Perché è necessario opporsi ai preti sposati. Firmato: Benedetto XVI
Posté par atempodiblog le 14 février 2020
Perché è necessario opporsi ai preti sposati. Firmato: Benedetto XVI
Papa Francesco non ha cambiato la tradizione sul celibato sacerdotale. Nel libro con Sarah, Ratzinger spiega perché è la decisione giusta.
di Leone Grotti – Tempi
IL DIBATTITO AL SINODO E L’ESORTAZIONE DEL PAPA
Lo scorso autunno l’attenzione al Sinodo era stata catalizzata proprio da questa possibile apertura, esplicitamente richiesta nel documento finale: i padri sinodali avevano infatti chiesto di «ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la celebrazione dei sacramenti».
LA RIBELLIONE DEI VESCOVI TEDESCHI
Il Papa però, nell’esortazione consegnata lo scorso 27 dicembre, prima quindi dell’uscita del libro del cardinale Robert Sarah e di Benedetto XVI, ha chiuso le porte allo stravolgimento della tradizione. A conferma che per molti l’unico obiettivo del Sinodo era portare all’ordinazione di uomini sposati, i vescovi tedeschi sono insorti: «Il Papa non trova il coraggio di attuare vere riforme. Ci dispiace moltissimo che abbia rafforzato le posizioni esistenti della Chiesa romana in termini di accesso al sacerdozio e di partecipazione delle donne ai ministeri», scrive il Comitato centrale dei laici tedeschi. Deluso anche il vescovo di Stoccarda, monsignor Gebbard Furst: «Le dichiarazioni del Papa sono deludenti. Dobbiamo parlarne in particolare nel nostro Sinodo tedesco».
Il Sinodo «vincolante» (parola che puzza di scisma) per la Chiesa di Germania è stato lanciato dal cardinale Reinhard Marx (che ha appena dichiarato che non si ricandiderà alla guida della Conferenza episcopale tedesca) e ha l’obiettivo esplicito di aggiornare la dottrina e la pastorale su morale, sesso, famiglia, donne, celibato sacerdotale. Non si parlerà invece del vero cancro della Chiesa tedesca: come ha spiegato al Corriere pochi giorni fa monsignor Massimo Camisasca, «è profondamente segnata dalla terribile contraddizione di essere una Chiesa ricca ma senza fedeli e ora pensa di recuperarli inseguendo la logica del mondo». È lo stesso giudizio che traspare dalle pagine della nostra rivista, che proprio alla Chiesa tedesca ha dedicato un approfondimento sul numero di marzo. Il titolo è “Una Chiesa così perfetta che Cristo è un optional”.
IL SAGGIO MAGISTRALE DI BENEDETTO XVI
Le ragioni profonde della decisione di papa Francesco di confermare la tradizione della Chiesa in merito al celibato sacerdotale, nonostante le enormi pressioni, le ha spiegate Benedetto XVI nel suo magistrale saggio contenuto nel testo Dal profondo del nostro cuore. Scrive il Papa emerito tornando «alle radici del problema», offrendo una «interpretazione cristologica dell’Antico Testamento» e una corretta «teologia del sacerdozio» (estratti selezionati e traduzione nostra dal francese):
«La Croce di Gesù Cristo è l’atto d’amore radicale nel quale trova realmente compimento la riconciliazione tra Dio e il mondo segnato dal peccato. Attraverso la Croce, il corpo di Cristo diviene il nuovo Tempio con la Risurrezione. Pertanto un nuovo culto viene istituito allo stesso tempo. Gli Atti degli apostoli evocano l’eccessivo carico di lavoro degli apostoli che, oltre al compito dell’annuncio e della preghiera della Chiesa, devono anche assumere la piena responsabilità della cura dei poveri. Gli apostoli decisero allora di consacrarsi interamente alla preghiera e al servizio della Parola. I nuovi ministeri [rispetto a Israele] non riposano più sull’appartenenza a una famiglia, ma su una vocazione donata da Dio. Di più, questa chiamata deve essere riconosciuta e accettata dal suo destinatario.
