Il Papa all’Angelus: buttare via la propria vita è l’unica cosa da temere

Posté par atempodiblog le 26 juin 2023

Il Papa all’Angelus: buttare via la propria vita è l’unica cosa da temere
Nella catechesi Francesco ribadisce l’importanza di essere fedeli al Vangelo, che anche oggi comporta violenze e persecuzioni. Spesso, infatti, si dà la priorità a realtà di secondo piano ed è necessaria qualche rinuncia “di fronte agli idoli dell’efficienza e del consumismo” per non perdere ciò che conta davvero
di Michele Raviart – Vatican News

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“Io, di che cosa ho paura? Di non avere quello che mi piace? Di non raggiungere i traguardi che la società impone? Del giudizio degli altri? Oppure di non piacere al Signore e di non mettere al primo posto il suo Vangelo?” Lo chiede a se stesso e ai circa ventimila fedeli in piazza San Pietro Papa Francesco, prima della preghiera dell’Angelus (Ascolta il podcast con le parole del Papa). Per tre volte infatti, nella Parola di oggi, Gesù ripete ai suoi discepoli di non avere paura, “non perché nel mondo andrà tutto bene, ma perché per il Padre siamo preziosi e nulla di ciò che è buono andrà perduto”.

Non sprecare l’esistenza a inseguire cose di poco conto
Una sola cosa, afferma Gesù è da temere, e per spiegarla usa l’immagine della Geenna, la grande discarica dei rifiuti di Gerusalemme:

Gesù ne parla per dire che la vera paura da avere è quella di buttare via la propria vita. Buttare via la propria vita: e su questo Gesù dice: “Sì, abbiate paura di quello”. Come a dire: non bisogna tanto temere di subire incomprensioni e critiche, di perdere prestigio e vantaggi economici per restare fedeli al Vangelo, ma di sprecare l’esistenza a inseguire cose di poco conto, che non riempiono il senso della vita.

Mai mettere le cose davanti alle persone
Questo avviene anche oggi, ricorda Francesco, quando “si può essere derisi o discriminati se non si seguono certi modelli alla moda, che però mettono spesso al centro realtà di secondo piano: le cose anziché le persone, le prestazioni anziché le relazioni”. Tre gli esempi che fa il Papa: i genitori che a causa del lavoro non hanno il tempo necessario per stare con i figli, i sacerdoti e le suore impegnati nel loro servizio ma che dimenticano di dedicare tempo a stare con Gesù “altrimenti cadono nella mondanità spirituale e perdono il senso di ciò che sono”, e i giovani, “che hanno mille impegni e passioni: la scuola, lo sport, vari interessi, i telefonini e i social, ma hanno bisogno di incontrare le persone e realizzare dei sogni grandi, senza perdere tempo in cose che passano e non lasciano il segno”.

Andare “controcorrente” costa
Tutto ciò comporta qualche rinuncia “di fronte agli idoli dell’efficienza e del consumismo”, ma è necessario per non andare a perdersi nelle cose, che poi vengono buttate via”, come nella Geenna, dove oggi spesso finiscono le persone, gli ultimi, “spesso trattati come materiale di scarto e oggetti indesiderati”.

Rimanere fedeli a ciò che conta costa; costa andare controcorrente, liberarsi dai condizionamenti del pensare comune, essere messi da parte da chi “segue l’onda”. Ma non importa, dice Gesù: ciò che conta è non buttare via il bene più grande: la vita. Solo questo deve spaventarci.

Una fedeltà al Vangelo che, fin dalle origini della Chiesa ha conosciuto, insieme alle gioie, tanti rischi. “Sembra paradossale: l’annuncio del Regno di Dio è un messaggio di pace e di giustizia, fondato sulla carità fraterna e sul perdono” ricorda il Papa, “eppure riscontra opposizioni, violenze e persecuzioni.

