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Il cardinale Stella: “L’Istruzione vaticana? Un’allerta perché le parrocchie non diventino agenzie di servizi”

Posté par atempodiblog le 29 juillet 2020

Il cardinale Stella: “L’Istruzione vaticana? Un’allerta perché le parrocchie non diventino agenzie di servizi”
Il prefetto della Congregazione per il Clero spiega i contenuti del documento del 20 luglio: «L’attenzione sul tema dei laici che celebrano nozze e funerali utile solo a creare titoli ad effetto». «Le parrocchie non sono “aziende” che possono essere dirette da chiunque»
di Salvatore Cernuzio – Vatican Insider

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È trascorsa una settimana dalla pubblicazione dell’Istruzione per le parrocchie redatta dalla Congregazione per il Clero, dal titolo “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa ».

Acclamato come «una rivoluzione» in ambienti laici, catalizzatore dell’attenzione dei media per la questione «tariffari» per i sacramenti e dei laici che celebrano nozze e funerali, il documento vaticano è finito sotto il fuoco di fila delle critiche di alcuni vescovi, in prima linea quelli della Germania. Per comprendere meglio punti e spunti del documento e come esso non esuli dal solco della tradizione della Chiesa, Vatican Insider ha intervistato il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero.

Eminenza, si è parlato di svolta e di rivoluzione per questa istruzione. Nel documento, però, viene specificato che non vi è alcuna novità dal punto di legislativo. Qual è allora la chiave di lettura corretta?
«Per sua natura un’Istruzione non può produrre nuove leggi, bensì aiuta ad applicare meglio quelle esistenti, cercando di renderle più chiare e indicando i procedimenti per eseguirle. Il punto del documento è nel suo titolo. È essenziale richiamare a una conversione missionaria che non sia solo dei singoli fedeli, chierici o laici, o dei “professionisti” della pastorale, ma che invece coinvolga la comunità parrocchiale in quanto tale, con tutte le sue componenti. Occorre quindi che ciascuno riscopra la propria vocazione ecclesiale e si senta corresponsabile dell’unica missione evangelizzatrice, rendendosi disponibile per i servizi e gli incarichi che gli corrispondono all’interno della comunità parrocchiale e soprattutto nell’ambito della missione evangelizzatrice della Chiesa. Una Istruzione, si potrebbe dire, è come lo scriba del Vangelo ed estrae dal tesoro – teologico, pastorale e canonico – della Chiesa “cose nuove e cose antiche” per tradurle nella vita quotidiana del Popolo di Dio».

A livello mediatico ampia attenzione si è concentrata sulla questione dei laici che celebrano nozze e funerali. Reputa riduttiva questa lettura?
«Mi permetta di dire che, sì, trovo riduttiva e utile solo per creare titoli a effetto l’attenzione speciale che è stata data al tema dei laici in relazione a matrimoni e funerali. Infatti, si tratta di norme già esistenti e di possibilità che, in relazione ai matrimoni, possono realizzarsi quando sussista la mancanza di sacerdoti e diaconi, all’interno di un dialogo che coinvolge il vescovo diocesano, la Conferenza episcopale e la Santa Sede».

Può spiegare meglio questo punto?
«Nel matrimonio i ministri del sacramento sono gli sposi, mentre colui che chiede loro di manifestare il proprio consenso – chierico o laico che sia – adempie alla funzione di “teste qualificato” e accoglie a nome della Chiesa il “sì” degli sposi. Allo stesso modo, circa il rito delle esequie, questo può avvenire anche senza la celebrazione della messa, e il Rituale Romano prevede quali parti dei diversi riti possono essere eseguite anche da laici».

Qual è dunque il messaggio che voleva far passare la Congregazione per il Clero affrontando questa tematica?
«Che matrimoni e funerali sono per i sacerdoti occasioni di incontro con i fedeli e anche con persone che abitualmente non frequentano la Chiesa, in circostanze emotivamente forti. Il fatto che ci siano possibili diverse alternative per la celebrazione dei riti non dovrebbe farci cadere in un funzionalismo sganciato dall’esperienza di fede del Popolo di Dio».

Con le nuove indicazioni qualcuno intravede il rischio che i preti finiscano per essere sovraccaricati di amministrazione e burocrazia. È così?
«In realtà è esattamente l’opposto e l’Istruzione ha voluto anche proporre un segnale di allerta rispetto ad una concezione della parrocchia, qua e là esistente, come “agenzia” che eroga servizi di diverso tipo (sacramentali, cultuali, sociali, caritativi) e non come una comunità missionaria, anche una “famiglia” direi, in cui ciascuno contribuisce per la sua parte, secondo vocazione, carisma, disponibilità e competenza. In tale ottica, il sacerdote dovrebbe essere aiutato proprio a non perdersi in amministrazione e burocrazia, ma a concentrarsi piuttosto sulle priorità del suo ministero – l’Eucaristia, l’annuncio della Parola, la direzione spirituale e la confessione, la promozione della carità e la vicinanza ai fedeli, soprattutto i più bisognosi – accompagnato dall’aiuto e stimolato dall’esempio degli altri membri della comunità, chierici, consacrati e laici. Peraltro, è essenziale ricordare che la suddivisione di compiti e ministeri all’interno della comunità deve porsi in un orizzonte missionario e di evangelizzazione, in modo che la parrocchia non lavori unicamente per la propria “sopravvivenza”, magari rimpiangendo i “bei tempi”, ma sia animata in ogni suo membro di un vivo anelito ad annunciare Cristo e a testimoniarLo a chi si è allontanato e a chi non Lo ha mai conosciuto».

Cosa occorre per realizzare questo?
«Che ogni fedele si senta attivamente corresponsabile di tale missione, secondo le sue possibilità concrete. Mi lasci dire invece che la “vocazione” dello spettatore, magari polemico e critico dell’impegno altrui, di certo non viene da Dio e non contribuisce all’evangelizzazione. La parrocchia, sia per chi la vive come singolo che per coloro che vi partecipano come membri di associazioni, movimenti e gruppi, è un luogo di incontro col Signore, di accoglienza, di esperienze di fede vissuta, pur con le fatiche che si sperimentano talvolta anche nelle migliori famiglie».

Il rafforzamento del ruolo del parroco, con l’esplicita indicazione che deve trattarsi sempre e solo di un sacerdote, si può considerare una risposta a certe istanze emerse durante il Sinodo sull’Amazzonia?
«Più che altro l’Istruzione ha inteso confermare la specificità del parroco come “pastore proprio” della comunità, ribadendo la centralità dell’Eucaristia come fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. In quanto pastore proprio, da sempre e per la natura del suo incarico, il parroco può essere solo un sacerdote, chiamato a rendere Cristo sacramentalmente presente, in special modo nell’Eucaristia e nella Riconciliazione. In questo modo, emerge il tratto identificativo e specifico del ministero sacerdotale che è la carità pastorale, tramite la quale il presbitero vive la propria paternità spirituale, facendo un totale dono di sé come padre alla Chiesa e alla sua comunità. Ciò non significa che il parroco debba fare tutto da solo, senza ascoltare altri o senza lasciare loro margine per una creatività e responsabilità personale. Ma occorre fare attenzione a non ridurre la parrocchia al rango di “filiale” di una “azienda” – in questo caso la diocesi – con la conseguenza di poter essere “diretta” da chiunque, magari anche da gruppi di “funzionari” con diverse competenze».

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Consacrata al Sacro Cuore. E la Polonia fermò i comunisti

Posté par atempodiblog le 29 juillet 2020

Consacrata al Sacro Cuore. E la Polonia fermò i comunisti
Il 27 luglio 1920, di fronte all’avanzata dell’Armata Rossa, i vescovi polacchi consacrarono la nazione al Sacro Cuore di Gesù. In risposta alle loro lettere, Benedetto XV promosse preghiere per la Polonia, derise dai comunisti. Che nei giorni dell’Assunta, però, dovettero fare i conti con quello che passò alla storia come “Miracolo della Vistola”.
di Wlodzimierz Redzioch – La nuova Bussola Quotidiana

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Lunedì 27 luglio, nella chiesa delle suore visitandine a Cracovia, è stata celebrata una Messa di ringraziamento (nella foto, dalla Curia Arcivescovile di Cracovia) nel centenario dell’atto di consacrazione della nazione polacca al Sacro Cuore di Gesù.

Nel 1920, di fronte alla minaccia bolscevica, i vescovi polacchi si radunarono a Jasna Góra sotto la guida del primate polacco, il cardinale Edmund Dalbor, e il 27 luglio appunto consacrarono la nazione e l’intera patria al Sacro Cuore di Gesù, ribadendo l’atto di elezione della Madonna a Regina di Polonia. “Nel momento in cui nuvole scure si radunano sulla nostra patria e sulla nostra Chiesa, gridiamo come tuoi discepoli sorpresi da una tempesta in mare: Signore, salvaci, perché stiamo morendo. E come una volta, stendendo la mano destra, con una sola parola hai calmato la tempesta, ora, Signore, allontana il pericolo che ci minaccia”, supplicavano i vescovi.

L’episcopato si impegnò quindi a diffondere tra i fedeli (specialmente nei seminari) la devozione al Sacro Cuore di Gesù e incoraggiare le famiglie a consacrarsi a Lui.

