La storia del piccolo Michael Shane Haley, vissuto poche ore tra le braccia di mamma e papà

Posté par atempodiblog le 14 octobre 2014

“Non crediamo si possa chiedere una vita più bella”
La storia del piccolo Michael Shane Haley, vissuto poche ore tra le braccia di mamma e papà
di Maria Gabriella Filippi – Zenit

La storia del piccolo Michael Shane Haley, vissuto poche ore tra le braccia di mamma e papà dans Aborto 20jql4z

“Chi avrà accolto uno solo di questi piccoli, avrà accolto me”. Fa venire in mente questa frase del Vangelo la storia di Jenna e Dan Haley, la storia di un destino drammatico vissuto in modo poco comune. ‘Accoglienza’ si chiama l’ingrediente base che la caratterizza, quella che loro hanno avuto verso il loro figlio, vissuto per appena quattro ore, battezzato e volato subito in cielo.

Certo non si aspettavano, questi due genitori, che il sogno di coronare il loro amore, generando un figlio, avrebbe preso questa piega ma quando Jenna rimase incinta, la diagnosi dopo i primi tre mesi non lasciò nessuna speranza: il bimbo aveva una grave forma di anencefalia, il cervello non si sarebbe sviluppato abbastanza da permettergli di vivere più di qualche ora.

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Saputa la notizia, i due coniugi non si sono lasciati travolgere dalla disperazione, e hanno fatto la loro scelta: non solo di portare avanti la gravidanza, ma di dedicare il tempo dei nove mesi a lui, il bimbo che avevano ancora in grembo. Come? Parlandogli della bellezza della vita che era intorno a lui in modo molto concreto: mettendosi nei suoi panni hanno provato a immaginare le cose che sarebbero potute piacergli e, prima della sua nascita, hanno cominciato a visitare i luoghi più belli degli Stati Uniti: l’Empire di New York, Disneyland, zoo, spiagge e un acquario con gli squali.

Michael Shane Haley, così si chiamava il bambino, ha anche conosciuto tutta la sua famiglia, che si è stretta in preghiera intorno a lui insieme a tutta la comunità creata su Facebook, attraverso la pagina Prayer for Shane.

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Quando è arrivata l’ora del parto in ospedale, Shane è nato circondato dalle coccole e dalla meraviglia dei genitori e di tutti quelli che lo hanno conosciuto.

Un bambino “sfortunato”? I genitori rispondono sereni: «Ha passato tutta la sua breve vita tra le braccia di persone che lo amavano incondizionatamente, non crediamo si possa chiedere una vita più bella. Sarà per sempre il nostro piccolo miracolo».

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Per la scienza l’embrione è “uno di noi”

Posté par atempodiblog le 31 mai 2014

Un Manifesto scientifico presentato alla Commissione europea ribadisce che l’embrione è un essere umano e dunque non può essere oggetto di sperimentazioni
Alla Commissione europea va riconosciuta una eccezionale tempestività. Il verdetto con il quale ha deciso che la petizione Uno di Noi non dovesse arrivare con proposta legislativa in Europarlamento, è stato emesso appena due giorni dopo la pubblicazione di un Manifesto scientifico che raccoglie e accredita i contenuti della campagna di Uno di Noi.
di Federico Cenci – Zenit

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Il Manifesto, preparato in prima bozza in Italia diversi mesi fa e sistemato da alcuni esperti di importanti Fondazioni e università internazionali, è stato tradotto in tutte le lingue parlate nell’Unione europea e presentato alla Commissione.

L’obiettivo principale del Manifesto è “riaffermare che l’embrione è un essere umano a tutti gli effetti”, spiega a ZENIT l’on. Gian Luigi Gigli, tra gli estensori della prima bozza. “È un dato che, se non fosse per motivi utilitaristici o ideologici, sarebbe chiaro a chiunque”, rimarca il deputato di Scelta Civica nonché docente di Neurologia all’Università di Udine.

“Già nei manuali di medicina sui quali studiavo quand’ero studente – ricorda Gigli – apprendevo che è implicito che vi sia una continuità di sviluppo dell’embrione umano fino alla nascita e alla vita sociale, senza alcun salto qualitativo tra le varie fasi”. Pertanto, la dignità umana dell’embrione è un dato appurato. Che oggi viene confermato dagli “sviluppi della genetica” e dalle nuove conoscenze “sul rapporto madre-figlio che si determina in utero”.

Dato che non viene caldeggiato solo dalla scienza, ma anche da una sentenza della Corte di giustizia europea. Quella che nel 2011, a proposito di una controversia tra un’industria e Greenpeace per quanto riguarda la commercializzazione di embrioni umani, ha sancito il divieto di brevettare medicinali ricavati dalla distruzione di embrioni umani e ha dunque dichiarato questi ultimi “esseri umani” a tutti gli effetti.

La recente decisione della Commissione stride con quella sentenza e suscita delle domande. “Si tratta dunque di capire – spiega Gigli – se tutti gli esseri umani nascono portatori di diritti oppure se c’è qualcuno che questi diritti li attribuisce dall’esterno”, a propria personale discrezione e a prescindere dalla fase in cui si trova la vita.

Altro punto che approfondisce il Manifesto è l’assenza di dimostrazioni scientifiche circa l’utilità a fini terapeutici degli embrioni umani. Tesi che, al contrario, la Commissione ha presentato come motivo della propria scelta. “Ad oggi – afferma Gigli – tutte le terapie che vengono effettuate con staminali, si servono di staminali adulte o di cordone ombelicale. Non ce n’è una che sia basata sulle staminali embrionali”.

Una ragione in più per chiedere che la libertà della scienza non vada a ledere la dignità umana. “Se l’embrione, come appunto è dimostrato, costituisce ‘uno di noi’, non può essere utilizzato come un oggetto di sperimentazioni”, commenta Gigli.

In questi giorni si sta svolgendo a Salerno il convegno Stem Cell Research Italy, durante il quale un consesso di esperti si confronta sul tema delle staminali. Particolare attenzione viene rivolta alle cellule staminali pluripotenti indotte, la cui produzione è valsa al professore giapponese Shinya Yamanaka il premio Nobel per la medicina nel 2012. Questo tipo di cellule si ottengono partendo da cellule staminali adulte, per esempio della pelle, e quindi “non sacrificano l’embrione umano”, spiega Gigli. Il lavoro di Yamanaka è l’esempio di come ricerca ed etica si possano coniugare. Coniugazione a cui ha dimostrato di non credere la Commissione europea.

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La cultura dell’incontro contro la cultura dell’esclusione e del pregiudizio

Posté par atempodiblog le 31 mars 2014

“Ma pensiamo a tanti che Gesù ha voluto incontrare, soprattutto persone segnate dalla malattia e dalla disabilità, per guarirle e restituirle alla piena dignità. E’ molto importante che proprio queste persone diventano testimoni di un nuovo atteggiamento, che possiamo chiamare cultura dell’incontro”.

Esempio tipico, ha detto, è la figura del cieco nato, che ci verrà ripresentata questa domenica, nel Vangelo. Quell’uomo, ha rammentato, “era cieco dalla nascita ed era emarginato in nome di una falsa concezione che lo riteneva colpito da una punizione divina”:

“Gesù rifiuta radicalmente questo modo di pensare – ma che è un modo veramente blasfemo! Gesù rifiuta questo – e compie per il cieco ‘l’opera di Dio’, dandogli la vista. Ma la cosa notevole è che quest’uomo, a partire da ciò che gli è accaduto, diventa testimone di Gesù e della sua opera, che è l’opera di Dio, della vita, dell’amore, della misericordia”.

“Ecco le due culture opposte. La cultura dell’incontro e la cultura dell’esclusione, la cultura del pregiudizio (…) La persona malata o disabile, proprio a partire dalla sua fragilità, dal suo limite, può diventare testimone dell’incontro: l’incontro con Gesù, che apre alla vita e alla fede, e l’incontro con gli altri, con la comunità. In effetti, solo chi riconosce la propria fragilità, il proprio limite può costruire”.

Papa Francesco
Tratto da: Radio Vaticana

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SINDROME DI DOWN/ Cristina: anch’io ce l’ho, e ringrazio i miei genitori e Dio
di Paolo Vites - Il sussidiario.net (21 marzo)

Il 21 marzo si celebra la Giornata mondiale della sindrome di Down. Per l’occasione CoorDown, il coordinamento nazionale associazioni delle persone con sindrome di Down, ha preparato molte iniziative, tra cui un bel video intitolato « DearFutureMom », cara mamma futura, in cui diversi ragazzi e ragazze di tutta Europa con sindrome di Down spiegano a una futura mamma che scopre di aspettare un figlio down che non c’è nulla di cui aver paura, anzi. Non se ne fa cenno, ma è un dato di fatto che grazie alle moderne tecnologie, il fatto di scoprire ancor prima di metterlo alla luce di aspettare u figlio down, porta spesso ad abortirlo. Ilsussidiario.net ha parlato questa giornata e di cosa significhi essere down con Cristina Acquistapace, suora laica che è nata con questa problematica. « Chi rinuncia a un figlio down » ci ha detto « perde una grande possibilità: quella di conoscere il bambino e quella di vedere cosa sa fare con questo bambino, che è diverso ma anche uguale a tutti nel suo bisogno di felicità e di bellezza ».

