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Bassetti (Cei): «Anche in Italia un’indagine sugli abusi nella Chiesa. Nelle Diocesi centri di ascolto»

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2022

Bassetti (Cei): «Anche in Italia un’indagine sugli abusi nella Chiesa. Nelle Diocesi centri di ascolto»
Il cardinale Gualtiero Bassetti, 79 anni, presidente della Conferenza episcopale italiana: serve un cambiamento autentico, ma no al giustizialismo
di Gian Guido Vecchi – Corriere della Sera

Bassetti (Cei): «Anche in Italia un’indagine sugli abusi nella Chiesa. Nelle Diocesi centri di ascolto» dans Articoli di Giornali e News CARD-BASSETTI-GUALTIERO

«Per la tutela dei minori, è iniziato da diverso tempo un cammino progressivo e inarrestabile in cui le Chiese che sono in Italia sono impegnate con forza e convinzione». Il cardinale Gualtiero Bassetti, 79 anni, presidente della Cei, misura con attenzione le parole. È la prima volta che interviene in risposta alle domande nate, anche nel nostro Paese, dopo la pubblicazione dei rapporti sugli abusi sessuali su minori in vari Paesi europei.

Eminenza, da ultimo la diocesi di Monaco ha presentato un rapporto indipendente che era stato commissionato dallo stesso arcivescovo, il cardinale Marx. Ci sono stati altri report in Germania, in Francia e altrove, sempre commissionati dalla Chiesa. Come mai in Italia non è stato fatto? Ne avete parlato, è prevedibile ci sia un’inchiesta indipendente anche in Italia?
«Già da qualche tempo stiamo riflettendo sull’avvio di una ricognizione approfondita e seria della situazione italiana. Nell’esaminare le possibilità e le modalità di esecuzione dell’indagine, non possiamo non tener conto della differenza strutturale, culturale ed ecclesiale del nostro Paese rispetto ad altri, a partire dal numero molto elevato di diocesi. Per questo, oltre ai dati numerici che sono fondamentali per guardare la realtà con obiettività, pensiamo sia importante impostare un’indagine anche qualitativa che aiuti a determinare, ancora di più e meglio, l’attività di prevenzione e di formazione dei nostri preti e dei laici. Intanto, vogliamo raccogliere le informazioni che arrivano dai nostri Servizi diocesani per la tutela dei minori, per avere un riscontro dell’attività di questa rete del tutto nuova in Italia. Questo tipo di approccio metodologico “dal basso” ci consentirà di avere un quadro che non fa leva su proiezioni o statistiche, ma sul vissuto delle Chiese locali. Il nostro intento, nel segno della presa di coscienza e della trasparenza, è infatti quello di arrivare ai numeri reali».

Qualche mese fa aveva detto che «è pericoloso affrontare la piaga della pedofilia in base a proiezioni statistiche». Che cosa intendeva? C’è qualcosa che non la convince nei report come quelli presentati in Francia e Germania?
«Ribadisco: noi vorremmo arrivare a fornire dati ed elementi effettivi e, soprattutto, far emergere la consapevolezza di un cambiamento autentico che ci renda credibili nella nostra vicinanza rispettosa alle vittime, nella loro accoglienza. L’obiettivo è non ripetere errori e omissioni del passato e rendere giustizia agli abusati. Ma giustizia non è giustizialismo, e non si renderebbe un buon servizio né alla comunità ferita né alla Chiesa se si operasse in maniera sbrigativa, tanto per dare dei numeri. La Chiesa che è in Italia sta lavorando da anni sulla prevenzione e sull’ascolto. L’impegno c’è, e il futuro si costruisce fondando buone pratiche nel presente: i nostri Centri di ascolto, ormai piuttosto diffusi, sono disponibili ad accogliere chi sente il bisogno di trovare un luogo in cui raccontare la sua sofferenza e a ricevere segnalazioni. Non sarà facile né rapido cambiare mentalità e modo di operare in questo ambito, ma è la sfida principale in questo momento storico: c’è di mezzo la fiducia delle famiglie e l’integrità dei ragazzi».