Di quali “nuvole scure” parlavano i vescovi polacchi? Nel 1918, un anno dopo la rivoluzione bolscevica, il Consiglio dei Commissari del Popolo (il governo bolscevico) prese la decisione di formare nell’ambito dell’Armata Rossa la cosiddetta Armata Occidentale per realizzare militarmente la “rivoluzione mondiale”. Il 10 marzo 1920, a Smolensk, ebbe luogo una riunione dei capi dell’Armata Rossa, del “Fronte Occidentale” e dei commissari comunisti, tra cui anche Stalin, che presero delle decisioni circa l’attacco alla Polonia e all’Europa che doveva svolgersi lungo la traiettoria Varsavia-Poznan-Berlino-Parigi.

Nell’estate del 1920 l’Armata Rossa avanzava minacciosamente verso il fiume Vistola fino alle porte di Varsavia. E in queste circostanze i vescovi polacchi presero la decisione della consacrazione della nazione polacca al Sacro Cuore di Gesù. Nello stesso tempo, per smuovere le coscienze di tutti inviarono delle lettere: alla nazione, agli episcopati del mondo intero e al Papa, chiedendo a Benedetto XV la benedizione e preghiere per la Polonia minacciata dai bolscevichi. Nella coraggiosa lettera alle Chiese nel mondo i vescovi davano un’analisi puntualissima della situazione, scrivendo: “La Polonia non aveva intenzione di combattere; vi è stata costretta. Inoltre, non combattiamo affatto contro la nazione, ma piuttosto contro coloro che hanno calpestato la Russia, che ne hanno succhiato il sangue e l’anima, aspirando a occupare nuove terre. Come uno sciame di cavallette che, dopo aver distrutto ogni segno di vita in un luogo, si sposta altrove, costretto dalla propria azione distruttrice a migrare; similmente ora il bolscevismo – ‘avvelenata’ e saccheggiata la Russia – si volge minaccioso verso la Polonia”.

Ma i vescovi prima di tutto volevano attirare l’attenzione del mondo sul fatto che i polacchi non fossero i soli ad essere minacciati: “Per il nemico che ci combatte, la Polonia non è l’ultima meta della sua marcia; è piuttosto una tappa e una piattaforma di lancio verso la conquista del mondo”. L’espressione “conquista del mondo” non era per nulla troppo ardita perché “il bolscevismo ha avvolto con una rete sovversiva, come un ragno, nazioni lontanissime dalla Russia (…) E oggi tutto è pronto per questa conquista del mondo. In tutti i paesi vi sono schiere già organizzate, che aspettano soltanto il segnale di battaglia; fervono i preparativi di continui scioperi, che dovranno paralizzare la vita normale delle nazioni. La discordia fra le diverse classi sociali si sta trasformando in un odio esasperato e influenze internazionali bloccano astutamente ogni giudizio e autodifesa delle nazioni”. Allora tutti dovevano essere coscienti che in questa situazione “la Polonia è l’ultima barriera posta sulla strada del bolscevismo verso la conquista del mondo: se dovesse crollare, il bolscevismo si spanderebbe nel mondo intero, con tutta la sua potenza distruttrice. E l’ondata, che oggi minaccia di invadere il mondo, è veramente terribile”.

I vescovi polacchi sottolineavano che rischio corresse la Chiesa con il bolscevismo: “Oltre alla dottrina e all’azione, il bolscevismo porta nel suo petto un cuore pieno di odio. E questo odio è rivolto soprattutto contro il cristianesimo, di cui è decisamente una negazione, si rivolge contro la croce di Cristo e contro la sua Chiesa. (…) Il bolscevismo è proprio l’incarnazione e la manifestazione sulla terra dell’Anticristo”. Parole chiare e vere che non tutti in Occidente volevano sentire.

Purtroppo, il mondo rimase sordo alle richieste di aiuto dei polacchi. Sembrava che tutti, anche le cancellerie occidentali, fossero rassegnati alla vittoria comunista. E, paralizzati, non facevano niente. Invece nelle varie Chiese cominciarono le preghiere per la Polonia, sollecitate dallo stesso Pontefice. Il 5 agosto Benedetto XV inviò al Cardinale Vicario di Roma, Basilio Pompili, una lettera che esprimeva tutta la vicinanza del Papa al popolo polacco: “Signor Cardinale, con vivo compiacimento abbiamo appreso che Ella, seguendo il Nostro suggerimento, ha ordinato che domenica prossima nella Venerabile Chiesa del Gesù siano innalzate fervide solenni preghiere all’Altissimo per invocare le misericordie del Signore sulla sventurata Polonia. Gravissime ragioni Ci inducono a bramare che l’esempio dato da Lei, Signor Cardinale, sia seguito da tutti i Vescovi del mondo cattolico. È nota, infatti, la materna ansiosa sollecitudine con la quale la Santa Sede ha seguito sempre le fortunose vicende della Nazione Polacca. Quando tutte le Nazioni civili si inchinavano silenziose dinanzi alla prevalenza della forza sul diritto, la Santa Sede fu sola a protestare contro la iniqua spartizione della Polonia e contro la non meno iniqua oppressione del popolo polacco. Ma ora vi è molto di più; ora non solo è in pericolo l’esistenza nazionale della Polonia, ma tutta l’Europa è minacciata dagli orrori di nuove guerre. Quindi non è soltanto l’amore verso la Polonia, ma è l’amore verso tutta l’Europa che Ci muove a desiderare che i fedeli tutti si uniscano a Noi nel supplicare l’Altissimo affinché per intercessione della Vergine Santissima, protettrice della Polonia, voglia risparmiata al popolo polacco questa suprema sciagura, e nello stesso tempo voglia allontanare questo nuovo flagello dalla dissanguata Europa”.

La massiccia campagna di preghiere della Chiesa intera veniva derisa dagli ambienti socialisti e comunisti in Occidente. Il giornale socialista Avanti! così derideva l’iniziativa del Pontefice: “Il Papa fa assegnamento sull’intercessione della Madonna. (…) Sta fresco il Romano Pontefice se crede nell’efficacia della Vergine! Tre milioni di soldati indossano la divisa russa. (…) Questi soldati e i loro cannoni varranno assai più che non tutti i Rosari del mondo. Fra giorni ne avremo la prova”. Ma la realtà doveva smentire le sprezzanti parole dei rivoluzionari italiani.

Allo scontro finale tra l’esercito polacco guidato dal maresciallo Piłsudski e l’Armata Rossa si arrivò nei giorni dell’Assunta del 1920. La battaglia di Varsavia venne combattuta per più di 10 giorni: dal 13 al 25 agosto. Malgrado la superiorità numerica dei soldati bolscevichi, l’esercito polacco sconfisse i comunisti. Quest’anno si celebra il centesimo anniversario di questa epica battaglia che è passata alla storia come “il Miracolo sulla Vistola”. Ma nasce una domanda: chi vorrà ricordare la vittoria dei polacchi che cento anni fa salvarono l’Europa del comunismo?

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Perde la moglie per il Coronavirus: musulmano si converte a Cristo

Posté par atempodiblog le 27 juillet 2020

La storia miracolosa arriva dalla Giordania
Perde la moglie per il Coronavirus: musulmano si converte a Cristo
di Gina Lo Piparo – VoceControCorrente
Tratto da: Radio Maria

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Durante questa pandemia abbiamo sentito le storie più disparate. Atti di gentilezza e solidarietà, episodi ai limiti di un’assurda comicità, storie drammatiche o che ci hanno fatto arrabbiare. Quella che oggi vi raccontiamo ha del miracoloso e arriva direttamente dalla Giordania.

Altaf (nome fittizio) è un arabo musulmano ortodosso. A marzo contrae il Coronavirus e viene ricoverato insieme ai figli e alla moglie, che purtroppo morirà a causa della malattia.

Durante la degenza in ospedale, i volontari di Bible for Mideast  chiedono ad Altaf se possono pregare per lui e la sua famiglia, ma l’uomo rifiuta. I volontari, così, vanno via lasciandogli un volantino che lo lascia perplesso. La visione del paradiso che il foglietto descrive è ben lontana dalle sue credenze: «Poiché alla risurrezione gli uomini non prenderanno le donne, né le mogli dei mariti, ma saranno come gli angeli di Dio in cielo» (Matteo 22:30).

Dopo la morte della moglie e le dimissioni dall’ospedale, Altaf torna a casa in preda al dolore e alla solitudine. Rimasto solo con i figli, trova consolazione nell’andare a pregare presso la tomba della moglie ma il dolore lo travolge. Così, un giorno, mentre è seduto a pregare, si addormenta e sogna.

Tanti cimiteri si trovano davanti a lui, ma solo da quello dei cristiani si illumina d’una luce particolare. Le nuvole, l’erba, i fiori, il terreno: tutto è più vivido. Un uomo discende dalle nuvole con voce profonda; sembra che miriadi di angeli lo accompagnino. All’improvviso, i defunti lì sepolti si alzano con corpi completamente nuovi, trasformati e lucenti, e abbandonano il cimitero per unirsi all’uomo e giungere in un luogo così glorioso da poter essere solo il paradiso.

