Novena al Sacro Cuore di Gesù

Posté par atempodiblog le 10 juin 2020

Novena al Sacro Cuore di Gesù
Coroncina (può essere recitata in preparazione della solennità del Sacro Cuore di Gesù)
Tratta da: San Pio da Pietrelcina

Novena al Sacro Cuore di Gesù dans Padre Pio Sacro-Cuore-di-Ges-A-tempo-di-Blog

(Recitata ogni giorno da Padre Pio per tutti quelli che si raccomandavano alle sue preghiere)

1. O mio Gesù, che hai detto: «In verità vi dico, chiedete e riceverete, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto». Ecco che io busso, io cerco, io chiedo la grazia…

Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in te.

2. O mio Gesù, che hai detto: «In verità vi dico, tutto quello che chiederete al Padre mio nel mio nome, ve lo concederà». Ecco che al Padre tuo, nel tuo nome, io chiedo la grazia…

Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in te.

3. O mio Gesù, che hai detto: «In verità vi dico, il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». Ecco che, appoggiato all’infallibilità delle tue sante parole, io chiedo la grazia…

Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. Sacro Cuore di Gesù, confido e spero in te.

O Sacro Cuore di Gesù, cui è impossibile non aver compassione degli infelici, abbi pietà di noi, poveri peccatori, e concedici la grazia che ti domandiamo per intercessione del Cuore Immacolato di Maria, tua e nostra tenera Madre.

San Giuseppe, padre putativo del Sacro Cuore di Gesù, prega per noi. Salve Regina.

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Sull’altare del mondo

Posté par atempodiblog le 9 juin 2020

Sull’altare del mondo dans Citazioni, frasi e pensieri Giovanni-Paolo-II

Anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l‘Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo.
Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato.

Giovanni Paolo II – LETTERA ENCICLICA ECCLESIA DE EUCHARISTIA

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Shock per la morte di un’elefantessa incinta, ma resta normale la strage di bambini

Posté par atempodiblog le 9 juin 2020

Shock per la morte di un’elefantessa incinta, ma resta normale la strage di bambini
Il dolore e l’indignazione per la morte di un pachiderma e del cucciolo che aveva in gestazione sono doverosi e sono tratti propriamente umani! Come mai non riusciamo più a riconoscere la dignità dell’uomo, il suo valore e la gravità della pratica dell’aborto in tutto il mondo?
di Arianna Trotta
Tratto da: ALETEIA 

Shock per la morte di un’elefantessa incinta, ma resta normale la strage di bambini dans Aborto Elefantessa

Due giorni fa (il 3 giugno scorso, NdR) è uscita la notizia che in India è morta un’elefantessa e il suo cucciolo che portava in grembo per aver ingerito un ananas ripieno di petardi. Va subito detto che la notizia è stata riportata in modo incorretto, l’ananas di petardi non le è stato dato da mangiare con l’intento di vederla morire per divertimento, ma è stato messo da dei contadini con lo scopo di proteggere i propri terreni dalla devastazione dei cinghiali selvaggi, e per errore è stato trovato ed ingerito dalla sfortunata elefantessa incinta.

Qualcuno potrebbe dire: e allora? non cambia! se l’avesse mangiato un cinghiale sarebbe stato altrettanto crudele! Fermo restando che gli intenti (quello vero e quello falsamente narrato) sono evidentemente non equiparabili, non è questo il punto su cui ci vogliamo soffermare.

Dando per buona la notizia come falsamente narrata, si sono visti in Italia post lunghissimi e seguitissimi di gente che giustamente condannava il fatto, ma poi iniziava a condannare l’intero genere umano (dimenticando forse di farne parte) con frasi come “anche oggi l’umanità ha fallito” o “finché l’uomo continuerà con queste atrocità sarà lui la bestia”. Ma anche questo non è il punto che ci interessa sottolineare.

Le gravidanze degli elefanti di questa razza durano circa 22 mesi, questa elefantessa avrebbe partorito fra 18, dunque si trovava a circa 4 mesi su 22 (18% della gravidanza).

L’aborto è consentito, in Italia, entro i primi 3 mesi su 9 (33% della gravidanza) se non oltre. In altri Paesi le percentuali variano arrivando anche fino al 100%.

Qualcuno si è per caso fatto tutti questi calcoli prima di dire (giustamente) che quello che portava l’elefantessa in grembo fosse semplicemente suo figlio, un elefantino, e non: parte del suo utero, un grumo di cellule, solo un feto, non senziente, non ancora formato, non autosufficiente ecc…

Qualcuno se l’è domandato? O per gli animali è scontato che se una femmina è incinta e muore, muore pure suo FIGLIO, mentre per i “cuccioli d’uomo” ci inventiamo qualsiasi giro di parole, qualsiasi appiglio pseudo scientifico (smentito abbondantemente), pur di consentire che i figli dell’uomo vengano avvelenati o smembrati nei grembi delle loro stesse madri?