Che idea si è fatto della situazione in Italia? In Germania Marx ha parlato di una «catastrofe». Da noi sarebbe diverso o è inevitabile che le proporzioni si ripetano?
«Non è una questione di proporzioni, perché stiamo parlando della vita di una persona che si porterà sempre dentro le ferite per gli abusi subiti. Dobbiamo tener conto degli abusi avvenuti e agire di conseguenza, con fermezza, nel presente e per il futuro perché non si ripetano più. Quello che è sicuramente cambiato in questi anni è che si va imponendo la coscienza della gravità del reato oltre che del peccato: da un lato i vescovi e gli ordinari religiosi fanno molte più indagini e processi canonici, dall’altro, chi subisce un abuso trova una comunità più preparata ad ascoltarlo e a sostenerlo».

Come procedono i Centri per la tutela dei minori aperti nelle diocesi?
«È iniziato da diverso tempo un cammino progressivo e inarrestabile in cui le Chiese che sono in Italia sono impegnate con forza e convinzione. Tutte le diocesi italiane hanno costituito il proprio Servizio diocesano per la tutela dei minori, con un referente dedicato: sono 56 donne e 47 uomini, in prevalenza professionisti preparati in campo giuridico, psicologico, medico-psichiatrico, assistenziale, educativo, e 124 presbiteri o religiosi. Il referente diocesano è affiancato da un’équipe di esperti che progettano iniziative di sensibilizzazione e prevenzione, anche in collaborazione con le associazioni e le istituzioni del territorio. Accanto alla rete dei Servizi diocesani e interdiocesani, coordinati per ogni Regione ecclesiastica da un coordinatore regionale e un vescovo delegato, stanno sorgendo i Centri di ascolto, diocesani e interdiocesani, che sono presenti in circa il 40 per cento delle Diocesi, in attesa, nel minor tempo possibile, di essere istituiti in ogni comunità diocesana».

E come funzionano?
«Ricordiamo che i Centri di ascolto non sono sportelli, perché non si tratta di uffici burocratici, ma di strutture predisposte che si avvalgono di volontari formati all’ascolto e all’accoglienza di persone che portano con sé le ferite di traumi psicologici e non solo. Sono laici, sacerdoti, religiosi e religiose; uomini e donne che sanno andare incontro al dolore delle vittime e dei sopravvissuti accogliendoli con competenza e delicatezza. I responsabili degli sportelli di prima accoglienza, inoltre, non sono sostitutivi né dell’azione della magistratura né dell’eventuale accompagnamento psicologico. Abbiamo tante belle figure, molti professionisti, che stanno rendendo un grande servizio per la sicurezza dei minori e che ci fanno ben sperare per il futuro».

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L’intervista. Binetti: «Cure palliative, mai eutanasia. La legge? Va modificata»

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2022

L’intervista. Binetti: «Cure palliative, mai eutanasia. La legge? Va modificata»
La senatrice Udc: la legge in discussione alla Camera è ambigua e solleva grandi perplessità sia nel mondo medico che in ambito politico, c’è molta demagogia nel mito dell’autodeterminazione assoluta
di Francesco Ognibene – Avvenire

L'intervista. Binetti: «Cure palliative, mai eutanasia. La legge? Va modificata» dans Articoli di Giornali e News Cure-palliative-Avvenire

No, non ce ne siamo dimenticati. Mentre l’attenzione generale si è concentrata altrove, sappiamo che c’è un nodo bello aggrovigliato da sciogliere: su eutanasia, referendum sull’omicidio del consenziente e legge sul suicidio assistito si decide un capitolo essenziale del nostro futuro. Lunedì 31 gennaio al Senato (ore 15.30, diretta streaming sulla web tv e il canale YouTube del Senato) un convegno mette ordine nelle carte sul tavolo (il programma in fondo all’intervista). A volerlo Paola Binetti, senatrice centrista, motore di iniziative politiche sui temi dell’umano.