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Il 2 luglio in tutte le chiese dell’India preghiera e solidarietà al Manipur

Posté par atempodiblog le 26 juin 2023

Il 2 luglio in tutte le chiese dell’India preghiera e solidarietà al Manipur
Giornata indetta dal presidente della Conferenza episcopale mons. Thazhath per invocare da Dio il dono della pace e sensibilizzare l’opinione pubblica sulle violenze tra Meitei e Kuki nello Stato nord-orientale. L’arcivescovo di Imphal mons. Lumon: “Lavoriamo per riaprire il dialogo tra le due comunità, ma la situazione resta bloccata. Solo la preghiera ci può aiutare”. Già oggi a Mumbai un’iniziativa del card. Gracias.
di Nirmala Carvalho – AsiaNews

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La Chiesa cattolica dell’India ha indetto per domenica 2 luglio una giornata di preghiera per la fine delle violenze in corso nello Stato del Manipur che dall’inizio di maggio hanno già provocato oltre 100 morti e decine di migliaia di sfollati tra le popolazioni dei Meitei e dei Kuki. Ad annunciarlo è stato ieri con un messaggio l’arcivescovo di Trichur, Andrews Thazhath, che è il presidente della Cbci. Il presule invita già in questa domenica i vescovi e i sacerdoti ad annunciare questa iniziativa comune. L’invito è a vivere “questo giorno in maniera significativa in tutto il Paese”.

Tra i gesti suggeriti l’aggiunta di intenzioni speciali per la pace e l’armonia alle preghiere dei fedeli e l’organizzazione di un’ora di adorazione in tutte le parrocchie per intercedere per la popolazione del Manipur. La Conferenza episcopale auspica inoltre l’organizzazione di fiaccolate o manifestazioni per la pace che contribuiscano a diffondere la consapevolezza sulla situazione nel Manipur. L’arcivescovo invita i cattolici indiani a incoraggiare le associazioni, i movimenti e le ong affinché trasmettano la loro seria preoccupazione ai funzionari del governo federale, « in particolare per l’allarmante disinteresse in quella regione rispetto ai principi sanciti dalla Costituzione ». Mons. Thazhath invita infine i cattolici ad « accogliere generosamente » le persone provenienti dal Manipur e a fornire strutture scolastiche e di accoglienza agli studenti immigrati.

A Mumbai il card. Oswald Gracias già oggi ha fatto proprio questo invito pregando per le popolazioni del Manipur nella festa di san Giovanni Battista. Insieme a tutti i membri della Curia ha iniziato la giornata chiedendo l’intercessione di Dio per le tante persone che soffrono. Citando l’ultimo rapporto diffuso dall’arcidiocesi di Imphal ha ricordato come nel Manipur oggi vi siano “paura, incertezza e un senso generale di disperazione » con più di 50mila persone rimaste senza casa a causa della violenza.

Commentando dal Manipur ad AsiaNews queste iniziative di solidarietà l’arcivescovo di Imphal Dominic Lumon ha raccontato: “In città la situazione in questo momento è calma, le cose si stanno sistemando, ma nelle periferie, dove finisce la valle e iniziano le colline, nei luoghi dove entrambe le comunità vivono insieme, la situazione continua ad essere molto tesa. Si sentono tuttora degli spari. Purtroppo nonostante gli incontri interreligiosi la posizione di entrambi i gruppi è molto rigida: al momento non si intravedono soluzioni. Solo le preghiere possono aiutare. Lunedì riuniremo ancora il Forum interreligioso del Manipur: ci stiamo riunendo regolarmente ogni 4-5 giorni cercando di pianificare strategie su come riavviare il dialogo”.

Mons. Lumon esprime anche la sua gratitudine al card. Gracias: “Fin dai primi giorni ci ha espresso la sua solidarietà – racconta -. È conosciuto come un costruttore di ponti, ed è una continua fonte di incoraggiamento per me. Lo ringrazio per la vicinanza nei nostri confronti e la sua angoscia per la nostra sicurezza. Che Dio ci benedica con la pace”.

