«Nec laudibus, nec timore» scelse come motto episcopale Clements August von Galen quando fu ordinato vescovo da Pio XI il 5 settembre del 1933. Di nobile famiglia cattolica, dopo gli studi liceali proseguì con quelli universitari di storia e filosofia a Friburgo, e poi di teologia a Innsbruck. Ordinato sacerdote nel 1904, iniziò la vita pastorale assumendo via via cariche più elevate fino a essere nominato vescovo di Munster.
Una giovinezza vissuta in anni tumultuosi: la prima guerra mondiale, la fragile Repubblica di Weimar, l’ascesa del partito nazista. Di quest’ultimo individuò subito la portata pericolosa per la Chiesa e per il popolo dissidente. E mai ebbe timore nel denunciare le storture del partito hitleriano.
Insieme a gran parte del mondo cattolico trovò piena sintonia con Pio XI che nel 1937 emanò l’enciclica Mit brennender Sorge — Con cocente preoccupazione, l’unica in tutta la storia della Chiesa di Roma a non essere scritta in latino ma, volutamente, in tedesco perché potesse essere letta ai parrocchiani il 14 marzo di quell’anno, domenica delle Palme, in tutte le chiese di Germania. Papa Ratti denunciava le violenze del regime e levava la sua sofferta preoccupazione per la persecuzione dei cattolici di cui era stato vittima nella notte dei lunghi coltelli il capo dell’Azione Cattolica tedesca Erich Klauseur. Alla stesura dell’enciclica — insieme al cardinale Pacelli, futuro Pio XII, allora Nunzio apostolico a Berlino — aveva partecipato anche August von Galen.
E insieme ad altri ministri di culto, von Galen non smise mai di contrastare la crescente smisurata forza che Hitler stava assumendo in Europa, ma per il complesso quadro storico politico — per una sorta di attendismo che si sarebbe rivelato dannoso da parte delle forze democratiche occidentali — la sua voce restò una delle poche a denunciare la politica nazista.
Von Galen, il leone di Munster — mai appellativo fu più appropriato — aveva vissuto l’ascesa al potere del nazionalsocialismo con profondo sgomento. Ne aveva denunciato fin dall’inizio le violazioni al concordato tra la Chiesa di Germania e il governo (Reichskonkoncordat) che si manifestavano con attacchi alla stampa e alle associazioni cattoliche, occupazioni e confische di monasteri e conventi. Ovviamente il suo agire, le sue parole, la sua stessa nobile figura costituivano un ostacolo non di poco conto per il regime che, però, non osò sbarazzarsi di lui con la violenza perché temeva le sicure reazioni del popolo, di quello di Renania-Westfalia in particolare.
Il 3 agosto ricorrono 79 anni dall’omelia pronunciata nel 1941, forse quella in cui la sua voce si levò più forte contro il regime e, in particolare, contro il programma di eugenetica avviato da Hitler con l’Aktion T4.
Hitler preferì una politica di temporeggiamento tanto che, dopo l’omelia del 3 agosto, sospese per qualche tempo l’Aktion T4 per poi riprenderla in sordina.
Ecco alcune delle potenti parole di von Galen relative al programma di eutanasia T4 che, sotto responsabilità medica, prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili e da persone con disabilità. «Non possono più produrre, sono come una vecchia macchina (…) come un vecchio cavallo diventato inguaribilmente zoppo. Come una mucca che non dà più latte (…) qui non si tratta di macchine, qui non si tratta di cavallo e di vacca (…) qui si tratta di esseri umani, nostri fratelli e sorelle, poveri esseri malati e, se si vuole, anche improduttivi! Ma per questo non meritano di essere uccisi. Hai tu, ho io il diritto alla vita soltanto finché siamo noi produttivi. Basterà allora un qualsiasi editto segreto che ordini di estendere il metodo messo a punto per i malati di mente ad altre persone improduttive, a questo punto la vita di nessuno di noi sarà più sicura. Nessuna polizia, nessun tribunale indagherà sul nostro assassinio, né punirà l’assassino come merita».
di Giulia Alberico – L’Osservatore Romano