L’elezione del Capo dello Stato ha congelato l’iter della legge sui casi in cui depenalizzare la “morte assistita. Come giudica il testo che la Camera potrebbe presto riprendere a discutere?
La legge è stata sollecitata dalla Corte Costituzionale con la famosa sentenza 242 del 2019 che, in un certo senso, ha depenalizzato l’aiuto al suicidio, ma nello stesso tempo ha fortemente sottolineato la necessità di garantire ai pazienti tutte le cure palliative necessarie. La legge in discussione alla Camera conserva e amplifica molti spazi di ambiguità e solleva grandi perplessità sia nel mondo medico che in ambito politico. In mancanza di importanti fattori che ne modifichino l’impianto attuale non sarà possibile votarla, e personalmente mi riservo di intervenire in Senato in tal senso. Nella speranza che a nessuno venga in mente di far arrivare un testo blindato, o addirittura di mettere la fiducia…

È meglio legiferare per evitare che a “dettar legge” siano poi i tribunali, oppure è bene che comunque non si apra mai a forme di “morte a richiesta”?
Sono contraria a legiferare su quella che lei definisce “morte a richiesta” e che io chiamo più semplicemente eutanasia. Penso che si possa e si debba legiferare per venire incontro alle esigenze dei malati in tutto l’arco della loro vita, fino all’ultimo istante. Dodici anni fa lo abbiamo fatto con la legge sulle cure palliative, di cui sono stata presentatrice e relatrice. Una legge che anche in Europa è considerata tra le migliori per facilitare la presa in carico del paziente e dei suoi familiari, soprattutto quando vivere sembra davvero difficile. La legge deve indicare una traiettoria positiva, che amplifichi la possibilità che i pazienti abbiano una vita migliore, ascoltandoli e dialogando con loro e la loro famiglia. Non si tratta di por fine alla loro vita ma di aiutarli a scoprire che la vita può sempre avere senso, soprattutto quando si capisce che non è l’autonomia in senso assoluto che ci rende liberi ma l’accettazione della nostra reciproca interdipendenza: abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri e su questo si fondano sia la solidarietà che la fraternità cui il Papa si riferisce con frequenza.

Lei è medico e credente. Che criteri assume come riferimenti?
Ho intrapreso gli studi di medicina per aiutare le persone ad affrontare, nelle migliori condizioni, tutte le eventuali malattie che la vita ci riserva. Mai ho pensato di diventare medico per mettere fine alla vita delle persone. Ippocrate, fin dal terzo secolo avanti Cristo, aveva chiesto a tutti i medici di giurare in tal senso, e siamo in tempi pre-cristiani. Per difendere la vita umana ci basta la legge naturale, la coscienza che c’è in ognuno di noi, che ci aiuta a capire come la nostra stessa umanità è fatta prima di tutto di solidarietà e relazione d’aiuto.

Che clima respira tra i suoi colleghi dei diversi partiti su questi temi?
Dipende molto da come si pone la domanda. Non c’è dubbio che la gente voglia sottrarsi al dolore, alla sofferenza che appare senza fine. Il dolore spaventa tutti noi. Per questo la legge sulle cure palliative prevedeva un esplicito riferimento alla creazione di una rete per la lotta contro il dolore, con investimenti specifici nella ricerca e un alleggerimento della normativa sulla somministrazione di farmaci più complessi, come certi oppiacei. Sotto questo profilo quella legge è rimasta a lungo inapplicata, sono pochi i centri che si occupano in modo adeguato di terapia contro il dolore. C’è poi l’altro aspetto importante su cui ha fatto leva tutta la propaganda per il referendum pro-eutanasia, quello che pretende abolire l’articolo del Codice penale in cui si parla di omicidio del consenziente: è il tema dell’autodeterminazione, della libertà individuale, quello per cui ognuno di noi vuole essere il primo e unico responsabile di tutte le decisioni da assumere. Il tema è posto sovente in modo molto ambiguo, dal momento che molto spesso assumiamo decisioni attraverso il confronto, accettando il parere di chi sembra saperne di più, l’appoggio di chi si offre di condividere con noi situazioni difficili da affrontare da soli. C’è molta demagogia nel mito dell’autodeterminazione assoluta: siamo tutti interdipendenti, e questo è il baluardo più efficace alla solitudine e alla sensazione di abbandono che potrebbe condurci perfino alla disperazione.