Nel presentare la Giornata mondiale si parla di avere come obiettivo « quello di diffondere una nuova cultura della diversità ». Non le sembra che invece di diversità si dovrebbe parlare di normalità?
E’ un dato di fatto che le persone down sono diverse e diversità non è una brutta parola. Non sono una che si fa problemi per una parola che non è una brutta parola, non ho paura delle parole. Diversità non significa discriminazione, sono due cose che non vanno a pari passo, sono due cose diverse. Discriminare non va bene non solo per le creature umane ma per tutte le creature viventi.

Forse in una giornata come questa non bisognerebbe in qualche modo ricordare alle mamme che abortiscono un figlio down che avere un figlio così non rovinare proprio nulla?
Personalmente non giudico nessuno, anche perché non tocca a me di giudicare. Se prego per una mamma che ha il coraggio di portarsi il bambino a casa prego sei volte di più per una mamma che non ha questo coraggio e che fa comunque una scelta infelice.

In che senso infelice?
Perde una grande possibilità, quella di conoscere il bambino e quella di vedere cosa sa fare con questo bambino. Alcune mamme forse decidono di abortire il figlio down perché sono sole e non se la sentono di affrontare questa situazione.

Quanto è importante la famiglia in questo? Come è stato possibile per la sua famiglia fare ciò?
All’inizio è stato difficile anche per i miei genitori avere una bambina con questo tipo di problema, anche perché mio padre già lavorava in un centro che si occupava di ragazzi con problemi anche più gravi dei miei. Dopo lo shock iniziale hanno cominciato a lavorare insieme come coppia per fare di me una donna felice e credo che abbiano fatto un gran bel lavoro, perché il risultato è lì da vedere (ride, ndr). E poi perché hanno affrontato le difficoltà con coraggio. Ricordiamoci che comunque difficoltà e dolore fanno parte di qualsiasi famiglia.

Che cosa dà il coraggio per vivere situazioni come queste?
Il coraggio te lo fai venire comunque, prima o poi, perché non puoi passare tutta la vita a piangerti addosso perché il bambino non è come lo desideravi. L’importante è la fiducia che una persona ripone in Dio.

Concretamente in che modo si manifesta questa fiducia in Dio?
Ognuno di noi la manifesta in modo diverso perché ognuno è diverso dall’altro. Il mio coraggio lo manifesto in un modo, i miei in un altro, ma l’importante è avere un punto a cui guardare, un volto preciso a cui rivolgersi.

I down, come si vede anche nel video che presenta la giornata del 21 marzo, hanno una particolare capacità di esprimere affettività e gioia, è così?
La parte del mio cervello che controlla affettività ed emozioni è la parte illesa da qualsiasi handicap e quindi l’affettività, le amicizie, l’amore sono cose che fanno vivere la persona e la fanno anche soffrire. Però amore e sofferenza vanno a pari passo, ma è solo così che si diventa adulti. La gioia di essere amati e dare anche noi amore a nostra volta è la cosa più bella del mondo, forse la più antica fra tutte le vocazioni.

Questa giornata mondiale vuole anche sensibilizzare sullo scarso inserimento nelle scuole e nel lavoro di chi ha la sindrome di Down.
E’ più facile abbattere una barriera architettonica che una barriera mentale. Possiamo spaccarci la testa ma c’è ancora molto da fare e ci sarà sempre molto da fare per garantire ai ragazzi l’istruzione e soprattutto una decente occupazione.

Chi ha la sindrome di Down quanto fatica a inserirsi nel lavoro?
Il lavoro è un diritto per tutti, anche per i down. E’ anche l’unico modo che abbiamo per sentirci persone adulte e realizzate: sono a favore del fatto che anche chi ha problemi possa lavorare. Come ha detto Papa Francesco, chi non ha lavoro non ha una identità e una dignità. Per acquisire una maggiore identità personale e dignità il lavoro è importante per noi come per tutti.

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Bambini non nati. La sepoltura è gesto di civiltà

Posté par atempodiblog le 31 octobre 2013

A DIFESA DELLA VITA
Bambini non nati. La sepoltura è gesto di civiltà
di Paolo Ferrario – Avvenire

Bambini non nati. La sepoltura è gesto di civiltà dans Aborto itym«Avere una tomba su cui piangere, dove portare un fiore, è fonte di grande consolazione. Senza una tomba non è possibile elaborare un lutto tanto grande, come quello della perdita di un figlio. E questo vale per tutti, anche per i genitori dei bambini mai nati».

Da quindici anni, don Maurizio Gagliardini, anima e guida dell’associazione “Difendere la vita con Maria” di Novara, si occupa di dare una segna sepoltura ai bambini non nati e plaude all’iniziativa del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, di riservare un’area cimiteriale a questo scopo. «Gli ho scritto una lettera – racconta – e lui mi ha risposto rivelando di aver preso questa decisione dopo aver incontrato la sofferenza di tanti genitori».

Non giudica e non chiede, don Maurizio, solo cerca di «onorare» queste piccole vite interrotte ancor prima di venire alla luce. Dal 1999 ad oggi, i volontari dell’associazione, presenti in 60 città di 12 regioni, hanno celebrato i funerali di 60mila bambini. Nei 47 centri dove l’associazione ha stipulato convenzioni con Ospedali, Asl e amministrazioni municipali, ogni mese avvengono cerimonie di sepoltura, con una media tra i 30 e i 50 piccoli per volta.

La sepoltura dei bambini non nati è definita dal decreto 285 del 1990, che prevede la possibilità, per i genitori, di chiedere, entro 24 ore dalla morte, il corpicino per la sepoltura. Non sempre, però, le famiglie sono a conoscenza di questa possibilità e così l’associazione di don Maurizio è impegnata anche in una capillare opera di informazione sul territorio.

«In caso di aborto spontaneo o terapeutico – dice il sacerdote padovano – succede spesso che i genitori chiedano di poter celebrare un funerale al proprio bambino. Questa richiesta, di solito, non avviene invece in caso di interruzione volontaria della gravidanza sotto le 20 settimane di gestazione. Nelle realtà dove noi siamo presenti, le famiglie provate da una perdita tanto grande e dolorosa, sono seguite e sostenute da un’equipe di psicologi volontari. Vogliamo davvero circondare d’affetto questi genitori».

Non capita di rado, infatti, che chi si trova in questa situazione sia costretto ad affrontare la lacerante realtà praticamente in solitudine. «È difficile che qualcuno porga le condoglianze a una mamma e a un papà che hanno perso un bimbo mai nato – racconta don Maurizio Gagliardini –. E invece è proprio in questi frangenti che servirebbe un di più di attenzione e di vicinanza umana. Spesso, poi, queste famiglie si chiudono in se stesse, quasi celando la tragedia che le ha colpite e non riuscendo così ad elaborare il lutto».

In tanti anni di servizio a fianco delle coppie, don Maurizio non ha incontrato soltanto uomini e donne sorrette dalla forza della fede. In non pochi casi ha affiancato coppie anche lontane dalla Chiesa, ma fermamente convinte di dare una degna sepoltura al proprio piccolo non nato.

«Seppellire questi bambini non significa soltanto onorarli come persone – sottolinea – ma vuol dire anche compiere un grande atto di civiltà, un gesto dal valore umano e civile incommensurabile. Per questo, confrontandomi con amministrazioni comunali di varia estrazione politica, non ho mai incontrato un’opposizione preconcetta, ideologica, al nostro servizio. Il cui valore è, evidentemente, condiviso molto di più di quanto si pensi».

Dare degna sepoltura al proprio bambino mai nato è anche, insiste don Maurizio, il primo passo per l’elaborazione del lutto. «In tutte le mamme che hanno perso un figlio emerge la domanda: “Dov’è ora il mio bambino?”. A queste donne, ma anche ai tanti papà che incontriamo negli ospedali, vogliamo dire che siamo loro vicini. Una tomba su cui piangere diventa un punto fermo, un ancoraggio. Un po’ come è avvenuto dopo la Grande Guerra mondiale con la costruzione dei sacrari. Sono stati realizzati per dare la possibilità a tante madri di portare un fiore al proprio figlio disperso al fronte. In attesa di ritrovarlo, questa volta per sempre, in Paradiso».

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C’era una volta re Baldovino, il re che smise di essere re. E ci insegnò la coscienza

Posté par atempodiblog le 30 octobre 2013

C’era una volta re Baldovino, il re che smise di essere re. E ci insegnò la coscienza dans Aborto m4v1

C’era una volta un re, il re Baldovino. Ma non “una volta” sperduta nel tempo, “una volta” concreta e neppure troppo lontana. Era il 4 aprile del 1990. In Italia c’era fermento per i Mondiali quando le Camere del Belgio approvarono un disegno di legge che depenalizzava l’aborto entro le prime dodici settimane di gravidanza. Il popolo belga aveva detto sì attraverso i suoi rappresentanti, ma c’era un problema: il re.

La legge, per concludere il suo iter, aveva bisogno della sua firma di ratifica, ma la sua mano proprio non ce la faceva a firmare. Qualcosa, in lui, diceva di no a quella prassi che aveva tutti i crismi della correttezza istituzionale: democratica, moderna, evoluta. Si rischiò la crisi istituzionale. Alla fine dovette cedere, ma con uno di quegli stratagemmi che ti fanno amare gli stratagemmi. Cedette l’uomo di stato, non l’uomo. Re Baldovino abdicò per due giorni, smise di essere re per permettere l’iter legislativo in sua “assenza”. Non fermò la legge sull’aborto, ma neppure la firmò.