L’aborto tra l’altro è ben peggiore per almeno due motivi: 1) a perdere la vita è un’essere umano (se la vita dell’uomo valesse quanto quella animale dovremmo tutti costituirci per l’assassinio di zanzare e insetti vari che sicuramente ci sarà capitato di commettere). 2) la povera mamma elefante non ha scelto la morte di suo figlio, è capitato; la donna che sceglie di abortire (così come chiunque la sostenga o collabori alla pratica abortiva) si rende invece responsabile in prima persona della morte del figlio che porta in grembo, ricorrendo all’utilizzo del personale medico che dovrebbe essere deontologicamente vincolato a salvare vite, non ad ucciderle.

Quindi, fermo restando che uccidere animali per divertimento (anche se non è questo il caso) è qualcosa di perverso ed aberrante da condannare, se ci si scandalizza per la morte di un feto di elefante ma non per l’uccisione di un feto umano, anzi, magari a promuoverla sono proprio gli stessi, allora sì che “l’umanità ha fallito” perché “finché l’uomo continuerà con QUESTE atrocità sarà lui la bestia”.

P.S. è ovvio che di per sé la vicenda di un’elefantessa incinta che muore insieme al figlio in questo modo non c’entri nulla con una donna che decide di abortire suo figlio, ma se si rappresenta così (prima immagine) un’elefantessa incinta al quarto mese su 22, è giusto che venga rappresentato così (seconda immagine) un aborto consentito fino al terzo mese su 9 se non di più.

Non si può piangere (giustamente) la morte di mamma e figlio elefante se contemporaneamente però si promuove l’uccisione dei figli dell’uomo, permettendo che questi vengano fatti a pezzi nel grembo delle loro stesse madri.

Freccia dans Viaggi & Vacanze QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DAL BLOG UNIVERSITARI PER LA VITA

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Per arrivare alla Trinità Beatissima, passa attraverso Maria

Posté par atempodiblog le 7 juin 2020

Per arrivare alla Trinità Beatissima, passa attraverso Maria dans Citazioni, frasi e pensieri SS-Trinit-e-Maria

“Frequenta le tre Persone, Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo. E per arrivare alla Trinità Beatissima, passa attraverso Maria”.

San Josemaría Escrivá de Balaguer

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Grazia, fede e carità per l’unione divina

Posté par atempodiblog le 7 juin 2020

Grazia, fede e carità per l'unione divina dans Don Giustino Maria Russolillo SS-Trinit

Nella grazia posso vedere e trovare come una speciale unione con il Padre, o meglio con la Trinità nel Padre; nella fede una speciale unione con il Figlio o meglio con la Trinità nel Figlio; nella carità una speciale unione con lo Spirito Santo, o meglio con la SS. Trinità nello Spirito Santo.

O divina grazia immagine e somiglianza e partecipazione della vita stessa divina. Come devo stimarti e conservarti e coltivarti e per quanto è in me accrescerti sempre più poiché in te posso sempre più assomigliarmi, piacere e unirmi al Figlio e alla divina Trinità nel Padre!

O divina luce sia di ragione, sia di fede, sia di gloria, immagine e somiglianza e partecipazione della stessa verità divina come devo stimarti e conservarti e accrescerti sempre più poiché in te posso sempre più assomigliarmi e unirmi e piacere al Verbo e alla divina Trinità nel Verbo.

O divina carità, immagine e partecipazione e somiglianza dell’amore stesso divino, come devo stimarti, coltivarti, accrescerti a tutto mio potere, poiché in te e solo in te posso sempre più assomigliarmi e piacere e unirmi al Santo Spirito e alla divina Trinità nel Santo Spirito.

del Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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Dio è comunione d’Amore

