La banalità del bene e la dittatura del consenso molle

Posté par atempodiblog le 17 novembre 2017

Il volto terribile della “città del cuore”
La banalità del bene e la dittatura del consenso molle
Philippe Muray a Stanford nel 1983 vide la morte del sesso, della letteratura, del dissenso, dell’arte e di ogni differenza culturale. Una “crisi iperglicemica di buoni sentimenti” che sarebbe dilagata in tutto l’occidente. “I nuovi misericordiosi sono i cantanti, gli attori, gli sportivi, i creativi della pubblicità, sono loro, lo sappiamo, i veri modelli del nuovo esercizio di apologetica spettacolare”. E’ arrivata la dittatura dello solidarietà.
di Giulio Meotti – Il Foglio
Tratto da: Radio Maria

La banalità del bene e la dittatura del consenso molle dans Anticristo concerto

E’ il 1983 quando Philippe Muray viene chiamato dal grande antropologo René Girard a insegnare letteratura francese per un semestre a Stanford. Muray stava già lavorando a quello che sarebbe diventato il suo capolavoro, “Le XIXe siècle à travers les âges”. Fu in quella università, tra le più quotate d’America, che per la prima volta si esclusero dai programmi Dante, Omero, Platone, Aristotele, Shakespeare e gli altri grandi protagonisti della cultura occidentale. Il motivo: secondo il comitato di professori e studenti che stabilì i piani di studio, tutti questi classici erano “razzisti, sessisti, reazionari, repressivi”, e nei programmi del primo corso andavano sostituiti da esponenti della cultura del Terzo mondo, delle minoranze americane di colore, delle donne e della contestazione, anche se molto meno noti. Allan Bloom, il docente di Chicago che aveva scritto il bestseller “La chiusura della mente americana”, disse che così si stava distruggendo l’insegnamento della logica e della tolleranza. Amanda Kemp, che guidava l’Associazione degli studenti afroamericani, rispose che il messaggio dei vecchi programmi è uno solo: “Nigger go home”, torna a casa negro, perché “esalta il maschio bianco occidentale e mira a conservargli il dominio sui non-bianchi, sulle donne e sul Terzo mondo”. Così, “Controrivoluzione e rivolta” di Herbert Marcuse prese il posto di Cicerone, Goethe, Cervantes e Stuart Mill.

“Davanti a noi un eterno Mattino Magico”, scriverà Philippe Muray, che in quei mesi ascoltava e osservava, allibito, prendendo nota. “Qualcosa di strano e terribile, che non aveva ancora nome, si stava rivelando”, dirà lo studioso francese in seguito. “In un paese che non badava né alla dialettica né ai ricordi, per il bene dell’umanità si compiva la temibile unione dell’ottimismo progressista e degli spiritualismi più sfrenati. Dietro ai volti ostinatamente sorridenti che si vedevano in giro incombeva la minaccia. Una specie di religione stava venendo alla luce sotto gli auspici dell’Armonia, irrefutabile più delle religioni antiche e provvista delle risorse definitive, quelle per farsi accettare ovunque. Niente di ciò che avevo davanti agli occhi esisteva ancora altrove”.

Muray è scomparso nel 2006 a sessant’anni e non ha fatto in tempo a vedere che quello che allora aveva davanti agli occhi in nuce sarebbe dilagato in tutto l’occidente. Il grande wellness occidentale. Il Mondo Nuovo dei puritani. Però Muray nel 1993 fece in tempo a consegnare in libreria il suo saggio più corrosivo e importante, “L’empire du bien”, tradotto adesso in italiano dalle edizioni Mimesis.

 C’è tutto in quel libro, il culto dell’infanzia, la lotta per l’uguaglianza trasformata in imperativo paranoico e censorio, le isteriche rivendicazioni di giustizia che diventano sistemi persecutori, le richieste ossessive di protezione e “safe space”, i moralismi, la giustizia che corre sulla bocca di tutti, il puerilismo e le grandi guerre che una società buona e giusta deve vincere (razzismo, sessismo, omofobia).

Muray è stato il primo e il migliore dei saggisti francesi anti-moderni, il più elegante e allegro. I suoi bersagli erano numerosi, dai bobo alla femminilizzazione, dallo spettacolo della buona coscienza alla fluidità culturale, e poi ancora la miscela di generi e l’illusione di aver sradicato il male. “Nel nostro Paese delle Meraviglie il Bene non ha semplicemente nascosto il Male, ma ha addirittura vietato che il Male venga scritto, e che sia quindi sentito o visto. Orwell si è sbagliato di poco. Le tinte drammatiche della sua profezia gli hanno fatto mancare il bersaglio: il film-catastrofe del futuro ha tinte rosa pastello”.

Creatore di neologismi insuperati – il più famoso è l’Homo festivus – Muray era virtuoso, aggressivo, metteva a disagio con la sua malizia rabelaisiana. Il mondo che professava di prendere in giro lo aveva ribattezzato “Cordicopolis”, la città del cuore. Un “luminoso degenerare”, lo chiamava, in cui tutto si tiene: “La famiglia, le coppie, la felicità, i diritti dell’uomo, la ‘cultura adolescenziale’ degli hooligans, il business, la fedeltà e la tenerezza, tutti insieme appassionatamente, i padroni, le leggi di mercato ben temperate dalla dittatura della solidarietà, l’esercito, la carità, i figli voluti e rivoluti, i neoliceali che si credono yuppies, l’erotismo piccolo piccolo, la pubblicità cosmica, gli zulù che chiedono solo di essere riconosciuti. Tutti laccati, tutti leccati, lisciati, il Meglio del Meglio si diffonde, l’Eufemismo magnificato nel peggiore dei mondi migliori divenuto spaventosamente possibile”.

Muray si era formato come traduttore di scrittori anglosassoni (London, Melville, Kipling…) e aveva studiato lettere a Parigi. Uno spirito legato alla tradizione controrivoluzionaria di Joseph de Maistre e Leon Bloy, un novello Karl Kraus, l’apocalittico beffardo. In tanti si diranno allievi di Muray, Alain Finkielkraut, Jean Baudrillard e Michel Houellebecq, che lo considera uno dei più grandi geni letterari francesi del XX secolo.

Proprio come uno dei suoi oggetti di studio, Louis Ferdinand Céline, cui dedicò un celebre saggio che teneva dentro tutto, genio letterario e antisemitismo, Philippe Muray è riuscito a illuminare il dolce disastro contemporaneo, dove il “festival” è legge, “il figlio naturale di Debord e del web”. Alla fine era diventato il portavoce del movimento anti-giustizialista con la sua denuncia della correttezza politica e dell’infantilizzazione dei consumatori, ridotti a una “passività euforica” in un “asilo egemonico”. Era politicamente inclassificabile. Muray, analizzava le contraddizioni della società odierna senza proporre ritiri o rivoluzioni. Un vagabondo ideologico, un moralista per il quale il pensiero critico doveva essere un’arte. Quello che Muray intuì a Stanford era la tirannia dei buoni sentimenti. Nacque allora il “millennio in crisi iperglicemica”. Il mondo come fabbrica di piaceri e diritti. “Il Bene è la risposta anticipata alle domande che abbiamo smesso di farci. Piovono benedizioni da tutti i cieli, gli dèi sono caduti sulla terra, la seduta è tolta, olé! Non esistono alternative alla democrazia, alla coppia, ai diritti dell’uomo”. Un millenarismo che inghiotte tutto. “Ascoltate il vostro corpo, andate in palestra, tonificatevi. Cose buone dal mondo. Scoprite i benefici dell’acquagym, lottate tra le canne di bambù, abbattete il tempio Inca di cartapesta, anche voi potete entrare nel Regno Incantato”.

L’America che vide Muray divenne il terreno fertile per una “Nuova Bontà” che “guida il popolo contro sessismo, razzismo, discriminazioni di ogni tipo, maltrattamenti di animali, traffico d’avorio e di pellicce, contro i responsabili delle piogge acide, la xenofobia, l’inquinamento, la devastazione del paesaggio, il tabagismo, l’Antartide, i pericoli del colesterolo, l’Aids, il cancro eccetera eccetera”.

L’epoca dello zucchero senza zucchero, delle guerre senza guerra, del tè senza teina, del “dibattito in cui tutti sono d’accordo per dirsi che in fondo sì, domani sarà meglio di ieri”. Una storia che galoppa in cui “ci trattano con i guanti bianchi, ci cullano, ci proteggono dai pericoli. Un puro fatto grezzo, brutale, ci capitasse per davvero, ci metterebbe ko in due secondi. Il minimo evento è preannunciato, segnalato, telegrafato, con tanto anticipo che poi, quando succede veramente, sembra la commemorazione di se stesso”.

Questo bene assoluto e insindacabile Muray lo definisce “la vecchiaia del mondo”. “Non basta essere contro la morte, l’apartheid, il cancro, gli incendi boschivi; non basta volere la tolleranza, il cosmopolitismo, le feste dei popoli e il dialogo tra le culture; non basta condividere le sofferenze degli etiopi, dei nuovi poveri, degli affamati del Sahel. No, non è sufficiente. La cosa fondamentale è dirlo e ridirlo, ripeterlo mille volte al giorno”.

Viviamo in un’atmosfera di religiosità furiosa. “E non sto parlando della buona vecchia religione di una volta, perché l’ateismo avanza, lo vediamo tutti, l’indifferenza si diffonde, le grandi fedi di un tempo (quelle sì che erano veramente folli e, in quanto tali, potevano giustificare la follia religiosa) sono sostanzialmente sparite. La nostra religione è ancora più delirante: la vera fede, oggi, è credere nello Spettacolo”.

I nuovi misericordiosi sono “i cantanti, gli attori, gli sportivi, i creativi della pubblicità, sono loro, lo sappiamo, i veri modelli del nuovo esercizio di apologetica spettacolare. Vi sbattono in faccia il loro entusiasmo senza colpo ferire, con così tanto trasporto, si lanciano con così tanto fervore contro la droga, contro la miopatia congenita, contro le alluvioni, contro la fame nel mondo, per i diritti dell’uomo, per salvaguardare l’esistenza dei curdi, e con toni così convincenti, partecipi, commossi, che anche voi avete la sensazione, nel vederli scagliare le loro frecce coraggiose in pertugi tanto inesplorati, anche voi credete, per un attimo, che quelle Cause le abbiano scoperte loro”.

Anche il linciaggio indossa abiti buoni, progressisti, giusti. “Buttati fuori dalla porta, gli antichi riflessi di odio e di esclusione rientrano in fretta dalla finestra per scagliarsi contro nuovi capri espiatori sempre più incontestabili”. Un esercito della virtù, dice Muray, che ricorda la “polizia religiosa” saudita che pattuglia le vie per far rispettare la sharia, “vigilare perché i negozi rimangano chiusi durante le ore di preghiera e battere le donne che lasciano intravedere un centimetro di pelle. Forse succederà anche qui da noi, basta aspettare un pochino”.