Altaf ascolta un culto per descrivere il quale non ha parole adeguate; ben presto però si accorge di un altro particolare: solo i defunti del cimitero cristiano si sono uniti all’uomo. La moglie, gli imam, i tanti studiosi… non c’è traccia di loro.

Altaf si sveglia profondamente turbato. Torna a casa, ma durante la notte lo stesso sogno viene a rubargli il sonno. Legge il Corano, ma non riesce a trovare pace. All’improvviso ecco il volantino che Bible for Mideast gli aveva lasciato.

Altaf lo rilegge e riesce a ritrovare la pace. Chiama allora il numero di telefono lì indicato e riceve risposta da una voce amichevole, che lo invita al luogo d’incontro. Mentre Altaf aveva vissuto quanto descritto, il Pastore insieme alla comunità stava pregando e digiunando per tutti i pazienti colpiti da Covid-19 e aveva visto chiaramente in visione qualcuno che, con anima e mente turbata, lo avrebbe contattato per avere consiglio. Pochi minuti dopo ecco la telefonata di Altaf!

Raggiunto il luogo d’incontro, l’uomo racconta in lacrime ciò che ha sognato e quanto ha vissuto e decide di riporre la propria fede in Gesù, il glorioso uomo che ha visto nei suoi sogni. Insieme ad altri sette ex musulmani riceve il battesimo dopo qualche giorno, nonostante in Giordania la tolleranza sia riservata alla minoranza cristiana, ma non agli ex musulmani, vittime di dure persecuzioni.

La sua storia ci viene raccontata da Journal Chretien e siamo certi non essere l’unica.

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Una mistica ci insegna come fermare le leggi ingiuste

Posté par atempodiblog le 27 juillet 2020

Suor Rita Montella
Una mistica ci insegna come fermare le leggi ingiuste
Prima delle elezioni del 1948 Gesù fece capire a Rita Montella (la suora che sventò l’attentato al papa polacco) che l’Italia sarebbe caduta in mano ai comunisti. Lei pianse, pregò, espiò. Gesù le disse: « »Rita, tu hai vinto!”. Ciò poche ore prima del 18 aprile [1948]». Oggi la Chiesa ha bisogno ancora di lei e di anime simili alla sua.
di Luisella Scrosati – La nuova Bussola Quotidiana

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Per molti è già considerata ed invocata come una grande santa, ma la Chiesa ci va con i piedi di piombo: il culto ai santi va reso solo quando essi sono stati canonizzati. Ma è già possibile invocarne l’intercessione mediante una preghiera approvata dall’Autorità ecclesiastica (vedi sotto), per domandare grazie al Signore e chiedergli che possa essere elevata agli onori degli altari. Quando ci sono di mezzo i santi, è bene attenersi alle sagge norme della Chiesa e, in ciò che verrà narrato, ai decreti di Urbano VIII.

Stiamo parlando di suor Rita Montella, conosciuta anche come “la Bambina di Padre Pio”, con il quale, pare, avesse l’abitudine di ritrovarsi. Non come noi comuni mortali, ma in bilocazione. Padre Pio veniva spesso a trovarla in clausura, di notte, per pregare con lei.

Questa suora agostiniana del Monastero di Santa Croce sull’Arno, della quale ricorre quest’anno il centenario della nascita (3 aprile 1920), si era offerta vittima all’Amore divino e, come sempre accade a queste anime generose, il Signore non sa resistere dal concedere ciò che esse domandano nella preghiera. E a queste grazie d’intercessione il buon Dio ne ha aggiunge altre decisamente straordinarie. Come quando, secondo la testimonianza di padre Franco D’Anastasio, da lui firmata e controfirmata da un notaio, inviata nel 2006 al Cardinal Dziwisz, il 13 maggio 1981 suor Rita si era recata in bilocazione in piazza San Pietro, per deviare il colpo di pistola diretto contro Giovanni Paolo II.

Certamente la santità non consiste nei carismi straordinari. Tuttavia, lasciando al giudizio definitivo della Chiesa ogni presunto fenomeno soprannaturale che riguarda suor Rita, non è neppure possibile ignorarli completamente, in nome di un esasperato razionalismo; soprattutto quando, come nel caso dell’attentato a papa Wojtyla, questi fenomeni incidono sulla storia della Chiesa e dell’umanità.

Suor Rita era un’anima di incessante intercessione; dopo essere entrata in monastero pregò con fede per impetrare da Dio la conversione dei peccatori, il ravvedimento dei sacerdoti traviati, la guarigione dalle malattie, la salvezza eterna delle anime, anche delle consorelle, la liberazione delle anime del purgatorio. Inoltre scongiurava con fede accorata il Signore di non mandare i castighi sulla terra e di trattenere la guerra, di impedire fatti politici gravissimi, come l’avvento del comunismo in Italia alla fine degli anni quaranta, o calamità naturali, come i terremoti; tutto ciò è attestato nei due quaderni rimasti degli oltre cento da lei scritti, per ordine del confessore e padre spirituale, il cappuccino padre Teofilo dal Pozzo, come anche dal materiale raccolto nel volume Suor Rita Montella, studio dei singolari carismi (Ed. Segno, Udine 2002), curato dal nipote di suor Rita, Arcangelo Aurino, purtroppo mancato lo scorso anno. In esso sono riportate le lettere che Suor Eleonora Pieroni, monaca del Monastero di Santa Croce sull’Arno, inviava alla Badessa di Radicondoli, per informarla su quanto di straordinario stava avvenendo nella consorella Suor Rita. Nella lettera del 29 dicembre 1949 è citato un episodio della vita di suor Rita che è necessario raccontare, in questi nostri tempi difficili, nei quali sembra che il male sia inarrestabile e che il peggio sia inevitabile.

È noto che il 18 aprile 1948 le prime elezioni politiche della storia della Repubblica Italiana sancirono la vittoria della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati e la sconfitta del fronte delle sinistre, cioè del Partito Comunista e del Partito Socialista, dopo una battaglia elettorale molto combattuta. Suor Eleonora tiene a far notare «che quest’Anima [Suor Rita] tratta sempre di peccatori con Gesù che per le elezioni passate parlò chiaro: “Voglio castigare anche l’Italia. Rita, che scene di sangue verranno!”. Si doveva andare anche noi in mano ai comunisti. Lei [suor Rita] pianse, pregò, espiò. Gesù le disse: “Rita, tu hai vinto!”. Ciò poche ore prima del 18 aprile [1948]» (op. cit., p. 120).

Così questa monaca semplice, che viveva nel silenzio e nel nascondimento della clausura, e che nulla rifiutava al suo Sposo, ottenne che Gesù cambiasse il corso della storia nella nostra nazione.

Qualcosa di analogo è raccontato da Santa Faustina Kowalska, nel suo noto Diario: «Un giorno Gesù mi disse che avrebbe fatto scendere il castigo su di una città, che è la più bella della nostra Patria [probabilmente Varsavia]. Il castigo doveva essere uguale a quello inflitto da Dio a Sodoma e Gomorra. Vidi la grande collera di Dio ed un brivido mi scosse, mi trafisse il cuore. Pregai in silenzio. Un momento dopo Gesù mi disse: “Bambina mia, unisciti strettamente a Me durante il sacrificio ed offri al Padre celeste il Mio Sangue e le Mie Piaghe per impetrare il perdono per i peccati di quella città. Ripeti ciò senza interruzione per tutta la S. Messa. Fallo per sette giorni”. Il settimo giorno vidi Gesù su di una nuvola chiara e mi misi a pregare perché Gesù posasse il Suo sguardo sulla città e su tutto il nostro paese. Gesù diede uno sguardo benigno. Quando notai la benevolenza di Gesù, cominciai ad implorare la benedizione. Ad un tratto Gesù mi disse: “Per te benedico l’intero paese” e fece con la mano un gran segno di croce sulla nostra Patria».

Inutile nascondere la gravità dell’ora che stiamo vivendo nel mondo; in particolare qui in Italia, ci troviamo di fronte all’alta probabilità che il ddl Zan possa decretare la fine della libertà della Chiesa e delle famiglie. Servono anime che preghino e si offrano per bloccare questi progetti, e serve soprattutto l’intercessione di questi nostri fratelli e, soprattutto, sorelle, che intercedano per noi e la nostra Patria in quest’ora cruciale. In particolare, possiamo domandare a suor Rita Montella di intercedere per noi, lei che, secondo l’espressione della consorella trattava «sempre di peccatori con Gesù». Bisogna crederci, confidare che il Signore non attende altro che generosità e riparazione, per risparmiare i molti a motivo di pochi. È la logica di Dio.

Suor-Rita-Montella-e-Padre-Pio-da-Pietrelcina dans Fede, morale e teologia

Preghiera

Signore, nostro Dio, Tu hai chiamato Suor Rita dello Spirito Santo a realizzare più pienamente la sua consacrazione battesimale dedicandosi interamente a Te nella vita contemplativa agostiniana per cercare Dio e servire la Chiesa.
Tu, o Padre, hai fatto risplendere attraverso di lei, con i carismi che le hai donato, il volto del Tuo Cristo, rendendolo visibile in mezzo agli uomini e alle donne del nostro tempo.
Con il Tuo aiuto ha preso su di sé le ansie dei fratelli servendo il Cristo sofferente nelle sue membra e divenendo con umiltà nella preghiera segno e testimonianza del Tuo Amore.
Ascolta la nostra preghiera: degnati ora di glorificarla in terra e, per sua intercessione, concedici la grazia… che con fiducia ti chiediamo.

