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19ENNE SUICIDA/ Quando tutto è “troppo” per vivere, ci serve una risposta senza fine

Posté par atempodiblog le 2 février 2023

19ENNE SUICIDA/ Quando tutto è “troppo” per vivere, ci serve una risposta senza fine
Una 19enne si è suicidata suicida nei bagni dello Iulm a Milano. “Ho fallito negli studi e nella vita”, ha lasciato scritto in un biglietto
di Don Federico Pichetto – Il Sussidiario

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Togliersi la vita a diciannove anni. Per qualcosa che ti ingombra dentro e che ti dice che, in fondo, non sei all’altezza, non ce la farai. È successo stavolta allo Iulm di Milano, nei bagni dell’edificio 5 che dà su via Santander. È successo ad una studentessa del corso di Arti e Turismo, classe 2003, che certamente sentiva il rimorso per un esame non dato nella prestigiosa e costosa università privata meneghina.

Ma l’esame era solo la punta dell’iceberg di vicende personali e tormenti che hanno fatto apparire la prospettiva di vivere come impossibile. Il suo testamento in un povero biglietto rinvenuto dal custode assieme al corpo. Un corpo impiccato ad una semplicissima sciarpa e un testo segnato da una parola più grande di tutte le altre: fallimento. Ma come può apparire fallita una vita a diciannove anni? Di quali aspettative si sentono oggetto i ventenni di oggi, fragili, nati tutti nel nuovo secolo?

C’è un dolore che abita nel cuore di questi universitari che nessun social, nessun podcast, nessuna notte di sesso o sballo può cancellare. Dopo una vita passata ad essere protetti e schermati dalla realtà, il duro contraccolpo con il mondo adulto rivela un’amara delusione: quel diventare grandi, cercato e agognato per tutta la vita, si scopre che coincide col rimanere soli, senza una vera appartenenza e senza un perché.

E non bastano le serate trascorse ad annegare l’amarezza nei locali delle città, non bastano gli amici che sono messi come te, se non peggio, non bastano le nuove idealità che assicurano la felicità quando tutti avremo il diritto di far tutto. Il cuore è solo e lo sa, sgomento per aver colto che la promessa della vita non coincide più con la promessa della felicità. Il cuore è senza speranza, schiacciato dai propri limiti, dalle proprie sconfitte, dai propri insuccessi. Tutto attorno sembra troppo per continuare a vivere.

E anche gli adulti, quegli adulti fino a quel momento ignorati da un’adolescenza presuntuosa e caparbia – come devono essere tutte le adolescenze –, si mostrano per quello che sono: difettosi e desiderosi di trovare riscatto nella vita dei figli, tutti presi a trasferire su di loro il proprio schema di perfezione, i propri tempi, i propri valori.

Nessun uomo potrebbe vivere a lungo in queste condizioni, nessun uomo – infatti – potrebbe essere trasformato in speranza senza deludere. Quando si perde il senso di Qualcosa di più grande, di Infinito, che possa compiere la vita, l’altro diventa la mia speranza. Mariti che sperano nelle mogli, mogli che sperano nei mariti, genitori che sperano nei figli, amici che sperano negli amici, comunità che sperano in sé stesse. Viviamo nel tempo del grande ricatto, in cui tutti siamo guardati con aspettative infinite che non possiamo soddisfare.

Avendo perso Dio, è rimasto solo l’uomo. Ma l’uomo è troppo poco per il cuore. L’educazione oggi si concentra su alcuni dettagli secondari che non hanno niente a che vedere con l’apertura del cuore che è necessario avere per sostenere fino in fondo l’urto della vita. A quattordici anni i nostri ragazzi sono pieni di nostalgia, a sedici di struggimento, a diciannove di disperazione. E con la disperazione nel cuore o entri nell’ingranaggio del sistema, che soffoca tutto e ti rende perfetto per il consumo, oppure non ce la fai. E ti uccidi. Non basta che la mamma ti voglia bene. Manca l’amore di Dio, la fiducia di Uno che ti offre come prospettiva l’eternità.

