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Appello in Francia: «Senza la domenica, non possiamo vivere»

Posté par atempodiblog le 4 novembre 2020

Appello in Francia: «Senza la domenica, non possiamo vivere»
Vescovi, filosofi e imprenditori si uniscono per chiedere al governo di non chiudere le chiese e di autorizzare la partecipazione pubblica e fisica alla Messa durante il lockdown
della Redazione di Tempi.it

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Foto: Ansa

Pubblichiamo una nostra traduzione dell’appello al governo uscito su Le Figaro e firmato da vescovi, filosofi e imprenditori (in fondo i nomi) perché durante questo secondo lockdown in Francia siano tenute aperte le chiese e sia garantito il rispetto della libertà di culto.

Proprio nel momento in cui il nostro paese entrava nel suo secondo periodo di confinamento, il triplice assassinio di Nizza è venuto dolorosamente a ricordarci che i cristiani pagano un tributo alto negli attentati terroristici. Tre persone sono state selvaggiamente massacrate in una chiesa per il solo motivo di essere cristiane. Già il 26 luglio 2016 padre Jacques Hamel era stato sgozzato a Saint-Étienne-du-Rouvray durante la Messa che stava celebrando.

Gli omaggi che si moltiplicano dappertutto in Francia, in questi giorni in cui siamo ancora sotto choc per la decapitazione del professore Samuel Paty, mostrano fino a che punto il nostro paese resti attaccato alle sue libertà fondamentali, messe in pericolo da questi crimini: libertà di espressione, libertà di insegnamento, libertà di culto. I cristiani in generale, i cattolici in particolare, sono sensibili ai tributi di simpatia e solidarietà che vengono loro rivolti. Sono coscienti del loro dovere di partecipare a questo sforzo collettivo, se necessario nella lotta contro il terrorismo islamico.

Eppure, proprio mentre si riafferma che la libertà di culto costituisce un diritto fondamentale da proteggere, questa viene ristretta nel suo esercizio da un divieto quasi totale di riunirsi negli edifici religiosi. Non la si considera infatti una «attività essenziale». Noi pensiamo al contrario che la libertà di culto non si possa mettere in discussione e che sia necessario lasciarla libera di esprimersi, soprattutto in questi tempi in cui viene minacciata. Se la «Repubblica assicura la libertà di coscienza» (legge del 1905, primo articolo), lo Stato di diritto deve rendere possibile l’esercizio e la pratica del culto.

Molti cattolici si rifiutano di disertare le loro chiese, dove i fedeli vanno a trovare consolazione e speranza, in questi tempi difficili da affrontare da soli. La celebrazione della Messa non è per loro una modalità di esercitare la loro fede, ma ne costituisce la fonte e il punto più alto. L’Eucaristia non soltanto riunisce, ma costruisce la Chiesa; ne è il cuore e il centro vitale. Fin dalle origini della Chiesa, i cristiani hanno sempre affermato: «Senza la domenica, non possiamo vivere». Neanche le persecuzioni hanno mai scoraggiato i cristiani dal riunirsi il giorno del Signore.

Questo nuovo confinamento, necessario per proteggerci dal virus, rappresenta un periodo particolarmente difficile e ansiogeno per tanti. Le Messe costituiscono uno dei rari momenti in cui i fedeli riprendono forza e coraggio per essere sostenuti. Vietarne l’accesso è una pena doppia per i cattolici, così provati nella loro fede. Non priviamoli di questi spazi di rinnovamento!

Se i luoghi di consumo e le grandi catene di distribuzione restano aperti, non potranno però soddisfare le aspirazioni più profonde del cuore e non saranno sufficienti a fugare le paure. Davanti all’epidemia di coronavirus, noi siamo coscienti delle precauzioni sanitarie che vanno prese e del rispetto di tutte le norme che bisogna osservare rigorosamente. Da quando il confinamento è finito, noi ci siamo fatti carico delle nostre responsabilità rispettando tutte le misure necessarie. Non sono stati rinvenuti focolai nelle chiese. Noi condividiamo totalmente la preoccupazione perché sia preservata la salute pubblica. Ma il divieto generale delle Messe ci sembra avere un carattere sproporzionato davanti al bisogno di riaffermare le nostre libertà più care, tra le quali c’è quella di praticare la religione. Noi vogliamo anche poter celebrare pubblicamente la Messa, in particolare la domenica. L’Eucaristia è il cuore della nostra vita.

Ci sembra dunque che questo tema debba interpellare tutti gli uomini che hanno a cuore le nostre libertà pubbliche fondamentali. Attraverso questo divieto della pratica religiosa è la libertà di culto a non essere rispettata. Davanti a questa situazione di profonda gravità, noi abbiamo presentato diversi ricorsi davanti al Consiglio di Stato già dopo la fine del confinamento di giugno e questi ha intimato al primo ministro di prendere misure meglio proporzionate ai rischi sanitari.

Firmatari: Marc Aillet, vescovo di Bayonne; Bernard Ginoux, vescovo di Montauban; Jean-Pierre Cattenoz, arcivescovo di Avignon; David Macaire, arcivescovo di Saint-Pierre e Fort-de-France; Dominique Rey, vescovo di Fréjus-Toulon; Charles Beigbeder, imprenditore; Rémi Brague, filosofo; Chantal Delsol, filosofa; Fabrice Hadjadj, filosofo; Jean d’Orléans, conte di Parigi; Pierre Manent, filosofo; Charles Millon, ex ministro della Difesa; Jean Sévillia, storico e giornalista; Thibaud Collin, docente di filosofia.

