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Il senso radicale di questo Natale

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2020

Il senso radicale di questo Natale
Noi non aspettiamo qualcosa: aspettiamo qualcuno. Questa differenza è decisiva, radicalmente decisiva, lungo tutta la nostra vita
di Angelo Scola (Arcivescovo emerito di Milano, Cardinale di Santa Romana Chiesa del titolo dei Santi XII Apostoli) – Il Foglio
Tratto da: Radio Maria

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La pandemia ci sta costringendo a ri-immettere nella nostra vita in termini seri la questione delle questioni. Con quali occhi potremo guardare al futuro?

La dolcezza del Dio che si fa bambino riporta tutti noi all’età dell’innocenza, cioè agli anni della prima infanzia. In proposito mi è rimasto impresso un episodio accadutomi a Venezia. Vicino a San Marco c’è una scuola materna. La suora che allora la guidava mi aveva più volte invitato a visitarla per farmi incontrare i bambini e, tenace, rinnovava continuamente l’invito. Un giorno dal mio studio dove stavo ricevendo, sento un gran vociare salire dal cortile del patriarchìo. Scendo giù e trovo la suora, tutta contenta, attorniata da almeno un centinaio di bimbi seduti per terra. Uno di loro, deciso, mi chiama vicino con un cenno della mano e mi pone una domanda del tipo: Cosa fa un vescovo? Poi a occhi sgranati per la meraviglia, mi ascolta con estrema serietà. Ecco cos’è l’innocenza, pensai. Sintesi mirabile di stupore e di serietà.

“Diversamente dai bambini, noi adulti, nel nostro modo di muoverci quotidiano, siamo abituati a separare lo stupore dalla serietà”

Riandando poi a quell’incontro, ho fatto una considerazione. Diversamente dai bambini, noi adulti per svariati motivi, nel nostro modo di muoverci quotidiano, siamo abituati a separare lo stupore dalla serietà. Nel momento in cui veniamo presi, attratti da qualcuno o qualcosa che desta la nostra meraviglia, abbandoniamo quella serietà che l’impegno con la realtà sempre comporta. Al contrario, quando dobbiamo essere seri perché la circostanza lo esige, perdiamo ogni senso di meraviglia. La nostra è, di solito, un’esperienza di divisione a livello affettivo; quel livello cioè che precede la scelta, ma mette in campo la modalità di giudicare e di agire in ogni aspetto della nostra esistenza.

Per capire il Natale bisogna anzitutto subirne l’attrattiva. Bisogna lasciarsi colpire dal dato, dall’avvenimento che esso è. Andando poi fino in fondo e con serietà a quello che implica. Se Natale ci propone il dato di Dio che si fa Bambino, noi non possiamo ridurlo a cose che sono dell’ordine delle conseguenze. Per dirlo con il cardinal Biffi, non possiamo celebrare la festa rimuovendo il Festeggiato. A Natale – scrissi un anno nella tradizionale Lettera che l’Arcivescovo di Milano manda ai bambini – noi non aspettiamo qualcosa (i regali, i dolci ecc.) ma aspettiamo qualcuno. E mi riferii ad esperienze a loro molto familiari, come l’attesa del papà o della mamma la sera, al ritorno dal lavoro. O all’attesa gioiosa dell’arrivo di un fratellino…

Questa differenza tra l’attesa di qualcosa o di qualcuno è altrettanto decisiva, radicalmente decisiva, anche per noi adulti, lungo tutta la nostra vita. Perché? Pensiamo per un istante al grave travaglio dovuto alla pandemia che stiamo vivendo, ma pensiamo alla tragedia delle guerre dimenticate, in Africa come nel Medio oriente, in atto in questo momento. Pensiamo alla crescita esponenziale del numero dei poveri, anche tra noi: debolezza di solidarietà e vanificazione della sussidiarietà. O al dolore straziante delle centinaia di persone morte in solitudine e a quello dei loro familiari…

“Per dirlo con il cardinal Biffi, non possiamo celebrare la festa rimuovendo il Festeggiato”

Tutto dentro e intorno a noi grida il bisogno di un senso. Anche se normalmente dai pulpiti della televisione o dei new media la questione viene silenziata. Anche se di fronte a una prova che mette in gioco le cose ultime il senso non può non essere – lo si sappia o meno, e lo si voglia o meno – domanda religiosa. Con un’immagine molto suggestiva George Steiner, l’agnostico pensatore ebreo recentemente scomparso, paragona la notte oscura dei valori che le società del primo mondo stanno vivendo al venerdì e al sabato santo. Viviamo la tragedia del venerdì e la lunga attesa del sabato; ma molti sono convinti che il messia non verrà e il sabato continua.

