• Accueil
  • > Archives pour juillet 2022

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori e la preghiera

Posté par atempodiblog le 31 juillet 2022

Supplica a Sant’Alfonso Maria de’ Liguori

O glorioso e amatissimo Sant’Alfonso, che tanto hai operato per assicurare agli uomini i frutti della Redenzione, vedi le necessità delle nostre anime e soccorrici.
Per l’intercessione di cui godi presso Gesù e Maria, ottienici il perdono di tutte le nostre colpe e la forza di resistere alle seduzioni del male.
Ottienici quell’ardente amore verso Gesù e Maria, di cui il tuo cuore fu sempre così infiammato: Aiutaci a conformare sempre la nostra vita alla divina Volontà, e impetraci dal Signore la santa perseveranza nella preghiera e nel servizio di Dio e dei fratelli.
Accompagnaci con la tua protezione nelle prove della vita fino a quando non ci vedrai insieme a te, in paradiso, a lodare per sempre il tuo e nostro Signore. Amen

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori e la preghiera dans Fede, morale e teologia Afterlight-Image
Napoli, 1696  Nocera de’ Pagani, Salerno, 1 agosto 1787

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori e la preghiera
di BENEDETTO XVI – Udienza generale, mercoledì, 1° agosto 2012

Cari fratelli e sorelle!

Ricorre oggi la memoria liturgica di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Vescovo e Dottore della Chiesa, fondatore della Congregazione del Santissimo Redentore, Redentoristi, patrono degli studiosi di teologia morale e dei confessori. sant’Alfonso è uno dei santi più popolari del XVIII secolo, per il suo stile semplice e immediato e per la sua dottrina sul sacramento della Penitenza: in un periodo di grande rigorismo, frutto dell’influsso giansenista, egli raccomandava ai confessori di amministrare questo Sacramento manifestando l’abbraccio gioioso di Dio Padre, che nella sua misericordia infinita non si stanca di accogliere il figlio pentito. L’odierna ricorrenza ci offre l’occasione di soffermarci sugli insegnamenti di sant’Alfonso riguardo alla preghiera, quanto mai preziosi e pieni di afflato spirituale. Risale all’anno 1759 il suo trattato Del gran mezzo della Preghiera, che egli considerava il più utile tra tutti i suoi scritti. Infatti, descrive la preghiera come «il mezzo necessario e sicuro per ottenere la salvezza e tutte le grazie di cui abbiamo bisogno per conseguirla» (Introduzione). In questa frase è sintetizzato il modo alfonsiano di intendere la preghiera.

Innanzitutto, dicendo che è un mezzo, ci richiama al fine da raggiungere: Dio ha creato per amore, per poterci donare la vita in pienezza; ma questa meta, questa vita in pienezza, a causa del peccato si è, per così dire, allontanata – lo sappiamo tutti – e solo la grazia di Dio la può rendere accessibile. Per spiegare questa verità basilare e far capire con immediatezza come sia reale per l’uomo il rischio di «perdersi», sant’Alfonso aveva coniato una famosa massima, molto elementare, che dice: «Chi prega si salva, chi non prega si danna!». A commento di tale frase lapidaria, aggiungeva: «Il salvarsi insomma senza pregare è difficilissimo, anzi impossibile … ma pregando il salvarsi è cosa sicura e facilissima» (II, Conclusione). E ancora egli dice: «Se non preghiamo, per noi non v’è scusa, perché la grazia di pregare è data ad ognuno … se non ci salveremo, tutta la colpa sarà nostra, perché non avremo pregato» (ibid.). Dicendo quindi che la preghiera è un mezzo necessario, sant’Alfonso voleva far comprendere che in ogni situazione della vita non si può fare a meno di pregare, specie nel momento della prova e nelle difficoltà. Sempre dobbiamo bussare con fiducia alla porta del Signore, sapendo che in tutto Egli si prende cura dei suoi figli, di noi. Per questo, siamo invitati a non temere di ricorrere a Lui e di presentargli con fiducia le nostre richieste, nella certezza di ottenere ciò di cui abbiamo bisogno.

Cari amici, questa è la questione centrale: che cosa è davvero necessario nella mia vita? Rispondo con sant’Alfonso: «La salute e tutte le grazie che per quella ci bisognano» (ibid.); naturalmente, egli intende non solo la salute del corpo, ma anzitutto anche quella dell’anima, che Gesù ci dona. Più che di ogni altra cosa abbiamo bisogno della sua presenza liberatrice che rende davvero pienamente umano, e perciò ricolmo di gioia, il nostro esistere. E solo attraverso la preghiera possiamo accogliere Lui, la sua Grazia, che, illuminandoci in ogni situazione, ci fa discernere il vero bene e, fortificandoci, rende efficace anche la nostra volontà, cioè la rende capace di attuare il bene conosciuto. Spesso riconosciamo il bene, ma non siamo capaci di farlo. Con la preghiera arriviamo a compierlo. Il discepolo del Signore sa di essere sempre esposto alla tentazione e non manca di chiedere aiuto a Dio nella preghiera, per vincerla.

Sant’Alfonso riporta l’esempio di san Filippo Neri – molto interessante –, il quale «dal primo momento in cui si svegliava la mattina, diceva a Dio: “Signore, tenete oggi le mani sopra Filippo, perché se no, Filippo vi tradisce”» (III, 3) Grande realista! Egli chiede a Dio di tenere la sua mano su di lui. Anche noi, consapevoli della nostra debolezza, dobbiamo chiedere l’aiuto di Dio con umiltà, confidando sulla ricchezza della sua misericordia. In un altro passo, dice sant’Alfonso che: «Noi siamo poveri di tutto, ma se domandiamo non siamo più poveri. Se noi siamo poveri, Dio è ricco» (II, 4). E, sulla scia di sant’Agostino, invita ogni cristiano a non aver timore di procurarsi da Dio, con le preghiere, quella forza che non ha, e che gli è necessaria per fare il bene, nella certezza che il Signore non nega il suo aiuto a chi lo prega con umiltà (cfr III, 3). Cari amici, sant’Alfonso ci ricorda che il rapporto con Dio è essenziale nella nostra vita. Senza il rapporto con Dio manca la relazione fondamentale e la relazione con Dio si realizza nel parlare con Dio, nella preghiera personale quotidiana e con la partecipazione ai Sacramenti, e così questa relazione può crescere in noi, può crescere in noi la presenza divina che indirizza il nostro cammino, lo illumina e lo rende sicuro e sereno, anche in mezzo a difficoltà e pericoli. Grazie.