Una legge potrebbe fermare le derive eutanasiche nel nostro Paese?
Sì se fosse una legge che garantisce una presa in carico completa, a livello personale e familiare. Una legge che consente l’accesso a una terapia efficace contro il dolore, con misure per interventi sociali, anche sul piano economico, con servizi adeguati, che non fanno sentire soli, con un supporto vero ai caregiver che non solleciti sensi di colpa in chi si sente di peso per gli altri… Molto si può fare se si assume un’ottica positiva e propositiva, davanti alla quale il favorire la morte appare crudele e drammaticamente banale.

Il 15 febbraio la Consulta si pronuncerà sull’ammissibilità del referendum radicale sull’omicidio del consenziente. Cosa si attende?
Mi auguro che la Corte Costituzionale abbia il coraggio di non ammetterlo, o per lo meno di non ammettere il quesito così come è formulato. Rendere tanto facile dare la morte a persone fragili, malati cronici, soli, a volte anche con scarsa capacità di rendersi conto della irreversibilità della morte, aprirebbe la porta a mille abusi, come confermano i Paesi in cui leggi così sono attive da tempo. In caso di ammissibilità, mi auguro che sia il Paese a bocciarlo. È vero ha raccolto circa un milione di firme, ma gli italiani sono 60 milioni.

Le tante firme raccolte dai radicali cosa ci dicono?
Il quesito fa perno su due leve: la paura del dolore e il bisogno di sentirsi liberi, sempre e a ogni costo. Non sono state colte fino in fondo le conseguenze di una legge di questo tipo e tutti gli abusi che ne discenderanno, come mostra ciò che accade in Olanda, Belgio e altrove.

Cosa può fare la politica per diffondere le cure palliative?
Creare hospice adeguati, specie al Sud, e potenziare le cure palliative a domicilio. Occorre ricerca, aumentare il personale, creare master in cure palliative e potenziare le scuole di specializzazione, perché gli iscritti sono insufficienti a far fronte alle necessità dei pazienti e delle loro famiglie. Occorre investire anche in quelle cure non farmacologiche che includono il supporto psicologico, la musicoterapia, l’art-terapia, e perfino la pet-terapia…

Domenica 6 febbraio è la Giornata per la Vita: che messaggio offre in questo momento?
Il convegno che abbiamo promosso per lunedì 31 gennaio ha come titolo «Custodire ogni vita», lo stesso messaggio lanciato dal Papa e ripreso dalla Cei, che abbiamo voluto fare nostro mettendo in gioco non solo il nostro impegno politico ma la nostra umanità, con la profonda consapevolezza che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Giovani e anziani, sani e malati, nessuno deve sentirsi solo, perché sa che c’è chi si è impegnato a custodire la sua vita. Ogni vita è preziosa e va custodita, con amore e quella competenza che serve a rimuovere ostacoli, a garantire attraverso lo studio e l’esperienza l’aiuto necessario a ognuno, nei tempi e nei modi in cui si rende necessario.

Il convegno al Senato sulla Giornata per la Vita

L’appuntamento è alle 15.30 di lunedì 31 gennaio a Roma, ma il convegno «Custodire ogni vita» si può seguire anche in diretta streaming sui canali web tv e YouTube del Senato. Alla vigilia della 44esima Giornata per la vita, e sul tema Cei per l’appuntamento del 6 febbraio, il confronto organizzato dalla senatrice Udc Paola Binetti è articolato su due sessioni, moderate dal direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio. Dopo i saluti di monsignor Luigi Mistò e Stefano De Lillo, su «Cure palliative tra assistenza, ricerca e formazione» interverranno Maria Grazia De Marinis, ordinario di Scienze infermieristiche all’Università Campus Biomedico, il presidente della Fondazione Antea Giuseppe Casale e don Carlo Abbate, direttore dell’Ufficio per la Pastorale della Salute della diocesi di Roma. Di «Reali alternative alla richiesta di assistenza a morire» parleranno il presidente dell’Osservatorio «Vera Lex?» Domenico Menorello, la giurista della Sapienza Giovanna Razzano e Assuntina Morresi, presidente del Comitato per il no al referendum sull’omicidio del consenziente.

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Far diventare tutto preghiera

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2022

Messaggio del 25 Gennaio 2022 rivolto alla Parrocchia attraverso la veggente Marija di Medjugorje

Cari figli!
Oggi vi invito a ritornare alla preghiera personale.
Figlioli, non dimenticate che satana è forte e vuole attirare a sé quante più anime possibili. Perciò voi vegliate nella preghiera e siate decisi nel bene.
Io sono con voi e vi benedico tutti con la mia benedizione materna.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata”.