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L’eresia pacifista dell’Ortodossia russa

Posté par atempodiblog le 26 juin 2023

L’eresia pacifista dell’Ortodossia russa
Fa impressione che nelle accuse patriarcali odierne ai preti pacifisti si parli esplicitamente di “eresia tolstojana”. Mentre alla scomunica contro di lui che per Kirill dovrebbe avere “valore universale” p. Viktor Burdin risponde con la domanda “chi può impedire di servire a Dio?”, che ripete spesso nelle sue omelie anche un altro sacerdote ortodosso di Mosca, l’italiano p. Giovanni Guaita.
di Stefano Caprio – AsiaNews
Tratto da: Radio Maria

L’eresia pacifista dell’Ortodossia russa dans Articoli di Giornali e News Icona-Trinit

Nel contesto della piega drammatica della guerra in Ucraina, in bilico tra l’autodistruzione e la riconquista reciproca delle terre contese da secoli, aumenta la tensione anche nel campo bellico-ecclesiale, altra dimensione del confronto senza fine tra i due volti del mondo russo e della stessa Europa. Si segnalano casi sempre più frequenti di sacerdoti insofferenti alla retorica militar-patriottica ammantata di aureole trinitarie, e allo stesso tempo s’irrigidisce la sacra cintola dell’inquisizione patriarcale, che soffoca sempre più spesso l’aspirazione di sacerdoti, monaci e fedeli a professare una religione di pace.

La goccia che sta facendo traboccare il vaso è stato il trasferimento forzato dell’icona della Trinità di Rublev dal museo alla chiesa, non soltanto per i possibili danni al capolavoro dell’arte russa, che sembrano per ora limitati, ma per il contesto di autoritarismo e sfruttamento propagandistico di un simbolo della spiritualità e dell’amore reciproco, trasformato in bandiera dell’unione aggressiva di trono e altare. È uno degli episodi che più dimostra fino a che punto può arrivare lo stravolgimento di tutta l’autentica tradizione della religione e della cultura russa, addirittura nel nome della “difesa dei valori tradizionali”. L’aspetto più indigesto della vicenda, soprattutto per il clero ortodosso, è stato il brutale allontanamento del protoierej Leonid Kalinin, presidente del consiglio di esperti del patriarcato di Mosca per l’arte ecclesiastica e il restauro, una figura molto rispettata e amata, che è stato addirittura sospeso a divinis “per la sua opposizione al trasferimento dell’icona nella cattedrale di Cristo Salvatore”.

Il povero padre Leonid, dopo che la scure dell’iracondo patriarca Kirill si è abbattuta su di lui, si è scusato pubblicamente dichiarando che “evidentemente mi sono sbagliato, se è stata presa questa decisione, significa che ci hanno pensato bene”, suscitando ulteriori reazioni di sdegno verso coloro che hanno così brutalmente eliminato il parere dell’ecclesiastico più competente in materia. Egli stesso ha assicurato di “accogliere in pace la decisione, e chiedo le preghiere di tutti coloro che mi conoscono e mi vogliono bene, io cerco di fare quello che ritengo giusto, ma posso sempre sbagliare”. Alla fine l’icona è stata sistemata in una capsula stagna preparata esattamente secondo le istruzioni di Kalinin, rendendo ancora più paradossale l’anatema patriarcale.

Nel frattempo si moltiplicano le “radiazioni canoniche” di membri del clero russo, con l’accusa di “eresia pacifista”, la risposta di Kirill a chi dal resto del mondo ortodosso lo indica come sostenitore del “filetismo”, l’identificazione della religione ortodossa con la causa nazionale, che Costantinopoli aveva condannato nella prima metà dell’Ottocento per contrastare i movimenti di rivolta contro l’impero ottomano. Allora a essere tacciati di eresia erano stati i greci e i bulgari, che aprirono la strada all’accettazione del principio etnico della “Chiesa nazionale”, poi diventato il sistema organizzativo di tutte le Chiese ortodosse. In realtà il principio era stato introdotto dai russi fin dalla proclamazione del patriarcato della “Terza Roma”, la vera origine dell’eresia filetista.