Publié dans Fede, morale e teologia, Riflessioni, San Filippo Neri, Sant’Alfonso Maria De Liguori, Stile di vita | Pas de Commentaire »

La devozione mariana in sant’Ignazio

Posté par atempodiblog le 30 juillet 2022

La devozione mariana in sant’Ignazio
Quando si pensa a sant’Ignazio di Loyola, la memoria corre subito ai suoi Esercizi spirituali. Poca, invece, è la fama della sua devozione alla Vergine Maria. Eppure, di “tracce mariane”, ne troviamo non poche: come nella vita, così anche nei suoi scritti.
di Antonio Tarallo – La nuova Bussola Quotidiana

La devozione mariana in sant'Ignazio dans Fede, morale e teologia Sant-Ignazio-di-Loyola-e-la-Madonna-della-strada

Quando si pensa a Sant’Ignazio di Loyola, la memoria corre subito ai suoi Esercizi spirituali, fonte inesauribile per la meditazione, testo-simbolo della sua avventura terrena. E il termine “avventura” è davvero quello che meglio si addice alla sua biografia: Ignazio, il condottiero spagnolo, che troverà- poi – in Dio l’unico vero duce non solo delle sue battaglie, ma dell’intera sua esistenza. Coraggioso e dal fine intelletto, il fondatore dei Gesuiti – del quale domani ricorre la memoria liturgica – rappresenta uno dei più famosi santi che la Chiesa annovera. Tanti libri su di lui sono stati scritti; tante pagine raccontano di come il militare degli uomini sia diventato uno dei più importanti “militi del Signore”.

Poca, invece, è la fama della sua devozione alla Vergine Maria. Eppure di “tracce mariane”, ne troviamo non poche: come nella vita, così anche nei suoi scritti. Infatti, l’espressione con riferimento a Maria che più frequentemente appare negli Esercizi Spirituali è Madre y Señora nuestra (Madre e Signora nostra): espressione ricca di contenuto teologico e, al contempo, di grande carica emotiva, di “filiale affetto” si potrebbe dire.

E Ignazio provava una devozione del tutto particolare per la Mamma Celeste, per la Signora: proprio a Lei si sentirà legato fin da quella famosa battaglia di Pamplona che gli cambierà la vita, definitivamente. Era il 1521. All’epoca il fondatore gesuita non si chiamava ancora Ignazio ma Iñigo, e non aveva ancora trent’anni. Durante la battaglia fu colpito duramente alla gamba, ma ciò non lo ferì comunque mortalmente. Inizia per lui il periodo della convalescenza, lungo e tortuoso. Nasce così la sua passione per due letture che gli cambieranno l’esistenza: Vita Christi del certosino Ludolfo di Sassonia e Le vite dei santi di Jacopo da Varagine, vescovo di Genova e frate domenicano. E proprio di questo periodo,  nella sua Autobiografia,  troviamo un racconto in cui la Vergine è protagonista: Sant’Ignazio “vide chiaramente un’immagine di nostra Signora con il santo bambino Gesù [e] poté contemplarla a lungo provandone grandissima consolazione”. Questa visione ebbe come effetto una profonda “trasformazione che si era compiuta dentro la sua anima”. Dopo lunghi mesi di lettura e studio, avverrà, poi, il pellegrinaggio al benedettino monastero “de Montserrat”: qui, l’incontro con la Vergine, o meglio, con la “Moreneta”, una scultura di legno (XIII secolo) che raffigura la Vergine. Si narra che proprio di fronte a questa effige, Iñigo deporrà la spada di guerra per imbracciare il Crocifisso dell’Amore. Il passato si chiude per aprirgli la porta di un nuovo cammino: quello verso Dio, verso la carità, verso il Paradiso. La Vergine lo aveva ormai attratto a sé, e Iñigo diventerà Ignazio.

La presenza della Madre di Dio sarà una costante nella sua vita perché anche a Roma, città fondamentale per il cammino personale di Ignazio e di quello della Compagnia da lui fondata, incontra un’altra immagine che rimarrà scolpita nel suo cuore: è la Madonna della Strada che si trovava nella chiesa che all’epoca aveva nome Santa Maria degli Astalli per poi prendere il nome, appunto, di Madonna della Strada.

Annus Domini 1641. Sul soglio di Pietro regna Papa Paolo III, lo stesso pontefice che l’anno prima aveva approvato la Compagnia di Gesù; il Santo Padre consegna la chiesa, abbattuta e ricostruita nel 1569, a Sant’Ignazio di Loyola. Davanti a questa miracolosa immagine si narra – tra l’altro – che furono molti i santi che si fermarono in preghiera: da Pierre Favre a Carlo Borromeo, fino a giungere a Filippo Neri. Ma qual è la storia di questo affresco così delicato, tenero e dolce? La sua storia si intreccia con quella del guerriero di Dio, Ignazio: infatti, quel dipinto, era stato sempre lì, precedentemente alla sua venuta a Roma; infatti, l’effige della Madonna col Bambino in braccio, si trovava in angolo della chiesa di Santa Maria della Strada; e il santo spagnolo si era imbattuto nell’affresco in occasione del suo primo viaggio nella Città Eterna, nel 1540. Il dato più lontano nel tempo riguardante l’edificio sacro al cui interno era stata affrescata l’immagine della Madonna della Strada risale al 1192, anno in cui compare la prima indicazione di una chiesa dal nome Santa Maria de Astariis, appellativo che ritorna anche in un catalogo di chiese romane redatto intorno al 1230; mentre in un codice del 1320 – conservato presso la Biblioteca Nazionale di Torino – si legge che questa chiesetta era retta da un solo sacerdote e al suo interno si facevano seppellire i membri della famiglia romana degli Astalli. Nei documenti successivi, invece, il nome dell’edificio sacro muta in “Santa Maria de scinda” e in  “Santa Maria de stara”, per poi mutarsi nuovamente in “Santa Maria della Strada”. È comunque importante specificare che la superficie dove sorgeva questa chiesa occupava una piccola parte dell’area circoscritta da quelle vie che sono le attuali via degli Astalli, via del Plebiscito e piazza del Gesù. Ciò che vediamo oggi, lo dobbiamo alla decisione del cardinale Alessandro Farnese di costruire – nel 1568 – la Chiesa del Gesù.  E solo nel 1575, l’affresco venne posto nella cappella della nuova chiesa dove i Gesuiti prendevano i voti.