Ci insegnò una cosa grande, di fronte ai nuovi miti della modernità, del “c’è lo chiede l’Europa”, del “non si può fermare la storia”. Ci insegnò che esiste una coscienza, nell’ultimo suddito come nel suo re. “So che agendo così  - scrisse al Capo del Governo Wilfried Martens – non scelgo una strada facile e che rischio di non essere capito da un buon numero di concittadini. Ma è la sola via che in coscienza posso percorrere”.

C’era una volta un re di nome Baldovino. Lui e sua moglie, la spagnola Fabiola, avevano una grande fede cattolica. Avevano anche un dispiacere: non avevano potuto avere figli.

di Pino Suriano

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Papa Francesco: il volto di Cristo nei bambini non nati e negli anziani, primo diritto è la vita

Posté par atempodiblog le 20 septembre 2013

Ogni bambino condannato all’aborto “ha il volto del Signore”. Così il Papa, ricevendo oggi in Sala Clementina un centinaio di medici della Federazione Internazionale delle Associazioni Mediche Cattoliche, riunita a Roma fino al 22 settembre, per la decima Conferenza internazionale sul tema “La nuova evangelizzazione, le pratiche ostetriche e la cura delle madri”.
di Giada Aquilino – Radio Vaticana

Papa Francesco: il volto di Cristo nei bambini non nati e negli anziani, primo diritto è la vita dans Aborto eil5

Un sì “deciso e senza tentennamenti alla vita”. Lo ha lanciato Papa Francesco incontrando oggi i medici cattolici riuniti in questi giorni a Roma. “Una diffusa mentalità dell’utile”, la cosiddetta “cultura dello scarto”, che – ha detto il Pontefice – “oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli”:

“Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo. E ogni anziano – ho parlato del bambino: andiamo agli anziani, altro punto – anche se infermo o alla fine dei suoi giorni porta in sé il volto di Cristo. Non si possono scartare, come ci propone la “cultura dello scarto”! Non si possono scartare!.

Va dunque ribadito – come riportato nella Dichiarazione sull’aborto procurato della Congregazione per la Dottrina della Fede – che “il primo diritto di una persona è la sua vita”. Nell’essere umano fragile, ha aggiunto il Santo Padre, “ciascuno di noi è invitato a riconoscere il volto del Signore, che nella sua carne umana ha sperimentato l’indifferenza e la solitudine a cui spesso condanniamo i più poveri, sia nei Paesi in via di sviluppo, sia nelle società benestanti”:

“Le cose hanno un prezzo e sono vendibili, ma le persone hanno una dignità, valgono più delle cose e non hanno prezzo. Tante volte ci troviamo in situazioni in cui quello che costa di meno è la vita. Per questo l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del Magistero della Chiesa, particolarmente a quella maggiormente indifesa, cioè al disabile, all’ammalato, al nascituro, al bambino, all’anziano, che è la vita più indifesa”.

Con i medici cattolici, il Papa ha riflettuto sull’attuale momento storico, in cui si vive una “situazione paradossale” per la loro professione. Da una parte, ha notato, “constatiamo – e ringraziamo Dio – per i progressi della medicina, grazie al lavoro di scienziati che, con passione e senza risparmio, si dedicano alla ricerca di nuove cure”. Dall’altra, però, si riscontra “anche il pericolo che il medico smarrisca la propria identità di servitore della vita”. “Il disorientamento culturale – ha aggiunto – ha intaccato anche quello che sembrava un ambito inattaccabile”: la medicina. “Pur essendo per loro natura al servizio della vita – ha proseguito – le professioni sanitarie sono indotte a volte a non rispettare la vita stessa”. Citando l’Enciclica Caritas in veritate, il Pontefice ha ricordato invece che “l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo”.

“La situazione paradossale si vede nel fatto che, mentre si attribuiscono alla persona nuovi diritti, a volte anche presunti diritti, non sempre si tutela la vita come valore primario e diritto primordiale di ogni uomo. Il fine ultimo dell’agire medico rimane sempre la difesa e la promozione della vita”.

In particolare per i ginecologi, il mandato è quindi quello di essere “testimoni e diffusori” della cultura della vita.

« Un tempo, alle donne che aiutavano nel parto le chiamavamo ‘comadre’: è come una madre con l’altra, con la vera madre, no? Anche voi siete ‘comadri’ e ‘compadri’: anche voi ».

L’essere cattolici, poi, “comporta una maggiore responsabilità”, in particolare verso la cultura contemporanea: “contribuire a riconoscere nella vita umana – ha spiegato – la dimensione trascendente, l’impronta dell’opera creatrice di Dio, fin dal primo istante del suo concepimento »:

“È questo un impegno di nuova evangelizzazione che richiede spesso di andare controcorrente, pagando di persona. Il Signore conta anche su di voi per diffondere il ‘vangelo della vita’”.

In questa prospettiva – ha detto il Santo Padre – i reparti ospedalieri di ginecologia “sono luoghi privilegiati di testimonianza e di evangelizzazione”, perché là dove la Chiesa si fa veicolo della presenza del Dio vivente, “diventa al tempo stesso” quello che la Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione della Congregazione per la Dottrina della Fede definisce “strumento di una vera umanizzazione dell’uomo e del mondo”. In tale prospettiva, come notò Benedetto XVI nel suo discorso del 2012 all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, la struttura sanitaria diventa “luogo in cui la relazione di cura non è mestiere ma missione”.

L’auspicio finale del Papa ai medici è stato quello di ricordare “a tutti, con i fatti e con le parole”, che la vita “è sempre, in tutte le sue fasi e ad ogni età, sacra ed è sempre di qualità”. E non per un “discorso di fede – no, no – ma di ragione, per un discorso di scienza”:

“Non esiste una vita umana più sacra di un’altra, come non esiste una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra. La credibilità di un sistema sanitario non si misura solo per l’efficienza, ma soprattutto per l’attenzione e l’amore verso le persone, la cui vita è sempre sacra e inviolabile”.

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Dona un paio di scarpine a una donna che voleva abortire: condannato a 10 mila euro di multa

Posté par atempodiblog le 20 septembre 2013

L’84enne francese Xavier Dor si è macchiato di «reato di intralcio all’aborto». Associazioni femministe: «Siamo arrabbiate, la somma è risibile»

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Xavier Dor (di cui vi avevamo già parlato qui) è stato condannato al pagamento di 10 mila euro di ammenda per «aver ostacolato in modo delittuoso una interruzione volontaria di gravidanza» il 25 e 26 luglio 2012, entrando in un centro di pianificazione familiare a Parigi. È stato invece assolto per aver recitato il rosario, come atto di riparazione e intercessione per i medici abortisti, davanti all’ospedale Saint-Vincent-de-Paul di Parigi il 2 aprile 2011.

SCARPINE GALEOTTE. Ma che cosa ha fatto il presidente dell’associazione cattolica “SOS Tout Petits”, che da oltre 20 anni si batte in Francia per la vita contro l’aborto, per macchiarsi del «reato di intralcio all’aborto», con tanto di «pressioni morali e psicologiche di una violenza inaudita»? Ha donato un paio di scarpine da neonato a una mamma che stava entrando negli uffici di un’associazione femminista per richiedere un’interruzione di gravidanza.

«POCHI» DIECIMILA EURO DI MULTA. L’accusa aveva chiesto per il medico ottomila euro di multa e un mese di carcere, ma i giudici hanno cancellato il periodo di prigionia e gli hanno inflitto 10 mila euro di ammenda. Le associazioni in difesa del diritto all’aborto, che hanno denunciato l’uomo, non sono però soddisfatte: «È davvero difficile far riconoscere giuridicamente il reato d’intralcio all’aborto attraverso azioni dimostrative di fronte ai centri [abortivi] – commentano al Le Monde – Siamo arrabbiati dalla risibile somma della multa viste le ingenti risorse di cui dispongono i network contro l’aborto».

«LEGGE CRIMINALE». Soprattutto, insiste Isabelle Thieuleux, avvocato del Coordinamento delle associazioni per il diritto all’aborto e alla contraccezione, «è inaccettabile che il signor Dor abbia annunciato, prima del processo, che organizzerà altre azioni, anticipando già il calendario». Xavier Dor, ormai 84enne, ha infatti dichiarato che continuerà a battersi contro una «legge criminale che permette l’uccisione dei bambini»: «Andremo davanti all’ospedale Tenon e a Port-Royal».

Clicca qui per leggere l’articolo pubblicato da Tempi

di Leone Grotti – PROLIFE News

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I nostri figli non nati. Cinque milioni di pensieri

Posté par atempodiblog le 20 septembre 2013

I nostri figli non nati
Cinque milioni di pensieri
di Marina Corradi – Avvenire
Tratto da: PiùVoce

“I bambini uccisi nel seno materno sono ora come piccoli angeli attorno al trono di Dio” (Messaggio di Medjugorje, 1992)

I nostri figli non nati. Cinque milioni di pensieri dans Aborto dn1h

In questa Italia dove ogni giorno si tumultua e ci si affanna e si grida, e reciprocamente ci si rinfaccia ciò che si è fatto e ciò che si è sba­gliato, può sembrare strano parlare di ciò che “non” è stato.

