Le parole di Papa Francesco sulla vita

Posté par atempodiblog le 25 juin 2022

Le parole di Papa Francesco sulla vita
Nei suoi nove anni di Pontificato, Francesco ha pronunciato parole molto chiare sulla difesa della vita nascente che, afferma, è legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. La vita, osserva, va difesa sempre: quella dei nascituri come quella degli anziani e dei malati o di chi rischia di morire per fame o sul lavoro o sui barconi dei migranti
di Vatican News

Le parole di Papa Francesco sulla vita dans Aborto Papa-Francesco-benedice-una-donna-incinta

La Chiesa difende la vita, in particolare la vita di chi non ha voce. Nella Chiesa – ricorda il Papa in “Evangelii gaudium” - c’è un segno che non deve mai mancare: “l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via” (EG 195). È l’attenzione preferenziale per i più deboli.

Al fianco dei più deboli e dei diritti umani
“Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione – sottolinea Francesco – ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. È un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno” (EG 213).

Non è progressista eliminare una vita umana
Papa Francesco ha parole chiare: “Non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a ‘modernizzazioni’. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l’aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie, particolarmente quando la vita che cresce in loro è sorta come conseguenza di una violenza o in un contesto di estrema povertà. Chi può non capire tali situazioni così dolorose?” (EG 214). Il Papa ha parole molto forti: l’aborto “è un crimine. È fare fuori uno per salvare un altro. È quello che fa la mafia” (Conferenza stampa durante il volo di ritorno dal Messico, 17 febbraio 2016). “È come affittare un sicario per risolvere un problema” (Udienza generale,10 ottobre 2018).

Aborto, problema umano non religioso
Il Papa lo ha ripetuto più volte che il problema dell’aborto “non è un problema religioso: noi non siamo contro l’aborto per la religione. No. È un problema umano” (Conferenza stampa durante il volo di ritorno da Dublino, 26 agosto 2018). E spiega: “L’aborto è un omicidio. L’aborto… senza mezze parole: chi fa un aborto, uccide. Prendete voi qualsiasi libro di embriologia, di quelli che studiano gli studenti nelle facoltà di medicina. La terza settimana dal concepimento, alla terza settimana, tante volte prima che la mamma se ne accorga, tutti gli organi stanno già lì, tutti, anche il DNA. Non è una persona? È una vita umana, punto. E questa vita umana va rispettata (…) Scientificamente è una vita umana. I libri ci insegnano. Io domando: è giusto farla fuori, per risolvere un problema? Per questo la Chiesa è così dura su questo argomento, perché, se accetta questo, è come se accettasse l’omicidio quotidiano” (Conferenza stampa durante il volo di ritorno da Bratislava, 15 settembre 2021).

I piccoli gettati dagli spartani
“Da bambino, alla scuola – ricorda il Papa – ci insegnavano la storia degli spartani. A me sempre ha colpito quello che ci diceva la maestra, che quando nasceva un bambino o una bambina con malformazioni, lo portavano sulla cima del monte e lo buttavano giù, perché non ci fossero questi piccoli. Noi bambini dicevamo: ‘Ma quanta crudeltà!’. Fratelli e sorelle, noi facciamo lo stesso, con più crudeltà, con più scienza. Quello che non serve, quello che non produce va scartato. Questa è la cultura dello scarto, i piccoli non sono voluti oggi” (Omelia a San Giovanni Rotondo, 17 marzo 2018).

Difendere ogni vita, sempre
Francesco ricorda che stare dalla parte della vita non vuol dire occuparsene solo al suo inizio o alla sua fine, ma significa difenderla sempre: “Il grado di progresso di una civiltà si misura proprio dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili, più che dalla diffusione di strumenti tecnologici. Quando parliamo dell’uomo, non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita umana. È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente” (Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’associazione Scienza e vita, 30 maggio 2015).

La misericordia è per tutti
Il Papa sottolinea il dramma che vivono le donne e a chi lo accusa di non avere misericordia risponde così: “Il messaggio della misericordia è per tutti, anche per la persona umana che è in gestazione. È per tutti. Dopo aver fatto questo fallimento, c’è misericordia pure, ma una misericordia difficile, perché il problema non è nel dare il perdono, il problema è nell’accompagnare una donna che ha preso coscienza di avere abortito. Sono drammi terribili. Una volta ho sentito un medico che parlava di una teoria secondo cui – non mi ricordo bene… – una cellula del feto appena concepito va al midollo della mamma e lì c’è una memoria anche fisica. Questa è una teoria, ma per dire: una donna quando pensa a quello che ha fatto… Io ti dico la verità: bisogna essere nel confessionale, e tu lì devi dare consolazione, non punire niente. Per questo io ho aperto la facoltà di assolvere [dal peccato di] aborto per misericordia, perché tante volte – ma sempre – devono incontrarsi con il figlio. E io consiglio, tante volte, quando piangono e hanno quest’angoscia: “Tuo figlio è in cielo, parla con lui, cantagli la ninna nanna che non hai cantato, che non hai potuto cantargli”. E lì si trova una via di riconciliazione della mamma con il figlio. Con Dio già c’è: è il perdono di Dio. Dio perdona sempre. Ma la misericordia è anche che lei [la donna] elabori questo. Il dramma dell’aborto. Per capirlo bene, bisogna essere in un confessionale. È terribile » (Conferenza stampa durante il volo di ritorno da Panama, 28 gennaio 2019).

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Il 41° anniversario delle apparizioni della Madonna a Medjugorje

Posté par atempodiblog le 25 juin 2022

Il 41° anniversario delle apparizioni della Madonna a Medjugorje
di Padre Livio Fanzaga
Tratto da: Blog di p. Livio – Direttore di Radio Maria

Il 41° anniversario delle apparizioni della Madonna a Medjugorje dans Aborto Apparizioni-della-Gospa-a-Medjugorje

Cari amici,

oggi festeggiamo il 41.mo anniversario delle apparizioni della Madonna a Medjugorje.

Chi avrebbe mai immaginato una così lunga presenza della Madre di Dio in mezzo a noi come Madre che ci protegge e Maestra che ci guida?

Dobbiamo essere grati alla “Gospa” che ci ha chiamato e ci ha coinvolto nel suo piano di salvezza per il mondo.

Oggi rinnoviamo il nostro “Sì, Sì” e la nostra Consacrazione al suo Cuore Immacolato.

Ringraziamola per il grande dono di Radio Maria col quale ha fatto giungere i suoi messaggi in ogni parte del mondo.

Restiamo fedeli nel tempo delle prove in modo da giungere con Lei ai tempi nuovi della benedizione e della pace.

P.S.
Ringraziamo la Madonna che, per il suo anniversario, ha voluto fare il dono inestimabile della sentenza della Corte suprema americana che limiterà molto la pratica dell’aborto e la mentalità abortista negli USA e nel mondo.

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I tre passi della consacrazione al Cuore Immacolato di Maria

Posté par atempodiblog le 25 juin 2022

I tre passi della consacrazione al Cuore Immacolato di Maria
di Padre Livio Fanzaga
Tratto da: Blog di p. Livio – Direttore di Radio Maria

I tre passi della consacrazione al Cuore Immacolato di Maria dans Fede, morale e teologia Sacro-Cuore-di-Maria

Caro amico, per  comprendere il significato dell’affidamento a Maria e il valore della consacrazione al suo Cuore Immacolato devi guardare alla Madonna come a quella madre che Gesù ti ha donato e accettarla come guida e ispiratrice della tua vita.