Chi entra, oggi, nella Chiesa del Gesù, non può non rimanerne colpito da questa immagine della Madonna della Strada: rimane affascinato dalla sua grazia, dalla sua bellezza misteriosa. La Vergine è rappresentata a mezzo busto, con in braccio sinistro il Bambino; la mano destra, invece, è aperta, rivolta ai fedeli. Ha il capo coronato circondato dal nimbo; lo sguardo frontale; e tutta la figura è avvolta da un manto color oro. Anche il Bambino ha una luminosa aureola, e presenta la postura del Pantocratore; ha lo sguardo frontale che infonde al fedele una serenità austera; con la sinistra tiene un libro e alza la destra nel gesto della benedizione. Nell’insieme, l’effige mariana sembra evocare la tipologia della Madre mediatrice di Grazia; e, inoltre, con il suo sguardo che penetra nel cuore di ogni fedele, sembra davvero che inviti alla fiducia nel Figlio.

La storia di questa immagine ha visto una tappa fondamentale nel 2006, quando è stata sottoposta a un restauro che ne ha mostrato un nuovo volto, del tutto inedito: infatti, l’immagine si è rivelata di oltre due secoli più antica di quello che si pensava. Il lavoro di restauro ha dissolto secoli di sporcizia, depositi minerali, vernice e sopraverniciatura dalla superficie dell’immagine; e, così, i colori brillanti hanno iniziato a farsi strada, tanto da dare alla luce una nuova Madonna della Strada. Gli esperti che hanno supervisionato il lavoro di restauro, alla fine, hanno concordato sul fatto di datare l’opera al XIII o al XIV secolo.

La Madonna della Strada, nulla di più attuale. Proprio oggi che molti sembrano aver smarrito la via, guardare a questa effige vuol dire non solo entrare nella spiritualità ignaziana, ma anche chiedere alla Vergine la giusta direzione. Ignazio di Loyola, a distanza di secoli, grazie ai suoi scritti, alla sua testimonianza, sembra quasi offrirci il “google map” per trovare l’Infinito di Dio. E le parole della preghiera dedicata alla Madonna della Strada, ci offrono la possibilità di revisionare anche noi il nostro cammino e di guardare al Cielo, così come fece quel guerriero di Dio dal nome Ignazio di Loyola:

“O Maria, Madonna della Strada, accompagnaci sulle vie del mondo tu che hai camminato: sui monti della Giudea, portando, sollecita, Gesù e la sua gioia; sulla strada da Nazareth a Betlemme dove è nato Gesù, il nostro Redentore; sul cammino dell’esilio per proteggere il Figlio dell’Altissimo; sulla via del Calvario per ricevere la maternità della Chiesa. Continua, ti preghiamo, a camminare accanto a tutti noi sulle strade del mondo affinché possiamo vivere e testimoniare il Vangelo di salvezza. Proteggi in particolare quanti hanno la strada come luogo di lavoro, d’impegno, di viaggio e di pellegrinaggio, e che sono alla ricerca dei beni più grandi per una vita degna e benedetta”.

Publié dans Fede, morale e teologia, Preghiere, Riflessioni, Sant’Ignazio di Loyola, Stile di vita | Pas de Commentaire »

La devozione mariana di J. R. R. Tolkien

Posté par atempodiblog le 29 juillet 2022

La devozione mariana di J. R. R. Tolkien
Nella letteratura di Tolkien scorre come sorgente nascosta e feconda la dolce devozione mariana dell’Autore. Le migliori figure femminili delle sue opere hanno richiami più o meno espliciti alla Madonna, quale modello di santità e bellezza semplice e maestosa, ricca d’ogni bene da diffondere agli altri.
di Padre Angelomaria Lozzer, FI – Il Settimanale di Padre Pio

La devozione mariana di J. R. R. Tolkien dans Articoli di Giornali e News JRR-Tolkien-e-la-Madonna
29 luglio 1954: pubblicazione de “Il Signore degli Anelli”, capolavoro di un grande scrittore cattolico

John Ronald Reuel Tolkien fu un cattolico tutto di un pezzo: Messa quotidiana, Confessione settimanale, attaccamento alla Chiesa Romana, all’Eucaristia, alla Madonna.

Alcuni legano questa sua cattolicità all’educazione ricevuta presso il collegio dei Padri Oratoriani fondati dal beato Newman, e in modo particolare alla guida forte e decisa del Padre Morgan che fu per Tolkien come un vero padre (dopo la morte della madre fu il suo tutore); altri all’esempio luminoso della propria madre, definita da Tolkien “martire”, perché pagò la propria conversione al Cattolicesimo con l’abbandono da parte di tutti i famigliari, e con esso del sostegno e dell’aiuto economico sufficiente per potersi curare dalla malattia che la porterà prematuramente alla morte.

Tutto questo certamente contribuì alla nascita e allo sviluppo della fede in Tolkien, ma sarebbe un errore sottovalutare la sua corrispondenza personale, il suo approfondimento costante, la sua convinzione sempre più salda e profonda maturata negli anni, che solo nella Fede cattolica si trova ogni bene: la verità, la bellezza, la santità.

La sua fede traeva vita soprattutto da due amori, si poggiava su due pilastri, che formano il distintivo del Cattolico in una Inghilterra dove si convive con le più svariate confessioni cristiane, in primis quella anglicana, al cui fianco Tolkien visse quotidianamente; e questi due amori, questi due pilastri sono l’Eucaristia e la Madonna.

Per questo aveva imparato il Canone della Messa e lo recitava mentalmente qualora gli impegni gli impedivano di partecipare alla Santa Messa, come anche recitava sovente il Magnificat, le Litanie Lauretane e il Sub tuum praesidium (un’antica preghiera mariana) che aveva imparate a memoria in latino.

Nei suoi lavori di scrittore, nelle sue poesie, nei suoi racconti, nelle sue fiabe, nella sua mitologia questi due amori sembrano continuamente affiorare e riemergere anche se velatamente. Naturalmente Tolkien ribadì più volte di non aver scritto alcuna allegoria in proposito. Era convinto, infatti, che l’allegoria non fosse il giusto mezzo per trasmettere la verità, e che anzi tante volte finisse per banalizzarla e ridicolizzarla. D’altro canto però non poteva negare che dalla fede e in particolare dall’Eucaristia e dalla Madonna aveva appreso tutti quei concetti di bellezza, di moralità, di santità che sono disseminati in vario grado nei suoi scritti e che vogliono essere uno spiraglio di luce per il lettore, una strada per condurlo verso ciò che va oltre la semplice vita naturale di ogni giorno, ciò che la trascende.

A proposito della Madonna come sorgente ispiratrice, in una lettera all’amico gesuita Robert Murray, scriveva: «Penso di sapere esattamente che cosa intendi con dottrina della Grazia; e naturalmente con il tuo riferimento a Nostra Signora, su cui si basa tutta la mia piccola percezione della bellezza sia come maestà sia come semplicità».

