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Radio Maria e il divieto di avanzare ipotesi

Posté par atempodiblog le 19 novembre 2020

Radio Maria e il divieto di avanzare ipotesi
In un mondo che mette in discussione ogni cosa, avanzare delle ipotesi crea reazioni spropositate, anche fra cattolici
di Marco Invernizzi – Alleanza Cattolica

Radio Maria e il divieto di avanzare ipotesi dans Anticristo Fanzaga

Improvvisamente, una domenica pomeriggio, i giornali online hanno scoperto che padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, avrebbe denunciato un “complotto” dietro la diffusione del Covid-19 e hanno riempito i rispettivi media con articoli scandalizzati. Avevo ascoltato l’intervento di padre Livio, peraltro precedente di diversi giorni, e avevo notato come il direttore di Radio Maria si preoccupasse di sottolineare che la sua è una ipotesi, e che le ipotesi sono opinioni che si possono cambiare di fronte a nuovi fatti che mutassero il quadro della situazione.

L’impressione che ho, anche questa è una ipotesi mi raccomando, è che il mondo dei media, i “giornaloni“ come li chiama padre Livio, detesti Radio Maria e cerchi sempre l’occasione per metterla in cattiva luce presso l’opinione pubblica. Diversamente non si spiegherebbe tanto accanimento e l’andare a ripescare una trasmissione precedente di diversi giorni, che per un quotidiano significano mesi se non anni.

Ma che cosa ha detto padre Livio di tanto politicamente scorretto?

  1. Ha detto che il virus potrebbe essere stato diffuso in modo non casuale. Queste le parole esatte, affidate all’agenzia Adnkronos per precisare meglio il contenuto delle sue trasmissioni sul tema e che tutti possono leggere sul sito di Radio Maria: «Per quanto riguarda l’origine della pandemia ho avuto fin dall’inizio l’impressione che non fosse casuale. Mi è parso un fenomeno troppo grosso per essere tale. Mi ha inoltre fatto pensare il fatto che proprio l’Occidente sia la parte del mondo più colpita di altre. Probabilmente non sapremo mai qual è l’origine della pandemia ma, fino a prova contraria, a mio parere resta sul tavolo l’ipotesi che possa essere stata provocata volutamente. Mi auguro di no e vorrei essere smentito. Può anche essere che l’uscita del virus da qualche laboratorio di armi biologiche sia stata un infortunio».

  2. La seconda cosa scandalosa che il direttore di Radio Maria ha detto riguarda Satana, una parola impronunciabile nel mondo del giornalismo e, in generale, fra gli intellettuali che scrivono sui “giornaloni”, tutti succubi del laicismo: «Se fosse vero (e spero di no) che la pandemia sia un progetto provocato da chi vuole costruire un “uomo nuovo” e “un mondo nuovo” sulle nostre spalle e a nostra insaputa, è ovvio che per un cristiano la mente ispiratrice non può essere che il maligno».

Siamo di nuovo di fronte a una ipotesi, ma frutto di un ragionamento. Che il male esista, nel caso specifico che il virus sia un male, anche un ateo non può non riconoscerlo. E allora qui si apre un tema antico quanto l’uomo, cioè quale sia l’origine del male. Il male può essere provocato o casuale, voluto o frutto di un incidente di laboratorio. Poi ci sono delle varianti: può essere casuale ma venire sfruttato da qualcuno per accrescere il proprio potere. Certamente esiste un altro dato di fatto, e cioè che il sistema sociale del mondo occidentale sta cambiando sotto la spinta della diffusione del virus. I piccoli chiudono e le grandi multinazionali guadagnano sempre maggiori spazi commerciali. Per fare un esempio, le librerie chiudono e Amazon aumenta il fatturato, oppure i tassisti vendono le loro licenze e vanno a lavorare come dipendenti appena ne trovino la possibilità. Questo significa che nel giro di non molti anni il mondo occidentale cambierà aspetto, se continuasse questa tendenza: meno proprietari, più concentrazione di potere economico in poche mani, in pratica il contrario di una società equilibrata basata sui principi di sussidiarietà e solidarietà. Questo non è un complotto, ma un fatto. Si tratta di vedere se c’è un agente a monte del progetto, oppure se qualcuno si sta approfittando di qualcosa che è accaduto ed è sfuggito di mano, oppure se siamo completamente in balia di una situazione andata fuori controllo. Credo che fare delle ipotesi e parlarne sia doveroso e necessario. Il complotto sarebbe impedire di affrontare il tema.