Ciò che non è stato mai, perché non è nato. Scor­rendo le statistiche ministeriali, vedi che dal 1978 a oggi ci sono stati in Italia cinque milioni di aborti. Perfettamente legali, certo. Ma anche chi sostie­ne il diritto all’aborto potrebbe fermarsi un mo­mento, in questa domenica di quasi acerba pri­mavera, di fronte a un pensiero: cinque milioni di figli che mancano, cinque milioni, che non sono nati.

Legale l’aborto, ma quasi clandestino il pensiero di quei bambini negati. Non se ne parla, ed è giu­dicato sconveniente ricordarlo, dalle tribune me­diatiche che contano. Come fossero cinque mi­lioni di storie private, che nessun altro riguarda­no se non quelle singole donne; e al massimo le loro malinconie, tanti anni dopo; malinconie di cui però non si usa parlare. E invece per una vol­ta, oggi che i cattolici italiani celebrano la Giornata per la vita, tra tanti pubblici rumori e clamori, vor­remmo immaginare un lungo condiviso attimo di silenzio; e che si possa per un momento resta­re zitti, nel rimpianto di quei figli che avremmo, e non abbiamo.

Chi erano, e che facce avrebbero avuto? Erano i compagni che i no­stri bambini non hanno cono­sciuto; quelli con cui non hanno giocato a pallone; quelli che man­cavano, nei banchi vuoti delle au­le di paesi spopolati. Erano quel­lo di cui nostra figlia si sarebbe in­namorata; o la ragazza che un giorno ci avrebbe resi nonni. Era­no, sarebbero stati. Il principio scoccato, il tessuto in fieri,e ogni cellula programmata. Ma non previsti, o attesi, o desiderati. Tan­tissime ragioni, e spesso umana­mente comprensibili. Eppure quante di quelle madri hanno an­cora addosso quel giorno, ta­gliente come uno strappo alla propria intima natura. Non sono stati; sospinti indietro, clandesti­ni, invisibili ombre cancellate. Si può almeno averne memoria, e dare voce a un rimpianto che molte conservano gelosamente per sé? Quante, vedendo una fol­la di ragazzi all’uscita da scuola u­na mattina, sono attraversate da un sottile doloroso pensiero: a­vrebbe la stessa età, “lui”.

Ma poiché i figli non sono solo fi­gli nostri, quel rimpianto dovreb­be essere collettivo. Quei bambi­ni ci mancano. I primi di loro a­vrebbero trent’anni ormai. Li im­maginate? Oggi magari sarebbe­ro in piazza a gridare contro il go­verno, oppure a favore; oppure a immaginare un’altra Italia. Sa­rebbero energie e desideri, e voci nei nostri cortili vuoti; sarebbero nelle scuole a studiare, nelle uni­versità a far ricerca, a insegnare. Chi c’era poi, in mezzo agli altri, in quella folla di clandestini respinta? Forse il centravanti che a­vrebbe fatto impazzire gli stadi; o la splendida vo­ce che ci avrebbe incantati. E quali libri non leg­geremo mai, non scritti dai nostri figli non avuti? Fra di loro, non pochi il cui destino è stato decre­tato dalle analisi: anormali, malati. Inutili. Come Hawkings magari, il fisico in carrozzella? Che co­sa è stato buttato via per una diagnosi, e quali do­ni portavano con sé i figli scartati? Certo, come testimonia chi invece quei figli li ha avuti, la ca­pacità di insegnare ad amare. Milioni di storie diverse. Madri sole, o senza un sol­do, o padri inesistenti; o benpensanti famiglie, che non avrebbero tollerato; oppure posti di la­voro a rischio, o carriere che non potevano a­spettare. Cinque milioni di storie private si coa­gulano in questo vuoto collettivo – e anche forse in uno slancio, in un coraggio che ci mancano. Perché ha più fiato, un Paese che pensa ai suoi fi­gli; non si insterilisce nell’oggi, non trascura un fu­turo, che è il tempo di quei figli. Il silenzio che vor­remmo oggi è ammissione, oltre il ben noto e af­fermato “diritto”, di un censurato dolore: per ciò che non è stato. Un silenzio che dica a chi ha vent’anni oggi che un figlio, voluto o no, è più u­mano abbracciarlo; e non è questione di codici, ma di una legge più forte, più grande – come scrit­ta addosso.

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Madre Teresa, una donna scomoda

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2013

Madre Teresa, una donna scomoda
di Angelo Comastri – Toscana Oggi

Madre Teresa, una donna scomoda dans Aborto 7sbo

Madre Teresa di Calcutta è diventata beata a tempo di record: appena sei anni dopo la sua morte! E ormai tutti la considerano una «santa». Tuttavia non dimentichiamo che Madre Teresa è una persona «scomoda». Così come è scomodo un limpido raggio di luce quando illumina una parete ammuffita; come è scomoda una persona onesta dentro una combriccola di ladroni; come è scomodo un cuore umile in un raduno di arroganti; come è scomodo un «povero» all’ingresso di una discoteca; come è scomoda una mamma, con due bambini in braccio, davanti ad una clinica per aborti.

Madre Teresa è scomoda! Ne volete una prova? Lasciamola parlare. Ecco una sua affermazione chiara, ma tanto scomoda: «Se nel vostro Paese permettete l’aborto, allora diventate un Paese molto povero. Tanto povero da aver paura anche di bambini».

Ecco un altro pensiero luminoso ma controcorrente, che ella rivolse a un gruppo di lebbrosi: «Ogni volta che Dio guarda il palmo della Sua mano, vi ci vede disegnati. Per questo ogni vita umana è preziosa: sì, anche voi lebbrosi siete preziosi agli occhi di Dio!».

Ecco una presentazione di Maria che è, nello stesso tempo, originalissima e fedelissima: «La Madonna fu la prima “dama della carità”. Ma, prima di esserlo, si svuotò completamente di se stessa e si offrì come serva del Signore».

Ecco una sua norma di vita che, nell’attuale società violenta e prepotente, può avere il sapore dell’ingenuità e invece è una perla di autentica sapienza: «Preferirei commettere degli errori con gentilezza e compassione piuttosto che operare miracoli con scortesia e durezza».

Ecco, infine, una coraggiosa lettura della povertà umana: «I poveri hanno fame di pane, ma soprattutto hanno fame di Dio. La più grande disgrazia dell’India è di non conoscere Gesù Cristo: e, senza Gesù Cristo, non si conosce il valore della vita umana».

Chi è, allora, Madre Teresa. Ella è una «innamorata di Cristo», è una donna «folgorata dal Crocifisso», nel quale ha visto il Volto di Dio come «Volto di Amore» e ha sentito la sete di Dio come «sete di Amore». E ha risposto all’amore con tutta la sua vita: senza esitazione, senza risparmio, senza mezze misure. E ha cercato i poveri per amarli con l’Amore di Dio e per consolarli con l’unica vera buona notizia, che è questa: «Dio ti ama». A tutti, infatti, ella ripeteva instancabilmente: «God is Love», Dio è amore!
Il segreto di Madre Teresa sta tutto qui: ed è – vale la pena ricordarlo – il segreto stesso del cristianesimo. Potessimo capirlo! Potessimo viverlo tutti un pochino di più!

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La Germania riconosce i bambini non nati

Posté par atempodiblog le 21 juin 2013

La Germania riconosce i bambini non nati
di Tommaso Scandroglio – La nuova Bussola Quotidiana

La Germania riconosce i bambini non nati dans Aborto 1avn

Il Parlamento tedesco ha approvato in maggio una norma importante in fatto di vita nascente. Ora sarà possibile dare legalmente un nome anche a quei bambini non nati di peso inferiore ai 500 grammi. Quei piccoli che non sono riusciti a venire al mondo e che vengono chiamati “Sternenkinder”, cioè bambini delle stelle,  quindi si vedranno perlomeno riconosciuto il diritto ad un nome inscritto presso l’anagrafe civile e di una degna sepoltura. Inoltre la disposizione legislativa ha valore retroattivo: ciò significa che a tutti i genitori sarà concessa la facoltà di assegnare un nome al proprio figlio nato morto, esibendo il relativo certificato, anche se la morte è avvenuta molti anni prima. La decisione del Bundestag tedesco è significativa per più motivi.

In primo luogo contraddice il luogo comune che sei tanto uomo quanto più assomigli morfologicamente ad un essere umano. Anche l’embrione, la morula e lo zigote sono persone. Quello che ci riveste di umanità non è avere due mani, due occhi e un cervello. Per essere uomini basta esistere. Insomma l’uomo non vale tanto quanto pesa e 500 grammi non è il peso minimo di umanità consentito per far parte del genere umano. In secondo luogo il nome anagrafico è prerogativa solo di chi è soggetto di diritto. Il Parlamento tedesco ribadisce – perché il dato di natura giuridica è già cosa nota in casa tedesca – che il concepito è già un qualcuno per lo Stato, al di là del suo grado di sviluppo. In terzo luogo la possibilità di inumazione attesta con maggior forza che il nascituro è a tutti gli effetti una persona.