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Commento di padre Livio Fanzaga di Radio Maria al messaggio di Medjugorje del 25 gennaio 2022

Questo è un messaggio breve, formato da 4 frasi brevi e incisive, senza contare la chiusura che è un ringraziamento in risposta alla sua chiamata.

Le parole che la Madonna ha usato sono parole che ha già usato in questi 40 anni, ma il messaggio fa però riferimento alla situazione attuale ed esprime quelle che sono le attuali preoccupazioni della Madonna.
Vorrei sottolineare che negli ultimi 4 messaggi la Madonna, per ben 3 volte, ci ha ricordato di “ritornare alla preghiera” e questo sta a indicare innanzitutto il primato della preghiera nei messaggi di Medjugorje e possiamo dire che questo invito è presente in tutti i messaggi.

Medjugorje si caratterizza come luogo della preghiera, non c’è infatti soltanto la preghiera che si fa in chiesa nei suoi tanti appuntamenti tra Rosari, S. Messe, Adorazioni, ecc., ma tutta la piana di Medjugorje è percorsa dai pellegrini a piedi con il rosario in mano che vanno sul Krizevac o sulla Collina delle Apparizioni, è una preghiera continua.
Medjugorje è un’oasi di preghiera come in nessun santuario del mondo, e questo perché la Madonna invita continuamente alla preghiera.

Nei primi anni delle Apparizioni la Madonna chiedeva 4 ore al giorno di preghiera nella parrocchia, considerando i 3 Rosari, la S.Messa e in più esortava alla preghiera in famiglia e la gente cominciò a brontolare e la Madonna affrontò questo argomento in un messaggio dicendo: “voi vi lamentate perché vi chiedo tante preghiere, ma voi guardate la situazione del mondo nella quale il male sovrabbonda!”.

La Madonna disse allora, 1981 – 1984, quello che dice adesso, ma ora la situazione si è molto aggravata e la Madonna ci ha detto: “satana miete le anime, satana vuole distaccare dal mio Cuore il maggior numero possibile di anime e attirarle a sé”, e adesso dice: “satana è forte e vuole attirare a sé quante più anime possibili”.
Questo sta a indicare che la prima preoccupazione della Madonna sono le anime da salvare, perché non si perdano eternamente, noi invece siamo in apprensione per la pandemia, per le preoccupazioni di carattere temporale.

La Madonna è preoccupata per la sorte eterna delle anime, perché la forza di satana è proporzionale alla nostra debolezza, più noi siamo deboli, più satana è forte, meno noi preghiamo, più satana è forte.

Oggi celebriamo la giornata di preghiera per la pace indicata dal Papa, perché si trovi una soluzione diplomatica in Ucraina.
A questo riguardo sabato 22 gennaio, la Madonna ha dato un messaggio al veggente Ivan per il suo gruppo di preghiera, gruppo di preghiera nato nel 1982 (tante volte la Madonna ha dato a Ivan messaggi con intenzioni che trattano passaggi del messaggio 25 del mese, dato alla parrocchia e al mondo intero).
I messaggi dati a Ivan sono per il suo gruppo di preghiera, ma sono comunque intenzioni di preghiera preziosissime, e infatti la Madonna ha chiesto di pregare per la pace nel mondo e ha specificato che non può esserci la pace nel mondo se non c’è Dio nei cuori, perché se nei cuori c’è l’odio, non c’è mai la pace.

Nei cuori ci deve essere l’amore, ma perché ci sia l’amore ci deve essere Dio, per questo la Madonna ha detto che, avendo rifiutato la fede e la croce, ci troviamo in una situazione di odio e di guerra.

Bisogna tener presente la strategia della Madonna, Lei è molto ordinata:
i messaggi del 25 del mese dati a Marija sono per la Chiesa e per il mondo, poi ci sono i messaggi annuali a Mirjana, a Jacov e Ivanka, messaggi pubblicati dalla parrocchia. Vicka invece non riceve messaggi pubblici e la Madonna le ha detto di essere sola all’Apparizione, a parte qualche rara eccezione. Vicka vive una missione particolare che è quella della sofferenza ed ha ancora le Apparizioni quotidiane.