Su questa via è necessario che tu compia tre passi decisi, ognuno dei quali rappresenta una tappa fondamentale sulla strada della perfezione.

Perseverando lungo questo cammino, realizzerai quella appartenenza totale a Maria che è racchiusa nella bella espressione “Totus tuus”.

Infatti al dono che la santa Vergine ti fa del suo cuore materno deve corrispondere il dono del tuo cuore. L’amore della Madre deve essere contraccambiato dall’amore del figlio.

Il primo passo che devi compiere è quello di aprire il tuo cuore. E’ senza dubbio quello più importante, senza il quale la Madonna non può entrare nella tua vita ed è impossibilitata a svolgere verso di te il  suo compito  materno.

Aprire il cuore significa fare lo sforzo di avvicinarsi al suo amore materno, anche se sei impantanato nel male e schiavo delle tue passioni, del mondo e del demonio.

Anche se tu fossi il più grande peccatore della terra, affermano concordemente i grandi dottori mariani, non devi temere di accorrere presso il cuore della Madre, la quale è sempre pronta a perdonare, a confortare e a rialzare.

Lo sguardo del peccatore verso il cuore materno di Maria è l’inizio della sua resurrezione e della sua salvezza. L’indifferenza, l’ostinazione, o, peggio ancora, il disprezzo, le bestemmie e le offese alla Madonna sono indice di quella chiusura interiore che porta alla perdizione eterna.

Aprendo il cuore alla grazia che la Madonna ti ha ottenuto, tu le dai la possibilità di esercitare verso di te la sua sollecitudine e il suo tenerissimo amore.

La Madonna ti prende per mano e ti rialza; ti cura le ferite, versando l’olio della sua dolcezza; ti insegna a farei i primi passi sulla via della salvezza; apre il tuo cuore alla speranza mostrandoti la grandezza e la bellezza della vita.

E’ quella tappa del cammino lungo la quale Maria ti insegna a purificare il cuore, sostenendoti nel combattimento spirituale contro il male che ti assedia e che fermenta in te.

Quanti lungo questa tappa si sono stancati e, dopo aver messo mano all’aratro, sono tornati indietro! Questo è anche il tuo pericolo se non terrai fortemente per mano la Madonna, come il bambino che, non essendo ancora capace di camminare, si aggrappa alla madre e non se ne vuole mai allontanare.

Se tu sarai perseverante e tenace sulla via dell’umiltà, della fiducia e della buona volontà, la Madonna ti porterà così vicino al suo cuore che potrai comprendere e gustare sempre di più l’acqua pura e viva del suo immenso amore.

Entrando nel Cuore Immacolato della Madre e immergendoti nel mare sconfinato della sua pienezza di grazia, entrerai nella tappa più luminosa del cammino spirituale.

La santa Vergine ti rivestirà della veste della sua santità e ti presenterà al Figlio suo come una vergine sposa adorna per il suo sposo. Allora, poiché sei tutto di Maria, sarai tutto di Gesù.

Aprire il cuore, purificare il cuore, donare il cuore: sono i tre passi che devi compiere sulla via dell’affidamento e della consacrazione.

La meta finale è l’intima unione dell’anima con il Verbo Incarnato. Egli infatti è la vera vite e noi siamo i tralci. Egli è il Capo e noi siamo le membra del suo mistico Corpo. La via che ci conduce alla meta è Maria.

Affidandoti al Cuore Immacolato  il cammino spirituale si compie nel segno dell’amore. Accogliere e sperimentare l’amore di Dio, per poi donarlo al prossimo,  è l’essenza stessa del cristianesimo.

I sacri cuori di Gesù e di Maria ci fanno toccare con mano che Dio è amore.

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Il nome di Dio è Misericordia

Posté par atempodiblog le 24 juin 2022

Il nome di Dio è Misericordia. La grande enciclica di Pio XII sul Sacro Cuore di Gesù e l’amore divino
Dall’enciclica di Pio XII Haurietis Aquas (15 maggio 1956), sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù
Tratto da: Il Timone

Il nome di Dio è Misericordia dans Fede, morale e teologia Sacro-Cuore-di-Ges

[...] È nel profeta Geremia che si ha un lontano presagio di questo stupendo prodigio, che sarebbe stato l’effetto del misericordiosissimo ed eterno amore di Dio: «D’un amore eterno ti ho amato e perciò ti ho tirato a me pieno di compassione… Ecco che verranno giorni, dice il Signore, e io stringerò con la casa di Israele e con la casa di Giuda una nuova alleanza… Questa sarà l’alleanza che avrò stretta con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Io metterò la mia legge nel loro interno e la scriverò nel loro cuore, e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo…; perché farò grazia alle loro iniquità e del loro peccato non mi ricorderò più». [...]

il Divin Redentore — nella sua qualità di legittimo e perfetto Mediatore nostro — avendo, sotto lo stimolo di una accesissima carità per noi, conciliato perfettamente i doveri e gli impegni del genere umano con i diritti di Dio, è stato indubbiamente l’autore di quella meravigliosa conciliazione tra la divina giustizia e la divina misericordia, che costituisce appunto l’assoluta trascendenza del mistero della nostra salvezza, così sapientemente espressa dall’Angelico Dottore in queste parole: «Giova osservare che la liberazione dell’uomo, mediante la passione di Cristo, fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia. Alla giustizia anzitutto, perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano: e quindi per la giustizia di Cristo l’uomo fu liberato. Alla misericordia, poi, poiché, non essendo l’uomo in grado di soddisfare per il peccato inquinante tutta l’umana natura, Dio gli donò un riparatore nella persona del Figlio suo. Ora questo fu da parte di Dio un gesto di più generosa misericordia, che se Egli avesse perdonato i peccati senza esigere alcuna soddisfazione. Perciò sta scritto: “ Dio, ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava pur essendo noi morti per le nostre colpe, ci richiamò a vita in Cristo”». [...]

Le rivelazioni, di cui fu favorita Santa Margherita Maria, non aggiunsero alcuna nuova verità alla dottrina cattolica. Ma la loro importanza consiste in ciò che il Signore — mostrando il suo Cuore Sacratissimo — in modo straordinario e singolare si degnò di attrarre le menti degli uomini alla contemplazione e alla venerazione dell’amore misericordiosissimo di Dio per il genere umano. Infatti, mediante una così eccezionale manifestazione Gesù Cristo espressamente e ripetutamente indicò il suo Cuore come un simbolo quanto mai atto a stimolare gli uomini alla conoscenza e alla stima del suo amore; ed insieme lo costituì quasi segno ed arra di misericordia e di grazia per i bisogni spirituali della Chiesa nei tempi moderni. [...]

Di questa universale pienezza di Dio è appunto immagine splendidissima il Cuore stesso di Gesù Cristo: pienezza, cioè, di misericordia, propria della Nuova Alleanza, nella quale «apparvero la benignità e la filantropia del Salvatore nostro Dio», poiché: «Dio non ha mandato il Figliuol suo nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». [...]