Da questa fonte mariana attingeva ispirazione nel creare le figure femminili più luminose e celestiali, più belle e sagge, più pure e angeliche dei suoi libri. È il caso per esempio della regina degli elfi Galadriel, alla cui presenza i viandanti della Compagnia trovano riposo e refrigerio, consigli e doni per portare avanti la propria missione. E fa riflettere, come Tolkien un mese prima di morire abbia voluto rivedere questa figura nel tentativo di scagionarla da ogni colpa “originale”; quella colpa che si era attualizzata per gli elfi ai tempi della ribellione di Fëanor. Se negli scritti precedenti Galadriel era coinvolta nel peccato, nell’ultimo scritto invece ne esce incolume e tra i più accaniti oppositori della disubbidienza dei Noldor contro i Valar. Questa versione non è entrata nel testo “ufficiale” del Silmarillion, ma ben fa capire il desiderio di Tolkien di presentare una figura tutta santa e immacolata che fosse un “anticipo” storico della Madonna. Dico un anticipo perché nella mente di Tolkien il mondo di Arda non era che un mito lontano nel tempo, un mito giunto prima della Rivelazione cristiana; un mito che in un certo senso l’anticipa, la predispone e la prepara.

Un’altra figura che “anticipa” la Madonna è la regina dei Valar (quelli che noi definiremmo Angeli) Elbereth, la regina delle stelle e l’acerrima nemica di Morgoth, il Valar decaduto e corrotto nel male (immagine di lucifero). A lei si rivolgono più che ad ogni altra, elfi e uomini che in mezzo ai perigli della Terra di Mezzo cercano protezione e rifugio dal male. Lo stesso Frodo la invoca nella notte senza luce della galleria che porta alla terra oscura di Mordor, trovando salvezza, speranza e forza. E l’elenco potrebbe continuare con Arwen, la sposa del Re Aragorn, tutta bellezza, saggezza e maestà; o con la giovane Dama di Rohan Eowyn che taglia la testa al Re malvagio dei Nazgul realizzando così le profezie preannunciate… Tutte figure che nella mente di Tolkien non erano altro che un piccolo barlume, un piccolo anticipo, un piccolo riflesso della bellezza e della santità della Madonna.

Anzi potremmo dire che anche le cose inanimate dei suoi racconti attingono ispirazione poetica dalla Madonna. La stessa luce appare per esempio dipinta come qualcosa di vivo e di femminile che espande purezza e santità, allontanando il male ovunque giunge con i suoi benevoli raggi. Insomma possiamo dire con Caldecott: «La bellezza naturale di paesaggi e foreste, monti e fiumi, e la bellezza morale di eroismo e integrità, amicizia e onestà – tutte cose celebrate nel mondo immaginario di Tolkien – sono doni di Dio che ci giungono attraverso di Lei, ed essa ne è anche la misura, la sua bellezza concentrando la loro essenza».

«È questa la figura di Maria che Tolkien aveva sempre presente, che era al centro del suo immaginario, avvolta da tutte le bellezze naturali, la più perfetta delle creature di Dio, tesoro di tutti i doni terreni e spirituali» (Stratford Caldecott, Il fuoco segreto, Città di Castello 2008). La più alta e lontana per sublimità e santità, la più vicina per calore e dolcezza, misericordia e maternità.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia, John Ronald Reuel Tolkien, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

La farmacia più antica del mondo è stata creata dalla Chiesa 801 anni fa

Posté par atempodiblog le 27 juillet 2022

La farmacia più antica del mondo è stata creata dalla Chiesa 801 anni fa
Uno degli esempi dell’incommensurabile contributo della Chiesa cattolica al progresso dell’umanità in campo sanitario
di Francisco Vêneto – Aleteia

La farmacia più antica del mondo è stata creata dalla Chiesa 801 anni fa dans Articoli di Giornali e News Officina-Profumo-Farmaceutica-di-Santa-Maria-Novella

La farmacia più antica del mondo è stata creata dalla Chiesa 801 anni fa. L’Officina Profumo-Farmaceutica di Santa Maria Novella, oggi uno dei luoghi turistici più visitati di Firenze, è stata fondata nel 1221 come parte della struttura del convento della Basilica di Santa Maria Novella.

La sua origine risale ai frati domenicani, che nel loro convento fuori dalle mura di Firenze coltivavano piante ed erbe con cui producevano unguenti, balsami, pomate, elisir e farmaci.

Il lavoro dei frati fece sì che nel 1334 il commerciante locale Dardano Acciaioli, di una ricca famiglia fiorentina, donasse loro la cappella di San Niccolò dopo essere guarito da una malattia grazie al trattamento fornito dai Domenicani.

La fama di eccellenza della farmacia e profumeria si estese ampiamente. Nel 1533, Caterina de’ Medici scelse per farsi accompagnare alla corte di Francia il profumiere Renato Bianco, allevato dai frati domenicani di Santa Maria Novella.

Nel 1542 la farmacia venne ufficialmente aperta al grande pubblico.

Nel 1659, rinomata in tutta l’Europa, ricevette dal granduca Ferdinando II de’ Medici il titolo di “Fonderia di Sua Altezza Reale”, sotto la direzione di fra’ Angiolo Marchissi.

Nel XVIII secolo, i suoi prodotti erano esportati fino in India e in Cina.

Nel XX secolo, la farmacia ha rilanciato e trasformato il suo tradizionale negozio fiorentino in un museo di grande rilevanza storica e culturale.

Acquisita per iniziativa privata, l’impresa si è specializzata nell’elaborazione di marche proprie di colonie, balsami, pomate, saponi e candele, e di recente ha lanciato la sua prima linea di profumi. Nel 2021, ha registrato un fatturato di 22,6 milioni di euro.

L’Officina Profumo-Farmaceutica di Santa Maria Novella, insieme a centinaia di università, laboratori e ospedali, è un esempio dell’incommensurabile contributo della Chiesa cattolica al progresso dell’umanità in campo sanitario.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Il Papa: la Chiesa non impone precetti ma è casa di riconciliazione

Posté par atempodiblog le 26 juillet 2022

Il Papa: la Chiesa non impone precetti ma è casa di riconciliazione
Nella chiesa del Sacro Cuore dei Primi Popoli a Edmonton, Francesco ammette che “nulla può cancellare la dignità violata, il male subìto, la fiducia tradita”. Tuttavia  precisa  occorre ripartire, guardando a Gesù crocifisso. Invita a cooperare per una riconciliazione che non sia una sorta di pace calata dall’alto per assorbimento dell’altro, ma annuncio di Cristo in libertà e carità
di Antonella Palermo – Vatican News

Il Papa: la Chiesa non impone precetti ma è casa di riconciliazione dans Fede, morale e teologia Papa-Francesco-il-misericordioso

Amico e pellegrino. Così ha vissuto Gesù, così Papa Francesco sta entrando nella terra delle popolazioni indigene del Canada. Ferito e con il senso di vergogna che “mai deve cancellarsi”, per il dolore causato anche da tanti cristiani ai danni delle peculiarità culturali delle comunità autoctone, il Pontefice rimette a fuoco il principio guida dell’educazione: la promozione dei talenti e non l’imposizione di qualcosa di preconfezionato. Si sofferma sul significato autenticamente evangelico di riconciliazione: non tanto un’opera nostra  osserva  ma un dono che sgorga dal Crocifisso.