Infine Satana, la parola impronunciabile. Ma se il male esiste, non è un complotto chiedersi quali possano essere le cause naturali e soprannaturali (per chi ha il dono della fede).

Stupisce infine, e lo scrivo con profondo rammarico, che all’interno del mondo cattolico padre Livio non venga difeso da questa nuova aggressione mediatica, che mira con evidenza a screditarlo. Perciò mi ha fatto male l’intervento quasi appassionato del direttore del quotidiano dei vescovi italiani, Marco Tarquinio, per prendere le distanze dal direttore di Radio Maria su Avvenire del 17 novembre. Si parla tanto di non dividere, di unire, di non creare contrapposizioni e, poi, si evita di affrontare benevolmente un’ipotesi avanzata da un confratello nella stessa fede. Viviamo in un mondo strano, nel quale si mette in discussione ogni cosa, dal Papa all’identità sessuale delle persone, ma quando viene avanzata una ipotesi estranea al politicamente corretto “apriti cielo”. Mala tempora

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«Vi racconto don Dolindo, mistico conformato a Gesù»

Posté par atempodiblog le 19 novembre 2020

«Vi racconto don Dolindo, mistico conformato a Gesù»
«Don Dolindo venne calunniato, perseguitato, ma rimase sempre fedele alla Chiesa, che chiamava santa e indefettibile. E diceva che “i miei libri riabiliteranno la mia memoria”». «Aveva il dono di scrutare i cuori, lo scambio di dolori e Gesù gli disse che doveva prendere su di sé le sofferenze di tutti». «Fu tormentato dal diavolo per il suo ultimo libro, che volle essere un omaggio alla Madonna». La Bussola intervista Grazia Ruotolo, per il 50° anniversario della morte di don Dolindo.
di Ermes Dovico – La nuova Bussola Quotidiana

L'infinita misericordia di Dio nel ricercare i peccatori e nell'accoglierli, in uno sguardo generale alle parabole di Gesù dans Commenti al Vangelo don_Dolindo_Ruotolo

Cade esattamente oggi il 50° anniversario della morte di don Dolindo Ruotolo (1882-1970), mistico originario di Napoli di cui è in corso la causa di beatificazione. Per la circostanza, come già riferito su questo quotidiano, la Ares ha pubblicato il libro “Gesù, pensaci Tu”, con il racconto in prima persona – affidato al giornalista Luciano Regolo – di Grazia Ruotolo (1928), cugina di secondo grado di don Dolindo. Il Servo di Dio aveva un legame fortissimo con il cugino Umberto, padre di Grazia (che nel riferirsi a don Dolindo lo chiama affettuosamente “zio”), della quale poi – dopo averne accompagnato la crescita nella fede – avrebbe anche celebrato le nozze. La Nuova Bussola l’ha intervistata.

Grazia Ruotolo, per lei don Dolindo è stato non solo un familiare ma anche una guida spirituale. Era una presenza consueta a casa vostra?
Sì, era un’emozione, se si trovava nei paraggi passava di giorno ma di solito veniva verso le 11 di sera, dopo aver fatto il giro di tutti i malati. Quando bussava alla porta, mio padre Umberto diceva: “Andate ad aprire, questo è Dolindo che arriva”. Arrivava con la sua famosa borsa a tracolla piena di pietre, che lui chiamava “perle preziose per il Cielo”. Era una delle tante penitenze e sofferenze che offriva per la salvezza delle anime.