Posté par atempodiblog le 6 juin 2020

Dio è comunione d’Amore

L'unità indivisibile della SS. Trinità dans Citazioni, frasi e pensieri Trinit

L’affermazione che Dio è amore non è un’intuizione della ragione, che mai avrebbe potuto pervenire a una vetta così alta della conoscenza. La presenza del male nel mondo, ma soprattutto nel cuore dell’uomo, ha impedito alla mente umana di volare troppo in alto e di riconoscere in Dio le perfezioni che gli sono proprie. Al contrario, non di rado sono stati attribuiti all’Onnipotente le passioni e persino le depravazioni degli uomini, impregnando le religioni umane di errori e di peccati. Per avvicinarsi alla comprensione del mistero divino nella luce della verità è necessario un cuore purificato dal male, senza il quale l’intelligenza viene oscurata ed è incapace di vedere le cose di lassù. È ancora più necessario un atteggiamento di profonda umiltà, che permetta a Dio di abbassarsi sino al livello della creatura per rivelarle il mistero inaccessibile della sua vita intima. Questo è stato l’atteggiamento della Vergine Maria nel momento in cui l’Altissimo ha rivelato se stesso nel suo mistero impenetrabile. Dio è amore perché dentro di sé è un rapporto eterno di amore fra le tre persone divine, che si sono rivelate come Padre, Figlio e Spirito Santo. Prima di essere un amore che si china su di noi, Dio è, nel suo intimo, una comunione inesauribile di amore. Proprio perché Dio è tale nella sua essenza, ogni sua manifestazione verso le creature è caratterizzata dalla bontà e dalla misericordia. Dio non può non amare, perché l’amore è l’essenza della divinità. Dobbiamo tuttavia essere consapevoli che, quando pronunciamo la parola «amore», usiamo uno strumento espressivo umanamente imperfetto e limitato. Dio è amore in un modo che trascende la nostra capacità di comprensione e che include tutte le perfezioni proprie della sua natura.

Per capire, sia pure nei limiti della nostra finitezza, il mistero dell’amore divino, dobbiamo fissare lo sguardo sul mistero della persona umana, che è la realtà la quale più di ogni altra riflette l’immagine divina. L’uomo è persona in quanto soggetto spirituale capace di conoscere e di amare. L’“io umano” è un mistero inafferrabile, la cui radice profonda è l’orientamento verso l’altro. Quando si afferma che l’uomo non è un’isola, si vuole indicare l’apertura di ognuno all’incontro verso un “tu”. Non è concepibile un “io” racchiuso in se stesso, come una monade senza porte e senza finestre. Nessuna persona potrebbe vivere in un totale isolamento, come se la sua vita interiore bastasse a se stessa. Senza l’incontro con un “tu” l’“io” umano morirebbe di asfissia. Ciò è dovuto alla sua natura intima, che è un movimento verso un altro che sia simile a sé. Questo è il motivo per il quale Adamo si sentiva solo e infelice nell’Eden delle meraviglie, pur circondato dagli animali ai quali aveva dato un nome. La persona umana appassisce e muore se è sola. L’incontro con un’altra persona, nella conoscenza e nell’amore, fa parte della sua natura intima. Le gioie e le sofferenze della vita sono in massima parte dovute ai rapporti riusciti o falliti, con le altre persone. La stessa dimensione religiosa dell’uomo nasce dal desiderio insopprimibile di incontrare un “Tu” che gli sia intimo e al quale possa affidarsi con la certezza di essere compreso e amato. La religione è una pianta sempre verde perché scaturisce dal bisogno della persona umana di andare oltre se stessa. L’“Io” e il “Tu” sono due poli che si cercano. L’uno è in funzione dell’altro. La persona si realizza nell’incontro con un’altra persona e nella comunione dell’amore.

La rivelazione che Dio è amore va intesa nel senso che l’unico Dio è una comunione interpersonale di amore. Se Dio fosse una sola persona non sarebbe infinito amore, ma piuttosto infinita solitudine. L’unità e l’unicità di Dio non vanno intese come se Dio fosse un “Io” che basta a se stesso, perché in tal caso non potrebbe essere né infinito amore né infinita felicità. Quando la fede cattolica afferma che Dio è una sola natura in tre persone divine, intende esprimere, per quanto possibile a un linguaggio umano, un mistero abissale di tre relazioni divine, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che fra loro realizzano una comunione eterna di amore. Per quanto le tre persone divine siano ugualmente partecipi della divinità, tuttavia sono fra loro distinte e hanno una loro precisa identità. Il Padre infatti è colui che genera, il Figlio è colui che è generato e lo Spirito Santo è l’ispirazione di amore fra il Padre e il Figlio. Il mistero interpersonale dell’amore è tale che non vi è né divisione né separazione, ma unità assoluta e inattaccabile. Non vi è dubbio che il mistero della Santissima Trinità trascenda ogni possibilità di comprensione da parte dell’intelletto umano, per quanto illuminato dalla fede. Tuttavia ci è almeno chiara la natura interpersonale dell’amore. L’amore non è qualcosa che esiste in se stesso, ma è dono reciproco fra un “io” e un “tu”. Questa, che è l’esperienza umana fondamentale, ci aiuta ad avvicinarci per quanto possibile al mistero dell’amore trinitario.

La comunione di amore delle tre persone divine è talmente perfetta da generare un’unità indivisibile, per cui l’unico Dio ha anche una sola conoscenza e una sola volontà. Il mistero d’amore del Dio uno nella natura, ma trino nelle persone, non può assolutamente essere criticato come una forma di “triteismo”, come se i cristiani non adorassero un solo Dio, ma tre dèi. Questa accusa, che viene in primo luogo dall’Islam, parte dall’incomprensione della natura dell’amore divino, che è necessariamente un rapporto interpersonale.