In un luogo sacro di dialogo e servizio
I quattro pali della tepee, la tenda indigena, sormontano l’altare. In questa ‘casa’, chiesa del Sacro Cuore dei Primi Popoli  una delle più antiche della città  Francesco arriva per il secondo incontro tanto atteso della sua visita nel Paese nordamericano. Un gruppo di autoctoni scandisce ritmi tradizionali sui tamburi, il Papa entra con l’ausilio della sedia a rotelle e poi siede sotto i simboli della tepee. Padre Susai Jesu, OMI lo accoglie mentre risuonano gli applausi e lo ringrazia a nome della comunità parrocchiale e degli indigeni: “Da molti anni è un luogo sacro di incontro, dialogo, riconciliazione e servizio”, dice. Qui, come il Papa riconosce, confluiscono autoctoni e discendenti degli antichi colonizzatori e la fede cattolica è espressa nel contesto della cultura aborigena. Reduce da due anni di lavori di restauro per riparare i danni di un incendio, è diventata casa spirituale per molti immigrati e rifugiati che si sono stabiliti a Edmonton. “Desideriamo camminare insieme a Lei e andare nei luoghi di dolore per offrire la guarigione che Gesù porta”.

La Chiesa, una casa aperta e inclusiva
Il Papa si compiace dell’opera portata avanti nella parrocchia dove le azioni concrete necessarie per un efficace processo di risanamento delle ferite della storia  e auspicate nell’ambito degli incontri con gli indigeni in Vaticano nella primavera scorsa  sono già state avviate. Ringrazia anche per la vicinanza a tanti poveri con opere di carità. Da qui si leva l’invito a recuperare il senso etimologico di ‘riconciliazione’, sinonimo di Chiesa: “fare di nuovo un concilio”. Essa deve essere “casa per tutti”, scandisce Francesco all’inizio e alla fine del discorso.

Ecco una casa per tutti, aperta e inclusiva, così come dev’essere la Chiesa, famiglia dei figli di Dio dove l’ospitalità e l’accoglienza, valori tipici della cultura indigena, sono essenziali: dove ognuno deve sentirsi benvenuto, indipendentemente dalle vicende trascorse e dalle circostanze di vita individuali.

Cosa è l’educazione
È la zizzania all’origine di tante operazioni dannose, ricorda il Papa che qualche ora prima a Maskwacis ha chiesto “perdono con dolore” per il male subìto dalle popolazioni indigene e il cui pensiero lo ferisce. Poi torna a chiarire lo spirito che dovrebbe guidare l’opera educativa:

Mi ferisce pensare che dei cattolici abbiano contribuito alle politiche di assimilazione e affrancamento che veicolavano un senso di inferiorità, derubando comunità e persone delle loro identità culturali e spirituali, recidendo le loro radici e alimentando atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori, e che ciò sia stato fatto anche in nome di un’educazione che si supponeva cristiana. L’educazione deve partire sempre dal rispetto e dalla promozione dei talenti che già ci sono nelle persone. Non è e non può mai essere qualcosa di preconfezionato da imporre, perché educare è l’avventura di esplorare e scoprire insieme il mistero della vita.

E qui il Papa aggiunge un ringraziamento speciale ai vescovi che si sono adoperati per organizzare la visita in queste terre. “Una Conferenza episcopale unita fa cose grandi, dà molti frutti”, ha precisato.

È Gesù che ci riconcilia
Francesco si fa ispirare dall’immagine dell’altare della chiesa che assomiglia a un tronco d’albero con rami che si alzano per sostenerlo. Il tema dell’albero è caro agli indigeni: una simbologia che rimanda al significato vitale della terra e delle radici. Liturgicamente, sull’altare Gesù ci riconcilia nell’Eucaristia, abbracciando tutto il creato. Facendo riferimento al discorso che in questo Paese pronunciò San Giovanni Paolo II nel 1984, Bergoglio cita anche la simbologia dei punti cardinali applicati al significato cristologico di Gesù che avvolge l’universo e riconcilia tutte le cose. Un’opera, la riconciliazione, che è una grazia da chiedere, non tanto un nostro risultato, dirà più avanti.

La riconciliazione operata da Cristo non è stata un accordo di pace esterno, una sorta di compromesso per accontentare le parti. Nemmeno è stata una pace calata dal cielo, arrivata per imposizione dall’alto o per assorbimento dell’altro. L’Apostolo Paolo spiega che Gesù riconcilia mettendo insieme, facendo di due realtà distanti un’unica realtà, una cosa sola, un solo popolo. E come fa? Per mezzo della croce (cfr Ef 2,14). È Gesù che ci riconcilia fra di noi sulla croce, su quell’albero di vita, come amavano chiamarlo gli antichi cristiani.

“Immagino la fatica in chi ha sofferto tremendamente”
Nelle parole di Papa Francesco si percepisce l’altissima consapevolezza del male subìto da queste comunità da parte di “uomini e donne che dovevano dare testimonianza di vita cristiana”. Aver attraversato l’oceano, peraltro in condizioni di fragilità fisica, lo dimostra. Lo stile di parresìa del Pontefice spicca ancora in questi passaggi:

Nulla può cancellare la dignità violata, il male subìto, la fiducia tradita. E nemmeno la vergogna di noi credenti deve mai cancellarsi. Ma occorre ripartire e Gesù non ci propone parole e buoni propositi, ma la croce, quell’amore scandaloso che si lascia infilzare i piedi e i polsi dai chiodi e trafiggere la testa di spine. Ecco la direzione da seguire: guardare insieme Cristo, l’amore tradito e crocifisso per noi; guardare Gesù, crocifisso in tanti alunni delle scuole residenziali. Se vogliamo riconciliarci tra di noi e dentro di noi, riconciliarci con il passato, con i torti subiti e la memoria ferita, con vicende traumatiche che nessuna consolazione umana può risanare, lo sguardo va alzato a Gesù crocifisso, la pace va attinta al suo altare.