Quando la morte non fa più paura è perché è la vita ad essere diventata spaventosa. E chi ci salva dallo spavento è l’abbraccio improvviso di un Altro con cui ricomincia tutto, con cui tutto può essere perdonato.

Nei bagni dello Iulm è dunque rimasta un’ombra di morte. Il dolore che è deflagrato in quei corridoi è un grido che non si spegne e che chiede a tutti, in fondo, di rispondere alla domanda più vera e più radicale di tutte, quella sul motivo per cui siamo al mondo. Quella sul perché le cose, tutte le cose, comincino. Il valore dell’uomo non coincide con quello che riesce a realizzare, ma con lo sguardo che determina la propria vita. In un tempo impregnato dagli odori della morte non c’è cuore che non desideri sentire il profumo della resurrezione. Distrarsi da questo significa soltanto condannarsi alla lunga fila che porta al bagno dell’edificio 5.

Divisore dans San Francesco di Sales

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L’inno alla bellezza di Benedetto XVI

Posté par atempodiblog le 2 février 2023

Ad un mese dalla scomparsa di Ratzinger, un profilo del papa “teologo dell’arte”
L’inno alla bellezza di Benedetto XVI
di Antonio Tarallo – ACI Stampa
Tratto da: Radio Maria

L’inno alla bellezza di Benedetto XVI dans Articoli di Giornali e News Benedetto-XVI-alla-Scala-di-Milano

“La musica, la grande musica, distende lo spirito, suscita sentimenti profondi ed invita quasi naturalmente ad elevare la mente e il cuore a Dio in ogni situazione, sia gioiosa che triste, dell’esistenza umana. La musica può diventare preghiera”, parole di Benedetto XVI del 17 ottobre del 2009 dopo aver assistito a un concerto dell’accademia pianistica internazionale di Imola nell’aula Nervi, in Vaticano. E, qualche giorno dopo, il 21 novembre, rivolgendosi agli artisti riuniti nella cappella Sistina – erano circa 250 tra scrittori, pittori, attori, registi e musicisti – dirà in un memorabile discorso: “Voi siete custodi della bellezza; voi avete, grazie al vostro talento, la possibilità di parlare al cuore dell’umanità, di toccare la sensibilità individuale e collettiva, di suscitare sogni e speranze, di ampliare gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano”.

Quella della bellezza è stata una delle tematiche più costanti nel magistero di Benedetto XVI che, pochi mesi dopo la sua elezione a pontefice, presentando il suo Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, scriverà: “Immagine e parola s’illuminano così a vicenda. L’arte parla sempre, almeno implicitamente, del divino, della bellezza infinita di Dio, riflessa nell’Icona per eccellenza: Cristo Signore, Immagine del Dio invisibile. Le immagini sacre, con la loro bellezza, sono anch’esse annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità cattolica”. Sono parole, concetti, immagini che si schierano sulla scia dei suoi due illustri predecessori: Giovanni Paolo II e Paolo VI, entrambi vicini al mondo dell’arte, della bellezza. Benedetto XVI, salendo al soglio petrino, eredita questo dialogo con l’universo artistico e la fa propriamente suo, integrandolo con i suoi studi teologici: si può, dunque, a ben ragione, parlare di Ratzinger anche come “teologo dell’arte”.