Riformuliamo il grido parafrasando san Paolo: “Chi ci libererà da questo sapore di morte che sta attraversando questo nostro tempo?” Con quali occhi noi potremo guardare al futuro? La pandemia ci sta costringendo a ri-immettere nella nostra vita in termini seri la questione delle questioni. La storia dell’Occidente – ma si può dire la storia di ogni popolo – è sempre stata mossa ed è tuttora mossa, magari in forma idolatrica, dal reperimento della X con la maiuscola che possa trasformare ogni circostanza, anche la più negativa, in una occasione di lavoro su noi stessi e sulla vita sociale. Ecco chi aspettiamo a Natale. Aspettiamo un Dio che si fa bimbo, riunifica la nostra esperienza vitale, coniugando sapientemente meraviglia e serietà. Un bimbo che è venuto per amore e, da adulto, per amore ha sfidato una passione terribile e una morte ignominiosa, sulla croce dei malfattori. Un uomo che, essendo figlio di Dio, ha voluto soffrire su di sé ogni nostro peccato per restituirci quella prospettiva di eternità inscritta nel nostro essere ad immagine di Dio. La relazione con Dio, costitutiva di ogni uomo, inesorabilmente ci parla di immortalità e di risurrezione della carne. Proprio perché abbiamo questo legame con Dio, noi siamo destinati a durare in eterno.

“George Steiner paragona la notte oscura dei valori che le società del primo mondo stanno vivendo al venerdì e al sabato santo”

Per la fede cristiana la vita eterna incomincia dal battesimo, ricevuto magari nella primissima infanzia e poi progressivamente rimosso dalla memoria, per terminare in quello che la grande tradizione cristiana ha sempre chiamato “il Cielo”, dove i rapporti con Dio, con gli altri e con noi stessi saranno stabilmente rigenerati dentro un’esperienza di amore ricevuto e donato. “Fratelli tutti” ci ha ricordato Papa Francesco. Essere amati, per poter a nostra volta amare ed affrontare la vita di quaggiù che, pur nell’inevitabile dialettica di luce e di ombre, è caparra di eternità.

“Io, ma non più io: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo”: Benedetto XVI ha sintetizzato con una potente inarrivabile espressione l’esperienza cui il Natale ci abilita. Contemplare nel Natale il mistero dell’Incarnazione significa immergere occhi e cuore in un Dio che si fa bambino per condividere la nostra esperienza fino in fondo, fino a dare la vita e a inabissarsi negli “inferi” gustando l’amaro dello svuotamento totale. Proprio per questo egli ora ci sta attirando con la forza della sua risurrezione nel luogo del bene, della giustizia, della verità e della pace.

Mai come quest’anno sentiamo vere le parole di Eliot nel suo Viaggio dei Magi: “…Ci trascinammo per tutta quella strada per una Nascita o una Morte? Vi fu una Nascita, certo, ne avemmo prova e non avemmo dubbio. […] per noi questa Nascita fu come un’aspra ed amara sofferenza. Tornammo ai… nostri regni… fra un popolo straniero che è rimasto aggrappato ai propri idoli. Io sarei lieto di un’altra morte.

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Ci vuole la consolazione di un Dio-con-noi

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2020

Ci vuole la consolazione di un Dio-con-noi
La grazia è che nella vita e nella storia, come in questo Natale, si aprono brecce attraverso le quali può finalmente entrare il mare della consolazione del Dio-con-noi
di Dom Mauro-Giuseppe Lepori OCist – Il Sussidiario

Ci vuole la consolazione di un Dio-con-noi dans Articoli di Giornali e News Adorazione

“Consolate, consolate il mio popolo!” (Is 40,1): cosa possiamo chiedere al Natale, alla fine di un anno come questo, se non la consolazione del Dio-con-noi, l’Emmanuele, nel mezzo delle prove della vita?

Nel suo profondo libro sulla veggente di Lourdes, Franz Werfel dice che fino al momento in cui vide la Bella Signora, nella grotta di Massabielle, Bernadette “non sapeva che aveva bisogno di consolazione” (Il canto di Bernadette, capitolo 7). La miseria obbligava lei e la sua famiglia a cercare ogni giorno una soluzione ai problemi immediati. Sopravvivere era il grande successo di ogni giornata. Ma alla luce dello sguardo della Vergine Maria, Bernadette ha scoperto quello che il suo animo puro già percepiva: il cuore non si sazia di soluzioni, ma di una Presenza che ti guarda e sta con te, che ti riempie dentro, e ti rende soggetto della tua vita. Un bisogno più profondo dei nostri mille bisogni ci salva dal divenirne schiavi. I bisogni ci spingono a sopravvivere; il desiderio di Dio ci dà di vivere.