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La stupenda pace di Dio

Posté par atempodiblog le 13 juin 2022

La stupenda pace di Dio dans Citazioni, frasi e pensieri Santa-Elisabetta-della-Trinit

“Se guardo le cose dal lato terreno, vedo la solitudine ed anche il vuoto, perché non posso dire che il mio cuore non abbia sofferto. Ma se il mio sguardo rimane sempre fisso su Cristo, mio astro luminoso, allora tutto il resto scompare ed io mi perdo in Lui come una goccia d’acqua nell’oceano, in una calma e serenità sconfinata: la stupenda pace di Dio”.

di Santa Elisabetta della Trinità

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Oltre l’amarcord, per diventare «santi della porta accanto»

Posté par atempodiblog le 13 juin 2022

Oltre l’amarcord, per diventare «santi della porta accanto»
di fr. Francesco Dileo, OFM Cap. – Voce di Padre Pio

Oltre l’amarcord, per diventare «santi della porta accanto» dans Articoli di Giornali e News San-Padre-Pio-da-Pietrelcina-Francesco-Forgione

Amarcord. Ricordo bene ogni dettaglio dell’indimenticabile giornata del 16 giugno di 20 anni fa. Anch’io, sacerdote da appena due anni, ero tra i tantissimi concelebranti che facevano corona all’ormai anziano e affaticato Giovanni Paolo II mentre, dinanzi a una incalcolabile assemblea di fedeli riunita in Piazza San Pietro e in via Della Conciliazione, dichiarava al mondo intero di iscrivere Padre Pio «nell’Albo dei Santi».

Non potevo neppure immaginare, all’epoca, che il Signore mi avrebbe riservato l’onore e l’onere di servire quel Santo appena proclamato come rettore del Santuario nel quale egli ha svolto quasi tutto il suo ministero sacerdotale e in cui, ancor oggi, continua ad attrarre milioni di pellegrini, con la prospettiva di richiedere la sua intercessione per ricevere grazie materiali e spirituali.

Così, per me e per tutti coloro che compongono la Fraternità di San Giovanni Rotondo, quel ricordo rappresenta uno stimolo, più che alla commemorazione, all’impegno.

L’impegno è a custodire l’eredità che ci ha lasciato Padre Pio. E questa eredità – ci disse Benedetto XVI durante la sua visita pastorale del 21 giugno 2009 – «è la santità». Ciò significa che dobbiamo sentire come trasmessa a noi la «missione grandissima» che Dio ha affidato al nostro santo Confratello quando gli ha chiesto: «Santificati e santifica» (cfr. Epist. III, pp. 1009-1010). Siamo chiamati, dunque, non solo noi frati, ma tutti coloro che si definiscono e vogliono essere davvero devoti di san Pio da Pietrelcina, a seguire le sue orme sulla strada della vita virtuosa, ben sapendo che il nostro esempio di coerenza evangelica è il metodo più efficace – molto più delle parole, anche di quelle di uomini dotti o dal linguaggio accattivante – per ottenere che anche altri ci seguano nel cammino che conduce all’eterna beatitudine.

Lo espresse molto bene Paolo VI, anch’egli santo, nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (41). E ce lo fa capire anche lo stesso Padre Pio, quando citando san Paolo scrive: «Mi sforzerò, colla divina grazia, di esser un buon sacerdote religioso, da arrivare un giorno a poter dire coll’apostolo, senza tema di mentire: Imitatores mei estote sicut et ego Christi» (Epist. I, p. 556).

Sentiamo come diretta a ciascuno di noi questa esortazione e sforziamoci di ripeterla, con lo stile di vita, a quanti si aspettano di vedere in noi la gioia di essere «nel mondo», ma non «del mondo» (cfr. Gv 17,13-14), ricordando che «nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana» (Francesco, Gaudete et exultate, 6).

Non spaventiamoci per questo compito a cui tutti siamo chiamati. Non temiamo di essere provocati e di lasciarci coinvolgere dalla parola “santità”. Giovanni Paolo II, canonizzato dalla Chiesa che ha servito come pastore universale, ci incoraggia e ci rincuora: «Questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni “geni” della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno» (Novo millennio ineunte, 31).

Ecco perché Papa Francesco ci invita a guardare agli esempi, molto più imitabili, che provengono dalla cosiddetta «santità “della porta accanto”», che lui vede «nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere» (Gaudete et exultate, 7).

Diventare anche noi «santi della porta accanto» è il modo migliore per onorare Padre Pio, per essere suoi fedeli confratelli o suoi autentici devoti.

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Nora e Paola, catechiste con disabilità cognitive e vere testimoni di fede

Posté par atempodiblog le 13 juin 2022

Nora e Paola, catechiste con disabilità cognitive e vere testimoni di fede
di Annalisa Teggi – Aleteia

Nora e Paola, catechiste con disabilità cognitive e vere testimoni di fede dans Articoli di Giornali e News Nora-e-Paola-catechiste-con-disabilit-cognitive-e-vere-testimoni-di-fede

In una chiesa della diocesi di Milano è stato accolto l’invito di Papa Francesco: “La partecipazione attiva alla catechesi delle persone con disabilità costituisce una grande ricchezza per la vita di tutta la parrocchia”.

Catechiste, per donare agli altri il bene ricevuto

La fede ci chiede di essere testimoni, di mostrare con la nostra presenza la compagnia di un Dio – Padre – che ci ha tolto dal buio. Non è dunque questione di competenze, ma di esperienza. E chi di noi potrebbe mai sentirsi all’altezza di spiegare la Buona Novella, se fosse questione di argomentazioni, di condotta irreprensibile, di purezza intellettuale?Eppure spesso è questo l’inciampo, finiamo per ridurre proprio quella fede, che sinceramente professiamo, a una materia oggetto di dissertazione più che di esperienza. Proprio per questo è davvero benvenuta l’iniziativa  della parrocchia di Sant’Antonio Maria Zaccaria nel quartiere Chiesa Rossa a Sud di Milano che ha chiesto a due persone con disabilità cognitive di essere catechiste. E la formulazione di quest’ultima frase ha un senso preciso.Il passo non è stato quello del “vogliamo includervi”, ma del “volete aiutarci?”. E tra l’una e l’altra prospettiva c’è un abisso, l’abisso della libertà della persona che non deve sentirsi semplicemente tirata dentro, ma guardata per l’unicità preziosa del contributo che può portare.

Nora Buccheri e Paola Colombo hanno detto sì a questa proposta, da un anno sono catechiste della classe 5 elementare. Perché hanno accettato?

Sono contenta di fare la catechista perché posso trasmettere ai bambini le cose importanti che quando ero piccola hanno affascinato anche me.
Paola Colombo – intervistata da Radio Marconi

Imparare coi bambini
Paola e Nora, entrambe affette da disabilità cognitive, fanno parte da molti anni dell’associazione Fede e Luce che, si potrebbe semplificare, si occupa di inclusione sociale delle persone con disabilità. Ma l’esperienza di questa comunità è soprattutto quella di un’amicizia tra famiglie,

Fede e Luce è sorta con l’intento di sottrarre le famiglie a questa tentazione di isolarsi, di tagliarsi fuori dalla vita “normale”, perché pian piano scoprano che proprio il loro figlio più fragile può essere fonte di solidarietà e di unione con gli altri. Per questo mi piace chiamare Fede e Luce un “cammino” di persone molto diverse fra loro (genitori, persone disabili e amici di ogni età e di ogni ceto) che si fanno prossime le une alle altre, senza distinzione fra chi dà e chi riceve, perché tutti danno e ricevono allo stesso tempo.
Mariangela Bertolini – da Fede e Luce