Pater, Ave e Gloria.

(Con approvazione ecclesiastica)

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Il male che torna tra noi

Posté par atempodiblog le 26 juillet 2020

Il male che torna tra noi
La speranza di un’Italia migliore che si è accesa nei giorni della solidarietà non va abbandonata con un’alzata di spalle, perché tanto il mondo questo è, e sempre così sarà
di Antonio Polito – Corriere della Sera

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Il ritorno del male fa notizia. Le vicende della caserma Levante, le torture e le orge, voluttà del crimine in chi avrebbe dovuto combatterlo, si sono svolte in pieno lockdown e in una città martire del Covid, a Piacenza, dove i morti sono stati quasi mille; gli orchi erano in azione proprio mentre noi ci ripetevamo che dalla crisi saremmo usciti migliori, restituiti a una più solidale e profonda umanità. Ovunque il male si sta riappropriando della sua normalità, della sua banalità. A Roma bande di ragazzini travestiti da Arancia meccanica sputano su citofoni e portoni per sfregio alle norme di igiene; oppure bastonano e rapinano un cinquantenne al grido di «ebreo di merda»; o pestano a sangue un custode pachistano per vedere «l’effetto che fa un nero svenuto sul marciapiedi». A Milano un ventenne, clandestino e di origini senegalesi, è accusato dalla prova del Dna di aver violentato una ragazza nel parco. A Vittorio Veneto un gruppo di minorenni, convinti che non avrebbero mai potuto punirli grazie all’età, terrorizzavano i negozianti con estorsioni e minacce. A Verona due padri italiani hanno pestato le mogli e le figlie. In tutta Europa il lockdown ha prodotto un’impennata negli scambi di materiali pedopornografici sul web.

Verrebbe da dire: forse era solo ingenuità sperare che un grande trauma producesse un grande cambiamento. Un più fondato pessimismo sulla natura umana avrebbe dovuto ricordarci che il «male radicale» non può esserne estirpato.

Da Aristotele in poi la filosofia tenta di spiegarsi perché, e non ci è ancora riuscita; è stata perfino inventata una branca della teologia, la teodicea, per «giustificare» la presenza del male in un mondo creato da un Essere onnipotente e misericordioso. Ma forse c’è dell’altro. Questo risveglio dal Covid — sostiene la rivista Foreign Affairs — sta portando violenza e conflitto anche nei comportamenti collettivi. Il caso americano è emblematico. Nell’esplosione turbolenta di rabbia che è seguita all’uccisione di George Floyd, c’è la misura di quanto l’emergenza virale abbia funzionato da detonatore di ogni accumulo di tensioni sociali e ingiustizie razziali; e lo stesso è avvenuto nelle proteste armate inscenate in alcuni stati contro i parlamenti per ottenere la «riapertura». Nella reazione del potere, d’altro canto, si è intravista una tentazione dispotica, fino all’idea di usare l’esercito contro i cittadini. L’invocazione di poteri di emergenza, per ora solo virtuale negli States, si è fatta realtà in Ungheria, Serbia, Egitto. Conflitti interni agli Stati sono proseguiti, o peggiorati, un po’ ovunque: «La violenza in Colombia e in Burundi, in Mozambico, Myanmar e Pakistan — scrive la rivista americana — ha prodotto negli ultimi due mesi più di seicentomila sfollati». Poteri armati non statali stanno approfittando del Covid per rafforzarsi, offrendo aiuti alle comunità più povere: dai cartelli della droga messicani, ai Talebani, a Hezbollah. E la crisi economica indotta dal lockdown ha già provocato violenza politica e instabilità a Beirut, a Baghdad, a Mumbai.

È possibile che ciò che altrove si è innestato su antichi e radicati motivi etnici, razziali o sociali, da noi stia invece sobbollendo sotto forma di violenza gratuita, di malvagia euforia da disastro? Può essere che ancora una volta nella storia una grande paura covi l’uovo del serpente, e sprigioni riserve mai esaurite di violenza e sopraffazione? Può succedere, e dobbiamo saperlo. Però è altrettanto possibile che anche il nostro sguardo sia cambiato: avendo smesso di «vedere» il bene, che ci era apparso così evidente e trascinante nei giorni del dolore, oggi il male risalta di più, con il suo pericoloso portato di seduzione e spirito di emulazione.

Nella stessa Piacenza dove agiva la banda dei carabinieri infedeli, da mesi centinaia di persone in difficoltà sono aiutate da «Emporio solidale», un’iniziativa che consente a chi ne ha bisogno di fare la spesa al supermercato senza pagare, grazie al cuore di tanti benefattori e all’impegno dei volontari. Possiamo dimenticarlo ora? Nei giorni precedenti al lockdown il giornale locale, Libertà, ha pubblicato la lettera commossa del figlio di un’anziana signora che vive sola, alla cui porta aveva trovato un carabiniere sconosciuto che alla sera controllava se tutto andava bene. Il male cammina sempre accoppiato al bene. Anzi, Sant’Agostino sosteneva che non è altro che la negazione del bene, la sua mancanza, e quindi in quanto tale non è stato creato, ma bensì prodotto dagli uomini.

Di certo non possiamo dimenticare il bene. La speranza di un’Italia migliore che si è accesa nei giorni della solidarietà non va abbandonata con un’alzata di spalle, perché tanto il mondo questo è, e sempre così sarà. Il bene deve continuare a far notizia, anzi, «Buone notizie», come nel titolo di un fortunato supplemento del Corriere. E deve alimentare costantemente la nostra condanna morale del male, la nostra insofferenza, la nostra sanzione sociale, prima ancora che penale. I mesi che ci aspettano sono pericolosi: richiedono donne e uomini consapevoli che non basterà non fare il male per batterlo, ma solo fare il bene potrà riuscirci.

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CINA/ 5G e intelligenza artificiale: così il “Partito” può controllare tutti

Posté par atempodiblog le 24 juillet 2020

CINA/ 5G e intelligenza artificiale: così il “Partito” può controllare tutti
La Cina grazie al 5G e alla intelligenza artificiale è in grado di monitorare i comportamenti dei singoli cittadini e di attribuire loro un punteggio reputazionale
di Giuseppe Gagliano – Il Sussidiario

CINA/ 5G e intelligenza artificiale: così il “Partito” può controllare tutti dans Articoli di Giornali e News Sorveglianza

Quando si parla di 5G in relazione alla Cina – e soprattutto di intelligenza artificiale – solitamente si pone l’enfasi sulla necessità, più volte espressa nei documenti ufficiali del Partito comunista cinese, che la Cina arrivi a superare in questi settori gli Stati Uniti per conseguire una sorta di primato o egemonia in campo tecnologico. Tuttavia si tende spesso a dimenticare che lo sviluppo sia del 5G che dell’intelligenza artificiale – come d’altronde della video sorveglianza – sono strumenti tecnologici non solo strettamente collegati fra di loro ma indispensabili affinché la Cina possa attuare un capillare sistema di controllo sociale. Insomma il primato tecnologico inseguito dalla Cina non è soltanto uno strumento per competere con gli Stati Uniti, ma è anche un obiettivo per rafforzare il potere di controllo del Pcc sulla società civile.

Come opportunamente sottolineato da Giorgio Galli e Mario Caligiuri nel saggio Il potere che sta conquistando il mondo. Le multinazionali dei paesi senza democrazia (Rubbettino 2020), a partire dal 2014 il Dragone sta ponendo in essere il progetto di un sistema di credito sociale allo scopo di valutare l’affidabilità o meno dei suoi cittadini attraverso una accurata misurazione. Il punteggio che viene attribuito ai cittadini è analogo a quello che viene utilizzato per valutare i servizi e i prodotti nel mercato digitale. Attraverso questo sistema il governo definisce il grado di affidabilità di un singolo cittadino consentendogli quindi la possibilità o meno di accedere ad un prestito bancario, la possibilità o meno di poter svolgere un determinato lavoro etc.

Se un cittadino consegue un punteggio basso, questo può addirittura determinare un rallentamento della connessione Internet. Affinché questo sistema di natura reputazionale possa essere efficace è necessario servirsi delle immagini catturate dai dispositivi di video sorveglianza, dai commenti sui social network, dai prodotti che vengono acquistati online e persino dai giudizi dei vicini di casa.

Insomma la Cina è riuscita a creare un sistema di video sorveglianza che unisce la logica autoritaria del comunismo al capitalismo tecnologico realizzando, almeno in parte, la distopia orwelliana.