La passione per la bellezza e – soprattutto – per la musica ha radici antiche: “Nel guardare indietro alla mia vita, ringrazio Dio per avermi posto accanto la musica quasi come una compagna di viaggio, che sempre mi ha offerto conforto e gioia”, così si era espresso il 16 aprile 2007 in occasione di un concerto per il suo ottantesimo compleanno. La passione musicale era nata in famiglia; una passione che mai abbandonerà, coltivata negli anni del sacerdozio e continuata anche quando sarà chiamato a essere il successore di Pietro. Difficile dimenticare la sua immagine al pianoforte – aveva fatto il giro del mondo – in veste di pontefice, con quel suo sguardo attento allo spartito e con una postura da concertista “consumato”. La foto era stata scattata nell’estate del 2005 durante una breve vacanza a Les Combes, in Valle d’Aosta, nello stesso chalet dove si recava il predecessore Giovanni Paolo II. Le note che stava eseguendo erano quelle di Johann Sebastian Bach, il “maestro dei maestri” così era stato definito dal pontefice bavarese. E sempre al compositore tedesco aveva anche dedicato un ritratto – in occasione di un concerto nel cortile del Palazzo Apostolico dell’agosto 2011- in cui scopriamo un Benedetto XVI acuto critico e attento storico musicale: “Bach è uno splendido architetto della musica, con un uso ineguagliato del contrappunto, un architetto guidato da un tenace ésprit de géometrie, simbolo di ordine e di saggezza, riflesso di Dio”.

Nella “hit parade” del pontefice non solo Bach, ma anche altri nomi illustri; compositori che hanno costituito con le loro opere la storia della musica di tutti i tempi: c’è spazio per Wolfgang Amadeus Mozart e per il tedesco Ludwig van Beethoven. Riguardo al compositore salisburghese, Ratzinger dirà: In Mozart ogni cosa è in perfetta armonia, ogni nota, ogni frase musicale è così e non potrebbe essere altrimenti; (…)la serenità mozartiana, avvolge tutto, in ogni momento. È un dono questo della Grazia di Dio, ma è anche il frutto della viva fede di Mozart, che – specie nella sua musica sacra – riesce a far trasparire la luminosa risposta dell’Amore divino, che dona speranza, anche quando la vita umana è lacerata dalla sofferenza e dalla morte”.

I commenti all’arte – specialmente musicale – di Benedetto XVI non sono mai letture dettate dal cerimoniale del momento-evento bensì rappresentano, sempre, vere e proprie letture critiche: sono parole dettate da uno studio approfondito della partitura musicale o dell’opera letteraria o pittorica in questione, della sua contestualizzazione storica; denotano, inoltre, una conoscenza dettagliata dell’artista; sorprende come il teologo Ratzinger riesca a passare – con estrema facilità – dal campo prettamente spirituale a quello principalmente tecnico-esecutivo dell’opera. E’ il caso delle parole riservate alla Nona Sinfonia di van Beethoven, eseguita nel giugno 2012 al Teatro alla Scala di Milano: “Fin dalle celebri prime sedici battute del primo movimento, si crea un clima di attesa di qualcosa di grandioso e l’attesa non è delusa. Beethoven pur seguendo sostanzialmente le forme e il linguaggio tradizionale della sinfonia classica, fa percepire qualcosa di nuovo già dall’ampiezza senza precedenti di tutti i movimenti dell’opera, che si conferma con la parte finale introdotta da una terribile dissonanza, dalla quale si stacca il recitativo con le famose parole “O amici, non questi toni, intoniamone altri di più attraenti e gioiosi”.

Non meno presenti, nei suoi discorsi, i riferimenti all’arte pittorica: tra il rinascimentale Michelangelo, autore della cappella Sistina, in cui “offre alla nostra visione l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine della storia, e ci invita a percorrere con gioia, coraggio e speranza l’itinerario della vita”, fino ad arrivare al contemporaneo Chagall “che ha testimoniato sempre l’incontro tra estetica e fede”. Benedetto XVI comunque non tralascia l’arte della scrittura: fra gli autori più citati, Dante, che “durante l’intera sua vita professò in modo esemplare la religione cattolica, si fece discepolo del principe della Scolastica Tommaso d’Aquino; e dallo stesso mondo della religione egli trasse motivo per trattare in versi una materia immensa e di sommo respiro”; poi Chesterton, passando per il Manzoni, scrittore dall’alta “statura umana e cristiana”.

Il pontificato di Benedetto XVI, un inno alla bellezza che “proprio per la sua caratteristica di aprire e allargare gli orizzonti della coscienza umana, di rimandarla oltre se stessa, di affacciarla sull’abisso dell’Infinito, può diventare una via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo, verso Dio”. Ed è a Lui che è ritornato un mese fa esatto, il 31 dicembre scorso, attraverso altro Mistero, quello più alto, quello della morte e Resurrezione.

