Il vincitore è chi dà la vita per gli altri, non chi la toglie

Posté par atempodiblog le 28 mars 2021

DOMENICA DELLE PALME
Il vincitore è chi dà la vita per gli altri, non chi la toglie
La strada indicata da Cristo rifugge il Potere, va verso la Croce, questo è il trionfo di Dio. Seguiamo il comportamento di Maria; facciamoci umili e con Lei seguiamo il Signore nella strada della Croce. Qui sta anche la nostra vittoria.
del di Angelo Card. Comastri (Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano) – La nuova Bussola Quotidiana

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Un tempo spesso si cantava: Christus vincit, Christus regnat!, Cristo vince, Cristo regna! Ma qual è il trionfo di Dio? Certamente è tanto diverso da come noi lo immaginiamo.

Per capire qual è la strada del trionfo di Dio, meditiamo il senso degli avvenimenti di questo giorno. Guardiamo innanzi tutto come si comporta la folla. La folla! Essa grida, canta, prega, ma la folla è sempre ambigua. Oggi acclama, domani bestemmia. Oggi esalta e domani bastona. La folla fa paura: cambia troppo facilmente il proprio atteggiamento.

E noi? E la nostra fede? E la nostra risposta a Cristo? Non basta una preghiera, non basta una Messa, non basta un’opera di carità per essere cristiani. Gesù ha detto: “Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (Mc 13,13). E ancora: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,62).
Il vero cristiano è colui che cammina dietro a Cristo ogni giorno con fedeltà e perseveranza!

Ma qual è la strada di Cristo? Guardiamo il comportamento di Gesù. Gesù respinge Satana, quando Satana gli propone la strada del Potere: perché Dio non vince così! Gesù fugge quando gli uomini, dopo il miracolo dei pani, lo vogliono proclamare re: fugge, perché Dio non vince così! Gesù rimprovera Pietro, quando egli tenta di distoglierlo dalla strada di Gerusalemme; e va decisamente verso Gerusalemme, verso la Croce: perché questa è la strada di Dio, la strada del Suo trionfo!

E oggi noi guardiamo Gesù che entra a Gerusalemme: ormai è vicina la Sua ora, l’ora tanto attesa!
Egli si presenta mite, buono, pacifico, apparentemente debole. Così Gesù ci ha insegnato che la grande forza del mondo è la bontà: il vero forte è l’uomo buono; il vero forte è colui che ha vinto la violenza dentro di sé; il vincitore è chi dà la vita per gli altri e non chi toglie la vita agli altri. Noi abbiamo accolto la Sua lezione? Noi camminiamo nella Sua strada? Ci riconosciamo nelle scelte di Cristo?

Ma nella passione non c’è soltanto Gesù; ci sono anche altri personaggi che prendono risalto in rapporto a Gesù.
C’è Pilato: un indeciso, perché vuoto. Chi è vuoto di ideali, facilmente può condannare… anche Cristo: ieri e oggi!
C’è Pietro: un indeciso, perché debole. La debolezza è pericolosa: è terreno di tradimento. E oggi, più che in altri tempi, la debolezza soccombe: nel nostro tempo la fedeltà a Dio si paga con l’eroismo.
C’è Giuda: un deciso al male, perché orgoglioso. E l’orgoglio è il cancro dell’anima, l’orgoglio è la radice di ogni violenza. L’orgoglio è un male tanto diffuso; l’orgoglio è l’inizio dell’inferno.
Ci sono i sommi sacerdoti: gente che conosceva la lettera della Bibbia, ma non conosceva lo spirito; gente che usava la Bibbia per piegarla alle proprie vedute, mentre invece dovevano loro piegarsi e convertirsi alla Parola di Dio.
Infine c’è Maria: una decisa nel bene fino alla Croce, perché Maria è umile di cuore. Nello scenario della Passione di Cristo, Maria rivela tutta la sua grandezza. Vengono in mente le parole profetiche di Elisabetta: “E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc 1,45). Maria è la credente: è la creatura che si è fidata ciecamente di Dio.

Quale è il personaggio nel quale ci ritroviamo? La passione di Gesù continua: chi siamo noi oggi nella passione del Signore? Forse ci ritroviamo talvolta nel comportamento di Pilato, talvolta in quello di Pietro, talvolta in quello di Giuda o in quello dei sommi sacerdoti…
Allora ecco un proposito e un impegno per tutti: seguiamo il comportamento di Maria; facciamoci umili e con Lei seguiamo il Signore nella strada della Croce: la strada della vittoria di Dio e della nostra vittoria.

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Consolare il nostro Dio

Posté par atempodiblog le 27 mars 2021

Consolare il nostro Dio

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Hai notato come nei momenti delle tenebre della sua passione Gesù cerchi qualcuno che lo possa confortare? Chiede a Pietro, a Giacomo e a Giovanni di vegliare con Lui. E’ grato al gesto pieno di delicatezza e di premura della Veronica che gli asciuga il volto bagnato di sudore e di sangue. Permettendo che il Cireneo porti per un tratto di strada la croce, Gesù ha voluto invitare le anime più generose a sorreggere con Lui il peso della croce del mondo.

Non basta chiedere perdono per i nostri peccati. Dobbiamo consolare il nostro Dio per le ingratitudini e le offese da parte degli uomini, offrendo noi quell’amore che gli negano.

di Padre Livio Fanzaga – La pazienza di Dio. Vangelo per la vita quotidiana, Ed. Piemme

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Persona, non personaggio

Posté par atempodiblog le 26 mars 2021

La quarta predica di Quaresima tenuta dal cardinale Cantalamessa
Persona, non personaggio
Fonte: L’Osservatore Romano

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«Fra una settimana sarà il Venerdì santo e subito dopo la Domenica di risurrezione. Risorgendo, Gesù non è tornato alla vita di prima come Lazzaro, ma a una vita migliore, libera da ogni affanno. Speriamo che sia così anche per noi. Che dal sepolcro in cui ci ha tenuti rinchiusi per un anno la pandemia, il mondo — come ci va ripetendo continuamente il Santo Padre — esca migliore, non lo stesso di prima». Con questa speranza il cardinale Raniero Cantalamessa ha concluso, venerdì mattina 26 marzo, la quarta e ultima predica di Quaresima che ha tenuto nell’aula Paolo VI , alla presenza di Papa Francesco.

