Il cronista Giovanni

Posté par atempodiblog le 21 août 2013

Il cronista Giovanni
L’autore del quarto vangelo vide di prima persona quello che poi scrisse. Lo documenta un libro di un’archeologa ebrea francese.

Intervista di Antonio Socci a Jacqueline Genot-Bismuth per Il Sabato (1992)

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Ebrea-francese [...] agnostica, docente di giudaismo antico medievale alla Sorbona di Parigi, fondatrice del Centro di ricerca sulla cultura rabbinica. Jacqueline Genot-Bismuth ha pubblicato [...] un libro sulle più recenti scoperte archeologiche a Gerusalemme, dopo il volume «Un homme nommé Salut» (Oeil), dedicato alla figura di Gesù nel Vangelo di Giovanni. E all’impatto di Gesù con l’ebraismo del suo tempo. «Il Sabato» le ha chiesto la sua ricostruzione di quegli eventi.

Lei scrive che i farisei cominciano ad allarmarsi per Gesù con la resurrezione di Lazzaro. Perché?
Genot-Bismuth: Tutti credettero a quella resurrezione. Io non posso giudicare se essa vi fu o no, l’importante è rilevare che tutti ne furono colpiti. I farisei erano contrari al potere profetico. Di conseguenza produrre una resurrezione – essendo un potere profetico – voleva dire mettere in discussione tutto ciò contro cui si erano battuti. Significava dare scacco al giudaismo che seguiva la Torà esclusivamente scritta con l’interpretazione di cui essi erano i maestri. Dunque era il loro potere che era battuto in breccia da un giudaismo alternativo che arrischiava la forza in qualche modo rivoluzionaria della profezia.

Non era più ragionevole credere ai propri occhi?
Genot-Bismuth: Un difensore della Legge assoluta non poteva che opporsi al profetismo attivo: ora, la popolazione era effettivamente convinta che Gesù avesse resuscitato Lazzaro, e questo fatto provava la sua pretesa di essere profeta. Dunque ormai non era più che un nemico. È ovvio. Lui stesso doveva saperlo. Del resto dal Vangelo di Giovanni si evince chiaramente che Gesù era molto, molto politico. Quando si rende conto che provocava se ne va via da Gerusalemme perché capisce di essere in pericolo. Insomma fa scelte molto politiche e strategiche. Gesù non appare affatto come un ingenuo, un sognatore naïf, è realista, uno che sa calcolare i suoi rischi e verso la fine gioca il tutto per tutto.

Le ostilità fra farisei e sadducei, dentro il Sinedrio, erano molto forti. Ve ne furono anche nel processo a Gesù?
Genot-Bismuth: Non so dirlo perché non abbiamo il verbale del processo. Ma Paolo, per esempio, quando fu chiamato in giudizio dal Sinedrio riuscì scaltramente a mettere un gruppo contro l’altro facendola franca. Nel Vangelo di Giovanni si vede che nel Sinedrio ci sono farisei che stanno dalla parte di Gesù, come Nicodemo. D’altronde anche nella missione rogatoria del Sinedrio nei confronti di Giovanni Battista sul Giordano, si evidenziano i rappresentanti dei due partiti del Sinedrio. E ciascuno fa le sue domande.

Flusser ipotizza che la condanna di Gesù da parte di Caifa fosse contro la Legge, fuori dall’ebraismo.
Genot-Bismuth: E’ una convinzione ideologica. La Mishna dice che quando uno pseudoprofeta si presenta come tale e si è certi che è uno pseudoprofeta deve subire il giudizio del Sinedrio e la condanna a morte. Tutto questo nella Mishna è molto chiaro.

Cosa teme, Caifa, da Gesù?
Genot-Bismuth: È una ragion di stato, la sua. Caifa è un uomo di governo che ragiona in termini di strategia. Prende la parola nel Sinedrio e dice: voi state dibattendo se è colpevole o no. A me non interessa. Io so che è uno pericoloso. Attirerà su di noi la vendetta dei romani, tutti noi siamo in pericolo dal momento che, alla fine, solleverà la gente contro i romani e contro di noi e il nostro regime. Lo dice chiaramente. Il suo è un giudizio politico. Del resto la carica di sommo sacerdote è nell’orbita del temporale, non è la religione come noi oggi la immaginiamo. È il regime di autonomia della Giudea che è negoziato con i romani, un’autonomia morale, la pax romana. Il sommo sacerdote è soprattutto un etnarca. E dunque ragiona in questo orizzonte politico. Le regole del gioco d’altronde erano chiare per Gesù stesso.

Cosa intende dire?
Genot-Bismuth: Sapeva benissimo di apparire come un sovversivo, che poteva essere visto come un agitatore politico, come i tantissimi messia o pseudo-messia che l’avevano preceduto o che saranno condannati a morte in seguito. Non c’era niente di straordinario, da questo punto di vista, in questa storia. Egli sapeva bene ciò che lo aspettava.

È curioso che lei – scrivendo due libri sul Vangelo di Giovanni – non contesti mai la storicità di ciò che il Vangelo riferisce. Sa che da Renan in poi…
Genot-Bismuth: Di Renan si possono leggere pagine antisemite terrificanti, veri abomini. E’ chiarissimo. La ragione essenziale che muove Renan e la scuola che nasce da lui è precisamente l’odio antisemita. Dichiara di voler fare di Cristo un “ariano” e che il cristianesimo non deve assolutamente nulla a quel popolo degenerato che sono i semiti. Allora gli è necessario negare tutto ciò che è storico di Gesù e della nascita del cristianesimo. Sono le stesse manipolazioni della verità storica in cui si specializzeranno personaggi come Stalin e oggi Le Pen.

Lei ha pubblicato testi rabbinici straordinariamente convergenti con san Giovanni sul racconto del processo a Gesù. E sostiene che il Vangelo di Giovanni è scritto da un contemporaneo, testimone oculare di quegli avvenimenti.
Genot-Bismuth: Il Vangelo si conclude con questa formula: «Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera». Una indicazione scarna come una nota d’archivio del tempo e che, senza dubbio, merita ben più credito di quanto glien’è stato accordato.

Nel Vangelo di Giovanni, Gesù dichiara di essere il Figlio di Dio, uno con il Padre.
Genot-Bismuth: Sì, dunque di essere come Dio. Ma usa volutamente un’espressione ambigua, infatti ogni uomo poteva dirsi figlio di Dio. Di per sé era un’espressione accettata. Allora cosa intende Gesù quando si definisce Figlio di Dio? Egli afferma evidentemente la sua divinità («chi vede me, vede il Padre»). Ma gioca sull’ambiguità, è qualcosa di straordinario, usa, manipola il linguaggio in tutti i suoi sensi come un profeta. Di fatto Gesù alla fine si è sostituito a Dio e questo è il punto di non ritorno rispetto all’ebraismo: da qui comincia l’eresia o – secondo il punto di vista che si adotta – completamente un’altra cosa.

I più sostengono ancora oggi che il Vangelo di Giovanni è stato scritto molto tardi.
Genot-Bismuth: Io dico che è stato scritto da chi è stato testimone. Che egli prendesse abitualmente delle note durante gli avvenimenti mi pare evidente per la civiltà in cui era stato educato. Poi può darsi che, sulla base dei ricordi scritti, abbia composto il suo Vangelo in tarda età. Secondo me Giovanni ha dubitato per tutto il tempo, ha cominciato a credere veramente al momento in cui ha scoperto la tomba vuota.

Molti vedono nel suo Vangelo un’impronta ellenistica, soprattutto nel Prologo.
Genot-Bismuth: Solo perché usa il termine Logos. Ma allora anche Ben Sira (l’Ecclesiastico) è ellenistico. No, in realtà Logos è solo la traduzione dell’ebraico «davar» (atto/parola) ed è l’antichissima interpretazione della Genesi. Giovanni appare in una linea di interpretazione molto chiara, che lega la Genesi, l’interpretazione della Genesi fatta dal libro dei Proverbi e infine l’Ecclesiastico che due secoli dopo continua, riprende e amplifica i Proverbi. E poi, due secoli dopo, c’è Giovanni.

Il Prologo è la spiegazione del primo versetto della Genesi?
Genot-Bismuth: Il Targum Neophyti, in aramaico palestinese, traduce così Genesi 1,1: «Fin dall’origine il Verbo (davar) di YHWH creò con saggezza il cielo e…». Giovanni è legato a questa antica traduzione e apre così il suo Vangelo: «E il Verbo (davar) è stato un uomo di carne ed ha posto la sua tenda fra noi…». Propriamente l’incarnazione del davar, del Logos.

Nel libro «Un homme nommé Salut», lei pubblica documenti ebraici del I secolo, dove si parla di libri cristiani che possono far pensare ai Vangeli.
Genot-Bismuth: È un passo dello Sabat 116, vv (tratto dal Talmud completo). Ed è molto chiaro. Non solo parla di «awan-gelayon» e fa dei giochi di parole polemici su «evangelio», ma riporta addirittura una citazione esplicita di Matteo.

Cosa?
Genot-Bismuth: È riportato il dialogo fra un patriarca e un cristiano. E il cristiano ad un certo punto afferma: «È scritto nel Vangelo che “non sono venuto per abolire, ma per compiere”». Testuale. Se non si vuol accettare neanche questo è finita. Allora tutto è falso, nel mondo.

Molti sostengono che non è possibile che i Vangeli siano stati scritti prima del 70.
Genot-Bismuth: È un pregiudizio. Secondo me è più che plausibile. È stupido, per degli studiosi, l’espressione “non è possibile”. E poi come volete, in una civiltà che è l’inventrice della scrittura, che riferisce tutto al testo sacro, scritto, come potete immaginare che quel genere di fatti non sia stato messo per scritto molto presto? Ricordate che per esempio i sadducei non riconoscevano per niente l’oralità, volevano che tutto fosse scritto. Dunque se i cristiani volevano veramente far conoscere il loro annuncio occorreva da subito mettere per scritto.