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Papa Francesco in Repubblica Democratica del Congo: “Giù le mani dall’Africa!”

Posté par atempodiblog le 2 février 2023

Papa Francesco in Repubblica Democratica del Congo: “Giù le mani dall’Africa!”
Il primo discorso del Papa a Kinshasa è quello dedicato alle autorità. L’invito ai congolesi è quello di essere artefici del loro destino
di Andrea Gagliarducci – ACI Stampa

Papa Francesco in Repubblica Democratica del Congo: “Giù le mani dall’Africa!” dans Articoli di Giornali e News Papa-Francesco-durante-il-discorso-alle-autorit-diplomatiche-giardino-del-Palais-des-Nations

In una nazione che vive ancora una situazione di guerra, dopo la difficile transizione presidenziale del 2018, i congolesi sono chiamai a riprendere tra le mani la loro dignità, a ricostruire una nazione in pace e riconciliata. E l’appello viene direttamente da Papa Francesco, nel suo primo discorso in Repubblica Democratica del Congo.

Nel giardino del Palais des Nations di Kinshasa, dove vi è stato accompagnato dal Primo Ministro ed è stato accolto dal presidente Tshisekedi, Papa Francesco articola un discorso alle autorità che tocca tutti i punti sensibili della situazione nel Paese, e allo stesso tempo mostra chiaramente il ruolo della Chiesa, che qui, forse più che in altri posti, è stata voce della coscienza nazionale. Ma quello del Papa è un appello anche al mondo internazionale, perché metta giù le mani dall’Africa, e perché si parli più di Africa, rendendola protagonista.

Come ormai tradizione, il discorso del Papa si costruisce a partire proprio dalle caratteristiche fisiche della nazione, una terra “vasta e rigogliosa” che va dalla foresta equatoriale alla savana, che include colline, montagne, vulcani e laghi, ma anche grandi acque “con il fiume Congo che incontra l’Oceano”, in un Paese che “è come un continente nel grande Continente Africano.

Eppure, nota Papa Francesco, la storia “non è stata altrettanto generosa”, per una nazione “tormentata dalla guerra”, in cui patiscono “conflitti e migrazioni forzate”, e soffrono “terribili forme di sfruttamento, indegne dell’uomo e del creato”. È un Paese, aggiunge il Papa, “colpito dalla violenza come da un pugno nello stomaco”.

“Lei ha menzionato questo genocidio dimenticato che sta soffrendo la Repubblica Democratica del Congo”, Papa Francesco aggiunge, rivolgendosi al presidente.

La visita di Papa Francesco giunge mentre i congolesi lottano “per custodire la vostra dignità e la vostra integrità territoriale contro deprecabili tentativi di frammentare il Paese”, e il riferimento, nemmeno troppo indiretto, è alle milizie che imperversano nel Nord Kivu, con almeno due gruppi armati maggioritari e una linea di confine invisibile che tocca Goma, dove Papa Francesco sarebbe dovuto andare.

Papa Francesco sottolinea che la Repubblica Democratica del Congo “è un vero diamante del creato”, ma che le persone hanno un valore “ancora più inestimabile”, e che “la Chiesa e il Papa hanno fiducia in voi, credono nel vostro futuro, in un futuro che sia nelle vostre mani e nel quale meritate di riversare le vostre doti di intelligenza, sagacia e operosità”.

Esorta Papa Francesco: “Coraggio, fratello e sorella congolese! Rialzati, riprendi tra le mani, come un diamante purissimo, quello che sei, la tua dignità, la tua vocazione a custodire nell’armonia e nella pace la casa che abiti”.