L’amore non è una “forza”, ma è una persona che ama un’altra persona. Che cosa sarebbe Dio se fosse una sola persona? Sarebbe una contraddizione con se stesso, perché condannato a essere una realtà incompiuta e infelice. Infatti “persona” significa “relazione”, ma con chi sarebbe in relazione Dio se fosse una sola persona? Un Dio eternamente solo sarebbe un assurdo che ripugna alla ragione. Al contrario la rivelazione che Dio ci ha fatto di se stesso come comunione di tre persone, per quanto “inconcepibile” alla nostra finitezza, genera una luce che illumina la mente e un’attrazione che fa sussultare il cuore. Infatti l’uomo, creato a immagine divina, è strutturalmente orientato al dono di sé. Amare ed essere amata è quanto desidera ogni persona. L’esperienza dell’amore umano, per sua natura esposto al limite, alla fragilità e al peccato, spinge la persona umana a trascendere i limiti della finitezza, per elevarsi ad accogliere l’amore dalla sua fonte originaria. È infatti lì che ognuno di noi è passato dal nulla all’essere per un dono di amore ed è quella la meta alla quale indirizzare la nostra vita.

Tratto da: La gioia di amare, di padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

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Per fissare lo sguardo nel segreto di Dio che è comunione, unità, amore

Posté par atempodiblog le 5 juin 2020

Per fissare lo sguardo nel segreto di Dio che è comunione, unità, amore
di don Fabio Rosini – L’Osservatore Romano

Per fissare lo sguardo nel segreto di Dio che è comunione, unità, amore dans Commenti al Vangelo Il-Vangelo-della-solennit-della-Santissima-Trinit-Gv-3-16-18
Il Vangelo della solennità della Santissima Trinità (Gv 3, 16-18)

«Chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». La prima lettura di questa festa ci ricorda che il nome di Dio è: «Misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà». Credere al nome del Figlio suo benedetto vuol dire credere all’amore. La condanna trova strada nel cuore umano quando l’amore viene squalificato e disprezzato; è questa la tentazione sin dalla Genesi, quando il maligno pone il Padre in una luce distorta.

Una volta che l’amore vien venduto come un inganno, il bene diviene inaffidabile e il male appare più verosimile. Allora si arriva a pensare che un atteggiamento “smaliziato” sia adeguato, opportuno, perfino onesto.

Un male può essere dannoso, ma se nessuno crede alla cura e forse neanche la cerca, allora ha veramente vinto.

Lo scetticismo come atteggiamento appropriato è una mentalità che distrugge l’umanità, la quale si regge, invece, sulla fiducia.

Come stabilire relazioni autentiche senza dar credito a chi abbiamo di fronte? Come costruire la società senza un minimo di concordia?

Anche la Chiesa diviene ricettacolo di disincanto e delusione se la misericordia che il Nome di Dio porta in sé è ridotta a disquisizione teologica di un argomento poco assecondato e non sposato profondamente.

Come annunciare il Vangelo senza credere al bene? Come compaginare la comunità cristiana facendo leva sull’organizzazione o sull’operatività ma non sull’amore di Dio?

Ecco perché la Santa Madre Chiesa ci dona una domenica per fissare lo sguardo in Dio ossia nel suo segreto che è comunione, unità, amore.

Abbiamo bisogno di sollevare lo sguardo verso la bellezza di Dio, di placarci davanti alla tenerezza del Padre, di lasciarci liberare dalla misericordia del Buon Pastore e di aprire il cuore alla consolazione dello Spirito che ci parla bene del Padre.

Abbiamo necessità di vivere scendendo dal Tabor della liturgia, che ogni volta ci permette di dire: «È bello per noi stare con te». Dio è veramente bello. Dio è veramente amore.

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Santi martiri ugandesi

Posté par atempodiblog le 3 juin 2020

Santi martiri ugandesi
La Chiesa celebra oggi la memoria di san Carlo Lwanga e altri 21 cattolici, uccisi in giorni diversi durante le persecuzioni che si svolsero tra il 1885 e il 1887 per ordine del kabaka Mwanga II, re di Buganda (una regione dell’Uganda). Come disse Giovanni Paolo II in un’omelia pronunciata a Namugongo, luogo del martirio per 13 di loro: «Il sacrificio eroico dei martiri ha contribuito ad avvicinare l’Uganda e l’intera Africa a Cristo, la vera luce che illumina tutti gli uomini»
de La nuova Bussola Quotidiana

Santi martiri ugandesi dans Fede, morale e teologia Carlo-Lwanga-e-compagni-martiri