Il consenso deve essere totale. “Il transessualismo di massa non è più un’utopia, anzi, è diventato la nostra realtà sostitutiva. Qual dolcissimo struggimento! Da una parte stanno le nozioni antipatiche: ‘frontiere’, ‘mutilato’; dall’altra ci sta la ‘trasgressione’, concetto brioso e totalmente innocuo. Il tutto culmina naturalmente nella celebrazione dell’‘essere androgino’, il paladino ideale, come è giusto, del nuovo ben pensare”.

E’ anche la morte del sesso in un tempo che sembra celebrarlo in ogni momento. Una fata morgana. “Mai come ora invece impazza, e impazzerà sempre di più, la ricerca dell’asessuale. Abbiamo creduto al trionfo dell’erotismo, in forma scritta o filmata, semplicemente perché per un attimo ci è sembrato fruttuoso, redditizio. Oggi è bell’e che finita. Si torna alle cose serie. L’odio contro il sesso si perpetua cercando nuovi e feroci punti di appoggio”. 

La “coppia” è il nuovo ideale. “Nei rapporti tra i sessi non c’è più alternativa alla coppia, ufficiale, di fatto, omo, etero, poco importa, purché sia coppia. Nella sfera privata l’Aids ha giocato un ruolo simile a quello avuto dal crollo del Muro di Berlino in politica. Non c’è più scelta, né per l’individuale né per il collettivo. Basta scelte nel sociale, basta scelte nel privato. Finito anche lì. Si cali il sipario. Il nostro mondo è pieno di riunificazioni meno commentate, certo, e più discrete dello scioglimento della Ddr, ma altrettanto traboccanti di strepitose novità per il futuro”.

Il dissenso è proibito. Si instaurano nuovi psicoreati. “Ci troviamo oggi in una situazione che ricorda – ma è mille volte peggio, è mille volte più inquietante – quella del Seicento, quando avere un’opinione propria, essere un individuo, mostrarsi come individuo costituiva la definizione stessa di eresia. La libertà di pensiero è sempre stata una malattia. Oggi, finalmente, possiamo dirci completamente guariti. Chi non declama il catechismo collettivo è additato come pazzo. Mai come oggi il gregge di coloro che guardano scorrere le immagini ha temuto che un minimo scarto, una variazione, potessero danneggiarlo. Mai come oggi il Bene è stato sinonimo di una condivisione così assoluta”.

Martella ogni giorno un solo messaggio: “La cultura è buona e giusta, il cinema è vita, la poesia è amore, il teatro vi aspetta e la pittura ci riguarda tutti”. Il bambino è il nuovo idolo. “Pass-partout intoccabile, il martire di tutti i Telethon, il diretto successore di quello che più vi aggrada: del Popolo, della Morale, dei Costumi e della Religione! Ma anche di Dio stesso, perché no? L’erede universale. Il Grande Feticcio. Il Frustino di tutte le scudisciate. In suo nome si vietano le visualizzazioni in rete ogni volta che si vuol fare fuori qualcuno… Ah! Il Bambino! I bambini salveranno il mondo!”.

Censori e delatori, eccolo i nuovi inquisitori soft. “Il dispotismo del Consenso molle ha tutt’altre caratteristiche, ugualmente spaventose. La sua forza sta nell’essere quasi invisibile e al tempo stesso effuso, diffuso, senza vie d’uscita, senza alternativa, non c’è possibilità di guardarlo dall’esterno e magari accerchiarlo, o almeno colpirlo, obbligarlo a reagire e quindi a mostrarsi, in modo che riveli così la potenza e la vastità del suo impero tirannico. Il Consenso molle trova la propria legittimazione – e gli indici di ascolto ne danno prova quotidiana – nell’essere desiderato da tutti, da tutti considerato come estrema forma di protezione”.

Per proteggere l’Impero del bene, si deve “stoppare chiunque abbia la vaga idea di pronunciare qualche cosa di non allineato, di ermeticamente non consensuale, di appena appena non identificato” e rientra in questa categoria “ogni idea che dal collettivo non parta per poi tornarvi immediatamente”. Si tratta di un immenso progetto terapeutico che consiste nel “trasformare la maggior parte di noi in militanti della Virtù, contro una minoranza di tardivi rappresentanti provvisori del Vizio che verranno fatti fuori gradualmente”.

E l’impero del bene ha i suoi tartufi. “E’ socio fondatore di varie associazioni NO a qualcosa, CONTRO qualcos’altro, ha frequentato le migliori università e scuole di specializzazione, è socialista moderato, o progressista scettico, o centrista del terzo tipo”.

E’ un nichilismo di tipo nuovo. “Quello di un tempo aveva foggia rossonera; oggi è rosa pallido, pastello tenue dal cuore d’oro, tarocchi New Age, yogurt bifidus, karma, muesli, sviluppo sostenibile delle energie positive, astrologia, esoterico-rilassante, occulto-rigenerante”. Il consenso si è liberato dal comunismo semplicemente realizzandolo. “Non è un’ironia della sorte che l’ignobile concetto americano di Politically Correct venga abbreviato Pc dai media. La collettivizzazione si è infine compiuta, tra musica e colori”.

Tutto e tutti devono sciogliersi, così che “lacrime, amore, passione, generosità ed effusioni annunciano l’imminenza di una nuova Età dell’oro”.

Il Pc uscì da Stanford per estendersi a macchia d’olio su tutta la cultura occidentale, accademie, libri, tv, giornali. “I cervelli sono kolchoz. L’Impero del Bene ha attinto a piene mani da quell’antica utopia: burocrazia, delazione, esaltazione appassionata della giovinezza, smaterializzazione del pensiero, abolizione dello spirito critico, addestramento osceno delle masse, annientamento della Storia a forza di attualizzazioni, appello Kitsch al sentimento contro la ragione, odio del passato, uniformazione degli stili di vita”.

Il trionfo dell’individualismo è una mera illusione, “una delle tante amene verità giornalistico-sociologiche di consolazione, quelle che ci sciroppano quotidianamente in un mondo in cui ogni singolarità, ogni particolarità è in via di estinzione”.

Sta morendo la grande letteratura: “Da sempre, la letteratura è fatta, almeno in linea di principio, per demolire le credenze del mondo. Se esistesse ancora la letteratura, se ci fossero ancora scrittori, anziché ‘autori’, anziché ‘libri’, forse ci si potrebbe divertire. Ogni opera di un certo respiro è sempre stata impavidamente antimoralistica, contro qualsiasi pastorale”. Oggi gli scrittori sono tutti “velati, sorridenti, zuccherosi”.

Una letteratura “addolcita, climatizzata, spianata, livellata pure lei, schiava della comunicazione, denicotinizzata, allineata, decatramizzata, aizzata a dovere”. Ma muore anche l’arte del postmoderno: “L’artista, oggi – che sia minimalista, concettuale, o estremo contemporaneo – sopravvive sempre in quanto specie protetta, residuo filantropico”.

Hannah Arendt immortalò la banalità del male. Philippe Muray ci ha regalato la sua evoluzione: la banalità del bene. “Questa società non partorirà che uomini muti o oppositori”. Non ci resta che allinearci.

“Il Paradiso è adesso!”.

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“Charlie Charlie Challenge”: sul web un gioco che allarma

Posté par atempodiblog le 1 novembre 2017

“Charlie Charlie Challenge”: sul web un gioco che allarma
L’ultima trovata in fatto di “intrattenimento giovanile” consiste nell’invocare un demone. Una vera e propria seduta spiritica semplificata per bambini e adolescenti
di don Aldo Buonaiuto – RomaSette

“Charlie Charlie Challenge”: sul web un gioco che allarma dans Anticristo Charlie-Charlie-Challenge-sul-web-un-gioco-che-allarma
L’ultima trovata in fatto di “intrattenimento giovanile” consiste nell’invocare un demone. Una vera e propria seduta spiritica semplificata per bambini e adolescenti

Nel web è dilagato tra i minori quello che viene presentato come un nuovo “gioco” – in realtà tutt’altro che innocuo – chiamato “Charlie Charlie Challenge”, che sta allarmando non solo i ministri della Chiesa, in primis gli esorcisti, ma anche educatori, insegnanti e medici laici. L’ultima trovata in fatto di “intrattenimento giovanile” – ci sarebbe da chiedersi quali menti occulte si nascondano dietro a tali invenzioni – consiste nell’invocare un demone.  Non in senso metaforico, come verrebbe da sperare, ma una vera e propria invocazione di uno “spirito malefico” di nome Charlie. Lo scopo proposto sarebbe quello di evocare l’entità per porgli delle domande su accadimenti presenti e futuri alle quali la creatura dovrà rispondere con un sì o con un no, facendo muovere una matita posta su una griglia.

È facile riconoscere in “Charlie Charlie Challenge” l’intenzione occulta di voler avvicinare i ragazzi a questo mondo tenebroso. Si tratta di una vera e propria seduta spiritica semplificata per bambini e adolescenti. In questo appuntamento medianico “versione 2.0”, il medium è sostituito dai partecipanti – spesso giovanissimi – e la griglia “sì/no” è solo una variante della cosiddetta tavoletta Ouija usata per far “parlare gli spiriti”. La tavola è costituita da una superficie piatta, generalmente in legno lucido, sulla quale sono disegnate tutte le lettere dell’alfabeto, i numeri dallo 0 al 9, un “sì” e un “no” e da un indicatore mobile. Gli utilizzatori pongono delle domande a imprecisate entità che farebbero muovere l’indicatore componendo la risposta utilizzando le lettere e le cifre disegnate sul supporto.

Le radici del “Charlie Charlie Challenge” sarebbero sconosciute, ma sul piano spirituale è indubbio che il suo ideatore sia il demonio. In rete girano solo notizie incomplete che farebbero risalire la pratica a quella sud-americana delle 6 matite, poiché la dinamica dell’evocazione sarebbe similare. Ma queste sono solo informazioni fasulle create ad hoc per nascondere una realtà ben più pericolosa: dietro a questa nuova deleteria “moda giovanile” spacciata per “passatempo”, si nascondono mani occulte che per ovvi motivi preferiscono rimanere nell’ombra, tra l’altro riuscendoci. Costoro hanno come scopo quello di iniziare i giovani all’occultismo e al satanismo.

La “bolla” è esplosa a fine aprile 2015 quando una stazione televisiva di notizie locali della provincia dominicana di Hato Mayor ha trasmesso un rapporto molto allarmista (e involontariamente divertente) su un “gioco satanico” in voga tra gli studenti adolescenti delle scuole. Da lì, gli utenti dei social media della Repubblica Dominicana hanno iniziato a condividerlo su Twitter, Instagram e Google. Risultato: entro la metà di maggio, la frase “Charlie Charlie” era una delle parole più twittate della Repubblica Dominicana, espandendosi poi facilmente nel web delle altre nazioni di lingua spagnola. Nel frattempo, durante un fine settimana, una ragazza di 17 anni dello Stato nordamericano della Georgia ha creato su Twitter l’hashtag #CharlieCharlieChallenge, il gruppo che, a quanto pare, tutti i ragazzi stavano aspettando considerando che, da maggio, è stato rilanciato sul social network più di 1 milione e 600 mila volte. È paradossale notare come il “fenomeno Charlie” si sia sviluppato dal tentativo – fallito – di frenare tale “moda” tra i giovani sudamericani.

