questo prepara il nuovo modo della sua presenza nella Chiesa, Gesù Cristo ormai risorto, rimarrà misteriosamente presente fra noi. Di questa presenza futura invisibile e permanente le apparizioni del Risorto visibile ma misterioso sono allo stesso tempo l’annuncio e il segno.

Secondo Ravasi «è necessario distinguere fra l’apostolo e l’anonimo evangelista». Gran parte degli esegeti cattolici la pensano così. Anche Brown: «Gli evangelisti appartengono alla seconda generazione dei cristiani e non furono essi stessi testimoni oculari». E aggiunge che la lettera di Paolo ai Corinti è «l’unica testimonianza della risurrezione nel Nuovo Testamento scritta da uno che sostiene di aver visto Gesù risorto». Per quale motivo si dice che «è necessario fare quella distinzione»?
Ignace De la Potterie: I Vangeli che fine fanno? E il Vangelo di Giovanni? E’ tutto un mito? Quel Vangelo è innanzitutto la testimoniaza di uno che «ha visto». Si rilegga, prima di scrivere queste cose, il prologo della Prima lettera di Giovanni: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi ciò che noi abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato, del Verbo della vita (poiché la vita si è manifestata, noi abbigamo veduto e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era rivolta verso il Padre e si è manifestata a noi) quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi».

Dunque, cosa riferisce il testimone Giovanni?
Ignace De la Potterie: Limitiamoci alle apparizioni pasquali. Il primo episodio, Pietro e Giovanni al sepolcro, la tomba vuota, le bende e Giovanni che «cominciò a credere» (non «credette» come recita la traduzione normale, perché subito dopo aggiunge: «Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura»). E’ la fede iniziale del discepolo che Gesù amava. Anche per la Maddalena è molto chiara la purificazione progressiva del suo sguardo. Quando riconosce quell’uomo dice «Maestro, sei tu!» No, non è più il maestro di prima. Maria è legata alla vecchia immagine che aveva di lui. Ma poi accetta il riconoscimento della fede: è il Signore risorto. E lui stesso che glielo dice. Allora capisce: Gesù non è più come prima pur essendo sempre la stessa persona.

Poi l’apparizione ai discepoli senza Tommaso.
Ignace De la Potterie: I discepoli sono pieni di gioia «alla vista del Signore». Diranno a Tommaso: «Abbiamo visto il Signore». Lo avevano riconosciuto prima che aprisse bocca, perché avevano accettato la testimonianza della Maddalena. E’ molto importante saper accettare una cosa su testimonianza. Ciò che Tommaso non fa. Lui diffida della testimonianza dei suoi amici. Gesù voleva educare il loro sguardo così: la prima tappa è il vedere fisico, i segni, quindi il vedere su testimonianza, infine vedere e contemplare con lo sguardo trasformato dallo Spirito che permette di cogliere il senso delle cose, tutta la profondità della realtà.

E’ questo che Gesù rimprovera a Tommaso, non essersi fidato?
Ignace De la Potterie: E’ molto importante l’episodio di Tommaso. Anche lui appartiene ai dodici, quindi a coloro che dovevano vedere fisicamente il Signore risorto e testimoniarlo davanti alla storia e all’umanità. Però anche a lui, inizialmente, è chiesto di credere alle testimonianze, come gli altri avevano già creduto alla testimonianza della Maddalena (e come è chiesto a noi). Non fidarsi delle testimonianze: qui sta l’errore di Tommaso.

Arriviamo così al famoso versetto 29: «Beati coloro che crederanno senza aver visto». Gesù stesso sembra opporsi al bisogno dell’uomo di vedere. Sembra chiedere una fede cieca.
Ignace De la Potterie: No. Quel verbo non è al futuro, come viene interpretato. Sia nel testo greco che nella Vulgata latina il verbo è all’aoristo (tempo passato): «Tu hai creduto perché hai visto» dice Gesù a Tommaso «beati coloro che anche senza aver visto (me direttamente) hanno creduto». Anche Tommaso avrebbe già dovuto fidarsi della testimonianza degli altri, i quali avevano già creduto sulla testimonianza della Maddalena. C’è un cammino da fare per ciascuno.

Dunque il verbo al passato si riferisce agli apostoli?
Ignace De la Potterie: Sì, o piuttosto al discepolo amato. Lui «ha cominciato a credere» («Vidi et credidi», 20,8). Ha cominciato a credere con i segni.