La referente milanese di questa associazione è Liliana Ghiringhelli che conosce Nora e Paola da tantissimi anni. E’ stata lei a proporre loro di fare le catechiste. All’inizio, l’impatto coi bambini le ha ‘sconvolte’ – aggettivo scelto da Paola, cioé è stato un assalto tumultuoso di vivacità. Dopo un anno di affiancamento con una catechista esperta, oggi Nora e Paola seguono la loro classe del catechismo in piena autonomia. Nelle parole prima riportate, Paola ha ricordato che la fede passa da cuore a cuore (dono agli altri qualcosa che ha cambiato me). Nora aggiunge a questo orizzonte un altro tassello essenziale:

Sto vivendo questi mesi con gioia, come un dono del Signore e lo sto facendo perché sto crescendo anche io, perché insegnare ai bambini da anche a me la carica di imparare.
Nora Buccheri intervistata da Radio Marconi

Sintetica e centrata. Nel vivo del compito educativo anche l’educatore cresce. Vale per la scuola (ogni bravo insegnante torna a casa avendo imparato qualcosa di inaspettato dai suoi alunni). Ma nel caso della fede ha un valore ancora più essenziale. Ci si tiene desti a vicenda, ci si fa compagnia a vicenda nel vivere la compagnia di Dio, nell’andarci a fondo.

Accolto l’invito di Papa Francesco
A quanto pare la classe del catechismo di Nora e Paola è quella in cui i bambini ascoltano in modo più disciplinato. E forse questo significa che la presenza di queste due donne che visibilmente mostrano le proprie fragilità ai bambini è motivo di vero incontro. (Quel tipo di incontro da cui sgorga un paragone con le proprie fragilità interiori). Tra adulti ci si può accontentare di un discorso ben argomentato sull’inclusività, l’infanzia è un tempo di sguardo spudorato sulla realtà e sugli altri. La diversità incuriosisce subito il bambino, che è capace di domande poco accomodanti.

L’orizzonte strettamente meritocratico, di eccellenza ed efficienza, che prevale in altri contesti, salta per aria col cristianesimo che è accoglienza senza riserve. La persona è un bene totale, cioé vale tutto di lei, anche i sui inciampi. Ed è questo che nella classe di Nora e Paola evidentemente si vive e non ha bisogno di essere spiegato. Liliana Ghiringhelli, colei che ha azzardato l’ipotesi di questo progetto di inclusione, ha spiegato che la scintilla le è venuta dal modo in cui Papa Francesco ha ribaltato la prospettiva dell’accoglienza dei disabili nella Chiesa.

«In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione» (Evangelii Gaudium, 120). Perciò anche le persone con disabilità, nella società come nella Chiesa, chiedono di diventare soggetti attivi della pastoralee non solo destinatari. «Tante persone con disabilità sentono di esistere senza appartenere e senza partecipare.

Ci sono ancora molte cose che impediscono loro una cittadinanza piena. L’obiettivo è non solo assisterli, ma la loro partecipazione attiva alla comunità civile ed ecclesiale. È un cammino esigente e anche faticoso, che contribuirà sempre più a formare coscienze capaci di riconoscere ognuno come persona unica e irripetibile» (Fratelli tutti, 98). Infatti, la partecipazione attiva alla catechesi delle persone con disabilità costituisce una grande ricchezza per la vita di tutta la parrocchia. Esse infatti, innestate in Cristo nel Battesimo, condividono con Lui, nella loro particolare condizione, il ministero sacerdotale, profetico e regale, evangelizzando attraversocon e nella Chiesa.

Pertanto, anche la presenza di persone con disabilità tra i catechisti, secondo le loro proprie capacità, rappresenta una risorsa per la comunità.(Dal Messaggio del Santo Padre in occasione della giornata internazionale delle persone con disabilità – 2020)

Si può dire, senza timore di smentita, che il mondo non sta ancora al passo coraggioso della visione comunitaria che la Chiesa testimonia. Certo, anche dentro la Chiesa molti passi devono essere fatti perché queste parole di Papa Francesco si traducano in opere reali.

Ma Nora e Paola ci sono. Nel loro piccolo spazio educativo dissodano una fetta arida di terra, ammorbidiscono le zolle dure con la loro voce semplice che dice l’essenziale senza fronzoli: vieni a conoscere Gesù, vieni a vedere chi sei incontrando Chi ti ha amato da sempre.

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Chiara Corbella Petrillo, la grazia di dire “sì” a Dio

Posté par atempodiblog le 13 juin 2022

Il decennale
Chiara Corbella Petrillo, la grazia di dire “sì” a Dio
Ricorrono oggi dieci anni dalla morte della Serva di Dio. Una ragazza del suo tempo, vivace, intuitiva, empatica, ironica, con molti interessi, dai viaggi alla musica. Una “santa della porta accanto”, che ha affrontato la malattia con fortezza ed è stata madre eroica dei suoi tre figli, fino al dono della vita.
di Luca Marcolivo – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: 
Radio Maria

Chiara Corbella Petrillo, la grazia di dire “sì” a Dio dans Articoli di Giornali e News Chiara-Corbello-Petrillo

Ci sono santi di cui apprendiamo l’esistenza al momento della beatificazione o canonizzazione. Altri, al contrario, diventano celebri subito dopo la morte. La Serva di Dio Chiara Corbella Petrillo (1984-2012) è sicuramente tra questi ultimi. Il suo processo canonico è iniziato il 21 settembre 2018, a poco più di sei anni dalla morte. In tempi recenti, soltanto San Giovanni Paolo II (1920-2005) e Santa Teresa di Calcutta (1910-1997) e pochi altri sono stati avviati sulla via degli altari con più rapidità.

La popolarità di Chiara Corbella divampò immediatamente dopo il suo funerale, celebrato il 16 giugno 2012, in una gremitissima parrocchia di Santa Francesca Romana all’Ardeatino. La storia della giovane sposa e madre romana aveva avuto immediato risalto mediatico, grazie soprattutto alle sue virtù non comuni, in particolare al coraggio nell’affrontare una malattia incurabile e nell’aprirsi alla vita dei tre figli, due dei quali morti subito dopo la nascita. L’allora cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, l’aveva definita la “nuova Gianna Beretta Molla”: un parallelo non inopportuno, sebbene negli anni siano emerse notevoli peculiarità che rendono questa storia unica nel suo genere.

Già nei mesi precedenti la sua nascita al Cielo, in tutta la diocesi di Roma erano girate numerose richieste di preghiere per Chiara, gravemente malata. Poco dopo la morte della loro prima figlia, era diventato virale il video caricato su YouTube della testimonianza di Chiara e di suo marito Enrico Petrillo, riguardo a un dramma che, vissuto in pace con Dio, si era trasformato in una sorprendente grazia.