Non può quindi sorprendere che Kirill si scagli contro il pacifismo “ecumenico”, che nega non soltanto l’appoggio alla “operazione militare speciale” in Ucraina, ma le fondamenta stesse della ideologia ecclesiastica russa. Del resto, questa discussione aveva infiammato gli animi di tutta la Russia agli inizi del Novecento, quando venne lanciato l’anatema contro Lev Tolstoj, lo scrittore più religioso-umanista, e anticlericale allo stesso tempo, di tutta la letteratura russa. Il 22 febbraio 1901 l’autore di Guerra e Pace fu scomunicato dal Sinodo della Chiesa, allora senza patriarca, sotto la presidenza del ministro zarista del culto (oberprokuror) Konstantin Pobedonostsev, il “Torquemada” russo della disperata difesa della Santa Russia poco prima delle rivoluzioni. Si dimise infatti poco dopo, nel 1905, dopo un’insensata guerra della Russia contro il Giappone, che tanto ricorda l’attuale rovinosa campagna in Ucraina: i russi pensavano di sottomettere l’impero del Sol Levante in una settimana, rimanendo bloccati tra le isole e i porti per settimane, prima di soccombere all’intrepida controffensiva giapponese. Anche allora, una buona parte dei soldati e marinai russi era costituita da ex-detenuti inviati a forza dai lager a redimersi nella guerra, che non seppero opporre alcuna resistenza ai samurai, essendo in buona parte in preda ai fumi dell’alcool, come i soldati russi di Bakhmut e Kherson.

Alla guerra rovinosa fece seguito la prima rivoluzione russa, annunciata fin dal mese di gennaio dalla manifestazione popolare guidata dal pope Gapon, un sacerdote di simpatie socialiste che aveva chiesto a tutti i gruppi di togliere le bandiere e le scritte politiche e polemiche, avanzando verso il palazzo d’Inverno innalzando le sacre icone processionali. Gapon voleva che lo zar Nicola II scendesse a incontrare il popolo, e sarebbe bastata una sua apparizione per accontentare le folle, ma i generali e i parenti avevano convinto lo zar a rifugiarsi nel castello di Tsarskoje Selo, lontano da San Pietroburgo, e aprirono il fuoco sulle masse dei pacifici dimostranti disarmati. Il governo dichiarò 130 morti, altre fonti ne contarono tra i 600 e i 2000, e fu l’inizio della fine del regime zarista.

Lo scomunicato Tolstoj alzò la sua voce contro le stragi, affermando anche che “mai le persecuzioni religiose furono così frequenti e feroci come oggi”, e fa impressione che nelle accuse patriarcali odierne ai preti pacifisti si parli esplicitamente di “eresia tolstojana”. Lo scrittore aveva in effetti ispirato una nuova variante di religione pacifista, chiamata appunto tolstojanstvo e spregiativamente tolstovščina, proprio il termine utilizzato in questi giorni da propagandisti e predicatori putiniani per esporre al pubblico ludibrio i preti contrari alla guerra. Lo ieromonaco Afanasij (Bukin), che era in servizio alla missione russa a Gerusalemme, era stato allontanato lo scorso febbraio, quando si era espresso contro l’operazione militare in occasione del suo primo anniversario. In questi giorni ha spiegato su Facebook di essere stato ridotto allo stato laicale dal tribunale ecclesiastico con motivazioni estremamente aggressive, come recita la sentenza: “il chierico ha tradito il giuramento ecclesiastico e le regole apostoliche, con motivazioni ancora più depravate, non solo per le parole espresse, ma per il rifiuto a sottomettersi all’autorità ecclesiastica”.