Una meditazione centrata sul fatto che tutto gira ancora intorno a «un certo Gesù» — come si legge negli Atti degli apostoli — che il mondo ritiene morto e la Chiesa proclama essere vivo. «Gesù di Nazareth — ha testimoniato il predicatore della Casa Pontificia — è vivo! Non è una memoria del passato, non è solo un personaggio, ma una persona. Vive “secondo lo Spirito”, certo, ma questo è un modo di vivere più forte di quello “secondo la carne”, perché gli permette di vivere dentro di noi, non fuori o accanto».

«Nella nostra rivisitazione del dogma — ha spiegato con un’attenta analisi storica — siamo giunti al nodo che unisce i due capi». Gesù “vero uomo” e Gesù “vero Dio”, infatti, «sono come i due lati di un triangolo, il cui vertice è Gesù, “una persona”». Del resto, ha puntualizzato, il dogma è «una struttura aperta: cresce e si arricchisce, nella misura in cui la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, si trova a vivere nuove problematiche e in nuove culture».

La Chiesa, da parte sua, «è in grado di leggere la Scrittura e il dogma in modo sempre nuovo, perché essa stessa è resa sempre nuova dallo Spirito Santo». Non a caso, lo storico Jaroslav Pelikan affermava che «la tradizione è la viva fede dei morti» (cioè «la fede dei Padri che continua a vivere») mentre «il tradizionalismo è la morta fede dei viventi».

Secondo il cardinale Cantalamessa, oggi è opportuno «scoprire e proclamare che Gesù Cristo non è un’idea, un problema storico e neppure soltanto un personaggio, ma una persona e una persona vivente! Questo infatti è ciò che è carente e di cui abbiamo estremo bisogno per non lasciare che il cristianesimo si riduca a ideologia, o semplicemente a teologia».

Partendo anche dalla sua esperienza personale di studio, il predicatore ha riproposto il «più celebre “incontro personale” con il Risorto che mai sia accaduto sulla faccia della terra: quello dell’apostolo Paolo». Scrivendo di questo a Filemone, Paolo dice espressamente: «Perché io possa conoscere lui». Ma proprio «quel semplice pronome “lui” (auton) contiene su Gesù più verità che interi trattati di cristologia», ha insistito il cardinale. «Lui», infatti, «vuol dire Gesù Cristo “ in carne ed ossa”». L’esperienza da vivere è quella di «incontrare una persona dal vivo dopo avere conosciuto per anni la sua fotografia».

«Riflettendo sul concetto di persona nell’ambito della Trinità — ha continuato il predicatore — sant’Agostino e dopo di lui san Tommaso d’Aquino, sono arrivati alla conclusione che “persona”, in Dio, significa relazione». E «il pensiero moderno ha confermato questa intuizione: essere persona è “essere-in-relazione”».

E così, ha fatto presente Cantalamessa, «non si può conoscere Gesù come persona se non entrando in un rapporto personale, da io a tu, con lui. Non possiamo accontentarci di credere nella formula “una persona”, dobbiamo raggiungere la persona stessa e, mediante la fede e la preghiera, “toccarla”».

Gesù, per ciascuno, deve essere «persona, non solamente un personaggio: c’è una grande differenza tra le due cose». Insomma, con figure insigni del passato come Giulio Cesare, Leonardo da Vinci, Napoleone «è impossibile parlare». Dunque, attenzione, a «relegare Gesù al passato» senza «farsi riscaldare il cuore con un relazione esistenziale con lui». Papa Francesco lo scrive chiaramente all’inizio della sua esortazione apostolica Evangelii gaudium, al numero 3: «Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui». Dunque, ha aggiunto il cardinale, «la vita di ogni persona, si divide esattamente come si divide la storia universale: “avanti Cristo” e “dopo Cristo”, prima dell’incontro personale con Cristo e in seguito a esso».

Come fare allora? «Solo per opera dello Spirito Santo — ha risposto il predicatore — che non aspetta altro che glielo chiediamo: “Fa’ che per mezzo tuo conosciamo il Padre e conosciamo anche il Figlio”. Che lo conosciamo di questa conoscenza intima e personale che cambia la vita».

Ma il cardinale ha invitato anche a «fare un passo avanti» per arrivare alla comprensione che «Dio è amore, il mistero più grande e più inaccessibile alla mente umana». In realtà «si potrebbero passare ore intere a ripetere dentro di sé questa parola, senza finire mai di stupirsi: Dio, ha amato me, creatura da nulla e ingrata! Ha dato se stesso — la sua vita, il suo sangue — per me. Singolarmente per me! È un abisso nel quale ci si perde». Il nostro rapporto personale con Cristo è dunque essenzialmente «un rapporto di amore». E «consiste nell’essere amati da Cristo e amare Cristo. Questo vale per tutti, ma assume un significato particolare per i pastori della Chiesa», perché «l’ufficio del pastore trae la sua forza segreta dall’amore per Cristo».

Per andare al sodo, il cardinale ha suggerito il significato della meditazione sulla vita personale di ciascuno, «in un momento di grande tribolazione per tutta l’umanità». Ed è ancora Paolo a far da riferimento, quando nella Lettera ai Romani scrive: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?». L’apostolo «passa in rassegna nella sua mente tutte le prove attraversate», ma «constata che nessuna di esse è così forte da reggere al confronto con il pensiero dell’amore di Cristo».