Ma ci vuole la consolazione di una Presenza, di un Dio-con-noi, altrimenti anche il desiderio di Dio rischiamo di confonderlo con gli altri, o di sentirlo meno urgente degli altri. L’istinto di sopravvivenza si impone con un’urgenza che ci prende alla gola; non è come il Signore mite ed umile di cuore che, pur essendo tutto ciò di cui abbiamo veramente bisogno, se ne sta dietro la porta a bussare discretamente, aspettando che troviamo la voglia e il tempo di aprirgli. Riduciamo spesso Dio a un passatempo, a un hobby per il tempo libero, Lui, l’Alfa e l’Omega, l’Origine e il Destino del cosmo e della storia. La grazia è che nella vita e nella storia, come ora, si aprono brecce attraverso le quali può finalmente entrare il mare della consolazione di Dio. Allora, come Bernadette, capiamo che non avevamo bisogno d’altro.

La consolazione di Dio non viene però a censurare le necessità della vita, non viene a disprezzare tutto quello che viene a mancare, come il pane, il lavoro, la salute, la sicurezza di una famiglia, l’educazione dei figli, l’accompagnamento degli anziani e dei malati. La consolazione di Dio è Cristo che nel Vangelo vediamo preoccuparsi dei bisogni umani fino al dettaglio: “Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano” (Mc 8,2-3). Le proposte religiose o spirituali che censurano l’umano, soprattutto l’umano degli altri, dei più poveri, sono sempre alienanti. Ma lo sono anche le proposte sociali e politiche che censurano il bisogno di Dio. Cristo consola il bisogno profondo del cuore nell’atto di prendersi cura di ogni dettaglio della nostra fame, della nostra sete, del nostro essere stranieri, nudi, malati, prigionieri… Ci rivela nella Sua persona una Salvezza che abbraccia tutta la nostra umanità.

Proprio per questo la sua venuta a consolarci comporta una sorpresa a cui, troppo intenti ai nostri bisogni, spesso non pensiamo. Cristo ci rivela il bisogno degli altri. Anzi: il Suo bisogno negli altri: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Il bisogno dell’altro è in realtà il bisogno di Gesù. Questa rivelazione ci svela però anche il nostro bisogno più profondo e come esso si soddisfa in Cristo. Il nostro cuore ha bisogno di amare, ha bisogno di sperimentare la sua natura e vocazione ad essere misericordioso come il Padre, ad amare come Dio. La venuta di Cristo nella nostra carne, nella nostra umanità, ci rivela che siamo fatti per amare Dio amando come Lui ama. Rispondendo al bisogno del fratello, è la sete del mio cuore che soddisfo, che è sete non solo di Dio, ma di essere come Lui, di essere Lui, identificandomi, per grazia Sua, al Suo essere dono, dono divino che umanamente si è espresso in Gesù Cristo, dalla mangiatoia di Betlemme alla Croce.

Il paradosso cristiano è che la vita non è salvata da quello che si guadagna, ma da quello che si dona, perché Dio si è donato per noi, senza misura. Anche quando donarsi è un perdersi. Nulla unifica e pacifica l’esistenza più della fede che tutto in essa, assolutamente tutto, è chiamato ad amare l’amore di Cristo, la sua presenza che risponde al desiderio del cuore facendosi prossimo da amare in ogni istante e occasione.

Dopo aver trasmesso l’invito di Dio a consolare il popolo, Isaia ci chiede di gridare: «Una voce dice: “Grida!” e io rispondo: “Che devo gridare?”» (Is 40,6). La tentazione del profeta, come per noi, è di limitarsi a gridare un lamento, di gridare solo per maledire quello che non va. Dio invece invita a gridare un annuncio, la Buona Novella di una presenza che salva: «Alza la voce, non temere; annunzia alle città di Giuda: “Ecco il vostro Dio! (…) Come un pastore egli fa pascolare il gregge e il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri”» (Is 40,9-11).

L’annuncio, il Vangelo da gridare senza timore è la venuta di un Pastore forte e tenero ad un tempo: Cristo che ci accompagna attraverso tutte le valli oscure della vita e della storia, donandoci l’esperienza che ciò che rende bella e sicura la vita è la comunione con Lui, la tenerezza di questo suo portarci in braccio, sul suo petto, come agnellini.

Il Papa ci dona un anno specialmente consacrato a san Giuseppe, proprio per aiutarci a vivere come lui all’ombra e alla luce della paternità di Dio, con una coscienza di fede che cambia il volto della realtà, anche la più negativa. “La nostra vita – scrive Papa Francesco – a volte sembra in balia dei poteri forti, ma il Vangelo ci dice che ciò che conta Dio riesce sempre a salvarlo, a condizione che usiamo lo stesso coraggio creativo del carpentiere di Nazareth, il quale sa trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza” (Lettera Apostolica Patris corde, 5). È così che anche il Figlio di Dio ha vissuto in mezzo a noi, e che vuole continuare a vivere in noi, nel suo Corpo ecclesiale che attraversa il corso della storia generandola, passo dopo passo, all’eternità. Il Natale di Cristo fa rinascere il mondo.