Non sono quantificabili, infatti, i danni alla psiche e ancor più allo spirito provocati da certi “esperimenti” camuffati da giochi. Solo pochi giorni fa, i quotidiani colombiani hanno riferito di quattro ragazze adolescenti che sono state ricoverate per gravi crisi isteriche dopo aver giocato a “Charlie”. La diagnosi è stata di «isteria di massa con sintomi psicotici», come riferito da Juliana Cortazar, la direttrice dell’ospedale. Una volta calmate, le giovani sono state restituite alle famiglie e c’è da sperare che questa brutta esperienza sia di monito anche ad altri. Negli ultimi anni, denunciano gli psichiatri, sono decine gli adolescenti che sono ricorsi alle cure ospedaliere a seguito di “contatti” con demoni o entità ultraterrene durante una seduta spiritica.

I pericoli dell’invocazione demoniaca “domestica” non sono passati inosservati tra i membri della Chiesa. Tutte le infinite tipologie di pratiche divinatorie, infatti – dalla lettura della mano alla negromanzia, dagli oroscopi allo spiritismo – sono da sempre fortemente scoraggiati dalla comunità ecclesiale che non ha mai smesso di evidenziarne la pericolosità. Già nel III secolo d.C., gli apologeti cristiani solevano avvisare i maghi e gli idolatri: «Voi chiedete agli spiriti, ma risponde il demonio». Non esiste un modo per giocare innocentemente coi demoni senza aprire finestre difficili da richiudere nel mondo delle tenebre. Sono altre le esperienze spirituali da consigliare: la preghiera, i sacramenti, la Messa, il rosario.

Una battaglia, quella contro il diffondersi delle pratiche occulte, che vede in prima linea gli stessi esorcisti. Padre Amorth ha più volte messo in guardia sulla pericolosità delle pratiche divinatorie, «una moda in forte espansione». Infatti, sono molti quelli che, mossi dalla semplice curiosità o dalla volontà di conoscere eventi passati o futuri, cercano di evocare le anime dei defunti o “entità ultraterrene” – a volte presentate dai fantomatici medium come angeli custodi o creature benevole – durante delle sedute spiritiche. Secondo padre Amorth, questo fenomeno è direttamente proporzionale alla crisi di fede e i rischi che si corrono sono di duplice natura. Oltre ai traumi psicologici, si subiscono dei gravi danni spirituali dovuti all’intervento del demonio: dai “disturbi malefici” alla vera e propria possessione diabolica. Quindi, attenzione a non banalizzare: un gioco? Sì, ma del maligno.

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Il ‘dio’ del male

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2017

Il ‘dio’ del male
Negando il soprannaturale, non si riconosce più l’Anticristo. Una presenza più che mai attuale.
“La menzogna non è mai tanto falsa come quando si avvicina molto alla verità. E’ quando la pugnalata sfiora il nervo delle verità che la coscienza cristiana urla di dolore”(G. K. Chesterton, “San Tommaso d’Aquino”)
di Matteo Matzuzzi – Il Foglio
Tratto da: Articoli interessanti

Il 'dio' del male dans Anticristo Francis-Bacon-Studio-dal-ritratto-di-Innocenzo-X-olio-su-tel
Francis Bacon, “Studio dal ritratto di Innocenzo X, olio su tela (1953)

A volte, scriveva John Henry Newman, “il nemico si trasforma in amico, a volte viene spogliato della sua virulenza e aggressività, a volte cade a pezzi da solo, a volte infierisce quanto basta, a nostro vantaggio, poi scompare” . Parlare di Anticristo potrebbe richiamare l’idea di qualcosa di vecchio, d’antico, di ineluttabilmente superato dalla storia che avanza. Poi, scorrendo il Catechismo, si legge che “prima della venuta di Cristo, la chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il mistero di iniquità sotto la forma di un’impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne”. Non si dice se sia reale. se sia una presenza fisica o una rappresentazione ideale dei male, del mistero d’iniquità. appunto. Ma è un mistero più che mai vivo. Da poco l`editore XY.IT ha mandato in stampa L’Anticristo, un saggio scritto cinquant’anni fa in tedesco da Reinhard Raffalt, giornalista, storico. musicologo. Erano gli anni della contestazione, della crisi della chiesa davanti alla modernità, del Papa Paolo VI che – oltraggiato dai suoi stessi vescovi dopo la promulgazione dell’enciclica Humanae vitae - parlava di “fumo di Satana entrato da qualche fessura nel tempio di Dio”.

Chi è l’Anticristo?
Chi è l’Anticristo? “L’uomo ultimo, perfettissimo, capace di fare tutto correttamente nell’ambito dei limiti ben visibili dell’esperienza e della ragione umana”, risponde Raffalt. “Non si tratta dunque in alcun modo di un diavolo. Al contrario: l’Anticristo realizza alla lettera l’esortazione evangelica. Amerai il tuo prossimo come te stesso. E tuttavia nega contemporaneamente il presupposto dell’amore del prossimo che nel Vangelo appare nella proposizione che precede l’appena citata: Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Una persona reale, dunque.

E allora torna alla mente il monologo del Grande Inquisitore di Dostoevskij nei Fratelli Karamazov: “Tu avevi ragione. Il segreto dell’esistenza umana infatti non sta soltanto nel vivere, ma in ciò per cui si vive. Senza un concetto sicuro del fine per cui si deve vivere, l’uomo non acconsentirà a vivere e si sopprimerà piuttosto che restare sulla terra, anche se intorno a lui non ci fossero che pani”, dice a Gesù tornato sulla terra il Grande Inquisitore. E’ calata la notte nello squallore della cella in cui il Messia era stato rinchiuso prima che la gente potesse riconoscerlo. Il vecchio ministro della chiesa, il capo della Santa Inquisizione, però ha subito capito che quello era davvero il figlio di Dio, a Siviglia, in pieno Sedicesimo secolo. Gli si avvicina, lo squadra per bene e lo accusa di essere tornato tra gli uomini a rovinare i suoi piani volti a creare un’armonica convivenza tra tutti i popoli.

Questo è giusto”, aggiunge: “Ma che cosa è avvenuto? Invece di impadronirti della libertà degli uomini, tu l’hai ancora accresciuta. Avevi forse dimenticato che la tranquillità e perfino la morte è all’uomo più cara della libera scelta fra il bene e il male? Nulla – sentenzia l’Inquisitore – è per l’uomo più seducente che la libertà della sua coscienza, ma nulla anche è più tormentoso. Ed ecco che, in luogo di saldi princìpi, per acquietare la coscienza umana una volta per sempre, tu hai scelto tutto quello che c”è di più inconsueto, enigmatico e impreciso, hai scelto tutto quello che superava le forze degli uomini, e hai perciò agito come se tu non li amassi per nulla. E chi ha mai fatto questo? Colui che era venuto a dare per essi la sua vita”. L’ideale evangelico è improponibile per lo sciagurato peccatore mondano, dice l’Inquisitore. “E se migliaia e decine di migliaia di esseri ti seguiranno in nome del pane celeste, che sarà dei milioni e dei miliardi di esseri che non avranno la forza di posporre il pane terreno a quello celeste?”.

Eccola la tentazione, il rimprovero di Satana nel deserto, “Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane”: dimostra la tua potenza con le cose di quaggiù. in modo che tutti possano onorarti e osannarti come loro re. E’ un monologo quello dell’Inquisitore, l’Anticristo che si proponeva di correggere Cristo, che illustra il piano per edificare un regno di questo mondo ove tutti potessero essere felici, senza l’illusione portata da quel falegname di Nazaret morto in croce. Gesù lo ascolta, non dice nulla. Si permetterà solo un gesto, alla fine: un bacio, come quello che lui, secoli e secoli prima aveva ricevuto da Giuda.

Com’è distante questo vegliardo dall’idea teorizzata da Origene, secondo cui l’Anticristo non aveva alcun tratto reale, bensì era poco di più che un simbolo di tutto ciò che nega la verità. No, l’Anticristo dostoevskijano è un uomo vivo, un essere razionale. Il male travestito da bene.

Il superuomo richiamato anche da Nietzsche, l’onnisciente e onnipotente “uomo del futuro narrato” da Solov’ev: “Il Cristo è stato il riformatore dell”umanità, predicando e manifestando il bene morale nella sua vita, io invece sono chiamato ad essere il benefattore di questa umanità, in parte emendata e in parte incorreggibile. Darò a tutti gli uomini ciò che è loro necessario”. Ecco il richiamo all’Inquisitore, il propiziatore della felicità terrena, che distribuisce pane vero che si può vedere e toccare, altro che il pane celeste. L’Anticristo è sempre uguale, si presenta bene: “ll nuovo padrone della terra era anzitutto un filantropo, pieno di compassione e non solo amico degli uomini, ma anche amico degli animali. Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione e sottopose i mattatoi a una severa sorveglianza; le società protettrici degli animali furono da lui incoraggiate in tutti i modi. La più importante di queste sue opere fu la solida instaurazione in tutta l’umanità dell’uguaglianza che risulta essere la più essenziale: l’uguaglianza della sazietà generale”, scrive Solov’ev.

Offre tutto a tutti: “Popoli della terra! Vi do la mia pace! Popoli della terra! Si sono compiute le promesse! L’eterna pace universale è assicurata! Ogni tentativo di turbarla incontrerà immediatamente una insuperabile resistenza. Giacché d’ora in poi c’è sulla terra una potenza centrale più forte di tutte le altre potenze, sia prese separatamente che prese insieme”. Convoca un concilio a Gerusalemme per l’unione di tutti i culti, ripete le promesse, assicura che nulla potrà più turbare l’armonia decisa da lui, il superuomo. Chiede a vescovi e padri, teologi e laici illuminati di salire sul palco con lui. In cambio d”ogni concessione chiede una cosa soltanto, “che dall’intimo del cuore riconosciate in me il vostro unico difensore e unico protettore”. La folla si sposta, sale, urla di gioia pronta a riverire l’imperatore. Pochi restano giù, il superuomo li guarda, tentenna e dice: “Strani uomini! Che volete da me? Io non lo so. Ditemelo dunque voi stessi, o cristiani abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi, condannati dal sentimento popolare. Che cosa avete di più caro nel cristianesimo?”. La risposta che dà lo starets Giovanni gli fa perdere ogni ritegno, cade l’abito bello con cui aveva nascosto la sua vera natura: “Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da lui, giacché noi sappiamo che in lui dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità”. E’ una risposta che sconcerta l’imperatore: Cristo stesso è ciò di cui l’uomo ha più caro. Non il pane bianco o i dogmi. Neppure i valori. No, solo Cristo. Cioè l’unica cosa che lui, l’Anticristo, non poteva dare. Una risposta che gli fa capire quanto la sua potenza mondana non sia nulla davanti all’infinito.

I suoi regni, i suoi troni, le sue marce trionfali “dell’Umanità unita” non valgono niente, sono polvere, proprio come le città che Satana nel deserto aveva mostrato a Gesù. Miraggi vani. Ora si comprendo quel silenzio opposto da Cristo al lungo monologo dell’Inquisitore, interrotto solo da un bacio finale.

