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Santi martiri ugandesi

Posté par atempodiblog le 3 juin 2020

Santi martiri ugandesi
La Chiesa celebra oggi la memoria di san Carlo Lwanga e altri 21 cattolici, uccisi in giorni diversi durante le persecuzioni che si svolsero tra il 1885 e il 1887 per ordine del kabaka Mwanga II, re di Buganda (una regione dell’Uganda). Come disse Giovanni Paolo II in un’omelia pronunciata a Namugongo, luogo del martirio per 13 di loro: «Il sacrificio eroico dei martiri ha contribuito ad avvicinare l’Uganda e l’intera Africa a Cristo, la vera luce che illumina tutti gli uomini»
de La nuova Bussola Quotidiana

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La Chiesa celebra oggi la memoria di san Carlo Lwanga, capo dei paggi della sala reale, e di altri 12 compagni cattolici ugandesi che subirono il martirio il 3 giugno 1886 per ordine del kabaka Mwanga II, re di Buganda (una regione dell’Uganda), particolarmente irritato per il rifiuto da parte di quei suoi sudditi di soddisfare le sue pulsioni omosessuali. Insieme a loro, in questa stessa memoria collettiva, vengono ricordati dalla Chiesa altri nove martiri, per un totale di 22 cattolici, uccisi in giorni diversi tra il 1885 e il 1887 (la fase più calda di una generale persecuzione anticristiana) e proclamati santi tutti insieme nell’ottobre 1964 da Paolo VI: «Chi avrebbe potuto prevedere che insieme alle grandi figure storiche dei martiri e dei confessori africani come Cipriano, Felicita e Perpetua e lo straordinario Agostino, un giorno avremmo citato gli amati nomi di Charles Lwanga, Matthias Mulumba Kalemba e i loro venti compagni?», disse il Papa nell’omelia per la canonizzazione.

Le persecuzioni in terra ugandese iniziarono appena un anno dopo la salita al trono del giovanissimo Mwanga II, succeduto al defunto padre Muteesa, considerato molto più scaltro del figlio nel gestire gli equilibri in Buganda. Ci si misero anche stregoni e feticisti, i quali volevano mantenere il loro potere nel sistema tribale e si sentivano minacciati dalla crescente presenza cristiana, a sobillare il nuovo sovrano contro i missionari, che Mwanga vedeva meramente come colonizzatori.

Cominciarono così violente persecuzioni, in cui i primi a cadere furono alcuni aiutanti del vescovo anglicano James Hannington, a sua volta ucciso dai sicari del sovrano il 29 ottobre 1885. L’allora prefetto della sala del re, san Giuseppe Mukasa, un giovane catechista convertitosi al cattolicesimo in seguito all’arrivo in terra ugandese dei Padri Bianchi, aveva provato a dissuadere Mwanga dal suo intento criminale e, appena saputo dell’omicidio di Hannington, aveva rimproverato il sovrano. San Giuseppe Mukasa era nel frattempo divenuto inviso al re per aver incoraggiato i paggi a resistere alle avance di Mwanga, che alla fine si stancò del proprio suddito e ne ordinò la decapitazione. Prima che il suo ordine venisse eseguito ebbe un ripensamento, ma i suoi messaggeri arrivarono tardi sul luogo dell’esecuzione: il martirio di Giuseppe Mukasa, 25 anni, era già compiuto e i suoi resti mortali bruciati. Era il 15 novembre 1885: quello stesso giorno riceveva il Battesimo un catecumeno di circa vent’anni, il nostro Carlo Lwanga.

Proprio Carlo venne chiamato a sostituire Giuseppe come maestro dei paggi, ma anche lui – come il suo predecessore in quell’impiego di prestigio – mise al primo posto la fede in Gesù Cristo, proteggendo i paggi dalle mire peccaminose del re. Alcuni mesi più tardi, il 25 maggio 1886, Carlo Lwanga venne condannato a morte insieme ad altri cristiani. Nella notte, visto l’incombente pericolo, lo stesso Carlo battezzò segretamente i paggi convertiti che erano ancora semplici catecumeni: tra questi vi era il quattordicenne Kizito. Qualche ora dopo re Mwanga convocò un’assemblea per interrogare Carlo e i suoi paggi e vedere se qualcuno di loro decideva di salvare la pelle rinnegando Cristo: con stupore del sovrano, quei giovani neofiti rimasero saldi nella loro professione di fede.

I condannati vennero quindi costretti a recarsi a Namugongo, il luogo delle esecuzioni, distante 28 miglia dal punto in cui si trovavano. Otto di loro vennero uccisi durante il tragitto. Il 3 giugno, Carlo, insieme ad altri 12 cattolici e 18 anglicani, giunsero sul colle di Namugongo e qui vennero bruciati vivi oppure trafitti con le spade. Il martirio di Carlo avvenne, secondo costume, separatamente dagli altri. Mentre il carnefice, detto « Guardiano della sacra fiamma », procedeva ad arderlo vivo, il capo dei paggi gli disse: «È come se tu stessi versando acqua su di me. Ti prego, pentiti, e diventa cristiano come me». In quello stesso giorno, un altro martire, Bruno Sserunkuuma, aveva detto: «Una fonte che ha molte sorgenti non si inaridirà mai; quando noi non ci saremo più altri verranno dopo di noi».

L’ultimo di questo gruppo di 22 a subire il martirio fu un altro servitore del re, Giovanni Maria Muzeyi, che venne decapitato il 27 gennaio 1887 dopo aver spontaneamente professato la sua fede cattolica.

Il colle di Namugongo divenne meta di pellegrinaggi e nel 1969, cinque anni dopo la loro canonizzazione, Paolo VI in persona visitò la basilica-santuario dedicata ai Santi Martiri d’Uganda, nel primo viaggio apostolico di un Pontefice in terra africana. E da qui passò, nel 1993, anche Giovanni Paolo II, ricordando nella sua omelia che «il sacrificio eroico dei martiri ha contribuito ad avvicinare l’Uganda e l’intera Africa a Cristo, la vera luce che illumina tutti gli uomini».

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SCUOLA/ Con il “no” alle paritarie M5s affossa la scuola statale

Posté par atempodiblog le 3 juin 2020

SCUOLA/ Con il “no” alle paritarie M5s affossa la scuola statale
Il decreto scuola è alla Camera. M5s continua a dire no alle paritarie, credendo di difendere la scuola pubblica. Ma così fa l’opposto
di Annamaria Poggi – Il Sussidiario

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L’arringa della senatrice Bianca Laura Granato del Movimento 5 Stelle contro le scuole paritarie declamata nella seduta del 28 maggio durante la seduta di approvazione in Senato del decreto scuola, non va presa sottogamba o accantonata come l’intemerata di una singola parlamentare, perché esprime la posizione che da sempre M5s dichiara come posizione ufficiale sulla scuola.

Per chi lo avesse dimenticato, il socio di maggioranza del Governo – che ha altresì espresso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte – così scriveva nel suo programma elettorale ufficiale depositato sul blog di Beppe Grillo per le elezioni politiche del 2018 riguardo al punto in questione: “Risorse finanziarie dello Stato erogate solo alla scuola pubblica”. L’esplicitazione del punto (guarda caso elaborata proprio con il contributo fondamentale della senatrice Granato, che nei desiderata del Movimento avrebbe dovuto guidare il Miur nel primo governo giallo-verde) chiama in causa l’art. 33 della Costituzione, secondo cui gli enti privati possono istituire delle scuola private, “ma lo Stato non deve avere alcun onere” (da Money, 27 febbraio 2018).

Per fortuna nel Decreto scuola la sua maggioranza non l’ha seguita e ha, invece, modificato lo stesso decreto, aumentando lo stanziamento a 150 milioni, dopo le vibranti proteste del mondo associativo cattolico e non solo. Infatti dalla stessa maggioranza si è levata sia la voce di chi da sempre si batte per la difesa delle paritarie (Gabriele Toccafondi in primis) sia la voce del Pd per bocca, tra l’altro, della senatrice Fedeli, già ministro dell’Istruzione, che ha sottolineato l’importanza delle scuole paritarie, ed anzi ha lamentato l’insufficienza dei fondi stanziati. La stessa posizione è stata anche espressa dal segretario nazionale della Flc-Cgil Francesco Sinopoli in un’intervista comparsa su Avvenire, in cui chiede l’aumento dei fondi per la scuola, scuola paritaria compresa.

Il che è molto interessante e degno di nota: chi da sempre sostiene il valore del sistema “pubblico” dell’istruzione ha ben compreso che attaccare le scuole paritarie con l’obiettivo di farle sparire vuol dire minare alla radice la stessa sussistenza del sistema pubblico. Sta diventando chiaro, in sostanza, che la posizione del Movimento 5 Stelle non è solo contro la scuola paritaria, ma contro il sistema scolastico pubblico italiano che, senza l’apporto fondamentale delle scuole paritarie, sarebbe monco e più inefficiente.

Anzitutto monco: pubblico non vuol dire statale, ne in Italia, né negli altri Paesi europei. “Senza oneri per lo Stato” non vuol dire divieto per lo Stato di intervenire sulle scuole paritarie già esistenti, come dimostra la lettura dei verbali dell’Assemblea Costituente che consiglierei di leggere attentamente, per evitare di mettere in bocca ai Costituenti cose che non si sono mai sognati di dire. Non solo, ma lo stesso articolo 33 Cost. dice espressamente che agli alunni delle scuole paritarie deve essere garantito un “trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali”. Inoltre, tranne che in Grecia, in tutti i Paesi europei le scuole paritarie sono tutelate, a presidio della libertà e della democrazia.

In secondo luogo meno efficiente: i risparmi che la scuola paritaria realizza sono noti da tempo (v. le varie elaborazioni, anche di fonte non cattolica) e, inoltre, se solo il 33% degli alunni delle scuole paritarie si riversasse nel sistema statale ciò comporterebbe un onere in più di 1,6 miliardi per le casse dello Stato (Fonte: Istituto Bruno Leoni).

In un comunicato stampa del 18 maggio scorso l’on. Maurizio Lupi ha ricordato due cose che ogni parlamentare della Repubblica dovrebbe tenere bene a mente: tagliare i fondi alle scuole paritarie significa discriminare 866mila ragazzi e bambini, le loro famiglie e i loro professori. Quindi violare l’art. 3 della Costituzione. Significa pure agire in piena violazione di una legge della Repubblica: la legge n. 62 del 2000, che ha inserito a pieno titolo le scuole paritarie nel sistema nazionale di istruzione.

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Il Papa: nessuna tolleranza per il razzismo, ma no alla violenza

Posté par atempodiblog le 3 juin 2020

Il Papa: nessuna tolleranza per il razzismo, ma no alla violenza
Le parole di Francesco all’udienza generale sulle proteste negli Stati Uniti dopo l’uccisione di George Floyd: non possiamo pretendere di difendere la sacralità di ogni vita umana e chiudere gli occhi su razzismo ed esclusione
di Vatican News

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La preghiera per George Floyd, l’afroamericano di 46 anni morto a Minneapolis il 25 maggio scorso durante l’arresto, e la condanna di ogni forma di razzismo ma anche della violenza che ne è seguita contagiando diverse città degli Stati Uniti. Sono i pensieri che il Papa rivolge al termine dell’udienza generale, nei saluti ai fedeli di lingua inglese collegati attraverso i media alla Biblioteca del Palazzo Apostolico:

Cari fratelli e sorelle degli Stati Uniti, seguo con grande preoccupazione i dolorosi disordini sociali che stanno accadendo nella vostra Nazione in questi giorni, a seguito della tragica morte del Signor George Floyd.

Cari amici, non possiamo tollerare né chiudere gli occhi su qualsiasi tipo di razzismo o di esclusione e pretendere di difendere la sacralità di ogni vita umana. Nello stesso tempo dobbiamo riconoscere che “la violenza delle ultime notti è autodistruttiva e autolesionista. Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde”.

Oggi mi unisco alla Chiesa di Saint Paul e Minneapolis, e di tutti gli Stati Uniti, nel pregare per il riposo dell’anima di George Floyd e di tutti gli altri che hanno perso la vita a causa del peccato di razzismo.

Preghiamo per il conforto delle famiglie e degli amici affranti, e preghiamo per la riconciliazione nazionale e la pace a cui aneliamo. Nostra Signora di Guadalupe, Madre dell’America, interceda per tutti coloro che lavorano per la pace e la giustizia nella vostra terra e nel mondo.

Le forti parole di Papa Francesco sono state precedute dagli interventi dei vescovi Usa, che hanno espresso comprensione per l’indignazione della comunità afromericana rimarcando come il razzismo sia stato tollerato troppo a lungo ma anche come la violenza sia autodistruttiva. Successivamente alla morte di Floyd, infatti, la situazione è diventata incandescente: ormai da 8 giorni sono dilagate proteste contro la polizia, con scene di guerriglia urbana, in molte città degli Stati Uniti, che hanno causato la morte e il ferimento di diverse persone, oltre 4mila arresti e il coprifuoco imposto in quasi 40 città.

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