La Chiesa celebra oggi la memoria di san Carlo Lwanga, capo dei paggi della sala reale, e di altri 12 compagni cattolici ugandesi che subirono il martirio il 3 giugno 1886 per ordine del kabaka Mwanga II, re di Buganda (una regione dell’Uganda), particolarmente irritato per il rifiuto da parte di quei suoi sudditi di soddisfare le sue pulsioni omosessuali. Insieme a loro, in questa stessa memoria collettiva, vengono ricordati dalla Chiesa altri nove martiri, per un totale di 22 cattolici, uccisi in giorni diversi tra il 1885 e il 1887 (la fase più calda di una generale persecuzione anticristiana) e proclamati santi tutti insieme nell’ottobre 1964 da Paolo VI: «Chi avrebbe potuto prevedere che insieme alle grandi figure storiche dei martiri e dei confessori africani come Cipriano, Felicita e Perpetua e lo straordinario Agostino, un giorno avremmo citato gli amati nomi di Charles Lwanga, Matthias Mulumba Kalemba e i loro venti compagni?», disse il Papa nell’omelia per la canonizzazione.

Le persecuzioni in terra ugandese iniziarono appena un anno dopo la salita al trono del giovanissimo Mwanga II, succeduto al defunto padre Muteesa, considerato molto più scaltro del figlio nel gestire gli equilibri in Buganda. Ci si misero anche stregoni e feticisti, i quali volevano mantenere il loro potere nel sistema tribale e si sentivano minacciati dalla crescente presenza cristiana, a sobillare il nuovo sovrano contro i missionari, che Mwanga vedeva meramente come colonizzatori.

Cominciarono così violente persecuzioni, in cui i primi a cadere furono alcuni aiutanti del vescovo anglicano James Hannington, a sua volta ucciso dai sicari del sovrano il 29 ottobre 1885. L’allora prefetto della sala del re, san Giuseppe Mukasa, un giovane catechista convertitosi al cattolicesimo in seguito all’arrivo in terra ugandese dei Padri Bianchi, aveva provato a dissuadere Mwanga dal suo intento criminale e, appena saputo dell’omicidio di Hannington, aveva rimproverato il sovrano. San Giuseppe Mukasa era nel frattempo divenuto inviso al re per aver incoraggiato i paggi a resistere alle avance di Mwanga, che alla fine si stancò del proprio suddito e ne ordinò la decapitazione. Prima che il suo ordine venisse eseguito ebbe un ripensamento, ma i suoi messaggeri arrivarono tardi sul luogo dell’esecuzione: il martirio di Giuseppe Mukasa, 25 anni, era già compiuto e i suoi resti mortali bruciati. Era il 15 novembre 1885: quello stesso giorno riceveva il Battesimo un catecumeno di circa vent’anni, il nostro Carlo Lwanga.

Proprio Carlo venne chiamato a sostituire Giuseppe come maestro dei paggi, ma anche lui – come il suo predecessore in quell’impiego di prestigio – mise al primo posto la fede in Gesù Cristo, proteggendo i paggi dalle mire peccaminose del re. Alcuni mesi più tardi, il 25 maggio 1886, Carlo Lwanga venne condannato a morte insieme ad altri cristiani. Nella notte, visto l’incombente pericolo, lo stesso Carlo battezzò segretamente i paggi convertiti che erano ancora semplici catecumeni: tra questi vi era il quattordicenne Kizito. Qualche ora dopo re Mwanga convocò un’assemblea per interrogare Carlo e i suoi paggi e vedere se qualcuno di loro decideva di salvare la pelle rinnegando Cristo: con stupore del sovrano, quei giovani neofiti rimasero saldi nella loro professione di fede.

I condannati vennero quindi costretti a recarsi a Namugongo, il luogo delle esecuzioni, distante 28 miglia dal punto in cui si trovavano. Otto di loro vennero uccisi durante il tragitto. Il 3 giugno, Carlo, insieme ad altri 12 cattolici e 18 anglicani, giunsero sul colle di Namugongo e qui vennero bruciati vivi oppure trafitti con le spade. Il martirio di Carlo avvenne, secondo costume, separatamente dagli altri. Mentre il carnefice, detto « Guardiano della sacra fiamma », procedeva ad arderlo vivo, il capo dei paggi gli disse: «È come se tu stessi versando acqua su di me. Ti prego, pentiti, e diventa cristiano come me». In quello stesso giorno, un altro martire, Bruno Sserunkuuma, aveva detto: «Una fonte che ha molte sorgenti non si inaridirà mai; quando noi non ci saremo più altri verranno dopo di noi».

L’ultimo di questo gruppo di 22 a subire il martirio fu un altro servitore del re, Giovanni Maria Muzeyi, che venne decapitato il 27 gennaio 1887 dopo aver spontaneamente professato la sua fede cattolica.