Un’altra condizione necessaria affinché questo sistema di controllo sociale si attui è certamente l’esistenza di industrie di Stato senza le quali un sistema così pervasivo non sarebbe possibile. A tale proposito pensiamo alla società finanziaria cinese China Rapid Finance che stabilisce chi debba avere o meno i prestiti, ma soprattutto pensiamo al Sesame Credit sviluppato dalla Ant Financial Service Group, che garantisce i prestiti al settore delle piccole e medie imprese. Il Sesame Credit può agevolmente servirsi dei dati prodotti dagli utenti che utilizzano Alibaba oppure da altre aziende, come la compagnia di trasporti privati Didi Chuxing o Baihe, la maggiore società di dating online cinese per la profilazione delle persone. Il Sesame Credit utilizza sostanzialmente diversi criteri affinché un cittadino sia considerato affidabile: il primo criterio è la storia finanziaria del cittadino e cioè stabilisce se il cittadino sia solvente o meno. In secondo luogo verifica se il cliente sia in grado di adempiere agli obblighi contrattuali; in terzo luogo analizza sia le preferenze che i comportamenti personali attraverso l’analisi dei gusti personali e delle abitudini di acquisto. In quarto luogo questo sistema valuta persino le relazioni interpersonali catalogando le persone in base agli amici che frequentano o alle considerazioni che esprimono sulla situazione economica del paese o sulle scelte politiche del governo attraverso i social network.

Se la valutazione che il cittadino dà del suo paese è positiva, il suo punteggio sale di conseguenza, se invece esprime un parere contrario questo comporterà un rilevante abbassamento del punteggio. Inoltre ci possono essere altre cause per le quali il punteggio del cittadino si abbassa: per esempio le considerazioni che gli amici del cittadino scrivono online attraverso tutte le piattaforme di social network. Se invece il punteggio risulta essere essere alto allora sarà più facile ottenere prestiti bancari, sarà possibile usufruire di check-in più veloci negli aeroporti e sarà persino più facile affittare un auto a noleggio. Ma soprattutto il cittadino avrà la possibilità di ottenere una corsia preferenziale per richiedere il rilascio di un visto di ingresso nei paesi dell’area Schengen.

Un’altra condizione, sotto il profilo tecnologico, indispensabile per attuare questo sistema di sorveglianza è che il cittadino viva in una smart city nel quale l’esistenza di un sistema di monitoraggio continuo – possibile grazie all’uso della intelligenza artificiale – consente di riconoscere i cittadini, di leggere le targhe, di attuare il riconoscimento facciale, quello numerico e di geolocalizzarlo. La società che si occupa di produrre telecamere è la Hikvision, che grazie alla sinergia con Huawei è in grado di rendere questo sistema di videosorveglianza efficace. Ebbene, non è un caso che proprio Huawei abbia sviluppato il 5G poiché la connessione che consente il 5G migliora in modo rilevante l’efficienza della video sorveglianza e quindi del controllo sociale.

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Servo degli ammalati

Posté par atempodiblog le 14 juillet 2020

Servo degli ammalati
di Gianluca Giorgio – L’Osservatore Romano

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San Camillo de Lellis, prima della conversione, era un uomo che aveva gettato, molte volte, il cuore in cose di poco conto: giochi, guerra, disordine. Questo stato di cose continuò fino al giorno in cui, nella piana di San Giovanni Rotondo, accolse il desiderio di cambiare vita e darsi a Dio. Era il 2 febbraio 1575. Un giorno come tanti, ma non come tutti.

Da quel momento la sua esistenza cambia. Vuole vivere per Dio. Non gioca più e si dà alla preghiera, chiedendo di essere ammesso come fratello laico, tra i Frati minori cappuccini.

Le Cronache raccontano che, giunto nel convento, che sarà la comunità nella quale dimorerà padre Pio, vi trascorse la notte.

La cella è la numero cinque, la stessa abitata, per tanti anni, dal santo religioso di Pietrelcina.

Se tutto, ormai, nella sua vita sembra essere appianato, una misteriosa piaga alla gamba lo porta lontano da quel luogo, e la strana malattia gli rende impossibile vestire il saio dei figli di san Francesco.

Lascia la Puglia per Roma, per tentare una cura presso l’ospedale di San Giacomo in Augusta.

Deluso, avvilito, senza un’occupazione, non sa cosa sarà il suo domani. Sembra leggere la storia degli uomini di tutti i tempi: soli e persi nel grande naufragio della vita, senza un orizzonte da cui sperare di vedere terra.

Gira per le corsie del nosocomio, nelle quali scopre gli sguardi dei ricoverati. Ciò lo turba, alla ricerca di una risposta a ciò che vede.

Il tempo passa. Quattro anni sono trascorsi dal quel giorno. Oltre a infermiere, per la bravura, è divenuto anche economo, prestando il proprio servizio ai degenti. Si dà da fare con la stessa foga che ha messo nella vita militare. È alto, forte, di grande volontà, lodato da tutti, ma di più amato per quella carità che lo fa essere padre, prima di infermiere.

Ha molti amici che lo aiutano e si riuniscono in una piccola stanza, nella quale è appeso un grande crocifisso per la preghiera in comune.

La piccola comunità genera ammirazione, ma anche invidia ed è bersaglio di cattiverie. Una notte alcuni uomini irrompono in quel luogo, mandando tutto all’aria: letti, medicine, carte, stoffa per le bende, e il crocifisso viene gettato dietro la porta.

Entrando Camillo vede la situazione: è scoraggiato, deluso e ripiomba in quello stesso stato d’animo, che lo ha condotto sulla soglia dell’ospedale, anni prima. Vuole mollare tutto.

Quanta umanità trasuda in queste ore della vita del “gigante della santità”.

Il momento della prova è giunto: il Getsemani arrivato. Rinnegare se stesso e tornare indietro è l’unica cosa che gli viene in mente. Non sappiamo se pianse. Stanco e avvilito, dopo aver pregato, si getta sul pagliericcio, ricomposto alla meglio per dormire qualche ora, prima di riprendere il turno.

Qui avviene l’incredibile: il santo svegliandosi vede le braccia del Cristo, staccarsi dal legno che lo incoraggiano, dicendo: «Di che ti affliggi, pusillanime? Prosegui pure l’impresa (che io ti aiuterò) perché questa è opera mia e non tua!». Il bene fatto è solo in parte di Camillo, il resto di Dio.

La scultura è esposta nella chiesa della Maddalena, a Roma, muta testimone di quell’amore, che non abbandona, soprattutto, nelle ore in cui tutto crolla.

Si alza, ma non più quel Camillo, un altro. Comprende che deve andare avanti e con lo straordinario coraggio, di cui la natura lo ha colmato, siede, ormai adulto, fra i banchi di scuola del Collegio romano, rimettendosi a studiare per diventare sacerdote.

Quel fatto lo mette in guardia dalla depressione del momento, rendendolo forte di fronte ai continui attacchi. È determinato, sa cosa vuole percependo che, senza istruzione, non può difendere i malati e tanto altro che brilla nei suoi ragionamenti.

Il 10 giugno 1584, in due anni, bruciando tutte le tappe, celebra la prima messa. Da una situazione di scarsa cultura, adesso, ha le basi per conquistare il mondo della sanità con l’amore ai malati e i sacramenti. Continua la sua esistenza, con slancio e con quell’amore che brucia.

Quando la sera rientra nella casa della Maddalena, dopo aver lavorato molte ore in ospedale, assiste i confratelli con qualche infermità, rifà i letti, svolge ciò che manca al quotidiano e tanto altro.

Fonda l’ordine dei Ministri degli infermi. “Ministri” in quanto servi dei pazienti e a loro sottoposti. Ai voti di castità, povertà e obbedienza aggiunge quello di curare i malati, anche a costo della stessa vita. Nella pandemia del 1606, nel continuo esercizio della carità, spirano molti religiosi, fra lo stupore di tutti.

La cosa che più sorprende dei figli di san Camillo, è che il fondatore vuole che i suoi religiosi, nel curare i corpi, non dimentichino la fede, mostrandosi sempre allegri e pronti al sorriso.

Il Pontefice Gregorio XIV approva la Regola del nuovo ordine. È il 21 settembre 1591.

San Camillo de Lellis ha raggiunto il suo scopo, e seppur superiore della comunità, è infaticabile. Spira, alle ventidue del 14 luglio 1614, atteso in un’altra realtà, ben più bella, varcando i sessantaquattro anni di età.

Tra le labbra una sola parola, “Maria”, la madre tanto amata da colui che ha speso la sua vita per quei fratelli, nei quali ha saputo leggere il dolce sguardo di Gesù.

Sarà canonizzato da Papa Benedetto XIV il 29 giugno 1746.

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Gesù è allo stesso tempo seminatore, seme e frutto della semina: è il Pane di vita eterna

Posté par atempodiblog le 12 juillet 2020

Ecco, il seminatore usci a seminare. E mentre seminava, una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un’altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c’era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta (Mt 13, 3-8).

Gesù è allo stesso tempo seminatore, seme e frutto della semina: è il Pane di vita eterna dans Commenti al Vangelo Il-seminatore

La scena è di attualità. Anche oggi, come allora, il seminatore divino sparge la sua semente. L’opera della salvezza continua a compiersi, e il Signore vuole servirsi di noi: desidera che i cristiani aprano al Suo amore tutti i sentieri della terra; ci invita a propagare il messaggio divino — con la dottrina e con l’esempio — fino agli ultimi confini del mondo. Ci chiede che, come cittadini della società ecclesiale e di quella civile, svolgendo con fedeltà i nostri doveri, ciascuno di noi sappia essere un altro Cristo, santificando il lavoro professionale e i doveri del proprio stato.