Vorrei mettere in evidenza il fatto che la Madonna ci dice: “ritornare alla preghiera personale”; quello che vorrei dirvi lo dico, perché io stesso cerco di capire e di vivere, mi sforzo anch’io come voi.

Io ho capito che adesso siamo in un tempo in cui non si può perdere tempo; non si può perdere tempo neanche in cose che di per sé non sono neanche peccati, sono solo cose di questo mondo: vedo una partita di calcio, mi interesso di questo hobby. Dobbiamo togliere la zavorra di dosso e tagliare i legami che non sono importanti.
È il momento in cui anche noi, come Davide che era stato fatto vestire dal re Saul con le sue pesanti armature, dobbiamo toglierci tutte “le armature”, come lui fece: prese la sua bisaccia, ci mise le pietre, prese una fionda andò e vinse la battaglia con una fionda.
Questo è il momento in cui dobbiamo liberarci delle zavorre, dobbiamo liberarci dai legami di peccato, da tutto ciò che ci lega alle cose effimere, da quei legami con i quali satana ci tiene al guinzaglio, dalle perdite di tempo.
Anch’io sto facendo pulizia di quelle piccole perdite di tempo che magari mi concedevo ogni tanto riguardo alla televisione: qualche film o una partita, però ho capito che alla fin fine se dico il Rosario sto meglio, se sto a colloquio con Dio sto meglio, se leggo un libro edificante sto meglio, se prego per la conversione dei peccatori sto meglio, se prego per tutti i bisogni di Radio Maria sto meglio; ho capito questo!

Noi crediamo che tutti i tempi siano uguali, no! Questo è un tempo apocalittico, è un momento della storia particolare.

E come ai tempi della Passione, Gesù disse “satana vi vaglia uno per uno”, così anche adesso la Madonna sta dicendo la medesima cosa: “satana è forte e vuole attirare a sé quante più anime possibili”, saremo vagliati uno per uno, anche quelli che si credono forti scopriranno che non sono poi così tanto forti, non sono così tanto saldi.

Gesù disse ai suoi Apostoli nel momento della Passione: “vegliate e pregate per non cadere in tentazione” e la Madonna ci dice la medesima cosa: “ora che satana è sciolto dalle catene, fa razzia di anime e porta il mondo all’autodistruzione mediante la guerra e l’odio”, e adesso ci dice: “vegliate nella preghiera”.
Non perdiamo tempo, preghiamo giorno e notte, che poi si vive nella gioia pregando giorno e notte! Certamente poi c’è questa grande grazia che fa diventare tutto preghiera, anche il lavoro o qualsiasi altra cosa, perché il cuore canta anche quando siamo con la mente occupati a lavorare, “e siate decisi nel bene”, vegliate e siate decisi!

Ritorniamo alla preghiera personale, non dimentichiamo che satana è forte, facciamo una revisione di vita, come quando gli atleti si preparano per una corsa, si concentrano e poi scattano via.

Questa espressione: “decisi nel bene” è bellissima, siamo protesi, decisi, determinati, lucidi. Eliminiamo uno per uno i legami che ci frenano, tagliamoli via tutti, perché questi sono tempi apocalittici in cui Dio è presente e noi siamo chiamati a combattere con Lui mediante la presenza della Regina della Pace!

“Io sono con voi e vi benedico tutti con la mia benedizione materna”.
La Madonna ci assicura che è con noi e sarà con noi fino al tempo del trionfo del suo Cuore Immacolato e ci benedice tutti con la sua benedizione materna e ci ringrazia perché abbiamo risposto alla chiamata. Cerchiamo di rispondere in questo mese a questa chiamata!
Affrontiamo questo mese alla luce di questi messaggi e facciamo un programma di revisione e di impegno di vita.