L’antropologia ci conferma in un dato incontrovertibile: se un archeologo scavando scopre una tomba, state pur certi che lì vicino è sorta una città, un nucleo abitativo, un consesso di persone che si è dato delle regole sociali di vita. L’inumazione è prova provata di civiltà perché si riconosce al defunto quegli onori che sono propri solo delle spoglie mortali di una persona. La sepoltura quindi è atto doveroso perché degno solo degli esseri umani. Riconoscere al non nato seppur di pochissime settimane il rito dell’inumazione è riconoscergli lo status di persona. Sulla stessa linea si muove anche il Magistero che, ricordando come il seppellire i morti sia opera di misericordia corporale, in Donum Vitae (1,4) comanda che “i cadaveri di embrioni e di feti umani volontariamente abortiti o non devono essere rispettati come le spoglie degli altri esseri umani”.

Infine questa norma riverbererà i suoi effetti positivi non solo sulla normativa tedesca che – a differenza di quella italiana – considera l’aborto comunque un reato non punibile solo in alcuni determinati casi, ma anche su tutti gli ordinamenti giuridici degli altri paesi europei in materia di aborto. Infatti per tentar di modificare le legislazioni che legittimano l’aborto è importante, tra le altre cose, instillare tra le persone la percezione e poi la convinzione che il bambino nel ventre della madre è un essere umano a tutti gli effetti. Le leggi sull’aborto sono in un certo qual modo leggi specchio, cioè rispecchiano sul piano del diritto – anche se non sempre – il sentito comune. Difficile chiedere ad un politico di esporsi in Parlamento su questa tematica così delicata se alle sue spalle questi non può contare su un consenso diffuso (ciò non toglie che ogni tanto una ben mirata sortita di qualche onorevole potrebbe ugualmente avere un suo significato e peso politico, nonché culturale). Il riconoscimento del nome ai bambini non nati e la possibilità di dare loro degna sepoltura, al di là del numero di coppie di genitori che decideranno di approfittare di questa opportunità, incide fortemente nel tessuto culturale, forse ben più di tante altre iniziative sociali e di carattere giuridico comunque meritorie.

L’Italia già da tempo è arrivata al traguardo tagliato dalla Germania solo settimana scorsa. Infatti il Decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1990 stabilisce che i resti mortali dei feti non debbano finire tra i rifiuti ospedalieri – tra arti amputati e resezioni di colon – bensì accolti dalla nuda terra. Però solo per quelli di età superiore alle 20 settimane tale iter è obbligatorio, per gli altri è facoltà dei genitori, i quali per lo più sono ignari di tale possibilità (così come le aziende ospedaliere). Su tale fronte da anni in Italia opera l’Associazione Difendere la Vita con Maria che ha costituito su tutto il territorio nazionale una fitta rete di commissioni locali le quali, tra le moltissime attività, promuovono anche il seppellimento dei bambini non nati. Un gesto di onore e pietà per i piccoli morti, un gesto di deterrenza e persuasione per le madri che hanno in animo di abortire e infine un gesto di speranza per quelle vite minacciate dall’odierna e diffusa cultura di morte.

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Donne, ideologia travestita da solidarietà

Posté par atempodiblog le 26 mai 2013

Donne, ideologia travestita da solidarietà
di Donata Fontana – La nuova Bussola Quotidiana

Donne, ideologia travestita da solidarietà dans Aborto chimeforchange

In questi giorni la tv trasmette lo spot di “Chime For Change”, fondazione patrocinata dal noto marchio di moda Gucci e impegnata per lo sviluppo e la tutela delle donne, in ogni parte del mondo. Bellissime del cinema e della musica hanno prestato volto e voce come testimonial delle iniziative promosse dalla fondazione, si spera non a scopo di lucro: Salma Hayek, Beyoncè e tante altre raccontano alla telecamera che sì, le donne sono forti, hanno una voce che va ascoltata e possono farcela persino «a diventare Presidente degli Stati Uniti», ma devono essere protette e aiutate, riconoscendo loro dignità, libertà, istruzione e salute.

Tanto di cappello all’iniziativa, specie se queste Very Important signore hanno devoluto a scopo benefico il loro compenso per aver girato lo spot; ma, a guardar bene, la retorica trionfa ancora, se pensiamo alla misura sicuramente spropositata di tale compenso che, probabilmente, una donna “normale” guadagna sì e no in un anno. Forse, alle donne che lavorano ogni giorno poco interessa che quelle attrici dicano loro che è possibile farcela, perché – a ben vedere – ce la fanno già da sole ogni giorno, con o senza mariti accanto, con uno, due o tanti figli a carico e mille e uno problemi da risolvere.

Quando sentiamo, poi, che il programma della fondazione è “Giustizia, educazione e salute per ogni donna e ragazza” ci si drizzano le orecchie perché – se sulle prime due si può essere d’accordo – quando si tratta di salute femminile e materna si rischia spesso di parlare lingue ben diverse.
Andando, infatti, sul sito di “Chime For Change”, si scopre che tutto è frutto di una collaborazione di Gucci con le varie agenzie ONU in difesa dei diritti femminili e dei bambini: chi ha a mente l’agenda delle Nazioni Unite sull’educazione (pornografica) sessuale dei bambini, sull’accessibilità all’aborto per le minorenni e sulla distribuzione dell’RU486, intuisce già che “diritti riproduttivi” fanno spesso rima con pianificazione familiare e contraccezione.

E così ci si chiede se, anche questa volta, due più due farà di nuovo quattro. “Chime for Change” si autodefinisce come una «catapulta globale» per le iniziative di tante Ong. Una sorta – cioè – di piattaforma per la pubblicizzazione e la raccolta fondi a favore dei progetti in cantiere, in ogni angolo del mondo, per la promozione dell’istruzione femminile nel Malawi, per la lotta ai matrimoni di bambine in India, contro le mutilazioni tribali dei genitali femminili in Africa, contro la mortalità neonatale e materna nei Paesi in via di sviluppo, per fermare il traffico di bambine a scopo di prostituzione in America Centrale o la violenza domestica a Lima.
Progetti ben strutturati, come l’accesso al microcredito in alcune zone dell’Africa per donne artigiane, o come la ricostruzione di alcune scuole ad Haiti; altri davvero lungimiranti come la formazione di una futura generazione di donne leader dell’economia e della politica, in collaborazione con l’Onu. A un rapido calcolo, le iniziative presentate da “Chime for Change” risultano essere più di una cinquantina e, forse, si rischia la dispersione delle energie e dei fondi.

Accanto a tanto buon cuore e impegno, ci si imbatte presto in ben noti equivoci, specialmente riguardo alla tutela della salute femminile: ecco, infatti, l’abbondante pagina dedicata alla diffusione di programmi di pianificazione familiare non naturale, alla diffusione di contraccettivi e metodi abortivi. Ecco che la priorità diventa l’educazione sessuale delle ragazze, per spiegare loro come non si rimane incinta, e la consapevolezza raggiunta da ogni donna che del proprio corpo può disporre, anche a discapito del figlio che porta in grembo. Ecco, quindi, tutti i neologismi mutuati dai Millennium Development Goals delle Nazioni Unite in tema di “aborto terapeutico” e “diritti riproduttivi”.

Cliccando su un progetto qualsiasi, non si hanno più dubbi sull’ideologia partigiana del tutto: in Guatemala – leggiamo nella presentazione – molte donne hanno anche sei o sette figli, alcuni dei quali non voluti, proprio perché non hanno accesso ai contraccettivi. Addirittura «ci sono prove evidenti che mettono in relazione il numero di figli con la salute della famiglia, ecco perché controllare il numero di gravidanze per ogni donna riduce le malattie e può migliorare il suo futuro».
Nessuno ci spiega però, perché non si sceglie di introdurre metodi naturali di controllo delle nascite, educando alla monogamia e alla fedeltà, perché non si cerca di garantire la salute attraverso l’educazione bensì, solo attraverso la contraccezione. Il progetto, in definitiva, «si impegna a informare i giovani sull’uso dei contraccettivi così che essi possano posticipare le loro gravidanze».

Col beneficio del dubbio – non saranno tutti così, questi progetti, vero? – ne approfondiamo un secondo, supportato, neanche a dirlo, dalla “Marie Stopes International”, nota catena di cliniche abortiste. Partendo dal dato che, in Papua Nuova Guinea, per ogni 231 nascite una donna muore durante il parto, la soluzione pare essere quella di ridurre il numero di nuovi nati «assicurando e incrementando l’accesso ai diritti riproduttivi di ogni donna», che la “Stopes International” intende promuovere assieme al family planning.
La lista dei partner è lunga e variopinta, ma ricorrono sempre i soliti noti come il “Global Fund for Women” il cui più grande successo – apprendiamo sul sito – «è quello di aver compiuto grandi sforzi per la legalizzazione dell’aborto nel Messico e aver costituito i primi gruppi di outing per lesbiche in Cina, Libano, India e Turchia»; o come “Path” e “Women Deliver”, entrambi forti sostenitori del 5° MDGoals dell’ONU su aborto e sterilizzazione femminile.

Quella di “Chime for Change” è chiaramente l’intenzione di fare rete, creare consapevolezza e dare visibilità ai molti (alcuni validissimi) progetti per lo sviluppo della donna, ma, in definitiva, ciò che emerge a un occhio attento, è il delinearsi di una fittissima trama di Ong, fondazioni e gruppi internazionali che spingono politica ed economia globale contro la vita e contro la maternità. Passa così, nella vulgata, il concetto che curare (con il c.d. aborto terapeutico) è meglio che prevenire (con l’educazione la consapevolezza), che di fronte alla vita nascente si può scegliere, che la propria identità sessuale si decide, che la mortalità materna si diminuisce non aiutando le madri, ma evitando che una donna lo diventi.
Ancora una volta, dunque, due più due fa quattro.