Guardando attorno a noi questo mondo che amiamo, perché opera divina, costatiamo che la parabola si fa realtà: la parola di Gesù è feconda e suscita in molte anime desideri di dedizione e di fedeltà. La vita e le opere di coloro che si sono posti al servizio di Dio hanno cambiato il volto della storia, al punto che molti di coloro che non conoscono il Signore sono spinti — forse senza saperlo — da ideali suscitati dal cristianesimo.

Vediamo anche che parte della semente cade in terra sterile o tra le spine e i cardi: vi sono uomini che si chiudono alla luce della fede. Gli ideali di pace, di concordia, di fraternità sono accolti e proclamati, ma spesso sono smentiti dai fatti. Taluni, poi, si affannano inutilmente a imprigionare la voce di Dio, impedendone la diffusione con la forza bruta o con un’arma meno rumorosa, ma forse più crudele, perché rende insensibile lo spirito: l’indifferenza.

Vorrei che, vedendo tutto ciò, prendessimo coscienza della nostra missione di cristiani e volgessimo lo sguardo alla Sacra Eucaristia, a Gesù che, presente in mezzo a noi, ci ha costituiti Sue membra: Vos estis corpus Christi et membra de membro (1 Cor 12, 27), voi siete il corpo di Cristo e membra unite ad altre membra. Il nostro Dio ha deciso di rimanere nel tabernacolo per essere nostro alimento, per darci forza, per divinizzarci, per dare efficacia al nostro lavoro e al nostro sforzo. Gesù è allo stesso tempo seminatore, seme e frutto della semina: è il Pane di vita eterna.

Il miracolo costantemente rinnovato della Sacra Eucaristia ha in sé tutte le caratteristiche proprie dell’agire di Gesù. Perfetto Dio e perfetto Uomo, Signore del Cielo e della terra, Egli si dona a noi per essere nostro sostentamento nel modo più naturale e comune. Attende il nostro amore da quasi duemila anni. È tanto, ma è poco, perché quando c’è amore il tempo vola.

di San Josemaría Escrivá de Balaguer
Tratto da: Escrivá Works

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Emanuele Ferrario è nato in Cielo

Posté par atempodiblog le 9 juillet 2020

Morto Emanuele Ferrario, l’imprenditore che ha trasformato Radio Maria in una realtà mondiale
Aveva 90 anni: si dedicò all’emittente anima e corpo dopo la morte della moglie. “Era un uomo santo”
di Lucia Landoni – la Repubblica

Emanuele Ferrario è nato in Cielo dans Articoli di Giornali e News emanuele-ferrario

C’è chi lo definisce “una persona straordinaria che ha saputo rendere concreto il progetto di evangelizzazione della nostra Madre celeste”, mentre per altri era “un uomo santo che ha compiuto un progetto di natura divina”: sono solo alcuni delle centinaia di messaggi con cui gli ascoltatori di Radio Maria hanno salutato Emanuele Ferrario, 90enne presidente dell’omonima associazione proprietaria dell’emittente radiofonica dedicata alla Madonna, scomparso a Varese nel pomeriggio di mercoledì 8 luglio.

L’annuncio della sua morte è stato dato dalla pagina Facebook di Radio Maria, dove lo staff – a cominciare dal direttore, padre Livio Fanzaga – l’ha ricordato così: “Fino all’ultimo ha lavorato per la radio. Grazie Emanuele per aver risposto alla chiamata, portando Radio Maria in Italia e nel mondo”.

L’emittente radiofonica, con sede a Erba (nel Comasco), era stata fondata nel 1982 e venne rilevata da Ferrario, all’epoca imprenditore nel settore caseario, nel 1987: avvicinatosi alla radio dopo la morte della moglie, vi si dedicò completamente, trasformandola da piccola realtà parrocchiale a radio diffusa in tutto il mondo. Oggi, si legge sul sito ufficiale, “Radio Maria è presente in 77 nazioni nei cinque continenti, con 84 reti, supportate da altre 22 stazioni radiofoniche in Africa che trasmettono nella lingua locale”.

In queste ore si stanno moltiplicando i messaggi di cordoglio sui social network, provenienti da tutto il mondo: “La sua voce mi ha sempre ispirato tanta tenerezza e gratitudine” scrive un ascoltatore, ricordando anche l’attività di conduttore radiofonico di Emanuele Ferrario, mentre tanti altri si augurano che “la sua missione sia di esempio per tutti noi”.

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L’umiltà

Posté par atempodiblog le 5 juillet 2020

L’umiltà dans Commenti al Vangelo Violetta

Se paragoniamo la vita spirituale a un albero, l’umiltà è la radice dalla quale il tronco e i rami prendono il necessario nutrimento. «Umiltà» viene da «humus», che significa «terreno», la condizione senza la quale nessuna pianta potrebbe crescere. Quando guardi un albero che si eleva nel cielo, mostrando la sua maestosa bellezza, sei portato ad ammirare lo slancio del fusto e l’estensione dei rami, ma non consideri il terreno nel quale affonda le radici, anzi trovi naturale calpestarlo. La grande tradizione spirituale cristiana considera l’umiltà il terreno indispensabile perché il seme della vita cristiana possa essere piantato e crescere fino al suo completo sviluppo. Tuttavia, proprio perché si nasconde nell’ombra, l’umiltà è notata e ammirata meno di altre virtù. Chi non sentirebbe ardere il cuore ammirando il coraggio eroico, la carità sconfinata, lo zelo instancabile, la sapienza divina, il dono dei miracoli di cui sono ornati i santi? Eppure senza la radice dell’umiltà tutto si ridurrebbe a un luccichio ingannevole. Al contrario, più il terreno dell’umiltà è fecondo e più numerosi e profumati sono i fiori che crescono. Di colei che fu la Regina di tutte le virtù ci viene svelata dallo Spirito Santo la radice nascosta dell’umiltà.

[...]

L’umiltà è una luce che permette di guardare a se stessi con misericordia, prendendo atto che siamo creature fragili e inclini a commettere errori. L’umile non fa fatica a riconoscersi peccatore. Questo spiega perché i santi, più avanzavano nel cammino di conversione e più si battevano il petto. Tuttavia non fermavano lo sguardo sulle proprie miserie, ma lo elevavano sulla compassione divina, che è sempre pronta a perdonare chi riconosce le proprie colpe.

L’umiltà è uno sguardo vero sulla realtà, vista nella luce di Dio. L’umile vede se stesso e gli altri a partire da Colui che conosce ogni cosa nella sua verità. C’è un legame profondo fra l’umiltà e la verità. L’una è la causa, l’altra l’effetto. L’umiltà ti permette di vedere le cose così come sono, come Dio le vede. Non potrai certo avere la profondità del suo sguardo, ma ti poni nella giusta prospettiva. Quando guardi a te stesso nella luce divina, non potrai mai disprezzarti perché, insieme alla tua miseria, vedrai la tua grandezza.

Tratto da: La grandezza dell’umiltà. La virtù che salverà il mondo, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

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Un’adolescente con la sindrome di Down stupisce il mondo artistico

Posté par atempodiblog le 4 juillet 2020

Un’adolescente con la sindrome di Down stupisce il mondo artistico
Non verbale fin dalla nascita, Sevy ha trovato la sua “voce” meravigliando chiunque la circondi
di Sarah Robsdottir – Aleteia

Un’adolescente con la sindrome di Down stupisce il mondo artistico dans Articoli di Giornali e News Sevy-Marie-Eicher

Come disperato tentativo di legare con la figlia che aveva adottato in Bulgaria, una sera Lisa Eicher ha preso in mano alcuni dipinti. Quello che è accaduto in seguito l’ha lasciata senza parole:

“Ogni riga, ogni segno era intenzionale e pensato, e mi ha colpito: è un’artista! Sa quello che sta facendo, e cerca davvero di dirmi qualcosa in quel modo”.

Lisa e il marito Joey hanno quindi dotato Sevy, adottata a 12 anni, di più strumenti artistici. Ora, a 16 anni, l’adolescente è un’artista ricercata – che cambiamento dai primi anni di vita, in cui è passata da un istituto all’altro!

L’opera di Sevy è diventata pubblica quando Lisa ha postato alcuni suoi dipinti su Instagram. “La gente è impazzita!”, ha riferito in un video di Youtube. “Degli artisti professionisti hanno detto che sembrava l’opera di una persona laureata in Belle Arti”.

Poco dopo che Lisa ha iniziato a condividere l’opera di Sevy, una richiesta online dei suoi dipinti li ha visti vendere tutti in appena 8 minuti, con un crash del sito. Fortunatamente, gli Eicher (insieme agli altri tre figli) hanno reso l’arte di Sevy un affare di famiglia. Lavorano in squadra, il fratellino dà il nome a ogni opera e il resto della famiglia impacchetta e spedisce i capolavori di Sevy Marie Eicher in tutto il mondo.