Un altro ieromonaco, padre Jakov (Vorontsov), ha spontaneamente abbandonato la metropolia ortodossa russa del Kazakistan, prima di essere a sua volta cacciato, affermando delle autorità ecclesiastiche che “il Maligno si è impossessato dei loro cuori, che ormai sono incapaci di distinguere il bene dal male… possibile che i santi russi abbiano compiuto invano i loro grandi miracoli e sacrifici? Possibile che la cultura russa sia diventata terreno fertile per la crescita dell’Anticristo? Io credo di no, e confido nei tanti russi che non vogliono la guerra, anche se non hanno il coraggio di dirlo apertamente”.

Non è un caso che a parlare chiaro siano dei monaci, per lo più in sedi periferiche. La maggior parte dei loro confratelli vive infatti in comunità guidate da fedeli esecutori delle direttive patriarcali, e il clero parrocchiale è frenato dalle numerose famiglie, essendo uxorato per tradizione. La grande maggioranza dei preti deve proteggere i tanti figli, molti dei quali proseguiranno la missione dei genitori, diventando a propria volta popy e popady, preti e mogli di preti, secondo le “tradizioni di casta” restaurate dopo l’inverno sovietico. Del resto, anche sotto il regime ateista erano le poche famiglie sacerdotali a conservare la fede ortodossa, tanto che lo stesso patriarca Kirill è figlio e nipote di preti.

Uno dei pochi sacerdoti che ha avuto il coraggio di rischiare anche i destini della propria famiglia è il parroco di Kostroma, 500 chilometri a nord di Mosca, Viktor Burdin, chiamato anche il “Savonarola di Kostroma”. 51 anni, sacerdote dal 2015, all’inizio era il vicario della chiesa del villaggio di Karabanovo, il cui parroco era uno storico dissidente religioso anti-sovietico, padre Georgij Edelštein, oggi 91enne, con il quale ha firmato diverse lettere di protesta già prima dell’invasione dell’Ucraina, e fu tra i promotori della lettera di 300 sacerdoti dopo l’inizio dell’operazione. Anch’egli è ormai ridotto allo stato laicale, con l’accusa formale di “pacifismo menzognero” o “pseudopacifismo”, da distinguere da quello “autentico” che definisce la pace secondo gli interessi del popolo russo e delle vittime del “genocidio ucraino nel Donbass”, secondo il verbale patriarcale della sua condanna.

Padre Viktor ha fatto ulteriormente infuriare il patriarca Kirill, cercando di trasferirsi al servizio della Chiesa ortodossa in Bulgaria, e la scomunica pretende oggi di avere “valore universale”. Burdin risponde con la domanda “chi può impedire di servire a Dio?”, che ripete spesso nelle sue omelie un altro sacerdote ortodosso di Mosca, l’italiano padre Giovanni Guaita, giunto in Russia trent’anni fa con il movimento dei Focolari e diventato membro del patriarcato, spinto dalle convinzioni ecumeniche e dall’amore per la Russia. Una sua intervista sta spopolando su YouTube, “l’unico peccato che non si può perdonare”, quello di usare la fede per infliggere la morte.

La fede non è proprietà di funzionari dello Stato e della Chiesa, neanche dei più illustri e potenti: è la via della pace, come sanno in realtà i sacerdoti e i fedeli del mondo intero.

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Interessarsi a tutte le anime, cominciando da coloro che Dio ha messo al nostro fianco

Posté par atempodiblog le 19 juin 2023

Interessarsi a tutte le anime, cominciando da coloro che Dio ha messo al nostro fianco

Interessarsi a tutte le anime, cominciando da coloro che Dio ha messo al nostro fianco dans Citazioni, frasi e pensieri San-Josemaria-Escriva

Noi cristiani, noi figli di Dio, dobbiamo assistere gli altri mettendo in pratica onestamente ciò che gli ipocriti malignamente sussurravano al Maestro: Non guardi in faccia ad alcuno [Mt 22, 16]. Ciò significa che dobbiamo respingere decisamente ogni preferenza di persone — ci interessano tutte le anime! —, anche se, logicamente, dobbiamo cominciare a occuparci di coloro che, per qualunque motivo — anche per motivi apparentemente umani —, Dio ha messo al nostro fianco.