A proposito di sofferenze, don Dolindo, un po’ come padre Pio e altri santi, ha avuto tante incomprensioni all’interno della stessa Chiesa.
Lui e padre Pio sono due giganti della Chiesa. Don Dolindo venne calunniato, perseguitato, ma diceva che “i miei libri riabiliteranno la mia memoria”. A lui interessava solo essere un semplice sacerdote, al servizio di Dio e del prossimo. Fu una delle figure più importanti della Napoli cattolica. A volte lo chiamavano per predicare anche in 8-9 chiese al giorno. Anche se subì persecuzioni da alcuni ecclesiastici, fino a due sospensioni a divinis, guai se qualcuno parlava male della Chiesa con lui: “Tacete, la Chiesa è santa, immacolata, indefettibile”, diceva. Negli anni in cui gli fu proibito di esercitare il ministero sacerdotale, si metteva all’ultimo posto della chiesa e poi, per la Comunione, da umile fedele andava a ricevere l’Eucaristia. Voleva che tutti sapessero che lui rimaneva fedele alla Chiesa. Non se ne allontanò mai.

Della vita di don Dolindo stupisce la capacità di accettare la croce, in ogni situazione.
Gesù aveva detto a padre Dolindo di prendere su di sé le sofferenze di tutti. Lui ebbe il dono mistico dello scambio di dolori. Chiamava i conventi, per esempio le suore di clausura, e diceva: “Datemi le vostre sofferenze”. Tutti i giorni chiedeva a Dio il dono del dolore insieme all’amore, la fede, la mansuetudine, l’umiltà.

Tenne questo atteggiamento anche con i suoi calunniatori?
Lui li amava come un padre, pregava per loro, andava perfino a trovarli a casa per far tornare il sereno nel loro cuore e, naturalmente, i suoi denigratori rimanevano sbigottiti per tanta carità. E se i suoi amici protestavano, replicava: “Tacete, quelli sono miei benefattori”. Perché gli davano la possibilità di offrire delle sofferenze, unendole a quelle di Gesù. E poi riteneva che tutto fosse volontà di Dio. Diceva sempre: “In casa nostra si mangia pane e volontà di Dio”. Questa sua santità convertiva le anime. Pensi che nel periodo in cui fu accusato dal Sant’Uffizio convertì una famiglia di massoni che da più di quarant’anni non si avvicinava ai Sacramenti. Ha vissuto con un solo pensiero, la gloria di Dio. Insegnava che qualunque azione, anche la più piccola, deve essere fatta con questo proposito: “Signore, per la tua gloria”. Questa era la spiritualità di padre Dolindo.

Lei ha definito il Commento alla Sacra Scrittura “il più grande miracolo” di don Dolindo. Perché?
Guardi, nei 33 libri del Commento alla Sacra Scrittura c’è tutto, l’esegesi, la meditazione, la psicologia. Lui spiegava che la Sacra Scrittura è una casa esorcizzata, perché la presenza di Dio allontana il Maligno. Quando finiva uno di questi libri, veniva da noi e diceva a mio padre: “Umbe’, leggi, leggi. Questi libri, un giorno, faranno tanto bene alle anime”. Non sa quante persone mi hanno detto di esserne rimaste conquistate. E solo Dio sa quante conversioni sono nate da quest’opera. Sa come l’ha scritta? Stava in ginocchio a pregare anche fino alle due di notte, si flagellava e poi scriveva sempre in ginocchio, con la Madonna o con Gesù vicino a lui. La quantità dei suoi scritti è impressionante. Alcuni devono ancora essere pubblicati, per esempio ci sono dei bellissimi epistolari inediti.

Don Dolindo è stato anche un grande confessore. Ci può raccontare qualcosa?
Aveva il dono di scrutare i cuori. Quando un penitente si inginocchiava per dirgli i propri peccati, lui li sapeva già… Se gli capitavano dei penitenti con peccati gravi, li ascoltava senza dire una parola, ma intanto piangeva pensando al dolore che questi peccati avevano causato a Gesù e Maria. E poi, finita la Confessione, apriva il confessionale e abbracciava forte il confessato: “Quanto sei buono! Io non so se avrei avuto il coraggio di confessare questi peccati”, gli diceva padre Dolindo. Sa quali effetti! Pure i peccatori più incalliti diventavano delle pecorelle, degli apostoli di Dio, non si allontanavano più dalla Chiesa.