I diamanti, nota il Papa, sono rari, eppure abbondano in Congo, e questo vale anche per le “ricchezze spirituali” nascoste nei cuore dei congolesi. E così, Papa Francesco si appella ai congolesi, ricorda loro che “ciascuno si senta chiamato a fare la propria parte”, esorta che “la violenza e l’odio non abbiano più posto nel cuore e sulle labbra di nessuno, perché “perché sono sentimenti antiumani e anticristiani, che paralizzano lo sviluppo e riportano indietro, a un passato oscuro”.

Papa Francesco, poi, ricorda le “varie forme di sfruttamento” che sofferte nel Paese e nel continente africano, dove, “dopo quello politico, si è scatenato un colonialismo economico altrettanto schiavizzante”, che fa sì che il Paese, “ampiamente depredato, non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse”, tanto che c’è il paradosso che “i frutti della sua terra lo rendano straniero ai suoi abitanti”.

E così, “il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati”. Eppure, sottolinea Papa Francesco, “questo Paese e questo Continente meritano di essere rispettati e ascoltati, meritano spazio e attenzione”

“Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare”, esorta il Papa. Che chiede poi che “l’Africa sia protagonista del suo destino” e che “il mondo faccia memoria dei disastri compiuti lungo i secoli a danno delle popolazioni locali e non dimentichi questo Paese e questo Continente”.

Continua Papa Francesco: “L’Africa, sorriso e speranza del mondo, conti di più: se ne parli maggiormente, abbia più peso e rappresentanza tra le Nazioni!”

Il Papa invita ad “una diplomazia dell’uomo per l’uomo, dei popoli per i popoli, dove al centro non vi siano il controllo delle aree e delle risorse, le mire di espansione e l’aumento dei profitti, ma le opportunità di crescita della gente”.

Anche perché, nota il Papa, si ha l’impressione che “la Comunità internazionale si sia quasi rassegnata alla violenza” che divora la Repubblica Democratica del Congo, ma non “possiamo abituarci al sangue che in questo Paese scorre ormai da decenni, mietendo milioni di morti all’insaputa di tanti”.

Il Papa invita a conoscere quanto accade in Repubblica Democratica del Congo, incoraggia “con tutte le forze” i processi di pace in corso, si dice grato ai Paesi e alle organizzazioni internazionali che “forniscono aiuti sostanziali, favorendo la lotta alla povertà e alle malattie, sostenendo lo stato di diritto, promuovendo il rispetto dei diritti umani”.

Papa Francesco però affronta anche un problema interno alla Repubblica Democratica del Congo, che è quello dell’odio etnico. E lo fa attraverso l’immagine del diamante, fatto di “numerose facce armonicamente disposte”, e rispecchia il Paese, che è pluralista e poliedrico.

Una ricchezza, ammonisce il Papa, “che va custodita, evitando di scivolare nel tribalismo e nella contrapposizione”, perché “parteggiare ostinatamente per la propria etnia o per interessi particolari, alimentando spirali di odio e di violenza, torna a svantaggio di tutti, in quanto blocca la necessaria “chimica dell’insieme”.

E poi, il diamante è formato da atomi di carbonio, che se combinati diversamente formano la grafite, e questo significa che “il problema non è la natura degli uomini o dei gruppi etnici e sociali, ma il modo in cui si decide di stare insieme: la volontà o meno di venirsi incontro, di riconciliarsi e di ricominciare segna la differenza tra l’oscurità del conflitto e un avvenire luminoso di pace e prosperità”.

In fondo, lo dice anche un proverbio congolese, “Bintu bantu”, che significa che “la vera ricchezza sono le persone e le buone relazioni con loro”. Papa Francesco guarda anche al ruolo che le religioni possono avere, mettendo in campo il loro “patrimonio di sapienza” e rinunciando allo stesso tempo “a ogni aggressività, proselitismo e costrizione, mezzi indegni della libertà umana”, perché “quando si degenera nell’imporsi, andando a caccia di seguaci in modo indiscriminato, con l’inganno o con la forza, si saccheggia la coscienza altrui e si voltano le spalle al vero Dio”.