di San Josemaría Escrivá de Balaguer
Tratto da: OPUS DEI

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Devozione e preghiera: perché è popolare il culto del Sacro Cuore di Gesù

Posté par atempodiblog le 16 juin 2023

Devozione e preghiera: perché è popolare il culto del Sacro Cuore di Gesù
Alle origini di un culto molto popolare che ha ispirato chiese, atenei, oratori. Dalle visioni di santa Margherita Maria Alacoque a Papa Francesco: non un’immaginetta ma il cuore della rivelazione
di Riccardo Maccioni – Avvenire
Tratto da: 
Radio Maria

Parole accorate che ci vengono dal Cielo dans Fatima Sacro-Cuore-di-Ges

Non un’immaginetta per devoti ma «il simbolo per eccellenza della misericordia di Dio», «il cuore della rivelazione, il cuore della nostra fede perché Cristo si è fatto piccolo» scegliendo la via di «umiliare sé stesso e annientarsi fino alla morte» sulla Croce. Con queste parole papa Francesco ha riflettuto in più occasioni sul Sacro Cuore di Gesù, o meglio della “solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù” che nel 2023 si celebra 16 giugno.

Si tratta di una festa mobile che però, nella vita della Chiesa orienta l’intero mese di giugno. Nello specifico cade il venerdì dopo il Corpus Domini ed è strettamente legato al giorno successivo cioè al sabato, dedicato invece al “cuore immacolato di Maria”. Anche se la prima celebrazione risale al XVII secolo, probabilmente nel 1672 in Francia, la devozione al sacro cuore di Gesù ha origini molto più antiche. Punto di partenza è per così dire la figura di san Giovanni apostolo che tantissime iconografie ritraggono nell’Ultima Cena con il capo appoggiato al cuore di Gesù. Notevole impulso venne poi anche nel Medio Evo da figure come Matilde di Magdeburgo (1207-1282), Matilde di Hackeborn (1241-1299), Gertrude di Helfta (1256-1302) ed Enrico Suso (1295-1366).

Tuttavia la vera diffusione del culto va attribuita a san Jean Eudes (1601-1680) e soprattutto a santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690). Quest’ultima, monaca visitandina nel monastero di Paray-le-Monial, ebbe per 17 anni apparizioni di Gesù che le domandava appunto una particolare devozione al suo cuore. La prima visione risale al 27 dicembre 1673 festa di san Giovanni evangelista e la santa nella sua autobiografia la raccontò così: «Ed ecco come, mi sembra, siano andate le cose. Mi disse: Il mio divin cuore è tanto appassionato d’amore per gli uomini e per te in particolare, che non potendo più contenere in se stesso le fiamme del suo ardente Amore, sente il bisogno di diffonderle per mezzo tuo e di manifestarsi agli uomini per arricchirli dei preziosi tesori che ti scoprirò e che contengono le grazie in ordine alla santità e alla salvezza necessarie per ritirarli dal precipizio della perdizione. Per portare a compimento questo mio grande disegno ho scelto te, abisso di indegnità e di ignoranza, affinché appaia chiaro che tutto si compie per mezzo mio».

Al centro di un acceso dibattito teologico, la festa del Sacro Cuore fu autorizzata nel 1765 limitatamente alla Polonia e presso l’Arciconfraternita romana del Sacro Cuore. Fu solo con Pio IX, nel 1856, che la Festa divenne universale, accompagnandosi da subito alla dedicazione di congregazioni, atenei, oratori e chiese, la più famose della quali è probabilmente la Basilica di Montmartre a Parigi. Raccogliendo o meglio riunendo le tesi del dibattito sul significato teologico nel sacro Cuore di Gesù si celebra insieme il cuore come organo umano unito con la divinità di Cristo e l’amore del Signore per gli uomini di cui il cuore è simbolo.

Tradizionalmente nella solennità del Sacro Cuore di Gesù si celebra la Giornata di santificazione sacerdotale.