Nei suoi 28 anni di vita, Chiara Corbella ha convintamente abbracciato la via della santità che il Signore ha voluto per lei. Un percorso di certo non facile, particolarmente drammatico nell’ultima fase della sua vita. Un percorso tanto coerente quanto aperto agli impulsi imprevedibili che la Provvidenza le metteva davanti. Chiara attinse a carismi ecclesiali diversi e complementari: cresciuta nel Rinnovamento Carismatico, si rafforzò e si plasmò definitivamente nella spiritualità francescana, sotto la guida di padre Vito D’Amato, OFM. In particolare, dopo il matrimonio, Chiara ed Enrico furono molto vicini a don Fabio Rosini, seguendo con attenzione il ciclo catechetico delle “Dieci Parole”. La Serva di Dio ha quindi vissuto una spiritualità a 360 gradi, molto dinamica e versatile, ma, al tempo stesso, articolata su discernimenti molto rigorosi. Il vero elemento “vincente” della spiritualità di Chiara è stato comunque la devozione mariana: un aspetto che non è sfuggito a padre Romano Gambalunga, carmelitano e postulatore della causa di beatificazione, che ha sempre colto nella Serva di Dio un “modello di santità molto attuale” che la rende una santa “della porta accanto”. Una ragazza del suo tempo, vivace, intuitiva, empatica, ironica, con molti interessi, dai viaggi alla musica (suonava piuttosto bene il violino).

Come Maria Beltrame Quattrocchi (1884-1965) o la già citata Gianna Beretta Molla (1922-1962), Chiara Corbella vive un percorso di santità che si realizza soprattutto nella vocazione familiare. Una vocazione che diventa fertile, grazie alla straordinaria attitudine alla disponibilità.

Chiara è innanzitutto disponibile con Dio. Fin da bambina impara subito che la preghiera non è un formulario ma un autentico e radicale colloquio con Gesù, che orienta ogni scelta della vita. Anche per questo, nemmeno durante l’adolescenza, Chiara ebbe grandi tentennamenti nella sua fede, che, al contrario, crebbe e maturò, al punto che, già in quegli anni, la vocazione al matrimonio le apparve molto nitida. È proprio nell’incontro con Enrico Petrillo (avvenuto a Medjugorje, il 2 agosto 2002, festa francescana del Perdono d’Assisi), che Chiara compie il passo decisivo nella sua disponibilità all’amore: non certo un amore mondano, zuccheroso ed effimero ma un amore maturo, solido, concreto e, al contempo, ambizioso ed elevato, alla stregua di quello che Gesù manifesta sulla Croce. Con questo spirito, Chiara, negli anni del liceo, respinge delicatamente più di un corteggiatore, preferendo attendere l’unico vero amore della sua vita. Quando conosce Enrico, Chiara intuisce subito il destino che li unirà nel sacramento matrimoniale. Per lui è disposta a scommettere tutto, persino ad accettare – se fosse stata volontà di Dio – l’idea di un’eventuale rottura definitiva nel momento più critico del loro fidanzamento. Enrico e Chiara sono una coppia che vive le stesse ansie e gli stessi dubbi dei loro coetanei: hanno però l’umiltà – lei per prima – di aprirsi all’Amore vero, quello che non pretende e che non conosce orgoglio: da quel momento, il loro legame spiccherà il volo, fino al matrimonio, celebrato nella chiesa di San Pietro ad Assisi, il 21 settembre 2008.

Il successivo passo è la disponibilità alla vita. Anche nella sua maternità, Chiara non conosce mezze misure. Accoglie la malattia e la morte dei piccoli Maria Grazia Letizia (2009) e Davide Giovanni (2010), perché, con gli anni, ha imparato che il possesso è il contrario dell’amore e loro sono figli di Dio, prima che figli suoi. Quando, poi, ad ammalarsi sarà lei, Chiara anteporrà la vita del suo terzogenito Francesco (2011) alla sua, scegliendo di posticipare le cure per sé stessa. Scelte coraggiose, non comprese da tutti ma compiute in totale libertà. Scelte che hanno reso straordinaria una vita simile a molte altre, sebbene indubbiamente “sopra la media” e felicemente intrisa di Spirito Santo.

L’ultimo passaggio chiave nella vita di Chiara Corbella è nella sua disponibilità all’incontro definitivo con lo Sposo. Proprio lei, che aveva fatto del matrimonio la sua vocazione terrena, arriva più che preparata allo sposalizio celeste. Sul letto di morte, al marito che le domanda: “Ma questo giogo è davvero dolce?”, lei risponde: “Sì, è tanto dolce”. Così Enrico vede svanire miracolosamente la sua tristezza: sua moglie – dice – sta andando “da Uno che la ama più di me!”. Circondata dall’affetto di Enrico, del piccolo Francesco, della mamma Anselma, del papà Roberto, della sorella Elisa e di un’impagabile comunità di amici in Cristo, Chiara Corbella si spegne serenamente il 13 giugno 2012, nella provvidenziale coincidenza della memoria liturgica di un francescano: Sant’Antonio di Padova.

Nel decennale della sua nascita al Cielo, che si celebra oggi, Chiara Corbella offre una grande opportunità a chi conosce la sua storia e, ancor più, a chi la conosce poco: quella di imparare ad abbracciare la propria vocazione senza compromessi, nella consapevolezza che non c’è amore senza Croce ma, soprattutto, non c’è Croce che non sia una prova d’amore.

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Il Papa: “La vecchiaia ha una bellezza unica: camminiamo verso l’Eterno”

Posté par atempodiblog le 10 juin 2022

Il Papa: “La vecchiaia ha una bellezza unica: camminiamo verso l’Eterno”
Udienza Generale del Papa. “Nicodemo. Come può un uomo nascere quando è vecchio?”.
di Veronica Giacometti – ACI Stampa

Il Papa: “La vecchiaia ha una bellezza unica: camminiamo verso l’Eterno” dans Commenti al Vangelo Papa-Francesco

Il Papa, continua il ciclo di catechesi sulla Vecchiaia, incentrando la sua riflessione sul tema ‘Nicodemo’. “Come può un uomo nascere quando è vecchio?”. Da una Piazza San Pietro calda e assolata il Pontefice commenta: “Tra le figure di anziani più rilevanti nei Vangeli c’è Nicodemo. Nel colloquio di Gesù con Nicodemo emerge il cuore della rivelazione di Gesù e della sua missione redentrice”.

Gesù dice a Nicodemo che per “vedere il regno di Dio” bisogna “nascere dall’alto”. “Non si tratta di ricominciare daccapo a nascere, di ripetere la nostra venuta al mondo, sperando che una nuova reincarnazione riapra la nostra possibilità di una vita migliore. Questa ripetizione è priva di senso. Anzi, essa svuoterebbe di ogni significato la vita vissuta, cancellandola come fosse un esperimento fallito, un valore scaduto, un vuoto a perdere. No, non è questo. Questa vita è preziosa agli occhi di Dio: ci identifica come creature amate da Lui con tenerezza », dice Francesco.

“Nicodemo fraintende questa nascita, e chiama in causa la vecchiaia come evidenza della sua impossibilità: l’essere umano invecchia inevitabilmente, il sogno di una eterna giovinezza si allontana definitivamente, la consumazione è l’approdo di qualsiasi nascita nel tempo”, continua Papa Francesco.

“L’obiezione di Nicodemo è molto istruttiva per noi  ne è convinto il Papa  Possiamo infatti rovesciarla, alla luce della parola di Gesù, nella scoperta di una missione propria della vecchiaia. Infatti, essere vecchi non solo non è un ostacolo alla nascita dall’alto di cui parla Gesù, ma diventa il tempo opportuno per illuminarla, sciogliendola dall’equivoco di una speranza perduta. La nostra epoca e la nostra cultura, che mostrano una preoccupante tendenza a considerare la nascita di un figlio come una semplice questione di produzione e di riproduzione biologica dell’essere umano, coltivano poi il mito dell’eterna giovinezza come l’ossessione – disperata – di una carne incorruttibile. Perché la vecchiaia è – in molti modi – disprezzata? Perché porta l’evidenza inconfutabile del congedo di questo mito, che vorrebbe farci ritornare nel grembo della madre, per ritornare sempre giovani nel corpo”.