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La storicità dei Vangeli

Posté par atempodiblog le 20 août 2013

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Voglio prendere spunto da un paio di notizie arrivate da Israele. Le ha riportate il Jerusalem Post il 21 e il 23 dicembre (2004) e si possono trovare sintetizzate in questa pagina web: http://www.israele.net/sections.php?section_cat=13
La prima riguarda la scoperta a Gerusalemme di una parte della celebre piscina di Siloe, quella menzionata nel Vangelo di Giovanni nella quale Gesù guarì un uomo cieco dalla nascita. Ed ecco la seconda notizia: la Israel Antiquities Authority ha recentemente scoperto i resti del villaggio di Cana dove Gesù compì il suo primo miracolo cambiando l’acqua in vino durante una festa di matrimonio. In alcuni edifici sono stati trovati utensili e i resti di un mikve, un bagno rituale ebraico.

Non è qui il caso di approfondire i particolari che pure sono affascinanti. Tuttavia queste due piccole notizie – che documentano tangibilmente come siano fedeli ai fatti i resoconti del Vangelo – ci mettono ancora una volta, appassionatamente, sulle tracce di quell’Uomo di Nazaret che giganteggia nelle pagine del Vangelo. Riportano alla luce le pietre su cui lui ha camminato, i luoghi che hanno sentito risuonare la sua voce, la terra con cui ha guarito un povero cieco. Tutto esattamente come riferiscono i resoconti evangelici. E’ bene ricordare la colossale importanza che le scoperte archeologiche moderne hanno assunto dopo due secoli di tentata demolizione della credibilità storica dei fatti riportati nei Vangeli. Scoperte clamorose. A cominciare dal più antico frammento del Vangelo, il famoso 7Q5, che riporta un versetto di Marco che fu composto prima del 50 d.C. Ma anche tutti gli altri ritrovamenti archeologici.
Il padre Ignace De La Potterie sj, uno dei grandi esperti di Giovanni, faceva un lucido esempio a questo proposito:
“Fin dalla metà del secolo scorso, la Scuola di Tubinga (David Fr., Strass, Walter Bauer, Ferdinand Ch. Baur) aveva imposto l’idea che nessuno dei redattori dei Vangeli fosse un testimone oculare, tanto meno un apostolo. Quello di Giovanni veniva attribuito a un qualche filosofo ellenizzante dell’Asia Minore o dell’Egitto. Nel 1930 il modernista italiano Adolfo Omodeo, in La mistica giovannea, l’unica opera italiana citata da Rudolf Bultmann, sosteneva ancora che Giovanni era stato scritto da uno gnostico in Egitto, intorno al 120. In questa temperie mentale la precisione delle descrizioni topografiche palestinesi risultava difficile da spiegare, se non addirittura scomoda. E allora si tendeva a interpretarla in modo mitico, fittizio. Esempio: nel capitolo quinto, la guarigione del paralitico avviene nei pressi di una piscina miracolosa che Giovanni chiama Betesda, ‘che ha cinque portici’ (quinque porticus habens). Ricordo di aver studiato, da giovane, su un libro di cento anni fa in cui questo passo veniva interpretato come una simbologia pitagorica…. Dall’inizio del Novecento i numerosi scavi compiuti in Palestina hanno dato conferme archeologiche ai luoghi descritti da Giovanni. La fontana con cinque portici, che doveva essere un simbolo pitagorico, è stata trovata presso il Tempio di Gerusalemme” (Storia e mistero, Sei 1997, pp. 10-11).

Evidentemente è facile intuire che delle descrizioni così precise di Gerusalemme potevano essere fatte solo da un ebreo che viveva in quella città prima della sua distruzione da parte dei Romani, nel 70 d.C. Dunque anche le pietre confermano (gridano!) ciò che Giovanni scrive a chiare lettere, cioè di essere un testimone oculare dei fatti: “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo visto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della Vita… lo annunziamo anche a voi” (1Giov 1,1). E Pietro conferma che essi, gli apostoli, non sono “andati dietro a favole artificiosamente inventate”, ma “siamo stati testimoni oculari della sua grandezza” (2Pt 1,16). Quando – alcuni anni fa – riportai alla luce la clamorosa scoperta di padre José O’Callaghan sul 7Q5 – la reazione di molti esegeti fu velenosa (soprattutto di quelli ecclesiastici, perché i papirologi laici accettarono tranquillamente e laicamente la scoperta). Uno di questi biblisti (rimasto famoso per un incredibile svarione scientifico) sibilò su un giornale: “Continua, in modo spesso scomposto e frenetico, l’interesse per il Gesù della storia”. Gli rispose per le rime il grande De La Potterie (vedi AAVV, Vangelo e storicità, p. 165). Io da parte mia devo confessare e lo dichiaro qui apertamente che quell’interesse “scomposto e frenetico per il Gesù della storia” è tutt’altro che sparito. Non si è mai attenuato, ma casomai si è ingigantito con gli anni. Quell’Uomo di nome Gesù, vero uomo e vero Dio, nostro Salvatore, nostro buon Pastore (che porta sulle sue spalle ognuno di noi), è la nostra passione. La sua storia, i suoi gesti, la sua presenza, il suo volto sono l’unica perla preziosa che vale la pena cercare nella vita. Null’altro. Come diceva Charles Moeller, che don Giussani ci ha fatto conoscere: “io credo che non potrei più vivere se non Lo sentissi più parlare”.

di Antonio Socci

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Un’umanità di feriti che cerca conforto

Posté par atempodiblog le 11 août 2013

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Una ventina di anni fa, a Bassano del Grappa, durante una conversazione a tavola, l’allora cardinale Ratzinger si lasciò andare a una battuta umoristica che però contiene molta verità: “per me” disse “una conferma della divinità della fede viene dal fatto che essa sopravvive a qualche milione di omelie ogni domenica”.

Chiunque frequenti abitualmente la messa sa che è drammaticamente vero. Non certo perché si pretenda che i preti siano tutti dei grandi oratori alla Bossuet. Né perché vi sia una povertà culturale del ceto ecclesiastico.

Anzi. Capita di sentire omelie di dottissimi teologi che hanno un effetto devastante sulla fede degli ascoltatori, mentre – magari – poche parole commosse balbettate da un anziano sacerdote di campagna toccano davvero il cuore.

Qual è allora il problema? Non si tratta delle parole e dei concetti, ma del cuore.

Lo abbiamo capito specialmente con l’inizio travolgente del pontificato di papa Francesco che ha scelto proprio lo strumento più povero, le sue semplici omelie quotidiane, o comunque dei discorsi fatti con tono dimesso e familiare (come l’improvvisata conferenza stampa in aereo), per guidare la Chiesa. A cui sta imprimendo una svolta formidabile.

Cos’è che colpisce e commuove in papa Francesco? Mi pare sia evidente: ogni sua parola abbraccia, consola, conforta chi ascolta. E’ questa finora la cifra segreta del suo pontificato.

Ai vescovi che ha incontrato in Brasile a un certo punto ha detto: “dovete ricordarvi che quella che avete davanti è un’umanità di feriti”.

Non è solo una bellissima immagine. Dentro queste semplici parole c’è tutto un giudizio sul mondo contemporaneo e soprattutto c’è un’intuizione immensa del cristianesimo.

Innanzitutto Francesco non punta il dito, non incrimina, non recrimina, non accusa. Innanzitutto abbraccia.

Quando gli hanno chiesto perché in Brasile non ha ripetuto ad ogni occasione la dottrina della Chiesa su matrimoni gay e tutto il resto delle questioni che i media ci martellano in testa, lui, con semplicità, ha spiegato che ormai tutti, anche i sassi, conoscono qual è la dottrina cattolica in proposito.

Ma ha aggiunto che lui doveva e voleva portare “innanzitutto”, ai tre milioni di giovani che lo aspettavano in Brasile, una parola positiva.

La “parola positiva” è un’espressione che significa “una buona notizia”, un “lieto annuncio” ed è proprio questo il significato etimologico della parola “evangelo”. La “buona notizia” è Gesù Cristo in persona, cioè Dio che ha avuto compassione degli uomini ed è venuto sulla terra a salvarli.

E’ lui il Buon Samaritano della parabola che si china su quell’uomo disteso ai margini della strada, massacrato, coperto di ferite e incapace anche solo di rialzarsi.

E’ Gesù, buon samaritano, che lo accudisce, poi se lo carica sulle spalle e lo porta al ricovero (la Chiesa) dove verrà curato, nutrito e guarito.

Questo è il cuore del cristianesimo e Francesco viene a ricordarlo anzitutto ai pastori che lo hanno dimenticato. Io stesso, un paio di domeniche orsono, quando la lettura del vangelo era proprio quella del Buon samaritano, ho sentito l’omelia di un pretino, tutto orgoglioso del suo sapere teologico, il quale ha spiegato che quell’uomo disteso e ferito a terra, su cui si china Gesù-Buon samaritano, è in quelle condizioni a causa dei suoi peccati.

Ora, il concetto è un’evidente minchiata, perché Gesù non dice affatto questo, anzi spiega che il poveretto è stato ridotto in fin di vita da dei briganti che “lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto”.
Ma l’errore del pretino in questione svela un po’ lo sguardo incriminatorio con cui un certo mondo clericale guarda agli uomini, analogo e speculare al disprezzo generalizzato e ingiusto con cui nel mondo senti parlare (male) “dei preti”.

Invece papa Francesco è pieno di compassione, sa che tutti coloro che stanno lì ad ascoltarlo sono pieni di silenziose ferite, inflitte dalla vita, pieni di pesi, ansie, angosce.

E lui vuol portare loro l’abbraccio di Gesù e la sua misericordia. Il balsamo dell’abbraccio di Dio. Quante volte il Vangelo dice: “Gesù guardò la folla e pieno di compassione…”.

Un giorno disse: “venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”. Lui, il suo abbraccio, è l’unico luogo al mondo dove tutti noi, affaticati e oppressi dalla fatica di vivere, possiamo trovare ricovero, conforto, nutrimento e ristoro.

Perché noi da soli non riusciamo nemmeno a stare in piedi. “Ma che poss’io, Signor,/ s’a me non vieni/ coll’usata ineffabil cortesia?”, si chiede in una poesia Michelangelo Buonarroti.

Gli uomini hanno bisogno di misericordia più ancora del pane. Questo non è banale “buonismo”, come ritiene qualcuno accusando il Papa di essere un facile demagogo.