Paolo «ci suggerisce un metodo di guarigione interiore basato sull’amore. Ci invita a portare a galla — ha affermato il predicatore — le angosce che si annidano nel nostro cuore, le tristezze, le paure, i complessi, quel difetto fisico o morale che non ci fa accettare serenamente noi stessi, quel ricordo penoso e umiliante, quel torto subito, la sorda opposizione da parte di qualcuno. Esporre tutto ciò alla luce del pensiero che Dio mi ama, e troncare ogni pensiero negativo, dicendo a noi stessi, come l’apostolo: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”».

Infine, ha concluso, l’apostolo «ci invita a guardare con occhi di fede il mondo che ci circonda e che ci fa ancora più paura ora che l’uomo ha acquisito il potere di sconvolgerlo con le sue armi e le sue manipolazioni». Quello che «Paolo chiama l’“altezza” e la “profondità” sono per noi — nell’accresciuta conoscenza delle dimensioni del cosmo — l’infinitamente grande sopra di noi e l’infinitamente piccolo sotto di noi». E in questo momento, ha osservato Cantalamessa, quell’«infinitamente piccolo» è «il coronavirus che da un anno tiene in ginocchio l’intera umanità».

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Canterò le bellezze della Vergine

Posté par atempodiblog le 25 mars 2021

Canterò le bellezze  della Vergine dans Beata Pauline Marie Jaricot Pauline-Jaricot

(L’Annunciazione). “Canterò per la gloria di Gesù le bellezze  della Vergine, [...] e il mio cuore proromperà in lode di ringraziamento contemplando i beni di cui il Signore l’ha arricchita per tutte le nazioni, per tutti i secoli, affinché chiunque venga a Lei trovi la vita”.

Beata Pauline Marie Jaricot

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Il Papa: Dante, profeta di speranza e poeta della misericordia

Posté par atempodiblog le 25 mars 2021

Il Papa: Dante, profeta di speranza e poeta della misericordia
Nella Lettera apostolica “Candor lucis aeternae”, pubblicata oggi, Francesco ricorda il VII centenario della morte di Dante Alighieri, sottolineando l’attualità, la perennità e la profondità di fede della “Divina Commedia”
di Isabella Piro – Vatican News

Il Papa: Dante, profeta di speranza e poeta della misericordia dans Articoli di Giornali e News Sommo-poeta-Dante-Alighieri

A 700 anni dalla sua morte, avvenuta nel 1321 a Ravenna, in doloroso esilio dall’amata Firenze, Dante ci parla ancora. Parla a noi, uomini e donne di oggi, e ci chiede di essere non solo letto e studiato, ma anche e soprattutto ascoltato e imitato nel suo cammino verso la felicità, ovvero l’Amore infinito ed eterno di Dio. Così scrive Papa Francesco nella Lettera apostolica “Candor lucis aeternae – Splendore della vita eterna”, pubblicata oggi, 25 marzo, Solennità dell’Annunciazione del Signore. La data non è casuale: il mistero dell’Incarnazione, scaturito dall’”Eccomi” di Maria, è infatti – spiega il Pontefice – “il vero centro ispiratore e il nucleo essenziale” di tutta la “Divina Commedia” che realizza “la divinizzazione” ovvero “il prodigioso scambio” tra Dio che “entra nella nostra storia facendosi carne” e l’umanità che “è assunta in Dio, nel quale trova la felicità vera”.

Il pensiero dei Papi su Dante
Suddivisa in nove paragrafi, la Lettera apostolica si apre con un breve excursus che Francesco fa del pensiero di diversi Pontefici su Dante: nel 1921, Benedetto XV gli dedica l’Enciclica “In praeclara summorum” e rivendica l’appartenenza del poeta fiorentino alla Chiesa, tanto da definirlo “nostro Dante”, poiché la sua opera trae “poderoso slancio d’ispirazione” dalla fede cristiana. Nel 1965, San Paolo VI scrive la Lettera apostolica “Altissimi cantus” e sottolinea quanto la “Commedia” sia “universale”, perché “abbraccia cielo e terra, eternità e tempo” ed ha un fine “trasformante”, ovvero “in grado di cambiare radicalmente l’uomo e di portarlo dal peccato alla santità”. Papa Montini sottolinea anche “l’ideale della pace” espresso nell’opera dantesca, insieme alla “conquista della libertà” che, affrancando l’uomo dal male, lo conduce verso Dio. Vent’anni dopo, nel 1985, San Giovanni Paolo II richiama un altro termine-chiave della “Divina Commedia”: il verbo “transumanare” che permette all’uomo e al divino di non annullarsi a vicenda. La prima Enciclica di Benedetto XVI, poi, la “Deus caritas est”, nel 2005, mette in luce l’originalità del poema di Dante, cioè “la novità di un amore che ha spinto Dio ad assumere un volto ed un cuore umano”. Francesco ricorda anche la sua prima Enciclica, “Lumen fidei”, diffusa nel 2013, in cui il Sommo Poeta viene citato per descrivere la luce della fede come “favilla, fiamma e stella in cielo” che scintilla nell’uomo.

“Divina Commedia”, patrimonio di valori sempre attuali
Quindi, il Papa si sofferma sulla vita di Dante, definendola “paradigma della condizione umana” e sottolineando “l’attualità e la perennità” della sua opera che “ha saputo esprimere, con la bellezza della poesia, la profondità del mistero di Dio e dell’amore”. Essa, infatti, è “parte integrante della nostra cultura – scrive Francesco – ci rimanda alle radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente, rappresenta il patrimonio di ideali e di valori” proposti anche oggi dalla Chiesa e dalla società civile come “base della convivenza umana” per poterci e doverci “riconoscere tutti fratelli”. Padre della lingua e della letteratura italiana, l’Alighieri vive la sua vita con “la struggente malinconia” di pellegrino ed esule, sempre in cammino, non solo esteriormente perché costretto all’esilio, ma anche interiormente, alla ricerca della meta. Ed è qui che emergono i due assi portanti della “Divina Commedia” – spiega Francesco – ossia il punto di partenza rappresentato dal “desiderio, insito nell’animo umano” e il punto di arrivo, ovvero “la felicità, data dalla visione dell’Amore che è Dio”.