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Marcia per la Vita: 40mila in piazza, con papa Francesco benedicente

Posté par atempodiblog le 12 mai 2013

Marcia per la Vita: 40mila in piazza, con papa Francesco benedicente dans Aborto papafrancescomarciaperl

Marcia per la Vita ha portato oggi a Roma 40mila persone, che il Papa ha salutato al Regina Coelie ha poi incontrato avvicinandosi al corteo sulla papamobile in via della Conciliazione. L’accoglienza di Papa Francesco rappresenta, secondo i promotori dell’evento, il più alto riconoscimento per l’iniziativa e la conferma della sensibilità del Pontefice ai principi non negoziabili, a cominciare dal diritto alla vita.

La Marcia per la Vita è iniziata al Colosseo con i saluti dei numerosi rappresentanti di movimenti pro-life giunti da tutto il mondo, tra i quali Jeanne Monahan, presidente della March for Life di Washington, Lila Rose, considerata dall’organizzazione abortista Planned Parenthood come la nemica numero uno, Geoffrey Strickland, di Priest for Life, il dottor Xavier Dor, medico condannato 15 volte in Francia per aver lottato contro l’aborto, Blondine Serieyx, rappresentante della Manif pour tous francese, Antony Burkhard, rappresentante di Droit de naitre, altra associazione francese impegnata nella difesa della vita e Federica Iannace Swift, dell’irlandese Youth Defence .

La nostra Marcia è quella di un popolo della vita che, difendendo la vita, vuole infondere nuova vita in una società che si decompone e muore“, ha detto Virginia Coda Nunziante, portavoce dell’evento, nel suo discorso di apertura. Ha parlato anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che ha denunciato la “strage degli innocenti” che si consuma con l’aborto. Il primo cittadino ha seguito il corteo fino a Piazza Venezia. Ha percorso invece  tutto il tragitto della Marcia, dal Colosseo a Castel Sant’Angelo, Sua Emin. il card. Raymond Leo Burke, il quale, nell’adorazione eucaristica tenutasi alla vigilia, ha definito la manifestazione “espressione di fede cattolica e atto di servizio alla società in cui viviamo e al suo bene comune“.

La Marcia si è svolta in un clima pacifico e festoso, in un tripudio di bandiere, di slogan e di cartelli grandi e piccoli inneggianti alla vita e contro la legislazione abortista vigente in Italia e altri Paesi del mondo. Tantissimi i giovani e le famiglie con bambini, a testimoniare che non di battaglia di retroguardia si tratta, ma di lotta per un avvenire e una società più giusti.

Foltissimo il numero dei religiosi presenti, tra i quali l’Istituto del Verbo Incarnato, i Francescani dell’Immacolata e gli Orionini, questi ultimi guidati dal loro superiore generale don Flavio Peloso. ,

Hanno partecipato alla Marcia, rigorosamente apartitica e senza slogan e simboli politici, diversi parlamentari, tra cui Maurizio Gasparri, Giorgia Meloni, Maurizio Sacconi, Eugenia Roccella, Carlo Giovanardi, Stefano De Lillo, Carlo Casini e Paola Binetti.

La manifestazione si è conclusa in piazza san Pietro, dove il Papa, che già aveva salutato la Marcia per la Vita nel suo Regina Coeli, è sceso tra la folla incontrando i partecipanti.

Fonte: Marcia Nazionale per la Vita

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Larghe intese per la vita

Posté par atempodiblog le 12 mai 2013

Larghe intese per la vita
L’indifferentismo abortista, la terza Marcia pro life, i segnali di risveglio fra laici e cattoliciLarghe intese per la vita dans Aborto empty
di Maurizio Crippa – Il Foglio.it

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“La giornata più nera della mia vita è stata quella in cui ho firmato la legge sull’aborto”. Questo confessò Giulio Andreotti, parlando nel 2001 al Meeting di Rimini. Fu tentato dal dimettersi, ma come ricordò più volte, e anche in una conversazione del 2008 con il Foglio, “se io mi fossi dimesso nessun altro democristiano avrebbe potuto firmarla: si sarebbe aperta una crisi politica senza sbocco… con le dimissioni, avrei contribuito a un male maggiore di quello che volevo evitare. Così firmai”.
Nei giorni delle larghe intese, la morte di Giulio Andreotti ha fatto scorrere un fiume di riflessioni sul rapporto tra la chiesa, il cattolicesimo italiano e lo stato repubblicano. Ma la storia della legge 194 firmata come compromesso su un male minore – o sarebbe meglio dire come armistizio alla meno peggio dopo una sconfitta antropologica epocale (ma allora la parola non andava ancora di moda) è rimasta tra parentesi. Sottaciuta. Quasi una conferma di come in Italia – al di là delle statistiche che, più che di un calo, dicono di una assuefazione stazionaria al tran-tran ospedalizzato della 194: nel 2011 109 mila IVG (dato provvisorio), meno 5 per cento sul 2010 – l’aborto sia diventato in sostanza moralmente indifferente, e anzi paradigma di una superiorità soggettiva sul fatto oggettivo. Un dato di fatto relativizzato, per così dire, anche dalla chiesa, che in tre decenni non hai mai più affrontato di petto la battaglia su un piano culturale. Così che oggi, anche sugli altri fronti sensibili, dall’eutanasia alle nozze gay, c’è una sorta di paralizzata preoccupazione davanti al nuovo fronte di frana che potrebbe essere repentino, come dimostra il caso francese.

Il profumo di questa opaca aria occidentale che soffia sull’Italia lo raccontano due libri recenti. La scrittrice Simona Spartaco è entrata nella dozzina per lo Strega con “Nessuno sa di noi”, romanzo che parla di un aborto eugenetico (illegale e all’estero) dopo la 23esima settimana. Storia semplice: loro hanno voluto il loro bambino a furia di bombardamenti ormonali (è un loro legittimo desiderio, no?), adesso scoprono che quello sgorbio è malato. Perché non dovrebbero eliminarlo (è un loro diritto, no?)? C’è poi un saggio di Chiara Lalli per Fandango, “La verità, vi prego, sull’aborto”, basato su interviste a donne per nulla traumatizzate di aver abortito (altro che SPA, la sindrome post-abortiva), che prova a ribaltare il paradigma “della colpa” e smontare il pregiudizio per cui l’aborto “è sempre un trauma”. Lalli spiega come sia vero il contrario: “Voglio esplorare una possibilità teorica che si possa scegliere di abortire, che lo si possa fare perché non si vuole un figlio o non se ne vuole un altro, che si possa decidere senza covare conflitti o sensi di colpa”.
Eppure, mentre ci si avvia a celebrare i 35 anni della legge 194, il caso in Italia appare tutt’altro che chiuso. Domani, domenica 12 maggio, a Roma è convocata una piccola grande Marcia per la Vita: indipendente, anzi alternativa, rispetto alle tradizionali strutture pro life cattoliche. Nella stessa domenica arriva davanti a tutte le chiese d’Italia la mobilitazione per la raccolta europea di firme (ne servono un milione) della campagna “Uno di noi”, che intende proporre alla Commissione europea di “estendere la protezione giuridica della dignità, del diritto alla vita e dell’integrità di ogni essere umano fin dal concepimento”, cioè far riconoscere a livello europeo i diritti dell’embrione – iniziativa sostenuta dal Movimento per la Vita e in modo ufficioso dalla chiesa italiana, tramite le associazioni laicali e una martellante campagna di Avvenire.

Il messaggio inatteso di Angelo Scola

L’aborto, il suo scandalo lacerante anche nel corpo vivo della chiesa italiana appare insomma per quello che è: una questione tutt’altro che chiusa. Dolorosa, causa di timori e ripensamenti, ma viva. I segnali ad alto livello che qualcosa stia cambiando rispetto al passato non mancano. Uno assai eloquente, anche se buttato lì in modo informale, durante la presentazione milanese del suo ultimo libro “Non dimentichiamoci di Dio”, l’ha dato il cardinale di Milano, Angelo Scola. Rivolgendosi a Giuliano Ferrara e ricordando il suo impegno in materia, ha detto: “Mi sono sentito in colpa per quello che non siamo riusciti a dire noi, non l’abbiamo detto con chiarezza”. Ammissione più inedita che rara per un cardinale italiano, un “noi” che è suonato come una chiamata in causa di tutta la gerarchia, lasciando intendere che non si sia trattato di voce dal sen fuggita (del resto non è il genere di un teologo ad alta razionalità come Scola), ma di un giudizio meditato e foriero di approfondimenti. Se verranno, potrebbero essere anche divisivi, certo fuori dall’ecclesialese a bassa intensità in cui il dibattito in casa cattolica si è sempre svolto.