La preghiera al Sacro Cuore
Sono tante le preghiere dedicate al Sacro Cuore di Gesù, a cominciare dall’atto di consacrazione, ispirato da santa Margherita Maria Alacoque. Di seguito il testo dell’offerta della giornata, che tanti fedeli ripetono ogni mattina.

«Cuore Divino di Gesù, io ti offro per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, madre della Chiesa, in unione al Sacrificio Eucaristico, le preghiere, le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno in riparazione dei peccati e per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del Divin Padre. Amen».

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L’attesa di Gesù nell’Eucaristia

Posté par atempodiblog le 11 juin 2023

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Il miracolo costantemente rinnovato della Sacra Eucaristia ha in sé tutte le caratteristiche proprie dell’agire di Gesù. Perfetto Dio e perfetto Uomo, Signore del Cielo e della terra, Egli si dona a noi per essere nostro sostentamento nel modo più naturale e comune. Attende il nostro amore da quasi duemila anni. È tanto, ma è poco, perché quando c’è amore il tempo vola.

Mi torna alla memoria uno dei cantici di Alfonso il Saggio in cui si narra la leggenda di un monaco che, nella sua semplicità, aveva supplicato la Madonna di poter contemplare il Cielo, anche solo per un istante. La Vergine ne esaudì il desiderio e il buon monaco venne portato in Paradiso. Al ritorno, non riconosceva nessuno di quelli che dimoravano nel monastero. La sua contemplazione, che aveva creduto brevissima, era durata tre secoli. Tre secoli sono un nonnulla per un cuore innamorato. Io mi spiego allo stesso modo i duemila anni di attesa di Gesù nell’Eucaristia. È l’attesa di Dio, che ci ama, ci cerca, ci accetta come siamo: con i nostri limiti, i nostri egoismi, la nostra incostanza; e tuttavia capaci di scoprire il suo amore infinito e di darci a Lui interamente.

di San Josemaría Escrivá de Balaguer
Tratto da: OPUS DEI

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Istituzione della festa del Corpus Domini (Belgio, Liegi, 1374)

Posté par atempodiblog le 11 juin 2023

Istituzione della festa del Corpus Domini (Belgio, Liegi, 1374)
Tratto da: Beato Carlo Acutis • Miracoli Eucaristici ed Apparizioni Mariane

Istituzione della festa del Corpus Domini (Belgio, Liegi, 1374) dans Carlo Acutis Beato-Carlo-Acutis-Miracoli-Eucaristici-ed-Apparizioni-Mariane

«Sebbene l’Eucaristia ogni giorno venga solennemente celebrata, riteniamo giusto che, almeno una volta l’anno, se ne faccia più onorata e solenne memoria. Le altre cose infatti di cui facciamo memoria, noi le afferriamo con lo spirito e con la mente, ma non otteniamo per questo la loro reale presenza. Invece, in questa sacramentale commemorazione del Cristo, anche se sotto altra forma, Gesù Cristo è presente con noi nella propria sostanza. Mentre stava infatti per ascendere al cielo disse:
“Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20)».

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Papa Francesco, presto una lettera apostolica su Santa Teresa del Bambino Gesù

Posté par atempodiblog le 8 juin 2023

Papa Francesco, presto una lettera apostolica su Santa Teresa del Bambino Gesù
Continua il ciclo di catechesi dedicato ai santi evangelizzatori. Oggi si parla di Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni. E il Papa annuncia una lettera apostolica su di lei
di Andrea Gagliarducci – ACI Stampa

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Non ha mai lasciato il convento, dove è morta a soli 24 anni di turbercolosi e dove era entrata appena adolescente dopo aver chiesto il permesso direttamente a Leone XIII. Eppure Santa Teresa del Bambino Gesù è una santa veneratissima, il cui santuario è la seconda meta di pellegrinaggi in Francia dopo quello di Lourdes. Patrona delle missioni, dottore della Chiesa, Santa Teresina ha lasciato in eredità i suoi scritti, in cui spiegava anche la “piccola via”, la santità dei gesti quotidiani. Papa Francesco ha ripreso questa idea di santità del quotidiano. E oggi tiene l’udienza generale davanti le sue reliquie, davanti le quali si ferma a pregare prima dell’udienza continuando il ciclo di catechesi sui santi missionari. “Alla Chiesa servono cuori come quello di Santa Teresa di Lisieux”. E annuncia: “Lei nacque 150 anni fa, e in questo anniversario ho intenzione di dedicarle una lettera apostolica”.