Sono piani diversi, l”Anticristo – pur dandosi da fare – anche con la sua “ardente dedizione al bene comune”, non può fare nulla dinanzi a Cristo perché è quest’ultimo, come scriveva san Paolo, “la consistenza di tutte le cose. Tutto consiste in lui”. Senza di lui, nessuna opera bella o insieme di regole dotte e meditate può avere senso

ll mondo ideale dell’imperatore è lo stesso del Grande inquisitore di Dostoevskij ed è lo stesso del Padrone del mondo profeticamente narrato da Robert Hugh Benson all’inizio del Novecento. Un mondo in cui a Cristo si sostituisce un generico umanitarismo, dove la differenza tra le religioni è annullata, dove la tolleranza universale diviene il mantra predicato ovunque. Julian Felsenburgh è l’Anticristo di Benson, che vedrà proprio nella chiesa cattolica l’ltimo argine alla vittoria di questo filantropo, che come in Solov’ev ha i tratti del carismatico uomo politico cultore della pace mondiale. Una chiesa che però viene annientata, vinta dalle idee del progresso che Benson descrive già con incredibile lucidità: dall’eutanasia legalizzata alla crisi del sacerdozio, fino al punto da immaginare le due “strade simili a circuiti di gara, ognuna larga almeno quattrocento metri, immerse sei metri sottoterra”.

Il mondo e le opere dell’uomo trionfavano a vista d’occhio”; un mondo in cui l’uomo sente di aver raggiunto l’agognata perfezione e per questo può fare a meno di Dio. Vivendo proprio “come se Dio non esistesse”, scriveva al principio del millennio Giovanni Paolo II, la cui fotografia della realtà sembra una pagina tratta dal Padrone del mondo: “Alla radice dello smarrimento della speranza sta il tentativo di far prevalere un”antropologia senza Dio e senza Cristo. Questo tipo di pensiero ha portato a considerare l’uomo come il centro assoluto della realtà, facendogli così artificiosamente occupare il posto di Dio e dimenticando che non e l’uomo che fa Dio ma Dio che fa l`uomo. L’aver dimenticato Dio ha portato ad abbandonare l’uomo, per cui non c’è da stupirsi se in questo contesto si è aperto un vastissimo spazio per il libero sviluppo del nichilismo in campo filosofico, del relativismo in campo gnoseologico e morale, del pragmatismo e finanche dell’edonismo cinico nella configurazione della vita quotidiana”. Karol Wojtyla la chiamava “apostasia silenziosa”, quasi fosse un’assuefazione, lenta ma progressiva e destinata a emergere con tutta la sua forza.

Benson descrive questo mondo, con tutti, dai ministri ai preti che si innamorano di Felsenburgh, che in lui ripongono false speranze. La fede è ormai già persa, non se ne discute neppure. Quel che è più grave e che s’è smarrita la capacità di riconoscere l’Anticristo perché si è scelto di negare il soprannaturale.

Si prenda Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov, ambientato nell’ateismo di stato sovietico. All’inizio del romanzo, su una panchina presso gli stagni Patriarsie, due letterati, Berlioz e Bezdomnyj discutono di Gesù Cristo. “Bezdomnyj aveva tratteggiato il personaggio principale del suo poema, cioè Gesù, a tinte molto fosche, eppure tutto il poema, secondo il direttore, andava rifatto di sana pianta”, scrive Bulgakov: “Il suo era un Gesù del tutto vivo, un Gesù che un tempo aveva avuto una sua esistenza anche se, a dire il vero, era un Gesù  fornito di tutta una serie di attributi negativi. Berlioz invece voleva dimostrare al poeta che la cosa principale non era chi fosse Gesù, se fosse buono o cattivo, ma che questo Gesù storicamente non era mai esistito sulla terra e che tutti i racconti che si facevano su di lui erano semplici invenzioni, che si trattava di un normalissimo mito”. Sarà il diavolo in persona, sotto le mentite spoglie d’un cortese gentiluomo straniero poliglotta, a smentirli: “Tengano presente che Gesù è esistito”.

Il mondo ateo che nega Cristo e che per questo perseguita la chiesa ricorre un po’ ovunque nella letteratura moderna sull’Anticristo. Scorrendo le pagine di Solov’ev e di Benson sorge quasi spontanea la domanda su cosa si debba fare, nella disperazione ovvia e naturale che si prova dinanzi all’edificio che crolla. In cosa sperare, quali riferimenti fissare mentre l’apostasia e l’assuefazione diventano ordinarie. Scriveva Newman nel Biglietto Speech che lesse appena ricevuta la notizia della sua creazione cardinalizia, nel 1879, che “la chiesa non deve fare altro che continuare a fare ciò che deve fare, nella fiducia e nella pace, stare tranquilla e attendere la salvezza da Dio”.

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Esorcisti: la festa di Halloween sfruttata dai satanisti

Posté par atempodiblog le 30 octobre 2016

Esorcisti: la festa di Halloween sfruttata dai satanisti
Per padre Francesco Bamonte, presidente dell’Associazione Internazionale degli Esorcisti, la notte di Halloween del 31 ottobre è “tutt’altro che uno scherzo”. “In alcuni siti internet di personaggi per bambini – afferma – si possono trovare link dai quali si accede direttamente ai siti di satanismo e magia nera”. “I pianificatori sociali del male – aggiunge – sanno che abituando i bambini sin dai primi anni di vita alla familiarità e alle immagini del linguaggio occultista, in età adulta rischiano di essere indotti all’occultismo vero e proprio che può diventare, per le nuove generazioni, l’alternativa al cristianesimo”. Luca Collodi, per Radio Vaticana, ne ha parlato con don Aldo Buonaiuto, sacerdote esorcista e coordinatore generale del Servizio Antisette della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi:

Esorcisti: la festa di Halloween sfruttata dai satanisti dans Anticristo halloween-e-zucche-vuote

R. - Il 31 ottobre non è tanto la festa di Halloween – non dovremmo definirla una festa – ma, come la definisco io, un fenomeno. Perché il 31 è la vigilia della festa di Ognissanti. Già questa parola “Halloween” non andrebbe utilizzata perché, purtroppo, riconducibile ad un altro fenomeno della modernità. Quello legato al capodanno dei satanisti e dell’esaltazione del mondo dell’occultismo, con tutto il suo horror e con tutto il macabro che rappresenta. Noi cristiani celebriamo la Festa dei Santi, la festa di persone realmente esistite, non fantasmi, zombie, vampiri, mostri, mostriciattoli, ma persone eroiche che hanno dato la vita nella storia della cristianità, con la capacità di cambiare gli eventi della storia nella direzione del bene.

D. – Ma in verità, don Buonaiuto, dobbiamo dire che la gente, alla fine, festeggia comunque Halloween senza molti problemi…
R. – E’ un fenomeno e, per alcuni appunto una festa, che non riguarda la nostra tradizione. Si mischiano aspetti che, sia pure in libertà di coscienza, un cristiano non può non criticare. A partire dall’enorme indotto commerciale prodotto. Fu Papa Sisto IV, nel 1480 a solennizzare definitivamente la Festa di Ognissanti. Perché le superstizioni portavano i contadini, gli allevatori non solo a pregare, ma anche a ingraziarsi questi spiriti delle tenebre all’inizio dell’inverno. Contadini e allevatori ripercorrevano ciò che accadeva al tempo dei druidi, quando questi sacerdoti andavano di casa in casa per chiedere l’offerta.

La domanda non era “ Trick or treat?”, “Dolcetto o scherzetto?”, ma era: “Offerta o maledizione?”, cioè: “Dai l’offerta perché si faccia la festa del principe Samhain, colui al quale il dio Sole deve lasciare il posto affinché ci sia protezione nella famiglia, nel raccolto, nell’allevamento? ». Quindi: “Vuoi ingraziarti questo principe delle tenebre chiamato Samhain, oppure preferisci che la maledizione arrivi nella tua casa, nel tuo lavoro?”. Poi, con la presenza in modo particolare degli irlandesi negli Stati Uniti, questa tradizione, superstizione, diventa per un periodo prevalentemente riconducibile al mondo commerciale e ai bambini.

D. – Per padre Bamonte, il responsabile degli esorcisti di tutto il mondo, si tratta di una celebrazione esoterica. E Halloween è il capodanno di satana…
R. – Sì. E’ il capodanno di satana perché anche i satanisti hanno un loro calendario. E in questo calendario il mese di ottobre è quello votato all’adescamento di nuovi adepti e alla sua preparazione, perché questo evento viene preparato per tutto il mese. Addirittura, credono che quanti, anche indirettamente, partecipano a questo fenomeno chiamato “Halloween” e che celebrano questo rituale di esaltazione, possano partecipare all’adorazione e al culto di satana.

D. – Don Bonaiuto, lei ci dice che attraverso un elemento ludico, talvolta di scherzo, si cela un possibile ingresso al mondo dell’occulto?
R. – Ecco, questo è il messaggio che noi dobbiamo dare a tutti coloro che ci ascoltano. Guai però a estremizzare. E’ infatti pericoloso quel voler per forza vedere il diavolo dappertutto, ma è altrettanto pericoloso l’estremo opposto, quello di banalizzare, ridicolizzare e relativizzare ciò che invece può essere un apripista ad un mondo molto pericoloso.

Dalla nostra esperienza, dal numero verde Antisette della Comunità Papa Giovanni XXIII, (800.228.866) vediamo come spesso dietro ai ragazzi ci sia sempre qualche mente diabolica e la presenza di adulti. Quindi attenzione. Un’attenzione in più da parte delle famiglie sui loro figli, proprio perché questo lato oscuro di Halloween non continui a produrre danni in particolare sui giovani.

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Se è il tipo che mi pare sia, tenta il pacifismo…

Posté par atempodiblog le 5 août 2016

Se è il tipo che mi pare sia, tenta il pacifismo... dans Anticristo Lewis

[...] se è il tipo che mi pare sia, tenta il pacifismo.

Qualunque strada egli prenda, il tuo compito principale sarà sempre lo stesso. Incomincia con il fargli trattare il patriottismo o il pacifismo come parte della sua religione. Poi, sotto l’influsso dello spirito di partigianeria, fa in modo che lo consideri come la parte principale. 

Poi, senza chiasso e per gradi, curalo in maniera da portarlo al livello nel quale la religione diviene soltanto una parte della “Causa”, nel quale il cristianesimo è valutato principalmente per gli argomenti eccellenti che può produrre in favore dello sforzo bellico britannico o del pacifismo.

L’atteggiamento dal quale è necessario che tu lo difenda è quello nel quale gli affari temporali vengono trattati soprattutto come materiale per l’obbedienza.

Una volta che sarai riuscito a fare del Mondo il fine e della fede un mezzo, avrai quasi guadagnato il tuo uomo, e poco importa il genere dello scopo mondano al quale tenderà.

Una volta che i comizi, gli opuscoli, le mosse politiche, i movimenti, le cause, e le crociate, saranno per lui più importanti delle preghiere e dei sacramenti e della carità, sarà tuo – e più sarà “religioso” (in quel senso) e più sicuramente sarà tuo.