Cantore del desiderio umano di felicità
Dante non si rassegna mai e per questo è “profeta di speranza”: perché con la sua opera spinge l’umanità a liberarsi dalla “selva oscura” del peccato per ritrovare “la diritta via” e raggiungere, così, “la pienezza della vita nella storia” e “la beatitudine eterna in Dio”. La sua è dunque “una missione profetica” che non risparmia denunce e critiche contro quei fedeli e quei Pontefici che corrompono la Chiesa e la trasformano in uno strumento di intesse personale. Ma in quanto “cantore del desiderio umano” di felicità, l’Alighieri sa scorgere “anche nelle figure più abiette ed inquietanti” l’aspirazione di ciascuno a porsi in cammino “finché il cuore non trovi riposo e pace in Dio”.

Poeta della misericordia di Dio
Il cammino indicato da Dante – spiega ancora Papa Francesco – è “realistico e possibile” per tutti, perché “la misericordia di Dio offre sempre la possibilità di cambiare e di convertirsi”. In questo senso, l’Alighieri è “poeta della misericordia di Dio” ed è anche cantore “della libertà umana”, della quale si fa “paladino”, perché essa rappresenta “la condizione fondamentale delle scelte di vita e della stessa fede”. La libertà di chi crede in Dio quale Padre misericordioso, aggiunge, è “il maggior dono” che il Signore fa all’uomo perché “possa raggiungere la meta ultima”.

L’importanza delle donne nella “Commedia”
La Lettera apostolica “Candor lucis aeternae” dà, inoltre, la rilevanza a tre figure femminili tratteggiate nella “Divina Commedia”: Maria, Madre di Dio, emblema della carità; Beatrice, simbolo della speranza, e Santa Lucia, immagine della fede. Queste tre donne, che richiamano le tre virtù teologali, accompagnano Dante in diverse fasi del suo peregrinare, a dimostrazione del fatto che “non ci si salva da soli”, ma che è necessario l’aiuto di chi “può sostenerci e guidarci con saggezza e prudenza”. A muovere Maria, Beatrice e Lucia, infatti, è sempre l’amore divino, “l’unica sorgente che può donarci la salvezza”, “il rinnovamento di vita e la felicità”. Un ulteriore paragrafo, poi, il Pontefice lo dedica a San Francesco, che nell’opera dantesca è raffigurato nella “candida rosa dei beati”. Tra il Poverello di Assisi e il Sommo Poeta, il Papa scorge “una profonda sintonia”: entrambi, infatti, si sono rivolti al popolo, il primo “andando tra la gente”, il secondo scegliendo di usare non il latino, bensì il volgare, “la lingua di tutti”. Entrambi, inoltre, si aprono “alla bellezza e al valore” del Creato, specchio del suo Creatore.

Precursore della cultura multimediale
Artista geniale, il cui umanesimo “è ancora valido ed attuale”, l’Alighieri è anche – afferma Francesco – “un precursore della nostra cultura multimediale”, perché nella sua opera si fondono “parole e immagini, simboli e suoni” che formano “un unico messaggio” che ha quasi il sapore della “provocazione”: egli, infatti, vuole renderci “pienamente consapevoli di ciò che siamo nella tensione interiore e continua verso la felicità” rappresentata dall’Amore infinito ed eterno di Dio. Di qui, l’appello che il Pontefice lancia affinché l’opera dantesca sia fatta conoscere ancor di più e resa “accessibile e attraente” non solo agli studiosi, ma anche a tutti coloro che “vogliono vivere il proprio itinerario di vita e di fede in maniera consapevole”, accogliendo “il dono e l’impegno della libertà”.

Portare Dante a tutti, fuori da scuole e Università
Congratulandosi, in particolare, con gli insegnanti che riescono a “comunicare con passione il messaggio di Dante e il tesoro culturale, religioso e morale” della sua opera, Francesco chiede però che questo “patrimonio” non rimanga rinchiuso nelle aule scolastiche e universitarie, ma venga conosciuto e diffuso grazie all’impegno delle comunità cristiane, delle istituzioni accademiche e delle associazioni culturali. Anche gli artisti sono chiamati in causa: Francesco li incoraggia a “dare forma alla poesia di Dante lungo la via della bellezza”, così da diffondere “messaggi di pace, libertà e fraternità”. Un compito quanto mai rilevante in questo momento storico segnato da ombre, degrado e mancanza di fiducia nel futuro, sottolinea il Papa. Il Sommo Poeta – conclude la Lettera apostolica – può quindi “aiutarci ad avanzare con serenità e coraggio nel pellegrinaggio della vita e della fede, finché il nostro cuore non avrà trovato la vera pace e la vera gioia”, ossia “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

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Commento di padre Livio Fanzaga di Radio Maria al messaggio dato dalla Regina della Pace a Mirijana di Medjugorje il 18 marzo 2021

Posté par atempodiblog le 22 mars 2021

Commento di padre Livio Fanzaga di Radio Maria al messaggio dato dalla Regina della Pace a Mirijana di Medjugorje il 18 marzo 2021
Tratto da: Radio Maria FB

Commento di padre Livio Fanzaga di Radio Maria al messaggio dato dalla Regina della Pace a Mirijana di Medjugorje il 18 marzo 2021 dans Apparizioni mariane e santuari Gospa-Medjugorje

Era un anno che Mirjana non vedeva più la Madonna, dal 18 marzo del 2020. In quell’occasione la Madonna le ha comunicato che erano cessate le Apparizioni del 2 del mese durate circa 30 anni. Questa Apparizione è avvenuta in casa di Mirjana, molte persone erano fuori di casa sua a pregare. C’era un’aspettativa rispetto a questo messaggio. Di fatto ci sono ancora 3 veggenti, Vicka, Ivan e Marija che hanno ancora l’Apparizione quotidiana e 9 segreti, quindi, a mio parere, finché non hanno il decimo segreto non ha inizio il tempo della rivelazione dei segreti.