Bergoglio infatti è sempre stato estremamente esigente e rigoroso con se stesso (è noto il suo stile di vita evangelico, adottato da decenni), mentre è indulgente con il suo gregge. E invita i vescovi e i sacerdoti a fare altrettanto.

Così infatti era anche Gesù. Al contrario “scribi e farisei” erano indulgenti con se stessi ed esigenti con coloro che pretendevano di guidare : perché – diceva Gesù – “dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23, 3-4).

Bergoglio indica implicitamente l’esempio dei santi pastori, come il santo Curato d’Ars o padre Pio. Erano uomini che spesso si accollavano misteriosamente i pesi o le penitenze dei loro fedeli per poter elargire loro la Grazia del perdono o della guarigione.

Ecco perché papa Francesco appare al tempo stesso così libero da tutto e tutti eppure così tradizionale. Perché null’altro desidera che portare a tutti Gesù.

Questa è la sua vera, grande “rivoluzione”: la “rivelazione” del cuore di Dio operata da Gesù. Da lui abbiamo compreso che Dio è un Padre che si strugge di pietà per le sofferenze e lo smarrimento dei suoi figli.

Anche il perdono (il Papa ripete: “Dio perdona sempre, perdona tutto e perdona tutti”) è parte essenziale di quel conforto e di quel ristoro perché l’uomo ha un bisogno estremo di sentirsi perdonato.

Non di sentirsi mettere sul banco degli accusati perché lo sa bene – nel profondo del cuore – di essere un poveraccio, pieno di peccati. Ha bisogno di chi gli dice “io ti perdonerò sempre. Se anche tuo padre o tua madre ti rinnegassero, io non ti abbandonerò mai” (e queste sono parole di Dio nella Sacra Scrittura).

Così, quando papa Francesco ha fatto irruzione nel mondo abbiamo visto la misericordia. Ascoltarlo, guardarlo, ricorda le parole che Péguy diceva su Gesù: “C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere ed interpellare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo”.

di Antonio Socci – Libero, 4 agosto 2013

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Un lampo di luce nelle tenebre del presente

Posté par atempodiblog le 6 juillet 2013

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Ieri, mentre veniva presentata al mondo la nuova enciclica “Lumen fidei”, scritta a quattro mani da Benedetto XVI e da papa Francesco, i due uomini di Dio insieme hanno anche inaugurato, nei giardini vaticani, una statua di san Michele Arcangelo, consacrando la città vaticana a lui e a san Giuseppe.
Da tali fatti emerge non solo l’affetto fraterno che unisce Francesco e il predecessore, ma soprattutto la loro comunione di fede profonda. Questa unità, in un mondo segnato dal conflitto, è il miracolo della grazia, l’essenza del cristianesimo.
E va sottolineato anche perché i giornali tendono a parlare della Chiesa secondo i criteri di giudizio mondani. Senza vederne il miracolo.
Non a caso, proprio ieri mattina, su “Repubblica”, un articoletto pretendeva di proclamare invece la radicale “discontinuità” fra Benedetto XVI e papa Francesco. Un’idea clamorosamente smentita dagli stessi eventi del giorno.
Del resto sempre ieri il papa ha pure firmato i decreti di canonizzazione di altri due papi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. E ha voluto datare la sua enciclica così: “29 giugno, solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo”.
Dunque, con una straordinaria serie di gesti, in una stessa giornata, ha potentemente sottolineato la continuità e la grandezza del papato da san Pietro ai giorni nostri.
E ha offerto a noi l’occasione di abbracciare, con un solo sguardo, la “creatività” di Dio nel nostro tempo.
Egli infatti ha parlato al mondo di oggi attraverso la testimonianza potente e affascinante di papa Wojtyla, profeta di fede e di libertà; poi attraverso la sapienza profonda e l’umiltà di Benedetto XVI, che ha fatto brillare la ragionevolezza della fede davanti allo smarrimento dei moderni; infine alla nostra generazione Dio parla attraverso la paternità tenera e accorata di papa Francesco, grande abbraccio di misericordia su tutte le miserie e le ferite umane (la visita del Papa a Lampedusa, fra i disperati della terra – lunedì prossimo – ce lo mostra in modo commovente).
L’enciclica “Lumen fidei”, dicevo, è profondamente segnata da questa continuità del giudizio della Chiesa sul mondo moderno e dalla variegata ricchezza della sua testimonianza.
Costituisce del resto un evento memorabile: non è cosa di tutti i giorni che un’enciclica sia scritta a quattro mani, concordemente, da due papi.
Ma, portando la firma dell’unico pontefice in carica che umilmente riconosce nel corpo stesso dell’enciclica la paternità del predecessore per buona parte del documento (“nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi”), con buona pace di “Repubblica”, mostra senza alcun dubbio possibile, che papa Francesco abbraccia e fa suo il magistero del predecessore.
Ovviamente lo fa donando alla vita della Chiesa di questi giorni e al mondo in rapida mutazione, ulteriori spunti di riflessione che tutti – quelli antichi di Benedetto e quelli nuovi – convergono sul volto di Gesù Cristo e la fede in Lui.
Alcuni rapidi flash. La fede è luce, mentre il mondo sprofonda sempre più nelle tenebre. E’ un giudizio sul momento presente. Il Papa contesta apertamente l’idea che lo spazio della fede si apra “lì dove la ragione non può illuminare”.
No. I secoli moderni – dai totalitarismi del Novecento alla confusione del presente – hanno dimostrato che le pretese assolute della ragione producono infelicità.
E la luce della fede non è un sentimento soggettivo, ma verità oggettiva: “quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore”. Essa dunque sa “illuminare tutta l’esistenza dell’uomo”.
E’ la prima contestazione della “dittatura del relativismo”.
Un secondo flash. Cosa è la fede? Una credenza? Una dottrina? Una morale? No. Sta tutta in questa frase: “riconosciamo che un grande Amore ci è stato offerto”.
Per questo l’enciclica usa l’espressione giussaniana “incontro che accade nella storia” e sottolinea che il Salvatore ci ha raggiunto attraverso una “catena umana” che ha attraversato i millenni, cioè la Chiesa, la tradizione.
Un altro prezioso spunto. Nella mentalità dominante si oppone di solito alla fede l’agnosticismo o l’ateismo. Invece la “Lumen fidei”, in base alla lezione biblica, oppone alla fede “l’idolatria”.
In effetti l’ateismo non esiste. Nessun uomo può vivere, anche un solo istante, senza affermare qualcosa o qualcuno. E’ ciò che la Sacra Scrittura chiama “idolo”.
Dunque l’unica grande opzione della vita sta in questo: fidarsi di Gesù Cristo o di qualche idolo. Non è possibile per nessuno sottrarsi a questa scelta. Chi è più affidabile? Chi merita veramente fiducia? Gesù di Nazaret, colui che è morto per me e per te, o un qualunque idolo?
Questa enciclica ci libera da tanti luoghi comuni. Per esempio la cultura dominante pensa Dio come qualcuno che “si trovi solo al di là”, quindi “incapace di agire nel mondo”, perciò “il suo amore non sarebbe veramente potente, capace di compiere la felicità che promette”. Così “credere o non credere in Lui sarebbe del tutto indifferente”.
Invece è vero il contrario. E sono i fatti – i concretissimi fatti – a gridarlo. E’ tutta una storia ricchissima di fatti a provarlo.
Del resto “quando l’uomo pensa che allontanandosi da Dio troverà se stesso, la sua esistenza fallisce”.
Ma come inizia la fede? Incontrando Gesù, oggi come duemila anni fa. In un incontro con i cristiani che sono una cosa sola con Lui. Chi non vorrebbe vedere gli occhi di Gesù?
Ebbene, citando Guardini, l’enciclica spiega che la Chiesa è la portatrice storica dello sguardo di Cristo sul mondo. In essa si sperimenta una vita comune. Così noi scopriamo che non siamo più soli.
Si aderisce a quello sguardo, fino a farlo nostro, dando credito a alla compagnia di Gesù e cominciando a seguirlo concretamente: “se non crederete non comprenderete”. Perciò “la fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva”.
Questa è la profonda ragionevolezza della fede. Chi ritiene invece che essa sia “una bella fiaba” o “un bel sentimento”, indichi qualcuno che sia più credibile di Cristo da seguire.
La prova sperimentale – dice l’enciclica – mostra a ciascuno che l’amicizia di Cristo illumina la vita come nessuna cosa al mondo e apre il cuore umano all’amore che tutti desideriamo.
Per questo possiamo riconoscere che Egli è la verità: “richiamare la connessione della fede con la verità” dice l’enciclica “è oggi più che mai necessario proprio per la crisi di verità in cui viviamo” perché “nella cultura contemporanea si tende spesso ad accettare come verità solo quella della tecnologia” o “della scienza”.
Il cristiano non pretende con arroganza di essere il padrone della verità. Anzi “la verità lo fa umile” perché non è lui a esserne padrone, ma è la verità a possederlo. Infatti è compagno di cammino di tutti.
L’enciclica ha molti spunti antirelativisti. Per esempio sulla teologia (che è “al servizio della fede dei cristiani” e alla sequela del magistero). Sulla fede “fai-da-te” (la fede è una, non si può prendere una cosa e rifiutarne un’altra). Sulla rilevanza pubblica della fede cristiana. Sulla “fraternità” che non è possibile senza riconoscere un Padre di tutti.
La fede proclama il primato dell’uomo nell’universo e al tempo stesso “ci fa rispettare maggiormente la natura”. Con buona pace di “Repubblica” esalta il matrimonio come “unione stabile dell’uomo e della donna… capaci di generare una nuova vita”, riconoscendo “la bontà della differenza sessuale”.
E fa abbracciare tutte le sofferenze del mondo: “all’uomo che soffre Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto”, ma offre la sua presenza che accompagna e che si carica di tutti i dolori umani.
La fede cristiana annuncia la “città di Dio” che ci è preparata per sempre. E si affida a colei che è “la Madre della nostra fede”.
Decisamente queste pagine sono una grande luce nelle tenebre del presente.

di Antonio Socci – Libero

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In verità vi dico: viva i peccatori

Posté par atempodiblog le 2 juillet 2013

In verità vi dico: viva i peccatori
Gesù cercava le ferite del peccato e le guariva. Ma ammoniva gli scribi, che chiamava “sepolcri imbiancati”.
di Antonio Socci – Panorama

In verità vi dico: viva i peccatori dans Antonio Socci p2je

Il Cristianesimo, strano a dirsi, entra nel mondo precisamente in polemica dura con i moralisti. A ogni pagina dei Vangeli Gesù appare traboccante di tenerezza verso i peccatori, perfino i più malfamati. Invece è durissimo solo con coloro che si ritenevano “giusti”.