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Non sarà lo stato a salvarci dal virus, ma le nostre scelte individuali

Posté par atempodiblog le 4 novembre 2020

Non sarà lo stato a salvarci dal virus, ma le nostre scelte individuali
Ciò che non è stato fatto finora dalle istituzioni non sarà recuperato adesso. Ne usciremo, ma dipende da noi
di Enrico Bucci – Il Foglio
Tratto da: Radio Maria

Non sarà lo stato a salvarci dal virus, ma le nostre scelte individuali dans Articoli di Giornali e News mascherine

Ieri i nuovi contagiati da Covid-19 sono stati 28.244, in aumento rispetto alle 24 ore precedenti, a fronte di 182.287 tamponi processati (quasi 47 mila più di lunedì). I morti sono stati 353, mai così tanti da maggio. I ricoveri in terapia intensiva sono stati 203, contro gli 83 di lunedì.

Siamo di nuovo in balia degli eventi e delle chiacchiere discordanti. E’ come giocare a mosca cieca, ma sull’orlo di un burrone. Vorrei togliere per un momento almeno la benda dagli occhi; se qualcuno cerca ottimismo a buon mercato, guardi pure altrove. Credo che riconoscere la verità dei fatti aiuti a non soccombere al frastuono, e anche a ritrovare un po’ di pace mentale e concordia su alcuni punti fondamentali, che elenco qui di seguito.

Punto primo: non c’è modo di riparare oggi a quanto non è stato fatto in estate. Siamo un paese il cui funzionamento è impossibilitato da una ragnatela di regole, dalla polverizzazione della responsabilità, dal familismo amorale e dall’anarchia individualista dei suoi abitanti. Dunque non è possibile sperare in nessun ravvedimento improvviso, né in qualche salvifica azione delle istituzioni o dello stato. Solo sforzi individuali e senso di comunità fra i cittadini (tutti) possono mitigare i danni. L’unità nazionale invocata oggi da Mario Monti per la politica può servire a dare un’immagine di un parlamento migliore e poco più; serve ancora di più la concordia tra i cittadini e la convinzione nell’affrontare i danni che subiremo.

Punto secondo: come in tutte le epidemie di cui si ha memoria storica, il patogeno crea divisione nella comunità, che comincia a identificare “categorie più a rischio”, che è un altro modo di dire più colpevoli. Questa divisione, che si traduce in eterogeneità di comportamenti e in avversione a regole anche ovvie, avvantaggia la diffusione del virus perché fa perdere tempo prezioso e paralizza l’azione di una collettività così grande da non riuscire a risolversi ad agire nel modo giusto con sufficiente velocità. La tempesta citochinica nei nostri corpi è un esempio di cosa crea la confusione di messaggi, che porta a una risposta immune scoordinata e dannosa; la tempesta comunicativa e politica del paese agisce esattamente nello stesso modo, paralizzando le nostre difese e addirittura rivolgendole contro noi stessi.

Punto terzo: date le condizioni illustrate ai punti precedenti, la difesa migliore dal virus può avvenire quasi solo su base volontaria e individuale. Dobbiamo evitare di contagiarci finché non avremo un mezzo di contrasto più efficace dalla ricerca scientifica. Questo non significa affatto smettere di vivere: significa indossare sempre correttamente le mascherine, restringere il numero dei contatti e soprattutto la loro eterogeneità (cioè, a parità di contatti giornalieri, il numero di persone diverse che incontriamo in una settimana), spostare le proprie attività ricreative il più possibile all’aperto e a distanza da altri e usare ogni mezzo per sostituire la socialità in presenza con quella da remoto, per quanto la seconda non sia che un pallido surrogato della prima. In “socialità” comprendo anche quella lavorativa: ognuno faccia quanto è nelle sue possibilità per spostare il lavoro in remoto, almeno temporaneamente.

Punto quarto: per mantenere la forza di andare avanti, abbiamo una sola via, cioè la solidarietà. Tutti coloro che dipendono per il proprio reddito dalla presenza di clienti, e non da uno stipendio statale, pagheranno un prezzo altissimo. I bambini che perderanno pezzi di scuola saranno ugualmente danneggiati in modo pesante. I medici e gli infermieri stanno ammalandosi e stanno morendo. Ognuno cerchi, per quel che può, di aiutare nel modo migliore che riesce a pensare. Fa bene a chi è aiutato, ma anche a chi dà aiuto e permette di recuperare quel senso di comunità che è indispensabile per sbarrare la strada al virus nel modo migliore possibile.

Punto quinto: è necessario più che mai resistere alla depressione, all’incertezza, alla paura. Stare in casa, vedere il proprio lavoro crollare, vedere le persone ammalarsi o morire sono tutte cose che hanno un pesante impatto, anche su chi crede di essere immune. Questo stato d’animo negativo è alla base sia della disperazione sia del suo opposto, il negazionismo e l’ottimismo a ogni costo. Abbiamo bisogno di guardare al male per quello che è, senza nasconderci dietro a storie immaginifiche o a cospirazioni e rimanendo saldi nel nostro comportamento. Pagheremo un prezzo e ne usciremo, con o senza le istituzioni, la politica, la scienza: sta a noi fare che questo prezzo non sia più alto del necessario, restando calmi e razionali.

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