Penso che anche la pandemia sia una permissione divina che ha costretto l’uomo a prendere visione di se stesso come essere bisognoso di Dio, come essere bisognoso della grazia e essere bisognoso della preghiera.

Siamo nel tempo della grande apostasia, della grande impostura anticristica e la Madonna ha detto che abbiamo rifiutato la fede e la Croce, che molte anime sono ammalate e vanno verso la morte spirituale, che le nostre vite sono in pericolo, perché satana le vuole distruggere, ma ci ha sempre rincuorato dicendo che se siamo suoi vinceremo. Dio l’ha mandata per salvare le nostre vite e il pianeta sul quale viviamo. In questa cornice si colloca questo messaggio della Madonna.

Tutte le situazioni che noi viviamo oggi, pandemia, economia, le nostre preoccupazioni, sono sicuramente oggetto di preghiera, però la Madonna ci ricorda la preghiera del Padre Nostro: “venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, liberaci dal male”.

Questo messaggio va al cuore del problema, nel contesto in cui viviamo di grande crisi del genere umano, la Madonna ci dice qual è la cosa più importante da fare, qual è la cosa più urgente, qual è la cosa senza la quale non ci salviamo, ed è quella di tornare all’amore di suo Figlio che ci aspetta a braccia aperte. Bellissimo l’inizio, e la Madonna dice: “maternamente” e conclude con la parola: “Cuore materno”.

La Madonna vede i suoi figli in preda alla confusione, che vagano, in preda all’agitazione, alla disperazione, all’angoscia e ci indica la strada per uscirne fuori: “tutto questo vi è accaduto perché vi siete allontanati da mio Figlio”. Perché la Madonna ci ha detto che con suo Figlio la vita già su questa terra è un pezzetto di paradiso. E questo pezzetto di paradiso ce lo descrive oggi in questo magnifico messaggio.

Maternamente è la Madre che ha cura di tutti i 7 miliardi di persone che ci sono nel mondo, non ce n’è neanche una di cui non abbia cura, di cui non sappia nome, cognome, vita e opere, tutti sono stati redenti dal sangue di suo Figlio, tutti sono stati affidati alla sua sollecitudine materna. In un bellissimo messaggio la Madonna ha detto: “mio Figlio, quando ero nella casa di Nazareth, mi spiegava che sarei diventata Madre di tutti gli uomini”.

“Cari figli, maternamente vi invito a ritornare alla gioia e alla verità del Vangelo”. La gioia cristiana è un sentimento interiore che si ha ascoltando il Vangelo. Il Vangelo è la buona notizia che Dio ci ama, che Dio si è fatto uomo, che è venuto in mezzo a noi e cammina con noi. Lui ci ha liberati dal male, dal peccato, dal senso di inutilità e di vuoto della vita, da tutto ciò che è negativo dal punto di vista morale e spirituale, ci ha portati fuori dal regno delle tenebre e ci ha portati nel regno della luce. E noi che abbiamo abbandonato il Regno della Luce, per andare nel regno delle tenebre, adesso, in questo tempo di grazia, abbiamo la possibilità di ritornare.

Questo “ritornare”, significa conversione, ritornare a Gesù, ritornare alla gioia, alla verità del Vangelo, è il cammino di conversione, è la decisione della conversione, ma anche la verità del Vangelo. Gesù è la gioia, Gesù è la vita, è la pace, Gesù è la verità, è la luce. La verità, come dice la Madonna, è eterna, non cambia mai, ma noi l’abbiamo dimenticata, l’abbiamo nascosta. La gioia è per i cuori puri, la verità per le menti che si aprono alla Divina rivelazione.

Poi la frase centrale, che a mio parere è commovente: “vi invito a ritornare all’amore di mio Figlio, poiché Lui vi attende a braccia aperte”. Quando la Madonna parla di suo Figlio a braccia aperte, ho l’immagine di Gesù in Croce a braccia aperte, che offre se stesso come vittima d’amore, perché i nostri peccati siano espiati, perché le porte del Paradiso siano aperte e perché possiamo diventare figli di Dio. Quindi dobbiamo lasciare l’ingannatore, il menzognero, l’omicida che vuol distruggere le nostre vite e il pianeta sul quale viviamo, che sta mietendo innumerevoli anime nel mondo, che muoiono nell’impenitenza, nel rifiuto di Dio. E la Madonna fa appello alla libertà di ognuno, una volta ha detto: “Io nella mia umiltà, mi inginocchio davanti alla vostra libertà e vi supplico, convertitevi!”. Qui c’è anche un riferimento alla “parabola del Figliol Prodigo”, quando il padre attende il figlio, lo vede da lontano e lo attende a braccia aperte. Contempliamo questo messaggio in questo tempo di Quaresima.

Quando noi lasciamo il regno delle tenebre, la palude che ci inghiotte e ci distrugge, quando lasciamo il regno del nulla, della disperazione, della morte e entriamo, ritorniamo nel regno della vita, nel Regno di Cristo, nel regno dell’amore, della luce, cosa succede? “Affinché tutto ciò che fate nella vita lo facciate con mio Figlio, con amore”. Succede che tutto ciò che facciamo nella vita, anche le cose più semplici più umili, cioè tutta la nostra vita diventa un albero rigoglioso. Se restiamo uniti a Cristo mediante l’amore per Lui, noi siamo tralci vivi che producono opere e frutti per la vita eterna!

E la bellezza del perdono di Cristo sapete qual è? È che tutti i peccati che abbiamo fatto e di cui ci siamo pentiti, che abbiamo confessato, nel giorno del giudizio non ci verranno chiesti. Nel medesimo tempo rimangono invece per tutta l’eternità le opere che abbiamo fatto in unione con Cristo.