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San Francesco di Sales era devotissimo di san Tommaso apostolo

Posté par atempodiblog le 3 juillet 2020

San Francesco di Sales era devotissimo di san Tommaso apostolo dans Fede, morale e teologia San-Francesco-di-Sales

Era il nostro Vescovo devotissimo di S. Tommaso e non ne lasciava passare quasi mai la festa senza predicarne le lodi: anche nel 1622, appena sette giorni prima del beato suo transito, parlò mirabilmente alle Visitandine di Bellecour sulla condotta della divina Provvidenza in tutta la vita di questo Apostolo, profittando dell’occasione per consolarle anticipatamente, con grandi e sodi motivi, della sua prossima partenza da questo mondo. Si diceva che la grande devozione del nostro Prelato per S. Tommaso proveniva dal fatto che, come lui, aveva egli pure predicato tra gl’infedeli, mentre le provincie dello Chablais erano le Indie della Savoia! Fra i mille dolci pensieri che formava sulla vita di questo santo Apostolo, per non oltrepassare i limiti della nostra brevità, citeremo solo quanto graziosamente disse una volta, in un trattenimento familiare: “Avendo consi­derato, nella mia orazione, il grande ed ostinato desiderio di S. Tommaso di vedere e toccare le piaghe del Salvatore risorto, e poi, quando il buon Salvatore gli offri il suo Costato aperto, il suo rifiuto di toccarlo con la punta dei dito, ho riso un po’internamente, sembrandomi che se fossi stato al posto suo, non solo avrei messo la mia mano in quel Sacro Costato, mi ci sarei buttato tutto quanto, corpo ed anima: si sta tanto bene in quella beata caverna, che non si vorrebbe uscirne mai più!”.

San Francesco di Sales. Negli insegnamenti e negli esempi
Diario Sacro estratto dalla sua vita e dalle sue opere per cura delle “Visitandine di Roma”.
Libreria Editrice F. Ferrari

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Commento di padre Livio di Radio Maria al messaggio di Medjugorje del 25 giugno 2020

Posté par atempodiblog le 2 juillet 2020

Messaggio della Regina della Pace alla veggente Marija (25 giugno 2020)

“Cari figli!
Ascolto le vostre suppliche e preghiere ed intercedo per voi presso mio Figlio Gesù che è via, verità e vita. Figlioli, ritornate alla preghiera e aprite i vostri cuori in questo tempo di grazia ed incamminatevi sulla via della conversione. La vostra vita è passeggera e non ha senso senza Dio. Perciò sono con voi per guidarvi verso la santità della vita affinché ciascuno di voi scopra la gioia di vivere. Figlioli, vi amo tutti e vi benedico con la mia benedizione materna. Grazie per aver risposto alla mia chiamata”.

Commento di padre Livio di Radio Maria al messaggio di Medjugorje del 25 giugno 2020 dans Fede, morale e teologia Padre-Livio-Fanzaga-e-la-Gospa-di-Medjugorje

Commento di padre Livio di Radio Maria al messaggio di Medjugorje del 25 giugno 2020

In questo messaggio la Madonna non ha fatto nessun riferimento al 39° anniversario, anniversario molto particolare senza pellegrini.
Infatti le frontiere sono chiuse fino al 1° Luglio. Gli altri anni eravamo presenti 100.000 pellegrini a Medjugorje in occasione dell’anniversario.
In realtà era presente la popolazione del posto, liberata dall’incombenza di far da mangiare ai pellegrini, rifare i letti e tutto il necessario, e inoltre sono arrivati molti pellegrini dall’Erzegovina, tant’è vero che il parroco, Padre Marinko, si è commosso e ha ricordato i messaggi dei primi tempi, quando la Madonna aveva detto che era venuta a Medjugorje, perché in quella zona c’era ancora un buon numero di credenti cattolici.
Noi aspettavamo che la Madonna facesse accenno all’anniversario, in quanto il giorno dopo, il 26 Giugno, inizia il 40° anno, quindi un anno con un significato biblico speciale: i 40 anni del popolo di Israele nel deserto, prima di arrivare alla terra promessa, i 40 giorni di Gesù nella lotta contro il demonio, ma la Madonna non ha commentato.
Anzi nel messaggio che la Madonna ha dato a Ivan il 24 giugno ha detto: “io non mi sono stancata, perciò non stancatevi neppure voi”.
Quindi l’impressione è che abbia davanti a sé un grande programma.
Sappiamo che la Madonna apparirà almeno a uno dei veggenti che adesso hanno le Apparizioni quotidiane, cioè Marija, Vicka e Ivan, anche per tutto il tempo dei 10 segreti.
Poi apparirà per tutta la vita a quei veggenti che non hanno più le Apparizioni quotidiane, ma le hanno una volta all’anno.
Queste sono le sue ultime Apparizioni, la Madonna sta preparando la grande battaglia, la vittoria è certa, e ha detto: “se siete miei, vincerete” (25.7.2019), dobbiamo fare la battaglia per essere suoi.
“Cari figli, ascolto le vostre suppliche e preghiere e intercedo per voi presso mio Figlio Gesù, che è Via, Verità e Vita”. Nel messaggio del 25 Marzo, la Madonna aveva detto: “ritornate a mio Figlio, ritornate alla preghiera, al digiuno”, (toccando tutti i tasti che Le stavano a cuore), “allora la preghiera sarà ascoltata, Dio esaudirà le vostre suppliche”.
Parlava al futuro. Oggi invece la Madonna apre il messaggio dicendoci che ascolta le nostre preghiere e suppliche e intercede presso suo Figlio.
Allora ho chiesto a Marija se possiamo chiedere la Grazia di essere liberati da questa pandemia e Marija ha risposto: “certo che possiamo chiederla!”
Per me questa frase della Madonna: “ascolto le vostre suppliche e preghiere” è un invito e un incoraggiamento che la Madonna ci fa a continuare a pregare per liberarci da questa pandemia che è pericolosa, è una spada di Damocle, perché adesso si comincia a dire che a settembre potrebbe tornare; è un pericolo che non siamo ancora capaci di combattere, per cui solamente la Madonna può dire basta a questo virus.
La Madonna ci vuole ascoltare, Lei intercede “presso mio Figlio Gesù che è Via, Verità e Vita”, porta le nostre preghiere a Gesù, il quale è il Signore della storia, quindi tutto può fare. Però cosa aspetta?
Lo dice subito dopo: “figlioli ritornate alla preghiera e aprite i vostri cuori in questo tempo di grazia”. La Madonna vuole che ritorniamo a Dio, a suo Figlio, che ritorniamo alla preghiera, non solo con le labbra, ma come apertura del cuore.
Cacciamo dal cuore il diavolo per far entrare Gesù Cristo, lasciamo il peccato, riceviamo la Grazia dello Spirito Santo per fare del nostro cuore la dimora della Santissima Trinità!
Non è una cosa così difficile, dipende da noi, dipende dalla nostra buona volontà far sì che Dio abiti dentro di noi,
“incamminatevi sulla via della conversione”. La via della conversione è continua, è la via della santità, è la via verso la vita eterna.
Nel mondo i morti per il virus sono mezzo milione e i morti per altre cause sono molti di più e la Madonna ci dice: “La vostra vita è passeggera e non ha senso senza Dio”.
Una volta ha detto che la vita è come un battito di ciglia, la vita non è nelle nostre mani, oggi ci siamo, domani non ci siamo, un giorno abbiamo i nostri cari in casa, un altro giorno sono chiusi in una bara.
Guai a noi se non avessimo la prospettiva della vita eterna, guai a noi se non sapessimo per grazia che abbiamo un’anima spirituale immortale e, come ha detto la Madonna, il Cielo è la casa che Dio ci ha preparato, è la meta a cui dobbiamo tendere.
Nel mondo d’oggi purtroppo buona parte dell’umanità è rabbiosa nei confronti della vita. Perché è rabbiosa? Perché c’è il male, c’è la morte, c’è la sofferenza, perché c’è la fatica, perché la vita senza Dio è un inferno.
E gli uomini che si sono sbarazzati di Dio e sono passati dalla parte del demonio, anche inconsapevolmente, si sono messi nelle mani di un torturatore, di un ingannatore, di un dittatore, di un delinquente, di un perfido. Che senso ha la vita nelle mani del diavolo?
La vita senza Dio manca di fondamento, precipita nell’abisso del nulla, viene risucchiata dal nulla.
Senza Dio perdiamo la verità, la bellezza, l’amore, il perdono, la pace, la comprensione, perdiamo la strada, perdiamo la vita come progetto, siamo zombi che vagano, foglie al vento, relitti in un mare in tempesta.
Senza Dio si diventa cattivi, si diventa negativi e molti ci sguazzano, è lo sguazzare dei demoni.
Allora uno riempie la vita con quello che satana offre e ci distrugge: il denaro, il sesso, i piaceri, la potenza, l’io è soddisfatto in tutte le sue fami, come dice il grande poeta Dante: “più dai da mangiare alla famelica bestia, essa ha più fame di prima”.
Perciò, rafforzati da Colui che è la via, la verità e la vita, con grande pietà la Madonna ci manda verso di loro perché possiamo testimoniare la luce, il perdono, la fraternità vera che è quella di essere figli del Padre Celeste, la mano tesa e la carità generosa apre i cuori più induriti.
Proprio perché la vita è passeggera e le tenebre ci assediano e ci vogliono afferrare, perché abbiamo perso la gioia di vivere, per tutto questo la Madre ci dice: “perciò sono con voi per guidarvi”.
La Madonna ci guida da 39 anni ed io, a parte la Bibbia, non ho trovato mai nulla di più bello dei suoi messaggi. Purtroppo non li capisco bene, in quanto sono molto più profondi di quello che noi comprendiamo, dobbiamo chiedere allo Spirito Santo, come una volta Lei ci ha detto, che ci illumini.
“Perciò sono con voi per guidarvi verso la santità della vita affinché ciascuno di voi scopra la gioia di vivere”. La vita che si apre a Dio, la vita che è adempimento della missione che Dio ci ha dato, la vita che si apre al suo amore per dare amore agli altri, è così che si scopre Dio e la vita come cammino verso Dio, si scopre la gioia di vivere.
Queste sono le due frasi più belle del messaggio:
“La vostra vita è passeggera e non ha senso senza Dio”.
“Perciò sono con voi per guidarvi verso la santità della vita affinché ciascuno di voi scopra la gioia di vivere” e la fa scoprire agli altri vivendo.
E la Madonna termina assicurando il suo amore per tutti: “Figlioli, vi amo tutti”; ha detto “tutti”, perché tutti sono suoi figli, anche i non cattolici, anche i peccatori, anche i lontani, anche i bestemmiatori.
È una madre che guarda il figlio che ne combina di tutti i colori, ma Lei vorrebbe salvarlo e in un messaggio ha detto: “io verso lacrime di sangue per ogni mio figlio che si perde nel peccato”, e “vi benedico con la mia benedizione materna”, grazie Madre.
“Grazie per aver risposto alla mia chiamata ».
E noi la ringraziamo non solo con le parole, ma con i fatti.
Siamo entrati nel 40° anno e la Madonna ha formato gli apostoli del suo amore.
Io sono convinto che basteremmo, se tutti noi che abbiamo accolto la chiamata, che abbiamo avuto la grazia di andare a Medjugorje o fisicamente o spiritualmente, se tutti noi prendessimo la Madonna sul serio, La seguissimo sul serio, diventeremmo una luce che illumina il mondo, saremmo il lievito e il sale della terra.
Questo avrebbe già dovuto avvenire e, se non è ancora avvenuto, è perché siamo ancora nella mediocrità.
Noi siamo gli innamorati di Maria, innamorati di Gesù, di Dio, perché Loro sono innamorati di tutti noi.