Il colle di Namugongo divenne meta di pellegrinaggi e nel 1969, cinque anni dopo la loro canonizzazione, Paolo VI in persona visitò la basilica-santuario dedicata ai Santi Martiri d’Uganda, nel primo viaggio apostolico di un Pontefice in terra africana. E da qui passò, nel 1993, anche Giovanni Paolo II, ricordando nella sua omelia che «il sacrificio eroico dei martiri ha contribuito ad avvicinare l’Uganda e l’intera Africa a Cristo, la vera luce che illumina tutti gli uomini».

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SCUOLA/ Con il “no” alle paritarie M5s affossa la scuola statale

Posté par atempodiblog le 3 juin 2020

SCUOLA/ Con il “no” alle paritarie M5s affossa la scuola statale
Il decreto scuola è alla Camera. M5s continua a dire no alle paritarie, credendo di difendere la scuola pubblica. Ma così fa l’opposto
di Annamaria Poggi – Il Sussidiario

SCUOLA/ Con il “no” alle paritarie M5s affossa la scuola statale dans Articoli di Giornali e News Scuole-paritarie

L’arringa della senatrice Bianca Laura Granato del Movimento 5 Stelle contro le scuole paritarie declamata nella seduta del 28 maggio durante la seduta di approvazione in Senato del decreto scuola, non va presa sottogamba o accantonata come l’intemerata di una singola parlamentare, perché esprime la posizione che da sempre M5s dichiara come posizione ufficiale sulla scuola.

Per chi lo avesse dimenticato, il socio di maggioranza del Governo – che ha altresì espresso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte – così scriveva nel suo programma elettorale ufficiale depositato sul blog di Beppe Grillo per le elezioni politiche del 2018 riguardo al punto in questione: “Risorse finanziarie dello Stato erogate solo alla scuola pubblica”. L’esplicitazione del punto (guarda caso elaborata proprio con il contributo fondamentale della senatrice Granato, che nei desiderata del Movimento avrebbe dovuto guidare il Miur nel primo governo giallo-verde) chiama in causa l’art. 33 della Costituzione, secondo cui gli enti privati possono istituire delle scuola private, “ma lo Stato non deve avere alcun onere” (da Money, 27 febbraio 2018).

Per fortuna nel Decreto scuola la sua maggioranza non l’ha seguita e ha, invece, modificato lo stesso decreto, aumentando lo stanziamento a 150 milioni, dopo le vibranti proteste del mondo associativo cattolico e non solo. Infatti dalla stessa maggioranza si è levata sia la voce di chi da sempre si batte per la difesa delle paritarie (Gabriele Toccafondi in primis) sia la voce del Pd per bocca, tra l’altro, della senatrice Fedeli, già ministro dell’Istruzione, che ha sottolineato l’importanza delle scuole paritarie, ed anzi ha lamentato l’insufficienza dei fondi stanziati. La stessa posizione è stata anche espressa dal segretario nazionale della Flc-Cgil Francesco Sinopoli in un’intervista comparsa su Avvenire, in cui chiede l’aumento dei fondi per la scuola, scuola paritaria compresa.

Il che è molto interessante e degno di nota: chi da sempre sostiene il valore del sistema “pubblico” dell’istruzione ha ben compreso che attaccare le scuole paritarie con l’obiettivo di farle sparire vuol dire minare alla radice la stessa sussistenza del sistema pubblico. Sta diventando chiaro, in sostanza, che la posizione del Movimento 5 Stelle non è solo contro la scuola paritaria, ma contro il sistema scolastico pubblico italiano che, senza l’apporto fondamentale delle scuole paritarie, sarebbe monco e più inefficiente.

Anzitutto monco: pubblico non vuol dire statale, ne in Italia, né negli altri Paesi europei. “Senza oneri per lo Stato” non vuol dire divieto per lo Stato di intervenire sulle scuole paritarie già esistenti, come dimostra la lettura dei verbali dell’Assemblea Costituente che consiglierei di leggere attentamente, per evitare di mettere in bocca ai Costituenti cose che non si sono mai sognati di dire. Non solo, ma lo stesso articolo 33 Cost. dice espressamente che agli alunni delle scuole paritarie deve essere garantito un “trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali”. Inoltre, tranne che in Grecia, in tutti i Paesi europei le scuole paritarie sono tutelate, a presidio della libertà e della democrazia.

In secondo luogo meno efficiente: i risparmi che la scuola paritaria realizza sono noti da tempo (v. le varie elaborazioni, anche di fonte non cattolica) e, inoltre, se solo il 33% degli alunni delle scuole paritarie si riversasse nel sistema statale ciò comporterebbe un onere in più di 1,6 miliardi per le casse dello Stato (Fonte: Istituto Bruno Leoni).

In un comunicato stampa del 18 maggio scorso l’on. Maurizio Lupi ha ricordato due cose che ogni parlamentare della Repubblica dovrebbe tenere bene a mente: tagliare i fondi alle scuole paritarie significa discriminare 866mila ragazzi e bambini, le loro famiglie e i loro professori. Quindi violare l’art. 3 della Costituzione. Significa pure agire in piena violazione di una legge della Repubblica: la legge n. 62 del 2000, che ha inserito a pieno titolo le scuole paritarie nel sistema nazionale di istruzione.