Nella catechesi, Papa Francesco ne ripercorre la vita, sottolinea che era “patrona della missioni, ma non era mai stata in missione”, ha vissuto una vita “all’insegna della piccolezza e della debolezza”, e si è definita “un piccolo granello di sabbia”, aveva un corpo infermo, ma un cuore “vibrante, missionario”, desiderio che lei aveva.

Papa Francesco ricorda che Teresa fu “sorella spirituale di diversi missionari”, offriva per loro continui sacrifici, intercedeva per le missioni. Eppure, non fu spesso capita dalle sorelle monache, da cui ricevette “più spine che rose”, e lo accettò “per i bisogni della Chiesa, perché fossero apparse rose su tutti”.

Il Papa ricorda due episodi della vita di Suor Teresa. Il Natale 1886, poco prima dei 14 anni, il padre era tornato a casa del lavoro e non aveva voglia di assistere all’apertura dei regali della figlia e commentò: « Meno male che è l’ultimo anno » – perché già a 15 anni non si faceva più. Teresa ci rimase male, pianse, e poi represse le lacrime e piena di gioia fu lei a rallegrare il padre. Era successo “che in quella notte, in cui Gesù si era fatto debole per amore, lei era diventata forte d’animo: in pochi istanti era uscita dalla prigione del suo egoismo e del suo piangersi addosso; cominciò a sentire che ‘la carità le entrava nel cuore, col bisogno di dimenticare sé stessa’.” Fu la prima svolta della vita, a partire dal quale rivolse il suo zelo per gli altri, proponendo di consolare Gesù di farlo amare per le anime.

Quindi, il secondo episodio: Teresa viene a sapere della storia di Enrico Pranzini, criminale, condannato a morte per l’omicidio di tre persone, che non vuole i conforti della fede prima della ghigliottina. “Teresa – racconta Papa Francesco – lo prende a cuore e fa tutto ciò che può: prega in ogni modo per la sua conversione, perché lui che, con compassione fraterna, chiama ‘povero disgraziato Pranzini’, abbia un piccolo segno di pentimento e faccia spazio alla misericordia di Dio, in cui Teresa confida ciecamente”.

La condanna a morte viene eseguita e sul giornale Teresa viene a sapere che Pranzini, appena prima di poggiare la testa sul patibolo, afferrò il crocifisso e baciò tre volte le piaghe di Gesù.

Chiosa Papa Francesco: “Ecco la forza dell’intercessione mossa dalla carità, ecco il motore della missione. I missionari, infatti, di cui Teresa è patrona, non sono solo quelli che fanno tanta strada, imparano lingue nuove, fanno opere di bene e sono bravi ad annunciare; no, missionario è chiunque vive, dove si trova, come strumento dell’amore di Dio; è chi fa di tutto perché, attraverso la sua testimonianza, la sua preghiera, la sua intercessione, Gesù passi”.

Il Papa sottolinea che è questo lo zelo apostolico, che “non funziona mai per proselitismo o per costrizione, ma per attrazione. La fede nasce per attrazione. Non si diventa cristiani perché forzati da qualcuno, ma perché toccati dall’amore”.

Insomma, conclude Papa Francesco, “alla Chiesa, prima di tanti mezzi, metodi e strutture, che a volte distolgono dall’essenziale, occorrono cuori come quello di Teresa, cuori che attirano all’amore e avvicinano a Dio”.

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