Non è quindi la richiesta di una fede cieca…
Ignace De la Potterie: Esatto. E’ la beatitudine promessa a chi comincia a credere a partire dai segni e dà credito alla testimonianza.

E perché è stato stravolto il tempo di quel verbo?
Ignace De la Potterie: Perché si pensa subito ai credenti nella Chiesa. Tipico è il caso di Bultmann che traduce al presente: «Beati coloro che non vedono e credono». Nella traduzione delle Paoline G. Segalla commenta: «Ad una fede si deve arrivare, però senza la pretesa di Tommaso: il riferimento è ai futuri credenti». Ma quel verbo era al passato, non al futuro come lo comprendono anche Schnackenburg e la Bibbia di Gerusalemme.

Ed è passata così anche l’interpretazione di Bultmann.
Ignace De la Potterie: Indirettamente sì. Se si traduce al futuro quel verbo, allora Bultmann può interpretare la frase di Gesù «come una critica radicale dei “segni” e delle apparizioni pasquali e come una apologia della fede privata di ogni appoggio esteriore» (D. Mollat). E’ esattamente il contrario. Ciò che viene rimproverato a Tommaso, non è di aver “visto” Gesù, poiché Gesù stesso ha voluto manifestarsi a lui. Il rimprovero cade sul fatto che Tommaso ha rifiutato, all’inizio, di dare credito all’annuncio dei discepoli. E ha voluto porre e definire lui stesso le condizioni della fede. Tuttavia Gesù accede al suo desiderio e si lascia toccare, ma lo invita formalmente a superare quella posizione equivoca e pericolosa in cui si era posto.

L’interpretazione di Bultmann ha fatto scuola fra i cattolici.
Ignace De la Potterie: Lo si vede soprattutto nell’imbarazzo con cui vengono trattate le apparizioni pasquali. Dice Bultmann: «Le apparizioni ai discepoli rappresentano una concessione alla loro debolezza. In fondo non sarebbero richieste». C’è qui una critica radicale al valore stesso dei racconti pasquali, a cui è dato un valore molto relativo. Questi -per Bultmann, seguito da molti teologi contemporanei- «non sono da comprendere come racconti di eventi storici, così da indurre forse il lettore ingenuo a voler fare anche lui la stessa esperienza, e neanche come sostitutivo di tale vedere perché si vuole una garanzia della resurrezione». Insomma è la pura posizione protestante: la fede cieca («sola fide»).

E cosa sono allora, per Bultmann e gli altri, questi racconti?
Ignace De la Potterie: Dice Bultmann: «Sono soltanto immagini simboliche per la comunità nella quale sta colui che è salito al Padre». E così la resurrezione fisica di Gesù che fine fa? Un puro simbolo. Ma se quel versetto finale vuol dire che tutte quelle apparizioni non servono a nulla perché allora sono state riferite dall’evangelista? Se avesse ragione Bultmann il rimprovero di Gesù andrebbe esteso a tutti gli apostoli e anche alla Maddalena, anche loro hanno creduto «perché hanno veduto».

Invece Gesù sembra voler insegnare a Tommaso a “guardare” con l’intelligenza di Giovanni al sepolcro.
Ignace De la Potterie: Esatto. Infatti c’è un parallelismo strutturale fra i due episodi e Gesù dice «Beati coloro che non hanno visto» (me) però «hanno cominciato a credere» vedendo i segni. Si tratta di Giovanni (e Pietro) quando ha trovato il sepolcro vuoto (20,8).

Dunque Gesù sottolinea l’importanza di “accorgersi” dei segni e dare credito ragionevole alle testimonianze?
Ignace De la Potterie: Questa è la sua pedagogia. Lo stesso Agostino insegna questo cammino: dal vedere fisico a contemplare il mistero. E per il Concilio di Calcedonia Gesù è vero uomo e vero Dio. Allora il vedere fisico è decisivo, perché anche le testimonianze sono fondate su un fatto storico visto.