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Il Papa: nessuna tolleranza per il razzismo, ma no alla violenza

Posté par atempodiblog le 3 juin 2020

Il Papa: nessuna tolleranza per il razzismo, ma no alla violenza
Le parole di Francesco all’udienza generale sulle proteste negli Stati Uniti dopo l’uccisione di George Floyd: non possiamo pretendere di difendere la sacralità di ogni vita umana e chiudere gli occhi su razzismo ed esclusione
di Vatican News

Il Papa: nessuna tolleranza per il razzismo, ma no alla violenza dans Articoli di Giornali e News George-Floyd

La preghiera per George Floyd, l’afroamericano di 46 anni morto a Minneapolis il 25 maggio scorso durante l’arresto, e la condanna di ogni forma di razzismo ma anche della violenza che ne è seguita contagiando diverse città degli Stati Uniti. Sono i pensieri che il Papa rivolge al termine dell’udienza generale, nei saluti ai fedeli di lingua inglese collegati attraverso i media alla Biblioteca del Palazzo Apostolico:

Cari fratelli e sorelle degli Stati Uniti, seguo con grande preoccupazione i dolorosi disordini sociali che stanno accadendo nella vostra Nazione in questi giorni, a seguito della tragica morte del Signor George Floyd.

Cari amici, non possiamo tollerare né chiudere gli occhi su qualsiasi tipo di razzismo o di esclusione e pretendere di difendere la sacralità di ogni vita umana. Nello stesso tempo dobbiamo riconoscere che “la violenza delle ultime notti è autodistruttiva e autolesionista. Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde”.

Oggi mi unisco alla Chiesa di Saint Paul e Minneapolis, e di tutti gli Stati Uniti, nel pregare per il riposo dell’anima di George Floyd e di tutti gli altri che hanno perso la vita a causa del peccato di razzismo.

Preghiamo per il conforto delle famiglie e degli amici affranti, e preghiamo per la riconciliazione nazionale e la pace a cui aneliamo. Nostra Signora di Guadalupe, Madre dell’America, interceda per tutti coloro che lavorano per la pace e la giustizia nella vostra terra e nel mondo.

Le forti parole di Papa Francesco sono state precedute dagli interventi dei vescovi Usa, che hanno espresso comprensione per l’indignazione della comunità afromericana rimarcando come il razzismo sia stato tollerato troppo a lungo ma anche come la violenza sia autodistruttiva. Successivamente alla morte di Floyd, infatti, la situazione è diventata incandescente: ormai da 8 giorni sono dilagate proteste contro la polizia, con scene di guerriglia urbana, in molte città degli Stati Uniti, che hanno causato la morte e il ferimento di diverse persone, oltre 4mila arresti e il coprifuoco imposto in quasi 40 città.

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L’intolleranza dei tolleranti? Comincia sempre dalle parole…

Posté par atempodiblog le 1 juin 2020

L’intolleranza dei tolleranti? Comincia sempre dalle parole…
Dietro la battaglia contro il “maschile indifferenziato” c’è il Potere di coloro che decidono chi ammettere o escludere dal dibattito pubblico
di Gianfranco Lauretano – Il Sussidiario

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Una cara amica e collega ha inviato al nostro gruppo whatsapp un invito a ritrovarsi che iniziava con la parola “Ragazz*”, cioè con l’asterisco a coprire la desinenza maschile. Questo in segno di rispetto anti-sessista, perché al gruppo sono iscritti uomini e donne. Non voglio considerare questa nuova moda, con cui tutti ci siamo imbattuti ed è già ampiamente commentata con prese di posizione spesso feroci e accuse reciproche che vanno dal fascioleghista al global-radical-chic e tutta una coloritura di offese che la dice lunga sulla nostra moderna (in)capacità di dialogo culturale. Racconto solo che quando ho scritto all’amica che quell’asterisco mi sembrava ridicolo, mi sono beccato anch’io un’accusa, quella di essere vecchio, perché ormai l’asterisco “si usa”. Esso nasconde addirittura una battaglia per i diritti civili a favore della donna.

Nella grammatica italiana l’uso della desinenza maschile che comprende anche il femminile si chiama “maschile indifferenziato”. Dire ad esempio che “tutti gli uomini del mondo hanno pari dignità” non vuol dire, per la grammatica, che solo i maschi hanno la dignità; dire che “tutti i bambini sono invitati al Centro Estivo” non esclude le bambine, e così via. Ma il maschile indifferenziato per certi moderni combattenti per i diritti civili suona come lesivo della dignità di genere.

Ora, essere vecchi ha i suoi vantaggi. Permette di ricordare, ad esempio, che la battaglia contro il sessismo della grammatica risale ad anni non sospetti: era il 1987 quando, su indicazione del Parlamento, la celebre linguista Alma Sabatini redasse le “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana” in cui sbucava l’idea dell’asterisco: e il governo era a maggioranza democristiana, figuriamoci!

Oppure essere vecchi permette di ricordare l’ironia con cui il presidente della Repubblica emerito Giorgio Napolitano accolse la riforma antisessista dell’allora presidente della Camera (era il 2013) Laura Boldrini che introdusse termini come ministra, deputata, assessora, sindaca; è difficile tacciare il presidente Napolitano di essere reazionario o non avere a cuore parità e libertà civili e politiche e così, sostenuto dal suo esempio, dico che quelle parole mi suonano stucchevoli, fastidiose e anti-grammaticali, delle autentiche scemenze, esattamente come l’asterisco. Pazienza se siamo vecchi (ma la Boldrini ha più anni di me!).

In realtà non voglio insistere su un dibattito vecchio anch’esso, come si può facilmente dimostrare. Ciò che mi colpisce è la permeabilità persino di persone intelligenti e colte ai discorsi correnti. Abbiamo infatti imparato che essi sono il vero volto di quello che una volta chiamavamo il “Potere”. Anche questo non è nulla di nuovo né una scoperta recente. Il Potere non coincide tanto con questo o quel partito politico, questa o quella lobby finanziaria, economica, militare, e così via. Il Potere è soprattutto quello dei “padroni del discorso”, di chi ha i mezzi non solo economici di “imporre una narrativa”.

Insomma, il Potere lo si può svelare osservando quali discorsi, quali argomenti, quali parole ed ora persino quale grammatica è obbligatorio usare. Il Potere è ciò che indirizza i pensieri, i talk-show, l’informazione, la cultura a parlare in un certo modo e di certe precise questioni e notizie e non di altre, perché le altre sono i cosiddetti “tabù”. D’altronde essere vecchi consente il vantaggio di aver fatto l’università in anni in cui veniva ancora insegnato Michel Foucault, tanto per dirne uno, prima che passasse di moda dopo la scoperta che forse svelava troppo in profondità i segreti del Potere.

Bene, guardiamolo il Potere oggi: ci fa parlare di diritti civili che coincidono quasi unicamente coi diritti sessuali, di genere; ci fa fare scialo della parola “identità”, che ancora una volta coincide con quella sessuale (gli omosessuali, i transessuali, i bisessuali… ma, chissà perché, molto meno gli eterosessuali), si impone la teoria gender. Assieme ai diritti individuali, però, non ci fa discutere dei doveri sociali con altrettanto vigore, anzi; i doveri verso la patria, poi, sono un vero tabù. Basta la parola.

Ma solo apparentemente di certe cose si può discutere; in realtà i padroni del discorso impongono anche le opinioni. Se io esprimo ad esempio il parere secondo cui è preferibile che due omosessuali non adottino un bambino, nel migliore dei casi sono definito “vecchio” ma, se chi mi ascolta non mi vuol bene, rischio di beccarmi del veterofascista, dell’oscurantista medievale, del sessista, razzista e chi più “ista” ha, più ne metta. Sarebbe troppo facile in fondo, dando una sbirciatina alla storia, verificare come le tirannie incomincino spesso dalle parole, dai discorsi, dalla grammatica: Orwell docet.

Sento già ronzare intorno alle mie orecchie l’ennesima accusa, stavolta di esagerare: l’asterisco prelude alla tirannia, possibile? Ai posteri l’ardua sentenza. Quello che però avverto fin d’ora è una sorta di asfissia, di respiro reso pesante dall’incedere dei nuovi discorsi che vanno a toccare perfino la grammatica: bisogna stare attenti a come si parla, come si scrive, come si articolano i suoni, a voce e per iscritto. Nelle settimane scorse per la presenza in un libro di testo di grammatica di una frase sull’obesità di una ragazza, l’editore è stato messo in croce, ha dovuto ritirare il libro con l’accusa di sessismo e perderci fior di quattrini; e recentemente lo scrittore Mauro Corona, che certo non è un esempio di savoir faire, è stato redarguito in trasmissione da Bianca Berlinguer per una sua battuta sul rossetto del ministro Azzolina (uso il maschile perché mi riferisco al ruolo, non alla persona, e ne vado fiero).

Così tanto in profondità penetra il Potere. Allora, alla fine, vorrei espormi in nome della libertà di opinione, di parola e di grammatica e affermare, a mio rischio e pericolo, che tutto questo mi sembra ridicolo e pericoloso insieme. Ma forse, per non rischiare denunce, meglio sarebbe che modificassi il mio pensiero, dicendo che tutt* quest* mi sembra ridicol* e pericolos* insieme.

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