Papa Francesco si rivolge poi ai membri della società civile, i quali “spesso hanno dato prova di sapersi opporre all’ingiustizia e al degrado a costo di grandi sacrifici, pur di difendere i diritti umani, la necessità di una solida educazione per tutti e di una vita più dignitosa per ciascuno”.

Il Papa li ringrazia, sottolinea che molti “brillano” come diamanti per il ruolo che ricoprono, ricorda che “ci detiene responsabilità civili e di governo è dunque chiamato a operare con limpidezza cristallina, vivendo l’incarico ricevuto come un mezzo per servire la società”, in quanto il potere “ha senso solo se diventa servizio”, fuggendo “l’autoritarismo, la ricerca di guadagni facili e l’avidità del denaro”.

Papa Francesco poi chiede di “favorire elezioni libere, trasparenti e credibili; estendere ancora di più la partecipazione ai processi di pace alle donne, ai giovani e ai gruppi marginalizzati; ricercare il bene comune e la sicurezza della gente anziché gli interessi personali o di gruppo; rafforzare la presenza dello Stato in ogni parte del territorio; prendersi cura delle tante persone sfollate e rifugiate”.

Sono temi centrali, considerando che le tensioni tra governo e Chiesa ebbero luogo proprio quando la Chiesa manifestava per le elezioni.

Il Papa esorta a non lasciarsi “manipolare né tantomeno comprare da chi vuole mantenere il Paese nella violenza, per sfruttarlo e fare affari vergognosi: ciò porta solo discredito e vergogna, insieme a morte e miseria”. Chiede piuttosto ai politici di “stare vicino alla gente”, guadagnando la fiducia delle persone, senza mai stancarsi “di promuovere, in ogni settore, il diritto e l’equità, contrastando l’impunità e la manipolazione delle leggi e dell’informazione”.

Papa Francesco poi sottolinea l’importanza dell’educazione, che è “la via per il futuro, la strada da imboccare per raggiungere la piena libertà di questo Paese e del Continente africano”, e per questo si deve investire, anche perché ci sono “tanti bambini che non vanno a scuola”, e così “vengono sfruttati” e “troppi muoiono, sottoposti a lavori schiavizzanti nelle miniere”.

Il Papa esorta a non risparmiare sforzi “per denunciare la piaga del lavoro minorile e porvi fine”, chiede di porre fine al lavoro minorile, nota lo scandalo delle ragazze “emarginate e violate nella loro dignità”, e poi ricorda anche la sfida ambientale, importante nel Congo che è “ospita uno dei più grandi polmoni verdi del mondo”, da preservare con una “collaborazione ampia e proficua, che permetta di intervenire efficacemente, senza imporre modelli esterni più utili a chi aiuta che a chi viene aiutato”.

Papa Francesco nota che in molti hanno offerto aiuti all’Africa “per contrastare i cambiamenti climatici e il coronavirus”, ma quello che serve sono soprattutto “modelli sanitari e sociali che rispondano non solo alle urgenze del momento, ma contribuiscano a una effettiva crescita sociale: di strutture solide e di personale onesto e competente, per superare i gravi problemi che bloccano sul nascere lo sviluppo, come la fame e la malaria”.

Il rischio, per Papa Francesco che “il continuo ripetersi di attacchi violenti e le tante situazioni di disagio potrebbero indebolire la resistenza dei Congolesi, minarne la forza d’animo, portarli a scoraggiarsi e a chiudersi nella rassegnazione”, come succede anche al pur resistente diamante.

Ma – conclude Papa Francesco –“ in nome di Cristo, che è il Dio della speranza, il Dio di ogni possibilità che dà sempre la forza di ricominciare, in nome della dignità e del valore dei diamanti più preziosi di questa splendida terra, che sono i suoi cittadini, vorrei invitare tutti a una ripartenza sociale coraggiosa e inclusiva”.

Perché “lo chiede la storia luminosa ma ferita del Paese, lo supplicano soprattutto i giovani e i bambini. Io sono con voi e accompagno con la preghiera e con la vicinanza ogni sforzo per un avvenire pacifico, armonioso e prospero di questo grande Paese”.

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