Così all’origine della fede ci sono dei segni reali di cui «accorgersi» e delle testimonianze. Già sant’Atanasio invitava il suo interlocutore a credere alla resurrezione di Cristo «in base a ciò che accade davanti ai suoi occhi… in base a ciò che vedete».
Ignace De la Potterie: Con Atanasio tutti i Padri della Chiesa. La fede cristiana è un cammino dello sguardo e -direi- lo è anche l’esegesi. Non sono del tutto d’accordo con padre De Lubac quando, alla fine di “Esegesi medievale”, sostiene che l’approccio dei Padri è ormai una cosa del passato. Specialmente il 20° capitolo di san Giovanni mi sembra invitare all’antica e bellissima pratica cristiana della contemplazione delle scene dei Vangeli. Ignazio di Loyola, all’inizio dei tempi moderni, ha posto questa “applicatio sensuum” nei suoi esercizi spirituali: ci invita a guardare, contemplare, vedere, toccare… Sappiamo che era rimasto molto colpito da una pagina di Ludolfo di Sassonia.

Publié dans Antonio Socci, Articoli di Giornali e News, Commenti al Vangelo, Fede, morale e teologia, Padre Ignace de la Potterie, Riflessioni | Pas de Commentaire »

Il Cristianesimo è un miracolo che sta accadendo ora

Posté par atempodiblog le 25 juin 2011

30 ANNI DI MEDJUGORIJE INSEGNANO: IL CRISTIANESIMO E’ UN MIRACOLO CHE STA ACCADENDO ORA (se non si capisce questo si finisce nel pelagianesimo: ridurre la fede a un proprio sforzo, a una propria introspezione o iniziativa, a un proprio percorso)
di Antonio Socci – Libero

Il Cristianesimo è un miracolo che sta accadendo ora dans Antonio Socci medjugorje

La scuola era appena finita e due adolescenti, Miriana e Ivanka, quel caldo pomeriggio del 24 giugno 1981, alle ore 17.45, stavano facendo una passeggiata fuori del paese di Bijakovici, frazione di Medjugorje, comune di Citluk, provincia di Mostar: il posto più sperduto del mondo.

Come cominciò
Dimenticato dagli uomini certamente. Ma non da Dio che ama ciò che è piccolo e insignificante.
A un certo punto Ivanka si volta verso la collina sassosa del Podbrdo: vede qualcuno lassù, a duecento metri di distanza, è una giovane ragazza, ha un bimbo piccolo in braccio.
Cosa ci fa in quel luogo desolato, pieno di vipere? Lassù non va mai nessuno. Ivanka si sofferma un attimo, vede che ha una veste lunga e un velo: “Ma quella è la Madonna!”.
Mirjana neanche si gira: “eh sì, figurati se la Madonna non ha altro da fare che venire a vedere cosa facciamo noi”. Cresciute sotto un regime comunista non avevano neanche mai sentito parlare di apparizioni come Lourdes o Fatima.
Arrivati in paese incontrano altri amici, Ivanka dice di aver visto una ragazza sulla collina sassosa, tornano su: è ancora lì. Fa cenno con la mano di avvicinarsi. Sono incantati, ma c’è anche timore.
Quel giorno non le si avvicineranno. Lo faranno il giorno successivo alla stessa ora: è una ragazza di una bellezza senza eguali. E dolcissima.
I sei ragazzi sono felici. E raccontano a tutti quello che è accaduto, ciò che hanno visto e che lei ha detto loro. Nel villaggio non si parla d’altro.
La voce corre, raggiunge i paesi vicini e pure la polizia. Il regime comunista è durissimo con i ragazzi: li arresta, li minaccia, minaccia le loro povere famiglie, ma loro non rinnegheranno mai quello che hanno visto.
Cominciano ad accadere subito segni e prodigi. Le stesse commissioni mediche e scientifiche che studiano, anche con delle macchine, ciò che si verifica durante le apparizioni riconoscono che lì c’è un mistero inspiegabile.