«MATRIMONIO E SACERDOZIO INCOMPATIBILI»
«Molto presto, la celebrazione regolare, quotidiana, dell’Eucaristia è diventata essenziale per la Chiesa. Questo ha avuto una conseguenza importante che, precisamente, si ritrova oggi nella Chiesa. Nella coscienza comune di Israele, i preti erano tenuti rigorosamente a rispettare l’astinenza sessuale nel periodo in cui esercitavano il culto ed erano dunque in contatto con il mistero divino. La relazione tra l’astinenza sessuale e il culto divino fu assolutamente chiara nella coscienza comune di Israele. Ma poiché i sacerdoti dell’Antico Testamento non dovevano consacrarsi al culto che durante periodi determinati, il matrimonio e il sacerdozio erano compatibili. Ma a causa della celebrazione eucaristica regolare e spesso quotidiana, la situazione dei sacerdoti della Chiesa di Gesù Cristo si trova radicalmente cambiata. Ormai, la loro vita intera è in contatto con il mistero divino. Questo esige da parte loro l’esclusività nei confronti di Dio. Questo esclude di conseguenza gli altri legami che, come il matrimonio, abbracciano tutta la vita.
«Dalla celebrazione quotidiana dell’Eucaristia nacque spontaneamente l’impossibilità del legame matrimoniale. Si può dire che l’astinenza sessuale che era funzionale si è trasformata in una astinenza ontologica. Lo stato coniugale riguarda l’uomo nella sua totalità, ma anche il servizio del Signore esige ugualmente il dono totale dell’uomo e non sembra possibile realizzare simultaneamente le due vocazioni.
«I SACERDOTI COME I LEVITI VIVONO DI E PER DIO»
Tutte le tribù di Israele, come anche ogni famiglia, rappresentava l’eredità della promessa di Dio ad Abramo. Questa si esprimeva concretamente nel fatto che ogni famiglia otteneva in eredità una porzione della Terra promessa, di cui diventata proprietaria. Il possesso di una parte della Terra santa dava a ogni famiglia la certezza di partecipare alla promessa. La tribù di Levi aveva questo di particolare: era l’unica tribù che non possedeva terra in eredità. Il levita restava privo di terra ed era dunque deprivato di una sussistenza immediata. Egli viveva solamente di Dio e per Dio. In pratica, questo implica che doveva vivere, secondo norme precise, delle offerte sacrificali che Israele riservava a Dio. Questa figura veterotestamentaria si realizza nei sacerdoti della Chiesa in maniera nuova e più profonda: essi devono vivere solo di Dio e per Lui. Nel Vecchio Testamento, i leviti rinunciano a possedere una terra. Nel Nuovo testamento, questa privazione si trasforma e si rinnova: i preti, poiché sono radicalmente consacrati a Dio, rinunciano al matrimonio e alla famiglia. Entrare nel clero significa rinunciare al proprio centro di vita e non accettare che Dio solo come sostegno e garante della propria vita. Il vero fondamento della vita del sacerdote, il sale della sua esistenza, la terra della sua vita è Dio stesso. Il celibato non può essere compreso e vissuto in definitiva se non su questo fondamento.
«L’uomo diventa santo nella misura in cui comincia a essere con Dio. Essere con Dio significa rimuovere ciò che è soltanto mio e diventare uno con il tutto della volontà di Dio. Questa liberazione da me può rivelarsi molto dolorosa e non è mai compiuta una volta per tutte. Con il termine “santificarsi” si può anche comprendere in modo molto concreto l’ordinazione sacerdotale, nel senso che questa implica che il Dio vivente rivendichi radicalmente un uomo per farlo entrare al suo servizio.
«IL CAMMINO PERCORSO PER TUTTA LA MIA VITA»
«Alla vigilia della mia ordinazione si è impresso profondamente nella mia anima ciò che significa l’essere ordinati sacerdoti, al di là di tutti gli aspetti cerimoniali: significa che noi dobbiamo di continuo essere purificati e invasi da Cristo perché sia Lui che parla e agisce in noi e sempre meno noi stessi. Mi è apparso chiaro che questo processo che consiste nel diventare una cosa sola con lui e a rinunciare a ciò che appartiene a noi dura tutta la vita e include in continuazione liberazioni e rinnovi dolorosi. In questo senso le parole di Giovanni 17, 17 mi hanno indicato il cammino che ho percorso durante tutta la mia vita».
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