Con loro, per scuoterli, usa parole di fuoco: “Guai a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito” (Lc 11,43-46). “Tutto quello che fanno è per farsi vedere dalla gente… Guai a voi scribi e farisei ipocriti. Voi siete come sepolcri imbiancati: all’esterno sembrano bellissimi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di marciume” (Mt 24,4 e segg).
Gesù non sta alla larga dai peccatori e dai disprezzati, anzi li cerca premurosamente. Come nota il filosofo Soren Kierkegaard: “Non ritenne mai un tetto tanto misero da impedirgli di entrarvi con gioia, mai un uomo tanto insignificante da non voler collocare la sua dimora nel suo cuore”.

Ma soprattutto Gesù rifiuta la presunzione di giudicare gli altri come peccatori, perché peccatori per lui sono tutti gli uomini e nessuno si salva se umilmente non si lascia perdonare. Un altro grande convertito del Novecento, lo scrittore francese Charles Péguy, scriverà: “Le persone morali non si lasciano bagnare dalla grazia. Ciò che si chiama la morale è una crosta che rende l’uomo impermeabile alla grazia. Si spiega così il fatto che la grazia operi sui più grandi criminali e risollevi i più miserabili peccatori”.
Lo si vede, in effetti, sul Calvario, dove il ladrone si converte, mentre i dottori della Legge inveiscono contro Gesù: “E’ per questo che niente è più contrario a ciò che si chiama la religione come ciò che si chiama la morale” estremizzava Péguy “e niente è così idiota che confondere così insieme la morale e la religione”.
Naturalmente Péguy non fa l’elogio del peccato. Gesù ha orrore di ogni peccato, ma condanna il legalismo. Come Paolo e Agostino condannano l’ideologia dell’onesto, il moralismo. Ciò sarà il giacobinismo. Perché non ci si salva con le nostre forze. Gesù dice: “Senza di me non potete fare nulla”. Egli dice infatti di essere venuto per i peccatori, le cui ferite del peccato possono diventare feritoie della grazia. Spiega di essere venuto per salvare, non per condannare. E’ stupefacente. Colui che ha più cambiato il mondo e lo ha umanizzato e santificato non fa mai l’accusatore. Perdona sempre.

E’ ancora Péguy che lo spiega: “C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere e interpellare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. In modo molto semplice. Facendo il Cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo”.

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Una clamorosa e sconosciuta serie di miracoli eucaristici a Buenos Aires con Bergoglio vescovo

Posté par atempodiblog le 29 juin 2013

Una clamorosa e sconosciuta serie di miracoli eucaristici a Buenos Aires con Bergoglio vescovo
di Antonio Socci – Libero
Tratto da: Ascolta tua Madre

Una clamorosa e sconosciuta serie di miracoli eucaristici a Buenos Aires con Bergoglio vescovo dans Antonio Socci b5a

C’è un “segno” miracoloso rimasto finora sconosciuto che ha toccato la storia personale del cardinale Bergoglio.

E’ accaduto – prima e durante gli anni del suo episcopato – nella chiesa parrocchiale di Santa Maria che si trova al centro di Buenos Aires, fra i quartieri Almagro e Caballito e – per decisione del parroco e dei suoi fedeli – non si voluto è fare del clamore mediatico.

Tuttavia adesso la “notizia” si sta diffondendo. A rompere il silenzio con una prima rivelazione è stato, poco tempo fa, un religioso, Fr. M. Piotrowski SChr, sul sito “Love one another”. Riassumo ciò che ha scritto.

Era il 18 agosto 1996, alle ore 19. Alla fine della messa padre Alejandro Pezet vide arrivare un fedele che aveva trovato un’ostia (evidentemente profanata) in un angolo della chiesa.

Il sacerdote si comportò secondo la prassi, mise la particola in un contenitore di acqua e ripose tutto nel tabernacolo. Tuttavia pochi giorni dopo, il 26 agosto, dovette constatare, stupefatto, che la particola anziché dissolversi si era trasformata in una frammento di carne sanguinosa.

Così il parroco – secondo la cronaca di Piotrowski – avrebbe informato Bergoglio che era vescovo ausiliare del cardinale Antonio Quarracino, ordinario di Buenos Aires. Ricevendo da lui il mandato di fotografare ciò che era accaduto e conservare tutto nel tabernacolo.

Qualche tempo dopo il prelato – diventato intanto arcivescovo di Buenos Aires – vedendo che non vi era traccia di decomposizione decise di far analizzare quella misteriosa particola.

Il 5 ottobre 1999 si procede. Sono presenti emissari del vescovo e il  dottor Castanon che prelevò un campione del frammento di carne e lo inviò a un laboratorio americano ignaro della sua origine.

Lì il dottor Frederic Zugiba, cardiologo e medico legale, rilevò che si trattava di tessuto umano. Secondo quanto scrive Piotrowski, egli fece questa sconvolgente analisi:

“Il materiale analizzato è un frammento del muscolo cardiaco tratto dalla parete del ventricolo sinistro in prossimità delle valvole. Questo muscolo è responsabile della contrazione del cuore. Va ricordato che il ventricolo cardiaco sinistro pompa sangue a tutte le parti del corpo. Il muscolo cardiaco in esame è in una condizione infiammatoria e contiene un gran numero di globuli bianchi. Ciò indica che il cuore era vivo al momento del prelievo… dal momento che i globuli bianchi, al di fuori di un organismo vivente, muoiono… Per di più, questi globuli bianchi sono penetrati nel tessuto, ciò indica che il cuore aveva subito un grave stress, come se il proprietario fosse stato picchiato duramente sul petto”.

Testimoni di queste analisi furono due australiani, il giornalista Mike Willesee e l’avvocato Ron Tesoriero , i quali chiesero quanto potevano vivere i globuli bianchi se fossero appartenuti a un frammento di carne umana tenuto in acqua.

La risposta fu: “pochi minuti”. Quanto il dottor Zugiba seppe dai due che quel materiale era stato tenuto per un mese in acqua e per tre anni in acqua distillata, restò esterrefatto.

Ancor più sconvolto però quando scoprì, dal dottor Castanon, che quel frammento di cuore umano “vivente” era in origine un’Ostia, ossia un pezzetto di pane consacrato.

Si chiesero con sgomento com’era possibile che un frammento di pane diventasse un pezzetto di cuore umano e ancor più come, un tale reperto, prelevato nel 1996, evidentemente da un uomo morto, fosse ancora vivo tre anni dopo?

L’articolo di Piotrowski prosegue riferendo il clamore che questa notizia ha fatto in Australia, dove è stata diffusa e spiegata dalle persone citate.

Questo articolo nei giorni scorsi ha cominciato a circolare in rete, tradotto, fra i siti cattolici, e a fare molta impressione. Così ho fatto delle verifiche sul posto, a Buenos Aires, e ho scoperto che la storia è ancora più clamorosa (però con alcuni importanti dettagli diversi).

In realtà i “segni” sono ben più di uno e cominciano nel maggio 1992, lo stesso mese ed anno in cui Bergoglio fu nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires.

Il 1° maggio di quell’anno, un venerdì,  due pezzi di Ostia furono trovati sul corporale del tabernacolo. Su indicazione del parroco furono messi in un recipiente d’acqua posto poi nel tabernacolo. Però passavano i giorni e le particole non si scioglievano.

Venerdì 8 maggio si notò che i due frammenti avevano assunto un colore rosso sangue.

Domenica 10 maggio – alle messe serali – furono notate delle gocce di sangue sulle patene, il piattino su cui si pone l’ostia.

Domenica 24 luglio 1994 mentre il ministro dell’Eucarestia prendeva il calice contenuto nel Tabernacolo si accorse che una goccia di sangue scorreva sulla parete interna dello stesso Tabernacolo.

Dopo questi segni si arriva ai fatti dell’agosto 1996 di cui abbiamo parlato. Ma – a quanto risulta – iniziano non il 18, ma il 15, festa dell’Assunzione di Maria al cielo. Quando poi ci si accorse della inaudita metamorfosi di quella particola, fu informato direttamente l’arcivescovo Quarracino.

Fu lui che raccomandò la massima discrezione, dette le indicazioni sulla conservazione dei frammenti e ordinò che si stilasse un resoconto dei fatti fotografando tutto e facendo studi approfonditi. Tutto fu poi spedito a Roma.

Quali studi vennero compiuti?

Nel 1992 il sangue fu fatto analizzare da un medico del posto che era una parrocchiana e da altri ematologi. Tutti rilevarono che si trattava di sangue umano.

Nel 1999 – stando a quanto risulta a me – l’arcivescovo Bergoglio (che cominciò a occuparsi del caso solo dal giugno 1997, una volta diventato coadiutore dell’arcidiocesi) autorizzò analisi approfondite negli Stati Uniti di entrambi i “casi”, quello del 1992 e quello del 1996. E tutto si svolse nel 2000.

Le analisi si svolsero in California con le procedure usate per le indagini dell’Fbi. Un dettaglio ulteriore riguarda il campione del 1992 che conteneva anche frammenti di pelle umana. Quindi c’è stata l’analisi del laboratorio di New York col risultato impressionante che sappiamo sul campione del 1996.

E’ evidente che ogni miracolo eucaristico (e ne sono avvenuti diversi, nel corso dei secoli) è per i cattolici il segno del grande miracolo che avviene ogni giorno, in tutte le chiese: la trasformazione del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo.

Adesso qualche voce tradizionalista già accusa (sulla base di informazioni imprecise) il vescovo Bergoglio di aver tenuto un troppo “basso profilo” su questo caso invece di sbandierare il miracolo.

Ma è evidente invece che egli ha mostrato già in questa vicenda le sue preziose qualità di pastore. Anzitutto è stato l’arcivescovo Quarracino a gestire il caso nei primi anni e a raccomandare discrezione e prudenza.