Te ne potrei far vedere una gabbia abbastanza piena laggiù.

Tuo affezionatissimo zio,

Berlicche*

Tratto da: Le lettere di Berlicche di C. S. Lewis

E’ un funzionario di Satana di grande esperienza che istruisce un giovane diavolo apprendista, Malacoda, suo nipote, spiegandogli i mezzi e gli espedienti più idonei per conquistare (e per dannare) gli uomini.

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La donna e il drago

Posté par atempodiblog le 18 juillet 2016

La donna e il drago
Padre Livio Fanzaga – Radio Maria

La donna e il drago dans Anticristo Immacolata_Concezione_Giambattista_Tiepolo

Cari amici, dall’11 Settembre 2001, data emblematica dell’inizio del terrorismo fondamentalista  come nuova forma di guerra che mira all’annientamento  di tutto e di tutti, il mondo sta diventando sempre più insicuro, in particolare le città dell’Occidente.

Che cosa ci aspetta nell’immediato futuro? Con quali armi affrontare diluvio di odio e violenza che incombe? Quale sarà lo sbocco di questa folle corsa verso la catastrofe?  La ragione vacilla di fronte a questi interrogativi e sorge il dubbio che, per quanto gli Stati si diano da fare, difficilmente verranno  a capo da questo scatenamento infernale dell’impero delle tenebre. Solo lo sguardo della fede ci aiuta a capire quello che sta accadendo e quali siano i veri contorni della battaglia.

Come da ormai 35 anni ci rivela la Regina della pace,  dietro le vicende umane è in atto una grande battaglia fra il bene e il male, fra l’amore e l’odio, fra la Donna vestita di sole e il dragone infernale. In palio c’è la salvezza di innumerevoli anime e lo stesso futuro dell’umanità, che sta correndo verso l’abisso dell’autodistruzione.

Per uscire vincitori da questo tremendo passaggio storico non bastano i mezzi umani, per quanto necessari. Il nemico da respingere infatti è Satana, che vuole l’odio, vuole la guerra e vuole distruggere lo stesso pianeta sul quale viviamo.

Per questo la Madonna invita i suoi figli, che hanno rinnegato Cristo e si sono illusi di costruire un mondo senza Dio, a ritornare a lui con la preghiera, la fede e la conversione. Questo cambiamento dei cuori otterrà da Dio la grazia della sapienza, della forza e del coraggio per uscire dalla grande tribolazione e per  entrare nel nuovo mondo della pace.

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Dies Irae

Posté par atempodiblog le 13 mars 2016

Dies Irae
di don Luigi Giussani - Scuola di Comunità, Comunione e Liberazione
Fonte: Tracce

L'accusatrice dei fratelli

La presentazione di don Giussani del film di C.T. Dreyer, pubblicata nel 1996 nel libro Le mie letture della collana Bur “I libri dello spirito cristiano”

La drammaticità che introduce nella vita il senso religioso, così come la vediamo documentata in Dio ha bisogno degli uomini diventa tragedia per l’uomo pensoso, capace di riflettere su di sé veramente: questo è il messaggio amaro, tremendo, grandioso di questo film (Dies Irae; ndr).

Potenza artistica di dizione, di comunicazione di questo film. Un film che comincia come silenzio, le prime battute colme di silenzio segnano il tono dominante di tutto il film. Tutte le parole del film si potrebbero riassumere in tre o quattro pagine di quaderno. Eppure non c’è film che più di questo parli con bordate potenti al cuore.


Le prime sequenze colme di silenzio sono rotte da una frase della strega: «Grande è la potenza del male»: è il titolo reale del film. Grande è la potenza del male che si insinua nella illusione cui è proclive il cuore del singolo, che penetra dentro il tenore normale della folla immediatamente pronta alla violenza contro ciò che non corrisponde alla propria immagine ideale: la strega, appunto. Ma che si insinua e domina anche nel cuore della grande figura del pastore protestante: il protagonista del film, il detentore, il proclamatore e l’amatore della legge. Del resto, tutto questo non gli ha impedito di scegliersi come sposa, già anziano, una giovanissima ragazza; non ha tenuto in considerazione il capestro che le metteva, il destino soffocante cui la costringeva e il prezzo di questa scelta, vale a dire l’eccezione alla regola.

Infatti, avrebbe dovuto condannare, secondo le sue regole, la madre di questa ragazza che era una strega, ma non la condanna contravvenendo alla sua coscienza. Grande è la potenza del male, che perturba dapprima e corrompe la freschezza giovanile della giovane moglie, che investe la volontà e i sensi del figlio del pastore. Anche la moglie dimostrerà di possedere lo spirito malefico della strega sua madre. La giovane moglie del pastore, piena di vitalità, angustiata e imprigionata da quel rapporto, cercherà di liberarsi con il figlio. Però è nel sangue il male, ha ereditato dalla madre il potere magico della stregoneria.

La donna che si vede al principio è un’amica della madre, e al contrario di quella sarà condannata al rogo, e dice al pastore: «La mia amica non l’avete condannata; come hai fatto eccezione per lei, così falla per me».

Grande è la potenza del male: e infatti il desiderio della giovane moglie, carico di questo potere strano, farà morire il pastore.

Che cosa può un uomo di fronte a questa potenza del male? Ecco, allora, il vero significato del film: la drammaticità del senso religioso diventa tragedia nell’uomo pensoso. Il soggetto di questo messaggio, il personaggio che mostra questa tragedia è l’incarnazione del protestantesimo: l’interpretazione più profonda che la coscienza umana abbia dato del senso religioso è senza dubbio l’interpretazione protestante.

Contro il male l’uomo non può fare nulla. Può irarsi fino a reagire con violenza (bruciare la strega), ma non può niente. E l’umiliazione che porta nel cuore per tutta la vita il pastore protestante, in fondo consapevole dell’errore cui ha aderito e cui aderisce, nonostante le parole e il suo ruolo pieno di dignità, di guida del popolo, è una dimostrazione di questa impossibilità dell’uomo a resistere al male. È una documentazione di quello che la tradizione della Chiesa chiama «peccato originale», questa sorgente amara e ambigua che sta alla radice di ogni nostra azione, alla radice di ogni vita.

Però Cristo è venuto per questo male, Dio è venuto a liberarci da questo male. Come? Secondo la visione protestante, ponendo la speranza nell’aldilà, in una realtà senza connessione con il presente, senza rapporto con il presente, come incombenza astratta, come nuvole sulle cose umane. Ecco, questo è l’unico sollievo che può venire all’uomo pensoso che scopre in sé la tragedia del male: la speranza nell’aldilà, nell’aldilà dove c’è la misericordia.

La strega, poco prima di essere condannata al rogo, si rivolge al pastore e dice: «Liberami, come hai liberato la madre di tua moglie!». E il pastore le ripete: «Coraggio, tra poco sarai libera», cioè dopo il fuoco, nell’aldilà. «Ma è nell’aldiqua che io voglio vivere!» dice la strega, giustamente, umanamente. Ma non ottiene risposta.

Il culmine del film è l’ultima sequenza, quando, dopo la morte improvvisa del pastore, sua madre, l’arcigna custode del giusto, accusa, durante il funerale, davanti al popolo, come causa della morte del figlio, la nuora. L’accusa di essere una strega come sua madre. E la parola conclusiva, l’ultima del film, è l’espressione del viso della giovane moglie del pastore che, con gli occhi pieni di lacrime, dice: «I miei occhi sono pieni di lacrime e nessuno me le asciuga».

Così è spiegata la contraddizione con l’episodio del film in cui lei piange nel vedere la morte della strega sul rogo e il figlio del pastore accorre da lei e, vedendola tra le lacrime, le dice: «Io te le asciugo». La sostanza della vita non è così: quella è solo una breve compagnia illusoria. Il senso della vita come emerge in questo film è più esatto nell’ultima espressione: «I miei occhi sono pieni di lacrime e nessuno me le asciuga».

Un cristianesimo, dunque, che incombe sulla vita moralisticamente, perché indica solo l’aldilà. Si ha così una proclamazione della legge che fa venire a galla più chiaro, potente, il senso del peccato, la coscienza del male che è in noi, il senso dell’ambiguità, dell’impostura, della menzogna che è in noi. Perché senza legge, come dice anche san Paolo, l’uomo si accorgerebbe di meno di questa impostura che è in lui. Un cristianesimo così incombe su questo mondo, grava soltanto come comunicazione di leggi morali, che esaltano il senso del male, ma per cui non c’è nessun rimedio.

Il rimedio sta in un aldilà che alla nostra vita quotidiana, alla nostra aspirazione e al nostro dolore quotidiano non ha nulla da dire. È solo una proposta di fuga. Tu, strega che stai per essere bruciata, pensa all’aldilà.

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L’omicidio “per vedere che effetto fa”. Il delitto di Roma e l’oscenità che bisogna riconoscere

Posté par atempodiblog le 9 mars 2016

L’omicidio “per vedere che effetto fa”
Il delitto di Roma e l’oscenità che bisogna riconoscere
di Maurizio Cecchetti  – Avvenire

omicidio roma

Esiste una oscenità che non ha a che fare con la perversione sessuale. È qualcosa di molto più profondo e insondabile. Esiste una oscenità che è piacere nel vedere soffrire l’altro, un sadismo che cela conflitti profondi in chi ne è attore e vittima. Ha la sua lontanissima origine nel sacrificio rituale, con la differenza che il capro espiatorio muore per una legge stabilita dalla comunità intera, e anzi la sua morte deve servire a placare la vendetta della divinità. 

Il caso di Roma dove due studenti uccidono un ragazzo più giovane facendolo prima soffrire, seviziandolo e infine guardandolo mentre agonizza con un coltello piantato nel petto, può far pensare a un caso di follia indotta da eccessi di droga, di sessualità estrema, di noia che spinge alla ricerca di emozioni forti, sempre più forti. In realtà, questo caso mette alla prova (una delle tante ormai nella cronaca quotidiana) le nostre categorie per giudicare l’orrore. 

Ma rispetto al delitto efferato, anche il più terribile (quello, per esempio, di una madre che uccide i suoi bambini: Medea ne ha espresso tutte le sfaccettature), al delitto dei due ragazzi si aggiunge un elemento morboso: il piacere di guardare la morte di qualcuno. Non è nuovo, in sé. Esiste un genere di film pornografici “amatoriali” chiamati snuff dove uno degli attori soffre e poi muore davanti alla cinepresa, ma non è finzione, è l’orrenda verità. Qui siamo sulla soglia limite che si è manifestata anche giovedì scorso. Uno dei due ragazzi avrebbe dichiarato poi che lui e l’altro compagno nel delitto, imbottiti di droga e alcol, hanno inflitto ogni sorta di violenza e infine la morte, per «vedere che effetto fa». 