Per il Papa “in attesa di sconfiggere la morte, possiamo tenere in vita il corpo con la medicina e la cosmesi, che rallentano, nascondono, rimuovono la vecchiaia. Naturalmente, una cosa è il benessere, altra cosa è l’alimentazione del mito. Non si può negare, però, che la confusione tra i due aspetti ci sta creando una certa confusione mentale”. « Tanti interventi chirurgici per apparire più giovani”. Il Papa cita anche la Magnani quando dice che le rughe sono un simbolo di esperienza, maturità. « Si diventa solo giovani di faccia, ma quello che conta è il cuore », dice il Papa a braccio.

“La vita nella carne mortale è una bellissima ‘incompiuta’: come certe opere d’arte che proprio nella loro incompiutezza hanno un fascino unico. Perché la vita quaggiù è “iniziazione”, non compimento: veniamo al mondo proprio così, come persone reali, per sempre. Ma la vita nella carne mortale è uno spazio e un tempo troppo piccolo per custodire intatta e portare a compimento la parte più preziosa della nostra esistenza nel tempo del mondo”, dice il Papa durante questa catechesi.

Per Francesco “la vecchiaia ha una bellezza unica: camminiamo verso l’Eterno”. Il Papa poi sottolinea in ultimo “la tenerezza” dei vecchi, Dio è così, sa “accarezzare” e la vecchiaia ci aiuta a capire la tenerezza di Dio. “Andiamo avanti e guardiamo i vecchi, messaggeri di una vita vissuta”.

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“Paese fuori controllo”. Il grido dei cristiani in Nigeria dopo la strage

Posté par atempodiblog le 10 juin 2022

“Paese fuori controllo”. Il grido dei cristiani in Nigeria dopo la strage
Il portavoce della diocesi di Ondo, don Augustine Ikwu, racconta gli sforzi per identificare le vittime della strage e denuncia l’insicurezza dilagante. L’appello al governo e alla comunità internazionale: “Ora trovate i colpevoli”
di Alessandra Benignetti – Il Giornale

“Paese fuori controllo”. Il grido dei cristiani in Nigeria dopo la strage dans Articoli di Giornali e News Nigeria

Cinque bambini, quattro maschietti e una femminuccia, due ragazzi adolescenti, dodici uomini e diciannove donne. I corpi delle 38 vittime della strage nella chiesa di San Francesco a Owo, in Nigeria, giacciono da giorni nell’obitorio della città. Ma secondo il direttore delle comunicazioni sociali della diocesi di Ondo, don Augustine Ikwu, è ancora difficile avere una stima precisa dei morti nell’attacco armato alla Messa di Pentecoste. I feriti gravi sono molti e qualcuno è stato portato in ospedali privati. Ci vorrà tempo, quindi, per avere informazioni sul destino dei fedeli che domenica scorsa erano seduti tra i banchi in attesa di ricevere la benedizione.

“Stiamo cercando di contattare le famiglie di ogni persona che era in chiesa quel giorno”, ha spiegato il sacerdote in un’intervista esclusiva alla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. La diocesi fa appello alle famiglie per avere informazioni sullo stato di salute delle persone coinvolte. Nelle corsie c’è chi sta lottando tra la vita e la morte. Altri invece sono stabili: “I dottori stanno facendo un ottimo lavoro e spero che sopravvivano, con la grazia di Dio, le nostre preghiere e gli sforzi del personale medico”. Non né ancora chiaro chi ci sia dietro i cinque o forse più uomini armati che dopo aver parcheggiato l’auto nel parcheggio della parrocchia hanno aperto il fuoco tra le navate.

La diocesi non si sbilancia. “Non c’è ancora niente di concreto”, dice il sacerdote. L’assalto non è stato ancora rivendicato. Le ipotesi che circolano, però, si limita a dire il religioso, “suonano abbastanza logiche e si adattano alla situazione generale del nostro Paese in questo momento, come l’insicurezza, i disordini politici e i conflitti tra pastori fulani e agricoltori”. I principali indiziati per la mattanza sono proprio i mandriani semi-nomadi in conflitto con i contadini per il controllo delle risorse.

Nel frattempo la speranza è che gli autori del gesto vengano catturati e confessino “i veri motivi dietro l’attacco” avvenuto in uno Stato relativamente pacifico rispetto a quelli del nord, preda dei gruppi jihadisti come Boko Haram. “Anche i musulmani locali  spiega don Ikwu  sono relativamente pacifici e si sono esposti pubblicamente per condannare questa atrocità”. Bisogna scongiurare una “guerra di religione”. Un rischio che per alcuni sarebbe concreto, visto che dietro le scorribande dei pastori fulani per il controllo della terra la componente religiosa è sempre più presente.

L’appello del religioso quindi è che la popolazione “sia pacifica, rispettosa della legge e non si faccia giustizia da sé”. “Nessuno – è la lezione del sacerdote  dovrebbe uscire per commettere il male in cambio del male. Questo non è affatto lo stile di vita cristiano. Anche in queste situazioni, rispondiamo al male con la pace”. Allo stesso tempo, però, la diocesi chiede che l’inchiesta per identificare i colpevoli vada avanti. “È un momento difficile per noi e vorremmo invitare il mondo intero a ricordarci nelle sue preghiere, a pregare per i defunti, i feriti e le loro famiglie”, dice don Ikwu.“Chiediamo a chiunque possa – ha aggiunto  di aiutarci nelle indagini sul campo”.

Infine, l’appello alla comunità internazionale: “Il mondo deve essere consapevole della situazione di insicurezza, non solo nel nostro Stato ora, ma nell’intero Paese, perché a questo punto l’insicurezza ha letteralmente preso il controllo della nazione”. Il dito è puntato contro il governo nigeriano, accusato di non fare abbastanza per proteggere la propria popolazione: “Se il Paese è diventato ingovernabile, dovrebbe essere onorevole dimettersi e lasciare spazio a qualcuno che potrebbe essere in grado di gestirlo meglio”, mettendo da parte “l’avidità”.

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Difendere la propria reputazione? Ecco cosa ci dice san Francesco di Sales

Posté par atempodiblog le 9 juin 2022

Difendere la propria reputazione? Ecco cosa ci dice san Francesco di Sales
Fonte: La divinizzazione della sofferenza di padre Adolphe Tanquerey, Verona 2021, pp.111-112
Tratto da: Il Cammino dei Tre Sentieri

Difendere la propria reputazione? Ecco cosa ci dice san Francesco di Sales dans Fede, morale e teologia San-Francesco-di-Sales

A volte stimiamo la nostra reputazione anche più della salute e dei beni temporali.

E’ certo doveroso vigilare su di essa ed evitare qualunque cosa che possa danneggiarla o diminuirla: la stima degli altri è un bene utile non solo per noi stessi, ma per esercitare un’influenza legittima intorno a noi.

Tuttavia, Dio consente in alcuni casi che, senza colpa da parte nostra, perdiamo questa buona fama.

(…)

La ragione risiede nel fatto che l’umiltà è una delle virtù più eccellenti e il fondamento del nostro edificio spirituale, specialmente quando è praticata per amore di Dio.