Un piccolo borgo nel mondo
Perché accade lì? I posti così sono prediletti dalla “bellissima ragazza” che proprio in un borgo sperduto – Nazaret – aveva vissuto. E sono dei ragazzi semplici e normali che lei sceglie per le sue missioni (apparentemente) impossibili: salvare il mondo.
Perché da quel momento iniziò una vicenda che, trent’anni dopo, possiamo definire uno dei più grandi eventi della storia della Chiesa e dell’umanità.
Ma all’inizio il mondo non se ne accorse. Come duemila anni prima. In quei giorni di giugno del 1981 di cosa parlavano i giornali?
In Italia c’era appena stato l’attentato al Papa, il referendum sull’aborto ed era scoppiato lo scandalo della P2. Dalla crisi di governo uscì il primo esecutivo laico della storia repubblicana guidato da Spadolini.
In Francia il socialista Mitterrand vinse le presidenziali e formò un governo con quattro ministri comunisti. Era una novità storica.
Intanto – mentre il Papa era ancora in ospedale – all’Est le pressioni di Mosca sulla Polonia, per cancellare Solidarnosc, si facevano ogni giorno più forti. Breznev arrivò a paventare il rischio di uno scontro nucleare.
Infatti a dicembre 1981 Solidarnosc fu schiacciata. Nessuno poteva immaginare che solo otto anni dopo l’impero comunista sarebbe crollato.
Nel frattempo in Iran – fatto fuori Bani Sadr – presero definitivamente il potere gli ayatollah che dettero fuoco alla polveriera islamica in tutto il mondo.
Come si vede dunque erano settimane di durissimo scontro fra i blocchi, fra vecchi e nuovi poteri, nazionali e planetari.
Tutti pensano che a fare la storia siano gli stati, gli eserciti, il petrolio, i cannoni, i poteri finanziari ed economici.
Perciò quel 24 e 25 giugno nessun giornale o tv del mondo poteva immaginare che nel più oscuro villaggio della Bosnia stesse accadendo un avvenimento di enorme importanza. Eppure è così.
Da trent’anni là accadono cose stupende e a milioni accorrono alla ricerca di lei, la bellissima, la dolcissima, la meraviglia dell’universo. Cosa cercano? E cosa trovano?

La storia di Silvia
Lo fa capire bene, per esempio, la storia di Silvia Buso, una giovane padovana.
L’ho incontrata il mese scorso al Palasport di Firenze: c’era una giornata di preghiera dei gruppi di Medjugorije, circa 4 mila persone.
Io feci una testimonianza su quello che era accaduto alla mia Caterina e la visita di una delle veggenti di Medjugorie.
Alla fine mi si avvicinò questa ragazza bionda, alta, atletica: “anche io” mi disse “ho avuto una grande grazia a Medjugorije”.
Di lì a poco fece lei stessa una testimonianza. Come già aveva fatto a Medjugorije nel 2010, al festival della gioventù (c’è il video anche su internet, nel sito di Radio Maria).
Silvia ha 22 anni.  Nell’autunno del 2006, a 16 anni, d’improvviso si ritrova paraplegica, inchiodata a una carrozzella: fino ad allora aveva fatto sport, nuoto, danza, aveva amici. Frequentava la terza liceo. Una vita normale.
Di colpo il buio. Le gambe non si muovevano più. E poi attacchi simil-epilettici. Una tragedia.
La sua era una famiglia cattolica, ma “la messa domenicale” racconta la ragazza “per me era perlopiù un’abitudine, non un atto d’amore”.
Anche con la malattia, partecipando il venerdì a un gruppo di preghiera, era così. Un giorno una signora del gruppo le dette una medaglietta della Madonna che la Vergine stessa aveva benedetto a Medjugorije.
Silvia la mise al collo. In aprile e maggio del 2007 si immerse nello studio per sostenere gli esami, ma si faceva portare ogni giorno al gruppo di preghiera perché solo lì trovava pace.
Il 20 giugno la sua dottoressa le dice che la settimana successiva non ci sarà perché deve accompagnare sua mamma a Medjugorije.
Silvia d’istinto le chiede di andare con lei. Arrivati, dopo la messa vengono a sapere che la sera Ivan avrebbe avuto un’apparizione straordinaria sul monte Podbrdo.
Silvia, sia pure con imbarazzo, accetta si farsi portare in braccio fin lassù: “Alle 20 arrivammo. Ho iniziato a pregare e quello per me è il primo ricordo di una preghiera fatta veramente con il cuore”.
Racconta: “Io non ho mai chiesto la mia guarigione perché mi sembrava una cosa troppo impossibile. Poco prima dell’apparizione il mio capogruppo mi disse di chiedere tutto quello che volevo alla Madonna perché lei avrebbe ascoltato tutti, sarebbe scesa dal cielo sulla terra. Allora le ho chiesto che mi desse la forza per poter accettare a 17 anni una vita in carozzina”.
Alle 22 è iniziata l’apparizione a Ivan: “io sulla mia sinistra ho visto una luce, era una luce bianca bellissima” dice Silvia.
“Finita l’apparizione non l’ho più vista, però mi sentivo chiamare da tutte le parti. Ma non ho detto niente a nessuno di ciò che mi stava accadendo. Loro mi hanno ripeso in braccio e dopo sono scivolata all’indietro per terra come svenuta.
Però non mi sono fatta niente. Io ricordo solo che mi sentivo come su un materasso morbidissimo e che c’era una voce dolcissima che mi parlava e mi calmava coccolandomi.
Dopo qualche minuto, non so quanti, ho aperto i miei occhi e a mio padre che piangeva ho detto che sentivo finalmente le gambe: papà sono guarita! Cammino!”.
Ed è stato così. “Io ricordo che c’era una mano tesa davanti a me e io nel volergliela afferrare mi sono ritrovata in piedi come se fosse la cosa più naturale. Il mattino dopo alle 4,30 sono salita sulla montagna della croce, il Kriscevaz, con le mie gambe!”.
E’ guarita così. Ma oggi Silvia dice: “La grazia più grande che Dio mi ha fatto è stata la mia conversione e quella della mia famiglia. Il sentire l’amore di Dio e della Madonna: questa è per me è la cosa più bella e importante della mia vita”.
Silvia è timida, ma molto netta: “Con la conversione è come se Dio mi avesse acceso un fuoco dentro. Certo, il fuoco va sempre alimentato con la preghiera, il rosario, con l’eucaristia, la Santa messa e l’adorazione. E tutto ciò che chiede la Madonna a Medjugorije. E questo fuoco non si spegne. Questa per me è la cosa più bella”.