Nessuna generalizzazione può essere fatta, ovviamente, ma è chiaro che si tratta di qualcosa che, nella logica, è simile agli snuff: uccidere per il piacere voyeuristico di qualcuno. È qui che si svela il punto in comune con la normale pornografia: il voyeurismo che riduce l’altro a un’immagine, a un film in diretta che finisce col sacrificio reale della vittima, per il proprio puro godimento. Droga e alcol posso aver rotto ogni inibizione nei due ragazzi, ma è certo che il rilascio dei freni è avvenuto in chi già cercava qualcosa di estremo. Perché in un angolo oscuro della sua mente, lo desiderava. Mentre negli altri, in noi, produce disgusto. 

È una soglia che implica una “diversità” umana, non anzitutto sessuale. Disgusto e desiderio, i due opposti che ci fanno riconoscere ciò che è osceno. Originariamente, la parola non aveva il significato che siamo soliti attribuirgli oggi: laido, orrendo, contro il pudore. Aveva, piuttosto, il senso di qualcosa che “porta male”, forse il sintomo che fa venire alla luce un malessere che riguarda tutti, riguarda il mondo che vogliamo e che stiamo creando. Sarà casuale che nelle società dove i nuovi media hanno maggior sviluppo proliferino pratiche esibizioniste, narcisiste, mitomanie di ogni tipo; che la pornografia sia in crescita e che a tutto questo corrisponda un voyeurismo sempre più diffuso? L’altro diventa lo strumento di un piacere che non si realizza mai, e infatti sposta sempre più in là il limite dell’eccesso. 

Uccidere un ragazzo «per vedere che effetto fa» significa aver superato questo limite che separa finzione e realtà. Essere investiti da questo teatro della crudeltà, in cui anche la vittima inconsapevolmente si è fatta attirare forse col miraggio dei soldi o forse per banale curiosità, non può non interrogarci. Per non arrivare alla pornografia della morte bisogna credere che il corpo dell’altro non è soltanto materia animata, è sacro perché inseparabile dalla persona che è. Il filosofo Max Scheler scrisse che il sentimento del pudore nasce dalla caduta originaria: il pudore è il velo protettivo sulla nostra nudità. Violare quella soglia è, dice Scheler, una de-animazione dell’individuo. 

E per poterlo guardare morire, i due ragazzi di Roma hanno prima dovuto privare quel loro più giovane amico del suo velo protettivo. Sono tante le ombre che si addensano in questo quadro.

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L’Anticristo è già tra noi

Posté par atempodiblog le 26 février 2016

L’Anticristo è già tra noi
di padre Piero Gheddo – Il blog di padre Gheddo

Padre Piero Gheddo

L’Anticristo è il Demonio e tutte le forze del male che si oppongono alla venuta del Regno di Dio e di Cristo negli ultimi giorni, ma anche nella storia dell’uomo (Apocalisse, I e II Lettera di Giovanni, II Lettera di Paolo ai Tessalonicesi). Ma è anche il titolo del libro di Friedrich Nietzsche (1844-1900), che un laico cattolico, Agostino Nobile, ha commentato nel volumetto pubblicato nel luglio 2014: “Anticristo superstar” (Edizioni Segno, Udine – pagg. 120). Agostino Nobile, sposato e padre di due figli, professore di storia della musica, 25 anni fa decise di lasciare l’insegnamento per studiare le culture non cristiane ed è vissuto per dieci anni nel mondo musulmano, indù e buddista, esperienza che ha rafforzato la sua fede cattolica. Nobile vive oggi in Portogallo con la sua famiglia, si dedica agli studi per approfondire la sua fede e ha lavorato fino ad un anno fa come pianista e cantante.

Ecco le battute di partenza di “Anticristo superstar”: “Quando anni fa mi capitò di leggere L’Anticristo di Friedrich Nietzsche, pensai di trovarmi di trovarmi di fronte ad un insano di mente. Oggi l’Anticristo è diventato il Referente imprescindibile di tutti i governi occidentali. Se a Friedrich Nietzsche avessero detto che in poco più di cent’anni il suo “Anticristo” sarebbe stato una superstar, l’avrebbe considerata una ridicola provocazione” (il libro di Nietzsche è del 1888) .

E continua: “L’Anticristo ha persuaso l’uomo che potrà essere felice solo quando soddisferà liberamente i propri istinti, eliminando il concetto del bene e del male, il concetto del bene e del peccato. Il peccato, si sa, pesa, e l’idea di liberarsene una volta per tutte, oggi più che mai è diventata una vera smania. Nel secolo scorso l’Anticristo ci convinse che “Dio è morto”, per poi eliminare milioni di esseri umani (attraverso le ideologie ispirate a questa convinzione). Oggi ci ha intruppati in una nuova ideologia, per annullare la natura stessa dell’uomo. Nel suo piano muta i metodi, ma il fine è sempre lo stesso: dimostrare a Dio che la sua creatura prediletta è l’essere più idiota del creato”.

Il pamphlet di Nobile, di poche pagine ma denso di fatti e di idee e facile da leggere, è tutto un esame storico e attuale di come l’idea centrale di Nietzsche e le altre espressioni seguenti si stanno realizzando. La convinzione basilare di Nietzsche è questa: “Io definisco il cristianesimo l’unica grande maledizione, unica grande intima perversione, unico grande istinto di vendetta, per il quale nessun mezzo è abbastanza velenoso, occulto, sotterraneo, piccino. Io lo definisco: l’unico imperituro marchio di abominio dell’umanità”.

Agostino Nobile affronta L’Anticristo a mo’ di botta e risposta. Ha estratto dal volume del filosofo tedesco le molte proposte e previsioni che riguardano la “Guerra mortale contro il vizio e il vizio è il cristianesimo” e con una carrellata storica di duemila anni dimostra con riferimenti storici e attuali, come questi sogni di Nietzsche si sono gradualmente realizzati e ancor oggi si stanno realizzando, con l’educazione dei minori, la cultura dominante, i costumi e le leggi che riportano i popoli cristiani a ridiventare pagani. Il capitolo più provocatorio per noi, uomini d’oggi, è quello finale col titolo Anticristo Superstar (che è quello del libro divulgativo), dove Agostino Nobile dimostra che nel nostro tempo la “guerra mortale contro il cristianesimo” è giunta quasi al termine, poiché i sogni di Nietzsche stanno influenzando e orientando i governi dei paesi cristiani (cioè occidentali) e l’Onu con i suoi organismi.

Ecco un solo esempio di questa corrente della cultura e della legislazione che si sta imponendo nel nostro tempo. Noi anziani o persone di mezza età non ce ne accorgiamo, ma la massima autorità mondiale della sanità vuol imporre ai bambini delle scuole aberrazioni di questo. L’Oms dell’Onu (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha diffuso a tutti i governi europei un vademecum per promuovere nelle scuole corsi di sessuologia: “Standard dell’Educazione Sessuale in Europa” (consultabile su Internet), dove tra l’altro si legge: “ai bimbi da 0 a 4 anni gli educatori dovranno trasmettere informazioni sulla masturbazione infantile precoce e scoperta del corpo e dei genitali, mettendoli in grado di esprimere i propri bisogni e desideri, ad esempio nel gioco del “dottore”… Dai 4 ai 6 anni i bambini dovranno essere istruiti sull’amore e le relazioni con persone dello stesso sesso… Con i bambini dai 6 ai 12 anni i maestri terranno lezioni sui cambiamenti del corpo, mestruazione ed eiaculazione, facendo conoscere i diversi metodi contraccettivi. Nella fascia puberale tra i 12 e i 15 anni gli adolescenti dovranno acquisire familiarità col concetto di “pianificazione familiare” e conoscere il difficile impatto della maternità in giovane età, con la consapevolezza di un’assistenza in caso di gravidanze indesiderate e la relativa presa di decisione”.

Leggendo questo documento dell’Onu, che suscita sgomento e paura, mi vengono in mente i molti testi di Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto su questo tema: “La questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica” (Caritas in Veritate, 75), in questo senso: nel secolo scorso il “problema sociale” più grave era l’equa distribuzione della ricchezza e del benessere fra ricchi e poveri; oggi il maggior “problema sociale” è la distruzione della famiglia naturale e il pansessualismo che riducono rapidamente la popolazione mondiale promuovendo l’aborto, il matrimonio fra persone dello stesso sesso, l’eutanasia e l’eugenetica e tante altre aberrazioni, fino alla clonazione di esseri umani, oggi tecnicamente possibile e già sperimentata. Benedetto XVI scrive (Caritas in Veritate, 75): “Non si possono minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi potenti strumenti che la “cultura della morte” ha messo nelle mani dell’uomo. Alla diffusa, tragica piaga dell’aborto si potrebbe aggiungere in futuro, che è già abusivamente in atto, una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite”.

Si giungerebbe così alla meta finale di quanto Nietzsche sognava: “Un mondo abitato e dominato da Superuomini che hanno imposto la loro volontà di potenza agli uomini inferiori, mediocri e comuni”, per cui era necessario “stabilire i valori della società e dello Stato in favore dell’individuo più forte, del Superuomo (l’uomo eletto, geniale, l’artista creatore che vince l’uomo medio) e della superiorità di razza e di cultura” (“Enciclopedia cattolica”, Città del Vaticano 1952). Non meraviglia che Nietzsche, messosi al servizio del nazionalismo tedesco, abbia profondamente influenzato il nazismo e la sua nefasta ideologia!

Ma è ancora più scandaloso che il nostro Occidente, con profonde radici cristiane, che si ritiene libero, democratico, istruito, laico, evoluto, popolare, sia incamminato, senza forse averne coscienza, sulla stessa via che conduce al nichilismo, alla distruzione della natura umana e alla morte. Come popolo, abbiamo tolto il Sole di Dio dal nostro orizzonte umano, vogliamo fare a meno di Dio e di Gesù Cristo e non abbiamo più nessuna luce di speranza nel nostro futuro.

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Presepe e Dio lontano

Posté par atempodiblog le 29 novembre 2015

Presepe e Dio lontano
di Clive Stapels Lewis – Lettere di Berlicche

Presepe e Dio lontano dans Anticristo Presepe
Oggi ricorre l’anniversario della nascita di C. S. Lewis

Spero, caro Farfarello, che tu non ti sia lasciato sfuggire l’occasione, durante queste ultime feste natalizie, di ammirare qualcuno dei presepi che in molte case ancora si usa allestire per la gioia dei bambini e dei vecchi. Ce n’è di tutti i tipi, dal legno alla cartapesta, dal cristallo al bronzo, dalla terracotta al plexiglas…

Io amo i presepi. Dirai che sono un vecchio sentimentale… Ebbene, dì pure, se vuoi. Prima però, senti quello che ho da dirti in proposito. Da secoli ormai un’idea mi frulla per il capo alla sola vista di un presepe, e te la voglio confidare in segno di stima. Ebbene, io credo che la grande quantità di energia che noi diavoli abbiamo sempre profuso per inventare argomentazioni seducenti contro Dio sia, in gran parte, fatica sprecata. Noi non dobbiamo creare nuovi argomenti: possiamo usare pari pari i loro. È il cuore che decide, e spesso decide male.

