L’amore di Dio e Maria, la missione spiegata da Claret
Nell’opera sterminata di sant’Antonio Maria Claret emerge in modo chiaro come il missionario debba ardere dal desiderio che tutti amino Dio e si salvino eternamente. E per riuscirci deve «portare tutti» a Maria.
di Antonio Tarallo – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: Radio Maria
Entrare nelle parole di un santo non è mai impresa facile. Se poi quel santo annovera circa 150 titoli tra opuscoli e libri, circa 1.700 lettere e ben 18 volumi di manoscritti (appunti, schemi di sermoni, pensieri, suggerimenti, esortazioni), lo è ancora di più. Quel santo così tanto prolifico con la penna è sant’Antonio Maria Claret (1807-1870). La domanda, allora, che sorge spontanea guardando a una simile mole di pagine è semplice: com’è possibile che abbia scritto così tanto se ha così tanto operato nella sua missione pastorale?
Il carisma del santo arcivescovo spagnolo si è sviluppato intorno a questa parola così alta: missione. Lo spiega bene lo stesso Claret quando indirizza una lettera a padre Giuseppe Xifré, uno dei cofondatori, assieme al santo ricordato liturgicamente oggi, della Congregazione dei Missionari Figli del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria, i cui membri sono detti anche Clarettiani: «Dica ai miei amatissimi missionari che siano animati e lavorino a ritmo pieno aspettando da Gesù e da Maria la loro ricompensa.
Io amo tanto i sacerdoti missionari che darei per loro il mio sangue e la mia vita, laverei e bacerei loro mille volte i loro piedi, mi toglierei il boccone di bocca per sostentarli. Li amo tanto che impazzisco e non so cosa vorrei fare per loro. Se penso che il loro lavoro è tutto teso a far conoscere ed amare Dio, a salvare gli uomini dalla morte, non posso descrivere quello che mi succede in cuore». La lettera è datata 20 agosto 1861. Le parole che usa Claret sono nette, forti e danno un’immagine ben precisa di quanto la missione sia presente nel suo cuore: «Darei per loro il mio sangue e la mia vita».
Ma cosa vuol dire per il santo spagnolo essere missionari? Una risposta a tale quesito la si trova in uno scritto incluso nelle sue Opere spirituali: «Mossi dal fuoco dello Spirito Santo, gli apostoli percorsero tutta la terra. Accesi dallo stesso fuoco i missionari apostolici raggiunsero, raggiungono e raggiungeranno i confini del mondo da un polo all’altro della terra per annunziare la parola di Dio, così da poter giustamente applicare a sé quelle parole dell’apostolo Paolo: “L’amore di Cristo ci spinge” (2 Cor 5, 14). La carità di Cristo ci sprona, ci spinge a correre e a volare, portati sulle ali di un santo zelo. Chi ama davvero, ama Dio e il prossimo». La missione, dunque, si fonda su un unico dato, fondamentale e prezioso: l’amore per Dio, l’amore per i fratelli. È questo amore che deve ardere nel cuore di chi è impegnato nell’evangelizzazione a spronare i missionari di ieri, di oggi e di domani. Un amore alimentato da un «santo zelo».
È importante notare, inoltre, questo suo concetto di tempo: riguardo alla missione scrive come se fosse una sorta di linea continua, che riesce a congiungere il passato con il presente per poi proiettarlo nel futuro. Il mondo ha e avrà sempre bisogno di missioni e missionari, perché esiste e sempre esisterà la sete di Dio. In questa sua visione, il riferimento agli Apostoli è più che naturale visto che sono stati proprio loro ad annunciare per primi il Vangelo di Cristo Risorto a tutto il mondo. Più avanti aggiunge: «Chi è zelante, brama e compie cose sublimi e lavora perché Dio sia sempre più conosciuto, amato e servito in questa e nell’altra vita. Questo santo amore, infatti, non ha fine. La stessa cosa fa con il prossimo. Desidera e procura sollecitamente che tutti siano contenti su questa terra e felici e beati nella patria celeste; che tutti si salvino, che nessuno si perda per l’eternità, né offenda Dio e resti, sia pure un istante, nel peccato». In queste poche righe vi è tutto il fine, alto, dell’essere missionario.
Il passaggio dalle righe dedicate allo spirito missionario a quelle dedicate alla Vergine Maria (alla quale il Claret era particolarmente devoto) è più che ovvio: «Maria è tutta carità. Dove c’è Maria lì c’è la carità. Maria, dunque, è il cuore della Chiesa. Per questo germogliano da essa tutte le opere di carità. È risaputo che il cuore ha due movimenti che i medici chiamano sistole e diastole. Col primo, il cuore si stringe ed assorbe il sangue; col secondo si dilata e lo versa nelle arterie. Così anche Maria esercita continuamente questi due movimenti: assorbe la grazia del suo amato Figlio e la riversa sui peccatori», così scriveva il Claret nel suo Maria, cuore della Chiesa.
E proprio nelle mani della Vergine aveva affidato la sua vocazione missionaria e quella della sua congregazione. Sant’Antonio Maria Claret si è sempre considerato uno strumento nelle mani della Madonna. A raccontarlo è lui stesso nella sua Autobiografia: «Il giorno dell’Ascensione del Signore dell’anno 1870, un’anima si trovava davanti all’altare di Maria Santissima dalle undici alle dodici, contemplando la festa, e capì che i figli della Congregazione sono come le braccia di Maria, che con il loro impegno dovranno portare tutti a Maria: i giusti affinché perseverino nella grazia e i peccatori perché si convertano. Gesù è il capo della Chiesa, Maria ne è il collo, e subito dopo viene il cuore. Le braccia di Maria sono i missionari della sua Congregazione, che con zelo lavoreranno e abbracceranno tutti e pregheranno Gesù e Maria».
Fin da bambino, Claret andava molto spesso, con la sorella Rosa, al Santuario di Fussimaña: è qui, davanti a un’antica e bellissima statua della Vergine, che cresce la devozione mariana del Claret. Nella sua Autobiografia scrive: «Mi è impossibile spiegare la devozione che provavo in quel santuario. Già prima di arrivare, scorgendolo da lontano, mi commuovevo tutto, gli occhi mi si riempivano di lacrime. Incominciavamo il Rosario, e pregando arrivavamo alla chiesetta. Sempre che ho potuto, ho visitato poi quella devota immagine: da studente, da sacerdote, da vescovo, prima di imbarcarmi per Cuba». Una presenza, quella di Maria Santissima, che dunque ha sempre accompagnato il suo cammino spirituale.
Fra i tanti scritti è bene accennare a quelli denominati I quaderni dei propositi, in cui Claret annotava i suoi propositi nei confronti di Dio. La loro stesura cominciò nel 1843, anno molto significativo nella sua vita perché segnò una svolta nella sua missione apostolica. La calligrafia denota una cura particolare. L’inchiostro è molto nero, segno di parole ben determinate. In queste pagine troviamo scritto, ad esempio: «Mi dono totalmente come figlio e sacerdote di Maria. (…) Sarà mia Madre, Maestra e Direttrice, e da Lei sarà tutto ciò in cui faccio e soffro per questo ministero, perché il frutto deve provenire da ciò che ha piantato l’albero». E a un albero tale non poteva che corrispondere un frutto così tanto rigoglioso.