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Buon Natale di Gesù a tutti!

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2020

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Consacrazione alla Vita della Grazia e Carità Progressiva

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2020

Consacrazione alla Vita della Grazia e Carità Progressiva
del Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

Consacrazione alla Vita della Grazia e Carità Progressiva dans Don Giustino Maria Russolillo Stringersi-a-Maria-e-a-Ges

Ecco ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio! Dalla vergine Maria immacolata, divenuta vera madre di Dio, ci è nato il bambino, un Figlio! Dal Signore Dio, il Padre altissimo, l’eterno ci è stato dato. O santa Maria, madre di Dio, ottienimi, perenne, il natale di Gesù nella mia vita! O Dio Padre, concedimi perennemente il dono del tuo Figlio!

Vorrei il tuo cuore di vergine madre di Dio, o santa Maria per questo bambino! Vorrei il tuo spirito d’amore, Dio Padre di nostro Signore Gesù Cristo, per questo tuo Figlio! Come posso portarlo nelle mie braccia, come posso stringerlo al mio cuore essendo così misero e freddo nella carità divina? Pensaci e provvedici tu, o Maria, o divin Padre, o Spirito Santo!

Mi unisco agli angeli nell’andar cantando ovunque: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli”, poiché ecco tra noi il suo divin Verbo incarnato! Solo tu, o Gesù, sei tutta la gloria di Dio! Poiché tu, immagine sostanziale del Padre, riveli tutte le perfezioni della divinità, anche attraverso la tua umanità! Comincia dal tuo primo apparire tra noi, o uomo Dio bambino!

Vieni a vivere in me, o uomo Dio Gesù, e serviti di tutto il mio essere per glorificare il Padre; rivela attraverso la mia vita esteriore le divine perfezioni, metti a servizio delle divine opere tutta la facoltà e atti miei, e ricolma della tua divina lode di gloria di amore tutto il mio interno.

Mi unisco agli angeli nell’andar cantando ovunque: “Pace agli uomini”, poiché è venuto l’agnello di Dio, colui che toglie i peccati, nostra guerra di ribellione al Signore; colui che spezza le catene della nostra infelicità di schiavi del demonio; colui che soddisfa per tutti i nostri debiti con la giustizia divina, quale nostro riparatore e salvatore.

Tu solo porti la pace agli uomini, o Gesù! Tu solo puoi, e tu solo vuoi consolare ogni cuore desolato, e sollevare ogni spirito umiliato; tu solo ci unisci alla ss. Trinità e ci comunichi il bene divino di cui si appaga il cuore. In te, unico mediatore, avviene l’abbraccio eterno tra Dio e l’uomo. Sei tu, Gesù, la gloria di Dio in persona, la pace dell’uomo in persona.

O Gesù metti e fa’ tu stesso in me la buona volontà; quella che vuole solamente il bene, la volontà che in tutto e sempre vuole te e solo te, e vuole te personalmente in tutte le cose, e vuole te direttamente, intensamente, esclusivamente e nulla può piacerle fuori di te, nulla può distrarla da te, o Gesù, metti e fa’ tu stesso in me questa volontà tutta santa e divina.

Con gli angeli voglio annunziare a tutti gli uomini questo gaudio unico e sommo della tua incarnazione, o divin Verbo e Figlio di Dio Padre e della vergine Maria. Fa splendere questa luce a tutti i giacenti nelle ombre del peccato, a tutti i languenti nelle penombre della tiepidezza, e aiuta tutti i fratelli a venire a te, Gesù, a ricevere la vita divina che sei venuto a portare!

Venite a vedere, o anima mia, o miei sensi, fantasia e sentimenti! Venite a vedere o mio intelletto, memoria e volontà! Venite a vedere, o mio coscienza, ragione e liberta! Venite a vedere questo divin Verbo incarnato! Restiamo a contemplare per tutta la vita quest’uomo Dio Gesù! Entriamo nelle sfere del mistero dell’incarnazione, sino al tuo natale nel mistero delle sfere celesti della gloria del paradiso!

Accoglietemi o san Giuseppe mio, o ss. vergine Maria, come vostro schiavo d’amore, a servire per tutta la mia vita questo Dio bambino, e concedetemi di crescere nella sua conoscenza e servizio d’amore, sì da poter essere l’amico della sua giovinezza eterna, il discepolo della sua dottrina, l’apostolo del suo nome, il sacerdote del suo sangue, il prediletto del suo cuore.

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