Pensa alle figuri minori del presepe: c’è un solo Giuseppe, una sola Maria, un solo Gesù bambino. Un solo bue, un solo asino. Gli altri sono tutte comparse, compresi i Magi. Ogni uomo al mondo è una figura minore del presepe… Seguimi bene. Dopo aver reso omaggio al Messia, che fanno tutte queste comparse? Se ne tornano, semplicemente, al loro lavoro. Il carrettiere al suo carretto, il panettiere al suo pane, e così via. C’è qualcosa, in tutto ciò, che mi manda in confusione, che mi stordisce e mi umilia: ciascuno torna lieto al suo mestiere, anzi: se prima il lavoro gli pesava, ora gli pesa molto meno, perché ha visto il Messia. Che ira! Tutto diviene accettabile, amabile…

Ma poi, passata l’ira, ecco l’idea! La grande idea! Quella che è la più grande dimostrazione dell’esistenza di Dio, la quotidianità, eccola trasformata, senza che apparentemente nulla cambi, nella più grande delle bestemmie! Che cos’è mai il tuo Dio? Un’emozione momentanea prima di riprendere il solito tran tran. Un bambinello che ti salva finché resti in estatica contemplazione, ma poi? Immaginiamo quei poveri pastori al momento del congedo. Un inchino, un altro inchino, mettiamoci pure un terzo inchino. Ma poi le spalle dovranno pur voltare, e tornarsene alle loro pecore, non è vero?

E allora noi diavoli pronti, in coro, a soffiar nelle loro orecchie: dalle obiezioni più collaudate (“come può Dio, nella sua bontà, permettere il dolore innocente?”) alle migliori invenzioni della modernità (l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio si trasforma nell’egalité giacobina, che è il suo opposto), e via dicendo. Tutte le obiezioni contro Dio nascono dall’idea di un Dio lontano, che non vuole salvare concretamente gli uomini. Ma questa idea nasce, a sua volta, dalla comodità: un Dio lontano è sempre più comodo di un Dio vicino. È questa, Farfarello, la nostra carta vincente. Da sempre.

Un abbraccio dal tuo Malacoda

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Papa: pensiero unico vuol farci mettere all’asta identità cristiana

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2015

Papa: pensiero unico vuol farci mettere all’asta identità cristiana
Il pensiero unico, l’umanismo che prende il posto di Gesù, l’uomo vero, distrugge l’identità cristiana. Non mettiamo all’asta la nostra carta d’identità: è la forte esortazione lanciata da Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

papa francesco

La mondanità porta al pensiero unico e all’apostasia
La prima lettura del giorno, tratta dal primo Libro dei Maccabei, racconta di “una radice perversa” che sorse in quei giorni: il re ellenista Antioco Epìfane impone le usanze pagane in Israele, al “popolo eletto”, cioè alla “Chiesa di quel momento”. Papa Francesco commenta “l’immagine della radice che è sotto terra”. La “fenomenologia della radice” è questa: “Non si vede, sembra non fare male, ma poi cresce e mostra, fa vedere, la propria realtà”. “Era una radice ragionevole” che spingeva alcuni israeliti ad allearsi con le nazioni vicine per essere protetti: “Perché tante differenze? Perché da quando ci siamo separati da loro ci sono capitati molti mali. Andiamo da loro, siamo uguali”. Il Papa spiega questa lettura con tre parole: “Mondanità, apostasia, persecuzione”. La mondanità è fare ciò che fa il mondo. E’ dire: “Mettiamo all’asta la nostra carta d’identità; siamo uguali a tutti”. Così, molti israeliti “rinnegarono la fede e si allontanarono dalla Santa Alleanza”. E ciò “che sembrava tanto ragionevole – ‘siamo come tutti, siamo normali’ – diventò la distruzione”:

“Poi il re prescrisse in tutto il suo regno che tutti formassero un solo popolo – il pensiero unico; la mondanità – e ciascuno abbandonasse le proprie usanze. Tutti i popoli si adeguarono agli ordini del re; anche molti israeliti accettarono il suo culto: sacrificarono agli idoli e profanarono il sabato. L’apostasia. Cioè, la mondanità ti porta al pensiero unico e all’apostasia. Non sono permesse, non ci sono permesse le differenze: tutti uguali. E nella storia della Chiesa, nella storia abbiamo visto, penso ad un caso, che alle feste religiose è stato cambiato il nome – il Natale del Signore ha un altro nome – per cancellare l’identità”.

L’umanismo di oggi distrugge l’identità cristiana
In Israele vennero bruciati i libri della legge “e se qualcuno obbediva alla legge, la sentenza del re lo condannava a morte”. Ecco “la persecuzione”, iniziata da una “radice velenosa”. “Mi ha sempre colpito – afferma il Papa – che il Signore, nell’Ultima Cena, in quella lunga preghiera, pregasse per l’unità dei suoi e chiedesse al Padre che li liberasse da ogni spirito del mondo, da ogni mondanità, perché la mondanità distrugge l’identità; la mondanità porta al pensiero unico”:

“Incomincia da una radice, ma è piccola, e finisce nell’abominazione della desolazione, nella persecuzione. Questo è l’inganno della mondanità, e per questo Gesù chiedeva al Padre, in quella cena: ‘Padre, non ti chiedo che di toglierli dal mondo, ma custodiscili dal mondo’, da questa mentalità, da questo umanismo, che viene a prendere il posto dell’uomo vero, Gesù Cristo, che viene a toglierci l’identità cristiana e ci porta al pensiero unico: ‘Tutti fanno così, perché noi no?’. Questo, di questi tempi, ci deve far pensare: com’è la mia identità? E’ cristiana o mondana? O mi dico cristiano perché da bambino sono stato battezzato o sono nato in un Paese cristiano, dove tutti sono cristiani? La mondanità che entra lentamente, cresce, si giustifica e contagia: cresce come quella radice, si giustifica – ‘ma, facciamo come tutta la gente, non siamo tanto differenti’ -, cerca sempre una giustificazione,  e alla fine contagia, e tanti mali vengono da lì”.

Guardarsi dalle radici velenose che crescono e contagiano
“La liturgia, in questi ultimi giorni dell’anno liturgico” – conclude il Papa – ci esorta a stare attenti alle “radici velenose” che “portano lontano dal Signore”:

“E chiediamo al Signore per la Chiesa, perché il Signore la custodisca da ogni forma di mondanità. Che la Chiesa sempre abbia l’identità disposta da Gesù Cristo; che tutti noi abbiamo l’identità che abbiamo ricevuto nel battesimo, e che questa identità per voler essere come tutti, per motivi di ‘normalità’, non venga buttata fuori. Che il Signore ci dia la grazia di mantenere e custodire la nostra identità cristiana contro lo spirito di mondanità che sempre cresce, si giustifica e contagia”.

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“Imagine” di John Lennon: Utopia pacifista intrisa di ideologie totalitarie

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2015

“IMAGINE” DI JOHN LENNON: UTOPIA PACIFISTA INTRISA DI IDEOLOGIE TOTALITARIE
Inneggia a un mondo senza Dio dove finalmente vivere in pace: ma questo programma è già stato realizzato da comunismo e nazionalsocialismo… e non è stato un mondo migliore!
di Gabriele D’Amato
Fonte: Gabblog
Tratto da: Basta Bugie

Imagine Lennon

Imagine di John Lennon è stata decretata più e più volte (anche ufficialmente credo) la canzone del secolo scorso. Certo, non si può dire che la sua melodia non sia sublime, e a un orecchio poco attento anche i suoi testi sembrerebbero vera poesia. Ma esaminandoli attentamente si può evincere come sia sottile e ben nascosto il messaggio che, subliminalmente (mica tanto subliminale poi), arriva alle nostre orecchie (…).

DUE MESSAGGI CHIARI: IL PARADISO (E DIO) E L’INFERNO (E IL DIAVOLO) NON ESISTONO
Immagina non ci sia il Paradiso
prova, è facile
Nessun inferno sotto i piedi
Sopra di noi solo il Cielo
Immagina che la gente viva per il presente

Sembra quasi che John volesse convincerci che senza il Paradiso saremmo stati meglio. È facile dice lui! Quasi come a volere toglierci un peso; quella speranza che assilla ogni uomo: ci sarà il Paradiso, oppure no? Non pensarci dice John! Immagina, non ci sarebbe nemmeno l’Inferno, solamente il cielo terreno sopra di noi! Con due menzogne riesce quasi a farci credere che sia meglio come ci racconta.
In realtà, la prima affermazione, atta a negare il Paradiso è un messaggio subliminale che vuole farci credere che non solo il Paradiso (e quindi il Regno di Dio) non esista, ma di conseguenza anche Dio stesso. Questo per fare perdere la fede agli uomini. Un classico pensiero ateo tanto di moda ai tempi di John e tornato in voga oggi giorno, in cui qualche stolto si ostina a credere e a volere fare credere ad altri che senza Dio si sta meglio, ma soprattutto che non c’è bisogno di lui.

Il secondo passo è poi una classica influenza demoniaca, in cui il diavolo insidia il povero John a scrivere e cantare questa orrenda nenia mascherata da grande canzone, con l’obiettivo di nascondere la sua esistenza. Niente inferno e quindi niente diavolo. Raggiunto così l’obiettivo primario del diavolo, che è quello di fare credere agli uomini di non esistere. Infine una piccola speranza, che per come gira tutta la prima fase della canzone sembra quasi una figata: “solo il cielo sopra di noi”. Agli uomini spetta molto di più di un cielo terreno! Spetta il Regno di Dio!
Immagina poi che la gente viva solo per il presente. Svuotala di tutto! Niente speranze, niente sogni, niente passato e niente futuro, niente memoria e niente esperienza. Solo oggi, solo adesso! Potrebbe sembrare quasi avere relazione con alcune scritture che dicono che ad ogni giorno basta la sua pena, ma questo non significa che gli uomini debbano vivere solo il presente! [...]

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L’anticristianesimo in mostra

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2015

L’anticristianesimo in mostra
di Giuliano Guzzo

guzzo

Niente visita alla mostra «Bellezza Divina» in corso a Palazzo Strozzi, a Firenze, per i bambini della scuola elementare Matteotti, importante presidio alle porte del centro: è per venire incontro alla sensibilità delle famiglie non cattoliche dato il tema religioso della mostra, fanno sapere dal consiglio interclasse con cui è stata presa la decisione. Intanto a Lucca, dal 21 novembre prossimo, prenderà il via una mostra fotografica Photolux con esposto anche Andres Serrano, autore di «Piss Christ» («Cristo di piscio», letteralmente), una fotografia del 1987 che mostra un Crocifisso immerso nell’urina: ma di scuole che abbiano escluso di voler visitare questa seconda mostra – che pare abbia persino il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo, oltre che del Comune di Lucca e della Provincia – al momento non si ha notizia.

Sono i piccoli ed enormi paradossi di questo tempo apparentemente dominato da variopinto pluralismo ma in realtà estremamente coordinato, persino conformista, quando si tratta di esibire ostilità al Cristianesimo. Come si spiega il fenomeno? Certamente gli errori – gli orrori, in alcuni casi – di alcuni uomini di Chiesa possono aver generato in molti ostilità verso la religione cristiana. Ma l’atteggiamento ben più benevolo che il mondo della cultura – lo stesso che non fa mistero del proprio anticristianesimo – per esempio riserva generalmente al comunismo, dei cui orrori non si è mai parlato abbastanza a dispetto delle decine di milioni di vittime innocenti, conferma come il problema sia di altra natura e come le colpe che si rimproverano ai cristiani, più che altro, siano pretesti dietro ai quali serpeggia altro.