Bisogna tornare per un momento a quel 1978 e ad Andreotti. Per Paolo VI quella legge italiana, giunta nei suoi ultimi mesi di vita, fu un dolore immenso, ma è noto che né dal Vaticano né dalla Cei arrivò alcuna scomunica al presidente del Consiglio che la firmò. Lo ha ricordato, quasi unica medaglia in un articolo velenoso, Alberto Melloni: “Sarà però il Divo Giulio nel maggio 1978 a controfirmare la legge sull’aborto votata dal Parlamento: cosa che non accende alcuna sfiducia ecclesiastica”. E’ noto che quando partì la mobilitazione per il referendum i timori e le divisioni nelle gerarchie furono enormi. E’ noto che Andreotti non fosse certo l’unico contrario, così come non aveva condiviso la sciagurata campagna fanfaniana contro il divorzio, aveva anzi scritto un librino prezioso dei suoi, “I minibigami”, in cui sosteneva i possibili vantaggi di un doppio regime in caso di matrimonio: uno religioso e l’altro civile. Il referendum del 1981 fu una forzatura, pagata a caro prezzo. Il Sabato, allora settimanale della “ricomposizione dell’area cattolica”, dopo la batosta titolò “Si ricomincia da 32” (la percentuale raggiunta dagli antiabortisti), il wishful thinking forse più disastroso della storia del giornalismo cattolico: la ferita anche psicologica di quella sconfitta stracciò il tessuto ecclesiale in due lembi asimmetrici, una piccola minoranza pro life e una maggioranza che su quella ferita provò, di fatto, a spalmare l’anestetico di un quietismo distratto. Pochi davvero furono i tentativi di ripulirla, la ferita, tirandone via le croste indurite, cercando di purificare un pensiero pro life che fosse all’altezza dei tempi, della secolarizzazione ormai compiuta, di un rapporto con le leggi dello stato che andasse al di là della recriminazione e della tattica. Ci volle un ventennio perché la chiesa dei valori non negoziabili provasse una nuova strada. Furono gli anni dell’eccezionalismo italiano, della legge 40 e del Family day. Pochi anni dopo, col caso Englaro e la ventata di buon umore della moratoria contro l’aborto, la chiesa italiana è sembrata invece spaventata dalla vertigine di volare troppo alto. Recentemente il cardinale Camillo Ruini, dialogando col direttore di Repubblica Ezio Mauro, ha ricordato che la linea della chiesa non è mai stata né deve essere quella dello scontro: “E se la stessa chiesa andasse in minoranza?”, gli chiedeva Mauro. “Nessun problema”, replicava Ruini: “Per divorzio e aborto, tanto per citare il caso italiano, la chiesa non ha invitato alla rivolta civile, ma s’è appellata alla coscienza personale, perché l’uomo non ha solo una libertà esteriore, bensì una, ed è quella più importante, interiore”. Si farebbe un gran torto al cardinale a definirla una posizione mediana, lui è stato sempre tra i più netti sostenitori del dovere di intervento della chiesa nello spazio pubblico delle questioni legate al “grave dovere di dare la vita”. Ma certo la sua riflessione va inscritta in una più generale visione d’insieme, la stessa che Ruini ha esposto nella lectio magistralis per Magna Carta che il Foglio ha pubblicato martedì scorso sul rapporto tra le convinzioni religiose e la società aperta e secolarizzata.

La dottrina tradizionale, di per sé, è limpida. Ma nella chiesa italiana un pensiero bioetico forte ha stentato a nascere. Così come la sua sottolineatura pastorale. I richiami sono sempre stati netti ma generici, mai ultimativi, le iniziative di stimolo blande. Anche sul mero fronte della “attuazione integrale” della 194, quel preambolo che nega (negherebbe) tra le cause di aborto quelle economiche, si è fatto pochino. Il tempo ha un po’ logorato e infiacchito un mondo pro life mai davvero decollato, certo non nella misura battagliera tipica di altri contesti, per lo più anglosassoni. Qualche ruggine personalistica, qualche innegabile scontro interno, non hanno giovato. La poca incisività, i pochi volontari e la risibile dotazione dei Centri di aiuto alla vita, anche dei più battaglieri come quello di Paola Bonzi alla Mangiagalli di Milano, sono segnali che anche nelle ovattate stanze della Cei si stanno prendendo in considerazione. Ma non è solo il volontariato: in questi giorni cambieranno i vertici di Scienza e Vita, con l’ambizione di rilanciare la fucina culturale del pro life cattolico, di cui si erano perse le tracce.
I segni che qualcosa stia cambiando non mancano. A partire dall’appoggio a una iniziativa nata spontanea come la Marcia per la Vita (questa è la terza edizione), che ha raccolto l’adesione e la benedizione del presidente della Cei Angelo Bagnasco e di una trentina tra cardinali e vescovi. Se è naturale la partecipazione al convegno che precederà l’evento di prelati da sempre outspoken sui temi della vita come monsignor Gianpaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, o il cardinale di Bologna Carlo Caffarra, che svolgerà una lectio magistralis sul Vangelo della Vita, indicative sono anche altre adesioni, tra cui quella di Vincenzo Paglia, capo del pontificio Consiglio per la Famiglia. Alla Marcia parteciperà anche il cardinale americano Leo Raymond Burke, Prefetto del Supremo tribunale della segnatura apostolica, che in una recente intervista ha sparato alzo zero: “Credo che in alcuni posti ci sia grande esitazione da parte dei prelati a coinvolgersi in manifestazioni pubbliche. Quasi fosse percepita come una sorta di attività politica che un prete non deve intraprendere”.

L’iniziativa “Uno di noi” è un altro segnale di una galassia pro life in lenta uscita dalla letargia. La cosa più interessante è il tentativo di spostare il punto di vista, adeguandolo alle nuove sfide, anche di carattere legislativo. Spiega Alfredo Mantovano, tra i responsabili del comitato italiano, che “certo non c’è l’illusione di ottenere il risultato”, ma la mobilitazione internazionale serve per indicare che l’asticella sulle legislazioni della vita si sta alzando: “Ormai parliamo di eutanasia, di infanticidio (come documentato dal Foglio mercoledì, dell’eutanasia dei bambini possibile in Olanda “se le loro prospettive di vita sono fosche”, ndr). Mettere all’attenzione e chiedere un pronunciamento dei legislatori europei sullo statuto dell’embrione – tra l’altro in presenza di pareri di parte europea non sempre e non tutti negativi¬ – è più forte del semplice contrasto delle legislazioni abortiste che ormai ci sono quasi ovunque”. A Mantovano sembra che questo impegno non sia da poco, anche se riconosce che c’è stato un calo di tensione negli ultimi anni. Ma il clima sta cambiando: “E non è affatto migliorato. Anzi il rischio di nuove campagne negative, come l’iniziativa radicale sull’eutanasia, è alto, bisogna aggiornare il vecchio modo di affrontare questi temi. E una mobilitazione tra politica e società serve”.

Aggiornare il linguaggio
Servirebbe anche un aggiornamento dei linguaggi. Per dirla con Scola, se anche la chiesa non riuscisse più a far intendere che “la vita è sacra”, dovrà pur sempre trovare il modo di affermare che “l’autogenerazione non sarà mai possibile”. A rendere bisognosa di aggiornamento la lingua cattolica sulla vita in Italia è certamente anche il contesto. Più duro, a lungo più ideologizzato che altrove. La moratoria sull’aborto fu presa a uova e sassi, qualsiasi richiesta anche solo di finanziare l’aiuto alle donne che vogliono tenersi il loro bambino (come il meritorio progetto pilota Nasco della regione Lombardia) è sempre aggredita con un sordo “la 194 non si tocca”. La lingua di legno ideologica non è mai stata veramente scalfita, come invece capita all’estero. Da noi nessun film come “Juno”, nessuna star di prima grandezza come Jack Nicholson, non proprio l’icona del bravo ragazzo, pronta a dichiarare di essere risolutamente pro life “perché la vita è il dono più grande”. E’ culturalmente significativo lo scandalo generato nella cultura pop, pochi giorni fa, dall’autobiografia del tennista Jimmy Connors, come dire l’icona di un certo modo di essere eroi americani, l’alter ego di John McEnroe, che ha raccontato come la causa della rottura della sua relazione con Chris Evert fu la scelta di lei, allora diciannovenne, di abortire senza nemmeno consultarlo: “Avrei gradito che la natura facesse il suo corso, mi sarei preso le mie responsabilità, ma Chris ritenne che il momento non fosse quello giusto”.
Il mondo americano è diverso, e questo ha un riflesso anche sulla chiesa. Negli Stati Uniti la “Roe v. Wade” è un dibattito sempre aperto, non un tabù, e certe scelte obamiane non hanno fatto che acuirlo. E i vescovi parlano, spesso e volentieri. Negli ultimi anni, inchieste e analisi come quelle sull’aborto selettivo delle bambine in Asia sono diventate fonte di riflessione e scandalo non più taciuto. In Italia, le copertine dell’Economist inciampano nel ridimensionamento scettico, scivolano su una condivisione pelosa, nella traduzione infedele della “strage delle bambine”, nel tentativo di attutire e travisare la vera natura morale dello problema nel sottoinsieme dello scandalo di genere. Persino il teologo Vito Mancuso cessa di fare notizia, quando su Repubblica si lascia sfuggire che “la vita umana non fa eccezione: anch’essa è sacra e va trattata con rispetto dal concepimento fino alla fine”. E poi su Facebook glossa il filosofo cattolico Jean Guitton: “L’aborto è l’uccisione di un innocente” con un perentorio “sono totalmente d’accordo”.
Eppure in un altro paese cattolico come la Spagna, che ha subìto una bufera di secolarizzazione impetuosa e gli anni della follia ciudadana, i vescovi hanno la forza, in questi mesi, di sostenere una battaglia per la revisione della legge sull’aborto. Eppure in Irlanda, dove la chiesa è stata scossa alle radici dalla questione pedofilia, il disegno di legge che dovrebbe legalizzare l’aborto stenta anche per l’impegno preciso dei politici cattolici.

