Il cardinale Stella: “L’Istruzione vaticana? Un’allerta perché le parrocchie non diventino agenzie di servizi”
Posté par atempodiblog le 29 juillet 2020
Il cardinale Stella: “L’Istruzione vaticana? Un’allerta perché le parrocchie non diventino agenzie di servizi”
Il prefetto della Congregazione per il Clero spiega i contenuti del documento del 20 luglio: «L’attenzione sul tema dei laici che celebrano nozze e funerali utile solo a creare titoli ad effetto». «Le parrocchie non sono “aziende” che possono essere dirette da chiunque»
di Salvatore Cernuzio – Vatican Insider
È trascorsa una settimana dalla pubblicazione dell’Istruzione per le parrocchie redatta dalla Congregazione per il Clero, dal titolo “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa ».
Acclamato come «una rivoluzione» in ambienti laici, catalizzatore dell’attenzione dei media per la questione «tariffari» per i sacramenti e dei laici che celebrano nozze e funerali, il documento vaticano è finito sotto il fuoco di fila delle critiche di alcuni vescovi, in prima linea quelli della Germania. Per comprendere meglio punti e spunti del documento e come esso non esuli dal solco della tradizione della Chiesa, Vatican Insider ha intervistato il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero.
Eminenza, si è parlato di svolta e di rivoluzione per questa istruzione. Nel documento, però, viene specificato che non vi è alcuna novità dal punto di legislativo. Qual è allora la chiave di lettura corretta?
«Per sua natura un’Istruzione non può produrre nuove leggi, bensì aiuta ad applicare meglio quelle esistenti, cercando di renderle più chiare e indicando i procedimenti per eseguirle. Il punto del documento è nel suo titolo. È essenziale richiamare a una conversione missionaria che non sia solo dei singoli fedeli, chierici o laici, o dei “professionisti” della pastorale, ma che invece coinvolga la comunità parrocchiale in quanto tale, con tutte le sue componenti. Occorre quindi che ciascuno riscopra la propria vocazione ecclesiale e si senta corresponsabile dell’unica missione evangelizzatrice, rendendosi disponibile per i servizi e gli incarichi che gli corrispondono all’interno della comunità parrocchiale e soprattutto nell’ambito della missione evangelizzatrice della Chiesa. Una Istruzione, si potrebbe dire, è come lo scriba del Vangelo ed estrae dal tesoro – teologico, pastorale e canonico – della Chiesa “cose nuove e cose antiche” per tradurle nella vita quotidiana del Popolo di Dio».
A livello mediatico ampia attenzione si è concentrata sulla questione dei laici che celebrano nozze e funerali. Reputa riduttiva questa lettura?
«Mi permetta di dire che, sì, trovo riduttiva e utile solo per creare titoli a effetto l’attenzione speciale che è stata data al tema dei laici in relazione a matrimoni e funerali. Infatti, si tratta di norme già esistenti e di possibilità che, in relazione ai matrimoni, possono realizzarsi quando sussista la mancanza di sacerdoti e diaconi, all’interno di un dialogo che coinvolge il vescovo diocesano, la Conferenza episcopale e la Santa Sede».
Può spiegare meglio questo punto?
«Nel matrimonio i ministri del sacramento sono gli sposi, mentre colui che chiede loro di manifestare il proprio consenso – chierico o laico che sia – adempie alla funzione di “teste qualificato” e accoglie a nome della Chiesa il “sì” degli sposi. Allo stesso modo, circa il rito delle esequie, questo può avvenire anche senza la celebrazione della messa, e il Rituale Romano prevede quali parti dei diversi riti possono essere eseguite anche da laici».
Qual è dunque il messaggio che voleva far passare la Congregazione per il Clero affrontando questa tematica?
«Che matrimoni e funerali sono per i sacerdoti occasioni di incontro con i fedeli e anche con persone che abitualmente non frequentano la Chiesa, in circostanze emotivamente forti. Il fatto che ci siano possibili diverse alternative per la celebrazione dei riti non dovrebbe farci cadere in un funzionalismo sganciato dall’esperienza di fede del Popolo di Dio».
Con le nuove indicazioni qualcuno intravede il rischio che i preti finiscano per essere sovraccaricati di amministrazione e burocrazia. È così?
«In realtà è esattamente l’opposto e l’Istruzione ha voluto anche proporre un segnale di allerta rispetto ad una concezione della parrocchia, qua e là esistente, come “agenzia” che eroga servizi di diverso tipo (sacramentali, cultuali, sociali, caritativi) e non come una comunità missionaria, anche una “famiglia” direi, in cui ciascuno contribuisce per la sua parte, secondo vocazione, carisma, disponibilità e competenza. In tale ottica, il sacerdote dovrebbe essere aiutato proprio a non perdersi in amministrazione e burocrazia, ma a concentrarsi piuttosto sulle priorità del suo ministero – l’Eucaristia, l’annuncio della Parola, la direzione spirituale e la confessione, la promozione della carità e la vicinanza ai fedeli, soprattutto i più bisognosi – accompagnato dall’aiuto e stimolato dall’esempio degli altri membri della comunità, chierici, consacrati e laici. Peraltro, è essenziale ricordare che la suddivisione di compiti e ministeri all’interno della comunità deve porsi in un orizzonte missionario e di evangelizzazione, in modo che la parrocchia non lavori unicamente per la propria “sopravvivenza”, magari rimpiangendo i “bei tempi”, ma sia animata in ogni suo membro di un vivo anelito ad annunciare Cristo e a testimoniarLo a chi si è allontanato e a chi non Lo ha mai conosciuto».
Cosa occorre per realizzare questo?
«Che ogni fedele si senta attivamente corresponsabile di tale missione, secondo le sue possibilità concrete. Mi lasci dire invece che la “vocazione” dello spettatore, magari polemico e critico dell’impegno altrui, di certo non viene da Dio e non contribuisce all’evangelizzazione. La parrocchia, sia per chi la vive come singolo che per coloro che vi partecipano come membri di associazioni, movimenti e gruppi, è un luogo di incontro col Signore, di accoglienza, di esperienze di fede vissuta, pur con le fatiche che si sperimentano talvolta anche nelle migliori famiglie».
Il rafforzamento del ruolo del parroco, con l’esplicita indicazione che deve trattarsi sempre e solo di un sacerdote, si può considerare una risposta a certe istanze emerse durante il Sinodo sull’Amazzonia?
«Più che altro l’Istruzione ha inteso confermare la specificità del parroco come “pastore proprio” della comunità, ribadendo la centralità dell’Eucaristia come fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. In quanto pastore proprio, da sempre e per la natura del suo incarico, il parroco può essere solo un sacerdote, chiamato a rendere Cristo sacramentalmente presente, in special modo nell’Eucaristia e nella Riconciliazione. In questo modo, emerge il tratto identificativo e specifico del ministero sacerdotale che è la carità pastorale, tramite la quale il presbitero vive la propria paternità spirituale, facendo un totale dono di sé come padre alla Chiesa e alla sua comunità. Ciò non significa che il parroco debba fare tutto da solo, senza ascoltare altri o senza lasciare loro margine per una creatività e responsabilità personale. Ma occorre fare attenzione a non ridurre la parrocchia al rango di “filiale” di una “azienda” – in questo caso la diocesi – con la conseguenza di poter essere “diretta” da chiunque, magari anche da gruppi di “funzionari” con diverse competenze».
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