Trascrizione dall’originale audio ricavata dal sito: www.medjugorjeliguria.it

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Morto Georg Ratzinger, dalla guerra alla vocazione: «Amo la musica, con Joseph cantavamo in famiglia»

Posté par atempodiblog le 2 juillet 2020

Morto Georg Ratzinger, dalla guerra alla vocazione: «Amo la musica, con Joseph cantavamo in famiglia»
Dalla prigionia a Napoli ai trent’anni alla direzione del coro della Cattedrale di Regensburg. Col fratello aveva un rapporto inscindibile: «Quando sentii che era stato eletto rimasi pietrificato. Ho temuto che da Papa non avrebbe avuto tempo per me».
di Luigi Accattoli – Corriere della Sera
Tratto da: 
Radio Maria

Morto Georg Ratzinger, dalla guerra alla vocazione: «Amo la musica, con Joseph cantavamo in famiglia» dans Articoli di Giornali e News Famiglia-Ratzinger

Georg e Joseph Ratzinger appaiono somigliantissimi nelle foto della loro prima messa, che celebrarono lo stesso giorno, il 29 giugno 1951. Li avresti detti gemelli e non si notavano affatto i tre anni in più di don Georg. Somiglianti, ma diversi per carattere: riservati, sensibili, timidi ambedue. Ma Georg anche ritroso, quasi scorbutico, certamente d’umore solitario. Joseph, invece, più comunicativo, curioso di tutto e anche combattivo. Don Georg ha preso sempre male, si direbbe, la fortuna ecclesiastica del fratello minore, che veniva a intralciare la loro consuetudine familiare. Nel libro di memorie «Mio fratello il Papa», che è del 2011 (tradotto in italiano da Piemme nel 2012), commenta bruscamente la nomina di Joseph ad arcivescovo di Monaco (1977), la sua chiamata a Roma come prefetto della Congregazione per la dottrina (1981) e persino l’elezione a Papa (2005).

Della promozione ad arcivescovo dice solo: «Ne fui molto sorpreso». Sulla chiamata a Roma invece si dilunga, quella nomina gli portava via l’anima gemella: «Mah, lo sapevo che il mio parere non era rilevante. Mi dispiaceva davvero molto che mio fratello si trasferisse ancora lontano. Ero triste perché non potevamo più stare vicini come prima. A poco a poco mi abituai alla nuova situazione, riuscendo anche a trovarvi alcuni aspetti positivi».

Nessuna positività troverà invece nell’elezione di Joseph a Papa: «Quando sentii il suo nome rimasi pietrificato. Sinceramente devo dire che in quel momento mi sentii scoraggiato, abbattuto. Per lui era una grande sfida, un impegno gravoso. Ed ero anche triste perché forse non avrebbe più avuto tempo per me». E non fu un abbattimento momentaneo: «Così quella sera andai a dormire un po’ depresso. A partire da quel momento e fino al pomeriggio successivo il telefono non smise mai di suonare, ma rimanevo indifferente. Non risposi, semplicemente. Andate tutti al diavolo, pensai. Non lo chiamai nemmeno e non risposi neanche quando, il mattino dopo, fu lui a chiamare. Alla fine rispose la mia governante e così parlò prima con lei che con me». Dovranno passare molti giorni prima che don Georg si rassereni: «In ogni caso, dietro la decisione umana dei cardinali c’è la volontà di Dio, e a questa dobbiamo dire sì».

Dello stretto legame tra i due fratelli abbiamo avuto testimonianza due settimane addietro, quando Benedetto aveva lasciato la sua residenza nei Giardini Vaticani per fare visita, a Regensburg, al fratello che si era aggravato. Con la morte di Georg, Joseph perde l’unico membro della famiglia che gli era rimasto. Una sorella, Maria, se ne era andata per prima nel 1991.

Nato a Pleiskirchen, in Baviera, il 15 gennaio 1924, Georg Ratzinger aveva iniziato a suonare l’organo nella chiesa parrocchiale fin da quando aveva 11 anni. Nel 1935 entra nel seminario di Traunstein, ma nel 1942 viene arruolato nelle Reichsarbeitsdienst, e in seguito nella Wehrmacht, con la quale combatte anche in Italia. Catturato dagli Alleati nel marzo 1945, resta prigioniero a Napoli per alcuni mesi prima di essere rilasciato e di far ritorno in famiglia.

Nel 1947 assieme al fratello Joseph entra nel seminario Herzogliches Georgianum di Monaco di Baviera. Nel giugno del 1951, entrambi i fratelli, insieme a una quarantina di altri compagni, vengono ordinati sacerdoti nel Duomo di Frisinga dal cardinale Michael von Faulhaber.

La grande passione della vita di don Georg è la musica. Prima maestro di cappella a Traunstein e poi, per trent’anni, dal 1964 al 1994, direttore del coro della Cattedrale di Regensburg, il coro dei «Regensburger Domspatzen»: Passeri del Duomo di Regensburg. Don Georg ha girato il mondo facendo numerosi concerti e ha diretto molte incisioni per Deutsche Grammophon, Ars Musici e altre importanti etichette discografiche con produzioni dedicate a Bach, Mozart, Mendelssohn e altri autori. «Nella nostra casa tutti amavano la musica – ha scritto don Georg nelle memorie – e già nostro padre aveva una cetra che suonava spesso la sera. Cantavamo insieme. Ho sempre pensato che la musica sia una delle cose più belle che Dio abbia creato. Anche mio fratello ha sempre amato la musica: forse l’ho contagiato io».

Il 22 agosto 2008, ringraziando il sindaco di Castel Gandolfo che aveva concesso a Georg la cittadinanza onoraria, Benedetto XVI aveva detto: «Mio fratello è stato sempre per me non solo compagno, ma anche una guida affidabile e un punto di riferimento con la chiarezza, la determinazione delle sue decisioni. Mi ha mostrato sempre la strada da prendere, anche in situazioni difficili. Ora siamo arrivati all’ultima tappa, alla vecchiaia e anche ora egli mi aiuta ad accettare con serenità il peso di ogni giorno».

Don Georg aveva avuto un qualche presentimento che il fratello Papa poteva «anche» rinunciare al Papato. Intervistato nel 2011 da una rivista tedesca aveva detto: «Se non dovesse più farcela dal punto di vista della condizione fisica, mio fratello dovrebbe avere il coraggio di dimettersi». Riceverà con un anticipo di mesi la confidenza di Benedetto sulla propria clamorosa decisione. «L’età si fa sentire – aveva commentato don Georg l’annuncio delle dimissioni nel febbraio del 2013 – e mio fratello desidera più tranquillità nella vecchiaia». Nonostante i problemi alle gambe e alla vista, don Georg ha continuato a viaggiare da Regensburg a Roma, in tutti questi anni, per stare il più a lungo possibile con il fratello, accomunati ormai ambedue dall’uso del bastone oltre che dall’amore per la musica.

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