Quindi Bergoglio ha osservato i criteri dettati dall’ex S. Uffizio nel documento “Discernimento nelle apparizioni e rivelazioni” del 1978.

Ha poi disposto tutte le analisi scientifiche per comprendere cosa è accaduto e – ascoltando la volontà della parrocchia dove si sono svolti i fatti di vivere senza clamori spettacolari quegli eventi misteriosi – ha aiutato la comunità a comprenderli secondo la fede della Chiesa, alimentando la devozione eucaristica.

Lui stesso andava diverse volte ogni anno a fare lì l’adorazione eucaristica.  Che pian piano è diventata adorazione permanente e ora sta coinvolgendo un numero sempre crescente di parrocchie (si parla anche di fatti miracolosi che sono avvenuti).

L’ “impronta” è il segno di Qualcuno che è passato. E il desiderio del cardinale Bergoglio era che quanti andavano ad adorare il Signore lì presente si accorgessero che Egli si avvicina a ciascuno, passa dentro la vita di ciascuno e lascia in tutti la sua impronta. Quindi il cardinale esortava a non trasformare in un rito quell’adorazione, ma a commuoversi, a stupirsi di Gesù e a chiedergli che lasciasse la sua impronta indelebile nel proprio cuore.

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Cosa sta accadendo a Medjugorje? E’ una misteriosa vicenda iniziata alle 17,45 di mercoledì 24 giugno 1981…

Posté par atempodiblog le 24 juin 2013

Mistero Medjugorje
di Antonio Socci – Mistero Medjugorje, Ed. Piemme
Tratto da: lo Straniero

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Cosa sta accadendo a Medjugorje?
“Ho fatto circa 2.000 chilometri fra terra e mare sulle tracce di una donna. E’ una donna di “una bellezza indescrivibile”, assicura chi l’ha incontrata” .
Così Antonio Socci racconta il suo primo viaggio a Medjugorje, sui luoghi dove, il 24 giugno 1981, alcuni adolescenti videro su una collinetta, nei pressi del villaggio bosniaco, una giovane ragazza, splendida, dolce, che si sarebbe presentata come la “Beata Vergine Maria” e che tuttora appare loro quotidianamente. A oltre vent’anni di distanza, oggi che Medjugorje è diventata meta di milioni e milioni di pellegrini, Socci ricostruisce, attraverso una rigorosa indagine giornalistica, la storia e il mistero di questi fatti: visita i luoghi, incontra i protagonisti, ascolta sacerdoti, teologi, scienziati. Alla ricerca delle ‘prove’ delle apparizioni, scandagliando i miracoli che là si sono verificati, i messaggi che sono stati dati all’umanità e soprattutto il contenuto dei ‘dieci segreti’: fatti eccezionali del futuro prossimo che i sei veggenti riveleranno, su indicazione della Vergine, tre giorni prima del loro accadere. L’ipotesi conclusiva è sorprendente e sconvolgente: riguarda il futuro di ognuno di noi.

Dall’Introduzione del libro di Antonio Socci Mistero Medjugorje (edizioni Piemme)

Cosa sta accadendo a Medjugorje? E’ una misteriosa vicenda iniziata alle 17,45 di mercoledì 24 giugno 1981. Si crede di saperne quanto basta, ma non è così. La maggior parte ignora, per esempio, che oggi questa storia è tutt’altro che conclusa, anzi pare sia solo agli inizi perché promette sviluppi sconvolgenti proprio nei prossimi anni. Medjugorje (pronuncia: Megiugorie), paesino dell’Erzegovina sperduto e sconosciuto a tutti, è diventato uno dei luoghi più visitati della terra. Solo dal 1981 al 1990 venti milioni di persone sono andati là pellegrini, nonostante le difficoltà del viaggio, i problemi (a quel tempo) del regime e l’assenza di pellegrinaggi ufficiali. Vittorio Messori ha definito questo fenomeno come “il maggior movimento di masse cattoliche del postconcilio” (ma in realtà l’afflusso non si è limitato ai cattolici: è arrivata là gente di tutti i tipi). Addirittura il papa (Giovanni Paolo II, ndr) avrebbe detto a un vescovo: “Medjugorje è il centro spirituale del mondo”.

Ma davvero una giovane donna bellissima, che afferma di essere la madre di Cristo, appare ogni giorno da 23 anni a sei ragazzi di questo villaggio? E cosa accade nel corso di queste apparizioni? Che si sa dei “dieci segreti” che sarebbero stati consegnati ai veggenti e che riguardano il destino del mondo nei prossimi anni? Si tratta di “segreti” analoghi a quelli di Fatima?

I vescovi dell’Oceano indiano che il 24 novembre 1993 furono ricevuti dal Papa e s’intrattennero con lui a cena, riferirono in seguito che la conversazione finì a un certo momento su Medjugorje e il Santo Padre avrebbe detto: “Questi messaggi sono la chiave per comprendere ciò che avviene e ciò che avverrà nel mondo”. Secondo padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria e autore di molti importanti libri su Medjugorje, la gravità di ciò che si annuncia in quei segreti, insieme all’appello accorato alla conversione, è l’unica spiegazione possibile di un fatto così eccezionale come la permanenza quotidiana sulla terra della Madonna per più di 23 anni.

Dunque da Medjugorje arriva qualcosa di enorme e di decisivo per il nostro futuro prossimo e remoto, oppure – come affermano alcuni – siamo di fronte al più grande imbroglio della storia cristiana? E’ possibile inventare e far crescere una truffa di tali dimensioni planetarie?

Sono andato, con queste domande in testa, a vedere, a indagare, per capire. Innanzitutto ho tentato, per quanto possibile, di ricostruire i fatti degli inizi, giorno per giorno, secondo le testimonianze (ricchissime di particolari, essendo tutti i protagonisti viventi, ma molto spesso imprecise e contraddittorie nei dettagli temporali, come accade normalmente quando tanta gente si trova contemporaneamente al centro di eventi molteplici e travolgenti e poi riferisce ciò che ricorda). Ho provato a fare una ricostruzione come una normale inchiesta giornalistica, cioè dando credito ai testimoni.

Poi ho proseguito chiedendomi se la storia è attendibile e i testimoni sono credibili, ovvero se ci sono indizi seri che accade loro davvero qualcosa di soprannaturale: il responso della scienza in proposito è impressionante.

Infine mi sono domandato quale sia il senso di tutto, il disegno, la trama segreta.

E soprattutto ho cercato di capire cosa potrà accadere di qui a poco: non a Medjugorje, ma al mondo, a tutti noi. Se veramente un pericolo mortale ci sovrasta.
Naturalmente questo è solo un contributo imperfetto alla scoperta della verità. Non voglio convincere nessuno di nulla perché io stesso ho iniziato questo viaggio senza certezze precostituite, aperto a ciò che avrei trovato, qualunque verità fosse. Tantissime cose non hanno potuto trovar posto in questo libro. Ho tralasciato molti aspetti anche importanti per concentrarmi sull’essenziale. Ci sono cose che a me sono sembrate incomprensibili e controverse e aspetti sconcertanti (così come trovo egualmente sconcertanti alcuni dettagli delle apparizioni di Fatima o La Salette), ma mi interessava indagare soprattutto su una cosa: la Madonna è veramente apparsa e sta tuttora apparendo a Medjugorje? Ed eventualmente perché? Con quale missione? Cosa dobbiamo aspettarci e cosa dobbiamo fare?

Ciò che ho scoperto ha sorpreso e impressionato me per primo: il mondo, tutta l’umanità, è in pericolo, un pericolo mai vissuto dal genere umano nella sua storia, un pericolo che neanche riusciamo a immaginare e che è imminente. Certo, si può non credere a questo prezioso avvertimento preventivo. Forse è perfino logico liquidare il tutto con un sorriso scettico. Ma se l’apparizione di Medjugorje e il suo accorato appello a mettersi in salvo sono autentici?

(…)

Dal Capitolo 17

(…) Ancora più clamoroso il caso di Diana Basile. Questa signora, nata nel 1940, sposata con figli, impiegata a Milano, nel 1972 si ammala di sclerosi multipla. Si tratta di una grave malattia del sistema nervoso centrale, con decorso cronico e progressivo. Per dodici anni la signora Basile va peggiorando sempre più: ricovero dopo ricovero e analisi dopo analisi. Quando, il 23 maggio del 1984 viene portata a Medjugorje, è pressoché impossibilitata a camminare e completamente cieca all’occhio destro con mille altre tremende comlplicanze. Quel giorno dev’essere aiutata da due persone perfino a salire le scale dell’altare della chiesa: si trova faticosamente nella stanzetta delle apparizioni.

Ed ecco il suo racconto: “Mi butto così in ginocchio, vicino all’ingresso. Quando i ragazzi a loro volta si inginocchiano (l’istante dell’arrivo della Madonna, nda), io mi sento come folgorare, odo un gran rumore, poi più nulla… Solo una gioia indescrivibile. Ho rivisto allora come in un film alcuni episodi della mia vita che avevo completamente dimenticato. Alla fine dell’apparizione mi metto inspiegabilmente a camminare da sola, prima adagio e poi sempre più agevolmente, con sicurezza, diritta come tutti gli altri… gli altri, quelli che mi conoscevano, mi abbracciano piangendo. Più tardi, rientrata in albergo, constato di essere tornata perfettamente continente, con sparizione della dermatosi e di aver riottenuto la possibilità di vedere con l’occhio destro, che è ridiventato normale, dopo ben dieci anni!”.

Il giorno dopo, la signora Diana, per ringraziamento, fa addirittura un pellegrinaggio, a piedi nudi, di dieci chilometri da Ljubuski, dove è il suo albergo a Medjugorje e poi è salita da sola sopra al Podbrdo sassoso e impervio. Un caso semplicemente strepitoso. Il professor Spaziante che alla vicenda della signora Basile ha dedicato lunghi studi, riassume il fatto: “Una malattia grave, seria, di lunga durata, resistente alle cure, che è scomparsa in un attimo. La guarigione della signora Basile Diana si presenta completa, perfetta, sia dal punto di vista organico e funzionale che dal punto di vista psichico e sociale”.