Il Signore lascia liberi
Citando l’apostolo Paolo, il Papa rimarca che la Chiesa è ”corpo vivente di riconciliazione”. E torna a precisare che alla radice degli atteggiamenti a cui la Chiesa ha contribuito alimentando discriminazioni nei confronti degli autoctoni in queste regioni, c’è stata la seduzione della mondanità:

Questo atteggiamento è duro a morire, anche dal punto di vista religioso. Infatti, sembrerebbe più conveniente inculcare Dio nelle persone, anziché permettere alle persone di avvicinarsi a Dio. Ma non funziona mai, perché il Signore non agisce così: egli non costringe, non soffoca e non opprime; sempre, invece, ama, libera e lascia liberi. Egli non sostiene con il suo Spirito chi assoggetta gli altri, chi confonde il Vangelo della riconciliazione con il proselitismo. Perché non si può annunciare Dio in un modo contrario a Dio. Eppure, quante volte è successo nella storia! Mentre Dio semplicemente e umilmente si propone, noi abbiamo sempre la tentazione di imporlo e di imporci in suo nome. È la tentazione mondana di farlo scendere dalla croce per manifestarlo con la potenza e l’apparenza.

“Non capiti più nella Chiesa di fare così”
Lo scandisce a chiare lettere il Papa: “Gesù sia annunciato come Egli desidera, nella libertà e nella carità ».

Ogni persona crocifissa che incontriamo non sia per noi un caso da risolvere, ma un fratello o una sorella da amare, carne di Cristo da amare. La Chiesa, Corpo di Cristo, sia corpo vivente di riconciliazione!

Gli echi della Fratelli tutti sono ben visibili nelle parole pronunciate dal Papa nella chiesa del Sacro Cuore dei Primi popoli. Ancora una precisazione di cosa sia davvero la Chiesa:

È il luogo dove si smette di pensarsi come individui per riconoscersi fratelli guardandosi negli occhi, accogliendo le storie e la cultura dell’altro, lasciando che la mistica dell’insieme, tanto gradita allo Spirito Santo, favorisca la guarigione della memoria ferita.

La Chiesa non è un un’idea da inculcare
La riconciliazione è il frutto della preghiera e delle storie condivise  dice il Papa  un cammino con Dio che procede nel quotidiano. Un cammino fatto di compassione e tenerezza, sapendo che la casa di Dio, il tabernacolo, è la sua tenda allestita per noi:

Questa è la via: non decidere per gli altri, non incasellare tutti all’interno di schemi prestabiliti, ma mettersi davanti al Crocifisso e davanti al fratello per imparare a camminare insieme. Questa è la Chiesa e questo sia: il luogo dove la realtà è sempre superiore all’idea. Questa è la Chiesa e questo sia: non un insieme di idee e precetti da inculcare alla gente, ma una casa accogliente per tutti! Questo è la Chiesa e questo sia: un tempio con le porte sempre aperte dove tutti noi, templi vivi dello Spirito, ci incontriamo, ci serviamo e ci riconciliamo.

Publié dans Fede, morale e teologia, Misericordia, Papa Francesco I, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Novena a San Giustino Maria Russolillo Apostolo delle Vocazioni

Posté par atempodiblog le 24 juillet 2022

Novena a San Giustino Maria Russolillo Apostolo delle Vocazioni
Questa novena può essere recitata in preparazione della festa del Beato, il 2 agosto, dal 24 luglio al 1 agosto, o in qualsiasi momento per le proprie necessità.

San Giustino Maria Russolillo Apostolo delle Divine Vocazioni

Publié dans Don Giustino Maria Russolillo, Preghiere | Pas de Commentaire »

Il nostro prossimo è nel Sacro Petto del Salvatore

Posté par atempodiblog le 10 juillet 2022

Il nostro prossimo è nel Sacro Petto del Salvatore dans Citazioni, frasi e pensieri Nel-Sacro-Cuore-di-Ges

Chi mira il prossimo fuori del petto del Sal­vatore corre rischio di non amarlo puramente, né co­stantemente, né ugualmente; ma là dentro, chi non l’amerà?
Chi non lo sopporterà? Chi non avrà tolle­ranza per le sue imperfezioni? Chi potrà riputarlo sgarbato, o noioso?…
Ora il nostro prossimo è pro­prio lì, nel Sacro Petto del Salvatore, degno tanto di essere amato, che l’Amante divino muore per lui d’amore.

San Francesco di Sales. Negli insegnamenti e negli esempi
Diario Sacro estratto dalla sua vita e dalle sue opere per cura delle “Visitandine di Roma”.
Libreria Editrice F. Ferrari

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Fede, morale e teologia, Riflessioni, Sacri Cuori di Gesù e Maria, San Francesco di Sales, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Preghiera al Preziosissimo Sangue di Gesù

Posté par atempodiblog le 6 juillet 2022

 Preghiera al Preziosissimo Sangue di Gesù dans Maria Valtorta Preziosissimo-Sangue-Ges

Dice ancora Gesù: «[...] Ora, per il mese del mio Sangue, ti farò pregare il Sangue mio. Di’ dunque così:

“Divinissimo Sangue che sgorghi per noi dalle vene del Dio umanato, scendi come rugiada di redenzione sulla terra contaminata e sulle anime che il peccato rende simili a lebbrosi. Ecco, io ti accolgo, Sangue del mio Gesù, e ti spargo sulla Chiesa, sul mondo, sui peccatori, sul Purgatorio. Aiuta, conforta, monda, accendi, penetra e feconda, o divinissimo Succo di Vita. Né ponga ostacolo al tuo fluire l’indifferenza e la colpa. Ma anzi per i pochi che ti amano, per gli infiniti che muoiono senza di Te, accelera e diffondi su tutti questa divinissima pioggia onde a Te si venga fidenti in vita, per Te si sia perdonati in morte, con Te si venga nella gloria del tuo Regno. Così sia” [...]».

Tratto da: I quaderni di Maria Valtorta  28 giugno 1943

Publié dans Maria Valtorta, Preghiere | Pas de Commentaire »

Gesù nei Vangeli, è come aver avuto un registratore

Posté par atempodiblog le 3 juillet 2022

Gesù nei Vangeli, è come aver avuto un registratore
Come ha dimostrato Richard Bauckhami, i Vangeli riferiscono fedelmente la tradizione su Gesù appresa mnemonicamente con diligenza e trasmessa con cura da quanti erano stati scelti dal Maestro.
di Luisella Scrosati – La nuova Bussola Quotidiana

Gesù nei Vangeli, è come aver avuto un registratore dans Commenti al Vangelo Vangelo-ed-evangelisti

C’è un mantra ripetuto dall’approccio storico-critico ai Vangeli, e cioè che questi ultimi non devono essere intesi come biografie, ma come il frutto della predicazione delle prime comunità cristiane. La preoccupazione principale della Chiesa primitiva non era tanto quella di trasmettere i fatti e i detti di Gesù, quanto piuttosto di offrire una sorta di rilettura della sua vita in chiave teologica e morale. La “tradizione su Gesù” risentirebbe così di un adattamento parenetico e kerygmatico, che renderebbe vana la speranza di ritrovare nei Vangeli l’effettiva vita e gli autentici insegnamenti del Signore. I Vangeli ci consegnerebbero, invece, quello che la comunità cristiana credeva di Gesù, e non – diciamo così – Gesù. Un altro modo per distanziare il Cristo della fede dal Cristo della storia.