Questa è la ragione per cui i santi accettarono di perdere la loro reputazione e quando si videro calunniati risposero con san Francesco di Sales: “Non dicono che questo soltanto? Oh! Davvero non sanno tutto; mi lusingano, mi risparmiano; vedo che mi considerano meglio di me. Dio sia benedetto! Dobbiamo correggerci; se non merito di essere umiliato in questo, lo merito in molte altre cose; è sempre per gran misericordia che io sia trattato così benevolmente.”

Il santo però aggiunge: “Nondimeno, faccio eccezione per alcuni crimini, così atroci e infami che nessuno dovrebbe subirne calunnia, qualora ne sia davvero colpevole; senza contare che dalla buona reputazione – o viceversa dalla cattiva fama  di alcune persone dipende spesso l’edificazione o lo scandalo di molti. In questi casi, bisogna a buona ragione badare a riparare il torto ricevuto”.

Tale era la condotta del Santo: voleva che la dignità episcopale fosse rispettata nella sua persona e si giustificava da certe calunnie che avrebbero compromesso il suo ministero.

A parte questo, mai cercò di scusarsi o giustificarsi.

Per riuscire meglio in questi propositi, egli patì ogni umiliazione o affronto per amore di Gesù rimettendo a Lui la custodia della propria fama.

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Lo Spirito Santo si imprime nei cuori come sigillo

Posté par atempodiblog le 5 juin 2022

Lo Spirito Santo si imprime nei cuori come sigillo dans Citazioni, frasi e pensieri Spirito-Santo

Lo Spirito Santo non è un artista che raffiguri in noi la sostanza di Dio, come se Egli le fosse estraneo: non è così che ci porta alla somiglianza con Dio; ma Egli stesso, che è Dio e da Dio procede, si imprime nei cuori che lo ricevono come il sigillo sulla cera; e in questo modo, mediante la comunicazione di sé e la somiglianza, ristabilisce la natura nella bellezza del modello divino, e restituisce all’uomo l’immagine di Dio.

San Cirillo D’Alessandria

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La Pentecoste, soffio dirompente dello Spirito Santo sulla terra

Posté par atempodiblog le 5 juin 2022

La Pentecoste, soffio dirompente dello Spirito Santo sulla terra
Dopo la solennità dell’Ascensione celebriamo quella della Pentecoste, entrambe raffigurate da Giotto. Scopriamo come l’artista sia riuscito a rendere, attraverso la sua arte, la potenza delle parole dei Vangeli, dipingendo scene comprensibili, che rendono materiche le pagine scritte, con un racconto pittorico coerente e chiaro. Una teologia per immagini resa accessibile a tutti, soprattutto ai più umili e poveri
di Maria Milva Morciano – Vatican News

La Pentecoste, soffio dirompente dello Spirito Santo sulla terra dans Articoli di Giornali e News Giotto-Pentecoste-1303-1305-Cappella-degli-Scrovegni-Padova
Giotto, Pentecoste (1303-1305) Cappella degli Scrovegni, Padova

Nel giorno di Pentecoste, torniamo a osservare un’altra scena degli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Subito accanto al riquadro dell’Ascensione, sulla parete nord, troviamo la la Pentecoste.

Negli Atti degli Apostoli leggiamo:
“Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”. (2, 1-4)

Nell’affresco i dodici apostoli sono riuniti in cerchio, seduti su panche di legno, sotto un loggiato dalla struttura aerea, con archi trilobati di ascendenza gotica retti da colonne sottili. Le lingue di fuoco sono raggi purpurei che si irradiano dall’alto e si posano sulle figure. Qualche apostolo le guarda come sorpreso, altri parlano tra di loro.

Composizione circolare
Se confrontiamo attentamente questa scena con quella dell’Ultima Cena, sempre degli Scrovegni, apparentemente simile, ci sembrerà di ritrovare e riconoscere ogni apostolo, sia per le caratteristiche fisionomiche, sia per l’abito che porta. Rispetto a questa prima scena, dove l’aureola è scura, nella Pentecoste appare dorata, evidenziando l’espressione dei volti come trasfigurati dalla grazia. Sempre nell’Ultima Cena, Cristo siede a capotavola sulla sinistra e non al centro come nella quasi totalità delle iconografie. Il vertice visivo parte da Lui e l’effetto è come di una maggiore profondità dell’ambiente.

Giotto-di-Bondone-Ultima-Cena-1303-1305-Cappella-degli-Scrovegni-Padova dans Fede, morale e teologia
Giotto di Bondone, Ultima Cena (1303- 1305) Cappella degli Scrovegni, Padova

Nella Pentecoste di Giotto la composizione è circolare. L’unità degli apostoli è espressa dal cerchio che non ha inizio né fine. Sono tutti sullo stesso piano, riuniti da una perfetta armonia.

Ancora, mentre nell’Ascensione di Giotto noi spettatori abbiamo l’impressione di guardare la scena dal basso verso l’alto, nel punto preciso in cui la figura di Cristo sembra quasi tuffarsi con le mani protese dentro il cielo, ora, invece, il piano focale è posto in basso, al livello terreno dove sono gli apostoli. Mentre nell’Ascensione vi è una tensione totale verso l’alto, nella Pentecoste le lingue di fuoco scendono, in un mutuo scambio tra cielo e terra.

La presenza di Maria
Altre due opere attribuite a Giotto raffigurano la Pentecoste. La prima apparterebbe al periodo giovanile della sua vita, tra il 1291 e il 1295, ed è un affresco nella lunetta destra della controfacciata della Basilica superiore di Assisi. L’attribuzione è ancora molto dibattuta: attualmente si propende a individuare opera dell’artista solo il disegno preparatorio mentre l’esecuzione sarebbe di altre maestranze. Nella Pentecoste assisiate non ci sono le fiammelle di fuoco. In alto il cielo apre le sue nuvole lasciando apparire al centro un cerchio azzurro contro cui si staglia la colomba dello Spirito Santo. In basso, sullo sfondo di una architettura elaborata, si apre una stanza lungo le cui pareti si dispongono gli apostoli. Al centro, vestita di rosso scuro vi è la Vergine, figura fondamentale della Pentecoste. Questo schema iconografico è certamente il più diffuso in ogni tempo dell’arte, antico come moderno e Maria occupa sempre un posto preminente, quale Regina degli apostoli e Madre della Chiesa. I Vangeli si aprono con la discesa su di lei dello Spirito Santo e nella Pentecoste lei è il tramite per il quale l’effusione dello Spirito discende sugli apostoli.

La-Pentecoste-di-Assisi dans Riflessioni
La Pentecoste di Assisi

Ricolmi di pace, in armonia
Una terza opera attribuita a Giotto, datata alcuni anni dopo Padova, tra il 1310 e il 1318, è la tavoletta (5.7×43.8 cm) parte di un polittico, forse un dossale d’altare. Questa Pentecoste, conservata nella National Gallery di Londra, ripropone gli apostoli senza la presenza della Vergine. La stanza divide lo spazio con un alto parapetto chiuso da un portone. Lo Spirito Santo rimane sospeso poco al di sotto del bel soffitto a cassettoni e irradia i suoi raggi che un tempo, dipinti a rilievo con stagno dorato, dovevano raggiungere e toccare il capo degli apostoli.