Alcune centinaia di documenti medici, sul prima e sul dopo (con la testimonianza su ciò che è accaduto all’apparizione) sono stati depositati dalla signora agli Uffici parrocchiali di Medjugorje e alla diocesi di Mostar. Il medico – dopo aver studiato per anni su questi referti clinici – annota esterrefatto: “Per me resta un quesito: com’è possibile che fasci di fibre nervose che collegano miliardi di neuroni, da anni gravemente danneggiati per la sclerosi multipla possano riabilitarsi così repentinamente? E’ come se qualcuno avesse sparato con un mitra dentro un computer sofisticato , con milioni di valvole, e ne avesse danneggiato le fini connessioni irreparabilmente. E, d’un tratto, tutto di nuovo diventa perfettamente funzionante… Mi piace ricordare l’avvertimento di Alexis Carrel, un genio della medicina: ‘Cercate laggiù! A Lourdes succedono cose inverosimili…’. Forse è lo stesso per Medjugorje”.

Si possono avere mille teorie contro Medjugorje, contro le apparizioni e contro i miracoli, si può essere laicamente certissimi che tutto questo “non può” accadere nel modo più assoluto. Però è accaduto e accade e “contra factum non valet argomentum”. Almeno per noi “razionalisti”.

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Papa Francesco e “Il Signore degli Anelli”: la via per la salvezza

Posté par atempodiblog le 10 juin 2013

Papa Francesco e “Il Signore degli Anelli”: la via per la salvezza
di Antonio Socci – Libero

Papa Francesco e “Il Signore degli Anelli”: la via per la salvezza dans Antonio Socci portigrigi

Giovanni Paolo II è stato un grande papa condottiero della libertà. Benedetto XVI è stato il vero illuminista – ha inondato di luce razionale illuminata dalla fede – un occidente ottenebrato dall’irrazionalità nichilista.
Ma né l’uno né l’altro sono stati ascoltati da questa Europa in declino che sembra correre verso il baratro.
Così – per uno spettacolare colpo di fantasia del Conclave (e dello Spirito Santo) – è arrivato papa Francesco che parla più ai piccoli e ai semplici cristiani che alle élite, alle accademie e ai salotti. Col risultato che le élite non lo capiscono. Esce da tutti i loro schemi mentali.
Ebbene, per sintonizzarsi con questo pontificato secondo me bisogna leggere “Il Signore degli Anelli” di John R. R. Tolkien. O meglio rileggerlo attraverso l’interpretazione che ne dà un monaco benedettino, Giulio Meiattini, nel libro “La discrezione di Dio”. Interpretazione che ha, sullo sfondo, il libro di Paolo Gulisano, “Tolkien: il mito e la grazia”, opera che ha il merito di mettere a fuoco la cattolicità di Tolkien.

OCCIDENTE
Padre Meiattini nota che lo scenario  su cui si muovono le vicende narrate dallo scrittore inglese è “quello, storicamente determinato, della crisi contemporanea della civiltà occidentale”, l’epoca di Spengler, Huizinga, Jasper.
Tolkien scrisse il suo poema epico negli anni fra le due guerre mondiali, quando imperversavano i due orrendi totalitarismi, nazista e comunista, e nuove minacce planetarie – come l’arma atomica – venivano apparecchiate dalla scienza.
La Terra di mezzo “possiede alcuni tratti fondamentali del Vecchio Continente, del mondo occidentale europeo” che – in rovina – si trova a dover “fronteggiare un’immensa forza negativa, violenta e distruttrice, che da Est, dalla terra di Mordor, allarga sempre più il suo raggio d’azione”.
In questo quadro l’ultimo “baluardo a difesa dell’Occidente” – come scrive Tolkien, è rappresentato dalla fortezza di Minas Tirith, eretta degli uomini di Gondor. E’ ciò che rimane di quello che fu il magnifico regno di Numenor (nome che significa appunto “regno dell’Occidente”).
Negli anni in cui l’inglese Tolkien scriveva l’Oriente era il luogo dei totalitarismi, dell’orrore e delle ideologie assassine. Proprio perché egli non volle scrivere un poema allegorico a sfondo politico, morale o religioso, ha creato un capolavoro che contiene tutte insieme queste chiavi di lettura.
Così è attuale anche oggi che la minaccia per l’Europa è cambiata. Infatti nella nostra epoca il tenebroso oriente, la terra di Mordor e l’oscuro Sauron sono impersonati da altre forze. Ma i Sauron di tutte le epoche sono accomunati dalla stessa menzogna: la pretesa di porsi al posto di Dio.

LA SPERANZA
Per questo – come scrive Gulisano – “Il Signore degli Anelli rappresenta un autentico manuale di sopravvivenza tra gli errori e gli orrori della modernità”.
Anche oggi del resto sentiamo risuonare l’allarme apocalittico di Denethor, re di Gondor: “L’Occidente soccombe. Avvamperà un enorme incendio e tutto scomparirà”.
Qual è dunque – per Tolkien – la via della salvezza? Egli mette sulle labbra del grande e saggio Gandalf  l’intuizione più preziosa: “Le nostre forze sono state appena sufficienti a respingere il primo assalto. Il prossimo sarà più massiccio. Questa guerra è quindi senza speranza, come Denethor aveva intuito. La vittoria non può raggiungersi con le armi”.
Sembrerebbe un’affermazione disperata, ma poi Gandalf precisa: “Ho detto che la vittoria non si potrà raggiungere con le armi. Spero ancora nella vittoria, ma non nelle armi”.
E qui c’è la sorpresa, la grande intuizione di Tolkien, che poi è il paradosso cristiano. In chi Gandalf ripone la sua speranza? In un Eroe solitario? In una pattuglia di arditi? In una qualche stregoneria esoterica? In una nuova arma spettacolare e devastante?
No, nel giovane Frodo Baggins, uno hobbit, un ragazzino inerme, senza alcun potere, senza alcun sapere, un adolescente buono, semplice e inesperto.
E’ lui – la creatura meno tentata dall’Anello (metafora del Potere) – che si prenderà il gravoso incarico di avventurarsi nell’orrida terra del nemico e, in cima al monte Fato, gettare l’Anello nel vulcano.
Quell’Anello va distrutto perché – come dice Gandalf – “se Sauron lo riconquista, il vostro valore è vano e la sua vittoria sarà rapida e totale… se invece l’anello viene distrutto egli soccomberà”.

PER VINCERE
A prima vista viene da obiettare: perché non usare proprio l’anello di Sauron per sconfiggere lo stesso Sauron? Tolkien mostra che questa è la tentazione di tutti, ma è anche l’inganno più terribile e devastante.
“La salvezza dell’Occidente” scrive padre Meiattini “non è dunque dipendente dal potere militare o tecnologico, cose in cui Sauron non teme rivali e sulle quali edifica il suo regno, distruttivo contemporaneamente della natura e dei legami umani più veri”.
La salvezza è di natura spirituale.
“La salvezza” spiega Meiattini “dipende dal solitario cammino di un hobbit debole e inerme che porta, senza cedervi, il peso della tentazione e che alla fine distrugge la tentazione stessa, insieme all’anello che ne è l’oggetto e la fonte, vincendo non per forza propria, ma per un colpo di scena della Grazia”.
Quella di Frodo, “il Portatore dell’Anello”, è un’autentica Via Crucis, ma – osserva padre Meiattini – “chi sceglie la via della debolezza e della povertà, proprio grazie alla sua totale estraneità ai percorsi storici e mentali dell’autoaffermazione prevaricante del soggetto, sfugge alla presa dell’Occhio e dell’Ombra. Questa è l’unica mossa che Sauron non si aspetterebbe mai, l’unica che lo prenderebbe di sorpresa: che qualcuno decidesse di disfarsi dell’Anello del potere, di distruggerlo, invece di usarlo. Per lui questo sarebbe follia”.
E’ precisamente la “follia” cristiana, la “follia” di un Dio onnipotente che si fa uomo e che si lascia crocifiggere.
Conclude Meiattini: “la vera battaglia che salva l’Occidente, perciò, non è quella che si combatte sotto i bastioni di Minas Tirith, ma la battaglia del cuore, della mente e del corpo che in primo luogo Frodo sostiene per tutti”.

IL CAMMINO E LA GRAZIA
La sua “progressiva purificazione”, il sostegno della Compagnia dell’Anello, preziosa pur essendo anche i suoi membri soggetti alla caduta e al tradimento, come lui del resto (ma ce ne sono anche puri e fedeli come l’amico Sam), infine certi aiuti come quel cibo degli elfi, il “lembas”, che è una chiara metafora dell’eucarestia, segnano un cammino spirituale che porta il giovane Frodo alla salvezza del suo mondo.
Frodo vince non con l’autoaffermazione, ma proprio col sacrificio e la rinuncia. Del resto egli è il vero antieroe.
Il Novecento (quel Novecento delle ideologie che tanto hanno disprezzato il “piccolo borghese”) si è ubriacato con il culto dell’eroe, del superuomo, del Capo, delle forze storiche (la Classe, la Razza), delle entità divinizzate a cui sacrificare i popoli (il Mercato, lo Stato, il Partito, la Rivoluzione, la Scienza). Da qui è venuta e viene la minaccia e la rovina per la loro “pretesa divina”.
Invece la salvezza viene dal piccolo e debole uomo singolo, dalla sua silenziosa offerta di sé. Secondo Meiattini “è presente nell’opera di Tolkien una teologia della sostituzione vicaria che lo avvicina ad altri grandi romanzieri cattolici come Bernanos, Mauriac, Gertrude von le Fort”.
Vorrei aggiungere che lo avvicina ai santi del Novecento (cito padre Kolbe e padre Pio per tutti). Ma Frodo, il vero eroe del nostro tempo, è anzitutto il simbolo del bistrattato uomo semplice, del singolo, il fante delle due guerre mondiali, il padre di famiglia, l’uomo comune, il piccolo borghese, l’adolescente.
E’ soprattutto a lui che parla papa Francesco chiamandolo a salvare il mondo. Non con le proprie forze, ma con la Grazia.
Dice Meiattini: “è la grazia infatti la protagonista invisibile, ma palpabile del Signore degli Anelli”. E’ solo la Grazia che crea eroi veri.

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Gesù realmente presente nel Tabernacolo

Posté par atempodiblog le 2 juin 2013

“Gesù [...] Presenza che riempie ogni solitudine, vince il dolore e la morte e ama ciascuno chiamandolo per nome”.