Per contro in Italia, dopo gli anni dell’eccezionalismo, la Cei è sembrata curarsi maggiormente dei suoi dossier sociali. E la politica pro life ha perduto un’intera legislatura, quella nata proprio nei giorni di Eluana Englaro. Il “tagliando alla 194”, che avrebbe dovuto essere la risposta piena di buon senso alla dura ma non moralistica e non antifemminile moratoria del Foglio, non è mai stato fatto, mentre il governo dell’anarca etico Berlusconi diventava anarchico e basta. Nell’agosto del 2010, a governo ormai pronto per i protocolli di Groningen, fu presentata la cosiddetta “agenda biopolitica”, iniziativa dei ministri del Welfare e della Salute Maurizio Sacconi e Ferruccio Fazio, insieme al sottosegretario Eugenia Roccella. C’era anche Beatrice Lorenzin, oggi ministro alla Salute. Parlò di una “intesa trasversale sulla priorità dei temi etici che sta emergendo dalla presentazione dell’agenda biopolitica del governo… su questi problemi fondamentali c’è un’evidente maggioranza parlamentare pro life”. Tutto restò lettera morta, per le note vicende indipendenti dalla buona volontà. Che oggi ci sia la possibilità di creare larghe intese su questi argomenti, è indubbiamente un wishful thinking. Scorre invece una maggiore preoccupazione, nella chiesa cattolica, che si possa assistere a qualche tentativo di forzatura alla francese. Intanto, si marcia.

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MARCIA PER LA VITA: Roma, 12 maggio 2013

Posté par atempodiblog le 19 avril 2013

MARCIA PER LA VITA: Roma, 12 maggio 2013 dans Aborto marciaperlavital

Gli attacchi alla vita umana innocente sono sempre più numerosi e nuovi strumenti di morte minacciano la sopravvivenza stessa del genere umano: Ru486, Ellaone, pillola del giorno dopo ecc.

Da oltre trent’anni una legge dello Stato (la 194/1978) regolamenta l’uccisione deliberata dell’innocente nel grembo materno e i morti si contano a milioni.

marciaperlavita dans Riflessioni

La Marcia per la Vita è il segno dell’esistenza di un popolo che non si arrende e vuole far prevalere i diritti di chi non ha voce sulla logica dell’utilitarismo e dell’individualismo esasperato, sulla legge del più forte.
 
Con la Marcia per la Vita intendiamo:
 
- affermare la sacralità della vita umana e perciò la sua assoluta intangibilità dal concepimento alla morte naturale, senza alcuna eccezione, alcuna condizione, alcun compromesso;
 
- combattere contro qualsiasi atto volto a sopprimere la vita umana innocente o ledere la sua dignità incondizionata e inalienabile.
 
Per questo:
 
- chiamiamo a raccolta tutti gli uomini di buona volontà per difendere il diritto alla vita come primo dei principi non negoziabili, iscritti nel cuore e nella ragione di ogni essere umano e – per i cattolici – derivanti anche dalla comune fede in Dio Creatore;
 
- esortiamo ogni difensore della vita a reagire, sul piano politico e culturale, contro ogni normativa contraria alla legge naturale, e contro ogni manipolazione mediatica e culturale che la sostenga. E qualora ci si trovi nella impossibilità politica di abolire tali leggi per mancanza di un consenso popolare sufficiente, ci si impegna a denunciarne pubblicamente l’intrinseca iniquità, che le rende non vincolanti per le coscienze dei singoli.
 
La terza edizione della marcia sarà a Roma, centro della cristianità e del potere politico. Le strade della capitale sono state attraversate, anche recentemente, da numerosi cortei indecorosi e blasfemi; il nostro corteo vuole invece affermare il valore universale del diritto alla vita e il primato del bene comune sul male e sull’egoismo.
 
L’iniziativa sarà una “marcia” e non una processione religiosa e come tale aperta anche ai pro life non credenti e a tutti i gruppi che potranno partecipare con i loro simboli ad esclusione di quelli politici.
 
E’ previsto inoltre un convegno, sempre a Roma, l’11 maggio, sulla vita a cui hanno già dato la loro adesione personalità conosciute del mondo pro life italiano.
 
Abbiamo però bisogno dell’aiuto di tutti!
 
-  Con la preghiera, che smuove le montagne (1 Cor. 13,2) e vince ogni difficoltà
 
Con la costituzione, in ogni città italiana, di centri locali che ci aiutino sul piano organizzativo (fotocopiando e diffondendo materiale, organizzando pullman per venire a Roma, preparando striscioni, bandiere, cartelli…)
 
Con il sostegno economico che può moltiplicare le nostre possibilità. Si può versare un contributo sul conto corrente postale allegato oppure tramite bonifico bancario a:
 
  • Comitato per la Marcia Nazionale per la Vita :
    Banca Etruria,
    Iban: IT26 M053 9003 2170 0000 0092 314
    Bic: ARBAIT33134
 
Chiunque volesse aiutare e per qualsiasi informazione scrivere a:
info@marciaperlavita.it, oppure telefonare a : 06-3233370 / 06-3220291
 

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Quel neoclericalismo che “sequestra” i sacramenti

Posté par atempodiblog le 21 mars 2013

Quel neoclericalismo che “sequestra” i sacramenti
Il cardinale Bergoglio lancia l’allarme: negare il battesimo ai figli nati fuori dal matrimonio è una forma di «gnosticismo farisaico» che «separa il popolo dalla salvezza»

di Gianni Valente – Vatican Insider, 5/09/2012

Quel neoclericalismo che “sequestra” i sacramenti dans Aborto bergogliobattesimonoabo

Ha quasi chiesto scusa per l’impatto forte dell’immagine scelta: quella di una ragazza madre, una «povera ragazza» che magari ha vinto la tentazione insinuata in lei da chi le suggeriva di abortire, ha avuto il coraggio di mettere al mondo il suo bambino, e poi «si trova a pellegrinare di parrocchia in parrocchia, chiedendo che qualcuno glielo battezzi».

Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, ha richiamato senza esitazioni la ragione più ricorrente nei casi di battesimo “negato”: «Lo dico con dolore, se suona come una denuncia o un’offesa perdonatemi: nella nostra regione ecclesiastica  ci sono presbiteri che non battezzano i bambini delle madri non sposate perché non sono stati concepiti nella santità del matrimonio».

Il singolare richiamo a non umiliare con ricatti sacramentali le attese di chi chiede il battesimo per i propri figli è stato pronunciato domenica da Bergoglio nella sua omelia per la messa di chiusura del Convegno della regione ecclesiastica di Buenos Aires dedicato alla pastorale urbana.

Il cardinale gesuita vede nel “sequestro” dei sacramento che segna l’inizio della vita cristiana l’espressione di un neo-clericalismo rigorista quanto ipocrita, che tratta anche i sacramenti come strumenti per affermare la propria supremazia. Magari rinfacciando ai fedeli le loro fragilità e ferite, o mortificando le aperture e le attese di coloro che non sarebbero in regola coi “prerequisiti” di preparazione dottrinale e di status morale. Non si tratta solo di modelli pastorali fuorvianti: secondo Bergoglio tale modus operandi stravolge e rinnega la dinamica stessa dell’incarnazione di Cristo, ridotta a mero slogan dottrinale per operazioni di potere religioso. «Gesù» ha spiegato il porporato «non fece proselitismo: lui accompagnò. E le conversioni che provocava avvenivano precisamente per questa sua sollecitudine a accompagnare che ci rende fratelli, che ci rende figli, e non soci di una Ong o proseliti di una multinazionale».

Una dinamica di prossimità e liberazione che ha la sua espressione oggettiva e perdurante nel dono dei sacramenti. Invece per Bergoglio gli ipocriti di oggi, clericalizzando la Chiesa, «allontanano il popolo di Dio dalla salvezza». Sono loro gli epigoni dello «gnosticismo ipocrita dei farisei», davanti al quale Gesù tornava sempre «a mostrarsi in mezzo alla gente, tra i pubblicani e i peccatori».

Le parole di Bergoglio esprimono una sollecitudine da tempo avvertita nella Chiesa di Buenos Aires. Già da diversi anni, valorizzando anche le intuizioni di padre Rafael Tello – il teologo dei poveri e della devozione popolare scomparso nel 2002 – l’arcidiocesi suggerisce linee pastorali per facilitare in ogni modo i battesimi di quelli – bambini, ragazzi, adulti – che per varie circostanze della vita, nel nuovo contesto di secolarizzazione, non si sono battezzati. Senza aggiungere condizioni a quella contemplata dal Codice di diritto canonico, ossia che siano i genitori a richiedere il battesimo per i figli minori. Obiettivo minimale dichiarato: fare in modo che nessun genitore, a cominciare da quelli che vivono situazioni familiari irregolari, esca dalla parrocchia con l’idea che qualcuno, per qualche motivo, si è arrogato il potere di negare il battesimo ai suoi figli.

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