E così “affinché siate benedetti”. Non esiste soltanto la benedizione, c’è anche la maledizione, esistono i benedetti e i maledetti. Chi sono i benedetti? Quelli che aprono il cuore a Dio, si lasciano illuminare dalla Sua luce e lasciano che il cuore sia riempito dal Suo amore. La loro vita è una benedizione per tutti, la loro luce si diffonde su tutti, il loro amore passa dal cuore di tutti. Dio ci benedice e questa benedizione si diffonde verso gli altri.

Ma ci sono anche i maledetti, lo ha detto Gesù: “Via da me maledetti, nel fuoco eterno”, sono gli impenitenti, quelli che hanno il cuore duro, che producono il male, che sono passati dalla parte del diavolo, che sono operatori di iniquità. Non dobbiamo mai smettere di pregare per loro, per i grandi peccatori, per quelli le cui vite sono una maledizione per il mondo; come satana è una maledizione per il mondo.

Poi la Madonna ci dice che noi dobbiamo unirci a Gesù con amore: “affinché la vostra spiritualità sia interiore e non esteriore”, perché? È cristiano chi è membro vivo del corpo di Cristo, chi ha nella mente la luce della verità che lo illumina e nel suo cuore l’amore di Dio che lo riscalda. Come dice san Paolo: “Cristo vive in me”. Allora in me operano le Sue virtù: fede, speranza, carità; e le virtù morali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza e tutte le altre virtù e divento un albero fruttuoso.

È anche vero che il cristiano di appartenenza si è sfaldato, perché chi aveva un cristianesimo abitudinario, pantofolaio è stato travolto dal pensiero unico e molti hanno seguito la corrente dell’apostasia. Però adesso abbiamo un tipo di prova ancor più forte per cui soltanto quelli che sono uniti in Cristo resisteranno, come ci ha detto la Madonna: “se siete miei, vincerete!” (messaggio del 25 luglio 2019).

Allora, quando Cristo è in noi e noi siamo innamorati di Lui e con Lui c’è un’amicizia indistruttibile, allora tutte le virtù fioriscono in noi: “solo in questo modo sarete umili, generosi, colmi di amore e gioiosi”.

Vorrei esortarvi a esaminare ognuna di queste virtù, che fioriscono quando noi siamo veramente innamorati di Dio. L’umiltà è la virtù più importante, è quella della Madonna, perché permette a Dio di lavorare in te. La generosità significa dare agli altri, vivere la vita come un dono. L’amore è il fine della vita. La gioia, quando ci si sente amati da Dio si è pieni di gioia. Sono tutte virtù intersecate tra loro, sono tutte forme di esistenza meravigliosa, evangelica che è quella che salverà il mondo, che illuminerà il mondo, che riscatterà il mondo nel tempo delle tenebre, della cattiveria, dell’odio, della violenza, della prepotenza. “E il mio Cuore materno gioirà con voi. Vi ringrazio”.

Che ognuno di noi possa essere come Gesù, come fu Maria nel tempo della passione. Nel momento delle tenebre, quella luce emanata da Gesù e dalla Vergine Addolorata ha salvato il mondo. E così sia anche per noi.

Ecco questo messaggio ci ha riportato all’essenziale, alla necessità di convertirci, di tornare a Dio, ci ha messi sulla dirittura d’arrivo verso la Pasqua. Vedete che è possibile essere felici e gioiosi anche in questi tempi tribolati e lo saremo se siamo con Gesù.

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Pensando alla Croce di Gesù

Posté par atempodiblog le 14 mars 2021

Pensando alla Croce di Gesù dans Citazioni, frasi e pensieri Santa-Bernadette-Soubirous
Immagine tratta da: Mis ilustraciones

“Non passerò un solo istante senza amare. Colui che ama, fa tutto senza fatica, oppure ama la sua fatica. Oh Gesù, io non sento più la mia croce quando penso alla Tua.

Mia tenera madre, oh Maria, ecco la tua piccola che non ne può più! Guarda ai miei bisogni e soprattutto alle mie angustie spirituali. Abbi pietà di me, fa’ che io venga un giorno in Cielo con Te.

Io farò tutto per il Cielo, è là la mia patria, là io troverò la mia Madre in tutto lo splendore della Sua gloria e con Lei io godrò della felicità di Gesù stesso con una sicurezza perfetta.

O Maria, mia buona Madre, fate che a Vostro esempio io sia generosa in tutti i sacrifici che Nostro Signore potrà domandarmi nel corso della mia vita.
O Madre mia, offritemi a Gesù”.

Santa Bernadette Soubirous

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«Soffrire per salvare anime: Teresita, bimba già santa»

Posté par atempodiblog le 14 mars 2021

Intervista all’amico sacerdote
«Soffrire per salvare anime: Teresita, bimba già santa»
Colpita da un tumore, Teresita è salita al Cielo a 10 anni, dopo che la Chiesa l’ha riconosciuta missionaria, compiendo il suo più grande desiderio. Padre Alvaro, sacerdote legato alla famiglia, racconta alla Bussola che «ha offerto le sue sofferenze a Gesù per la gente, i malati, i preti». Diceva: «Vorrei portare gli altri a Gesù, ai bambini che non lo conoscono, così che vadano al Cielo felici».
di Benedetta Frigerio – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: 
Radio Maria

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Si chiama Teresita e si comprende ora quanto il suo nome non sia un caso. La vita della piccola volata in cielo a Madrid il 7 marzo all’età di 10 anni, giorno in cui la Chiesa ricorda con Felicita anche Perpetua, la santa a lei molto cara, sta facendo il giro della Spagna. Come mai? A raccontare alla Nuova Bussola Quotidiana perché questa bimba stia già colpendo tanti cuori è padre Alvaro Cardenas Delgado, sacerdote legato alla famiglia.

Il prete spiega che “Teresita Castilla de Diego è nata in Siberia ed è arrivata in Spagna all’età di 3 anni, dopo che era stata adottata dai suoi genitori spagnoli”. Colpisce che fin da piccola, nonostante la separazione dalla madre naturale, proprio come accaduto a santa Teresina di Lisieux, di cui portava il nome, era “gioviale, allegra, enormemente socievole e comunicativa, amava la sua famiglia e viveva tutto con intensità”.