Antonio Socci

Gesù realmente presente nel Tabernacolo dans Antonio Socci gesneltabernacolo

“In questo mondo c’è Kennedy, c’è Kruscev, ci sono tutti gli altri, che nel giro di pochissimi anni non vi saranno più. Vi prego di ricordarvi che in questo mondo c’è Gesù Cristo (con questo è detto tutto!) e che Gesù Cristo è il Figlio di Dio fatto uomo, cioè Egli è l’infinito e il più umano di tutti, l’unico veramente umano perché in un modo non ripetibile dagli altri, è andato in croce per tutti gli uomini…. Questi uomini che se arriva in una città un divo o una diva dello schermo, parlano per qualche tempo solo di quello, ombre effimere, assolutamente effimere e inconsistenti come tutte le ombre! Costoro che non si ricordano che Nostro Signore e Salvatore, quello che è andato in croce per loro, rimane lì nel Tabernacolo, Dio e Uomo, non con la presenza spirituale, ma con la presenza reale…”.

Card. Giuseppe Siri (1967)

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La potenza della preghiera

Posté par atempodiblog le 18 mai 2013

“Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo”.
Don Luigi Giussani

La potenza della preghiera dans Antonio Socci antoniosocci

L’Italia è dentro una crisi economica e finanziaria e c’è una parolina magica che tutti ripetono ma in maniera quasi impotente, possono soltanto ripeterla come un mantra, evocarla, ma non si realizza mai. Tutti parlano della famosa “crescita”. Tutti si arrabattono a dare una ricetta, ma sembrano girare a vuoto perché ciò che manca al nostro paese è l’anima, in senso cristiano. L’anima cristiana di un popolo che da anni l’elite intellettuale è impegnata a deridere.
Alcuni filosofi ritenevano che la violenza fosse generatrice di costruzione, invece è solo generatrice di male. La violenza sta nel cuore dell’uomo e farla tracimare all’esterno significa contribuire personalmente al male nel mondo.
Dopo la seconda guerra mondiale l’Italia era al tappeto, non c’erano risorse, non c’erano capitali, era ed è un paese poverissimo di materie prime, non c’erano fonti energetiche, c’erano rovine da ricostruire e bocche da sfamare… quindi nessuna prospettiva… e invece l’Italia divenne una delle principali potenze mondiali…ciò che tenne unite tutte le persone superstiti fu la fede. Infatti, con la preghiera si è risolto tutto.
Oggi, però, ci siamo dimenticati della potenza della preghiera. Dopo la guerra, l’Italia era devastata sul piano umano e morale, oltre che materiale. Usciva come paese sconfitto e quindi non contava quasi niente nelle relazioni internazionali. Andando ancora indietro di qualche anno ci accorgiamo che dopo l’unità d’Italia a milioni partirono per l’America perché c’era, già a quel tempo, fame e miseria. Umanamente non è spiegabile che un paese senza speranza in pochi anni si è risollevato ed è diventato una potenza economica.

Un popolo che ama Dio rinasce da ogni catastrofe e supera qualunque crisi. Un esempio storico è dato dal Duomo di Milano, simbolo di questa prospera città.

Sunto di una conferenza di Antonio Socci

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Per approfondire la storia del Duomo di Milano iconarrowti7 Un popolo e il suo Duomo

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Voci su Ratzinger a Medjugorje. Il mio sogno

Posté par atempodiblog le 6 mai 2013

Voci su Ratzinger a Medjugorje. Il mio sogno
di Antonio Socci – Libero

Voci su Ratzinger a Medjugorje. Il mio sogno dans Antonio Socci gospamadonnamedjugorje

Col ritorno del papa emerito in Vaticano ho fatto una sorta di sogno, uno di quei sogni a occhi aperti che sono talora ispirati da voci e boatos che circolano in diversi ambienti.
Ho dunque “sognato” di ricevere la notizia secondo cui Joseph Ratzinger intende recarsi a Medjugorje.
Un simile clamoroso evento sarebbe considerato bellissimo da milioni di pellegrini e devoti della “Regina della pace”. Ma – è ovvio – solleverebbe anche molte opposizioni.
Perché tanto clamore? Anzitutto perché una simile visita potrebbe essere considerata da alcuni come un’implicita approvazione delle apparizioni della Madonna che da trent’anni avvengono nel villaggio della Bosnia Erzegovina.
Già questo susciterebbe alcuni malumori. Tuttavia c’è una risposta che confuta tali obiezioni: Ratzinger infatti non è più il Pontefice in carica e Medjugorje è pur sempre una parrocchia della Chiesa Cattolica, anzi un Santuario mariano, che vede arrivare tantissimi sacerdoti, pellegrini e anche diversi vescovi.
Quindi la visita privata del vescovo emerito di Roma di per sé non significherebbe uno “strappo”. Da Papa non avrebbe potuto farlo con un viaggio ufficiale. Come non poté farlo Giovanni Paolo II. E’ noto che papa Wojtyla credeva all’autenticità delle apparizioni di Medjugorje (lo ha dichiarato più volte, durante colloqui personali, a tanti interlocutori diversi).
Tuttavia – pur desiderandolo – non si è mai recato nel villaggio proprio perché il suo arrivo lì come Papa avrebbe significato una sorta di riconoscimento formale, mentre gli eventi erano (e sono) tuttora in corso.
Un giorno ad alcuni vescovi e sacerdoti da lui ricevuti in udienza, che dopo sarebbero andati in pellegrinaggio a Medjugorje, papa Wojtyla disse: “Medjugorje, Medjugorje. E’ il centro spirituale del mondo”. Tante volte manifestò il suo desiderio di recarvisi.
Ratzinger è sempre stato più cauto su queste apparizioni. Io stesso nell’ottobre 2004 ne parlai a lungo, personalmente, con lui. Mi sembrò che non avesse pregiudizi, ma fosse anche molto attento a valutare tutte le testimonianze e le diverse posizioni (positive e negative) in campo.
Mi parve molto toccato dalle tante conversioni. Ma il suo atteggiamento era improntato a grande cautela.
Proprio per questa prudenza, per questo suo atteggiamento che vuole capire, da papa aveva istituito una commissione di studio su quegli eventi. Commissione che ha lavorato e sta lavorando con molta serietà e attenzione.
Ripensando a queste premesse il “sogno” di un suo eventuale viaggio, se si realizzasse, sorprenderebbe. E si potrebbe interpretare in diversi modi.
Una prima ipotesi: andare a vedere di persona, a verificare con i propri occhi, nel luogo dove – ancor prima dei miracoli – si verificano tantissime conversioni.
Oppure – seconda ipotesi – Ratzinger potrebbe voler ringraziare là dove la Madonna ha incessantemente chiesto ai fedeli digiuni e preghiere per i pastori della Chiesa, in primis per i pontefici.
Tuttavia questo potrebbe significare che qualcosa di clamoroso è accaduto. Infatti cosa potrebbe provocare una svolta e una decisione così stupefacente se non un segno soprannaturale inequivocabile che Joseph Ratzinger potrebbe aver ricevuto, cioè una ‘chiamata’ che non si può non ascoltare”?
Riflettendoci mi sono tornate in mente le parole del suo ultimo Angelus da papa, il 24 febbraio 2013, che – alla luce di questo mio “sogno” – acquisterebbero una risonanza tutta particolare.
Spiegando ai fedeli a cosa si sentiva chiamato, dopo la rinuncia al pontificato, prendendo spunto dal Vangelo di quella domenica, sulla Trasfigurazione, Benedetto XVI disse:

“Meditando questo brano del Vangelo, possiamo trarne un insegnamento molto importante. Innanzitutto, il primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo… Inoltre, la preghiera non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni, come sul Tabor avrebbe voluto fare Pietro, ma l’orazione riconduce al cammino, all’azione. ‘L’esistenza cristiana – ho scritto nel Messaggio per questa Quaresima – consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio, per poi ridiscendere portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio’ (n. 3)”.

Poi concluse:

“Cari fratelli e sorelle, questa Parola di Dio la sento in modo particolare rivolta a me, in questo momento della mia vita. Il Signore mi chiama a ‘salire sul monte’, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze. Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria: lei ci aiuti tutti a seguire sempre il Signore Gesù, nella preghiera e nella carità operosa”.

C’è anzitutto il tema della preghiera, il suo primato, che è pure il cuore del messaggio di Medjugorje. In secondo luogo c’è  quell’espressione “il Signore mi chiama a salire sul monte”, che già fece riflettere quando fu pronunciata.
L’eventuale pellegrinaggio a Medjugorje e la salita del papa emerito sul monte delle apparizioni darebbero un significato ancora più profondo a quelle parole. E farebbero riflettere seriamente tutti sulle apparizioni della “Regina della pace”.
Di certo possiamo dire ciò che pensano i milioni di fedeli che vanno in pellegrinaggio in questo paesino della ex Jugoslavia: la presenza quotidiana della Madonna fra noi da più di trent’anni può avere un solo significato, un soccorso straordinario alla Chiesa per un tempo terribile.
Un soccorso che forse già era stato preannunciato nel 1830 dalla Madonna stessa a santa Caterina Labouré, all’inizio delle grandi apparizioni pubbliche che hanno caratterizzato gli ultimi duecento anni.
Lì a Parigi, a Rue du Bac, disse testualmente: “Il momento verrà, il pericolo sarà grande. Tutto sembrerà perduto. Allora io sarò con voi”.
Non sembra una prefigurazione di questo nostro tempo?
Che si realizzi o meno il mio “sogno” sul viaggio del papa emerito, che si dimostrino fondate o no quelle voci, i fatti di Medjugorje e le parole che lì pronuncia la Vergine sono reali, straordinari, e inducono a meditare su noi stessi, sulla nostra vita e sull’ora presente dell’umanità.

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Medjugorie a Milano: diecimila fedeli davanti alla Madonna

Posté par atempodiblog le 24 avril 2013

Medjugorie a Milano: diecimila fedeli davanti alla Madonna
La giornata di preghiera con i veggenti raduna alla Fiera un popolo semplice e silenzioso. Ma ricco di amore
di Maurizio Caverzan – Il Giornale
Tratto da: Ascolta tua Madre

Non c’è il pienone previsto nell’immensa sala della Fiera Rho di Milano. La Protezione civile stima in diecimila i presenti, eppure l’elenco delle comunità chiamate dal palco una per una è infinito, da quella «di Busto Arsizio» al «gruppo della Calabria», dalla «gente di Padova» al «gruppo della Liguria».