Bisogna chiedersi: cosa è mai questo “sentirsi teneramente amati” per attrarre milioni e milioni di persone e cambiare radicalmente le loro vite? Solo così si può cominciare a capire cosa sta accadendo a Medjugorije.

Publié dans Antonio Socci, Articoli di Giornali e News, Medjugorje | Pas de Commentaire »

Socci e quella guerra a Gesù…

Posté par atempodiblog le 19 mai 2011

Socci e quella guerra a Gesù più pericolosa dei vari Dan Brawn e Odifreddi
di Assuntina Morresi – IlSussidiario.net

Socci e quella guerra a Gesù... dans Antonio Socci antoniosocci

Il cristianesimo è una notizia ben documentata. Ce lo spiega La guerra contro Gesù, l’ultimo libro di Antonio Socci, sicuramente il più maturo e il più completo fra tutti i suoi. Francamente, il più bello.
L’attacco più grave al cristianesimo è quello che nega la storicità di Gesù, cioè la certezza dell’esistenza della sua persona e l’attendibilità delle fonti che ne testimoniano: il Nuovo Testamento, innanzitutto, e poi la Tradizione della Chiesa. Per questo Socci ribatte e rilancia, riuscendo a rendere godibile e appassionante la storia di centinaia di anni di studi e ricerche filologiche, archeologiche e storiche che hanno avuto come oggetto, appunto, Gesù. Documenti difficilmente accessibili e comprensibili al grande pubblico diventano a portata di mano di tutti, intrecciati alle storie di personaggi più o meno conosciuti, ma determinanti per la storia della Chiesa e del suo popolo: un saggio che è anche un romanzo, lo leggi tutto di un fiato, e alla fine delle quattrocento pagine ti chiedi per quale motivo nessuno ti abbia mai raccontato tante cose fino ad ora.
Per questo è un libro che dovrebbe essere regalato a tappeto a chi si prepara alla Cresima, tanto per cominciare; indicato come lettura nelle comunità, dalle parrocchie ai movimenti, magari riprendendo sul serio, dove c’era, quella tradizione del “libro del mese”. Si presta ad essere usato a scuola e non solo all’ora di religione, ma anche in quella di lettura dei giornali, o a quella di storia, per spiegare meglio chi davvero fosse Voltaire e come ragionassero i nazisti, tanto per accennare a due esempi portati dal libro.
Ma dovrebbero leggerlo anche tanti cosiddetti intellettuali, magari quelli che pontificano dalle pagine di grandi quotidiani, schizzinosi e ignoranti del tesoro custodito dalla tradizione cattolica.
Come sempre, gli attacchi peggiori non sono quelli di chi, non credente, dedica le proprie energie, in totale malafede e senza alcuna reale cognizione di causa, alla guerra al cristianesimo – i vari Odifreddi o Dan Brown – ma quelli che nascono all’interno della Chiesa stessa. Esegeti, biblisti e studiosi cattolici, compresa qualche nota firma di pagine culturali, che antepongono la propria idea sui fatti all’evidenza dei fatti stessi, seminando confusione e incertezza, e minando molto più in profondità di tante operazioni commerciali libresche o cinematografiche che, pur diffuse capillarmente, durano però lo spazio di qualche settimana.
Tutta da leggere, insomma, l’ultima fatica di Socci, e varrebbe la pena riprendere in dettaglio ciascuna delle sei parti di cui si compone, per discuterne, e mettere a confronto con la vulgata comune. Dedicato ad Asia Bibi e a tutti i cristiani perseguitati e “ai giovani conosciuti in tanti incontri, perché constatino la solidità e la bellezza dell’annuncio che hanno ricevuto”, nelle ultime pagine riporta, fra l’altro, alcune considerazioni di Napoleone nei suoi giorni d’esilio a Sant’Elena, di quelle che difficilmente si possono leggere nei libri di storia.
Dopo aver chiesto quanto è durato l’impero di Cesare, e l’entusiasmo dei soldati di Alessandro Magno, sottintendendo che sono durati poco, rispetto a Cristo Napoleone dice:

è stata una guerra, un lungo combattimento durato trecento anni, cominciato dagli apostoli e proseguito dai loro successori e dall’onda delle generazioni cristiane. Dopo San Pietro i trentadue vescovi di Roma che gli sono succeduti sulla cattedra hanno, come lui, subìto il martirio. Durante i tre secoli successivi, la cattedra romana  fu un patibolo che procurava sicuramente la morte a chi veniva chiamato. […]  In questa guerra tutti i re e tutte le forze della terra si trovavano da una parte, mentre dall’altra non vedo nessun esercito, ma una misteriosa energia, alcuni uomini sparpagliati qua e là nelle varie parti del globo e che non avevano altro segno di fratellanza che una fede comune nel mistero della Croce. […] Potete concepire un morto che fa delle conquiste con un esercito fedele e del tutto devoto alla sua memoria? Potete concepire un fantasma che ha soldati senza paga, senza speranza per questo mondo e che ispira loro la perseveranza e la sopportazione di ogni genere di privazione? Questa è la storia dell’invasione e della conquista del mondo da parte del cristianesimo. Ecco il potere del Dio dei cristiani e il miracolo perpetuo del progresso della fede. […] I popoli passano, i troni crollano e la chiesa rimane. Qual è, dunque, la forza che mantiene in piedi questa chiesa, assalita dall’oceano furioso della collera e dell’odio del mondo? [….] Che abisso tra la mia profonda miseria e il regno eterno di Cristo, pregato, incensato, amato, adorato, vivo ancora in tutto l’universo”.

Publié dans Antonio Socci, Articoli di Giornali e News, Libri | Pas de Commentaire »

La Guerra contro Gesù

Posté par atempodiblog le 6 mai 2011

La Guerra contro Gesù
di Antonio Socci – Ed. Rizzoli

La Guerra contro Gesù dans Antonio Socci laguerracontroges

Alle persecuzioni e ai massacri che i cristiani subiscono sotto un’ampia varietà di regimi e ideologie, si aggiunge il pregiudizio e l’ostilità delle élite occidentali. I cristiani sono oggi la comunità più perseguitata del pianeta e contro la Chiesa è socialmente permesso un odio che sarebbe ritenuto intollerabile verso qualunque altro gruppo religioso, etnico o sociale. L’anticristianesimo si nutre di un’ideologia che da duecento anni porta il suo attacco al cuore della fede: la figura di Gesù, l ’attendibilità storica delle cronache evangeliche, la credibilità dei testimoni oculari, quindi le fondamenta stesse della Chiesa. Ma ci sono veri motivi per negare i resoconti dei Vangeli e le ragioni della fede in Gesù di Nazaret? Oppure tutte le più aggiornate acquisizioni storiche, archeologiche, filologiche, scientifiche – perlopiù ignorate – risultano essere clamorose conferme in favore dell’“imputato Gesù”? In questo suo nuovo polemico saggio, Socci denuncia le menzogne e le connivenze, espone motivi e interessi da cui è nata l’ideologia anticristiana (finora rimasti nell’ombra) e ci dimostra che le moderne scoperte archeologiche e la ricerca storica di questi decenni confermano la veridicità dei fatti evangelici, e di tutti i particolari dell’esistenza terrena di Gesù, compresi i suoi miracoli e la sua resurrezione. E confermano la credibilità dei testimoni.

Fonte: Rizzoli

Publié dans Antonio Socci, Libri | Pas de Commentaire »

1234567