Su cosa esattamente sia questo “altro” si potrebbero scrivere libri, ma voglio azzardare un’ipotesi per spiegare contemporaneamente l’ostilità laica, per così dire, al Cristianesimo e lo scarso attaccamento di cui non di rado gli stessi cristiani, in nome del Dialogo – divinità nuova ma sostenuta da devozione fervente -, danno prova rispetto al proprio Simbolo.

L’ipotesi, in sé semplice, è che ancora oggi ci si vergogna di Gesù Cristo. Così come duemila anni fa venne preso a bastonate e sputi oggi la Sua immagine viene vilipesa, e come allora i suoi, a partire da Pietro, si vergognarono di Lui lasciandolo solo oggi è più facile incontrare battezzati inclini a spiegare quanto siano belli amore e perdono, o persino a sconsigliare mostre dal sapore cristiano, piuttosto che pronti a ripetere senza esitazione chi sia, Lui solo, «la Via, la Verità e la Vita».

Se siamo insomma al punto in cui siamo, con l’anticristianesimo dentro e fuori le mostre, non è per un deficit di cultura democratica o per una sovrabbondanza di egoismo; né c’entrano la scarsa conoscenza della Costituzione o il tramonto delle buone maniere. Il guaio è difatti più serio e deriva dal fatto che l’uomo – dalla Giudea all’Unione Europea – in fondo non è poi così cambiato. C’è sempre una immensa difficoltà a fare i conti con Gesù perché Costui non è entità astratta e non può essere liquidato come questione filosofica, essendo stato un uomo convinto di essere il Figlio di Dio; non ha detto “amico”, “simpatizzante”, “emissario”, no: ha preteso di essere proprio il Figlio di Dio. E il fatto che per questo abbia accettato una morte orrenda mentre invece l’uomo non riesce ad accettare neppure una vita agiata senza sperimentare tormenti, disturba. Lasciando intatta la stessa domanda di allora: «Quid est veritas?».

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Il delirio eugenetico e la felicità

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2015

Il delirio eugenetico e la felicità
di Mario Adinolfi – La Croce – Quotidiano

selezione

In Danimarca esiste un progetto chiamato “Down Syndrome Free” che prevede che entro il 2030 il numero di nuovi nati affetti da trisomia 21 sia pari a zero. Come intendono i danesi centrare l’obiettivo? Offrendo alla donne in gravidanza tutti gli strumenti di diagnosi prenatale in maniera totalmente gratuita al fine di individuare i bambini malati e eliminarli, sempre a spese dello Stato, si intende. Pianificazioni analoghe sono state immaginate anche in Francia dove un video che incoraggiava le mamme di bambini down è stato rimosso dalla tv pubblica perché « turbava le donne francesi » e non le rendeva dunque malleabili rispetto all’obiettivo di azzerare le nascite di down nel paese.

Il delirio eugenetico sbarcato anche in Italia con la folle sentenza che ha rimosso uno dei pochi divieti rimasti in piedi nella legge 40, il divieto assoluto di selezione eugenetica degli embrioni, coltiva una strana idea di felicità: una società sarebbe felice secondo questi nuovi epigoni di note teorie naziste, se si conforma ad un modello di bellezza ed efficienza che evidentemente esclude debolezza e malattia. Basta Giacomo Leopardi e Stephen Hawking, basta Michel Petrucciani e Alex Zanardi. Chi è menomato, handicappato, anche solo molto brutto, turba la nostra felicità e dunque, se pure non può essere eliminato perché ormai è nato, in futuro non dovrà nascere. Se poi la vita lo metterà nella condizione di soffrire per qualche pesante malattia, abbia la buona creanza di capire che è un peso per la famiglia e la società, si faccia eliminare con un’altra bella legge costruita alla bisogna: l’eutanasia.

E’ possibile la costruzione di questa ideale “società felice » priva di dolore e malattia? No, non solo non è possibile, ma è anche terribilmente non auspicabile, pur essendo di fatto dietro l’angolo. La retorica del “chi vorrebbe mettere al mondo un figlio malato?” si scontra con altre infinite domande da “chi vorrebbe mettere al mondo un figlio brutto?” a “chi vorrebbe mettere al mondo un figlio stupido?”. Vorremmo tutti figli che siano un mix tra Leonardo da Vinci e Brad Pitt, potessimo scegliere e costruire in laboratorio chiederemmo per tutti i nostri figli il massimo delle doti. E costruiremmo così l’inferno in terra, è stato per l’appunto il sogno nazista della razza dei perfetti, finalizzata al dominio del mondo.

Il sogno eugenetico è delirio, ma marcia sulle gambe di progetti come quello danese e di sentenze come quella della Corte costituzionale italiana. Gli esiti sono pericolosissimi e purtroppo non sembrano turbare i sonni di molti. E invece proprio da un sonno della ragione sono stati mostruosamente generati. Torniamo umani, mi verrebbe da dire. Torniamo a noi, ai nostri genitori che si sono incontrati e in qualche modo amati, generandoci così, imperfetti e pieni di contraddizioni, talvolta malati nel corpo o nell’anima, ma comunque meravigliosamente unici e non omologabili. Questa preziosa diversità è il bene da tutelare, contro i progetti neonazisti di chi vuole farci marciare in fila per due, tutti così belli e tutti così aitanti da essere diventati indistinguibili.

Sarà la notte in cui tutte le vacche sono nere.

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Corvi, serpenti, zizzania. Le battaglie del Papa

Posté par atempodiblog le 5 novembre 2015

Corvi, serpenti, zizzania. Le battaglie del Papa
Per Bergoglio c’è una lotta violenta tra la luce e il buio. Alle guardie svizzere ha detto che il pericolo per il Vaticano non arriva da eserciti stranieri, ma dal diavolo che vuole dividere. Si incarna in chi tradisce la fiducia con azioni e maldicenze
di Gian Antonio Stella – Corriere della Sera

papa francesco

«Aquí la Gracia de Dios es mucha pero el demonio está en persona… ». Era questa, scrive Gianluigi Nuzzi in Via crucis (Chiarelettere), la battuta più usata nella commissione di cui facevano parte i due «corvi» vaticani. In spagnolo, la lingua del Papa: «Qui la Grazia di Dio è molta ma il demonio è presente in persona». E sono tanti, oggi, a pensare: appunto…

Papa Francesco batte e ribatte da tempo sul tema della comunità, delle chiacchiere, della zizzania. La più netta fu l’omelia nel settembre di due anni fa, quando invitò i gendarmi della Santa Sede ad allontanare i pettegoli: «C’è una tentazione che al diavolo piace tanto: quella contro l’unità, quando le insidie vanno proprio contro l’unità di quelli che vivono e lavorano in Vaticano. Il diavolo cerca di creare la guerra interna, una sorta di guerra civile e spirituale, no? È una guerra che non si fa con le armi che noi conosciamo: si fa con la lingua».

Poi fu ancora più chiaro: «Qualcuno di voi potrà dirmi: “Ma, Padre, noi come c’entriamo qui col diavolo? Noi dobbiamo difendere la sicurezza di questo Stato, di questa Città: che non ci siano i ladri, che non ci siano i delinquenti, che non vengano i nemici a prendere la Città”. Anche quello è vero, ma Napoleone non tornerà più, eh? Se ne è andato. E non è facile che venga un esercito qui a prendere la Città. La guerra oggi, almeno qui, si fa altrimenti: è la guerra del buio contro la luce; della notte contro il giorno».

Dicono Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, che firmano i libri sul Vaticano in uscita domani e intorno a cui lo scandalo è deflagrato come tritolo, che hanno fatto solo il loro mestiere. Difficile negarlo. Ma è dura negare anche che chi ha passato loro le carte, per quanto dica d’averlo fatto «per aiutare il Papa», ha tradito quel rapporto di fiducia che spinse proprio Francesco ad affidare loro un compito delicatissimo.

Non è un caso che ieri l’Osservatore Romano avesse un titolone che, parlando della Messa del Papa in suffragio dei cardinali e dei vescovi morti, diceva: «Il serpente sulla croce». Certo, non è tema nuovo per Francesco. Ne aveva parlato a marzo partendo dall’episodio biblico degli ebrei che si ribellano alle fatiche della fuga nel deserto e cominciano «a sparlare di Dio» e molti di loro finiscono morsi da serpenti velenosi: «Solo la preghiera di Mosè che innalza un bastone con un serpente, simbolo della Croce su cui verrà appeso Cristo, diverrà per chi lo guarda salvezza dal veleno». Ed era tornato sul tema un mese e mezzo fa. Quello spazio ai serpenti di oggi, però, la dice lunga…

Fatto è, ha scritto l’anno scorso su Avvenire Stefania Falasca, la giornalista da decenni amica di Jorge Mario Bergoglio, «che forse nessun altro Pontefice, nella storia recente, con un linguaggio puntuto ed efficace ha battuto tanto su questo male. E di fatto non c’è piaga dolente come questa della maldicenza…». Del resto, proseguiva, «il male biforcuto prodotto dalla “clericas invidia”, come la definiva il celebre moralista Haring ai tempi del Concilio, è ben noto. E non c’è qui bisogno di scomodare Dante che definiva l’invidia “meretrice delle corti”».

Batte e ribatte, batte e ribatte, il Papa: «Su questo punto, non c’è posto per le sfumature. Se tu parli male del fratello, uccidi il fratello».

E ancora: «Noi siamo abituati alle chiacchiere, ai pettegolezzi. Ma quante volte le nostre comunità, anche la nostra famiglia, sono un inferno dove si gestisce questa criminalità di uccidere il fratello e la sorella con la lingua!».

Maledetta lingua! La lingua che divide le parrocchie, le comunità, la Chiesa: «Non vi dico di tagliarvi la lingua ma…».

Insomma, «quando si dice di una persona che ha la lingua di serpente, cosa si vuol dire? Che le sue parole uccidono! Pertanto, non solo non bisogna attentare alla vita del prossimo, ma neppure riversare su di lui il veleno dell’ira e colpirlo con la calunnia. È tanto brutto chiacchierare! All’inizio può sembrare una cosa piacevole, anche divertente, come succhiare una caramella. Ma alla fine, ci riempie il cuore di amarezza, e avvelena anche noi».

E c’è chi ricorda come un presagio il giorno in cui le colombe liberate dal Papa furono attaccate da un gabbiano e da un corvo. «Lo Spirito santo ci liberi dai corvi, segni del male!», scrisse una certa Ninetta sulla pagina Facebook del Papa contro chi ricordava che «anche i corvi sono creature di Dio». Certo è che Francesco ha vissuto così male le fughe di notizie da non potere, oggi, sorridere della lettera che gli mandò il presidente del San Lorenzo, la squadra di Baires per cui tifa: «Saludamos el primer Papa cuervo!». Perché proprio il corvo, pensa un po’, è il simbolo della squadra.

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