Medjugorie a Milano: diecimila fedeli davanti alla Madonna dans Antonio Socci medjugorjegospafierarho

È un’Italia sommersa, un popolo semplice, lontano dalle mode, in prevalenza donne, ma anche anziani, giovani e bambini. «È quella che, per distinguerla dalla gente dei media, don Giussani chiamava “la gente gente”», racconta Antonio Socci, autore di «Mistero Medjugorje» (Piemme, 2005). «I giornali e le televisioni di sono pieni della manifestazione dei grillini davanti al Parlamento. Ma di queste migliaia di persone scriveranno in pochi. I riflettori sono già tutti occupati da quelli che frequentano il web e i social network, da quelli che protestano nelle piazze». Socci ha appena terminato la sua struggente testimonianza di fede provata dalla sofferenza per l’arresto cardiaco che il 12 settembre 2009 ha colpito all’improvviso la figlia Caterina. Dopo anni di dolore e tra molti sacrifici Caterina sta sorprendentemente ritornando a una vita più sostenibile. Dopo Socci è il momento di Jakov Colo, uno dei veggenti, padre di tre figli. «Non venite a Medjugorje per parlare con noi, per assistere a fenomeni strani, per provare emozioni – dice Jakov – Venite per convertirvi. Il pellegrinaggio vero comincia quando iniziate la strada del ritorno a casa. Offrite il digiuno e la penitenza per la fine delle guerre e la guarigione dei malati».
La giornata è iniziata alle nove del mattino e si prolunga con un programma fitto di canti, preghiere e testimonianze fino alle nove della sera. Dopo la messa del pomeriggio è attesa l’apparizione della «figura femminile luminosa» che fin dal 24 giugno 1981 i veggenti, allora sei ragazzi, hanno cominciato a riconoscere come la Madonna, «Regina della pace». Da allora, un tempo lunghissimo, continua ad apparire. «È il tempo in cui Dio dimostra la sua pazienza», risponde padre Ljubo Kurtovic. Sopra il palco si legge il testo del messaggio del 25 agosto 2002: «Soltanto nella fede la vostra anima troverà la pace e il mondo la gioia». Il raduno è organizzato da Mir i Dobro (Pace e bene), una Onlus che opera in Bosnia e chiede di devolvere il 5 per mille per le adozioni a distanza e l’accoglienza agli orfani di guerra. Alle 12, ecco il collegamento con Piazza San Pietro per l’Angelus di Papa Francesco. «La giovinezza bisogna metterla in gioco per i grandi ideali», esorta Bergoglio. «Domanda a Gesù che cosa vuole da te e sii coraggioso», invita parlando dei dieci sacerdoti ordinati in mattinata. Anche alla Fiera Rho di Milano scrosciano gli applausi. «Grazie tante per il saluto, ma salutate Gesù», sembra rispondere Francesco.
Qui si susseguono i canti di una devozione forse ingenua – «Gesù mi ama, Gesù ti ama, Gesù ci ama»; «Non si va in cielo in minigonna, perché in cielo c’è la Madonna» a volte accompagnati da un violino tzigano, altre volte da movimenti ritmati cui non si sottraggono anche persone di terza età. Canti che saranno magari il segno di un cristianesimo semplice e tradizionale. Che però, senza intellettualismi, sa parlare direttamente al cuore delle persone così come avviene nella testimonianza di papa Francesco.
Uno dei momenti più coinvolgenti è l’adorazione del Santissimo guidata da padre Ljubo in perfetto italiano, ma con quel tono ieratico conferito dall’accento slavo. Si snodano le ave marie in croato, inglese, francese, spagnolo, tedesco, polacco. Un canto ripete le parole del ladrone crocifisso vicino a Gesù: ricordati di me quando sarai in Paradiso.
La Chiesa non ha ancora riconosciuto le apparizioni di Medjugorje. «Ma è decisivo che non abbia condannato questi fenomeni che pure non sono vincolanti per la fede», riprende Socci. C’è una commissione voluta da Benedetto XVI nel 2010 e presieduta dal cardinal Ruini. Per sua regola la Chiesa non riconosce le apparizioni quando i fenomeni continuano ad avvenire. Ma si pronuncia dopo, quando sono terminati, magari a distanza di secoli.
Intanto la «gente gente» partecipa compunta alla meditazione. Ogni volta che viene pronunciato il nome di papa Francesco, si alza spontaneo l’applauso. Quello di Medjugorje è un popolo fatto di «persone provate dalle ferite della vita – osserva Socci – Ferite che spesso siamo portati a rimuovere e a coprire per non soffrirne troppo». È un cristianesimo dolente quello dei devoti di Medjugorje? «Come la bellezza anche il dolore ci porta alle domande fondamentali dell’esistenza. Ci fa diventare persone più autentiche, più vere. Non è facile che ci lasciamo scovare o scavare nel profondo. Perché, come diceva Rilke, Tutto cospira a tacere di noi/ un po’ come si tace un’onta/ un po’ come si tace una speranza ineffabile».
Al termine della messa la veggente Marija Pavlovic intona la preghiera fino a quando s’interrompe, rapita. I diecimila sprofondano in un silenzio assoluto.

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“Lettera a mia figlia”. Il nuovo libro di Antonio Socci

Posté par atempodiblog le 25 février 2013

“Lettera a mia figlia”. Il nuovo libro di Antonio Socci dans Antonio Socci lettaraamiafiglia

Perché il mondo ha tanta paura della sofferenza? Perché ha così bisogno di chiudere una ferita?” si domanda l’autore. “Forse perché sconvolge la vita, le nostre visioni, i nostri progetti. La sofferenza chiede amore, tanto amore, e non è facile amare così.”
La vita di Antonio Socci e della sua famiglia viene travolta nel 2009 dal dramma improvviso della primogenita Caterina, entrata in coma dopo un inspiegabile arresto cardiaco. Tutto sembra perduto, resta solo il grido di una preghiera che coinvolge un mare di persone. E Caterina si risveglia dal coma. Ma la gioia per questo miracolo viene messa alla prova dall’enormità dei problemi che la ragazza si trova ad affrontare. Tuttavia la forza e la fede con cui Caterina percorre un cammino così duro sono travolgenti per il padre, che scopre anche la bellezza di un mondo sconosciuto, eroico e affascinante, fatto soprattutto di giovani, che sono per l’autore la “meglio gioventù”.
È l’incontro con volti di persone normali che l’amore di Gesù Cristo rende capaci perfino di sacrificare silenziosamente la propria esistenza. Storie che testimoniano un coraggio e una letizia più forti del dolore e della morte. Ne scaturisce una lunga lettera in cui l’autore, cristiano controcorrente da sempre, scrive alla figlia non solo per accompagnarne la rinascita, ma anche per raccontare a tutti il miracolo che una giovinezza piena di fede può compiere. “Abbiamo bisogno di uomini e donne indomiti” scrive Socci “che ci mostrano che non si deve aver paura del cammino della vita, delle sue fatiche e delle sue prove. Perché è questo brevissimo cammino che ci fa guadagnare la felicità per sempre.”

Fonte: lo Straniero – Il blog di Antonio Socci

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“L’unico pregiudizio ammesso”

Posté par atempodiblog le 9 février 2013

“Si dice addirittura che l’anticattolicesimo sia l’antisemitismo dell’uomo colto. I demagoghi ce l’hanno con gli ebrei, gli uomini di cultura con i cattolici”. (Philip Jenkins)

Il Cristianesimo dans Citazioni, frasi e pensieri cristianesimo

L’ignoranza, il preconcetto nutrito di luoghi comuni, la scarsa conoscenza della storia sono tutti ingredienti di quel, più ampio, planetario pregiudizio anticristiano, anzi “pregiudizio anticattolico”, che il sociologo Philip Jenkins, in un suo libro, ha definito “l’unico pregiudizio ammesso”.

In effetti l’epoca del “politically correct”, che ha messo al bando tutti i pregiudizi basati sull’appartenenza etnica, religiosa, sessuale o sociale, ammette solo quello contro la Chiesa cattolica.

Sulla Chiesa e sui cattolici di oggi e di ieri si possono impunemente sparare sentenze di condanna morale e culturale, immotivate e ingiuste.

di Antonio Socci

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Benedetta Bianchi Porro: una storia vertiginosa, una storia cristiana

Posté par atempodiblog le 12 octobre 2012

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[...] Piacevolmente spiazzante è anche la storia di Benedetta Bianchi Porro, una ragazza molto talentuosa nata nel 1936 a Forlì. A diciassette anni si iscrisse alla Facoltà di medicina ma, arrivata ormai all’ultimo esame nel 1957, si diagnosticò da sola la propria malattia: neurofibromatosi diffusa, una patologia che provoca la perdita di tutti e cinque i sensi. All’età di ventiquattro anni le uniche sensibilità che le restano sono una piccola sensibilità su una mano e su una guancia e un filo di voce. Per il resto è immobilizzata nel letto, cieca e sorda. Ma non per questo non è viva, anzi. Venuta a conoscenza della situazione molto dolorosa di un giovane gravemente malato, gli scrive queste parole: “Ho trovato che Dio esiste ed è amore, fedeltà, gioia, certezza fino alla consumazione dei secoli. Fra poco io non sarò più che un nome, ma il mio spirito vivrà, qui fra i miei, fra chi soffre, e non avrò neppure io sofferto invano. […] Le mie giornate non sono facili; sono dure, ma dolci, perché Gesù è con me, col mio patire, e mi dà soavità nella solitudine e luce nel buio. Lui mi sorride e accetta la mia collaborazione con Lui. […] Tutto è una brevissima passerella, pericolosa per chi vuole sfrenatamente godere, ma sicura per chi coopera con Lui per giungere alla Patria” (A. Socci, Caterina: Diario di un padre nella tempesta, p. 125). Benedetta morì a ventotto anni. Oggi è in corso il processo per la sua beatificazione. [...]

di Giulia Tanel – Libertà e Persona.org

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