Leggendo la sua vita, in effetti, colpisce la quantità di figli spirituali.
Lui viveva una vita celeste, per questo le folle lo seguivano. Ma sempre a proposito della Confessione le voglio raccontare un episodio che nacque dalla carità di tre sue figlie spirituali (Elena Montella, Nina Scotti, Bice Tavassi), che tra le altre cose – come testimoniarono nel libro Tre signorine in mezzo a una strada - andavano in giro per condurre da don Dolindo persone lontane dalla fede.

Ci dica.
Una volta queste tre signorine videro un tipo per la strada e, senza sapere che stava andando ad ammazzare una persona, iniziarono a tirarlo per la giacca per portarlo a una predica di don Dolindo. “Lasciatemi stare!”, gridava lui, ma loro insistevano: “No, lei deve venire”. Se una persona entrava in chiesa e sentiva predicare don Dolindo, il più era fatto. Ebbene, quest’uomo andò a sentire la predica e alla fine le tre signorine lo presentarono a don Dolindo. “Vieni, angioletto”, gli disse don Dolindo. “Angioletto – lui chiamava tutti così -, ti vuoi confessare?”. Quell’uomo gli rispose di no. Don Dolindo non si arrese. “Ma vi vedo agitato, forse avete litigato con vostra moglie? Forse l’avete fatta dispiacere, avete trattato un po’ di droga?”. Per farla breve, don Dolindo gli disse tutti i peccati e alla fine il peccatore disse: “Padre, ho capito, mi voglio confessare”. Poi quel tizio prese dalla tasca un coltello, lo mise sul tavolo e confessò l’intento omicida.

Che legame aveva don Dolindo con la Madonna?
Lui diceva di essere ‘o vecchiariello d’a Madonna! Era la Mamma sua… l’ultimo slancio d’amore, l’ultimo libro lo scrisse per omaggiarla. Questo mentre si avviava alla morte, con una paralisi che gli aveva bloccato da anni il lato sinistro, le gambe gonfie, l’artrosi che l’aveva piegato in due: bisognava prendergli il braccio per fare la consacrazione perché lui da solo non ce la faceva più. Teneva sull’altare una statua di Maria, che adesso custodisco io, e mentre celebrava la Messa volgeva lo sguardo e diceva: “La Madonna, in questo momento, sta portando tante anime in Paradiso”.

La chiamava Corredentrice?
Sì, Corredentrice e Madre della Chiesa, già diversi decenni prima del Vaticano II. Per l’ultimo libro sulla Madonna, il diavolo lo ha tormentato. Lo percuoteva, lo buttava sotto il letto e la cosa era tanto più dolorosa, per le condizioni fisiche di don Dolindo. Ma lui aveva la sua forza nell’Eucaristia e nel Rosario, teneva la corona sempre tra le mani. E consigliava di invocare continuamente e pregare con il proprio Angelo custode.

Che cosa possiamo dire di certo sulle piaghe di don Dolindo?
Beh, queste sono cose segrete, per così dire. Per me aveva le stimmate nascoste. Ci sono delle bottigliette di sangue di don Dolindo, 12 bottigliette più o meno della grandezza di quelle dello sciroppo per la tosse. Poi, una sua figlia spirituale mi parlò della profonda piaga che don Dolindo aveva sulla spalla destra.

Come la Santa Piaga della Spalla di Gesù?
Non me lo disse esplicitamente, però mi rivelò, commossa, di averla toccata: “Grazia, vi si poteva infilare l’intera mano”, mi spiegò. Comunque, lui per amore di Dio e del prossimo faceva di tutto: digiuni, flagellazioni, preghiere a non finire, pur di ottenere una grazia, una conversione, che chiamava “il miracolo più grande”.

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