Alcune figure in piedi al di qua del muro della stanza cercano di sbirciare e vedere che cosa sia stato tutto quel fragore venuto dal cielo che risuona dalla stanza. In particolare i due giovani ai lati della porta, perfettamente simmetrici – dipinti con lo stesso cartone poi ribaltato -, si sporgono in avanti per capire meglio. Gli Atti raccontano di una folla di persone di diversa provenienza, stupita da tutto questo e soprattutto dal fatto che gli apostoli siano perfettamente in grado di comprendere le loro diverse lingue.

In quest’ultima opera come nelle altre due, quella di Padova e quella di Assisi, si mostra come l’artista abbia reso il momento immediatamente successivo ai fenomeni celesti che precedono la discesa dei raggi fiammeggianti che negli Atti è travolgente: il fragore improvviso che viene dal cielo, il vento impetuoso. Eppure, queste manifestazioni non sembrano penetrare nello spazio della stanza entro cui sono riuniti gli apostoli. La sensazione è quella di una discesa lenta delle lingue di fuoco, sul gruppo dei dodici ricolmi di pace. Stupiti, ma composti.

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La Pentecoste della National Gallery di Londra

La torre di Babele e la Pentecoste
Giotto ha ben compreso la rivoluzione e la grazia della Pentecoste che è pace e concordia, fratellanza, unità. La Pentecoste è la risposta divina a Babele: l’inutile pretesa degli uomini di raggiungere il cielo con una costruzione fatta di mattoni e bitume. La pretesa di fare a meno di Dio. Babele ha scatenato il caos delle incomprensioni, la Pentecoste ha stabilito l’armonia del Logos. Il Papa emerito Benedetto XVI, in un’Omelia in occasione della Pentecoste 2012 spiega infatti:

“La narrazione della Pentecoste negli Atti degli Apostoli, che abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr At 2,1-11), contiene sullo sfondo uno degli ultimi grandi affreschi che troviamo all’inizio dell’Antico Testamento: l’antica storia della costruzione della Torre di Babele (cfr Gen 11,1-9). Ma che cos’è Babele? E’ la descrizione di un regno in cui gli uomini hanno concentrato tanto potere da pensare di non dover fare più riferimento a un Dio lontano e di essere così forti da poter costruire da soli una via che porti al cielo per aprirne le porte e mettersi al posto di Dio. Questo racconto biblico contiene una sua perenne verità; lo possiamo vedere lungo la storia, ma anche nel nostro mondo. Con il progresso della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare forze della natura, di manipolare gli elementi, di fabbricare esseri viventi, giungendo quasi fino allo stesso essere umano. In questa situazione, pregare Dio sembra qualcosa di sorpassato, di inutile, perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma non ci accorgiamo che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele. E’ vero, abbiamo moltiplicato le possibilità di comunicare, di avere informazioni, di trasmettere notizie, ma possiamo dire che è cresciuta la capacità di capirci o forse, paradossalmente, ci capiamo sempre meno? Tra gli uomini non sembra forse serpeggiare un senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco, fino a diventare perfino pericolosi l’uno per l’altro? Ritorniamo allora alla domanda iniziale: può esserci veramente unità, concordia? E come?”.

La risposta la troviamo nella Sacra Scrittura: l’unità può esserci solo con il dono dello Spirito di Dio, il quale ci darà un cuore nuovo e una lingua nuova, una capacità nuova di comunicare. E questo è ciò che si è verificato a Pentecoste. In quel mattino, cinquanta giorni dopo la Pasqua, un vento impetuoso soffiò su Gerusalemme e la fiamma dello Spirito Santo discese sui discepoli riuniti, si posò su ciascuno e accese in essi il fuoco divino, un fuoco di amore capace di trasformare. La paura scomparve, il cuore sentì una nuova forza, le lingue si sciolsero e iniziarono a parlare con franchezza, in modo che tutti potessero capire l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto. A Pentecoste dove c’era divisione ed estraneità, sono nate unità e comprensione.

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Maria ottiene ed elargisce i doni dello Spirito

Posté par atempodiblog le 5 juin 2022

Maria ottiene ed elargisce i doni dello Spirito dans Fede, morale e teologia Maria-e-lo-Spirito-Santo

Maria è dolce e buona:
Tutto in Lei è dolcezza;
senza respingere alcuno
a tutti dona grazia.
Gesù suo figlio m’incita
ad amarla teneramente,
lo vuole il mio interesse,
posso non far così?

Ella è la Regina
di tutto l’universo
e tiene in suo potere
Cielo ed Inferno.
Ella ha tra le mani
la grazia del suo Figlio,
ottiene ed elargisce
i doni dello Spirito.

Ella è il tabernacolo
in cui Dio si fe’ bambino
Ella è il gran prodigio
del braccio di Dio potente,
Ella è figlia del Padre
Madre di Gesù Cristo
e per mistero altissimo
tempio dello Spirito.

Tratto da: ‘Cantici Mariani di San Luigi Maria Grignion de Montfort

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Fai il tifo per gli altri o li spii con occhi impuri?

Posté par atempodiblog le 4 juin 2022

Fai il tifo per gli altri o li spii con occhi impuri?
La sequela è anche smettere di avere uno sguardo modano sui fratelli e le sorelle accanto a noi. È rifiutare l’ubriacatura del gossip. È non perdere di vista ciò che ci aiuta ad essere santi.
don Luigi Maria Epicoco – Aleteia

Fai il tifo per gli altri o li spii con occhi impuri? dans Commenti al Vangelo Se-voglio-che-egli-rimanga-finch-io-venga-che-importa-a-te-Tu-seguimi

Vangelo di sabato 4 giugno 2022
Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era trovato al suo fianco e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: «Signore, e lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?».
Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

(Giovanni 21,20-25)

Tu seguimi
Il vangelo di Giovanni finisce con un finale dal sapore quasi comico. In realtà non è nelle intenzioni di Giovanni restituirci una scena paradossale, ma l’atteggiamento di Pietro che è eccessivamente curioso della vita di Giovanni fa dire a Gesù parole risolute:

«Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi».

“Che ti importa? Tu seguimi!”
I Padri della Chiesa hanno dato a queste parole il giusto peso teologico collegandolo con i grandi temi del martirio o del dono dello Spirito, io vorrei semplicemente riportare la questione a un dettaglio forse non intenzionale di questo brano ma che credo possa essere decisivo per la vita di ciascuno di noi.

La tentazione dell’eccessiva curiosità
Troppo spesso, infatti, personalmente e forse anche comunitariamente ci occupiamo di ciò che non dovrebbe interessarci. La vita e i fatti altrui ci sembrano un argomento molto interessante su cui posare la nostra attenzione, ma la fede cristiana è anche lasciarci ridimensionare in questa tentazione di eccessiva curiosità dalle parole di Gesù: “che ti importa? Tu seguimi!”.

Rifiutare l’ubriacatura del gossip
La sequela è anche smettere di avere uno sguardo modano sui fratelli e le sorelle accanto a noi. È rifiutare l’ubriacatura del gossip. È non perdere di vista ciò che ci aiuta ad essere santi.

Fare il tifo per gli altri
È rispettare e riconoscere che il Signore ha un progetto su ognuno e che molto spesso esso è misterioso a prima vista. Dovremmo sempre fare il tifo per gli altri e smettere invece di spiarli con occhi impuri, che proprio perché non hanno retta intenzione vedono sempre e comunque solo il male anche lì dove non c’è.

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