Si è già visto come il paziente lavoro di Birger Gerhardsson (1926-2013), che eredita e sviluppa quello del suo maestro, Harald Riesenfeld (1913-2008), abbia mosso una critica decisiva a questa posizione. Il Sitz im Leben dei Vangeli non è il contesto della predicazione e della catechesi, bensì la volontà di custodire e trasmettere quella che il professor Richard Bauckham (vedi qui e qui) denomina la “Jesus tradition”. Si tratta di una tradizione “isolata”, nata cioè con il preciso scopo di preservare le tradizioni su Gesù il più fedelmente possibile, distinguendole in questo modo sia dalle tradizioni di Israele – condizione essenziale per la nascita del Cristianesimo, affrancato dal Giudaismo – sia dalla successiva predicazione apostolica.

Le tecniche mnemoniche in uso nelle scuole rabbiniche, l’importanza dell’apprendimento a memoria nel mondo giudaico – come in generale nel mondo antico -, sono un riferimento fondamentale per capire come siano nati i Vangeli e come questi scritti trasmettano effettivamente le parole e le azioni del Rabbi galileo.

Nel precedente approfondimento di apologetica, avevamo anche considerato la cura con cui san Paolo, nelle proprie lettere, distinguesse gli insegnamenti del Signore dalle proprie aggiunte, mostrando così che le istruzioni e le esortazioni parenetiche dell’Apostolo venivano mantenute distinte dalla tradizione vera e propria di Gesù. Nessun assorbimento della Jesus tradition nella predicazione apostolica, ma anzi l’attenzione di apprendere, contraddistinguere e comunicare quanto proveniva dal Maestro, mediante l’apprendimento e l’insegnamento mnemonico, dalle considerazioni, pur altamente autorevoli, degli Apostoli. Bauckham fa altresì notare che l’estrema rarità delle citazioni esplicite dei detti e delle gesta di Gesù negli altri scritti neotestamentari sono un’interessante spia del fatto che la predicazione fosse un’attività consapevolmente distinta dalla trasmissione della tradizione di Gesù.

I Vangeli sono dunque il frutto di questa tradizione “isolata” da altri generi di predicazioni, attestati nel Nuovo Testamento, perché «solo essi, nella produzione letteraria del primo Cristianesimo, trasmettono la tradizione su Gesù e trasmettono esclusivamente le tradizioni su Gesù [...]. I discepoli non integrano l’insegnamento di Gesù con contributi – aggiunte o interpretazioni – a titolo personale» (Jesus and the Eyewitnesses, p. 278). Questo non significa che gli evangelisti non ci mettano del proprio: l’organizzazione e selezione del materiale, la precisazione di termini, luoghi, circostanze, etc., dipendono chiaramente dall’autore di ogni singolo Vangelo. Quello che Bauckham vuole qui sottolineare è che i Vangeli riferiscono fedelmente la tradizione su Gesù appresa mnemonicamente con diligenza e trasmessa con cura da quanti erano stati scelti dal Maestro.

Questa tradizione si forma quando Gesù è ancora in vita, anzi, per sua precisa volontà; gli stessi Sinottici (cf. Mt 9, 36-10,15; Mc 6, 7-13; Lc 9, 1-6; 10, 1-16) non mancano di enfatizzare che Gesù stesso inviò i suoi ad annunciare quanto avevano visto e udito da Lui, di modo che chi ascoltava loro, avrebbe ascoltato il Maestro stesso. «Chi ascolta voi, ascolta me» (Lc 10, 16); «Chi accoglie voi, accoglie me» (Mt 10, 40): sono espressioni che indicano non solo la comunione tra Cristo e i suoi apostoli, ma anche l’identità dell’insegnamento. E questo, nel contesto della trasmissione orale dell’epoca, significa che i discepoli avevano adeguatamente appreso l’insegnamento del maestro, grazie alla ripetuta memorizzazione.

La maggiore obiezione che viene mossa all’affermazione dei Vangeli come scrittura di una tradizione mnemonica, riguarda la variabilità di queste tradizioni che si riscontra in essi. Bauckham mostra che alcune plausibili ragioni di queste variazioni dissolvono l’obiezione. Anzitutto, Gesù stesso può aver utilizzato modi diversi di presentare un medesimo insegnamento, in situazioni temporalmente, geograficamente e contestualmente differenti. Il fatto che i Vangeli riportino i suoi detti una sola volta non comporta affatto che il Maestro li abbia effettivamente pronunciati una sola volta. Una seconda (ma non secondaria) ragione sta nel fatto delle traduzioni dall’aramaico/ebraico al greco. Un testo che poteva essere identico nella trasmissione in lingua semitica, sia orale che scritta, ha conosciuto delle ovvie variazioni nella traduzione.

Le differenze nelle parti narrative possono essere spiegate con la normale variabilità che si riscontra abitualmente quando più soggetti riferiscono di un medesimo evento: dettagli notati o meno, enfasi su alcuni aspetti piuttosto che su altri, diversità del destinatario della narrazione, e così via. Per tornare alla trasmissione dei detti di Gesù, possono esserci state anche delle alterazioni o aggiunte volutamente perseguite dall’evangelista per meglio spiegare ed adattare un insegnamento, senza tuttavia alternarne il senso. Infine, altre modifiche sono dovute all’opera redazionale che ogni evangelista ha compiuto per realizzare il proprio scritto.

L’importanza della tradizione orale non esclude la possibilità di testi scritti: «nelle culture prevalentemente orali dell’antichità, incluso il primo movimento cristiano, scrittura e oralità non erano alternative, ma complementari. Gli scritti esistevano per lo più per integrare e sostenere le forme orali di apprendimento e insegnamento». (pp. 287-8). Esempi di questa complementarietà tra scrittura e oralità nella tradizione rabbinica della Mishnah è stata documentata dal professore emerito di Jewish Studies and Comparative Religion all’Università di Washington, Martin S. Jaffee (1948). È dunque probabile l’esistenza di questi scritti a sostegno e rafforzamento della memorizzazione della tradizione orale su Gesù.