N.B. Il testo di cui sopra  può essere divulgato a condizione che si citi (con link, nel caso di diffusione via internet) il sito www.medjugorjeliguria.it indicando: “ Trascrizione dall’originale audio ricavata dal sito: www.medjugorjeliguria.it

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Padre Andriy Zelinskyy: “Porto la luce di Cristo nella guerra delle trincee ucraine”

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2022

Padre Andriy Zelinskyy: “Porto la luce di Cristo nella guerra delle trincee ucraine”
Mentre il mondo guarda col fiato sospeso l’escalation di tensione nel Paese dell’Europa orientale, padre Andriy Zelinskyy, cappellano militare della Chiesa greco-cattolica, racconta la sua azione pastorale tra i soldati che temono l’allargamento del conflitto: “Anche nella guerra, la Parola di Dio può accendere speranza”. Il grazie a Papa Francesco per la Giornata di preghiera per la pace che si è celebrata ieri: “Proviamo profonda gratitudine. Ora non ci sentiamo più soli”
di Federico Piana – Vatican News

Padre Andriy Zelinskyy: “Porto la luce di Cristo nella guerra delle trincee ucraine” dans Articoli di Giornali e News Padre-Andriy-Zelinskyy

La croce di legno sopra il giubbotto antiproiettile, il fango delle trincee sotto gli scarponi, il Vangelo in una tasca della tuta mimetica. Non è facile essere cappellano militare in Ucraina quando spirano violenti venti di guerra. “La nostra missione è quella di stare accanto ai soldati e portare a loro un pezzo di Cielo in modo che non sia pregiudicata la loro capacità di scegliere il bene, di cercare la verità, di proteggere la giustizia e perfino di contemplare la bellezza”, sussurra padre Andriy Zelinskyy.

Dolore per gli sviluppi internazionali
Lui, sacerdote gesuita della Chiesa greco-cattolica ucraina, prova profondo dolore per la tempesta che si agita nei cuori di quei ragazzi che imbracciano un fucile, spaventati da un’escalation della tensione al confine orientale del Paese. Da quando, nel 2014, sono iniziati i primi scontri armati, ha cercato di portare conforto e amore nelle zone più colpite, come quella di Pisky, di Scerokino, di Avdiyivka e di Vodiane. “In otto anni, abbiamo perso 14.000 persone. Questa può essere davvero definita una guerra ibrida, una guerra che, di fatto, già è in corso ma che in molti hanno voluto ignorare” spiega padre Zelinskyy.

Ascolto nelle trincee
C’è un osservatorio privilegiato dal quale padre Zelinskyy riesce a comprendere meglio il vero valore della vita umana: le trincee. Quei fossati, scavati dai soldati ucraini per resistere agli attacchi dei nemici,  si rivelano postazioni preziose per sondare le profondità del cuore umano. “Nel tempo – racconta il cappellano militare  proprio qui ho capito che non ci sono risposte facili da dare a chi ha perso un fratello, un amico, un compagno, in un conflitto che il mondo non riesce a vedere. Bisogna saper ascoltare e cercare di far incontrare il Signore della pace attraverso la preghiera comune”.

Aiuti anche alle famiglie
Il timore per un allargamento del conflitto ha spinto la Chiesa greco-cattolica ucraina ad intensificare gli aiuti anche nei confronti delle famiglie dei militari fornendo assistenza materiale e spirituale: ad esempio, le madri che hanno perduto un figlio condividono il loro dolore attraverso momenti di orazione mentre i bambini che hanno perso i loro padri in battaglia vengono integrati in momenti di svago e ricreativi. “La fede  dice padre Zelinskyy  aiuta a trovare la strada nelle tenebre della violenza. Anche nella guerra, la Parola di Dio può accendere una luce di speranza”.

Grati per l’intervento del Papa
Dalle famiglie dei militari e dagli stessi soldati giunge un grazie a Papa Francesco per i suoi forti appelli alla pacificazione, tra questi quello pronunciato nel post Angelus di domenica scorsa durante il quale il Pontefice aveva annunciato anche una giornata di preghiera per la pace, in programma per ieri, mercoledì 26 gennaio. Se ne fa portavoce proprio il cappellano militare: “Proviamo profonda gratitudine per tutto quello che il Papa sta facendo per l’Ucraina. Ci siamo accorti che non siamo soli e questo ci provoca un’emozione ricca e profonda. Tutti dobbiamo pregare insieme con il Santo Padre per la pace non solo per il nostro Paese ma per il mondo intero e per ogni cuore umano”.

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