Forse proprio la sua provenienza la rese, esattamente come la santa, “sensibile ai poveri e ai malati” gia’ dimostrando “una vita spirituale molto semplice, ma profonda e forte”. Tanto che sua madre ha raccontato che “nessuno gli era indifferente, ha dato il suo amore a tutti. Ha parlato ai poliziotti, ai postini…a tutti. Ogni volta che c’era un povero alla porta della chiesa, si fermava a parlargli”. Inoltre, sebbene “come tutti i bambini voleva giocare…andava a Messa tutti i giorni a ricevere la comunione nella sua scuola madrilena delle Figlie di Nostra Signora del Sacro Cuore, a Galapagar”.

La piccola, sempre come la sua patrona, è “morta in odore di santità”: infatti, “come i bambini di Fatima ha offerto le sue sofferenze a Gesù come una missione a favore dei sacerdoti, delle missioni e della salvezza di chi non conosce l’amore di Dio”. Una consapevolezza maturata attraverso “la sofferenza causata da un tumore alla testa che l’ha colpita quando aveva 5 anni”.

La malattia di Teresita si è presentata nel 2015, per cui fu subito sottoposta ad un “trattamento iniziale: un intervento chirurgico per rimuovere la massa tumorale e la chemioterapia di un anno, che ebbero successo”. Tre anni dopo però, nel 2018, il tumore è ricomparso. Per cui la bimba “ha dovuto subire una nuova operazione e un nuovo trattamento in Svizzera”. Come se non bastasse “un incidente durante il gioco, avvenuto alla fine del 2020, l’ha riportata in ospedale e il 2 gennaio di quest’anno è stata nuovamente ricoverata per forti mal di testa”. Teresita ha sofferto moltissimo ma le consolazioni non sono mai mancate.

Padre Alvaro ricorda che “prima dell’operazione, prevista per l’11 gennaio di quest’anno, fu affidata al ​​beato Carlo Acutis e alla venerabile Montse Grases”. Teresita chiese di vedere Carlo in sogno e il Signore le concesse tanto, “tuttavia non è stato possibile eseguire l’intervento chirurgico a causa di una complicanza medica. Alla prova si è aggiunto il fatto che Teresita e sua madre sono risultate positive al coronavirus, quindi hanno dovuto rimanere isolate”. Non è finita, perché “la valvola (posta nel cervello) si è guastata, era intasata e questo gli ha causato un grande dolore. Nel frattempo il tumore ha continuato a crescere senza possibilità di intervento”.

Eppure “Teresita ha vissuto questa situazione con la sua forte spiritualità. Secondo la testimonianza di sua madre: ‘Aveva offerto le sue sofferenze, credendo che Gesù ne approfittasse per salvare più anime e più anime’. Teresita aveva detto alla madre: ‘Lo offro per il popolo, per qualcuno che è malato, per i preti…’. O ancora: ‘Vorrei portare gli altri a Gesù, ai bambini che non lo conoscono, così che vadano al cielo felici per sempre’”.

La bambina era serena, affidata a Dio, che pregava sempre, e alla Madonna a cui si consegnava tramite il Rosario quotidiano. Il cielo per lei era una realtà così prossima che “qualche mese prima aveva detto più volte e molto seriamente a suo padre: “Papà, vado in paradiso!”. A dire da dove veniva tanta gioia in mezzo a tale sofferenza. La sua vita si è poi compiuta con il coronamento della sua vocazione. La piccola, infatti, sognava di diventare missionaria, proprio come santa Teresina di Lisieux. Ma se la prima lo fu entrando in clausura affinché Cristo fosse conosciuto, lei lo è stata soffrendo e sacrificando la vita. E ricordando ai missionari di tutto il mondo che a salvare le anime non è l’attivismo ma l’amore a Dio, la consegna a Lui e alla sua volontà.

Non a caso, prosegue il sacerdote, “prima della sua morte, la Chiesa di Madrid la nominò ufficialmente missionaria”. Ed è questo episodio che ha permesso la diffusione della sua fama di santità: “La vita luminosa di questa ragazza e l’offerta d’amore delle sue sofferenze sarebbero probabilmente cadute nell’oblio se padre Angel Camino Lamela, vicario diocesano di Madrid, non l’avesse conosciuta l’11 febbraio, giorno della memoria Vergine di Lourdes e Giornata Mondiale del Malato.

Ogni anno il vicario visita un ospedale, vi celebra la Messa, saluta i dottori e le infermiere e porta il sacramento dell’unzione degli infermi e della Comunione ad un malato. Quest’anno ha visitato l’ospedale di La Paz, dove era ricoverata Teresita e i cappellani hanno invitato il vicario ad incontrarla, come ha raccontato lo stesso vicario in una lettera inviata a tutti i suoi fedeli: ‘Siamo arrivati ​​in terapia intensiva adeguatamente attrezzati, ho salutato medici e infermieri, poi mi hanno portato al letto di Teresita che era accanto a sua madre Teresa.

Una benda bianca le circondava tutta la testa, ma il suo viso era abbastanza scoperto da scorgere un volto davvero luminoso’. Il vicario ha spiegato alla piccola di essere andata a trovarla ‘a nome del cardinale arcivescovo di Madrid per portargli Gesù’.

A quel punto la bimba gli chiese: “Mi porti Gesù, giusto?”, aggiungendo: “Sai una cosa? Amo molto Gesù ”. In quel momento la madre, invitò la figlia a dire al vicario cosa desiderava e Teresita ha risposto: “Voglio fare la missionaria”. Il vicario ha ammesso che la risposta era “del tutto inaspettata per me. Prendendo la forza che non avevo, per l’emozione che mi ha suscitato, le ho detto: ‘Teresita, ti sto rendendo missionaria della Chiesa in questo momento e questo pomeriggio ti porterò il documento che lo accredita e la croce missionaria’”.