I Vangeli provengono dalla tradizione orale-scritta e nascono per continuarla e preservarla, come «mezzi per garantire la fedele preservazione della tradizione su Gesù» (p. 289).

Publié dans Commenti al Vangelo, Fede, morale e teologia, Riflessioni | Pas de Commentaire »

In vacanza con lo sguardo rivolto verso il Cielo

Posté par atempodiblog le 1 juillet 2022

In vacanza con lo sguardo rivolto verso il Cielo
di Padre Livio Fanzaga
Tratto da: Blog di p. Livio – Direttore di Radio Maria

In vacanza con lo sguardo rivolto verso il Cielo dans Fede, morale e teologia In-vacanza-con-lo-sguardo-rivolto-verso-il-Cielo

Cari amici,

più volte la Madonna ci ha invitato a utilizzare il tempo delle vacanze estive per ricercare il riposo in Dio.

«Utilizzate bene il tempo di riposo e donate alla vostra anima e ai vostri occhi il riposo in Dio», (25 luglio 2001).

«Cari figli, in questo tempo non pensate solo al riposo del vostro corpo ma, figlioli,
cercate tempo anche per l’anima»,
 (25 luglio 2006).

«Cari figli, in questo tempo in cui pensate al riposo del corpo, io vi invito alla conversione», (25 luglio 2008).

«Cari figli, questo tempo sia per voi tempo di preghiera e di silenzio. Riposate il vostro corpo e il vostro spirito,
che siano nell’amore di Dio», 
(25 luglio 2011).

Le vacanze sono un tempo di riposo che riguarda tutta la persona, non solamente il corpo che certamente necessita di ristoro e di rigenerarsi all’aria aperta.

L’essere umano, però, è una realtà complessa e l’invito della Madonna a ricercare il “riposo in Dio” riguarda la totalità della persona. La preghiera è il vero riposo in Dio: «La preghiera sarà per voi gioia e riposo» aveva detto la Regina della pace il 30 maggio 1985.

Cerchiamo, allora, di applicare al tempo di vacanza questo concetto di preghiera, che vuol dire dedicarsi anche a delle buone e edificanti letture per l’anima, alla partecipazione più assidua alla Santa Messa, alla visita di Santuari di cui la nostra bella Italia è costellata. Nel concetto di riposo e preghiera possiamo allora far rientrare la visita al Santissimo Sacramento da cui scaturisce un momento di adorazione, di colloquio intimo con Gesù Cristo: «io guardo Lui e Lui guarda me» diceva il Santo Curato d’Ars descrivendo il guardare il Tabernacolo in silenzio come uno tra i più alti segni di fede e di preghiera.

Abbiamo sicuramente bisogno di questo tipo di riposo che è un riposo per la mente quotidianamente disturbata dal nervosismo, dalla stanchezza, dal frastuono della routine in cui siamo totalmente immersi.

Vacanze-in-luoghi-con-la-Chiesa dans Medjugorje

Nel periodo delle vacanze approfittiamo, allora, per sollevare la mente, elevarla e rivolgerla a Dio.   
I Padri della Chiesa definivano la preghiera come elevatio mentis in Deum, ovvero momenti di riflessione profonda sul senso della nostra vita.

L’uomo deve necessariamente interrogarsi sul senso della propria vita e nel periodo delle vacanze – lontano dallo stress, dalle fatiche e dagli affanni che disturbano la quiete mentale – trova il tempo e il modo per guardarsi dentro e alzare gli occhi al Cielo.

Vi invito, allora, nel periodo delle vacanze a fissare l’occhio della mente in Dio che è Luce e Verità per prendere coscienza di voi stessi, della vostra situazione spirituale cercando di capire in che punto del cammino siete, su che strada state camminando.

Aprite il cuore lasciando da parte i risentimenti, le paure e le domande angoscianti. Che il tempo delle vacanze e la contemplazione suggestiva del Creato vi riempia il cuore di aspirazione all’Infinito, alla pace, all’immortalità, al bene, alla santità e alla purezza.

Lasciate che la luce della Verità illumini le vostre menti, che l’Amore di Dio riscaldi il vostro cuore, risani, rinvigorisca e fortifichi laddove vi sono le piaghe dell’egoismo e della cattiveria.

Che il ristoro nella preghiera porti nei vostri cuori il desiderio di bontà, di disponibilità, di apertura soprattutto nei confronti degli affetti familiari.

In questi momenti di grazia e di silenzio ascoltate lo Spirito Santo che si esprime attraverso la voce della coscienza che ci indica la strada del bene da percorrere e quella del male da evitare.

Che il periodo di vacanza sia un periodo di introspezione interiore ma con lo sguardo rivolto verso il Cielo.

Publié dans Fede, morale e teologia, Medjugorje, Padre Livio Fanzaga, Riflessioni, Stile di vita, Viaggi & Vacanze | Pas de Commentaire »

Vedere, o no

Posté par atempodiblog le 1 juillet 2022

Vedere, o no
di Marina Corradi – Avvenire

Vedere, o no dans Aborto Vita-che-nasce

Una giovane coppia sull’ascensore di una maternità milanese. Sorridono, parlano eccitati guardando qualcosa sullo smartphone. «Ha già la bocca! E che naso!», dice lei, e ride. E chiama la madre, «Ciao mamma, sì, dieci settimane, sta benissimo, si vedono le manine, i piedi…». Della madre non sento la risposta, ma già deve parlare di corredini, «Sì, certo mamma, andiamo insieme…», risponde la ragazza. I due escono abbracciati, ancora riguardando il video. Il più emozionante dei video: tuo figlio appena spuntato da quel buio, che lo avvolge come una notte. E sì, ha il naso, la bocca, le mani. È una cosa straordinaria. È lungo pochi millimetri. Ma sarà un uomo, sarà una donna. Quando vedo questa naturale gioia davanti a un’ecografia, un pensiero però mi sbalordisce: quella stessa creatura, se non fosse desiderata da sua madre, non sarebbe niente, sarebbe qualcuno di eliminabile, anzi qualcuno che per qualcun altro è un “diritto” eliminare. E guai a obiettare, a provare a discuterne: pare un sacrilegio.

Fatico a capire questo sguardo strabico. Se lo si vuole è un bambino, sennó, non è niente. Certo, quel figlio vive nel corpo di una donna. Ma la tua libertà può cancellare una vita, sia pure dipendente da te? Ed è un dogma, questo diritto, e perché?

Se quel video fosse mostrato a delle ragazzine delle medie, senza parole. Un bambino? Un niente? A 13 anni forse si vede ancora la realtà. Poi, l’ideologia ti rieduca.

Publié dans Aborto, Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia, Marina Corradi, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »