120 anni fa nasceva Saint-Exupery. In suo onore arriva il Piccolo Principe Day

Posté par atempodiblog le 29 juin 2020

120 anni fa nasceva Saint-Exupery. In suo onore arriva il Piccolo Principe Day
Il 29 giugno è dedicato al libro più tradotto del mondo dopo la Bibbia e il Corano
di RaiNews

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La Francia celebra il 120esimo anniversario della nascita a Lione dello scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry, nato il 29 giugno 1900. Morì il 31 luglio del 1944 inabissandosi nel mar Tirreno durante una ricognizione con il suo aereo, dopo essere stato colpito dalla contraerea tedesca e non seppe mai del successo del suo capolavoro, Il Piccolo Principe, pubblicato nel 1943 e tradotto in 300 lingue e dialetti diversi.

Scrisse anche una serie di racconti sui primi voli aerei, tra i quali Volo di notte, Terra degli uomini e L’aviatore vincendo vari premi letterari.

La Fondazione Antoine de Saint-Exupéry lancia per il 120esimo anniversario “Il Piccolo Principe Day”, una giornata internazionale destinata a celebrare i valori umanistici del libro. E in autunno si terrà tra Lione e Tolosa una doppia grande mostra ricca di inediti  sulla vita e l’opera dell’autore dal titolo “Un Petit Prince parmi les Hommes” (Un Piccolo Principe tra gli Uomini), che poi sarà allestita a Parigi e Bruxelles.

A Lione saranno esposti filmati d’archivio e una raccolta di oggetti personali, foto, manoscritti e disegni che raccontano la storia della vita di Antoine.  A Tolosa, dove Saint-Exupéry divenne un pilota, la mostra ripercorrerà il rapporto dell’autore con il cielo e gli aerei, dalla bicicletta alata di un bambino sognante alla sua tragica morte a bordo del  leggendario P38 al largo del Mar Mediterraneo.

“Il Piccolo Principe” con oltre 200 milioni di copie vendute è l’opera letteraria francese più conosciuta e più letta sul pianeta. In un contesto globale in cui si stanno moltiplicando crisi e tensioni, i valori umanistici del libro – spiega la Fondazione Antoine de Saint Exupéry in un comunicato – stanno attualmente trovando una risonanza molto speciale presso il grande pubblico. Grazie alla sua forza evocativa e alla sua capacità di ispirazione per costruire insieme un futuro migliore, l’appropriazione da parte di ciascuno del messaggio del Piccolo Principe diventerà più  ricca e varia. Tutto ciò che mancava era una giornata internazionale per celebrarlo. Ora questo appuntamento c’è: il prossimo 29 giugno.

Le illustrazioni dell’autore
Saint-Exupéry  lasciò il suo progetto di manoscritto e le illustrazioni originali dipinte ad acquerello in un “sacchetto di carta sgualcito” sul tavolo di un amico prima di partire di nuovo per la guerra. Le 140 pagine del manoscritto erano in una prosa illeggibile, macchiate dal caffè, e rovinate da bruciature di sigarette. Era un regalo d’addio, accompagnato da un biglietto: “Mi piacerebbe lasciarti qualcosa di splendido, ma questo è tutto quello che ho” .

Il libro inizia quando il pilota protagonista incontra un bambino nel pieno del deserto del Sahara ed è tratto da una storia vera, di quando nel 1935, nel Sahara libico, insieme al compagno Andrè Prevot, lo scrittore rischiò quasi di morire disidratato. Pubblicato la prima volta nel 1943 , Il Piccolo Principe è uscito in francese e in inglese solo negli Stati Uniti. A causa delle sue idee politiche controverse, le opere di Saint- Exupéry non erano facilmente disponibili sotto il regime di Vichy, quindi il libro non è stato pubblicato fino alla liberazione della Francia, dopo la morte dell’autore.

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Il Papa: Dio ci chiede di essere veri profeti, costruttori di unità

Posté par atempodiblog le 29 juin 2020

Il Papa: Dio ci chiede di essere veri profeti, costruttori di unità
In occasione della festa dei due apostoli di Roma, i santi Pietro e Paolo, Papa Francesco celebra la Messa in San Pietro. Nell’omelia ricorda che tutti i credenti sono chiamati da Cristo a lasciarsi provocare dal Vangelo e a diventare attori di profezia. Quella di cui c’è bisogno, osserva, non è fatta di parole ma di servizio.. Chiede poi che si preghi per i governanti invece di insultarli
di Adriana Masotti – Vatican News

Il Papa: Dio ci chiede di essere veri profeti, costruttori di unità dans Commenti al Vangelo Papa-Francesco-I

La Messa celebrata alle 9.30 nella Basilica vaticana alla presenza dei fedeli, seppure in numero ridotto, si apre con il saluto al Papa del decano del Collegio cardinalizio, il cardinale Giovanni Battista Re. Le sue sono parole di ringraziamento a Francesco per la vicinanza alla comunità cristiana che ha manifestato in tanti modi nel difficile tempo di lockdown dovuto alla pandemia e in particolare attraverso la celebrazione della messa mattutina a casa Santa Marta, entrata attraverso la tv in tutte le case e seguita anche da persone non credenti o non praticanti. Il grazie va anche però per le iniziative di carità volute dal Papa come quella rivolta al sostegno di quanti hanno perso il lavoro. Alle sue parole segue la benedizione del Papa ai palli, destinati al decano e agli arcivescovi metropoliti nominati nell’ultimo anno in segno di unità tra le pecore e il Pastore.

Pietro e Paolo, diversi eppure fratelli
Unità e profezia: sono le due parole che Papa Francesco pone al centro della sua omelia, con numerose aggiunte a braccio, nella Messa le cui Letture hanno ricordato i due apostoli celebrati oggi dalla Chiesa. Subito sottolinea la diversità tra Pietro e Paolo, il primo un semplice pescatore, l’altro un colto fariseo. E fra loro, osserva, non mancarono le discussioni animate tuttavia “si sentivano fratelli, come in una famiglia unita, dove spesso si discute ma sempre ci si ama”. “Egli non ci ha comandato di piacerci, ma di amarci. È Lui che ci unisce, senza uniformarci, ci unisce nelle differenze”. Ma da dove nasce questa unità. Il Papa dice che la prima Lettura ce lo svela: mentre sulla Chiesa infuriava la persecuzione, ci dice che la comunità pregava. Questo assicurava l’unità perché permetteva allo Spirito Santo di intervenire e di “accorciare le distanze”:

La comunità sembra decapitata, ciascuno teme per la propria vita. Eppure in questo momento tragico nessuno si dà alla fuga, nessuno pensa a salvarsi la pelle, nessuno abbandona gli altri, ma tutti pregano insieme. Dalla preghiera attingono coraggio, dalla preghiera viene un’unità più forte di qualsiasi minaccia.

L’inutilità delle lamentele
E c’è un altro elemento importante: in quella prima comunità “nessuno si lamenta del male (…) nessuno insulta Erode. E noi siamo tanto abituati a insultare i responsabili… ”. Tempo sprecato e inutile per i cristiani, fa notare Francesco, quello passato a lamentarsi di quello che non va e prosegue:

Le lamentele non cambiano nulla. Ricordiamoci che le lamentele è la seconda porta chiusa allo Spirito Santo, come vi ho detto il giorno di Pentecoste: la prima è il narcisismo, la seconda lo scoraggiamento, la terza, il pessimismo. Il narcisismo ti porta allo specchio, a guardarti continuamente; lo scoraggiamento, alle lamentele. Il pessimismo, al buio, all’oscuro. Questi tre atteggiamenti chiudono la porta allo Spirito Santo. Quei cristiani non incolpavano, ma pregavano. In quella comunità nessuno diceva: “Se Pietro fosse stato più cauto, non saremmo in questa situazione”. Nessuno. Pietro umanamente, aveva motivi di essere criticato, ma nessuno lo criticava. Non sparlavano di lui, ma pregavano per lui. Non parlavano alle spalle, ma parlavano a Dio. E noi oggi possiamo chiederci: “Custodiamo la nostra unità con la preghiera, la nostra unità nella Chiesa? Preghiamo gli uni per gli altri?”

Pregare per chi ci governa
Preghiera e non insulto: Francesco a braccio si sofferma anche sui governanti, esortando a percorrere la strada del bene, dell’unità e non quella del parlare contro:

Chiediamo la grazia di saper pregare gli uni per gli altri. San Paolo esortava i cristiani a pregare per tutti e prima di tutto per chi governa. “Ma questo governante è…”, e i qualificativi sono tanti; io non li dirò, perché questo non è il momento né il posto per dire i qualificativi che si sentono contro i governanti. Che li giudichi Dio, ma preghiamo per i governanti! Preghiamo: hanno bisogno della preghiera. È un compito che il Signore ci affida. Lo facciamo? Oppure parliamo, insultiamo, e basta? ».

La preghiera spiana la strada dell’unità
Papa Francesco si domanda “che cosa accadrebbe se si pregasse di più e si mormorasse di meno”. Anche oggi, come per Pietro quando si trovava in carcere, “tante porte che separano si aprirebbero, tante catene che paralizzano cadrebbero”. E il Papa invita a chiedere al Signore la grazia di saperlo fare e precisa:

Dio si attende che quando preghiamo ci ricordiamo anche di chi non la pensa come noi, di chi ci ha chiuso la porta in faccia, di chi fatichiamo a perdonare. Solo la preghiera scioglie le catene, solo la preghiera spiana la via all’unità.

Il segno dei palli e la vicinanza con il Patriarcato di Costantinopoli
E riguardo all’unità, il Papa ricorda che nella festa dei santi Pietro e Paolo si benedicono i palli simbolo dell’unità tra le i fedeli e il loro Pastore e poi si vive una particolare vicinanza al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. – Pietro e Andrea erano infatti fratelli – con cui è in atto un cammino comune verso la piena unità voluta dal Signore. « Oggi, dice il Papa, loro non sono riusciti a venire per i viaggi a motivo del coronavirus, ma quando io sono sceso a venerare le spoglie di Pietro, sentivo nel cuore accanto a me il mio amato fratello Bartolomeo. Loro sono qui, con noi ».

Le provocazioni del Signore
La seconda parola di oggi è profezia. Il Papa fa notare che Gesù ha provocato i due Apostoli chiedendo a loro una scelta personale di adesione a lui. A Pietro: “Tu, chi dici che io sia?”. In quanto a Paolo, il Signore “lo ha scosso dentro: più che farlo cadere a terra sulla via di Damasco, ha fatto cadere la sua presunzione di uomo religioso e per bene.” Il Papa dice ancora:

La profezia nasce quando ci si lascia provocare da Dio: non quando si gestisce la propria tranquillità e si tiene tutto sotto controllo.Non nasce dai miei pensieri, non nasce dal mio cuore chiuso. Nasce se noi ci lasciamo provocare da Dio. Quando il Vangelo ribalta le certezze, scaturisce la profezia. Solo chi si apre alle sorprese di Dio diventa profeta.

Abbiamo bisogno della profezia, ma di quella vera
Francesco guarda all’oggi e afferma che anche in questi tempi c’è bisogno di profezia e “non di parolai”, c’è bisogno di testimoniare “che il Vangelo è possibile”.

Non servono manifestazioni miracolose, ma vite che manifestano il miracolo dell’amore di Dio. Non potenza, ma coerenza. Non parole, ma preghiera. Non proclami, ma servizio. Tu vuoi una Chiesa profetica? Comincia a servire, stai zitto. Non teoria, ma testimonianza. Non abbiamo bisogno di essere ricchi, ma di amare i poveri; non di guadagnare per noi, ma di spenderci per gli altri; non del consenso del mondo, quello è stare bene con tutti: da noi si dice: »stare bene con Dio e con il diavolo »… stare bene con tutti. Non questo non è profezia. Ma abbiamo bisogno della gioia per il mondo che verrà; non di progetti pastorali, questi progetti che sembrano avere la propria efficinza, come se fosero dei sacramenti, progetti pastorali efficienti: no, ma abbiamo bisogno di pastori che offrono la vita: di innamorati di Dio.

Avere il coraggio di essere costruttori di unità
Così sono stati Pietro e Paolo che hanno annunciato Gesù fino a dare la vita. E’ questa la profezia che cambia la storia. E Papa Francesco ricorda che tutti i fedeli sono chiamati a diventare “pietre vive con cui costruire una Chiesa e un’umanità rinnovate” e conclude:

C’è sempre chi distrugge l’unità e chi spegne la profezia, ma il Signore crede in noi e chiede a te: “Tu, tu, tu, vuoi essere costruttore di unità? Vuoi essere profeta del mio cielo sulla terra?”. Fratelli e sorelle lasciamoci provocare da Gesù e troviamo il coraggio di dirgli: “Sì, lo voglio!”.

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29 giugno 1972: Santa Messa per il IX anniversario dell’incoronazione di Sua Santità nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

Posté par atempodiblog le 29 juin 2020

IX ANNIVERSARIO DELL’INCORONAZIONE DI SUA SANTITÀ

OMELIA DI PAOLO VI

Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo
Giovedì, 29 giugno 1972

29 giugno 1972: Santa Messa per il IX anniversario dell'incoronazione di Sua Santità nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo dans Anticristo Paolo-VI

Al tramonto di giovedì 29 giugno, solennità dei Ss. Pietro e Paolo, alla presenza di una considerevole moltitudine di fedeli provenienti da ogni parte del mondo, il Santo Padre celebra la Messa e l’inizio del suo decimo anno di Pontificato, quale successore di San Pietro.
Con il Decano del Sacro Collegio, Signor Cardinale Amleto Giovanni Cicognani e il Sottodecano Signor Cardinale Luigi Traglia sono trenta Porporati, della Curia, e alcuni Pastori di diocesi, oggi presenti a Roma.
Due Signori Cardinali per ciascun Ordine, accompagnano processionalmente il Santo Padre all’altare.
Al completo il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, con il Sostituto della Segreteria di Stato, arcivescovo Giovanni Benelli, ed il Segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, arcivescovo Agostino Casaroli.
Diamo un resoconto della Omelia di Sua Santità.

Il Santo Padre esordisce affermando di dovere un vivissimo ringraziamento a quanti, Fratelli e Figli, sono presenti nella Basilica ed a quanti, lontani, ma ad essi spiritualmente associati, assistono al sacro rito, il quale, all’intenzione celebrativa dell’Apostolo Pietro, cui è dedicata la Basilica Vaticana, privilegiata custode della sua tomba e delle sue reliquie, e dell’Apostolo Paolo, sempre a lui unito nel disegno e nel culto apostolico, unisce un’altra intenzione, quella di ricordare l’anniversario della sua elezione alla successione nel ministero pastorale del pescatore Simone, figlio di Giona, da Cristo denominato Pietro, e perciò nella funzione di Vescovo di Roma, di Pontefice della Chiesa universale e di visibile e umilissimo Vicario in terra di Cristo Signore. Il ringraziamento vivissimo è per quanto la presenza di tanti fedeli gli dimostra di amore a Cristo stesso nel segno della sua povera persona, e lo assicura perciò della loro fedeltà e indulgenza verso di lui, non che del loro proposito per lui consolante di aiutarlo con la loro preghiera.

LA CHIESA DI GESÙ, LA CHIESA DI PIETRO
Paolo VI prosegue dicendo di non voler parlare, nel suo breve discorso, di lui, San Pietro, ché troppo lungo sarebbe e forse superfluo per chi già ne conosce la mirabile storia; né di se stesso, di cui già troppo parlano la stampa e la radio, alle quali per altro esprime la sua debita riconoscenza. Volendo piuttosto parlare della Chiesa, che in quel momento e da quella sede sembra apparire davanti ai suoi occhi come distesa nel suo vastissimo e complicatissimo panorama, si limita a ripetere una parola dello stesso Apostolo Pietro, come detta da lui alla immensa comunità cattolica; da lui, nella sua prima lettera, raccolta nel canone degli scritti del Nuovo Testamento. Questo bellissimo messaggio, rivolto da Roma ai primi cristiani dell’Asia minore, d’origine in parte giudaica, in parte pagana, quasi a dimostrare fin d’allora l’universalità del ministero apostolico di Pietro, ha carattere parenetico, cioè esortativo, ma non manca d’insegnamenti dottrinali, e la parola che il Papa cita è appunto tale, tanto che il recente Concilio ne ha fatto tesoro per uno dei suoi caratteristici insegnamenti. Paolo VI invita ad ascoltarla come pronunciata da San Pietro stesso per coloro ai quali in quel momento egli la rivolge.

Dopo aver ricordato il brano dell’Esodo nel quale si racconta come Dio, parlando a Mosè prima di consegnargli la Legge, disse: «Io farò di questo popolo, un popolo sacerdotale e regale», Paolo VI dichiara che San Pietro ha ripreso questa parola così esaltante, così grande e l’ha applicata al nuovo popolo di Dio, erede e continuatore dell’Israele della Bibbia per formare un nuovo Israele, l’Israele di Cristo. Dice San Pietro: Sarà il popolo sacerdotale e regale che glorificherà il Dio della misericordia, il Dio della salvezza.

Questa parola, fa osservare il Santo Padre, è stata da taluni fraintesa, come se il sacerdozio fosse un ordine solo, e cioè fosse comunicato a quanti sono inseriti nel Corpo Mistico di Cristo, a quanti sono cristiani. Ciò è vero per quanto riguarda quello che viene indicato come sacerdozio comune, ma il Concilio ci dice, e la Tradizione ce l’aveva già insegnato, che esiste un altro grado del sacerdozio, il sacerdozio ministeriale che ha delle facoltà, delle prerogative particolari ed esclusive.

Ma quello che interessa tutti è il sacerdozio regale e il Papa si sofferma sul significato di questa espressione. Sacerdozio vuol dire capacità di rendere il culto a Dio, di comunicare con Lui, di offrirgli degnamente qualcosa in suo onore, di colloquiare con lui, di cercarlo sempre in una profondità nuova, in una scoperta nuova, in un amore nuovo. Questo slancio dell’umanità verso Dio, che non è mai abbastanza raggiunto, né abbastanza conosciuto, è il sacerdozio di chi è inserito nell’unico Sacerdote, che è Cristo, dopo l’inaugurazione del Nuovo Testamento. Chi è cristiano è per ciò stesso dotato di questa qualità, di questa prerogativa di poter parlare al Signore in termini veri, come da figlio a padre.

IL NECESSARIO COLLOQUIO CON DIO
«Audemus dicere»: possiamo davvero celebrare, davanti al Signore, un rito, una liturgia della preghiera comune, una santificazione della vita anche profana che distingue il cristiano da chi cristiano non è. Questo popolo è distinto, anche se confuso in mezzo alla marea grande dell’umanità. Ha una sua distinzione, una sua caratteristica inconfondibile. San Paolo si disse «segregatus», distaccato, distinto dal resto dell’umanità appunto perché investito di prerogative e di funzioni che non hanno quanti non possiedono l’estrema fortuna e l’eccellenza di essere membra di Cristo.

Paolo VI aggiunge, quindi, che i fedeli, i quali sono chiamati alla figliolanza di Dio, alla partecipazione del Corpo Mistico di Cristo, e sono animati dallo Spirito Santo, e fatti tempio della presenza di Dio, devono esercitare questo dialogo, questo colloquio, questa conversazione con Dio nella religione, nel culto liturgico, nel culto privato, e ad estendere il senso della sacralità anche alle azioni profane. «Sia che mangiate, sia che beviate – dice San Paolo – fatelo per la gloria di Dio». E lo dice più volte, nelle sue lettere, come per rivendicare al cristiano la capacità di infondere qualcosa di nuovo, di illuminare, di sacralizzare anche le cose temporali, esterne, passeggere, profane.

Siamo invitati a dare al popolo cristiano, che si chiama Chiesa, un senso veramente sacro. E sentiamo di dover contenere l’onda di profanità, di desacralizzazione, di secolarizzazione che monta e vuol confondere e soverchiare il senso religioso nel segreto del cuore, nella vita privata o anche nelle affermazioni della vita esteriore. Si tende oggi ad affermare che non c’è bisogno di distinguere un uomo da un altro, che non c’è nulla che possa operare questa distinzione. Anzi, si tende a restituire all’uomo la sua autenticità, il suo essere come tutti gli altri. Ma la Chiesa, e oggi San Pietro, richiamando il popolo cristiano alla coscienza di sé, gli dicono che è il popolo eletto, distinto, «acquistato» da Cristo, un popolo che deve esercitare un particolare rapporto con Dio, un sacerdozio con Dio. Questa sacralizzazione della vita non deve oggi essere cancellata, espulsa dal costume e dalla realtà quotidiana quasi che non debba più figurare.

SACRALITÀ DEL POPOLO CRISTIANO
Abbiamo perduto, fa notare Paolo VI, l’abito religioso, e tante altre manifestazioni esteriori della vita religiosa. Su questo c’è tanto da discutere e tanto da concedere, ma bisogna mantenere il concetto, e con il concetto anche qualche segno, della sacralità del popolo cristiano, di coloro cioè che sono inseriti in Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote.

Oggi talune correnti sociologiche tendono a studiare l’umanità prescindendo da questo contatto con Dio. La sociologia di San Pietro, invece, la sociologia della Chiesa, per studiare gli uomini mette in evidenza proprio questo aspetto sacrale, di conversazione con l’ineffabile, con Dio, col mondo divino. Bisogna affermarlo nello studio di tutte le differenziazioni umane. Per quanto eterogeneo si presenti il genere umano, non dobbiamo dimenticare questa unità fondamentale che il Signore ci conferisce quando ci dà la grazia: siamo tutti fratelli nello stesso Cristo. Non c’è più né giudeo, né greco, né scita, né barbaro, né uomo, né donna. Tutti siamo una sola cosa in Cristo. Siamo tutti santificati, abbiamo tutti la partecipazione a questo grado di elevazione soprannaturale che Cristo ci ha conferito. San Pietro ce lo ricorda: è la sociologia della Chiesa che non dobbiamo obliterare né dimenticare.

SOLLECITUDINI ED AFFETTO PER I DEBOLI E I DISORIENTATI
Paolo VI si chiede, poi, se la Chiesa di oggi si può confrontare con tranquillità con le parole che Pietro ha lasciato in eredità, offrendole in meditazione. «Ripensiamo in questo momento con immensa carità – così il Santo Padre – a tutti i nostri fratelli che ci lasciano, a tanti che sono fuggiaschi e dimentichi, a tanti che forse non sono mai arrivati nemmeno ad aver coscienza della vocazione cristiana, quantunque abbiano ricevuto il Battesimo. Come vorremmo davvero distendere le mani verso di essi, e dir loro che il cuore è sempre aperto, che la porta è facile, e come vorremmo renderli partecipi della grande, ineffabile fortuna della felicità nostra, quella di essere in comunicazione con Dio, che non ci toglie nulla della visione temporale e del realismo positivo del mondo esteriore!».

Forse questo nostro essere in comunicazione con Dio, ci obbliga a rinunce, a sacrifici, ma mentre ci priva di qualcosa moltiplica i suoi doni. Sì, impone rinunce ma ci fa sovrabbondare di altre ricchezze. Non siamo poveri, siamo ricchi, perché abbiamo la ricchezza del Signore. «Ebbene – aggiunge il Papa – vorremmo dire a questi fratelli, di cui sentiamo quasi lo strappo nelle viscere della nostra anima sacerdotale, quanto ci sono presenti, quanto ora e sempre e più li amiamo e quanto preghiamo per loro e quanto cerchiamo con questo sforzo che li insegue, li circonda, di supplire all’interruzione che essi stessi frappongono alla nostra comunione con Cristo».

Riferendosi alla situazione della Chiesa di oggi, il Santo Padre afferma di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio. Gli scienziati sono coloro che più pensosamente e più dolorosamente curvano la fronte. E finiscono per insegnare: «Non so, non sappiamo, non possiamo sapere». La scuola diventa palestra di confusione e di contraddizioni talvolta assurde. Si celebra il progresso per poterlo poi demolire con le rivoluzioni più strane e più radicali, per negare tutto ciò che si è conquistato, per ritornare primitivi dopo aver tanto esaltato i progressi del mondo moderno.

Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli.

PER UN «CREDO» VIVIFICANTE E REDENTORE
Come è avvenuto questo? Il Papa confida ai presenti un suo pensiero: che ci sia stato l’intervento di un potere avverso. Il suo nome è il diavolo, questo misterioso essere cui si fa allusione anche nella Lettera di S. Pietro. Tante volte, d’altra parte, nel Vangelo, sulle labbra stesse di Cristo, ritorna la menzione di questo nemico degli uomini. «Crediamo – osserva il Santo Padre – in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio Ecumenico, e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno della gioia di aver riavuto in pienezza la coscienza di sé. Appunto per questo vorremmo essere capaci, più che mai in questo momento, di esercitare la funzione assegnata da Dio a Pietro, di confermare nella Fede i fratelli. Noi vorremmo comunicarvi questo carisma della certezza che il Signore dà a colui che lo rappresenta anche indegnamente su questa terra». La fede ci dà la certezza, la sicurezza, quando è basata sulla Parola di Dio accettata e trovata consenziente con la nostra stessa ragione e con il nostro stesso animo umano. Chi crede con semplicità, con umiltà, sente di essere sulla buona strada, di avere una testimonianza interiore che lo conforta nella difficile conquista della verità.

Il Signore, conclude il Papa, si mostra Egli stesso luce e verità a chi lo accetta nella sua Parola, e la sua Parola diventa non più ostacolo alla verità e al cammino verso l’essere, bensì un gradino su cui possiamo salire ed essere davvero conquistatori del Signore che si mostra attraverso la via della fede, questo anticipo e garanzia della visione definitiva.

Nel sottolineare un altro aspetto dell’umanità contemporanea, Paolo VI ricorda l’esistenza di una gran quantità di anime umili, semplici, pure, rette, forti, che seguono l’invito di San Pietro ad essere «fortes in fide». E vorremmo – così Egli – che questa forza della fede, questa sicurezza, questa pace trionfasse su tutti gli ostacoli. Il Papa invita infine i fedeli ad un atto di fede umile e sincero, ad uno sforzo psicologico per trovare nel loro intimo lo slancio verso un atto cosciente di adesione: «Signore, credo nella Tua parola, credo nella Tua rivelazione, credo in chi mi hai dato come testimone e garante di questa Tua rivelazione per sentire e provare, con la forza della fede, l’anticipo della beatitudine della vita che con la fede ci è promessa».

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Sant’Ireneo

Posté par atempodiblog le 28 juin 2020

Sant’Ireneo è stato il secondo Vescovo della città di Lione, morto martire probabilmente nel 202. La Diocesi di Lione ha approfittato di questa data, 202-2020, per far riscoprire la figura di questo santo, dedicandogli il 2020.

Sant’Ireneo dans Citazioni, frasi e pensieri Sant-Ireneo-di-Lione
28 giugno, memoria di sant’Ireneo

“Non sei tu che fai Dio è Dio che fa te. Se dunque sei l’opera di Dio, aspetta la mano del tuo Artefice, che fa tutte le cose al tempo opportuno… Presentagli il tuo cuore morbido e malleabile e conserva la forma che ti ha dato l’Artista, avendo in te l’acqua che viene da Lui per non rifiutare, indurendoti, l’impronta delle sue dita… Se gli affiderai ciò che è tuo, cioè la fede in lui e la sottomissione, riceverai la sua arte e sarai l’opera perfetta di Dio”.
Sant’Ireneo

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«Satana regna, la Madonna ci chiama alla conversione»

Posté par atempodiblog le 26 juin 2020

«Satana regna, la Madonna ci chiama alla conversione»
«Il piano di Satana si è già realizzato, nel mondo regna la falsa religione dell’uomo che si è sostituito a Dio». «La Madonna ha un piano per salvare l’umanità, questo è il tempo del combattimento spirituale che prepara il trionfo del Cuore Immacolato di Maria». «Accadranno cose terribili, ognuno dovrà decidere se affidarsi a Dio o no, in gioco c’è la salvezza eterna». «Il coronavirus viene dal diavolo, è una prova: la soluzione è rinunciare a Satana e ritornare a Dio». «Il culto della Madre Terra è una delle forme della falsa religione, è una cosa terribile e ridicola». Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, spiega alla Bussola i tempi presenti secondo i messaggi della Madonna a Medjugorje, la svolta storica annunciata e le profezie: «Siamo entrati nel tempo dei dieci segreti».
di Riccardo Cascioli – La nuova Bussola Quotidiana

«Satana regna, la Madonna ci chiama alla conversione» dans Anticristo Maria-a-Medjugorje

Il mondo ormai è sotto il regno di Satana, perciò questo è il tempo del grande combattimento spirituale che prepara il trionfo del Cuore immacolato di Maria. È il giudizio sul tempo presente che con sempre maggiore insistenza viene affermato nell’etere da una voce famosa, quella di padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, un network che ha generato cento emittenti in tutto il mondo per fare arrivare a tutti il messaggio di amore della Madonna.
In particolare padre Livio è diventato il “messaggero” di Medjugorje, la cittadina dell’Erzegovina in cui la Madonna apparirebbe da ben 39 anni. Lo scorso anno la Santa Sede ha riconosciuto almeno «gli abbondanti frutti di grazia che sono scaturiti dal notevole flusso di persone che si recano a Medjugorje» pur senza pronunciarsi ufficialmente sull’autenticità delle apparizioni. Nel febbraio scorso tuttavia fonti giornalistiche hanno reso pubblica la relazione della Commissione vaticana secondo cui le apparizioni sarebbero realmente avvenute almeno la prima settimana, nel giugno 1981.
Proprio ieri, 25 giugno, si è celebrato l’anniversario delle apparizioni e l’ingresso nel 40esimo anno: un numero simbolico che, unito alla evidente crisi globale che stiamo vivendo, ha acceso ancor di più l’attenzione sui messaggi di Medjugorje e su una interpretazione degli eventi attuali alla luce del progetto di Dio. Raggiungiamo dunque al telefono padre Livio, che di tali messaggi è senz’altro un interprete autorevole.

Padre Livio, cosa sta accadendo e cosa dobbiamo aspettarci?
Intanto dobbiamo guardare a ciò che è già accaduto. Chi ha seguito le apparizioni fin dall’inizio, ha visto in questi 39 anni la realizzazione dei due piani, dei due progetti spiegati dalla Madonna: il piano di Satana e il piano di Maria. Questi piani portano al combattimento spirituale del tempo dei segreti e al trionfo del Cuore Immacolato.

Cominciamo allora dal piano di Satana.
È stato enunciato dalla Madonna fin dall’inizio: la costruzione del mondo senza Dio, la sostituzione in Occidente del cristianesimo con la falsa religione, una religione umanitaria, una vera impostura anticristica, di cui parla anche il Catechismo della Chiesa cattolica. È un mondo, come ha detto la Madonna, senza felicità, né futuro, né salvezza eterna.

Lei, da un po’ di tempo afferma con sempre maggiore forza che questo piano si è realizzato.
È la Madonna a dirlo e comunque possiamo vederlo anche con i nostri occhi. L’umanità ha messo se stessa al posto di Dio, le potenze del mondo sono tutte sotto questa falsa religione. Satana ha in mano tutto, il mondo finanziario anzitutto, e la politica, i mass media. Il 25 marzo scorso la Madonna ha pronunciato una frase mai detta prima: “Siate più uniti con Dio, Satana regna e vuole distruggere le vostre vite e il pianeta sul quale camminate”. In passato aveva avvertito che Satana è forte, che non dorme, aveva dato tre messaggi tremendi sul modernismo, un modo in cui Satana ci devia e ci mette sulla sua via, ma ora dice: “Satana regna”. È una affermazione molto pesante, molto forte, vuol dire che Satana ha già raggiunto il suo obiettivo, regna la bramosia, la superbia, l’odio nei cuori. Il regno di Satana è il trionfo della menzogna e della violenza. Ha descritto quello che noi pian piano stiamo vedendo.

Veniamo al piano della Madonna.
È quello di rinnovare la Chiesa, di fortificare la fede della Chiesa, un piano che con maggiore chiarezza si è svelato nell’ultimo decennio. Nei messaggi a Mirjana, ha insistito su due punti: la preghiera per i pastori e la formazione di un gruppo, quelli che hanno risposto alla sua chiamata e diffondono l’amore della Madonna.

Perché l’insistenza sulla preghiera per i pastori?
È come se la Madonna temesse una crisi all’interno della Chiesa, quasi ogni messaggio del 2 del mese ha ripetuto per dieci anni “pregate per i vostri pastori”, “amate i vostri pastori”, intendendo soprattutto i vescovi, e ovviamente il Santo Padre, che è il fondamento della Chiesa. Ha anche spiegato come Lei vuole i pastori: che dicano la Parola di Gesù, che abbiano il cuore di Gesù, che facciano le azioni di Gesù. Ci ha esortato a pregare per i pastori per così tanto tempo, e ha detto anche “Con i vostri pastori io trionferò”. L’ho sempre interpretata come una grande attenzione della Madonna per l’unità della Chiesa, non esiste una Chiesa senza pastori, non è cattolica.

I pastori da una parte, i suoi “apostoli” dall’altra.
Sì, l’altro punto è questo, la Madonna ha preparato un gruppo, i “Mariani”,  gli “apostoli del mio amore” li chiama. In tutti questi anni ha operato per rafforzare la Chiesa e perché noi fossimo testimoni della fede. In ogni messaggio ci indica Suo Figlio e vuole che testimoniamo Suo Figlio agli altri. Ci porta Suo figlio e noi dobbiamo portare Suo figlio agli altri.

Veniamo dunque al momento attuale: Satana regna, la religione dell’uomo si è affermata, ma anche la Madonna ha preparato le sue truppe. Quindi torniamo alla domanda di partenza: cosa dobbiamo aspettarci ora?
Siamo a un punto di svolta, e lo capiamo da alcuni fatti significativi: il 2 marzo scorso sono cessate le apparizioni a Mirjana del 2 del mese, che duravano dal 1987 e che erano il momento di formazione per i fedeli, costituivano l’evangelizzazione dei credenti. Secondo fatto: l’annuncio che “Satana regna”, il suo piano si è realizzato. Terzo: entriamo nel 40esimo anno, un numero simbolico dal punto di vista biblico.
La svolta significa che entriamo ora in un periodo di prove, che riguarda la fede, è il tempo dei 10 segreti: sarà una prova incredibile, mai accaduta nella storia della Chiesa, che va interpretata alla luce dell’Apocalisse. È il tempo del grande combattimento spirituale, al termine del quale le due bestie – il potere finanziario, politico, massmediatico da una parte e la falsa religione dall’altra – saranno gettate «nello stagno di fuoco e zolfo» e l’Agnello vincerà.

È il tempo dei 10 segreti, lei dice. Su questi segreti si è molto speculato…
Dobbiamo capire che c’è una radicale diversità tra questi segreti e tutti gli altri, perché ognuno di essi costringerà la gente a fare delle scelte. Non è che sei lì aspettando che accada qualcosa a cui devi assistere. No, ogni segreto sarà annunciato tre giorni prima: e verrà detto cosa accade e dove accade. Il “dove” è interessante, perché significa che si tratterà di eventi locali. I primi due saranno a Medjugorje, dovrà essere da esempio su come affrontare i segreti. Il terzo sarà un segno visibile, indistruttibile, a Medjugorje, testimonianza che la Madonna è veramente stata lì. Poi tutti gli altri, in un contesto apocalittico, di angoscia e di paura per quello che dovrà accadere: ogni uomo al mondo dovrà decidere se credere o non credere, e decidere cosa fare. Perché si tratterà di qualche evento in un luogo preciso, quindi ci saranno decisioni da prendere. Ma soprattutto: affidarsi a Dio o non affidarsi a Dio? Ne va della sorte eterna. È il tempo delle grandi decisioni, ognuno dovrà decidere per sé. Un po’ come è successo per il coronavirus, questo è un saggio di quel che potrà succedere. Accadranno cose terribili, ma la Madonna ci dà la possibilità di salvarci, la potenza di Maria salverà l’umanità. Ma attenzione, la Madonna ci ha avvertito: non aspettate il tempo dei segreti per convertirvi, potrebbe essere troppo tardi. Chi ha il cuore indurito, rischierà di chiudersi ancora di più.

Lei in radio ha più volte individuato nell’ecologismo, nel culto della Madre Terra, la falsa religione.
Nella falsa religione confluiscono tante ideologie anche sociali e politiche, comunque tutte intramondane. È la sintesi di tutto ciò che l’uomo è e fa escludendo Dio. Quindi l’ecologismo, il new age, le religioni orientali e tanto altro. Quanto all’ecologia: un conto è affermare che la terra sia un giardino che Dio ci ha dato da curare, altra cosa è arrivare al culto della Madre Terra, dove si arriva a dire che noi veniamo dalla Terra e alla Terra ritorneremo. Questo è qualcosa di terribile e anche di ridicolo. Ridicolo come tutte le forme immanentistiche.

Tra le cose che stanno avvenendo, colpisce come il cosiddetto movimento antirazzista abbia cominciato con il colpire delle statue per poi arrivare a colpire le raffigurazioni di Gesù, Maria, san Michele Arcangelo. È impressionante.
Impressionante ma illuminante. Per la semplice ragione che dietro c’è Satana che alimenta l’odio e l’odio di Satana finisce sempre su Gesù Cristo e la Madonna. Non c’è niente da fare, è il punto di arrivo. La Madonna lo ripete tante volte: Satana vuole l’odio e la guerra. E quindi nel mondo che è regno di Satana c’è l’odio, e l’odio cresce continuamente e finirà per colpire la Chiesa, i Mariani, Gesù Cristo, la Madonna, i santi. È lì che Satana vuole arrivare.

Tornando ai segreti e alle profezie, quel che colpisce è che la Madonna non ci racconta il futuro come se spoilerasse un film, ma stimola la nostra libertà, ci spinge a prendere delle decisioni. Quindi, in questa situazione, qual è il nostro compito, qual è la decisione da prendere?
È la conversione, ritornare a Dio. Pensiamo a quanto accaduto in questi ultimi mesi, alla pandemia. Il 25 luglio 2019, la Madonna aveva avvertito: “Arriveranno le prove e voi non sarete forti, Satana ringhierà ma se sarete miei vincerete”. Questa cosa inaspettata era già profetizzata, non eravamo pronti, non eravamo forti. Questa pandemia viene dal diavolo, Dio l’ha permessa per insegnarci qualcosa, però l’autore è il diavolo perché è originata da dove si preparano nuove guerre; per negligenza, sbaglio o che altro non lo sappiamo, ma è così. La Madonna ci aveva detto che se fossimo tornati a Suo Figlio, ripreso la preghiera, il digiuno, a rispettare i comandamenti, le nostre preghiere sarebbero state ascoltate e le suppliche esaudite. Parole forti: “Rinunciate al diavolo e seguite Mio Figlio”. Questa è la vera conversione: si abbandona il peccato, si abbandona l’idolatria, si ripara l’apostasia, si ritorna alla vera fede. È il cammino del figliol prodigo, questo è assolutamente necessario. Come ha detto la Madonna ai ragazzi, è in atto un combattimento tra Gesù e il diavolo. Le anime si salvano con la conversione, la nostra conversione anzitutto. Questa pandemia è lo strumento attraverso cui vogliono creare il Nuovo ordine mondiale, imporre l’ideologia dell’uomo-Dio, imporre a tutti il credo anti-cristico, fin dagli asili-nido. È chiaro che l’epidemia porta a tutto questo. Se ne esce solo ritornando a Dio.

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L’Onnipotente invia la Regina della Pace

Posté par atempodiblog le 25 juin 2020

L’Onnipotente invia la Regina della Pace
Tratto da: Il segreto di Medjugorje  Per affrontare gli ultimi tempi, di Padre Livio Fanzaga con Diego Manetti, Ed. PIEMME

L'Onnipotente invia la Regina della Pace dans Apparizioni mariane e santuari Medjugorje

Abbiamo visto, padre Livio, come il contesto odierno sia quello di uno scatenamento satanico attraverso le armi della menzogna e della persecuzione contro i cristiani. Il mondo appare sempre più in preda ai venti di guerra, al punto che papa Francesco il 30 novembre 2014, di ritorno dalla Turchia, ha dichiarato:

«È mia opinione che stiamo vivendo la terza guerra mondiale, a pezzi, a capitoli, dappertutto. Dietro questo stanno inimicizie, problemi politici, problemi economici… dove il Dio denaro è al centro».

Per quanto possa essere difficile guardarsi intorno senza qualche motivo di inquietudine, non possiamo mai perdere la speranza nella pace. È la Madonna stessa, infatti, a esser venuta a Medjugorje – dove appare dal 24 giugno 1981 – presentandosi come Regina della Pace. Il primo messaggio che ha consegnato alla sola Marija il 26 giugno – dopo aver detto ai veggenti, in cima al Podbrdo: «Io sono la Beata Vergine Maria» – è una vera a propria esortazione alla pace: «Pace. Pace. Pace. Riconciliatevi. Riconciliatevi con Dio e tra di voi. E per fare questo è necessario credere, pregare, digiunare e confessarsi».
Sembra quasi che, fin dall’inizio delle apparizioni nella ex Jugoslavia, la Madonna indichi quel valore per eccellenza che è venuta a custodire, la pace, ma anche gli strumenti con i quali passare indenni attraverso il tempo della prova: la preghiera, il digiuno e la confessione.

Certamente. La Madonna difende la pace nel senso che assicura all’umanità la via per trovare la vera pace, quella che il mondo non sa dare. La pace del mondo nuovo senza Dio è infatti falsa, poiché senza Dio non c’è né futuro, né salvezza eterna (cfr. messaggio del 25 aprile 1997). La Regina della Pace ci mette dunque anzitutto in guardia dalla falsa pace, quella che si fonda sulla illusione di poter essere dio al posto di Dio, ritrovando invece la vera pace che si ottiene riconciliandoci con Dio e coi fratelli. Ecco: dobbiamo anzitutto fare pace con Dio, col quale siamo in guerra fin dalle origini, perché siamo nel peccato, pieni di superbia e perché non ci pentiamo. La vera pace è quindi frutto della conversione: tu ti converti, ritorni a Dio e hai come dono la pace, che non è una semplice parola, bensì un’esperienza profonda del cuore, ben diversa dalla situazione di quanti si ritrovano invece – come diceva il cardinal Biffi – «sazi ma disperati».

Solo tornando a Dio si può ritrovare la vera pace che la Madonna è venuta a donare al cuore dei suoi figli: non servono vincite alla lotteria né viaggi alle Canarie, per vincere l’angoscia che in certi momenti ci attanaglia l’anima, ma è sufficiente piegare le ginocchia e invocare la grazia di Dio. Anche questo, secondo me, è un aspetto del segreto di Medjugorje: la vera pace è quella dei piccoli, degli umili, di coloro che sanno riconoscersi creature e figli di Dio, bisognosi di tutto dal Padre Onnipotente. Sono questi “ultimi” che incideranno sulle vicende future del mondo, ben più dei ricchi e dei potenti, poiché con i loro “sì” a Gesù, verranno donate al mondo pace e prosperità (cfr. messaggio del 25 dicembre 1999).

La pace è così centrale in Medjugorje che la Madonna stessa chiede di esser venerata come Regina della Pace:

«Vorrei che la festa in onore della Regina della pace fosse celebrata il 25 giugno. Proprio quel giorno, infatti, i fedeli sono venuti per la prima volta sulla collina» (2 febbraio 1982).

È bello che metta in rilievo un aspetto che a volte noi consideriamo secondario: la Madonna non sceglie il 25 giugno anzitutto perché ci sono i sei veggenti, che poi per oltre trent’anni accompagnerà con le apparizioni, ma perché per la prima volta i fedeli rispondono alla sua chiamata. Come a dire che Medjugorje non è “per i veggenti”, ma è un dono dal Cielo perché tutti gli uomini possano rispondere all’appello di Maria! Che, il 16 giugno 1983, dice ancora: «Io mi sono presentata qui come Regina della Pace per dire a tutti che la pace è necessaria per la salvezza del mondo».

Quello che mi colpisce è che la Madonna si presenti come «Regina» della pace, per indicare che è qui per vincere il demonio, per schiacciare il capo al serpente, per debellare le forze delle tenebre e regnare – come Regina, appunto! È come se si ponesse come “apripista” per l’avvento del Re della Pace, preparandone il ritorno nella gloria attraverso le vittorie che, in questi anni, Ella ha già raccolto. La più eclatante è senz’altro la sconfitta di quell’impero del male che è stato il comunismo sovietico. Una vittoria importante che però è soltanto l’anticipo del trionfo del Cuore Immacolato di Maria promesso a Fatima nel 1917, poiché dopo il comunismo dell’URSS è subentrata una dittatura ancora peggiore: quella del relativismo e del pensiero unico. Eppure la Madonna continua a dirci di non temere, perché lei è qui con noi e vuol guidarci a suo Figlio, sostenendoci come «Regina della Pace», un titolo che lei stessa ha scelto e che è pieno di speranza, anzi già profuma di vittoria.

Quello che è in corso è dunque un combattimento che rinnova l’opposizione tra Lucifero e Gesù Cristo, tra il dragone infernale e la Donna vestita di sole, tra il diavolo e la Chiesa. Ognuno di noi è chiamato a “rispondere” alla chiamata della Regina della Pace facendo la propria parte in questa lotta contro lo scatenamento satanico, ciascuno secondo la propria vocazione e condizione. Ad esempio noi, che in questo momento stiamo scrivendo Il segreto di Medjugorje, in questo modo stiamo collaborando al piano di Maria come suoi apostoli.

È la Madonna stessa a indicare la ragione delle sue apparizioni a Medjugorje nel messaggio già citato del 16 giugno 1983:

«Sono venuta per dire al mondo: Dio esiste! Dio è verità! Solo in Dio c’è la felicità e la pienezza della vita! Io mi sono presentata qui come Regina della Pace per dire a tutti che la pace è necessaria per la salvezza del mondo. Solo in Dio si trova la vera gioia dalla quale deriva la vera pace. Perciò chiedo la conversione».

La Madonna non si presenta come Regina della Pace per richiamare un semplice valore, pur importante, bensì per indicare la via necessaria per la «salvezza del mondo»: questa è la posta in palio!

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L’umorismo virtù fondamentale del cristiano

Posté par atempodiblog le 23 juin 2020

L’umorismo virtù fondamentale del cristiano
di Andrea Monda – L’Osservatore Romano

L’umorismo virtù fondamentale del cristiano dans Andrea Monda San-Tommaso-Moro

«La gioia profonda del cuore è anche il vero presupposto dello humour e così lo humour, sotto un certo aspetto, è un indice, un barometro della fede». E poi: «La gioia va molto unita al senso dell’umorismo. Un cristiano che non ne ha, gli manca qualcosa […] per me, il senso dell’umorismo è l’atteggiamento umano più vicino alla grazia di Dio».

La prima affermazione è degli anni ’80 ed è di Joseph Ratzinger, la seconda è di circa quarant’anni dopo ed è di Papa Francesco, ma si intuisce che non è una battuta estemporanea, sganciata da una “pratica quotidiana”, infatti in quella stessa occasione il Papa ha precisato che proprio per questo «da quarant’anni recito la preghiera di san Tommaso Moro», per avere «il senso dell’umorismo. Vanno sempre insieme la gioia cristiana e il senso dell’umorismo».

È giusto allora ricordare queste affermazioni nel giorno della festa di san Tommaso Moro, un uomo che è stato capace con l’arma del sorriso di affrontare la sua vita, piena di trionfi e di rovesci improvvisi, di gloria e di persecuzione, e soprattutto di fronteggiare gioiosamente la sfida più grande, una condanna a morte ingiusta e comminata dal suo vecchio amico, il re Enrico VIII.

L’umorismo è dunque un’arma, per dire meglio, è una virtù, che il cristiano non può non coltivare. Tommaso Moro lo ha fatto ed è stato un uomo felice, capace di donare felicità a chi stava vicino, più che felice è stato beato, forte perché capace di vivere la sua personale “beatitudine” che ha riassunto in questa folgorante battuta: «Beato chi sa ridere di se stesso, perché non finirà mai di divertirsi». L’ironia cristiana è innanzitutto auto-ironia, un atteggiamento che sospende il giudizio tranciante sugli altri e al tempo stesso è pronto a riconoscere, con misericordia, i propri limiti. È in questo punto che si salda il sodalizio tra umorismo e umiltà, altra virtù fondamentale per il cristiano. Le due parole provengono dalla stessa radice: humus, terra, che poi è la radice stessa anche di humanitas. L’essere umano è tale se si riconosce nato dalla terra, composto di fango, limitato. Su questa essenza fragile, sporca, Dio ha però soffiato, secondo il racconto biblico, il suo spirito, elevandolo alla più alta delle creature, a sua immagine e somiglianza, riscattandolo dalla mera naturalità. E non è un caso che un altro modo per dire humour, umorismo sia parlare di spirito: un uomo umoristico è un uomo spiritoso, capace di battute “di spirito”. Quando Papa Francesco, da circa sette anni, predica la necessità per i cristiani di diventare uomini spirituali, di aprirsi all’opera dello Spirito Santo, ricomprende anche questo effetto, apparentemente secondario, di diventare uomini spiritosi, capaci di sorridere innanzitutto di se stessi. Più volte infatti Bergoglio ha messo in guardia da ogni forma di rigidità e ha invitato il popolo di Dio a sciogliere ogni durezza che rende sclerotico il cuore. L’olio che fa sciogliere il cuore è composto anche da questo sano e umile umorismo. Per nutrire questa umiltà che ci libera è fondamentale la preghiera, magari la stessa preghiera di san Tommaso Moro, che il Papa dice quotidianamente da quarant’anni e il cui testo, così semplice e forte che non ha bisogno di altro commento, pubblichiamo qui di seguito.

Divisore dans San Francesco di Sales

Dammi o Signore, una buona digestione
ed anche qualcosa da digerire.

Dammi la salute del corpo,
col buonumore necessario per mantenerla.

Dammi o Signore, un’anima santa,
che faccia tesoro di quello che è buono e puro,
affinché non si spaventi del peccato,
ma trovi alla Tua presenza
la via per rimettere di nuovo le cose a posto.

Dammi un’anima che non conosca la noia,
i brontolamenti, i sospiri e i lamenti,
e non permettere che io mi crucci eccessivamente
per quella cosa troppo invadente che si chiama «io».

Dammi, o Signore, il senso dell’umorismo,
concedimi la grazia di comprendere uno scherzo,
affinché conosca nella vita un po’ di gioia
e possa farne parte anche ad altri.

Così sia.

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Litanie Lauretane, Papa Francesco dispone tre nuove invocazioni

Posté par atempodiblog le 21 juin 2020

Litanie Lauretane, Papa Francesco dispone tre nuove invocazioni
Attraverso una lettera del Cardinale Sarah la decisione è stata notificata ai Presidenti delle Conferenze Episcopali
di Marco Mancini – ACI Stampa

Litanie Lauretane, Papa Francesco dispone tre nuove invocazioni dans Articoli di Giornali e News Papa-Francesco

Dietro diretta indicazione del Papa, il Cardinale Robert Sarah – Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti – ha inviato una lettera a tutti i Presidenti delle Conferenze Episcopali circa le invocazioni «Mater misericordiae», «Mater spei», e «Solacium migrantium» da inserire nelle Litanie Lauretane.

“Anche nel tempo presente, attraversato da motivi di incertezza e di smarrimento, il devoto ricorso » a Maria - scrive il Cardinale Sarah – « è particolarmente sentito dal popolo di Dio”.

“Interprete di tale sentimento – prosegue il porporato – il Sommo Pontefice ha voluto disporre che nel formulario delle litanie della beata Vergine Maria, chiamate «Lauretane», siano inserite le invocazioni «Mater misericordiae», «Mater spei» et «Solacium migrantium»”, ovvero Madre di misericordia, Madre di speranza e Conforto dei migranti.

Il Cardinale Sarah specifica infine che “la prima invocazione sarà collocata dopo «Mater Ecclesiae», la seconda dopo «Mater divinae gratiae», la terza dopo «Refugium peccatorum»”.

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La lezione di Ratzinger in foto

Posté par atempodiblog le 19 juin 2020

La lezione di Ratzinger in foto
Joseph Ratzinger in volo, nonostante il quadro pandemico, verso la Germania. Il fratello Georg sta male e così l’emerito stupisce ancora il mondo
Mi trovo di fronte all’ultimo tratto del percorso della mia vita e non so cosa mi aspetta. So, però, che la luce di Dio c’è, che Egli è risorto, che la sua luce è più forte di ogni oscurità, che la bontà di Dio è più forte di ogni male di questo mondo.
di Francesco Boezi – Il Giornale

La lezione di Ratzinger in foto dans Articoli di Giornali e News Benedetti-XVI

È da un po’ di tempo che Joseph Ratzinger afferma di essere in pellegrinaggio verso Casa. Chissà se al papa emerito è mai capitato di pensare ad un altro viaggio in Germania.

Con ogni probabilità sì. Quella terra che tanto fa penare l’ex pontefice per via della rivoluzione teologico-dottrinale forzata che certi vescovi progressisti vorrebbero portare a dama ad ogni costo. Quella rivoluzione per cui l’emerito ha deciso di scrivere, con l’ausilio del cardinal Robert Sarah, un controcanto: Dal Profondo del Nostro Cuore, l’opera libraria contro l’abolizione del celibato sacerdotale. Quel virgolettato risale a quando il papa emerito Benedetto XVI ha compiuto 85 anni. Sappiamo col senno di poi di come all’epoca già stesse meditando di rinunciare al soglio di Pietro. E abbiamo anche avuto modo di contare le volte in cui Benedetto XVI ha domandato – senza mai ottenere una risposta positiva – di potersene tornare in Baviera: San Giovanni Paolo II non glielo ha mai permesso. È anche per quel mancato permesso che forse Ratzinger è stato eletto dopo la morte del polacco. Chissà cosa sarebbe accaduto se fosse tornato in Germania, come avrebbe preferito, a scrivere ed a studiare.

Georg Ratzinger, il fratello dell’emerito, è malato. E Ratzinger, nonostante la pandemia e nonostante il quadro dei contagi in Europa non si sia ancora risolto a tal punto da consigliare spostamenti senza troppi patemi, in specie per un uomo di novantré anni, ha scelto comunque di volare in direzione Regensburg, dove Georg Ratzinger risiede. E dove i due fratelli Ratzinger potrebbero vedersi per l’ultima volta in questa vita terrena. L’ennesima scelta rivoluzionaria di un ex pontefice che ci ha abituati ai colpi di scena. Dal ritiro alla vita spirituale in poi, Ratzinger non aveva visto quasi nulla: le mura leonine hanno fatto da barriera alle esperienze esterne. Ma certi viaggi non si possono rimandare. Nemmeno se si è stati successori di Pietro e se la logica magari consiglierebbe quantomeno di ragionarci.

Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni ha comunicato cosa stesse accadendo: Questa mattina il Papa emerito Benedetto XVI si è recato in Germania in visita al fratello malato. Il Papa emerito si trova ora nella città di Regensburg, dove trascorrerà il tempo necessario. Insieme a lui si trovano il segretario, monsignor Georg Gaenswein, il medico, un infermiere, una delle memores domini e il Vice Comandante del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano, hanno fatto sapere dal Vaticano.

Del resto, come si può non recarsi al capezzale di un fratello gravemente malato per paura? Un sostenitore del relativismo, forse, può provare una sensazione d’angoscia di fronte a questo tipo di evenienze. Per Joseph Ratzinger non possono esistere troppi dubbi sul da farsi. Ratzinger per muoversi ha quantomeno atteso del tempo. Suo fratello Georg, lo scorso 16 aprile, non ha potuto partecipare al compleanno dell’emerito. Benedetto in quell’occasione ha dovuto rinunciare alla presenza del suo parente più prossimo, ma non ha rinunciato a qualche canto bavarese. Quelli che era solito intornare proprio col suo maggiore nel corso delle occasioni di festeggiamento.

Una pandemia di questa gravità può costringere il mondo alla quarantena. In maniera più ardua, un pandemia di questa gravità deve confrontarsi con uno dei simboli della resistenza della civiltà occidentale. Un simbolo che neppure a novantré anni vuole rinunciare a volare.

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Sacerdoti, anelito di santità

Posté par atempodiblog le 19 juin 2020

Sacerdoti, anelito di santità
Nella Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, oggi si celebra anche la Giornata per la Santificazione dei sacerdoti, istituita 25 anni fa da Giovanni Paolo II. Un momento di meditazione e preghiera per ricordare che si è a servizio del popolo di Dio, animati dall’amore di Cristo
di Benedetta Capelli – Vatican News

Sacerdoti, anelito di santità dans Fede, morale e teologia Prete

“Tale Giornata aiuti i sacerdoti a vivere nella conformazione sempre più piena al cuore del Buon Pastore”. Giovanni Paolo II, nella Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo del 25 marzo 1995, istituiva così l’odierna Giornata mondiale di preghiera per la santificazione del clero, facendola coincidere con la Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. Una correlazione per ricordare agli uomini di Dio di coltivare nel proprio cuore “un grande anelito di santità”, per percorrere le vie di chi si è fatto simile a Cristo, servendo gli uomini e le donne che gli sono affidati, vivendo la propria vocazione in unione con Maria. “Allora – scriveva Papa Wojtyla – il nostro sacerdozio sarà custodito nelle sue mani, anzi nel suo cuore, e potremo aprirlo a tutti. Sarà in tal modo fecondo e salvifico, in ogni sua dimensione”.

La preghiera crea il sacerdote e il sacerdote si crea attraverso la preghiera
Tra i tanti pronunciamenti sul sacerdozio, nel lungo magistero di San Giovanni Paolo II, c’è un passaggio del libro: “Dono e mistero. Diario di un sacerdote”, pubblicato nel 1996, nel quale si richiama costantemente alla santità del prete, “testimone e strumento di misericordia divina”, e al suo bisogno di preghiera. “La preghiera – sottolineava Papa Wojtyla – sorge dalla santità di Dio e nello stesso tempo è la risposta a questa santità”.

“Cristo ha bisogno di sacerdoti santi! Il mondo di oggi reclama sacerdoti santi! Soltanto un sacerdote santo può diventare, in un mondo sempre più secolarizzato, un testimone trasparente di Cristo e del suo Vangelo”

“I santi della porta accanto”
In questo tempo di pandemia, il pensiero di Papa Francesco è andato più volte ai sacerdoti che hanno perso la vita, spendendosi accanto ai malati di coronavirus, accompagnandoli con una preghiera o una benedizione a distanza ma facendo sentire la loro presenza e quella di Gesù. Nell’omelia della Messa in Coena Domini, il 9 aprile scorso, in piena emergenza coronavirus, il Pontefice aveva avuto per i sacerdoti pensieri affettuosi di padre, esortandoli ad essere coraggiosi, anche nel perdonare.

“I sacerdoti che offrono la vita per il Signore, i sacerdoti che sono servitori. In questi giorni ne sono morti più di sessanta qui, in Italia, nell’attenzione ai malati negli ospedali, e anche con i medici, gli infermieri, le infermiere… Sono “i santi della porta accanto”, sacerdoti che servendo hanno dato la vita”

La santità di oggi
Il 4 agosto 2019, Papa Francesco aveva inviato una Lettera ai sacerdoti in occasione del 160.mo anniversario del santo Curato d’Ars, patrono dei parroci del mondo. “Mi rivolgo a ciascuno di voi – scriveva il Pontefice – che, in tante occasioni, in maniera inosservata e sacrificata, nella stanchezza o nella fatica, nella malattia o nella desolazione, assumete la missione come un servizio a Dio e al suo popolo e, pur con tutte le difficoltà del cammino, scrivete le pagine più belle della vita sacerdotale”. Dolore, gratitudine, coraggio e lode: le parole che scandivano la sua riflessione nella quale non mancava un riferimento all’Esortazione Apostolica Gaudete et Exsultate, incentrata sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo.

Ringraziamo anche per la santità del Popolo fedele di Dio che siamo invitati a pascere e attraverso il quale il Signore pasce e cura anche noi con il dono di poter contemplare questo popolo “nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante”. Rendiamo grazie per ognuno di loro e lasciamoci soccorrere e incoraggiare dalla loro testimonianza; perché “eterna è la sua misericordia”.

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Dio ha un cuore

Posté par atempodiblog le 18 juin 2020

Dio ha un cuore
Tratto da: Le vie del cuore. Vangelo per la vita quotidiana. Commento ai vangeli festivi Anno A, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

Dio ha un cuore dans Fede, morale e teologia Sacro-Cuore-di-Ges

L’uomo ha bisogno di essere amato
La devozione al Cuore Sacratissimo di Gesù, come quella al Cuore Immacolato di Maria, toccano da vicino l’essenza del cristianesimo, che è la religione dell’amore. Il grande filosofo greco Aristotele definitiva Dio come pensiero; i mistici indù lo descrivono come autocoscienza luminosa di sé; il cristianesimo invece  afferma che Dio è amore. Dio è amore in se stesso, nella comunione eterna delle tre persone divine. Ma è anche amore che esce da sé e che si diffonde nell’opera mirabile della creazione e della redenzione. Per comprendere Dio nel suo essere e nel suo agire è necessario fare riferimento all’amore. E’ l’amore divino la sorgente originaria da cui tutto viene e alla quale tutto ritorna.

In questa luce si riesce anche a comprendere il mistero dell’uomo. Ciò che è fondamentale in lui è il suo bisogno infinito di amore. L’uomo, ogni uomo, più ancora del pane materiale, ha bisogno di amore. Lo ammetta o no, ogni uomo desidera amare ed essere amato. La ricerca della felicità, che contraddistingue la vita umana sulla terra, è mossa dalla fame insaziabile di un amore assoluto, eterno e fedele. Questo desiderio insopprimibile, che ognuno di noi avverte prepotente nel suo intimo, non potrebbe mai essere soddisfatto se Dio non avesse un Cuore.

Nel cuore di Gesù tutti gli uomini sono amati
Noi sappiamo che Dio ha un cuore perché, facendosi uomo, ci ha rivelato quanto siamo amati. Ciò che colpisce è il affatto che Dio abbia voluto amarci con un cuore come il nostro, capace dei nostri sentimenti, ma anche delle nostre sofferenze. Un Cuore tuttavia dalle dimensioni infinite, in cui tutti gli uomini sono conosciuti personalmente e amati in un modo unico e irripetibile.

Il buon pastore, afferma Gesù, conosce le sue pecorelle ad una ad una e le chiama per nome. Se anche una sola, fra le innumerevoli che possiede, andasse smarrita, egli andrebbe a cercarla. Ci sono uomini che vivono il deserto dell’amore. Forse non hanno mai conosciuto la dolcezza di una carezza materna, di uno sguardo compassionevole, di un sorriso fraterno. Le persone che non conoscono l’amore, o per vari motivi ne diffidano, oppure lo ritengono impossibile, non potrebbero avere una grazia più grande di quella di scoprire l’amore del Cuore di Dio.

Nel Cuore di Gesù ognuno è a casa propria. Tu, che non credi più nell’amore degli uomini, sappi che c’è un amore più grande! C’è un Cuore mite e umile che fiammeggia d’amore per te, anche se lo ignori e forse lo disprezzi.

Il cuore di Gesù è il rifugio dei peccatori
Il Cuore di Gesù non esclude nessuno, neppure quelli che il mondo disprezza. Ma soprattutto non esclude colore che si ritengono indegni di essere amati, che disprezzano se stessi, che si odiano e non si perdona. Caro amico, quanto è difficile all’uomo ammettere di essere un povero peccatore! Quanto è arduo guardare alla propria miseria con gli occhi di umiltà! Quanto è duro prendere coscienza delle proprie piaghe e rivolgersi a quell’unico medico che potrebbe curare!

Le litanie del Sacro Cuore invocano il Cuore divino di Gesù come rifugio dei peccatori. Questo significa che, se prendi coscienza di essere un peccatore e ti rifugi nel Cuore di Gesù, egli non ti respinge, ma ti accoglie e ti perdona. Il Cuore di Gesù è aperto a tutti coloro che bussano. Da parte tua però ci deve essere fiducia, umiltà e speranza. L’amore del Cuore di Cristo è un mistero di infinita misericordia che solo gli umili, che professano la loro miseria, hanno la grazia di comprendere.

Il Cuore di Gesù è la consolazione degli afflitti
Ciò che ci affligge di più nella vita non è tanto il fatto di portare la croce, quanto quella di portarla da soli. La croce, sopportata in solitudine, senza poterla condividere, pesa infinitamente di più. Quando una spina ci trafigge il cuore, ci sembra di trovare sollievo se possiamo mostrarla a qualcuno che lo guardi con compassione. Oggi però è sempre più difficile trovare un cuore che sappia ascoltare. Tutti hanno le loro pene da raccontare, ma ben pochi hanno ancora per ascoltare. Vorresti chiedere a un fratello orecchie di aiutarti a portare il tuo peso, ma ecco che egli prontamente ti porge il suo.

C’è però un Cuore che ascolta le tue afflizioni, le tue amarezze, le tue frustrazioni e le tue sconfitte. E’ il Cuore divino di Gesù. Egli non solo guarda con compassione tutto ciò che ti affligge, ma ti chiede di darlo a lui. Nell’atto con cui gli consegni le tue amarezze, egli ti ricolma della sua dolcezza. Non c’è spina che non diventi un petalo di rosa, se chiedi consolazione al Cuore di Gesù. Nessun afflitto, che si sia rivolto con fiducia a Lui, è rimasto in quell’amarezza senza speranza che avvelena la vita degli uomini.

Il Cuore di Gesù è la speranza estrema dei disperati
Il mondo in cui viviamo, oggi più di ieri, è attraversato dalla grande tentazione della disperazione. Si tratta di una minaccia oscura, che penetra silenziosa ori, avvolgendoli nelle sue spire soffocanti. La vita è spesso impietosa e la società nella quale viviamo è una giungla dove non c’è pietà per chi perde. Anche a te forse è capitato, in certi momenti di tenebre, di gridare aiuto, ma nessuno è venuto in tuo soccorso. Gente di ogni età, dai più giovani ai più anziani, cede ogni giorno alla tentazione di “farla finita”.

Ma anche se gli uomini non ti sentono, anche se nessuno accorre, sappi che c’è un Cuore che ti ascolta e che è sempre pronto ad aiutarti, se tu glielo chiedi con fiducia. E’ il Cuore di Gesù, che veglia su di te, mentre cammini verso l’abisso. Ti porge la Sua mano, perché tu abbia ad afferrarLa e stringerLa forte.

Il Cuore di Gesù è il sostegno nel cammino della vita
“Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e i ristorerò”. Non vi è dubbio, caro amico, che la vita sia pellegrinaggio, lungo, faticoso e pieno di insidie. Qualsiasi uomo voglia percorrerlo da solo, si perde. Per questo Dio si è fatto uomo voglia percorrerlo da solo, si perde. Per questo Dio si è fatto uomo voluto farsi viandante con noi, per guidarci e sostenerci nel difficile cammino.

Egli ci fa da guida sicura, indicandoci la meta dell’eternità oltre le tenebre che ci avvolgono e che ci impediscono di orientarci. Egli ci sostiene nella fatica e ci incoraggia a proseguire quando vorremmo desistere. Più ancora ci rinfranca col pane celeste e ci ristora con l’acqua viva del Suo amore. Quando siamo stanchi ci solleva dai pesi che ci opprimono e, nella sua tenerezza infinita di buon pastore, ci porta sulle spalle. In questo giorno particolare chiedi a Gesù la grande grazia di conoscere le ricchezze infinite del Suo Cuore. Troverai tesori inesauribili di amore e di misericordia.

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L’Eucaristia, comunione con la Trinità

Posté par atempodiblog le 14 juin 2020

L’Eucaristia, comunione con la Trinità

L’Eucaristia, comunione con la Trinità dans Fede, morale e teologia Trinit

[…] nell’Eucaristia, il Figlio Gesù Cristo è presente naturalmente (cioè con la sua duplice natura divina e umana) ed è presente anche personalmente (come persona del Figlio); il Padre e lo Spirito Santo direttamente, sono presenti soltanto naturalmente (in forza dell’unità della natura divina), ma indirettamente in forza, cioè della pericoresi delle persone divine, sono presenti anche personalmente. In ognuna delle tre persone della Trinità, infatti, sono presenti le altre due.

Di questa presenza della Trinità nell’Eucarestia, che la teologia afferma in linea di principio, i santi hanno fatto talvolta l’esperienza vissuta.

Nel Diario di una grande mistica, santa Veronica Giuliani, si legge: “Mi parve di vedere nel SS. Sacramento, come in un trono, Dio Trino e Uno: il Padre con la sua onnipotenza, il Figlio con la sua sapienza, lo Spirito Santo con il suo amore. Ogni volta che noi ci comunichiamo, l’anima nostra e il nostro cuore divengono tempio della SS. Trinità e, venendo in noi Dio, vi viene tutto il paradiso. Vedendo come Dio sta racchiuso nell’Ostia sacrosanta, stetti tutto il giorno fuori di me per il giubilo che provavo. Dovessi dare la vita a conferma di tale verità, la darei mille volte”.

Noi entriamo dunque in una comunione misteriosa, ma vera e profonda, con tutta la Trinità: con il Padre, attraverso Cristo, nello Spirito Santo.

di padre Raniero Cantalamessa – L’Eucaristia nostra santificazione. Ed. Àncora

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Il centro è il posto che compete a Gesù

Posté par atempodiblog le 12 juin 2020

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“Venne Gesù e si fermò nel mezzo”. Il centro è il posto che compete a Gesù: in cielo, nel grembo della Vergine, nella mangiatoia del gregge e sul patibolo della croce.

In cielo: “L’Agnello che sta in mezzo al trono”, cioè nel seno del Padre, “li guiderà e li condurrà alle fonti delle acque della vita” (Ap 7,17), cioè alla sazietà del gaudio celeste.

Nel grembo della Vergine: “Esultate e cantate lodi, abitanti di Sion, perché grande è in mezzo a voi il Santo d’Israele” (Is 12,6). O beata Maria, che sei figura degli abitanti di Sion, cioè della chiesa, che nell’incarnazione del Figlio tuo ha posto il fondamento dell’edificio della sua fede, esulta con tutto il cuore, canta con la bocca la sua lode: “L’anima mia magnifica il Signore!” (Lc 1,46), perché il grande, il piccolo e l’umile, il santo e il santificatore di Israele sta in mezzo a te, cioè nel tuo grembo.

Nella mangiatoia del gregge: “Sarai conosciuto in mezzo a due animali” (Ab 3,2 – Trad. dei LXX). “Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone (Is 1,3).

Sul patibolo della croce: “Crocifissero insieme con lui altri due, da una parte e dall’altra, e Gesù nel mezzo” (Gv 19,18).

Venne dunque Gesù e si fermò nel mezzo. “Io sto in mezzo a voi – ci dice in Luca – come colui che serve” (Lc 22,27). Sta al centro di ogni cuore; sta al centro perché da lui, come dal centro, tutti i raggi della grazia si irradino verso di noi che camminiamo all’intorno e ci agitiamo alla periferia.

di sant’Antonio da Padova – Sermone dell’Ottava di Pasqua 6

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L’Eucaristia ha come fine: farci Dio (per partecipazione)

Posté par atempodiblog le 11 juin 2020

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L’Eucaristia non è che porti soltanto frutti belli, buoni, di santità, d’amore; non è nemmeno che abbia come primo scopo quello di aumentare l’unità con Dio e fra noi (come è comunemente intesa l’unità) e serva perciò a nutrire la presenza di Gesù in mezzo a noi. Sì, anche questo. Ma il compito dell’Eucaristia è un altro. L’Eucaristia ha come fine: farci Dio (per partecipazione). Mescolando le carni vivificate dallo Spirito Santo e vivificanti del Cristo con le nostre, ci divinizza nell’anima e nel corpo. Ci fa Dio dunque. Ora Dio non può stare che in Dio. Ecco perché l’Eucaristia fa entrare l’uomo, che se ne è cibato degnamente, nel seno del Padre, colloca l’uomo nella Trinità in Gesù. Nello stesso tempo l’Eucaristia non fa questo di un uomo soltanto, ma di molti, i quali, essendo tutti Dio, non sono più molti, ma uno. Sono Dio e tutti insieme in Dio. Sono uno con lui, persi in lui. Ora questa realtà, che opera l’Eucaristia, è la Chiesa. Che cos’è la Chiesa? È l’uno provocato dall’amore reciproco dei cristiani e dall’Eucaristia. La Chiesa è formata da uomini divinizzati, fatti Dio, uniti al Cristo che è Dio e fra loro. Se vogliamo il tutto visto un po’ all’umana, espresso cioè con termini umani – con un esempio che la Scrittura usa – la Chiesa è un corpo, il cui capo è Cristo glorioso. Ma come Cristo è nel seno della Trinità, così la Chiesa è chiamata ad essere, e lo è già sin da quaggiù, nei membri in cui l’Eucaristia opera, nel seno del Padre. E se in parte non lo è ancora, è in viaggio verso di esso. L’uomo poi travolge con sé tutto il creato, perché ne è la sintesi. Tutto quanto è uscito da Dio ritorna perciò, per l’Eucaristia, nella Trinità.

Chiara Lubich, La Dottrina spirituale, Citta Nuova, 2001, p. 173

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«Almeno tu, amami!». Cosa ci chiede il Sacro Cuore

Posté par atempodiblog le 10 juin 2020

«Almeno tu, amami!». Cosa ci chiede il Sacro Cuore
Il mistero dell’amore di Dio per noi lascia sbalorditi, soprattutto alla luce della nostra ingratitudine. Nelle rivelazioni a santa Margherita Maria Alacoque, Gesù dice alla giovane suora: «Almeno tu, amami!». La devozione del Sacro Cuore richiama essenzialmente il cristiano alla riparazione, supplendo dinanzi a Gesù tante altre anime che non lo amano. Viviamo la novena, che inizia oggi, con questo spirito di salvezza rivelato anche ai santi pastorelli di Fatima.
di don Paolo Ciccotti – La nuova Bussola Quotidiana

«Almeno tu, amami!». Cosa ci chiede il Sacro Cuore dans Fede, morale e teologia Sacro-Cuore-di-Ges-a-tempo-di-blog

“Il mio cuore – dice Dio per bocca del profeta Osea (11,8) – si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione”. Questo grande mistero dell’amore di Dio per noi ci lascia sbalorditi e senza parole, soprattutto alla luce dell’indifferenza e dell’ingratitudine di cui siamo capaci. Il compimento di questo infinito amore che si commuove e si riversa sull’umanità, ferita a morte dal peccato, bene ce lo descrive l’Apostolo Giovanni che così sintetizza l’immolazione del Figlio Unigenito del Padre sulla croce: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13, 1). La vita di ogni uomo è ormai illuminata e rischiarata dalla mirabile verità del cuore di Gesù trapassato sulla croce che offre Sé stesso per il mondo.

Quando Giovanni Paolo II andò in visita a Paray-le-Monial, davanti alle reliquie di santa Margherita Maria Alacoque, pregò per la riscoperta dell’amore del Salvatore e la necessità di lasciarsi permeare da esso. Mostrandole il Suo Cuore ferito dal peccato degli uomini che gettava fiamme d’amore, Gesù disse un giorno a santa Margherita Maria: “Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e che nulla ha risparmiato fino ad esaurirsi e a consumarsi per testimoniare loro il suo Amore”.

Fu Gesù stesso a chiedere la festa del Sacro Cuore: “Ti chiedo che il primo venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini sia dedicato a una festa particolare per onorare il mio Cuore, ricevendo in quel giorno la Santa Comunione e facendo un’ammenda d’onore per riparare tutti gli oltraggi ricevuti durante il periodo in cui è stato esposto sugli altari. Io ti prometto che il mio Cuore si dilaterà per effondere con abbondanza le ricchezze del suo divino Amore su coloro che gli renderanno questo onore e procureranno che gli sia reso da altri”.

Durante la visione, suor Margherita Maria sentì pure queste altre parole del Salvatore: “Almeno tu, amami!”. Gesù viene a mendicare l’amore! Così aveva fatto con san Pietro sul lago di Tiberiade: “Pietro, mi ami tu?”. Non crediamo che Gesù non abbia desiderio di essere amato: chi ama desidera essere riamato, parlare lo stesso linguaggio, effondersi. Il Cuore divino di Gesù chiama il nostro cuore.

La devozione al Sacro Cuore – come ha sapientemente messo in luce il grande don Divo Barsotti nel suo libro “La mistica della riparazione” – è essenzialmente una devozione riparatrice, richiama il cristiano alla riparazione. Per don Divo è certo che la riparazione è stata voluta direttamente da Gesù Cristo che, presentando il suo Cuore, è venuto a incitarci e a impegnarci all’espiazione e alla riparazione.

La mistica della riparazione non è nuova nella devozione cattolica, ma certamente prima delle rivelazioni di Paray-le-Monial non era sentita in modo così chiaro, definito, specifico, come compito proprio della pietà cattolica. Oggi noi non potremmo più vivere – sono parole di padre Barsotti – la nostra vita cristiana integrale, non potremmo più rispondere a una vocazione divina che ci chiama alla perfezione, senza sentirci impegnati in modo preciso all’adempimento di questo dovere.

È lecito domandarci allora cosa si intenda per riparazione e per quali motivi dobbiamo sentirci ad essa impegnati. Le parole stesse di Gesù a santa Margherita Maria ce lo chiariscono: si tratta di supplire dinanzi al suo Cuore tante altre anime che non lo amano. La riparazione esprime innanzitutto un impegno di supplenza, e questo è veramente cristiano.  Nel nostro andare verso Dio non possiamo mai concepirci da soli, separati dalla comunità: al contrario, quanto più ci accostiamo al Cuore di Dio, tanto più siamo chiamati a portare con noi – a rappresentare in un certo qual modo – tutti gli altri che sono lontani.

Dicendo a suor Margherita Maria “almeno tu, amami!”, Gesù non intende rinunziare all’amore di coloro che non lo amano, ma chiede a chi ha conosciuto il suo Amore di compensare l’amore di coloro che glielo negano. Il Signore ci chiede di amarlo anche per coloro che non lo amano. A Fatima, nella primavera del 1916, l’Angelo insegnerà ai pastorelli una preghiera che va proprio in questa direzione: “Dio mio, io credo, adoro, spero e Vi amo. Io Vi domando perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano, non Vi amano”.

L’amore che il Signore ci chiede come mendicante divino d’amore non ci sottrae al mondo, non ci divide dagli altri, al contrario, ci unisce di più ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, perché tali sono, e ci fa responsabili per tutti.

Il protomartire Stefano, con la sua morte, fa presente la morte del Cristo e come Gesù prega: “Signore, non imputare loro questo peccato”. Il martirio cristiano non è mai soltanto testimonianza di amore per Dio, ma sempre anche testimonianza di amore per gli uomini, per quelli stessi che ti danno la morte.

Non siamo salvi se non è salvo con noi l’universo, diceva Péguy. Certo, non è l’uomo, per quanto santo possa essere, che redime e salva gli altri, ma è solo Dio che salva: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12). Ma è pur vero che Gesù vive in noi e, se noi lo lasciamo vivere, Egli continua l’opera che gli è propria, la salvezza del mondo.

A questo ci invita la festa del Sacro Cuore, a lasciare che Egli attraverso di noi possa continuare la Sua opera di redenzione del mondo. Ecco a quale vetta sublime siamo chiamati, a diventare santi della santità di Gesù, a diventare vittime immolate che si offrono al Padre per ottenere misericordia per il mondo intero.

A santa Margherita Maria, che chiedeva a Gesù di aver compassione della sua debolezza, fu donata questa rassicurante parola: “Sarò Io la tua forza, non temere; ma presta sempre attenzione alla mia voce e a ciò che ti chiedo, per portare a termine i miei disegni”.

Prepariamoci a vivere intensamente la Solennità del Sacro Cuore di Gesù. Nella novena di preparazione, che inizia oggi, possiamo pregare facendo nostre queste parole di don Divo Barsotti:

Signore, noi ci offriamo a te, consumaci tu nel tuo amore,
perché non viva più in noi che il tuo Cuore divino,
il tuo medesimo Spirito
e sia tutta la nostra vita come fu la tua, Signore:
un dono, un’offerta d’amore…
Signore, tu hai fatto tante volte questo miracolo:
hai tolto il cuore di pietra che avevano tanti tuoi santi
e hai messo al posto del loro il tuo Cuore di carne.
Ecco noi ti offriamo noi stessi perché tu strappi dalle nostre viscere
questo cuore che non ha saputo finora amarti come doveva
e tu metta in noi il tuo medesimo Cuore…
Vivi tu stesso in noi; ti offriamo noi stessi
perché tu voglia possederci in modo perfetto
e sia tu solo a vivere in noi.

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