Il vicario ha poi amministrato il sacramento dell’Unzione e le ha dato la Comunione e la benedizione apostolica del papa, come spiega nella sua lettera: “È stato un momento di preghiera, estremamente semplice, ma profondamente soprannaturale. Si sono unite a noi alcune infermiere che ci hanno scattato spontaneamente alcune foto, per me del tutto inaspettate, e che rimarranno un ricordo indelebile. Ci siamo salutati mentre lei, con la madre, è rimasta a pregare e ringraziare”.

Dopo aver lasciato l’ospedale, continua padre Alvaro, “padre Ángel ha redatto il documento in cui la costituiva missionaria, ha preso la croce del missionario e alle cinque del pomeriggio è tornato di nuovoin ospedale per portarli Teresita. Appena la madre della bimba lo ha visto, ha esclamato ad alta voce: ‘Teresita, non posso crederci! Il vicario sta arrivando con il regalo per te’. La bimba ha quindi preso tra le mani il documento e la croce e ha chiesto alla madre di appenderlo vicino al letto: ‘Metti quella croce sulla sbarra così posso vederla bene, e domani la porterò in sala operatoria. Sono già missionaria’”.

Padre Alvaro sottolinea il potere consolatorio di “quel regalo, arrivato a Teresita in un momento particolarmente difficile, dopo due mesi di terribili dolori, esami e operazioni in un reparto di terapia intensiva dell’ospedale. Come ha spiegato la madre di Teresita all’arcidiocesi di Madrid: ‘Allora aveva già due valvole che si erano guastate e ogni volta che accadeva le faceva molto male’”.

Eppure, quello stesso giorno Teresita “ha inviato alla zia, sua madrina, un messaggio vocale dicendole che era stata nominata missionaria. Con una voce molto dolce, come chi è molto stanco ma trae forza da altro, ha detto: ‘Ciao zia, ti dico una cosa molto importante per me, questa mattina dopo aver ricevuto l’Unzione e la Comunione, il Il vicario di Madrid mi ha fatto missionaria: sono già missionaria’”.

Segnata dai patimenti, nelle sue ultime settimane di vita la bimba “era come una donna crocifissa”, ha detto la madre, che “di fronte all’impossibilità per Teresita di bere, le ha messo in bocca una garza imbevuta d’acqua”, continua il sacerdote. La madre ha poi aggiunto che “ho visto un martirio nella malattia di mia figlia e ogni volta che entrava nella stanza di terapia intensiva era come andare al Calvario. La ragazza non poteva più parlare, ma sapevo che mia figlia offriva tutta la sua sofferenza. Teresita era molto innamorata di Gesù. Disse a sua nonna che prima di amarla, doveva amare di più Gesù”. E “In mezzo al dolore più forte ha detto quasi senza voce: Sacro Cuore di Gesù, confido in Te”.

Padre Alvaro conferma che “più soffriva, più cresceva il suo desiderio”. Come disse a sua madre qualche giorno prima di diventarlo: “Voglio fare la missionaria adesso!”. Non solo, perché dopo che il vicario episcopale l’ha costituita tale, è accaduto un fatto che lo ha sbalordito, come ha raccontato lui stesso: “Quello che non potevo immaginare è che, attraverso i contatti dei genitori, questa testimonianza sia arrivata alle orecchie del Delegato della Missione Nazionale”, che lo ha chiamato affermando che “questa testimonianza ha fatto il giro dell’intero mondo missionario spagnolo che ha già fatto di Teresita una nuova protettrice per i bambini in missione”.

Certamente anche i genitori di Teresita, proprio come Luigi Martin con la figlia, hanno accolto eroicamente la missione della piccola, come dimostrano le parole materne: “Un giorno mi ha chiesto il motivo di quel dolore e le ho spiegato che lei era un’amica intima di Gesù che glielo ha dato per partecipare alla sua croce e lei ha capito perfettamente”.

La convinzione che la bimba sia santa viene dalla Chiesa, che il giorno della salita al cielo di Teresita, tramite il vicariato, ha mandato un messaggio all’impresa di pompe funebri: “Se Teresita non è in Paradiso, allora lì non c’è nessuno”. Perciò, conclude padre Alvaro, “ha invitato tutti ad affidarsi a Teresita, convinti che abbiamo un grande avvocata in cielo. Una convinzione che si estende dove si incontra la sua testimonianza di vita”.

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Sanremo/ Comunicato del Vescovo Antonio Suetta

Posté par atempodiblog le 7 mars 2021

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A seguito di tante segnalazioni di giusto sdegno e di proteste riguardo alle ricorrenti occasioni di mancanza di rispetto, di derisione e di manifestazioni blasfeme nei confronti della fede cristiana, della Chiesa cattolica e dei credenti, esibite in forme volgari e offensive nel corso della 71 edizione del Festival della Canzone Italiana a Sanremo, sento il dovere di condividere pubblicamente una parola di riprovazione e di dispiacere per quanto accaduto.

Il mio intervento, a questo punto doveroso, è per confortare la fede “dei piccoli”, per dare voce a tutte le persone credenti e non credenti offese da simili insulsaggini e volgarità, per sostenere il coraggio di chi con dignità non si accoda alla deriva dilagante, per esortare al dovere di giusta riparazione per le offese rivolte a Nostro Signore, alla Beata Vergine Maria e ai santi, ripetutamente perpetrate mediante un servizio pubblico e nel sacro tempo di Quaresima.

Un motto originariamente pagano, poi recepito nella tradizione cristiana, ricorda opportunamente che “quos Deus perdere vult, dementat prius”.

Quanto al premio “Città di Sanremo”, attribuito ad un personaggio, che porta nel nome un duplice prezioso riferimento alla devozione mariana della sua terra d’origine, trovo che non rappresenti gran parte di cittadinanza legata alla fede e dico semplicemente “non in mio nome”. 

Sanremo, 7 marzo 2021.

+Antonio Suetta
Vescovo di Ventimiglia – San Remo

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